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martedì, 23 dicembre 2008

IL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI (laboratorio di traduzioni)

laboratorio-di-traduzioniNel corso del dibattito, questo post si è trasformato in una sorta di spazio/laboratorio dedicato alla traduzione letteraria animato da Francesca Giulia Marone e altri volontari.
(Massimo Maugeri)

————————————————

Tradurre non è un mestiere facile. Tutt’altro.
Ed è anche un mestiere che si svolge nell’ombra. A volte in pieno buio. Eppure la traduzione di un libro è fondamentale.
Lo sappiamo bene: una buona traduzione è capace di valorizzare un romanzo (e di restituirlo “integro” al lettore che lo legge in una lingua differente rispetto a quella originale), una cattiva traduzione può ucciderlo (il romanzo, ma a volte anche il lettore… nel senso che può uccidere la sua voglia di leggere).
Nonostante ciò il traduttore è spesso visto come un addetto ai lavori “secondario”, che non deve mai superare la soglia del “dietro le quinte”.
Ma è davvero giusto che sia così? Ed è davvero così? Secondo voi?
Ne parliamo con la scrittrice e traduttrice Gaja Cenciarelli che ci offre un articolo già pubblicato su La poesia e lo spirito. Contestualmente ne discutiamo con gli autori (tutti traduttori) del volume “Il mestiere di riflettere- Storie di traduttori e traduzioni” (Azimut, 2008, pagg. 276, euro 12,50) curato da Chiara Manfrinato: Federica ACETO, Susanna BASSO, Rossella BERNASCONE, Emanuela BONACORSI, Rosaria CONTESTABILE, Federica D’ALESSIO, Riccardo DURANTI, Luca FUSARI, Daniele A. GEWURZ, Giuseppe IACOBACI, Eva KAMPMANN, Chiara MARMUGI, Anna MIONI, Daniele PETRUCCIOLI, Laura PRANDINO, Anna RUSCONI, Lisa SCARPA, Denise SILVESTRI, Andrea SIROTTI, Paola VALLERGA, Isabella ZANI.
“Traduttore, traditore, recita un vecchio adagio”.
Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte.
Dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno.
Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio.

Anticipo qui alcune domande di Gaja Cenciarelli, estrapolate dal pezzo che potrete leggere di seguito:
- Chi scrive, vive con maggiore insofferenza la traduzione?
- Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore?
- Quanti «libri inutili» si traducono?
- Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla?
- Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»?
- E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»?

Gaja Cenciarielli mi aiuterà ad animare e a moderare questo post.
Ospite speciale sarà Katharina Schmidt, traduttrice tedesca (dall’italiano) di opere di autori noti tra cui Niccolò Ammaniti e Roberto Mistretta (spero che Katharina riesca a intervenire nonostante i numerosi impegni per darci la sua testimonianza dalla Germania). In fondo al post potrete leggere la prefazione del libro “Il mestiere di riflettere”, firmata dalla curatrice.

Massimo Maugeri

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Luciano Bianciardi su Bruno Tasso: «Tradurre è un mestiere micidiale».
di Gaja Cenciarelli

«Vedi, forse tu non sai chi fosse Bruno Tasso. Era un mio amico, faceva lo stesso mio mestiere, il traduttore, e si ammazzò poco tempo dopo l’uscita de La vita agra».
«Perché?»
«Qualcuno dice che si ammazzò perché era alcolizzato o perché non andava d’accordo con la moglie o perché Garzanti l’aveva licenziato, ma non basta questo a spiegare le cose. La ragione vera è che faceva quel mestiere e ne era ossessionato fino al punto di decidere di farla finita. Perché, vedi, non tutti se ne rendono conto, ma tradurre è un mestiere micidiale che ti costringe ore e ore attaccato alla macchina da scrivere a cercare parole che poi tu presti ad altri. E spesso sono parole prestate a persone e a libri inutili e questo a poco a poco logora e uccide».
Questo stralcio di intervista a Luciano Bianciardi è andato in onda all’interno della puntata di Blob di venerdì 31 agosto 2007.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere, se non che quando ho visto questo filmato ho sentito il classico nodo in gola e nessuna voglia di parlare. Credo che la verità, talvolta, tolga le parole.
Dopo aver seguito questa intervista con un’emozione difficilmente descrivibile mi sono posta una serie di domande. Fermo restando che non si sta parlando di lavori usuranti, di scavi in miniera, di mestieri – me ne vengono in mente un centinaio – davanti ai quali sono la prima a chinarmi e a soffocare qualsiasi lamentela, vorrei lanciare una provocazione (ammesso che lo sia), stimolata dalle parole del grande scrittore/traduttore.
«Persone e libri inutili» dice Bianciardi. È forse questo il motivo della frustrazione e del senso di alienazione che talvolta caratterizzano la mia professione? O è il fatto di lavorare continuamente con le parole degli altri? Bianciardi era anche uno scrittore. La mia domanda – provocatoria quanto volete, ma per me necessaria – è: chi scrive vive con maggiore insofferenza la traduzione o no? Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore? Quanti «libri inutili» si traducono? Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla? Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»? E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»? Mi pare che ai traduttori l’editoria riservi solo una serie di alfa privative.

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Il mestiere di riflettere- Storie di traduttori e traduzioni (Azimut, 2008)

Prefazione

c’era una volta una traduttrice

Qualche anno fa, un po’ per celia e un po’ per non morire, mi sono inventata traduttrice di narrativa. Dopo un rosario di mancate risposte, porte sbattute in faccia, ladrocini di vario tipo, voli d’entusiasmo e crolli di frustrazione, sono riuscita a ottenere il primo romanzo, poi il secondo, poi il terzo, e poi… Quando dici che fai la traduttrice (o il traduttore) diventi di colpo una specie di fenomeno da baraccone. Bene che vada ti piomba addosso una grandine di domande. E ogni volta, anche se dovresti averci fatto il callo, ti sorprendi a sorprenderti di quanto poco gli altri sappiano di questa professione poco considerata, vagamente snobbata e spesso bistrattata.

ma ho dovuto ammazzarla

Dei traduttori non si sa niente, o non si sa abbastanza. Così, alcuni mesi fa, un po’ per celia e un po’ per non morire, mi sono inventata anche curatrice. Ho abbozzato un progetto, ho contattato amiche e amici, colleghe e colleghi, e poi…
Questa raccolta nasce dall’esigenza di raccontare la traduzione, di svelare cosa succede davvero quando si trascorrono giorni, settimane, mesi davanti a un monitor, sfogliando dizionari, riempiendo taccuini, frugando nella memoria, scavandosi dentro, con il solo obiettivo di portare a termine un lavoro, un lavoro che consiste nel riflettere e rimandare, in bellezza e in fedeltà, un lavoro che è un piccolo miracolo durante il quale un libro diventa altro pur restando se stesso. Qui, per una volta, gli autori sono i traduttori.

solo che poi è risorta

Curare questa antologia è stato un piacere e un onore, ma non solo. Attraverso questa esperienza, ho imparato che non ci si inventa traduttori: traduttori si nasce. Poi, un giorno, la vocazione -che magari è rimasta a lungo quieta e silente- si palesa, e reclama e pretende.

Chiara Manfrinato
curatrice per caso e traduttrice per necessità


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Scritto martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:32 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

973 commenti a “IL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI (laboratorio di traduzioni)”

Credo che questo sia un post davvero interessante.
Così come credo (davvero) che il ruolo dei traduttori sia fondamentale.
Ogni volta che leggete l’opera di un autore straniero in lingua italiana, lui (il traduttore) è lì…
Non dimenticatelo!

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:37 da Massimo Maugeri


Affida la co-moderazione del post all’amica Gaja Cenciarelli (scrittrice e traduttrice).
Riporto, di seguito, le domande che ho già evidenziato sul post…

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:39 da Massimo Maugeri


- Chi scrive, vive con maggiore insofferenza la traduzione?
- Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore?
- Quanti «libri inutili» si traducono?
- Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla?
- Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»?
- E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:40 da Massimo Maugeri


Qui si apre una discussione che mi sta molto, ma molto a cuore.
È che quando c’è il cuore di mezzo si rischia, per l’appunto, di essere anche confusi e di lasciarsi trascinare. Ecco, spero di evitarlo.
Anche se, si sa, la passione è passione. Quando si ama qualcosa non si può mai essere completamente distaccati.
Grazie, Massimo, per aver aperto questo spazio alla traduzione letteraria.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:41 da gaja


Tutti i co-autori del libro “Il mestiere di riflettere” sono invitati a partecipare al dibattito per:
- dire la loro sull’argomento generale del post
- raccontare l’esperienza della co-scrittura di questo libro.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:42 da Massimo Maugeri


Grazie a te, cara Gaja, per la tua disponibilità.
Come ho già detto… sarà un post molto interessante.
Ne sono certo! :-) )

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:43 da Massimo Maugeri


Una prima domanda te la pongo io, cara Gaja.
La situazione dei traduttori all’estero è paragonabile a quella dei traduttori in Italia?
Che notizie hai, in merito?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:47 da Massimo Maugeri


No, non è paragonabile a quella che abbiamo in Italia. Basta affacciarsi in Spagna per rendersi conto che le tariffe lì sono altre. Credo che all’estero ci si possa mantenere di traduzione letteraria, e non sopravvivere, come in Italia. Per non parlare della condizione di (semi)oscurità in cui viviamo noi traduttori. Il paradosso è che quando un libro è scritto bene si dice “ma che bravo, questo autore, che stile, che eleganza”. Quando invece è scritto male si parla di traduzione sciatta. È vero, capita di leggere traduzioni sciatte, ma il traduttore non può *migliorare* i testi se la materia prima non esiste…

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:53 da gaja


Perchè in Italia è così complicato diventare traduttori letterari? O, per meglio dire, trovare lavoro come traduttori letterari?
Perchè il mezzo più comune sembra essere il passaparola o, più in generale, il conoscere qualcuno?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:59 da traduttrice tecnica


Grazie mille, cara Gaja. Spero di riuscire a far partecipare al dibattito traduttori stranieri (che traducono dall’italiano).
Sarebbe interessantissimo fare un confronto.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:13 da Massimo Maugeri


@ Traduttrice tecnica
Cara traduttrice tecnica, tu lanci un’altra questione che però – temo – è valida per qualunque professione o mestiere.
Per cui, in generale, forse, potremmo dire: perché in Italia è così complicato… ?
Volendo essere ottimista, però, mi viene da aggiungere che alla lunga la qualità del proprio lavoro… premia.
O no?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:15 da Massimo Maugeri


Adesso vi devo lasciare… auguro a tutti buon pomeriggio.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:16 da Massimo Maugeri


@Traduttrice tecnica: ci sono corsi, e ci sono i passaparola. In definitiva, poi, chi riesce a diventare traduttore/rice letterario/a e a farsi largo in questa professione (in questa opera di artigianato, direi) è (quasi sempre) una persona il cui talento va al di là dei passaparola e delle “segnalazioni”.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:19 da gaja


la prima cosa che mi viene in mente è che un buon traduttore può determinare la fortuna di un libro, così come un buon doppiatore può aiutare un film. quest’ultimo deve essere attore, in qualche modo. e il traduttore deve essere “scrittore”, anche se magari non pubblica. diciamo che comunque deve avere quell’impostazione…..o no?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:19 da enrico gregori


sì, enrico: un buon traduttore è anche autore del libro che traduce. perché tradurre non significa “solo” trovare “la parola giusta”, ma assorbire lo spirito con cui lo scrittore ha scritto (perdonate la ripetizione), metabolizzare il suo stile, elaborarlo in italiano, trovare dei corrispettivi validi quando la nostra lingua non ha la possibilità di codificare certi termini che si incontrano nella lingua d’origine. il traduttore è *a tutti gli effetti* un autore.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:25 da gaja


Caro Massimo,
grazie per la tua risposta, anche se non sono propriamente d’accordo. Parlo ovviamente della mia esperienza personale. Non penso infatti che in Italia per trovare lavoro sia necessario conoscere qualcuno. Da anni lavoro come traduttrice tecnica e non sono mai stata presentata da nessuno: è sempre bastato presentare il mio CV ed effettuare dei test.
Non riesco però ad introdurmi nel mondo della traduzione letteraria, nonostante il tipo di formazione da me perseguito. Rimango poi di stucco quando su Biblit si consiglia, in risposta alla domanda “Come si diventa traduttori letterari?”: “Frequentare un buon corso di formazione/specializzazione (…) oltre a essere una valida palestra per quanto riguarda la traduzione in sé, un corso spesso offre l’occasione di entrare in contatto con persone addentro al mondo editoriale. Per molti traduttori le prime collaborazioni sono nate proprio in questo modo”, “Frequentare convegni, saloni del libro, fiere, mostre, insomma farsi vedere e conoscere in tutti quei posti in cui c’è un’alta concentrazione di editori e addetti ai lavori.”, “La maggioranza dei traduttori iscritti a Biblit ha iniziato la propria carriera grazie ai contatti e non all’invio di un curriculum. ”
Insomma la mia esperienza e quella altrui mi fanno capire che sia veramente difficile entrare in questo mondo grazie solo alle proprie capacità.
E poi – solito discorso – se nessuno ti offre una possibilità, come si fa a dimostrare la qualità del proprio lavoro?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:30 da traduttrice tecnica


Grazia anche a te Gaja per la tua risposta, l’ho letta solo dopo aver pubblicato il mio post…

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:31 da traduttrice tecnica


avrei una domanda per gaja: esistono autori più difficili da tradurre piuttosto che altri? mi riferisco a ipotesi di linguaggio, ovviamente. però se hai anche qualche esempio non sarebbe male

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:33 da enrico gregori


Il traduttore è l’anello senza cui una collana si sfilaccia, una presenza nascosta e discreta, ma che dona linfa vitale a uno scritto. Quanto debba essere fedele, nessuno può dirlo. Come in amore, non credo che esista una regola. Certo, l’importante è non tradire mai, per nessuna ragione al mondo, lo spirito dell’autore della versione originale. Stella mattutina

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:40 da elena Orlando


@traduttrice: quello che consiglia Biblit è sacrosanto. Ti dico la mia esperienza: io lavoro a vario titolo nell’editoria dal 1996. Non sono nata come traduttrice, ho amato questo lavoro tardi, come next best thing dopo la scrittura. Ma, credimi, non è stato semplice nemmeno per me iniziare a tradurre.

@enrico: sì, secondo me esistono autori più difficili di altri. fermo restando che chiunque traduca con spirito di abnegazione (ed è proprio il caso di parlare di abnegazione in questo caso) si rende conto che farlo non è *mai* un compito semplice. posso portare degli esempi che mi riguardano: per me sono stati veramente ardui “Il prezzo della bellezza”, di John Bemrose; e “Hangover Square”, di Patrick Hamilton (splendido autore dimenticato, dalle cui opere sono stati tratti i film “Angoscia” con Ingrid Bergman e Charles Boyer; e “Nodo alla gola”). ovviamente la soddisfazione è stata tripla. Li considero il mio fiore all’occhiello (entrambi editi da E/O). ma qui qualsiasi traduttrice/traduttore potrebbe dire la sua, come e meglio di me.

@elena: sottoscrivo tutto.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 16:58 da gaja


E’ un lavoro importantissimo quello del traduttore. In campo letterario non si tratta di trascrivere, per esempio, le istruzioni d’uso di un prodotto dall’inglese all’italiano, ma di rendere un romanzo accessibile al lettore conservandone lo spirito. Quindi mi sembra che non sia sufficiente solo essere padroni delle due lingue, ma ritengo indispensabile anche che il traduttore sia all’unisono con l’autore. Posso immaginare infatti le difficoltà di rendere intelleggibili in italiano dei periodi che sono tipici di un’altra lingua. La cosa poi è ancora più complessa quando l’oggetto della trasposizione in italiano è una poesia, magari un sonetto, che ben difficilmente nella nostra lingua risulterà di endecasillabi e quasi certamente privo di rime. Ne so qualche cosa per aver tradotto, in passato, alcune liriche di Hesse e di Rilke.
Quindi mi sembra acclarato che la traduzione di un testo letterario costituisce un lavoro del tutto particolare e come tale dovrebbe essere adeguatamente retribuito.
Ricordo le lamentele in proposito di Bianciardi, del resto espresse anche nella Vita agra. Sì, è un lavoro oscuro, spesso di poca soddisfazione, ma se fatto come si deve può contribuire in misura determinante al successo di un’opera sul nostro mercato.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 17:24 da Renzo Montagnoli


Il traduttore è anch’esso scrittore, anche se non pubblica, ed è fondamentale per la buona resa del libro. Quando Stephen King per un periodo cambiò traduttore (decisione del traduttore Tullio Dobner, mi pare, che voleva sentirsi più libero e svincolarsi dall’etichetta di ‘traduttore di King’), i libri non erano più gli stessi.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 17:26 da Morena Fanti


Sono assolutamente affascinata dal mestiere del traduttore. Non riesco a concepire lo sforzo di trasformare parole, ma soprattutto emozioni, da una lingua all’altra, ottenendo risultati buoni, spesso, spessissimo eccelsi, alle volte migliori dell’opera originale. Non parlo per esperienza diretta, ovviamente. Ma pur avendo una conoscenza della lingua inglese più o meno decente, preferisco leggere un libro tradotto. Perché ho scoperto che capire fino in fondo le implicazioni linguistiche, storiche e letterarie di parole e frasi in una lingua diversa è difficilissimo se non si è trascorsa la vita a studiare quella lingua. Come ha fatto la nostra Gaja. Per chi è interessato, consiglio un berllissimo saggio sulla traduzione dei libri di Harry Potter. “Lucchetti babbani e medaglioni magici” di Ilaria Ekaterinov, edizioni Camelopardus. Ho scoperto cose che non avrei mai immaginato, pur avendo letto l’intera saga più e più volte.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 17:41 da Laura Costantini


@Renzo: non solo. Bisogna anche essere “padroni” della cultura che si parla nella lingua che si traduce e di un ottimo italiano (il che non è così scontato).
Quel filmato di Bianciardi è stato come puntare il dito su un livido, per me. Quando l’ho ascoltato mi sono sentita compresa.
Che il traduttore contribuisca al successo di un libro è certo. Che i lettori, gli addetti ai lavori, chiunque giri attorno al mondo della carta stampata lo sappiano è – purtroppo – meno, molto meno scontato.

@Morena: Assolutamente. Tullio Dobner ha scritto un paio di romanzi, infatti. Ma Stephen King in Italia È *lui*!

@Laura: È esattamente quello che intendevo rispondendo a Renzo: “Perché ho scoperto che capire fino in fondo le implicazioni linguistiche, storiche e letterarie di parole e frasi in una lingua diversa è difficilissimo”. È così, è questo uno dei nodi cruciali. E non serve – o non basta – una laurea in lingue (malgrado io sia laureata in lingue, per l’appunto). Ci vuole sensibilità, c’è quel *quid* in più che è il talento proprio del traduttore. L’attenzione per le parole, per la musicalità e la ricchezza dello stile (quando ci sono), il lavoro certosino, la precisione. Grazie, Lauretta, anche per il consiglio di lettura.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 17:56 da gaja


buona sera a tutti e grazie a Massimo di avermi invitato e presentato a questo round.
@gaja: si, penso che specialmente nei paesi scandinavi non solo le tariffe sono più alte, il traduttore viene anche apprezzato e valutato in un’altro modo. Qualche tempo fa hanno addiritura scioperato per un aumento – e con successo. In Germania una non piccola parte dei miei colleghi svolge un secondo lavoro, ci sono le borse di studio, i premi. Ma le nostre tariffe superano nella media queste italiane – e vengono pagate più o meno dopo la consegna non alle pubblicazione del libro.
@ traduttrice tecnica: credo che sià abbastanza difficile ovunque entrare nel campo della traduzione letteraria, cioè procurarsi il primo lavoro – ed anche i prossimi. Per la maggior parte rimarrà più o meno così. Ma non va solo a conoscenze, hai sempre la possibilità di proporre libri da tradurre, offrirti a scrivere giudizi (o si chiamano schede?), almeno da noi si fa così

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 18:20 da Katharina Schmidt


@katharina: ecco, appunto. come volevasi dimostrare. lo immaginavo (e lo sapevo, e il tuo intervento me lo ha confermato). non senza un bel po’ di tristezza e di rabbia.
più che altro i traduttori sono “quelli che possono anche non essere pagati”. o “pagati la metà” (nel caso un editore fallisca, e la metà è già tanto – a me è capitato). vorrei vedere se gli editori rifiutassero di pagare i tipografi…

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 18:23 da gaja


Ciao Katharina, mai avrei immaginato di trovarti qui. Ne approfitto per porti una domanda: come fa un tedesco ad avere una padronanza tale della lingua italiana (molto meglio di Biscardi) tanto da riuscire a curare la traduzione di un romanzo nelle sue sfumature, i gerghi, le variazioni regionali? Penso alla traduzione di Camilleri o di Mistretta con i loro testi infarciti di sicilianismi o neologismi veri e propri.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 18:38 da Salvo zappulla


Katharina mi ha confermato quello che già immaginavo, e cioè che da noi chi più lavora meno prende. Questo vale per i traduttori, ma anche per gli autori. Mi sembra già di sentire il grido di dolore di Sergio Sozi.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 19:01 da Renzo Montagnoli


Ciao a tutti,
siccome vedo che per ora non c’è nessuno dei miei colleghi autori del “Mestiere di riflettere” mi sento in dovere di intervenire brevemente, anche se poi dovrò lasciarvi subito.
Io subisco quotidianamente uno sdoppiamento perché sono sia traduttrice sia redattrice editoriale (soprattutto revisora) e sono fra coloro che su Biblit consigliano di frequentare i corsi o di farsi notare con proposte editoriali. Riguardo ai corsi, ne ho frequentati un paio e se si riesce a trovarne uno più pratico che teorico diventa un buon modo per misurarsi in piccolo con i ritmi del traduttore. Ricordo che a uno di quelli frequentati qualche anno fa molti compagni di corso non riuscivano nemmeno a consegnare le prove settimanali. Così avevano iniziato a capire che forse mancava loro quel “qualcosa” che serve per fare il traduttore. Chiamatelo talento, passione, sensibilità, pazzia, come preferite, ma per fare il traduttore devi averne almeno un pizzico.
E sulla questione che devi per forza conoscere qualcuno io sono la prova vivente che non è sempre vero. Dopo un corso fse di editoria (dove avevano però contatti miseri), uno stage in un’agenzia letteraria (ottenuto telefonando direttamente io, con la mia faccia tosta) e una bella raccolta di nomi giusti cui mandare il cv (racimolati di nuovo con ricerche e faccia tosta) ho lavorato a lungo prima come lettrice e redattrice e solo dopo mi sono arrivate le prime prove di traduzione. Tutti vogliono fare i traduttori editoriali: con i bravi professionisti che ci sono già perché le case editrici dovrebbero darti una chance senza sapere quali doti di scrittura hai? Se dovessero dare subito retta a tutti invece di pubblicare libri dovrebbero passare la giornata a far fare prove di traduzione.
Scusate la franchezza, è troppo facile parlare sempre di raccomandazioni.
Resto collegata ancora per un pochino nel caso aveste qualche domanda.
Denise

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 19:18 da Denise Silvestri


@salvo, ciao, cerco di rispondere, quasi dal vivo, perché sto traducendo il quarto romanzo di Roberto, così parlo un po’ dalla mia esperienza lavorativa. Tento di infilarmi, quasi immedesimarmi in un mondo, in una cultura completamente diverso, leggo, guardo film, fotografie, per il primo libro ho domandato a Roberto di mandarmi depliant, testi, immagini sulla sua zona per farmi un idea dell’ambiente e della lingua, del dialetto. Dopo un certo punto è anche una cosa istintiva, ma per risolvere i dubbi e/o le lacune ci sono due valide possibilità: i mailinglist dei traduttori italiani – grazie biblitani! – e tedeschi, dove si svolge uno scambio molto utile e domandare l’autore. Per rendere poi il siciliano in una traduzione tedesca, mai poi mai si deve ricorrere a un dialetto tedesco come p.e. il bavarese, darebbe un concetto del tutto preciso come sbagliato al lettore tedesco. Allora si trova una strada fra l’uso di qualche parola/frase originale, che si spiega da se o viene indirettamente spiegato nel testo, un linguaggio più colloquiale che non diventa troppo regionale. Per i neologismi ci vuole molta forza inventiva, magari si fa con due parole o una combinata, con una breve frase, dipende molto, è importante il senso e che non appesantire il testo. Ma ci saranno tante altre possibilità. Cosa dicono i colleghi/le colleghe? Muí scuso in anticipo per la lunga risposta …

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 19:40 da Katharina Schmidt


Vi ringrazio tutti per questi primi commenti.
Un grazie speciale a Katharina per essere intervenuta e averci raccontato la sua esperienza dalla Germania.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:01 da Massimo Maugeri


“Chiamatelo talento, passione, sensibilità, pazzia, come preferite, ma per fare il traduttore devi averne almeno un pizzico.”

È precisamente quello che intendevo dire nei miei interventi precedenti. Concordo con Denise.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:03 da gaja


@ Traduttrice tecnica
Grazie per la tua replica, cara traduttrice. Ma io non sostengo mica che (ti cito) “in Italia per trovare lavoro sia necessario conoscere qualcuno”.
Ho semplicemente replicato alle tue domande: “Perchè in Italia è così complicato diventare traduttori letterari? (…) Perchè il mezzo più comune sembra essere il passaparola o, più in generale, il conoscere qualcuno?”
Secondo me il discorso della “conoscenza” – purtroppo – vale in tutti i campi e in tutti gli angoli del pianeta terra. Credo sia normale… ma non necessario.
Come ho scritto in chiusura di commento, infatti, sostengo che “alla lunga la qualità del proprio lavoro… premia”.
E anche io ti parlo alla luce della mia esperienza.
Dunque mi pare che, tutto sommato, siamo d’accordo.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:08 da Massimo Maugeri


@ Katharina
Grazie per il tuo nuovo intervento.
È bellissimo scoprire come una traduttrice tedesca si cimenti a rendere nella propria lingua un romanzo (nella fattispecie il nuovo di Roberto Mistretta) infarcito di espressioni in dialetto siciliano. :)

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:11 da Massimo Maugeri


Cara Denise,
grazie per il tuo intervento. Credo che i tuoi colleghi non siano ancora intervenuti perché magari impegnati negli ultimi acquisti natalizi.
Comunque c’è tempo. Questo sarà un post… lungo (nel senso che auspico che la discussione possa evolversi anche durante le festività).

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:15 da Massimo Maugeri


E poi ci tengo a ringraziare ulteriormente Gaja per il preziosissimo supporto (grazie mille, Gaja).

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:16 da Massimo Maugeri


È un piacere, Massimo. E sono io che ringrazio te.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:23 da gaja


No, no… cara Gaja. Insisto.
Sono io che ringrazio te. Moltissimo!!!
E non provare a contraddirmi, che qui sono particolarmente di casa.
:)

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:25 da Massimo Maugeri


Prima di chiudere auguro buona serata a tutti. Un saluto particolare per gli intervenuti che non ho citato nei precedenti commenti: Enrico Gregori, Elena Orlando, Renzo Montagnoli, Morena Fanti, Laura Costantini, Salvo Zappulla.
Grazie per i vostri interventi, cari amici.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:28 da Massimo Maugeri


Messaggio ricevuto, capo. Sto zitta, chino il capo, e mi assoggetto alla sua volontà! :-D
bàcioti & adòroti!

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:31 da gaja


sì, vabbè: “capo”, “capo”.
in una traduzione una ripetizione del genere mi avrebbe fatto tremare le vene dei polsi!

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:32 da gaja


Io mando avanti questo, con grande fatica:
VERSIONE ITALIANA DEL BLOG GENERACIÓN Y di YOANI SÁNCHEZ
http://desdecuba.com/generaciony_it/
PER SCOPRIRE Yoani Sánchez, eroica blogger cubana.
Tutti i giornali parlando di lei, ma nessuno ricorda mai il traduttore.
Solo Repubblica mi ha citato e ha usato le mie traduzioni.
Altri le prendono, le copiano e nemmeno dicono grazie.
Oltre a questo, traduco Alejandro Torreguitart Ruiz, ma qui va meglio, pure se poi la gente – come giusto – cerca lui. Ho tradotto anche Heberto Padilla, ma solo per passione, perchè in Italia è inedito.

Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:27 da Gordiano Lupi


FUERA DEL JUEGO
A Yannis Ritzos, en una cárcel de Grecia.

¡Al poeta, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.
No entra en el juego.
No se entusiasma.
No pone en claro su mensaje.
No repara siquiera en los milagros.
Se pasa el día entero cavilando.
Encuentra siempre algo que objetar.

¡A ese tipo, despídanlo!
Echen a un lado al aguafiestas,
a ese malhumorado
del verano,
con gafas negras
bajo el sol que nace.
Siempre
le sedujeron las andanzas
y las bellas catástrofes
del tiempo sin Historia.
Es
incluso
anticuado.
Sólo le gusta el viejo Armstrong.

Tararea, a lo sumo,
una canción de Pete Seeger.
Canta,
entre dientes,
La Guantanamera.
Pero no hay
quien lo haga abrir la boca,
pero no hay
quien lo haga sonreír
cada vez que comienza el espectáculo
y brincan
los payasos por la escena;
cuando las cacatúas
confunden el amor con el terror
y está crujiendo el escenario
y truenan los metales
y los cueros
y todo el mundo salta,
se inclina,
retrocede,
sonríe,
abre la boca
“pues sí,
claro que sí,
por supuesto que sí…”
y bailan todos bien,
bailan bonito,
como les piden que sea el baile.
¡A ese tipo, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.

FUORI DEL GIOCO
A Yannis Ritzos, in un carcere della Grecia.

Al poeta, congedalo!
Lui qui non ha niente da fare.
Non entra nel gioco.
Non si entusiasma.
Non mette in chiaro il suo messaggio.
Non si accorge neanche dei miracoli.
Trascorre l’intera giornata cavillando.
Trova sempre qualcosa da obiettare.

A questo tipo, congedalo!
Si metta da parte il guastafeste
a questo imbronciato
dell’estate,
con gli occhiali neri
sotto il sole che nasce.
Sempre
lo sedussero le avventure
e le belle catastrofi
del tempo
senza Storia.
È
perfino
antiquato.
Soltanto gli piace il vecchio Armstrong.

Canticchia, al massimo,
una canzone di Pete Seeger.
Canta
tra i denti
La Guantanamera.
Però non c’è
chi gli faccia aprire la bocca
però non c’è
chi lo faccia sorridere
ogni volta che comincia lo spettacolo
e balzano
i pagliacci sulla scena;
quando le befane
confondono l’amore con il terrore
e sta scricchiolando il palcoscenico
e tuonano i metalli
e le pelli
e tutti saltano,
si china,
indietreggia,
sorride,
apre la bocca
“ebbene sì,
chiaro che sì,
certo che sì…”
e ballano tutti bene,
ballano in modo gradevole
quando gli chiedono come trova il ballo.
A questo tipo, congedalo!
Lui qui non ha niente da fare.

(Traduzione di Gordiano Lupi)

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:28 da Gordiano Lupi


Dietro ad una traduzione c’è qualcosa di più che si lega responsabilmente a chi traduce: parlo del SENSO esatto della pagina da leggere.
I traduttori lo sanno che spesso è davvero difficile tradurre quello che loro (per vastità culturale) capiscono al volo e darlo al lettori in una versione tale da non tradire lo scrittore! Insomma questo mestiere include un cervello planetario che oltrepassa i singoli linguaggi e lavora per l’unificazione del valore universale della pagina scritta. Tutti devono intendere la stessa cosa, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno…
Se penso alla bellezza dei romanzi russi, alla loro poesia, devo davvero ringraziare l’autore ma anche chi lo ha supportato!!!
BUON NATALE A TUTTI! Questo è facile tradurre.
Ciao
Rossella

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:40 da Rossella


Renzo Montagnoli mi dice:
”Katharina mi ha confermato quello che già immaginavo, e cioè che da noi chi più lavora meno prende. Questo vale per i traduttori, ma anche per gli autori. Mi sembra già di sentire il grido di dolore di Sergio Sozi.”
-
Ed io lo accontento, che’ mi viene facilmente: aaaaaaaah! Mica dico cose campate in aria, gente! Qui in Italia bisogna iniziare a far allargare ”i cordoni della borsa” agli editori, altro che.
-
Egr. Sig.ra Schmidt,
vorrebbe esser tanto cortese da confermare il fatto che anche gli autori, oltre ai traduttori, in Germania vengono pagati abbastanza bene – anche se non stanno in Paradiso neanche loro?
Grazie Mille e Tanti Auguri di Cuore di Buon Natale a Lei e alla stupenda Germania da Sergio Sozi

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:55 da Sergio Sozi


Ripeto questa affermazione della sig.ra Schmidt (traduttrice professionista tedesca): LEGGETELE TUTTI E POI VENITEMI A STRINGERE LA MANO PER I MOTIVI CHE SAPPIAMO TUTTI:
-
”In Germania una non piccola parte dei miei colleghi svolge un secondo lavoro, ci sono le borse di studio, i premi. Ma le nostre tariffe superano nella media queste italiane – e vengono pagate più o meno dopo la consegna non alle pubblicazione del libro.”
-
Svegliati, Italia, che e’ ora passata, il sole e’ alto a mezzodi’. Svegliatevi, colleghi.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:59 da Sergio Sozi


@Sergio: ti posso assicurare che in Svezia gli autori sono trattati assai meglio che in Italia. Se uno vale viene pagato, non elemosinato.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 22:12 da Renzo Montagnoli


@ Sergio: e meno male che sei un narratore! Prendi un povero diavolo come me che scrive soprattutto poesie e lì proprio non vedi un centesimo..

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 22:17 da Renzo Montagnoli


Da poco ho preso in mano tre traduzioni del racconto di Stevenson:”Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr. Hyde”. Quella pubblicata da Oscar Classici Mondadori cambia completamente il testo di Stevenson: me ne accorgo perché il testo in inglese é sulla pagina sinistra. Il risultato, in italiano, trovo che sia in uno splendido italiano. Però la versione pubblicata da Garzanti é molto più rispettosa del testo originale. Che dire? Forse, se non si ha la fortuna di poterlo leggere in inglese, la versione di Attilio Brilli può affascinare maggiormente un lettore italiano.
Non saprei davvero cosa scegliere.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 22:38 da roberta


“un buon traduttore è anche autore del libro che traduce. perché tradurre non significa “solo” trovare “la parola giusta”, ma assorbire lo spirito con cui lo scrittore ha scritto (perdonate la ripetizione), metabolizzare il suo stile, elaborarlo in italiano, trovare dei corrispettivi validi quando la nostra lingua non ha la possibilità di codificare certi termini che si incontrano nella lingua d’origine. il traduttore è *a tutti gli effetti* un autore”
.
in queste parole di Gaja trovo il senso di tutto il post.
Per far leggere un libro in una lingua diversa da quella dell’autore è necessario scrivere nuovamente il libro stesso. Bisogna appropriarsi del contesto culturale dell’autore, del suo uso della lingua e della lingua in uso.
Si tratta, secondo la mia percezione, di un processo caratterizzato da una complessità sconvolgente. Eppure, come scrive Eco “si può dire quasi la stessa cosa”, poco di più.
Come è stato detto, non è possibile produrre risultati soddisfacenti se il traduttore non dimostra di “amare” il testo con il quale si confronta.
Al pari di ogni rapporto amoroso, è necessaria una negoziazione. Parimenti il traduttore deve mediare con la propria lingua, con la sua interpretazione del testo, con la traduzione intersemiotica che in certi passaggi appare inevitabile.
Nella traduzione non è ammesso alcun baratto. Ogni prodotto finale è il risultato di un atto di appropriazione del senso originario quale seme generatore.
Il testo finale sarà il frutto di una ri-generazione, una nuova nascita. Tuttavia con esso, ogni volta, si ripeterà anche la nascita del traduttore. Non ho mai assistito a tale evento, ma credo sia assimilabile ad un travaglio, con lo stesso amore e con lo stesso dolore.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 22:53 da eventounico


@Sergio. Katharina, tra gli altri, traduce Camilleri e Ammaniti per i più grossi editori tedeschi, è una signora professionista. Per quanto riguarda gli autori, ti posso assicurare con certezza che i tedeschi pagano con anticipo un acconto sui diritti d’autore e sono molto seri nel dare quello che è dovuto.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:00 da Salvo zappulla


Era sera tarda quando K. arrivò. Il paese era sprofondato nella neve. Il colle non si vedeva, nebbia e tenebre lo circondavano, non il più debole chiarore rivelava il grande castello. K. sostò a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduceva al paese e guardò su nel vuoto apparente.

Era sera tardi quando K. arrivò. Il villaggio era sommerso dalla neve. Non si vedeva nulla della collina del Castello, avvolta com’era dalla nebbia e dall’oscurità, non un barlume di luce che indicasse il grande Castello. K. rimase a lungo sul ponte di legno che conduce dallo stradone al villaggio, a guardare il vuoto apparente.
— Kafka: Incipit de Il Castello nelle traduzioni di Clara Morena (per Garzanti) e di Umberto Gandini (per Feltrinelli).
Come si vede le differenze, anche se non tantissime, ci sono. C’è da dire che la prima traduzione è recente, la seconda di una ventina di anni fa.
Non ho sottomano un’edizione più vecchia, ma sarebbe molto interessante confrontare anche questa. Mi chiedo: oggi si tende a rendere più attuale il linguaggio nelle traduzioni, anche se l’originale è di un secolo fa, o anche più antico? Mi pare di si. Il traduttore in fondo è costretto a “tradire” l’originale, per forza di cose. Ma “modernizzare” è un’operazione legittima? Non sarebbe un pò come rieditare il Manzoni in italiano corrente? Avrebbe senso? Per un italiano certamente no. Ma per un tedesco ad esempio, avrebbe senso una versione dei Promessi Sposi in tedesco odierno? La probabile risposta è che anche la traduzione non può che risentire del momento in cui viene fatta. Oggi nessuno si sognerebbe di ritradurre Shakespeare nell’italiano del ‘500, e del resto le prime traduzioni conosciute sono già molto più tarde.
Tutta questa tiritera per concludere che il traduttore è un interprete dell’autore esattamente come un musicista. Per quanto conosca la lingua, la letteratura e la cultura dell’autore che traduce, è immerso nella cultura del proprio tempo. La traduzione è come l’interpretazione qualcosa di diverso dall’originale, e possiede un valore ed una vita che le sono propri. Vivaldi interpretato da Karajan suona molto diverso da quello eseguito dai “filologi” inglesi Hogwood o Pinnock; ma in fondo anche costoro quanto si discostano dall’originale?Bach era scomparso dai repertori finchè non fu riscoperto e rivalutato da Mozart. Ma era il Bach del buon vecchio Johann Sebastian o quello di Mozart? E qual’è quello che conosciamo noi?
Scusate le molte (troppe) domande, ma in fondo la maggior parte sono retoriche.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:01 da Carlo S.


Rispondo a Eventounico:
mi sembra giusto ciò che scrivi. Ma non sono sicura di essere convinta, se ho capito bene.
Nel caso di Stevenson( che leggo in questi giorni) lo scrittore non é più “lui”. A me non importa conoscere il “nuovo” libro del suo( sebbene insigne) traduttore. Quest’ultimo é pur sempre una sorta di “vampiro” del genio scozzese. Se vuol essere lui uno scrittore, scriva pure: inventi qualcosa. Ma la storia non é sua.
Nel caso di Jekyll e Hyde, posso leggerlo in inglese e ne sono felice.
Ma nel caso di altri libri, chi mi garantisce che non cambia il testo originale?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:05 da roberta


Grazie, Renzo, lo so: pubblico poesie anch’io dal Duemila e purtroppo ‘’sono nei tuoi panni”. Inoltre, se a Roma si piange e ad Atene non si ride, ora che sappiamo che a Stoccolma si crepa di risate non dobbiamo mica esser piu’ contenti di prima, noi di Roma, solo perche’ c’e’ chi sta meglio di chi sta meglio di noi (i Tedeschi, intendo).
-
Solo che ora mi aspetterei qualche affermazione riguardosa anche da parte di persone come Wu Ming Uno che su Letteratitudine mi fece passare la notte in bianco perche’ non capiva come funzionava l’editoria all’estero. E nessuno a dirmi, parlo di qualche mese fa: ”chissa’, forse Sozi ha ragione, verifichiamo all’estero”. Ecco. E’ ora di dirmi ”Sergio, hai ragione, dobbiamo cambiare l’Italia. Noi, non gli altri.”
-
E qui chiudo l’argomento, salutando tutti e scusandomi per il piccolo sfogo liberatorio – ma si sappia chiaramente che in Italia tre quarti dei libri pubblicati corrispondono a pochissimi soldi, quando ci sono, in tasca ai traduttori, e a neanche un centesimo in tasca agli autori. E’ roba europea, questa?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:07 da Sergio Sozi


Sono d’accordo, in linea di massima, con Roberta (intervento qua sopra). Io compro un libro con scritto ”Stevenson” e piu’ Stevenson leggo, meglio e’. Le misure, poi, d’intervento, fra autore e traduttore, cambiano. Ma, ripeto: piu’ Stevenson inglese c’e’ nello ”Stevenson italiano” e meglio e’, purche’ il testo non divenga illeggibile, certo.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:11 da Sergio Sozi


Salvuzzo, che coincidenza! Io con la traduttrice di Camilleri in sloveno ci vivo dal Duemila, dicesi mia moglie Veronika.
Va be’, per restare in argomento ”quattrinesco” solo il tempo di due righe: noi autori e traduttori Italiani siamo i piu’ sfruttati e malpagati dell’Europa economicamente avanzata (Italia: ottavo Paese industrializzato del mondo). Sei d’accordo con quanto ho affermato? Mi pare lapalissiano.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:24 da Sergio Sozi


Spinta da Carlo S., che riporta Kafka, riporto anch’io due traduzioni dal cap I di Jekyll:
“He is not easy to describe. There is something wrong with his appearence; something displeasing, something down-right detestable”.

Brilli (Oscar Classici) traduce: ” Non saprei descrivertelo. Nel suo aspetto c’é qualcosa che non torna, qualcosa di sgradevole, di ignobile addirittura”.

Invece Laura Ferruta( Garzanti):” Non é facile da descrivere. Nel suo aspetto c’é qualcosa di sgradevole, di detestabile addirittura”.

Scusa, ma non é meglio la seconda versione? Non ha la pretesa di scrivere “un altro libro” e infatti NON DEVE farlo.
Stevenson é così “lineare” e così bello. Perché “trasformarlo”?
Non capisco.
Aggiungo (per il riferimento alla musica che é anche molto carino):
é vero: qual é il vero Bach?
Ma non si tratta di interpretazione, nel caso della traduzione.
Le note, comunque, non sono cambiate.
Nelle traduzioni che si discostano dal testo sono proprio le parole ad essere cambiate.
Questa almeno é la mia opinione.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:24 da roberta


P.S. Per Salvo:
appunto, il professionismo, dicevo, va pagato dappertutto, anche in Italia. E’ora, caro.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:27 da Sergio Sozi


”Non e’ facile da descrivere: in quel che di lui mi appare c’e’ qualcosa che non va, qualcosa di spiacevole, qualcosa di… decisamente detestabile.”

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:35 da Sergio Sozi


mi piacerebbe sapere come sono trattati, dal punto di vista delle traduzioni, gli scrittori italiani che pubblicano all’estero. qualcuno ne è informato?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:40 da enrico.gregori


Per Sergio:
non sono un’autrice, né una traduttrice. Purtroppo. Insegno francese in una scuola media. E cerco di trasmettere ai miei alunni un pò di amore per la lettura. Non sempre ci riesco.
I soldi, alla fine, in tutto questo non c’entrano nulla.
Noi( insegnanti) non siamo “professionisti”, ma soltanto “maestri”.
Per voi sarebbe giusto un trattamento sul modello europeo, perché quanto tempo ci si impiega per una traduzione? o per la scrittura di un’opera? E’ impagabile.
Però, grazie lo stesso.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:41 da roberta


Ps: non avevo letto la traduzione del brevissimo bravo di Stevenson: mi sembra perfetta.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 23:52 da roberta


Grazie, Roberta, per il ”bravissimo” e per il ”perfetta”, troppo buona, sei. Sulle paghe italiane: sei sottopagata anche tu, la cultura italiana e’ trattata a cavoli in faccia e a calci nel sedere, tutti: insegnanti, scrittori, articolisti e traduttori. Mi sono stufato, io.
Ciao, cara, Buone Feste e Santo Natale 2008

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:10 da Sergio Sozi


E invece qui ( cap V) trovo che il “tradimento” nei confronti di Stevenson da parte di Brilli produca uno stile incantevole:

” But the room was gay with firelight. In the bottle the acids were long ago resolved; the imperial dye had softened with time, as the colour grows richer in stained windows; and the glow of hot autumn afternoons on hillside vineyards, was ready to be set free and to disperse the fogs of London”.

“La stanza era rallegrata dal guizzo delle fiamme. Entro la bottiglia i fermenti del vino s’erano dissolti da tempo, il colore imperiale aveva assunto un tono più pastoso, come avviene con le vetrate multicolori che acquistano più morbide intensità col tempo, e lo splendore degli assolati meriggi autunnali sui vigneti collinari era in procinto di erompere per disperdere le nebbie di Londra”.

Mi sembra più bella di quella seguente( di Garzanti):
“Ma la stanza era allegra alla luce del fuoco. Nella bottiglia gli acidi si erano disciolti da tempo; il colore imperiale si era attutito ed era diventato più pastoso, come avviene con le vetrate dipinte; e la luce dei caldi pomeriggi autunnali sui vigneti dei colli vicini stava per dilagare e disperdere le nebbie di Londra”.

Quindi quello stesso traduttore che non mi sembrava rispecchiare Stevenson nella breve descrizione di Hyde, in questa descrizione, invece, mi sembra più attento della traduttrice più “fedele” al testo.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:16 da roberta


Hai ragione: siamo sottopagati. Mi sarei stufata anch’io..
Grazie infinite.
Buon Natale e cari auguri anche a te.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:18 da roberta


Enrico,
io so solo come sono stati trattati da Veronika, qui in Slovenia, Marani, Calvino, Camilleri, Tabucchi (ecc. parlo solo di alcuni). Sono stati trattati benissimo, mi pare, visto che e’ appena uscito il quarto romanzo camilleriano di Montalbano e sembra che si venda bene e che molti lo prendano in prestito dalle biblioteche slovene – qui anche le novita’ vanno subito in biblioteca, e lo Stato per questo motivo da’ in risarcimento qualche soldo dei diritti d’autore anche a traduttori ed editori danneggiati dai prestiti bibliotecari.
In genere, comunque, le grandi e/o rinomate, tradizionali case editrici, come Modrijan e Slovenska matica (altre, come Mladinska knjiga, direi comunque ”abbastanza”) sono molto attente alla qualita’ delle traduzioni. La sensibilita’ per le traduzioni, in ogni caso, e’ molto diffusa, soprattutto fra gli intellettuali, che sono in larga parte anche traduttori, oltre che poeti e/o scrittori.
Possiamo esser contenti, noi italiani: Gomorra e’ fra i piu’ venduti e la ”Storia della bruttezza” di Eco tira bene anche se costa… un botto!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:19 da Sergio Sozi


Non conosco il francese. Così, a volte, mi chiedo:”Amo Pennac o Yasmina Melaouah?”
Lauretta Chiarini.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:19 da Lauretta Chiarini


P.S.
Qui in Slovenia la gente non ha peli sulla lingua, quando recensisce una traduzione su qualche giornale o rivista specialistica: ci vuol poco, in un Paese con solo due milioni di abitanti, a far la figura del traduttore dilettante. Dunque molti stanno attenti e studiano. Ovvio. Vengono pagati, no?

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:23 da Sergio Sozi


Roberta,
d’accordo con te sulla bella traduzione di Brilli dell’altro passo citato. A volte introdurre un poco di spirito poetico italiano serve anche a dar vita alle aprole straniere e renderle nostre. Cum grano salis, dicevano i nostri antenati…
Ciao
Sozi

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:30 da Sergio Sozi


Lauretta,
io non conosco Pennac.. ma solo perché prediligo gli scrittori classici.
E’ una mia mancanza.
Posso leggere in francese, ma, come scriveva qualcuno poco fa qui sopra, non posso leggere Cechov in russo. Pazienza. Vorrà dire che avrò una versione degli scrittori russi. Credo che i traduttori siano tutti molto bravi. Ho appena “smentito” una mia opinione sul “tradimento” ai danni dell’adorato Stevenson. Perché mi piacciono talmente tanto entrambe le versioni dei due diversi traduttori che non so quale preferire!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:30 da roberta


Sergio,
perdona se rispondo ancora. Mi appassiona l’argomento.
E’ vero che lo spirito poetico serve anche a dar vita alle parole straniere e a renderle nostre ( ti cito, perché mi piace anche il tuo stile). Nel caso del brano appena citato é verissimo.
Però mi sono capitate( ma non te le riporto qui.., vista l’ora tarda) traduzioni “allucinanti” da “Les Fleurs du Mal”.
Aggiungo: beati, lì in Slovenia…
Ciao

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:43 da roberta


Carissimi
in questi giorni di lieta attesa natalizia ho distribuito ad amici, parenti e a qualche collega illuminato un opera di poesie alla cui traduzione ho partecipato. Ogni volta che consegnvo nelle mani di queste persone il libricino, sentivo che non potevano capire: capire cosa ci stava dietro alla scelta di ogni parola, dietro alla fatica e al coraggio di ogni scelta, dietro alle discussioni con gli altri colleghi per trovare una strada comune sui termini. Ho avuto per qualche istante la tentazione di provare a spiegare, ma realizzando immediatamente che non sarebbe stato possibile, che avrei dovuto tenere una conferenza, invitando magari le colleghe che hanno lavorato con me. E quindi, mi sono trovata davanti a due strade: strappare bruscamente il libricino dalle mani di che coloro ai quali l’avevo appena consegnato e scappare a gambe levate o lasciarlo lì, consapevole che nulla di ciò che lo ha creato avrebbe sfiorato minimamente la mente del ricevente.
Ho accettato passivamente e non senza dolore la seconda strada, quella “normale” ma che angoscia….

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 00:57 da melusina


Cara Roberta,
be’, proseguiamo no? Il mio ”cum gano salis” latino stava per ”attenzione a non dimenticare la RATIO – sia la propria nel senso di intelligere che quella dell’opera, ossia l’ordine che l’autore diede al ”traducendo libro”. Serve equilibrio, nella vita, sempre. Serve capire quando e’ opportuno volare in alto e quando la personalita’ dell’autore richiede una fedelta’ al ”volo a bassa quota”. In piu’, altre prerogative. Ma quelle dette sono per me le principali e ‘’sacre”.
Ciaociao
Sergio

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 01:08 da Sergio Sozi


dimenticavo, Roberta: la cosa ancor piu’ importante di tutte e’ la conoscenza e l’amore per la PROPRIA LINGUA. Questo e’ il dato ‘’sine qua non” si finge e si fanno sciocchezze o robette.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 01:10 da Sergio Sozi


Cara Melusina,
”non ti curar di loro ma guarda e passa” disse il Sommo. E continua a tradurre bene. Ma soprattutto incontrati con i professionisti, che se ne impara sempre qualcosa. Qui in Slovenia i traduttori non sono ricchi, ma si scambiano opinioni e credono molto in quel che fanno – sono professionali e si conoscono tutti, insomma. Fate lo stesso li’ in Italia: incontratevi e state bene insieme.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 01:16 da Sergio Sozi


@Melusina: forse pretendi troppo, perchè già la poesia, benchè donata, ha spesso un gradimento inferiore alla narrativa.

@Sergio: cerco, a volte, di immaginarmi le difficoltà di un traduttore di mettere nella sua lingua testi che non sono scritti in un italiano corretto. Ce ne sono e non pochi, e anche di autori che vendono molto, gente che ai miei tempi, in un compito in classe di italiano, si sarebbe presa un bel cinque.

@a tutti Buon Natale. Oggi ho diversi impegni e non credo che avrò la possibilità di ritornare sul blog; ecco il perchè di questi auguri di prima mattina.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 08:42 da Renzo Montagnoli


Cercherò di rispondere, per quanto possibile, un po’ a tutti i quesiti che sono stati sollevati in questo scampolo di discussione e che non ho potuto seguire in tempo reale.

@Sergio: qui in Italia, che la situazione di autori e traduttori sia più che disperata, è fatto scontato sin dai tempi di Bianciardi. “Tradurre *è* un mestiere micidiale”. Lo è se devi tradurre tre libri contemporaneamente (e davvero DEVI, altrimenti alla fine del mese non ci arrivi: non è che tu possa scegliere se farlo o meno), lo è perché ti impone ritmi disumani e serratissimi – talvolta, lo è perché la maggior parte dei libri non ti lascia niente. Qui in Italia sono anni che Biblit (associato al Sindacato Nazionale Scrittori) e l’SNS stesso si battono per il riconoscimento dei diritti dei traduttori e degli scrittori. Purtroppo, come ripeto, i traduttori sono sempre “quelli che possono aspettare” quando si tratta di pagamenti.
Io ho tradotto alcune decine di libri, e mi sono resa conto – se ce ne fosse bisogno – che ciascun autore ha bisogno di essere *identificato* con il suo stile, se ce l’ha (è non è cosa scontata). Si può volare alti, se è il caso, si può restare a terra, sempre se è il caso. Anzi, si deve.
Per rispondere anche a Roberta (chiedo scusa se sbaglio qualche nome ma, come al solito, sto facendo tre cose insieme): ci sono traduzioni che, inevitabilmente, devono essere “innovate”. L’italiano di cinquant’anni fa non è più quello di adesso. Alcuni capolavori russi, ad esempio, sono scritti in un italiano in cui nessuno scriverebbe più, ora. Ciò non toglie – sia chiaro – nemmeno un grammo di fascino e di limpidezza a quelle versioni.

@Renzo: a me è capitato con un libro scritto in originale in vietnamita, tradotto in inglese, la cui versione però aveva “perso” pezzi interi di storia. Non ci si capiva niente, abbiamo dovuto noi – traduttrice e revisora – riempire le voragini che si aprivano nella trama. Va da sé che è stato un lavoro da impazzire.

@Evento unico: carissimo! sai a cosa paragono spesso il lavoro di traduzione? alla matematica (che, notoriamente, non è un’opinione), o a un “gioco” a incastro, una sorta di puzzle in cui la tessera deve essere quella e solo quella.

@Roberta: te lo dovrebbe garantire il nome del traduttore o della traduttrice. Se tra gli organi di stampa, le riviste culturali, gli addetti ai lavori, i traduttori acquisissero più spazio, più “potere”, se avessero quello che gli spetta – ovvero se fossero NOMINATI e se il loro non fosse il lavoro oscuro e massacrante che è, i lettori – anche coloro che non sono nell’ambiente editoriale – saprebbero scegliersi una buona traduzione. Io, quando acquisto un libro (ne parlavamo ieri con Massimo), guardo sempre come prima cosa il nome del traduttore. Susanna Basso, Riccardo Duranti, Rossella Bernascone – per citarne solo tre – per me sono una garanzia.

abbracci a tutti! e, se non ci riscriviamo, buon Natale (ma credo che ci riscriveremo…) bàciovi! ;) )

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 09:22 da gaja


buongiorno a tutti, prima di lasciarvi per un viaggio natalizio – da noi si festeggia già il 24, ancora alcune osservazioni
@salvo: purtroppo non traduco “il sommo” Camilleri, ma oltre Roberto e Ammaniti autori come de Cataldo, Carlotto, Vichi, di Fulvio e scrittrici come Grazia Verasani e Paola Barbato. Conosco pero la mia splendida collega che ha tradotto la maggioranza dei romanzi con Montalbano e qualche volte ci consultiamo per dubbi nel siciliano …
@sergio: concordo completamente – la conscenza a 360 gradi della propria lingua è fondamentale!
e anche lo scambio con i colleghi – tramite mailinglist come biblit, o laboratori come questo italo-tedesco che da qualche anno organizzano perfettamente i colleghi Marina Pugliano e Andreas Loehrer. Ma anche lo scambio con gli autori.
Allora una domanda agli autori tra voi: Vi piace lo scambio con la persona che traduce vostro libro, come lo vedete, se vi arrivano domande?
allora a tutti buone feste e magari a dopo
Katharina

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 09:41 da Katharina Schmidt


Tra le cose fondamentali (e non l’ho detta io, benché l’abbia scritta qui, all’inizio del thread) c’è l’assoluta, ottima conoscenza dell’italiano (e/o di qualsiasi altra lingua verso cui si traduce), infatti.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 09:49 da gaja


@Katharina. Tranquilla, prima o dopo tradurrai anche me, cosa vuoi che sia Camilleri al confronto.

@Gaja. Sei simpaticissima.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 10:26 da Salvo zappulla


@Salvo: GRAZIE! *____* anche tu!!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 10:48 da gaja


@ sergio:
e allora fai i miei complimenti a veronika. che lei sapesse scrivere me ne ero accorto quando pubblicò qui un racconto. a questo punto mi pare chiaro che la sua esperienza di scrittrice sia essenziale nelle traduzioni che riesce a elaborare.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 11:01 da enrico.gregori


:) Mi inserisco con una comunicazione di servizio e una battuta.

Intanto saluto Gaja, della quale ho intravisto appena delle splendide foto su facebook e che sono felice di poter conoscere meglio qui: ciao Gaja – sono sicuro che ci vedremo presto: sei stata contagiata dal bacillo azimutiano anche tu, eh?
E saluto il grande Massimo (Massi-mo Massi-mo Massi-mo…!)

Ecco, volevo dire che, come per Letteratitudine, questo libro si può ordinare in tutte le librerie d’Italia – dato che siamo distribuiti da PDE-Feltrinelli – oppure, per un contatto più diretto, si possono richedere copie a info@azimutlibri.com. Vi risponderò io stesso.

E poi butto lì una simpatica osservazione che è stata fatta da qualcuno tra il pubblico alla presentazione de “Il mestiere di riflettere” tenutasi presso la Fiera Più Libri Più Liberi:
“Come mai il rapporto numerico traduttori(uomini)/traduttrici(donne) è così sbilanciato? Perchè a tradurre sono quasi sempre donne?”
Una delle traduttrici e autrici del libro ha risposto (più o meno):
“Perchè l’uomo deve portare la pagnotta a casa e mantenere una famiglia…con i guadagni del traduttore come fai?”

Chiedo quindi a Gaja – e a tutti i partecipanti: il “mestiere di riflettere” basta a sostentarsi o è per forza (nel nostro Bel Paese, s’intende) un’attività collaterale al “vero” lavoro, quello che remunera?
E poi: la capacità di tradurre sta davvero nel solo cromosoma X?

Tanti auguri di buone feste a tutti i Letteratitudiani
(su http://www.azimutlibri.splinder.com trovate i nostri auguri musicali – miei e di Guido Farneti)
e continuo a seguire lo svolgimento del discorso…

Ciao!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 11:16 da massimiliano felli


Qualche anno fa, parlando con Ivan Cotroneo (meraviglioso traduttore di “Le ore” di Michael Cunningam), e chiedendogli in che modo avesse dato voce a un libro così complesso e importante, mi sentii rispondere (eravamo in un ristorante a Catania….davanti a un piatto di spaghetti col pesce spada)….che era proprio come avere in bocca quel sapore.
Che dopo averlo goduto con lo sguardo, lo aveva percepito sulla lingua. E poi scendere giù. Nello stomaco. Nel cuore.
Un approfondimento dei sensi tutti. Una digestione e una sintesi. In cui il maggiore sforzo era conservare il sapore originario.
Ecco. Credo che Ivan abbia svelato il difficile equilibrio tra chi deve rispettare e al tempo stesso rivelare. Creare e assecondare.
Tra tutte le arti credo sia quella più alta e più vitale.
Quella, anche, che insegna di più. A stare dentro. E fuori le cose.
E’ questo il mestiere di rifettere. Ciò che dovrebbe precedere anche la scrittura. Quella sospensione perfetta tra volontà e necessità. Tra puro desiderio (follia, innamoramento) e autocontrollo.
Infondo, è anche il mestiere di vivere.
-
Un abbraccio a tutti gli autori del “Mestiere di riflettere”….Bravissimi! E buon Natale!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 11:38 da Simona Lo Iacono


Ciao a tutti, non ho partecipato al libro il mestiere di riflettere ma partecipo volentieri al dibattito. Sono tantissimi i punti sollevati e oggi è vigilia e probabilmente non avrò il tempo di toccarli tutti, ma ci sarà sicuramente un’altra occasione.
Per quanto riguarda l’argomento sollevato da traduttrice tecnica: io penso che tu abbia ragione, nella maggior parte dei casi per diventare traduttore servono le conoscenze. Io ce l’ho fatta senza, come probabilmente anche altri, ma è comunque una questione di fortuna, oltre che di bravura. Per dieci lunghi anni ho provato a mandare curriculum e schede di lettura senza mai la minima considerazione da parte di nessun editore. Poi l’incontro con Guido Farneti di Azimut, i nostri progetti comuni portati avanti con grande passione di entrambi. E ho avuto l’occasione di dimostrare cosa sapevo fare. E anche altri si sono finalmente accorti di me. Non è una strada facile, traduttrice tecnica, ma il mio consiglio è di non demordere se la tua è una passione. Continua a lavorare su testi che ti piacciono, a tenerti in esercizio, ad avere qualcosa di pronto nel caso l’occasione arrivi, per non lasciartela sfuggire. Io ho ancora tanta strada da fare, ma se almeno sono arrivata ad imboccarne una è solo grazie a una certa dose di testardaggine e determinazione.
Riguardo alle interessanti domande poste da Gaja:
- Io scrivo e traduco, e vivo la traduzione come una profonda fonte di arricchimento. Tradurre mi aiuta ad esplorare altri stili, nuove forme espressive, ad usare vocaboli che non sono nel mio bagaglio, io non mi sento affatto costretta. Anche perchè che altra ragione ci sarebbe di tradurre, viste le condizioni penose di questo lavoro, se non il fatto che si ama questo lavoro con tutti noi stessi? Io mi sento spesso tormentata, è vero, quando sento che non sono perfettamente riuscita a rendere un passaggio come merita e quindi passo ore ed ore su un’unica frase, ma la gioia di vederla poi scorrere fluida sotto i miei occhi mi dà una gioia impagabile. Da quando traduco con sistematicità ho conferma che questo è il mio lavoro, l’unica cosa che ho sempre voluto fare. Certo i lati bui della professione non mancano: vorrei anch’io essere pagata di più, con più puntualità, che il mio lavoro fosse più rispettato, e non solo sotto l’aspetto economico. Spesso mi rendo conto che la gente che mi circonda non lo considera un vero lavoro, mi vedono come se mi dedicassi a un passatempo, forse perché lavoro a casa, circondata in fondo dalle incombenze quotidiane. Questo mi fa male, perché nessuno si rende conto in realtà di che lavoro faticoso sia, di che concentrazione richieda. Mi fermo qui per ora, colgo però l’occasione di salutare Katharina, che ho recentemente conosciuto, e tutti quelli che stanno partecipando al dibattito. E visto che è Natale, tanti auguri a tutti!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 11:44 da Laura Angeloni


Caro Sergio,
non pensavo avresti risposto ieri, così je suis partie..
A proposito dell’amore per la propria lingua ricordo che quando ero in Francia, anni fa, e mi piacecva così tanto sentir parlare in francese, avevo incontrato una signora coltissima, di origine ebrea e che aveva tradotto Michelangelo. Il suo italiano mi faceva sentir male, quando parlavamo, tanto ere bello e musicale: mi emozionavo moltissimo.
E’ per questo che, se dovessi leggerlo solo per me, sceglierei sempre e comunque la traduzione di Brilli.
Ho anche comprato tempo fa( nella collana “Scrittori tradotti da scrittori”) BARTLEBY LO SCRIVANO di Melville tradotto da Cesare Pavese. E chi ci avrebbe trasmesso l’amore per Melville, se non lui?
Non ce l’ho qui con me, quel testo, ma non appena torno dalla campagna dove vado a trovare i miei per Natale, cercherò di riportare qualche piccolo brano, se non annoia troppo.
Ciao, cari saluti.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:41 da Anonimo


Ps: non capisco perché figuro come “anonima” poco fa, ma sono io.
Ringrazio anche Gaja per l’attenzione alle mie considerazioni e tutti per la bellissima discussione.
Cari saluti e auguri
Roberta

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:44 da roberta


@Massimiliano: GRAZIE per il complimento. Ehm. Le foto sono tante, ehm… praticamente la mia immagine è ormai inflazionata. Altro che sovraesposizione mediatica! ;) I fotomontaggi sono belli, è vero, anche se non sono opera mia! Certo che ci vedremo presto: Azimut is everywhere! ;)

Dunque: il cromosoma X. è vero, ci sono più traduttrici che traduttori. Francamente non so dare una spiegazione incontrovertibile ma solo avanzare delle ipotesi. Forse, visto che tradurre è un mestiere che si può fare da casa, potrebbe essere più “accessibile” a una donna. (il che mi fa venire in mente, che “Killing the Angel in the House was part of the occupation of the woman writer”, come diceva Virginia Woolf. Ma qui sto divagando, e come al solito, ogni volta che parlo di traduzione salta fuori la scrittura. Eppure potrebbe essere uno spunto di riflessione interessante).

@Laura: Capisco assolutamente tutto quanto tu scrivi e, in parte lo condivido. Lo condividevo di più agli inizi, a dire la verità. Poi ho cominciato a tradurre a ritmi disumani, asfissianti, per mettere insieme quello che alla fine del mese poteva somigliare a una retribuzione di circa mille euro, più o meno. E ho cominciato a provare una sorta di insofferenza, mista ad amore viscerale, nei confronti di questo lavoro e del modo in cui si viene trattati. Amo la traduzione, amo tradurre, quando mi sono capitati quei cinque o sei libri (su decine e decine che ne ho tradotti) che io reputo il mio orgoglio mi sono sentita *davvero* felice, *davvero* completa.
Amo e odio la traduzione letteraria, e credo che questa ambivalenzia sia il segno, il marchio distintivo di tutti i grandi amori, di tutte le grandi passioni. Luciano Bianciardi, Bruno Tasso (splendido traduttore di – se non vado errata – “L’arpa d’erba” di Truman Capote, uno dei più bei libri mai scritti): riconosco e vivo sulla mia pelle quella sofferenza.
Auguroni a te, carissima Laura, di un futuro professionale luminosissimo: lo sarà senz’altro. E un bacio.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:54 da gaja


Roberta, credo che Gaja abbia risposto anche per me.
Devi scusarmi, ma la mia posizione è molto radicale. Nessuno sa veramente cosa l’autore avrebbe detto se avesse scritto il suo testo in un’altra lingua, al suo tempo o nel nostro e quale sarebbe stato l’effetto della suggestione ispiratrice che lo ha portato a scriverlo. Per riuscire a tradurre bisogna provare ad “essere” l’autore.
Sai bene che non esistono traduzioni assolutamente corrette per alcune espressioni idiomatiche.
Devo anche confessarti che ho apprezzato veramente la Repubblica di Platone solo quando l’ho letta in originale (traducendola).
Anche Auster e Kerouac, tanto per fare altri esempi, sono in genere mal tradotti. Su Shakespeare sospendo il giudizio perchè richiederebbe un post specifico.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:55 da eventounico


@Roberta: è stato un vero piacere. Auguri belli!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:55 da gaja


@eventounico: ti scrivo presto. o scrivi tu a me. auguri, intanto.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 12:56 da gaja


@Simona: la traduzione è *sempre* anche metabolizzazione. Qualsiasi atto creativo lo è. Ascoltare (o leggere) una poesia, lo è. Scrivere (in poesia o in prosa) lo è. E lo stesso vale per la traduzione. La metafora del corpo è più che calzante. Un abbraccio e auguri.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 13:43 da gaja


Cari amici vi ringrazio tutti per vostri interventi su questo interessante tema del “mestiere di riflettere”.
Come avrete visto ho appena pubblicato un post natalizio:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/24/i-vostri-natale-2008-e-capodanno-2009/
Ma il dibattito di questo post continuerà nei prossimi giorni.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:34 da Massimo Maugeri


Ringrazio ancora una volta Gaja per l’affettuosa collaborazione (che spero possa continuare anche nei prossimi giorni) e Katharina Schmidt per i suoi interventi “in diretta” dalla Germania.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:36 da Massimo Maugeri


Come è mia abitudine ringrazio, citandoli uno per uno, gli autori dei nuovi commenti: Gordiano Lupi, Rossella, Sergio Sozi, Renzo Montagnoli, Roberta, Eventounico, Salvo Zappulla, Carlo S., Enrico Gregori, Lauretta Chiarini, Melusina, Laura Angeloni, Massimiliano Felli (valente editor di “Azimut”), Simona Lo Iacono e chiunque mi fossi dimenticato di citare.
Grazie mille!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:40 da Massimo Maugeri


Massimo, contaci! ;) * un abbraccio e auguri a tutti.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:41 da gaja


Grazia ancora, Gaja. Un abbraccio e auguri a te.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:43 da Massimo Maugeri


Nei prossimi giorni (in attesa che possano intervenire gli altri autori de “Il mestiere di riflettere”) riprenderò alcuni dei vostri commenti che – a mio avviso – hanno fornito “spunti” meritevoli di approfondimento.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:45 da Massimo Maugeri


Salvo Zappulla mi ha inviato un’intervista che la nostra amica Katharina Schmidt ha rilasciato a Barbara Becheroni (intervista pubblicata sulla rivista “Pentelite”).
La ri-pubblico di seguito, tra i commenti, perché penso che possa fornire ulteriori spunti volti a favorire il dibattito.

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:48 da Massimo Maugeri


INTERVISTA A KATHARINA SCHMIDT
di
Barbara Becheroni
*********
*********
A volte capita di trovarsi in un ambiente magico e di parlare con una persona eccezionale di cose che ami profondamente… È un evento raro, lo so, però è successo proprio a me…
Ero a Torino, al salone internazionale del libro, circondata da libri e da lettori, autori, editori, agenti letterari… In un turbine di parole scritte e dette, di immagini, di visi ho avuto il privilegio di incontrare Katharina Schmidt, che di professione traduce libri. Consideriamola, come i suoi colleghi di tutto il mondo, una benefattrice dell’umanità, perché permette di leggere i libri scritti in un’altra lingua a chi non comprende l’altra lingua.
Una professione quasi biblica: è in grado di dissipare, seppur parzialmente, le nebbie linguistiche seguite all’incidente di Babele… Siamo qui per rendere un piccolo omaggio ai molti traduttori che lavorano lontani dai riflettori del successo me che sono indispensabili a noi lettori…
-
D) Quando si è “accorta” che lo studio linguistico poteva diventare una “scelta di vita”?
R) Non credo che ci sia stato un momento preciso. In parte penso che dipenda dalla mia formazione professionale, cioè gli studi di regia di teatro musicale. Ogni giorno sento che questo “passato” mi offre grandi vantaggi nel lavoro di traduzione. Durante gli studi mi sono interessata molto al rapporto fra musica e parole, tema che ho scelto anche per la mia tesi di laurea. Avevo già tradotto prima, solo per me stessa, dei testi musicali di lirica e anche brani di cantautori che non si trovavano in tedesco. Dopo il corso di regia ho aggiunto studi di linguistica e traduzione, poi ho incominciato a fare qualche traduzione nell’ambito della musica e mi sono accorta che questo sì era un lavoro – e una fatica – che sarebbe potuto diventare il mio ideale. Poi sono arrivata a tradurre libri e oggi sono convinta che la traduzione letteraria fa proprio per me.
-
D) Come mai la lingua italiana è entrata nel suo cuore, tanto da diventare un vero e proprio lavoro?
R) Se ami la musica classica e lirica non puoi fare a meno di amare l’italiano. Mi chiedo se c’entra anche la mia passione per il calcio … Non è certo stato un caso se ho scelto un tema italiano per la mia tesi, perché la cultura italiana da molti anni fa parte della mia vita. Ho viaggiato in Italia, ho vissuto per un periodo lungo a Milano, poi ci sono gli amici … Ma come si può spiegare fino in fondo un amore vero e proprio? Apprezzo e amo molto il tedesco, lingua materna, molto ricca, magari un po’ dura, però capace di esprimere tante sfumature, ma sento che parlando in italiano cambia qualcosa per me, esistono concetti che posso esprimere più facilmente in italiano. E adoro i vari dialetti, con i cui mi devo anche spesso confrontare nelle traduzioni.
-
D) Tradurre: arte o raffinato artigianato?
R) Non saprei! Dipende! Senz’altro ci vuole anche molto artigianato nel senso di mestiere, di esperienza. Con la poesia il discorso cambia … Per me tradurre un libro equivale a trasportarlo, con tutti i concetti culturali sociali e storici e cosi via, in un’altra realtà linguistica e culturale senza perdere lo spirito, il carattere dell’originale, lo stile personale dell’autore… Insomma, una cosa impossibile, ma ci si tenta sempre.
-
D) Come lavora il traduttore?
Non c’è un unico modo, dipende dal testo. In una discussione con colleghi ho scoperto che anche sulla domanda se si dovrebbe leggere l’intero libro prima di cominciare a tradurlo non c’era unanimità. Io leggo sempre prima l’intero testo, se si tratta di una serie possibilmente anche tutti i seguiti. Mi annoto le difficoltà, i problemi da risolvere, ma innanzitutto cerco di cogliere il ritmo del libro per riproporlo nella mia lingua, anche se non sarà mai lo stesso. La mia formazione come regista non è molto ortodossa per una traduttrice ma mi è utile ogni giorno. Percepisco un testo anche come un film: i personaggi, le situazioni… E penso di possedere una forte capacità di rendere queste cose anche oltre la lingua. Lo stesso vale per i dialoghi. E infine è anche una questione di ritmo. E del libro stesso.
In più devi conoscere un sacco di gente di vari ambienti e professioni diverse, perché anche in un romanzo possono venir fuori delle domande più improbabili. Domanda molto diffusa: ma mi puoi dire come si dice, quando uno fa così?
E per il lavoro mi preparo o mi faccio preparare dal mio compagno una “colonna sonora”, di jazz, ma anche musiche etniche, hiphop, reggae, cantautori, dipende …
-
D) Pensa che sia vera la teoria che dice che tradurre equivale a “riscrivere” un testo?
No, decisamente no, se non si tratta di poesia.
-
D) Cambia il lavoro quando si traducono poesie rispetto alla prosa?
Cambia, certo, c’entrano questioni come il ritmo preciso, le rime, le immagini, che naturalmente si trovano anche in altri testi letterari, ma con la poesia, forma molto concentrata, è ancora diverso. Finora ho tradotto poca poesia, maggiormente nell’ambito della musica rinascimentale e medioevale, ma con la lirica il concetto non cambia molto. È la musica che ti dà o ti impone anche la struttura, il ritmo e soprattutto i tempi e lo spazio preciso.
Regole che valgono in parte anche per la traduzione di fumetti.
-
D) Al momento di affrontare un nuovo testo da tradurre, lo “pensa” già in tedesco mentre lo legge la prima volta?
No, la prima volta che lo leggo penso magari già a certe espressioni, frammenti di una frase, ma vedo soprattutto a cogliere il flusso, il ritmo, lo stile, lo sviluppo della trama, la struttura, i personaggi … E mi annoto cosa devo chiarire, quali espressioni, nomi e concetti per i quali devo trovare una soluzione in tedesco. Ma spesso il libro l’ho già letto prima che mi affidano la traduzione, perché scrivo giudizi per varie case editrici e leggo anche moltissimo nel tempo libero.
-
D) A me capita di “pensare” alcune cose in portoghese, la mia seconda lingua, perché mi sembra che rendano meglio il concetto rispetto all’italiano. Capita così anche a lei con l’italiano?
Sì, qualche volta mi prende questa confusione linguistica-culturale, ma non quando traduco. A volte mi consumo il cervello per trovare la traduzione giusta/congeniale di una espressione che nella lingua d’origine è così chiara! Invece per renderla in tedesco devi fare fatica. Faccio un esempio: in un romanzo che ho tradotto era fondamentale che la trama si svolgesse nel giorno di Ferragosto. In Germania non c’è il Ferragosto come lo si intende in Italia: abbiamo le ferie scaglionate, non si parte per le ferie nello stesso giorno, da noi Ferragosto non è un giorno festivo e da noi le città non sono mai deserte… Tutto ciò che in italiano è reso in una sola parola: Ferragosto! Allora o fai una nota – ma è sempre meglio evitarle in un romanzo! – o devi almeno spiegarlo senza appesantire il testo.
-
D) Come si fa a imparare così bene una lingua straniera da diventare traduttori? Quanto amore ci vuole?
Devi prima imparare benissimo la tua madrelingua e curarla con tutte le sue sfumature, i cambiamenti, i gerghi, le variazioni regionali, i registri linguistici e leggere molto. Imparare la padronanza della lingua straniera include anche conoscere la cultura, le realtà sociali, la storia e così via e rimanere sempre aggiornati. Ammiro i colleghi che traducono da due o tre lingue. Ho fatto qualche traduzione dall’inglese ma solo nello stretto ambito musicale e non tradurrei mai un romanzo … Per me funziona meglio con un paese come l’Italia e non con gli Stati Uniti o la Norvegia, ma questo dipende sicuramente da ragioni personali…
-
D) Cosa le dà più fastidio in un testo? A me, per esempio, alcune contaminazioni inutili con l’inglese fanno accapponare la pelle…
Certe espressioni alla moda che usano tutti mi fanno raddrizzare i capelli. Le forme dovute alla traduzione alla lettera da un’altra lingua che dopo vengono usati senza pensarci e suonano ridicolamente storto e fuori luogo …
Poi troppe ridondanze, a meno che siano usate apposta per creare un ritmo, una struttura in un libro, a descrivere un carattere, insomma con uno scopo preciso. Mi spiego meglio con qualche esempio: nel suo nuovo libro “Nelle mani giuste” Giancarlo de Cataldo diverse volte incomincia le frasi di un paragrafo con la stessa parola o un nome, che dà al suo testo un ritmo ben preciso, personale e avvincente. Nel romanzo “Blackout” l’autore Gianluca Morozzi usa il mezzo della ripetizione per sottolineare l’ansia dei suoi protagonisti che sono rimasti chiusi in ascensore e si trovano di fronte a un pazzo violento che è anche un killer.
-
D) Che consigli vuole dare a uno studente che intendere intraprendere la carriera di traduttore?
R) Di lasciar perdere … No, sul serio, intraprendere la “carriera” del traduttore letterario è una scelta molto personale, e dubito poi che si possa parlare di carriera nel senso di business. Esistono dei corsi, anche universitari che possono dare una formazione profonda. Dopo e prima credo che si dovrebbe leggere moltissimo, anche nella madrelingua. E naturalmente dipende dal tipo di traduzioni che si intende di affrontare. Tradurre è per di più un lavoro solitario che uno si gestisce da solo, ci vuole anche una certa capacità di organizzarsi e disciplina. E siccome sei anche un imprenditore che si procura il lavoro da solo, bisogna avere certe capacità. Conosco tanti colleghi che svolgono anche un’altra attività per vivere.
-
D) Crede che sia importante fare di tutto per mantenere vive tutte le lingue attualmente parlate nel mondo piuttosto che vederle livellate da altre (inglese, spagnolo, arabo)?
Sì, se credo in qualcosa è proprio nella varietà culturale, cosa che comprende anche i dialetti!!! Bene, l‘inglese fa comodo a noi come lingua comune anche abbastanza maltrattata da molti, ma perdiamo una parte della propria identità se ci muoviamo solo in un “mainstream linguistico”. Anche in una traduzione non risulta sempre possibile rendere completamente un’espressione dialettale, ma quando traduci un dialetto italiano sostituendolo semplicemente con un dialetto della tua lingua non funziona con i lettori: un siciliano che parla per esempio come un bavarese, per un lettore tedesco non trasmette il concetto del siciliano. Occorre trovare, e qualche volta anche creare, una lingua parlata speciale, un gergo, abbreviazioni colloquiali e spesso fare dei salti mortali …
-
D) Quali autori italiani ha tradotto per gli editori tedeschi?
R) Ho iniziato con testi musicali e nello stesso periodo ho lavorato anche a qualche piccolo brano di Dante, di Petrarca e di autori del ’700 e dell’800. Nell’ambito della letteratura per ragazzi, ho tradotto diversi libri di Domenica Luciani e di Beatrice Masini. Da qualche anno lavoro molto – e molto volentieri – con il genere giallo e noir, con autori come Roberto Mistretta, Gianluca Morozzi, Marco Vichi, Paola Barbato e a breve Grazia Verasani. Tradurre una parte dell’antologia Crimini (Einaudi) è stata una bellissima esperienza, perché ho potuto scegliere i racconti di Massimo Carlotto, Giancarlo de Cataldo e Niccolò Ammaniti, autori che stimo molto, non solo per lo stile ma anche per le loro idee e la scelta di narrare l’Italia di oggi. Al momento sto traducendo Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti, un libro che mi sta davvero a cuore e sento molto vicino.
-
D) Quale di questi le ha dato più emozioni?
R) Ognuno di loro mi ha dato spunti e piaceri diversi, ma comunque appaganti e avvincenti. Finora – e per scaramanzia tocco legno come facciamo in Germania – non mi sono mai trovata davanti a un libro che tradurre sarebbe stata solo una fatica remunerata.
-
D) E quale invece le maggiori difficoltà dal punto di vista linguistico?
R) Alcune difficoltà ci sono state, ma le ho sempre affrontate volentieri e con curiosità, e sono servite a fare un passo avanti nella capacità di tradurre. I romanzi di Roberto Mistretta, ambientati in Sicilia, sono senz’altro una bella sfida. Recentemente ho tradotto il terzo. Tuttavia Roberto è sempre stato disponibile – e continua a esserlo – a chiarire i miei dubbi. Abbiamo già parlato delle possibilità di rendere espressioni dialettali in un’altra lingua senza usare un altro dialetto. Nei suoi libri si trovano spesso frasi in dialetto, proverbi, modi di dire e addirittura parole inventate, che rendono molto bene l’atmosfera della Sicilia e dei suoi personaggi. A volte per trovare soluzioni adatte nella mia lingua dovevo pensarci un po’ su, ma alla fine è anche una bella soddisfazione.
———
Per gentile concessione della rivista Pentelite di Salvo Zappulla

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 14:49 da INTERVISTA A KATHARINA SCHMIDT di Barbara Becheroni


Tradurre deriva da trans- ducere, cioè condurre al di là, portare oltre. Non è bellissimo? Un traduttore è un ponte tra due rive invisibili, quella in cui vive il libro col suo autore e l’altra in cui c’è il lettore che non sa nuotare… Un traduttore è un traghettatore, un Caronte buono…
Fare i ponti non è semplice: credo che occorra umiltà, disciplina, consapevolezza che su di te si passa ma non ci si sofferma…

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 15:48 da Maria Lucia Riccioli


Un traduttore è o dovrebbe essere un specchio. Non deformante ma appunto riflettente. Che poi ha anche il senso di pensare. Il traduttore quindi per poter essere superficie riflettente deve tanto pensare, come si evince dall’intervista di Barbara Bacheroni a Katharina Schmidt…
Scusate queste miei “riflessioni” verbali!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 15:58 da Maria Lucia Riccioli


amo il francese fino allo spasimo e quando posso leggo i romanzi o i saggi francesi in lingua originale.
davanti a un romanzo particolarissimo come “la disparition” di perec mi sono subito chiesta: “mio dio, chi lo ha tradotto nelle altre lingue è un genio quasi quanto lui… chissà se è stato gratificato a dovere…”

un giorno un amico mi chiese di tradurre “amsterdam” di brel per cantarla in italiano.
ci sono quasi diventata matta. non credo che lo farò mai più.
un grazie a tutti i traduttori del mondo. che ci aprono le porte di autori lontani e che ci fanno viaggiare nella nostra lingua nei romanzi degli altri.
ah, e buon natale!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 23:08 da lucia


Katharina Schmidt mi dice:
”Concordo completamente – la conoscenza a 360 gradi della propria lingua è fondamentale!”
Grazie per la condivisione, signora Schmidt. Pero’ l’amore insieme alla conoscenza fanno il vero traduttore, credo. La semplice conoscenza crea dei traduttori discreti, passabili, ”buonacci”, come diremmo in Umbria, ma non eccellenti. Serve amare la propria lingua, fondervicisi, averne una prospettiva sia interiore che storica e letteraria. Buon Natale a Lei.
-
Enrico,
grazie anche da parte della mia Verončica. Un letterato, o lo e’ a tutto tondo o non lo e’, penso; mai fidarsi degli ”illetterati traduttori” (per non dire degli ”illetterati scrittori” che oggi sono la maggior parte: vedi il curriculum vitae dei famosi di oggi: chimici, ottici, copivraiter, sceneggiatori, comici, velini/e, giornalisti d’accatto, impiegatiburocrati, politici: e dove stanno i letterati che fanno la Letteratura, cioe’ il loro mestiere storico? Nelle Storie della Letteratura e basta, finche non li toglieranno anche da li’)!
-
Roberta,
con Lei si parla bene. Grazie e… chi ben finisce bene inizia, si dice a fine anno. Auguri Cari! Mi faccia leggere altre cose qui, se vuole (parlava di Bartleby tradotto da Pavese, vero?).
-
A Gaja, che constata: ”L’italiano di cinquant’anni fa non è più quello di adesso”,
rispondo che la nostra lingua, come tutte le altre, non e’ solo fatta a strati che periodicamente si rinnovano a fondo, ma di accumuli che fanno crescere il ”monte” al quale paragono la lingua stessa. In questo ”monte linguistico” secondo me vanno scelte solo le migliori e piu’ calzanti parole, siano esse del Trecento o nate ieri. Scegliere e accrescere, ecco, non meramente aggiornare (ovvero ”ammodernare”) le traduzioni. Questo e’ importante: scegliere tra tutte le parole che dal Duecento ad oggi l’Italiano ha in se’. E se una traduzione e’ ottima, perche ‘farne un’altra: per vendere? Per andare incontro agli asinelli di oggi? No, no. Aggiornare solo se serve, direi, senza polemica ma in disaccordo. Tanti Auguri!

Postato mercoledì, 24 dicembre 2008 alle 23:49 da Sergio Sozi


A Renzo, il quale sottolinea giustamente:
”@Sergio: cerco, a volte, di immaginarmi le difficoltà di un traduttore di mettere nella sua lingua testi che non sono scritti in un italiano corretto. Ce ne sono e non pochi, e anche di autori che vendono molto, gente che ai miei tempi, in un compito in classe di italiano, si sarebbe presa un bel cinque.”
Rispondo con la seguente ”filastrocca del rincoglionimento”:
questo fenomeno ha un solo nome: decadenza. I popoli ignoranti che invecchiano nell’ignoranza e nella mancanza di fantasia estro e genio, si rincoglioniscono e soprattutto rincoglioniscono i propri figli, i quali, per mandar avanti l’INDUSTRIA editoriale dei soliti mafiosi, da rincoglioniti quali sono prendono a pubblicare per i grandi editori, pertanto rincoglionendo il Paese piu’ ancora di quanto non sia gia’ rincoglionito di per se’.
Hic est.

Postato giovedì, 25 dicembre 2008 alle 00:05 da Sergio Sozi


Ma ora e’ nato Gesu’ da pochi minuti. Io la pianto di far l’uomo e penso a Lui.
Sacra notte. Sacra, signori miei! E’ arrivato il Povero fra i poveri.

Postato giovedì, 25 dicembre 2008 alle 00:09 da Sergio Sozi


@Sergio: del funzionamento della lingua (e non sono di quella italiana) so qualcosa anche io. La lingua è un organo vivo, fluido, e non è iconica. Il che significa che nessuna parola deve per forza essere “forma” di ciò che rappresenta. Nessun “fenomeno”, kantianamente parlando (ma non mi viene un paragone altrettanto calzante: e da qui potrebbe nascere un ulteriore spunto di discussione), deve essere necessariamente contenuto di un “noumeno”. Le traduzioni migliori, a mio avviso, sono quelle della lingua viva, della lingua che si parla. Ci sono traduzioni *splendide* di capolavori russi, che però risultano pesanti da seguire e scritte in un italiano obsoleto. Ci sono (meno) traduzioni di parecchi anni fa che non risentono (ancora) del tempo che passa. La lingua si evolve, si “ammoderna” (come dici giustamente tu) da sé. È lei al nostro servizio, non noi al suo.
Tanti auguri di nuovo. Un abbraccio.

Postato giovedì, 25 dicembre 2008 alle 11:02 da gaja


Bello il dibattito e interessante, come al solito, grazie Navigero. Poche parole da uno che ha osato ‘tradurre’ il Candelaio di Giordano Bruno. Già il termine di ‘traduzione’ (usato dall’Editore in quarta di copertina) è stato contestato da alcuni accademici, in quanto l’originale, dicono, è in italiano. Ora, se un quarto dell’opera è in latino e il resto in volgare, come definirla? Secondo loro, bisognava usare ‘trascrizione’, termine che mi fa pensare alle bobine di intercettazioni. Io ho preferito definirla ‘versione moderna’. Già dalle definizioni, quindi, la questione è complessa. Non penso si possa tradurre efficacemente un’opera se non si conosce bene l’autore e il contesto in cui è stata concepita; non solo questione di tecnica quindi, ma molto di più come dice la Schmidt. Trans ducere, come ha ricordato Maria Luisa, è una delle operazioni più importanti: ci permette di trasportare al di là del tempo e delle barriere linguistiche non solo informazioni ma cultura e arte. Come Carlo, penso che il traduttore sia come l’interprete di musica: le note si perdono e la musica svanisce ma resta l’impressione (la stampa nella mente) dell’arte, del bello. Purché chi suona sappia ricreare anche l’atmosfera in cui l’opera è stata concepita, altrimenti comunica impressioni erronee. Oggi talvolta si suona Vivaldi senza tenere conto dei silenzi, della quiete in cui nascevano le sue opere e, nella concitazione di una esecuzione troppo moderna e veloce, si perdono gli spazi, i canali, i pavimenti in legno che talora con solo quattro note e due pause (importanti come le note) l’autore magicamente raffigura. Così la traduzione. Penso che il traduttore dovrebbe operare sempre con coscienza, eticamente, con rispetto e (se può) con rifiuto, per non essere un tramite fasullo.

Postato giovedì, 25 dicembre 2008 alle 19:00 da Gianmario


Volevo ringraziare tutti i traduttori.
Senza il vostro preziosissimo lavoro non avrei potuto godere di storie bellissime.

Postato venerdì, 26 dicembre 2008 alle 11:43 da Marco Vinci


Grazie a voi tutti, traduttori… per avermi trasportata in altri mondi, in altre epoche, per avermi regalato parole, storie, universi linguistici e culturali…

Postato venerdì, 26 dicembre 2008 alle 16:33 da Maria Lucia Riccioli


Riesco a leggere oltre all’italiano solo in portoghese. Oggi che sto leggendo un libro di un autore finlandese, ringrazio il suo traduttore, che mi permette di scoprire una storia che altrimenti mi sarebbe stata negata. Visto che è impossibile capire tutte le lingue del mondo, un evviva ai traduttori!
Barbara Becheroni

Postato venerdì, 26 dicembre 2008 alle 17:54 da Barbara Becheroni


Cara Gaja,
libero ognuno di vederla a modo suo. Io la lingua parlata la lascio al parlato e ci tengo a fondare il mio lavoro sulla tradizione scritta, non orale… Lascerei stare altri discorsi che complicano inutilmente la faccenda: tradurre vuol dire fare opere letterarie per chi non sappia la lingua letteraria originale e dunque porle in un’altra lingua, sempre letteraria, a mio avviso. Inoltre… ma ho gia’ detto tutto sopra, in modo semplice e chiaro, solido. Parlo in modo solido, e’ la mia abitudine, quando non scrivo cose mie.
Salutoni Cari
Sergio

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 00:13 da Veronika Simoniti


Scusami, sono Sergio Sozi, non mia moglie: scrivo solo sul suo computatore e dunque e’ apparso il suo nome.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 00:16 da Sergio Sozi


Piccola precisazione su chi e’ al servizio di chi: un letterato e’ al servizio della lingua letteraria tanto quantoquesta e’ al servizio della parola orale maa prevalere in un testo scritto di un certo livello DEVE ESSERE SEMPRE LA LINGUA LETTERARIA.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 00:20 da Sergio Sozi


Perche’ ogni arte ha il suo linguaggio che la realta’ quotidiana non possiede. E vedere opere fatte come la realta’ e’ semplicemnete deprimente, poiche’ la realta’ la vedo gia’ davanti a me ogni giorno. Come tutti. E tutti i VERI artisti cercano di SUPERARE la realta’, non di riprodurla – tranne i realisti, ah gia’, esistono anche quelli, i cronachisti sotto mentite spoglie.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 00:28 da Sergio Sozi


Direi che tutti – scrittori, traduttori, lettori – sono al servizio della parola. Gli scrittori perché vengono parlati dal linguaggio, lo utilizzano sì, a volte lo creano, ma devono essere veramente devoti della parola per scrivere, i traduttori perché con umiltà e dedizione mettono i loro piedi sulle orme di un altro ed è difficilissimo parlare con le parole di un altro – ci vuole veramente spirito di servizio, amore, diciamolo pure, per farlo bene, per essere artisti, altrimenti basterebbe un traduttore digitale – , i lettori perché si lasciano incantare, persuadere, consolare, trasportare da entità inafferrabili eppure concretissime: le parole.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 09:58 da Maria Lucia Riccioli


Buccinator: sono pienamente d’accordo con quanto pensi/scrivi. Aggiungo solo che (dopo un lungo travaglio) ho deciso di procedere al mio aggiornamento del Bruno perché l’alternativa sarebbe stata l’oblio della commedia, già confinata a pochi studiosi che, dalle loro scranne, dichiarano superbamente: “Io la leggo perfettamente nell’originale”. Pertanto, in certi casi, ritengo l’aggiornamento doveroso. Quanto alla lingua scritta penso che stia a quella parlata come lo scheletro al corpo (e in questa epoca malata di gigantismo generale i corpi si stanno gonfiando a dismisura di grassi inutili). Ciao. Un poroppopò affettuoso da Gianmario (vecchio bombardino).

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 14:16 da Gianmario


Grazie mille per i nuovi commenti pervenuti anche in questo post.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 14:45 da Massimo Maugeri


Sulla questione linguistica e sulla necessità di aggiornare alcune traduzione sono d’accordo con Gianmario e con Gaja.
Vero è che, in alcuni casi, si esagera con il seguire le tendenze della lingua parlata, ma è altrettanto vero che la lingua parlata tende a “rinverdire” quella scritta. E quando ciò avviene… è segno che la lingua in questione è viva. È evidente che una traduzione – di un qualunque testo – in latino non necessita di alcun aggiornamento.
Non dimentichiamoci che gli stessi vocabolari sono soggetti a continue revisioni e ad aggiornamenti. Basta confrontare un dizionario della lingua italiana (dello stesso autore o dello stesso editore) pubblicato negli anni Sessanta, con uno del 2008: alcuni termini (desueti) presenti nel primo con compaiono nel secondo e – viceversa – parole nuove che figurano nelle nuove edizioni non sono presenti in quelle… datate.
Evviva le lingue vive!!!

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 14:53 da Massimo Maugeri


Nei prossimi giorni mi permetterò di citare alcune vostre frasi che mi sono parse particolarmente significative.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 14:54 da Massimo Maugeri


Caro Massi, permettimi di dissentire sulle lingue morte… vero è che latino e greco non dovrebbero porci più problemi, ma hai provato a leggere certe traduzioni desuete di classici antichi? I capolavori rimangono, ma la nostra inesausta sete di domande si evolve: non domandiamo oggi ad un classico greco o latino ciò che gli chiedevamo cinquant’anni fa. La nostra lingua giustamente si evolve mentre le traduzioni passate restano ferme. Spesso sono poetiche e bellissime, ma a volte necessitano di revisioni, specie se le conquiste della filologia, la scienza amorosa e agguerrita che a suon di codici e ricerche trova sempre qualcosa da rivedere, vanno avanti e addirittura propongono nuove interpretazioni per certi passi la cui traduzione si riteneva scontata. Pensiamo alla Bibbia, ai ritrovamenti di versioni diverse da quelle canoniche, alle edizioni critiche di certi classici che ricevono nuova vita dai nuovi apporti.
Il mondo antico si muove con noi. Perché siamo noi a guardarlo dal treno in corsa del presente e chissà? del futuro.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:17 da Maria Lucia Riccioli


Caro Sergio,
torno ora dalla campagna.. Ho “ripescato” due libri dei tempi dell’università in cui seguivo le lezioni del mio prof. di letteratura inglese, Mario Domenichelli. Ho trovato un’ediziode di BENITO CERENO di Melville tradotto da Pavese( che gaffe ho fatto! Non era BARTLEBY LO SCRIVANO.. eh che dire.. Ho pensato: “Beh qui si accorgono delle mie gaffe ma vabbé non ho pretese”. Intanto ho seguito da poco la conferenza di un pedagogista “anziano” il quale per quattro ore non faceva altro che dirci: “Voi insegnanti finitela di considerarvi o definirvi come “professionisti”! Siete dei “maestri” e basta!” Aveva ragione, credo).
Poi ho trovato un’edizione de A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM di Shakespeare tradotta da una poetessa, Patrizia Cavalli( la collana dell’Einaudi si intitola infatti “Scrittori tradotti da scrittori”).
Più tardi scrivo qualcosa. Devo riprenderle in mano: non mi ricordo nulla.
Patrizia Cavalli scrive molte cose alla fine del libro in una “Nota del traduttore” e mi piace quello che ha scritto( c’é una frase anche sulla “fatica mal ripagata”..).
E poi quest’anno ho combattuto con le segretarie della scuola perché ho ordinato venti volumi proprio del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE ( lo stiamo leggendo nella nostra seconda). Io e la collega di lettere volevamo l’edizione Einaudi e invece ci hanno mandato l’edizione Garzanti. Certo sono belle entrambi, ma gli alunni ci hanno chiesto come mai Puck (Robin Goodfellow in Shakespeare) si chiama “Il Demone”. Boh. Abbiamo detto loro che é un pò “cattivello” e si diverte a far scherzi. Ma intanto eravamo seccatissime..Non ci piece quel “Il Demone” per uno come Puck. Cosa ne pensi?
Ciao, grazie. Anche con te si parla bene.
Ho letto i tuoi interventi e quelli di Gaja sullo stesso argomento: io sono d’accordo con te.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:23 da roberta


@Gaja: cara Gaja,
tu parli dal punto di vista del traduttore e ti capisco. Però secondo me ha ragione Sergio. La realtà la vediamo sempre sotto i nostri occhi. E anche la “lingua parlata”. Se ho capito bene, non dici di tradurre così come si parla, ma forse l’evoluzione della lingua a molti non piace. Forse non piace a quelli che la realtà non la amano particolarmente.
Comunque ho trovato una bellissima traduzione del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE di Shakespeare e hai ragione quando mi scrivi: é il NOME del traduttore a garantire la bellezza della traduzione: Patrizia Cavalli ha tradotto per Einaudi. E’ una poetessa, ma io non la conoscevo e mi sono soffermata sul suo nome grazie al tuo suggerimento.
Ciao, cari saluti

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:31 da roberta


Cara Mari,
mi sono spiegato male. Il mio era un discorso “per assurdo”.
Io immaginavo – per assurdo – la traduzione (per esempio) del “Don Chisciotte” in lingua latina.
Essendo la lingua latina (aihmé) defunta basterebbe tradurre quel libro una sola volta.
In italiano, invece, potrebbe essere interessante leggere traduzioni “moderne” (senza nulla togliere al fascino di quelle datate).
Insomma, una lingua viva si evolve. Una lingua morta, no.
Finché l’italiano si aggiornerà “inglobando” nuovi termini e “espellendo” quelli desueti significa che la lingua è viva.
E spero che la lingua italiana rimanga “lingua viva” per molto tempo ancora.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:32 da Massimo Maugeri


Cara Roberta,
credo che – con i tuoi commenti su questo post – sia la prima volta che intervieni qui a Letteratitudine (o ricordo male?).
Ti dò il mio personale benvenuto!
Sentiti a casa…

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:37 da Massimo Maugeri


@eventounico.
Sì, hai ragione ad essere “radicale”. Chi non ha mai tradotto nulla forse non può capire.
Scrivevo a Sergio di Pavese che ha tradotto Melville e altri scrittori americani. Immagina come potrebbe essere la traduzione dall’italiano di alcuni libri di Pavese: non sarebbe più Pavese, immagino. Però non lo conoscerebbe nessuno, se non fosse tradotto. E noi non avremmo conosciuto gli scrittori americani, se Pavese non ce li avesse fatti leggere in italiano. Del resto per me sarebbe impossibile leggere MOBY DICK in inglese: é un’impresa alla quale non sono preparata..
Su Shakespeare si può dire qualcosa, se ti fa piacere. Sul MACBETH e sul SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE.(?)

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:41 da roberta


Caro Massimo,
sì, hai ragione. Vi ho “scoperto” solo da qualche giorno, benché ricevessi da tempo il Tuo invito a partecipare alle discussioni.
Ti ringrazio infinitamente per il tuo benvenuto.
Sono stata particolarmente attratta dall’argomento sulla TRADUZIONE, forse perchè sugli altri non ero preparata.
Mi sembra molto bello che esista uno “spazio” per chiacchierare e discutere di cose che di solito annoiano molto le persone con cui si esce.
Ringrazio moltissimo te e le persone che rispondono ai miei interventi. Mi fanno sentire come “ai tempi dell’università”, in cui andavo pomeriggi interi a sentir parlare i miei professori.
Cari saluti
Roberta

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:49 da roberta


Grazie a te e lietissimo di accoglierti con affetto, cara Roberta.
Intervieni con serenità tutte le volte che vorrai. E non preoccuparti del discorso “preparazione”. Qui non c’è nessuno che fa (o deve fare) il professore. Scambiamo opinioni e impariamo tutto da tutti.
Io sono quello che impara di più (pensa un po’!).
:)
E di questo ringrazio tutti gli amici che seguono questo blog (te compresa).
A dopo…

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:56 da Massimo Maugeri


Caro Massi, ho compreso il senso del tuo intervento, però mi premeva parlare un poco anche delle lingue morte, che ci appaiono come un sistema già dato e che invece ci riescono ancora a sorprendere…

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 17:38 da Maria Lucia Riccioli


Cara Mari, e allora…
Lunga vita anche alle lingue morte!
;)

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 19:41 da Massimo Maugeri


Al di là delle battute (e prima di chiudere e augurarvi buonanotte) ritengo che Maria Lucia abbia ragione nell’evidenziare l’importanza del greco e del latino. Credo sia davvero importante continuare a studiare le suddette lingue e a proporle nei programmi scolastici… (purtroppo ho l’impressione che parte della classe politica di governo sia di diverso avviso.)
A domani!

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 21:56 da Massimo Maugeri


Cari di Letteratitudine,
non ho idea di quanto possa durare una discussione su vostro blog. Forse le vacanze prendono un bel pò di tempo a tutti. Però a me piace continuare.
@a Massimo: mi piace continuare non perché io possa considerarvi come “i miei professori”, ma perché dicevo che é l’”atmosfera” che si crea in questo spazio a ricordarmi i tempi dei seminari in cui io e altri colleghi trascorrevamo interi pomeriggi non solo ad ascoltare ma a partecipare alla discussione.
Poi questa é per me un’occasione per riprendere in mano libri che avevo “quasi” dimenticato, presa come sono dal lavoro e dalle faccende della vita.
Cari saluti

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 13:07 da roberta


@ Sergio:
nella speranza di non tediare nessuno con lungaggini..oltre a Pavese, mi é capitata sotto il naso un’edizione di Edgar Allan Poe tradotto da Charles Baudelaire…(praticamente un testo “trilingue”).
Riporto qui sotto un pezzo della nota di Pavese alla traduzione di Melville;( così “rispondo” anche alla tua considerazione sul “Realismo” di cui scrivevi a Gaja…benché in effetti sui grandi romanzieri francesi dell’800-penso a Balzac- ci sarebbe da aprire un’altra dicussione).
Poi, se vi fa piacere continuare, aggiungo un pezzo di Baudelaire sulle sue traduzioni di Edgar Poe: le sue considerazioni, come sempre, sono talmente illuminanti.

Pavese scrive di Melville:”(…) La ricchezza pregnante del suo nuovo stile e dei mondi da lui evocati, dove sempre più s’accentuava la tendenza a uscire dalla battuta strada del sensibile per smarrirsi nella foresta delle corrispondenze e dei simboli…”
E più avanti: ” anche in questo breve e perfetto BENITO CERENO il mare é assai più che un ambiente: é il volto visibile, infinitamente ricco d’analogie, dell’arcana realtà delle cose. E ciò é vero non soltanto nel noto senso che, facendosi poesia, qualunque ambiente perde la sua limitatezza documentaria e diventa creazione fantastica, ma nel senso , più raro, che il mare é qui la sola forma sensibile che agli occhi di Melville possa degnamente incarnare il cupo e ironico nocciolo demoniaco dell’universo”.

Baudelaire scrive : ” Mi accusano di imitare Edgar Poe! Sapete perché ho così pazientemente tradotto Poe? Perché mi assomigliava. La prima volta che ho aperto un suo libro, ho visto, spaventato e affascinato, non solo dei temi da me sognati, ma delle FRASI che avevo pensato, e che lui aveva scritto vent’anni prima”.
Forse anche Pavese traduceva Melville perché “gli assomigliava”.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 13:30 da roberta


Ps: però, per rendere giustizia a Charles Baudelaire, lui scrive anche:

” J’ai perdu beaucoup de temps à traduire Edgar Poe, et le grand bénéfice que j’en ai tiré, c’est que quelques bonnes langues ont dit que j’avais emprunté à Poe MES poésies, lesquelles étaient faites dix ans avant que je conusse les oeuvres de ce dernier”( lettera del febbraio 1865 a Mme Merice, CORRESPONDANCE)

“HO PERSO MOLTO TEMPO A TRADURRE EDGAR POE, E IL GRANDE BENEFICIO CHE NE HO TRATTO E’ CHE ALCUNE BUONE LINGUE HANNO DETTO CHE AVEVO AVEVO PRESO IN PRESTITO A POE LE mie POESIE, LE QUALI ERANO FATTE DIECI ANNI PRIMA CHE IO CONOSCESSI LE OPERE DI QUEST’ULTIMO”.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 13:39 da roberta


Ciao, in ritardo e scusa Gaja, scusa Massimo, ma prima non avevo la linea, poi mi è collassato il sistema operativo, nel frattempo avevo una consegna… ieri (a UNA LIRA a cartella ma con una penale di DODICI EURO al minuto di ritardo) e altre due… domani.

Questo per riportare la discussione anche in termini di mestiere e soprattutto di rapporti di produzione.

La domanda la faccio a tutti: avete presente quanto vi piace la letteratura? La leggete tradotta? Beh, ci sono degli eroi che dovete ringraziare, perché muoiono di fame, nessuno riconosce il loro lavoro, si sentono dire pure che sono dei privilegiati perché fanno un mestiere tanto bello, e siccome traboccano amore, talento, ma soprattutto studio indefesso e abnegazione sul lavoro (per voi, cari lettori, sì, proprio per voi, perché vi amano e rispettano), fanno apparire sugli scaffali delle librerie i libri che amate, avete amato, o amerete, che siano classici o contemporanei, scritti o parlati, quello che vi pare a voi. Ma il lavoro e la fatica sono sempre quelli. E la paga nulla.

Scusate l’irruzione oltre tempo massimo. Mi presento: sono Daniele Petruccioli, uno dei traduttori che hanno partecipato al Mestiere di riflettere.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 14:49 da daniele petruccioli


@Massimo:
Caro Massimo,
sono andata un pò in giro a leggere i post su altri argomenti: é stato bello leggerli. Non ho scritto nulla sul Natale, come proponevi tu: scasami. Ma era molto carino.
Mi sono forse soffermata troppo su questo argomento della traduzione perché é quello che più mi piace.
Aspetterò altri tuoi spunti per leggere e intervenire.
Nell’attesa, ti ringrazio ancora moltissimo per l’affettuosa accoglienza.
Cari saluti
R.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 14:50 da roberta


Grazie ancora a voi traduttori… so che queste parole non ripagano la fatica, ma voglio scrivervele lo stesso.
Roberta, bello il tuo ricordarci che si legge, si traduce, si parafrasa, si imita, si ritrae in versi o prosa ciò che CI SOMIGLIA.
Che ci riflette, come recita il titolo del libro e del post.
TRADO, TRANSDUCO sono verbi latini che hanno a che fare con la traduzione, con la tradizione, che non è altro che una “consegna”, un passaggio del testimone. Per inciso: quando Giuda tradì Gesù, in realtà lo consegnò. Da qui venne il senso di tradere=tradire.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 15:09 da Maria Lucia Riccioli


Auguri e complimenti a voi traduttori.Tradurre é un po’ come tradire. E’ come fare l’Amore. Ti svesti della tua identità per abbandonarti(tradere)all’altro.E solo se ami veramente.Il buon traduttore é quello che sa sfogliare le pieghe dell’animo dell’autore e rivelarne gli anfratti, i colori, i sussulti. Quanto é difficoltoso!Una mia esperienza? Anni addietro, a Perugia, ascoltai sette docenti universitari di latino che traducevano alcune nugae di Catullo. Ciascuno a modo suo. Un coro di voci che seppe cantare, con parole diverse, le inquietitudini amorose catulliane.Ottima traduzione non é la fotocopia delle parole, ma l’interpretazione la più aderente, la più vicina al mondo dell’autore.Ergo: lavoro faticoso e di grande responsabilità.Auguri, Lucia Arsì

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 18:09 da Lucia Arsì


@Massimo: é dalle lingue morte che veniamo a conoscenza della lunga ombra che attanaglia l’uomo, tranne quando si ritrova cercatore d’amore e carico di speranza. Auguri! lucia arsì

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 18:20 da Lucia Arsì


@Lucia: scusami, Lucia, rispetto la tua idea, ma tradurre non é come “fare l’Amore”.

@Maria Lucia:grazie per aver letto il pensiero di Charles:)

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 21:57 da Anonimo


Finalmente qualcuno ritorna a parlare d’amore.
Ringrazio Lucia Arsì (anche) per questo.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 22:30 da eventounico


@ Lucia
Al ringraziamento di Eventounico unisco il mio. Che bella frase la tua!
La ripropongo: “é dalle lingue morte che veniamo a conoscenza della lunga ombra che attanaglia l’uomo, tranne quando si ritrova cercatore d’amore e carico di speranza”.
Grazie! E grazie per gli auguri, che ricambio con affetto.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 22:40 da Massimo Maugeri


@ Roberta
Cara Roberta, intervieni pure ogni volta che ne avrai voglia. Una discussione, in un post, dura fintanto che ci sarà qualcuno che avrà l’interesse e la voglia di portarla avanti.
A proposito di Baudelaire, ti segnalo questo post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/30/il-ribelle-in-guanti-rosa-charles-baudelaire/
Su Pavese, ti segnalo quest’altro post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/08/il-centenario-della-nascita-di-cesare-pavese/

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 22:46 da Massimo Maugeri


@ Daniele Petruccioli
Grazie per essere intervenuto.
Massima solidarietà a te e ai tuoi colleghi.

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 22:48 da Massimo Maugeri


@Massimo:
Caro Massimo,
ti ringrazio per la segnalazione dei post su Baudelaire e Pavese.
E anche per il tuo incoraggiamento.
Grazie. Carissimi saluti
A presto

Postato domenica, 28 dicembre 2008 alle 22:56 da roberta


Caro Massimo,
penso che Luciano Bianciardi per certi versi abbia ragione quando sostiene che la traduzione letteraria sia un lavoro micidiale.
Chi compone opere di narrativa o di poesia se le compone sinceramente, ovvero con una lealtà adamantina nei confronti di se stesso e dei lettori, senza cioè badare al danaro (cassetta) o ai tempi imposti dall’editore, le compone attingendo in profondità dalla propria anima, vale a dire dal proprio inconscio, che null’altro è se non lo specchio del proprio vissuto.
Ne consegue che il traduttore, se intende tradurre efficacemente e lealmente (fedelmente) un’opera, è costretto ad addentrarsi nell’animo dell’autore da tradurre. Ossia, deve identificarsi (immedesimarsi) in lui, trascurando tutto ciò che potrebbe attingere dal proprio inconscio. Insomma, deve rigettare i propri valori (o disvalori), le proprie “trame”, e persino il proprio stile. Annientandosi, o alienandosi. Ma – riflettendoci – chi mai si sente di “vendere” la propria anima o di “annientarsi” per tradurre fedelmente un autore che magari non sa neppure in che contesto abbia vissuto e per quale motivo abbia scritto veramente l’opera che dovrà tradurre. In altre parole, un autore a lui “estraneo”.
Certo, si potrà obiettare che il genio artistico è libero come il vento e non si può né si deve ingabbiarlo per nessun motivo in un qualsiasi contesto o reazione emotiva. Ma io sono di tutt’altro avviso. Sbaglierò, ma sono di tutt’altro avviso.
Dunque, il mestiere del traduttore non solo è uno dei lavori più difficili, ma è soprattutto uno dei lavori più annichilenti (o alienanti), a prescindere dalle soddisfazioni (anche di cassetta) che può dare.
Grazie dello spazio (e della pazienza), Ausilio Bertoli

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 01:16 da giuseppe ausilio bertoli


Mi rendo conto solo ora( dopo che Massimo mi ha così gentilmente suggerito i post su Baudelaire e su Pavese) che avevate tutti già scritto sui due scrittori. Ho letto cose molto interessanti scritte da voi su entrambi.
Non posso scrivere nulla di nuovo, quindi. Anzi, leggerò con attenzione le altre discussioni , d’ora in poi, prima di intervenire.
Beh, allora scrivo a Daniele Petruccioli, per dirgli che lo ringrazio di cuore per le sue traduzioni.

Ad Eventounico posso dire che mi pare mi trovi banale, ma non importa.

A Sergio Sozi che adoro i suoi interventi: li trovo sempre originali e credo abbia capito e sempre nel profondo cosa volevo dire. E cosa vogliono dire le altre persone che intervengono qui.
Unica “delusione” per me la sua affermazione( nei post su Baudelaire):

“a me sembra che Baudelaire abbia procurato più conseguenze nel campo della vita sociale che nell’attività strictu sensu poetica”.

Good night to all

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 01:25 da roberta


@anonimo,
anch’io mi accosto al tuo dubbio con un dubbio: amare é abbandonarsi?E’ un darsi all’altro?Tradurre é liberarsi del proprio per amalgamarsi all’altro? E’ possibile tutto ciò?Alcuni traduttori, i più impegnati, i più solerti, i più intelligenti si calano nelle vesti dell’autore, ripropongono l’habitus, sanno immaginare lo spirito che lo anima e consegnano il passaggio di lingua in modo quasi pertinente. Sono i creativi, forse, oserei dire, sono quelli che decretano l’exploit dell’opera. Sono i curatori dell’eidos. A tutti questi, in verità pochissimi, vada il nostro grazie. Lucia Arsì

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 08:13 da Lucia Arsì


Cara Roberta,
be’, a tutti capita di dire qualche fesseria, no? Comunque in effetti l’influenza di Baudelaire fu ANCHE molto forte sul piano dei costumi, e questo e’ innegabile. Purtroppo a volte quando ci si deve esprimere in modo ”elettronicamente sintetico” si rischia di lasciar fuori molte argomentazioni complesse.
Grazie per l’apprezzamento!
Sergio

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 10:45 da Sergio Sozi


Le lingue finche’ vengono lette e/o tradotte non sono MAI morte. Ergo: il latino e il greco sono lingue vive come chi le legge ed interpreta. Inoltre esiste anche una radio finlandese che parla solo in latino ed e’ ascoltata da milioni di europei. Lo sapevate? Si chiama,mi pare, ”Missi latini”…

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 10:50 da Sergio Sozi


Io leggo, traduco e interpreto l’atzeco antico…….. che dunque è una lingua viva. Buono a sapersi. ^_^

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 10:58 da Carmen


[...] incisa: la voce viva, come il suo teatro. ——– Su letteratitudine si discute sul mestiere del traduttore nessun [...]

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 11:39 da Kataweb.it - Blog - TERZAPAGINA, articoli selezionati dalle pagine culturali dei quotidiani » Blog Archive » HAROLD PINTER


Bellissimi gli interventi. Complimenti a Lucia (che, lungi dall’essersi consumata nel fuoco, come dice il cognome, continua ad ardere in un perenne fuoco poetico): vero, come dice Platone, l’artista “pros ten idean blepon” mirando all’idea (archetipo), trasforma il concetto in artefatto, quell’eidos che il traduttore (con duplice via di andata e ritorno) ci rende. Professione affascinante, faticosa, misconosciuta, che richiede, oltre a completezza di doti letterarie, anche sensibilità poetica e dedizione. Il tutto per…? Per quello che l’arte può ripagare, non certo denaro e successo, se non per pochissimi, ma soddisfazione intima di chi riesce a dare ad altri qualcosa di non effimero. Novanta volte su cento i figli delle Muse vengono, dalle stesse, tenuti a stecchetto materialmente. Ma del loro spirito ancora ci nutriamo anche dopo secoli.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 13:34 da Gianmario


@ Roberta: grazie a te.
Sto leggendo il libro di Giuseppe Montesano e lo trovo molto bello. Le traduzioni sono opera sua ma non so giudicare se siano aderenti o creative… Baudelaire in questi giorni mi perseguita: dalle scritte nei Baci Perugina alle citazioni della Mazzucco e perfino qui!!!

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 15:27 da Maria Lucia Riccioli


HERMIA:”(…) since night you loved me; yet since night you left me.
Why then, you left me- O, the gods forbid!-
In earnest , shall I say?”

LYSANDER:” Ay, by my life;
And never did desire to see thee more.
Therefore be out of hope, of question, of doubt,
Be certain. Nothing truer-’tis no jest
That I do hate thee and love Helena”

ERMIA: ” (…)Questa notte mi amavi,
questa notte mi lasci? Allora m’hai lasciato?
Sul serio? -Dio non voglia!”

LISANDRO: ” Sì, per sempre!
E non desidero più rivederti.
E dunque non sperare, non t’illudere,
è fuori discussione, sta sicura,
non c’è niente di più vero, non è
per scherzo che ti odio e amo Elena”.
OPPURE:

ERMIA: ” Dicevi
stanotte che m’amavi, eppure stanotte m’hai lasciata.
Ma allora é vero, tu mi hai abbandonata,
Dio non voglia, sul serio”

LISANDRO:” Sì, per la mia vita,
e non desidero vederti mai più. Perciò lascia ogni speranza,
ogni perplessità, ogni dubbio; sta’ sicura:
non c’è nulla di più vero- e non sto scherzando-
che io ti detesto, e amo solo Elena.”
Non ho visto nei post riferimenti alla traduzione del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE..
Non é importante, credo, dire quali siano le edizioni dei due testi, perché sono entrambe molto belle, mi sembra. Io preferisco la prima.
Però non credo che ci sia più “amore” per il testo di Shakespeare rispetto alla seconda, da parte dei traduttori.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 16:43 da roberta


@ Maria Lucia:
Cara Maria Lucia,
sì, “perseguita” anche me, Baudelaire. Mi mancano molte cose sue e ieri guardavo quel volumetto “LO SPLEEN DI PARIGI” perché volevo leggerlo: ma non ho cominciato. Mi hanno regalato le sue “LETTERE SULLA SOLITUDINE” e anche di quelle ne ho letto poche. Certe volte “ho paura” che mi trasmetta lo “spleen”. Davvero. Ma ho una enorme passione per i suoi versi.
ps: ma perché lui e François de La Rochefoucauld finiscono sempre nei “Baci Perugina?” Boh.
Affettuosi saluti

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 16:50 da roberta


@gianmario,grazie per la tua sensibilità.Vorrei aggiungere un’esperienza a tal proposito. In occasione della presenza di James Hillman(analista-filosofo americano)a Taormina, mi sorge spontanea l’idea di donargli una mia rivisitazione dell’Inno ad Afrodite di Omero(Egli presentava il suo libro Afrodite).Lo psicanalista ha accolto il testo con ammirazione, ma io penso spesso alle sue risate quando sarà a contatto con l’incomprensibile.Colei che ha tradotte le due paginette, nonostante le mie reiterate spiegazioni, non é riuscita a penetrare il senso del discorso, a dare corpo alle metafore lì presenti.Poteva?No, dato che le”parole alate”della poiesis mirano a ri-velare(nel senso di rimettere il velo)il mistero della vita. Ciao. lucia Arsì

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 18:10 da Lucia Arsì


@ Roberta
Tra le due traduzioni di Shakespeare preferisco anch’io la prima.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:12 da Massimo Maugeri


Un saluto a Ausilio Bertoli e un “benvenuta!” a Carmen

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:13 da Massimo Maugeri


@ Massimo:
Caro Massimo,
la discussione qui é forse quasi finita, credo. Anche perché é cominciata quella così carina sul Natale e quella così bella su Pinter e il teatro.
Ma magari, come mi scrivevi, continua anche qui.
Comunque volevo scriverti ancora una cosa. No so se é il caso, davvero. Mi rimetto alla tua decisione, se vuoi farlo apparire oppure no.
Tempo fa avevo letto il saggio di Marguerite Yourcenar: LE TEMPS, CE GRAND SCULPTEUR(= IL TEMPO, GRANDE SCULTORE).
Ho trovato la traduzione di questo testo in due volumi diversi e, nel capitolo che si intitola INCONTRI COL TANTRISMO a me sembra che sia presente un errore. Hanno tradotto almeno tre volte il termin che in francese é “phonème”(= fonema) come se fosse il termine”phénomène”(=fenomeno).
Riporto qui sotto il breve brano.
Poi mi dici, se hai il tempo, cosa ne pensi.
Grazie infinite.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 21:44 da roberta


“(…) Il faudrait aussi, pour dissiper certains malentendus, parler de phonèmes( presque tous, sinon tous, sont des “mantras” sanscrites courantes dans les différents sectes de l’hindouisme et du bouddhisme), dont les maitres tantriques préconisent l’usage. (…)”

ECCO LA TRADUZIONE:
” Inoltre, al fine di dissipare certi malintesi, bisognerebbe parlare dei fenomeni(quasi tutti, se non tutti, sono dei mantra sanscriti correnti nelle diverse sette dell’induismo e del buddismo), di cui i maestri tantrici raccomandano l’uso. ”

Più avanti si trova lo stesso termine tradotto nello stesso modo.
Forse mi sbaglio. Però FONEMA e FENOMENO sono due parole diverse e sul dizionario di francese esistono ben distinte: “phonème” e “phénomène”.
E forse col significato di “fenomeno” il testo cambia.
Ma magari mi sono sbagliata io. E’ un dubbio che ho da tempo.
Ps: mi scuso ma sulla tastiera non trovo l’accento circonflesso.( da mettere sulla “i” di “maitres”).
Grazie.
Cari saluti.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 21:57 da roberta


Nella pagina successiva il termine in francese é “phénomène” ed é tradotto nel modo giusto e ha un senso:

“Il en allait ne meme naguère des prères en latin d’église, dont le phénomène sonore semblait agir EX OPERE OPERATO”
TRADUZIONE:
“Lo stesso accadeva or non moltoper le preghiere in latino chiesastico, il cui fenomeno sonoro sembrava agire EX OPERE OPERATO”.

Postato martedì, 30 dicembre 2008 alle 22:08 da roberta


Cara Roberta,
pur non essendo un esperto in traduzioni (magari potrebbe dire la sua qualcuno dei nostro amici traduttori) mi sembra che quella che tu evidenzi sia un vero e proprio errore.
“Fonema”, non “fenomeno”. Sì, sì…
Grazie per l’interessante segnalazione.

Postato mercoledì, 31 dicembre 2008 alle 01:03 da Massimo Maugeri


Buon giorno a tutti.
Splendido dibattito!
Ho tradotto tre romanzi per due grandi case editrici e altri libri (cucina, feste bambini, composizioni di fiori).
Ho parlato di questo tema in ‘Leggere e Scrivere’ di Paolo Di Stefano, vi allego il mio intervento…
mi saprete dire se siete d’accordo con me:

[...]
non sono d’accordo sul fatto che un ‘negro’ (si parlava di autori italiani che non sapevano l’inglese e facevano tradurre ad altri, intervendo sulla traduzione) possa fare manovalanza bieca, cioè tradurre, e un titolare di traduzione, anche se ottimo scrittore, possa usare quella base per lanciarsi in voli pindarici…
scusate, amici, tradurre romanzi è un mestiere serio, a prescindere dal nome scritto sulla carta d’identità.
il traduttore, dal libro, DEVE assorbire anche le sfumature, per cui, a mio parere, la figura di traduttore e titolare di traduzione DOVREBBERO coincidere.
a meno che non si tratti di una revisione, quando cioè un altro traduttore, più esperto del primo, controlla non ci siano errori e cerca di dare PENNELLATE, SFUMATURE più consone al testo… che dire, una specie di redazione…
iL RISCHIO infatti è che il titolare, cioè colui che si trova il lavoro già fatto, rischi di partire per la tangente e scrivere tutt’altro, un altro libro, intendo.
tradurre non è riscrivere un altro libro, ma riprodurre nella propria lingua quello che un’altra persona ha voluto trasmettere.
con rispetto per l’altra persona, appunto.

Per l’amore di Dio, sono l’ultima arrivata, ma questa è la mia esperienza ed è quello che provo io…

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 10:40 da anna pia fantoni


Sono ormai un vecchio medico in pensione. Sono anni che mi diletto a scrivere Romanzi e Racconti di Narrativa Fantasiosa, condita talora da intenso Amore, Odio per la Morte, Fantapolitica-Etica ecc.
I miei scritti non ho voluto pubblicarli mai perchè ritengo che gli editori italiani siano una massa di Perversi che promettono e poi non aiutano, anzi non sono in grado di rischiare nemmeno un centesimo di euro su Autori Non Conosciuti.
Mi piacerebbe tradurre in Inglese oppure in tedesco almeno un mio Scritto di 50 pagine dal titolo ” Il buco nero ovvero il – Fattore Q -”, che ritengo un MANOSCRITTO molto ben congegnato.
Pertanto vorrei contattare UN TRADUTTORE MOLTO IN GAMBA.
MI PIACEREBBE ESSERE CONTATTATO AL MIO INDIRIRIZZO e-mail, che ripeto è armando@ascatigno.com

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 11:39 da Lo scrittore per hobby


@ Anna Pia Fantoni
Grazie mille per il tuo intervento e… benvenuta a Letteratitudine.

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 17:25 da Massimo Maugeri


@ Lo scrittore per hobby
In bocca al lupo per il tuo manoscritto. Spero che possa godere di buona fortuna all’estero, anche con il contributo di un “traduttore molto in gamba” che – immagino – sarà adeguatamente remunerato.
P.s. È vero che ci sono editori italiani che preferiscono non rischiare nemmeno un centesimo di euro su Autori Non Conosciuti. Ma è anche vero che nessun autore (o quasi) nasce “conosciuto”. In genere c’è una base di partenza per tutti. E questa base, spesso, è offerta dalla piccola editoria di qualità (tra cui la stessa “Azimut”, che ha pubblicato questo libro di “storie di traduttori).
Ecco un altro esempio:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/03/recensioni-incrociate-n-5-francesco-di-domenico-e-enrico-gregori

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 17:31 da Massimo Maugeri


Caro Massimo,
per fortuna oggi ho scoperto questo posto bellissimo dove si parla di quello che nutre le nostre anime. I corpi sono piuttosto difficili da nutrire dovunque.
Mi sono molto divertita leggendo le liste dei dieci libri piu’ belli e vorrei proporre un gioco simile: dieci libri italiani da tradurre.
Ovviamente non penso ai classici come Dante, Petrarca e cosi via, fino a Calvino ed Eco, le cui opere sono globalmente conosciute; mi piacerebbe sapere quali sono autori contemporanei che, secondo l’opinione dei lettori italiani, rappresentino nel modo migliore la letteratura italiana nel mondo.

Cordiali saluti da Belgrado,
Maja

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 21:53 da Maja Živković


Bello! Proponi i tuoi 10…

Postato sabato, 3 gennaio 2009 alle 23:46 da Maria Lucia Riccioli


Spoštovana Gospa Živković,
sem en italijanski prevajalec (pesmik, kritik in pisatelj) ki živi v Slovenij; ampak jaz, dane, prevajam iz FRA, ANG, in (počasi!) SLO, v ITA in, tako, ne govorim srbsko. Oprostite.
Comunque Le posso assicurare che poche sono le opere veramente buone che meriterebbero una traduzione oggi.
Le posso, tuttavia, segnalare i seguenti titoli, fra i migliori nel deprimente panorama della mia Nazione – un tempo come sappiamo illustre nelle Lettere.
Eccoli:
-
1) Giuseppe Bonaviri, ”La divina foresta”;
2) Massimo Bontempelli, ”Gente nel tempo”;
3) Stefano Benni, ”Terra!”;
4) Antonio Tabucchi, ”Requiem”, o anche ”Notturno indiano”;
5) Claudio Magris, ”Microcosmi”;
6) Remo Rapino, ”Un cortile di parole”;
7) Sandro Veronesi, ”La forza del passato”;
8) Mariolina Venezia, ”Mille anni che sto qui”;
9) Ugo Riccarelli, ”Il dolore perfetto”;
10) Roberto Pazzi, ”Conclave”.
-
A questi aggiungerei qualcosa come:
-
11) Andrea Camilleri, ”La Pensione Eva”;
12) Curzio Malaparte, ”La pelle”;
13) Luigi Meneghello, ”I piccoli maestri”;
14) Fulvio Tomizza, ”La miglior vita”;
15) Luigi Malerba e Tonino Guerra, ”Storie dell’anno Mille”;
16) Alessandro Baricco, ”Questa storia”.
-
Specialmente ”Questa storia” di Baricco dovrebbe essere ancora inedito in Serbia, e mi pare un romanzo molto buono – Baricco e’ autore vivente e cinquantenne, mentre Tomizza, Meneghello, Malaparte e Malerba sono morti. Cio’ non dice nulla, ovviamente. Le consiglio di cercarli su Google.
-
Lep pozdrav in Srečno novo leto
Sergio Sozi

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 01:42 da Sergio Sozi


P. S.
Forse anche un romanzo-fiume ormai classico come ”Orcynus orca” di D’Arrigo dovrebbe esser tradotto, credo: e’ difficilissimo, quanto Gadda o Landolfi, ma Le assicuro che merita la fatica. Fra i giovani, mettiamoci anche gli sbarbatelli, via, e’ Natale e bisogna esser buoni: Niccolo’ Ammaniti ”Come Dio comanda” e Alessandro Piperno ”Con le peggiori intenzioni”.
Robetta, ma decente.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 02:20 da Sergio Sozi


Poi ci sarebbe ”Nuova grammatica finlandese” di Diego Marani. Bel libro, molto bello. Ma non parla dell’Italia, quanto del problema dell’identita’. Romanzo intrigante, comunque, questo di sicuro, e scritto bene.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 02:22 da Sergio Sozi


…Per la saggistica, segnalo l’ultimo libro dell’illustre critico letterario Pietro Citati, appena uscito (a fine 2008): ”La malattia dell’infinito” – Citati e’ un luminare, un Grande Vecchio della critica italiana. E’ l’ultimo dei Mostri Sacri – morto Baldacci.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 02:28 da Sergio Sozi


Ed e’ tutto. Finalmente.

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 02:28 da Sergio Sozi


Caro Sergio,
ricambio gli auguri di un anno spensierato e ti ringrazio delle preziosissime proposte (non è un rimprovero ma, benché quel ‘gospa’ sloveno mi piaccia molto di più del ‘gospođa’ serbo-croato-bosniaco-montenegrino…, darsi del tu mi fa sentire molto più al mio agio e, sopratutto, un po’ più giovane).
Nonostante abbia letto alcune opere di Magris, Tabucchi, Benni, Camilleri, Baricco e Ammaniti, vedo che avrò un bel po’ da fare e da ‘googlare’.
Anch’io avrei una proposta per te: non trovi che sia un peccato che i lettori italiani non conoscano bellissimo, e da me adorato, ‘Levitan’ di Vitomil Zupan?
Tanti cari saluti,
Maja

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 16:15 da Maja Živković


@ Maja Živković
Cara Maja,
intanto benvenuta a Letteratitudine. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e ti esorto a continuare a intervenire (come dico sempre: sentiti a casa).
Molto carino il gioco che proponi…

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 17:50 da Massimo Maugeri


@ Sergio
Come sai considero l’Horcynus Orca di D’Arrigo come uno dei massimi capolavori del Novecento. Tradurlo è un’operazione titanica non tanto per il numero di pagine, quanto – piuttosto – per il linguaggio darrighiano (difficilissimo renderlo in un’altra lingua).
Ma sei finalmente riuscito a leggerlo, l’Horcynus Orca?

Postato domenica, 4 gennaio 2009 alle 17:53 da Massimo Maugeri


Con D’Arrigo vado avanti a passo di lumaca, Massimo – ho voglia di scrivere roba mia e lo faccio; poi ho appena finito ”L’allievo di Joyce” di Drago Jančar (candidato sloveno al Nobel); sto approfondendo il Bonaviri dell’ ”Infinito lunare” e ho quasi finito di rileggere ”Il viaggiatore incantato” di N. Leskov. Tutto insieme. Inoltre lavoro.
Comunque l’Orcynus lo posso consigliare all’estero perche’ non dubito del suo autore e perche’ l’ha letto integralmente mio padre che vale molto piu’ di me. E’ l’unico critico letterario di cui mi fidi, detto non fra virgolette ed in chiaro.
Ciao
Sergio

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 01:51 da Sergio Sozi


Ben venga il ”tu”, cara Maja – in genere lo considererei un po’ una forzatura moderna, ma se vuoi non mi dispiace affatto, tutt’altro (come si vede da queste righe!)
Il ”Leviatan” di Zupan non l’ho letto, purtroppo, soprattutto perche’ ho poca dimestichezza con lo sloveno. Qui a Lubiana comunico in italiano, inglese o francese: sono il tipico italiano pigrone con le lingue (almeno con quelle che non ho studiato quando ero giovane, ohibo!).
Mia moglie Veronika Simoniti sicuramente ne sapra’ qualcosa di piu’, o magari lo avra’ anche conosciuto di persona, e’ probabile. Chiedero’ lumi a lei. Grazie per il suggerimento, cara.
Sergio Sozi

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 02:05 da Sergio Sozi


Massimo,
cosa ne penseresti di proporre questo ”giochino” semiserio qui a Letteratitudine?
”I dieci libri italiani che vorreste far tradurre all’estero” (Anche se magari qualcuno di sicuro non sapra’ se un libro sia gia’ stato tradotto… e’ comunque interessante, no?).

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 02:19 da Sergio Sozi


Roberta, ho letto solo ora il tuo intervento del 29/12 e ci tenevo a dire che non riesco a trovare nessuno banale se non me stesso a volte. Nei blog i pensieri corrono veloci e si finisce per prendere posizioni nette senza tutte quelle sfumature che spiegano le differenze. Ti ringrazio per gli interventi su Shakespeare e per tutti gli altri commenti. Non badare a me. Passo di rado, assai meno di un tempo, qui su Letteratitudine. Ringrazio ancora Massimo per aver voluto riportare qualche mio breve commento nel libro dedicato al blog, ma è una buona scelta la tua di considerare poco quanto dico. Io sono una scommessa a perdere.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 07:39 da eventounico


@eventounico
Perdonami tu: ho scritto io una cosa stupida.
Tu eri entusiasta perché qualcuno finalmente parlava d’amore.
Te l’ho scritto perché ho pensato non ti piacesse che avessi “contraddetto” Lucia che parlava di traduzione in termini di “fare l’amore”.
Perché passi di rado su Letteratitudine, di questi tempi?
Ho letto alcuni tuoi commenti su altri post: mi sembrano belli. E figurati se Massimo li ha riportati sul libro dedicato al blog.
Ho capito che molti di voi di Letteratitudine si conoscono da tempo e discorrono come cari amici. E’ una cosa molto carina.
Ogni tanto arriva un “intruso” e dice la sua su un argomento.
Massimo fa in modo che l”intruso” non si senta mai tale. Altri, come te, Sergio, Lucia, Maria Lucia, Renzo rispondono “affettuosamente” al nuovo arrivato e così ci si sente “a casa”.
Io sono molto contenta.
Grazie per quello che mi scrivi.
A me piace molto scrivere qui e dialogare con voi.
Cari saluti:)

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 13:09 da roberta


@ massimo
Ho visto la porta aperta, mi sono accomodata da sola, ho chiacchierato un po’ in giro… :-) Grazie per l’affettuosa accoglienza,
Maja

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 17:44 da Maja Živković


@Sergio. Alla tua lista ne aggiungerei altri, magri depennando “I piccoli maestri” e sostituendolo con “Libera nos a Malo”, per me più equilibrato strutturalmente.

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 19:52 da Renzo Montagnoli


@ Eventounico e Roberta
Ho avuto modo di conoscere Eventounico a dicembre, a Roma, in occasione della fiera “Più libri, più liberi”. Ed ho avuto la conferma di ciò che pensavo: Evento è una persona squisita, sensibile e profonda.
Tu, cara Roberta, sei (ormai) una letteratitudiniana a tutti gli effetti. Mi sembri un’entusiasta (e mi piaci).
Insomma, amici miei, voi non lo sapete ma… mi state aiutando a scrivere “Letteratitudine, il libro – Vol. II – 2008-2010″.
Continuate a intervenire.
;)

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 00:32 da Massimo Maugeri


Massimo, ti ho mandato dei dolcetti.. nel post della Befana,
Pour te dire MERCI:)

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 15:58 da roberta


Renzo,
a parte ”I piccoli maestri”, cosa ne pensi degli altri titoli?

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 20:12 da Sergio Sozi


…e quali aggiungeresti ai miei, eventualmente ti garbassero cosi’ come sono?

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 20:12 da Sergio Sozi


Grazie, Roberta. Ho visto.
Merci à toi:)

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 23:57 da Massimo Maugeri


@ Maja e Sergio
Sì… in effetti il giochino sui libri italiani da tradurre necessariamente in altre lingue potremmo lanciarlo con un apposito post.
Che ne dicono gli altri? Vi piacerebbe?
Oppure – se volete – potremmo usare questo post che (comunque) ha a che fare con il tema della traduzione…

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 00:00 da Massimo Maugeri


@ Massimo
scusami se non mi sono fatta sentire prima, ma dalle parti nostre oggi si celebra Natale (siamo un po’ in ritardo come sempre :-) ) ed essendo io la madre, la moglie…insomma una donna infarinata letteralmente fino al collo, sarò breve: mi sento poco fiduciosa delle recensioni che si trovano in giro e che il più delle volte sembrano annunci pubblicitari e perciò avrei voluto sentire i consigli dei lettori ‘esperti’. Come una nuova arrivata lascio a te e agli altri ‘indigeni’ la decisione su dove e come trattare l’argomento. Aggiungerei solo una immagine per incitare la discussione: una volta arrivata in Italia, entro in una libreria e, totalmente confusa dalla valanga dei libri, esco con una nuova Tamaro e forse un Moccia, non sapendo niente delle ‘Panchine’ di Sebaste o di tanti altri libri deliziosi che non sono sempre (o quasi mai) tra i primi classificati. Siate buoni e non fate mi fare la figura di una cretina :-)

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 15:54 da Maja Živković


@Sergio:
Eccomi.
Per quanto ci lamentiamo del fatto che sono rari in Italia quelli che scrivono bene, quando si tratta di fare un elenco ci si accorge che le opere di eccellenza non sono poi così poche.
Premesso che ignoro se i romanzi che seguono siano stati già tradotti, aggiungerei alla tua lista questi autori:
- Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve, Storia di Tonle, L’anno della vittoria, Stagioni);
- Filippo Tuena (non c’è un romanzo che non sia molto bello, anche se su tutti vedo ancora Ultimo parallelo);
- Luisito Bianchi (La messa dell’uomo disarmato, considerato il più bel libro sulla resistenza, ma io aggiungo che ha ancora altri meriti);
- Sebastiano Vassalli (La chimera);
- Maurizio de Giovanni (I primi due romanzi “stagionali” sul commissario Ricciardi sono strepitosi);
- Valentino Rocchi (1504 – Notte all’Hostaria La Guercia, un romanzo storico scritto benissimo e avvincente dalla prima all’ultima pagina).
Per quanto concerne gli altri, non conosco Rapino e nemmeno Venezia e Pazzi.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 17:23 da Renzo Montagnoli


Caro Renzo,
ahime’, a mia volta non ho letto Tuena, Bianchi, de Giovanni e Rocchi. Pero’ condivido perfettamente la tua stima per ”La chimera” di Vassalli (e aggiungerei ”Un infinito numero” dello stesso autore) e per Rigoni Stern.
Sebastiano Vassalli lo intervistai qualche anno fa per conto del bimestrale lubianese ”Nova revija” (vedi se vuoi in Internet l’intervista completa in italiano, con tanto di introduzione, sempre in italiano, per i lettori sloveni, su un sito letterario. L’articolo si intitola: ”I libri che nascono dai libri son povere cose”).
Ciao
Sergio

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 20:47 da Sergio Sozi


Maja
ci dice ”mi sento poco fiduciosa delle recensioni che si trovano in giro e che il più delle volte sembrano annunci pubblicitari e perciò avrei voluto sentire i consigli dei lettori ‘esperti’.”
Ed e’ nel giusto. Pienamente. Sarebbe ora passata di iniziare ad esser seri. Basta con i ”casi editoriali dell’anno” montati e studiati a tavolino. Iniziamo un po’ tutti in Italia a considerare la Letteratura alla stessa stregua delle altre professioni: quanti pediatri ”luminari” ci saranno in Italia? Pochi quanto i grandi scrittori, gli scrittori rivelazione.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 20:51 da Sergio Sozi


Gli europei si sono stancati delle nostre pagliacciate mafiosoidi. Cominciamo a dire: ”tu non sai scrivere” piu’ spesso, che e’ vero: molti NON sanno scrivere – magari me compreso – e se glielo si dice chiaro in faccia potrebbero migliorare, altrimenti moriranno credendosi dei geni.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 20:54 da Sergio Sozi


Sempre a Renzo,
Roberto Pazzi e’ bravo. ”Conclave” (Frassinelli) e’ un romanzo surreale che ricorda da vicino le opere di Guido Morselli (”Roma senza Papa”) e dunque appartiene alla sparuta pattuglia di scrittori nostri che evitano il realismo ma amano l’iperrealismo e… la fantasia. Leggilo: garantisco personalmente per quel libro.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:02 da Sergio Sozi


Surreale e iperrealistico. Bravo, Pazzi – e tradotto all’estero in una ventina di lingue, oggidi’… ma ne manca ancora qualcuna.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:04 da Sergio Sozi


@Sergio: piano piano ti accorgi che quelli che scrivono bene non sono pochi e che a voler leggere tutte le loro opere dovresti dedicare tempo e finanze mai sufficienti. Il problema è un altro, e cioè che è più facile che siano conosciuti al grande pubblico dei lettori, e quindi vendano più libri, proprio quelli che scrivono meno bene, un po’ quello che ha verificato anche Maja.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:37 da Renzo Montagnoli


( Rischio di andare “fuori tema” ma spero di essere perdonata)
@Sergio:
Come al solito sono d’accordo con te: “molti NON sanno scrivere” e forse bisognerebbe dirglielo, senza paura di ferirli.
Immagino cosa intendi tu per “saper scrivere”( dimmi se sbaglio): un’eccellente FORMA, innanzitutto?
E’ come quando i poeti dell’Ottocento( prima del Simbolismo e delle Avanguardie- e qui ti cito nuovamente il caro Charles Baudelaire..) prima di qualsiasi cosa dovevano essere Parnassiani, “cultori della FORMA”( dico bene?).
E a Baudelaire puoi contare ogni sillaba, ché é perfetta.
Poi, però, come giudicare un romanzo o una raccolta di racconti?
Ovvero: CHI li giudica?
Non saprei.
Una volta avevo visto alla tele un vero litigio tra Carmelo Bene e Giovanni Raboni( lui c’entra, perché parlava di una sua raccolta poetica, credo, ma soprattutto ha tradotto LA RECHERCHE) e Carmelo Bene diceva a Raboni: “Cosa resterà di te, Raboni? Cosa resterà?”
Il TRIONFO sul Tempo potrebbe essere un criterio, ma non si può sempre aspettare per capire se uno scrittore é bravo.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:46 da roberta


@Roberta: premesso che è necessario che si scriva almeno in un ottimo italiano, la differenza fra un buon scrittore e uno eccellente è la stessa che distingue l’artigiano dall’artista. Insomma non è sufficiente confezionare una trama interessante, ma è necessario che si sappia dire qualche cosa di nuovo.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:51 da Renzo Montagnoli


@ Sergio: mi son segnato Pazzi, che ha scritto poi quella specie di congiura in Vaticano, una specie di seconda congiura de’ Pazzi, anzi secondo Pazzi.
Che molti non sappiano scrivere è una verità, purtroppo verificabile sempre più spesso.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 21:54 da Renzo Montagnoli


@Renzo:
sì, sì, certo. Parlavo della condizione necessaria, prima di poter “riempire” col contenuto.
Che poi, a dire il, vero, mi sembra siano le stessa cosa, almeno nel caso di scrittori eccellenti( penso a Flaubert e ai “patiti” della forma. Alla Yourcenar).

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 22:24 da roberta


@Renzo: e poi, certo, ci vuole il talento. Nell’arte é indispensabile, come “l’orecchio” per un cantante.
Bisognerebbe essere talmente bravi da RI-conoscere il talento in se stessi e negli altri. In se stessi mi sembra difficilissimo, perché penso che chi scrive e pubblica i propri scritti lo fa per un’esigenza interiore, perché gli é impossibile NON scrivere. E quello che scrive gli sembra bello, anche se lo RI- scrive o lo rivede più volte.
Nella biografia di Stevenson si dice che il genio scozzese avesse scritto un pò “di getto” JECKYLL E HYDE; che, pieno di entusiasmo, sia andato a far leggere immediatamente il manoscritto a sua moglie; che sua moglie glielo abbia un pò criticato( non ricordo per cosa esattamente, ma con “sapienza” e cognizione di causa); e che lui, preso dalla rabbia per quella critica da parte della sua amata, l’abbia gettato tra le fiamme del fuoco del caminetto….Pare che l’abbia RI-scritto in un paio di giorni e che finalmente questa seconda versione sia piaciuta maggiormente( anche all’autore stesso).
E’ un pò quello che diceva Sergio prima, a proposito del “coraggio” di dire a qualcuno che il suo libro non ci piace. Magari lo spingiamo a scriverne uno più bello.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 22:38 da roberta


@Roberta: concordo, anche se Stevenson è Stevenson, nel senso che è un autore che può essere considerato il padre della narrativa moderna. Molto dipende anche dai lettori: se tizio ha una bassa preparazione socolastica, non si accorgerà degli errori dell’autore Caio e ti posso assicurare che la media della preparazione (mi riferisco all’italiano) è un po’ scarsina, soprattutto da quando hanno abolito il latino alle medie inferiori, materia indubbiamente non facile, ma notevolmente formativa.
Ai miei tempi c’era e mi ricordo che mi piaceva, come mi piace anche oggi.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 22:44 da Renzo Montagnoli


Il talento è il genio, ma per svilupparsi ed evidenziarsi deve essere coltivato, nel senso che occorre una preparazione di base piuttosto approfondita e anche in seguito un continuo aggiornamento.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 22:46 da Renzo Montagnoli


Sì, Renzo, credo proprio che il latino alle scuole medie manchi moltissimo.(Ps: ti confesso che io lo detestavo, ma mia madre mi costringeva a fare almeno tre versioni in più rispetto a quelle assegnate dall’insegnante, per farmi vincere la pigrizia. Però tanto io non sono una scrittrice, quindi non mi controlla nessuno..)
Sulla “coltivazione” del genio: certo. Penso ai sette anni di “Studio matto e disperatissimo” di Leopardi.
Sì. E anche se non si é scrittori al pari di Stevenson o di Leopardi, sono necessari, credo, gli “ingredienti” di cui abbiamo detto.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 23:33 da roberta


Gia’, Roberta. Forma ineccepibile, almeno. Da li’ si comincia, o meglio si parte per la creativita’ – che viene ”dopo” che si sappiano le leggi dello scrivere, che sono tante, tante veramente. Il poeta sappia contare le sillabe, no? Altrimenti ‘’saltano” le basi e si rischia di dar ragione a Bene: ”Cosa restera’ di te?”
Be’: di Raboni resta tanto, di Bene quattro aficionados. Comunque sia, manzonianamente, ai posteri l’ardua sentenza. E ai contemporanei il cercare di anticiparla. Cercare, dico.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 02:47 da Sergio Sozi


P.S.
Creativita’ e tecnica sono l’una dipendente dall’altra, e al contempo simbiotiche. Chi pretenda di fondare l’arte su una solo di queste, a mio avviso sbaglia, ovvero mutila l’arte dell’armonia; o la mutila tout court, direi proprio.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 02:50 da Sergio Sozi


E rimettiamo il latino alle scuole dell’obbligo, che il Sessantotto ormai e’ finito e il latino non ha niente a che fare col fascismo, la borghesia e altre menate. Latino per tutti i parlanti una lingua romanza. Ecco. Ridatecelo. Ce lo ridiano, anzi, a scuola.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 02:52 da Sergio Sozi


Roberta e Renzo,
vi ho scritto qua sopra qualcosina.
Ciao
Sergio

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 21:59 da Sergio Sozi


@Sergio: non posso che essere d’accordo, visto che amo ancora leggere, cercando di tradurli, versi in latino di grandi poeti romani, poi non dimentichiamo che qualche anno fa avevo come vicino di casa un certo Vergilius Maro… Fra l’altro, l’apprendimento del latino, aiuta anche a comprendere altre materie, come la matematica, e una lingua che latina non è, ma che ha un’analoga costruzione rigorosa: il tedesco.
L’unica è mia moglie che dice che voglio resuscitare un morto, ma la scuso, perchè, essendo russa, non l’ha mai studiato.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:13 da Renzo Montagnoli


@ Quanto a Roberta, mi sa che stia facendo la pennichella, visto il suo fuso orario. Mi sembra che abiti negli USA a Philadelphia.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:14 da Renzo Montagnoli


Renzo,
quella mi sembra un’altra Roberta, non questa che ragiona con noi – la ‘’statunitense” scrive il proprio nome con la erre maiuscola.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:24 da Sergio Sozi


Ah, mi sono sbagliato allora. Però vedi com’è facile cadere in errore, anche perchè non è riscontrabile collegando il nome a un blog o a un portale, un po’ come nel tuo caso. Come mai non hai almeno il blog?

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:26 da Renzo Montagnoli


Le lingue, finche’ vengono lette e studiate, non muoiono. Sai in Slovenia cosa successe nella meta’ degli anni Sessanta? Tolsero le lingue classiche dalla scuola. Poi, oggi, le stanno riinserendo – e lo sloveno e’ ovviamente una lingua del gruppo slavo. Noi italiani, invece? No, noi neolatini il latino lo lasciamo solo ai colti. Ottima maniera di incentivare l’ignoranza dii massa, non credi? Mossa direi ”politica” come la diffusione dell’hascisch. Un italiano che non sappia tre parole di latino e’ un mezzo italiano.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:27 da Sergio Sozi


@ Tu stai a Lubiana, vero?

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:30 da Renzo Montagnoli


Renzo,
francamente io non ho tempo da buttare per imparare cose tecnologiche. Mi basta quel che ho e so. Chi mi riconosce mi riconosce per la mia firma e soprattutto per quel che dico, lo stile e i contenuti. La personalita’ non e’ confondibile, se la si ha. Chi non ce l’ha va su feisbuc o fa altre smanie. Io cerco solo di dialogare in italiano con persone come te, interessanti e che abbiano i miei interessi letterari. Sto bene cosi’, Renzo: sposato, con una figlia e tanta passione per la Letteratura. Perche’ cambiare?

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:31 da Sergio Sozi


Si’, sto qui a Lubiana da quattro anni circa e per altri quattro ho vissuto a Capodistria. Tu… non ricordo…

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:33 da Sergio Sozi


Sergio,
vero, ma io uso il blog come strumento di servizio, nel senso che pubblico, in seconda visione, quello che letto sul portale. Quello mi piace, perchè mi ha dato modo di leggere articoli interessanti, che poi ho pubblicato lì. Francamente, Arteinsieme era partito come un sito personale, poi qualcuno mi ha chiesto se poteva pubblicare qualche cosa e così oggi ha parecchi visitatori, anche da Lubiana…

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:35 da Renzo Montagnoli


Io abito a Virgilio, a circa 5 Km. a sud di Mantova. Dalle tue parti non sono mai stato, al massimo sono arrivato a Trieste, che è una bella città.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:36 da Renzo Montagnoli


@Sergio ed eventuali altri.
L’ora si fa tarda e vi saluto.
Buona notte.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:46 da Renzo Montagnoli


Ah, interessante. Comunque sono umbro d’origine romana: ho vissuto a Roma, Spello e Perugia. Poi mi sono innamorato.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:46 da Sergio Sozi


Buonanotte, Renzo. A domani.

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 22:50 da Sergio Sozi


@Renzo e Sergio:
avevo un fortissimo mal di testa ieri, come mi capita spesso, altrimenti avrei partecipato così volentieri alla discussione sul latino..che i neolatini dovrebbero davvero studiare.. Poi ho ripreso ad andare a scuola e faccio molti chilometri al giorno per arrivarci e devo alzarmi molto presto.Ma sono contenta perché proprio oggi abbiamo letto in classe un pezzo dell’atto III dal SOGNO e io e la collega di lettere abbiamo ascoltato i commenti degli studenti al pezzo di “film” che abbiamo fatto vedere loro perché “visualizzassero” una scena teatrale( nessuno di loro ha mai visto uno spettacolo a teatro: siamo nell’entroterra sardo.
Li porteremo a vedere MACBETH in primavera- che Dio ce la mandi buona..).
E TUTTI, proprio TUTTI hanno scritto: “Non ci piace la trasposizione che il regista ha fatto, perché Puck ce lo immaginavamo più carino, più piccolo e con le alucce celesti.. e anche le fatine ci hanno deluso.. Solo Oberon sembrava più bellino nel film, perché noi ce lo immaginavamo “vecchio”).
Io ero “al settimo cielo”: i ragazzi ci stavano dicendo che preferivano comunque il testo del nostro amatissimo William e che preferivano la loro immaginazione. Queste giornate danno un senso alla fatica di una vita.
( Forse ho sbagliato post… dovevo scriverlo in quello del teatro)
Ciao, cari.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 15:40 da roberta


Ps: sì, comunque molte persone non hanno capito che lo studio del latino sviluppa la logica e che apprendere una lingua straniera( che sia essa “une langue vivante” o “une langue morte”) non é una questione di MEMORIA, ma di riflessione sui meccanismi che sottintendono le strutture della lingua stessa.
E comunque é sempre come studiare “altro da sé”, che non vuol dire non amare la propria cultura. Vuol dire, però, “aprirsi” a mondi diversi, che siano quelli di Orazio e Virgilio o quelli di Ronsard.
Le traduzioni poi a noi al liceo ci facevano sempre ridere, perché inventavamo un sacco di fesserie: “SURSUM CORDA”= “su, su con la corda” ecc… Intanto lo facevamo. E durante i compiti in classe eravamo dei “traduttori” in erba.
Renzo: aiuto quanto é difficile il tedesco. L’ho studiato per un anno, poi mi sono arresa e sono tornata alla “douce France”.. E’ difficilissimo declinare e parlare contemporaneamente.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 15:54 da roberta


@Roberta: io ho studiato il tedesco perfino all’università, poi nell’uso pratico e corrente l’ho sostituito con l’inglese. Comprendo che possa risultare ostico, come a me risulta impossibile il russo, soprattutto per il diverso alfabeto. Mia moglie, russa, invece non ha avuto difficoltà ad apprendere l’italiano.
Il latino è sì una lingua morta, ma è di una bellezza veramente unica.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 17:46 da Renzo Montagnoli


@Renzo:
quindi tu puoi leggere Thomas Mann in tedesco e tua moglie Cechov in russo? Beati.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 18:14 da roberta


Ps: per il latino… Perdonami, ma quando ho studiato per l’esame di filologia romanza ho dovuto riprenderlo e, Dio mi perdoni, non lo amo..
Però ne riconosco l’importanza, sempre e comunque.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 18:17 da roberta


@ Roberta: no, non sono in grado di leggere Thomas Mann in tedesco. Non è solo sufficiente studiare una lingua, ma occorre viverla, andare in loco, parlare con la gente, restare un tempo abbastanza lungo e allora si riesce anche a imparare discretamente.
Certo, se devo andare in Austria o in Germania non ho difficoltà a chiedere una strada, a leggere un menù, oppure a dare almeno un’occhiata ai titoli dei giornali. Leggere un libro è un’altra cosa e questo mi riesce solo con il francese.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 18:28 da Renzo Montagnoli


Diciamo che “mi inchino” lo stesso, anche se non amo il latino.
Perché senza Esopo non ci sarebbe Fedro( dico bene? oppure ho scritto una fesseria?) e senza Fedro non ci sarebbe La Fontaine, il grande moralista del XVII° secolo. Eh. Che a proposito di TRADUZIONI e “IMITAZIONI”, prima di “imitare” Fedro l’ha tradotto. Ma infatti La Fontaine era un “Ancien”, ossia faceva parte di quella schiera di “innamorati” della tradizione letteraria precedente che hanno re-interpretato gli antichi.
Credo che questo sia il vero spirito dell’Umanesimo e vedo te e Sergio proprio come due veri umanisti.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 18:37 da roberta


@ Renzo:
sì, lo so come “funzionano” le lingue straniere. Leggere un libro e parlare sono due cose diverse e, se non fai un viaggio nella terra straniera, non potrai mai cogleire neppure l’”essenza” di quel popolo..
Eh, perché sarebbe bello che ci facessimo l’idea di TUTTI i francesi leggendo Proust..
O che gli stranieri si facessero l’idea degli italiani attraverso Cavalcanti, Dante o Foscolo..
Purtroppo sarebbero delusi al loro arrivo.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 18:43 da roberta


Volevo aggiungere( anche se non c’entra con le traduzioni, ma c’entra con l’Umanesimo) un breve brano da un saggio di Marguerite Yourcenar( che mi sembra incarnare anche lei moltissimo lo spirito umanista). Lo metto così, per parlare di lei e per avvalorare un’idea che lei mi ha trasmesso e che non mi abbandona più.

(Tratto da: “CHISSA’ SE LO SPIRITO DELLE BESTIE SCENDA GIU’”-1981)
” Vi erano nel cristianesimo tutti gli elementi di un folclore animale quasi non meno ricco di quello del buddhismo, ma l’arido dogmatismo e la priorità data all’egoismo hanno prevalso. Sembra che a questo riguardo un movimento pseudo-razionalista e laico, l’umanesimo, nel significato recente e improprio del termine, che pretende di accordare interesse solo alle realizzazioni umane, sia l’erede diretto di questo cristianesimo impoverito, a cui sono stati sottratti la conoscenza e l’amore del resto degli esseri.”
Magari non siete d’accordo sul “movimento pseudo-razionalista e LAICO”, oppure sul “Cristianesimo impoverito”, però lei lo scrive con intenzioni polemiche, giacché aveva deciso, prima di morire( nel 1987) di occuparsi di una eventuale “Déclaration des droits des animaux”.
Io l’ho messo qui perché lo spirito dell’Umanesimo mi ha sempre affascinato.
Ma bisogna tener conto che l’”esaltazione” del genere umano ha i suoi “difetti”.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 19:03 da roberta


Be’, Roberta… la Yourcenar specifica chiaramente che sta riferendosi all’ ”umanesimo, nel significato recente e improprio del termine” (sic), non cita l’Umanesimo italiano storico, quello quattrocentesco. Dunque concordo con lei – la quale era una grande e vera umanista ”italiana” fuori tempo massimo, ovvero vissuta ”apparentemente” oltre il Quattrocento (ma ‘’sostanzialmente” NEL Quattrocento, come tutti sappiamo leggendone le opere).

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 19:57 da Sergio Sozi


Per capire questa privilegiata natura di Marguerite Yourcenar, a mio sentire basta sapere che ebbe la possibilita’, datagli dai genitori, di studiare in casa solo le materie che le piacevano – con precettori privati d’alto livello. E’ quel che occorrerebbe a ciascuna persona che avesse delle spiccate qualita’ ed attitudini sin da piccola, direi proprio…

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:05 da Sergio Sozi


P.S. per Roberta,
grazie per l’appellativo di ”umanista”. Lo sono, forse, perche’ io non solo amo la mia lingua, ma mi sento dentro ad essa, ne sono parte… o meglio essa e’ parte della mia personalita’, non della mia vita ”esteriore”. Io sono la mia lingua. Cio’ mi porta a capire che in Europa e nel mondo gli umanisti sono tutti coloro che sentano cose simili alle mie per la propria lingua madre – perche’ di ”mamma” ce n’e’ una sola. E inoltre penso che questo tipo raro di persone siano i migliori traduttori letterari, in genere (non parlo di me, che’ io traduco solo per soldi: a me piace scrivere racconti e critica letteraria, il resto lo faccio per campare).

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:12 da Sergio Sozi


Sì, é vero, Sergio. Mi hai fatto capire meglio.
Non credi che abbia respirato molto anche dell’Umanesimo europeo( dopo il Quattrocento italiano, ovviamente). Penso al suo Zenone dell’OPERA AL NERO, ma anche ad altri grandi umanisti del Rinascimento europeo, come Rabelais. Questo, naturalmente, senza nulla togliere all’Umanesimo italiano da cui “nasce” tutto.
( e forse, lo aggiungo con rammarico, l’Umanesimo italiano “esportato” vive ancora all’estero e da noi “é morto”).
Sì, anche lei diceva sempre di essere stata una privilegiata.
Certo,come ha scritto lei stessa, se avesse dovuto lavorare e faticare per vivere, non avrebbe avuto il tempo di tradurre i “lirici greci, né la possibilità di dedicarsi interamente ai viaggi e alla scrittura. Menomale per noi, però, che questa grande artista é esistita e ha scritto: per me la sua intervista “LES YEUX OUVERTS” é come una “Bibbia”. E quanti altri ha “illuminato”, lei, Marguerite, l’unica donna eletta all’Académie Française..

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:23 da roberta


Ps: concordi con lei, dunque, quando lamenta il maltrattamento di tutti gli esseri diversi dagli umani?
Ha anche detto, sempre in un’intervista, che era “felice di andarsene” da questa terra( lo ha detto nel 1987, credo, ed era nata nel 1903) poiché per nulla le piaceva la nostra epoca; infatti “tuonava e tuonava” nei suoi saggi…

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:29 da roberta


L’umanesimo e’ questione di elite. Non perche’ lo sia da un punto di vista politico-sociale-economico: lo e’ perche’ umanisti si nasce, non si diventa, tutto qui. E’ elettivo. Poi, se si e’ fortunati, si incontra dei genitori sensibili, altrimenti… si finisce per spegnersi sotto ai detriti della buzzurraggine imperante – oggi come sempre.
Su Rabelais e l’Umanesimo europeo siamo d’accordo: l’onda lunga dello spirito italiano VERO prosegue solo all’estero. In Italia gli scrittori pensano a vendere i libri, non a scriverli.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:35 da Sergio Sozi


Sulla polemica ”animalistica” della Yourcenar avrei qualcosa da osservare, ma personalmente la questione vorrei metterla cosi’, in definitiva: siccome l’uomo e’ un animale onnivoro per natura, bene che mangi di tutto – anch’io mangio carne e frutta, verdura, eccetera – ma maltrattare gli animali e’ cosa diversa e spregevole. Alleviamoli e mangiamoceli, d’accordo, ma senza trattarli come sassi. Non sono sassi.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:39 da Sergio Sozi


@ Sergio: credo che siano i migliori traduttori, é vero.
Non ho letto i tuoi racconti né le tue critiche letterarie, ma non dubito mi piacerebbero( non che il mio giudizio possa avere una qualche rilevanza, é ovvio).

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:41 da roberta


…E spesso, va sottolineato, gli uomini considerano sassi in primis gli altri uomini. Dunque diamoci una regolata con tutti: la vita e’ sacra, anche quando occorre nutrirsene. Ma gli uomini vengono prima.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:42 da Sergio Sozi


Non sono nessuno; comunque se ti interessa, cerca il mio nome tramite Google e troverai qualcosa. Cosi’ inizierai, finalmente, a trattarmi male (ah ah ah!).

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:45 da Sergio Sozi


I genitori sensibili:un’altra cosa verissima.
Sugli animali: io sono un pò più “radicale”, anche se poi figurati le contraddizioni di cui sono pervasa( come tanti sedicenti “animalisti”): ingollo una quantità enorme di pastiglie per il mal testa( testate sugli animali).
Anche lei parlava dei maltrattamenti, in effetti; degli allevamenti nelle batterie ecc.. Non del fatto che gli umani li mangino.
Per i “sassi”…. lei dice nell’intervista che é grata anche ai sassi..:
“(…) Et qui s’est adossé à un rocher pour se protéger du vent, qui s’est assis sur un rocher chauffé par le soleil, en y posant les mains pour essayer de capter ces obscures vibrations que nos sens ne perçoivent pas, a bien de la peine à ne pas croire obscurément à l’amitié des pierres.(…)”
A te la traduzione, se vorrai farla.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:55 da roberta


Andrò a cercare. cos’hai scritto.
Ma certamente non per “trattarti male”.
Figurarsi! Trattar male un Umanista.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 20:58 da roberta


Metti la ”u” di ”umanista” minuscola, se parli con me, ti prego. Io sono di quest’era, misero e ”minus habens” com’essa. Le pastiglie prese in dosi eccessive, poi, fanno male anche al di la’ delle sperimentazioni sugli animali. Gli ”altri” animali, che’ anche noi lo siamo per definizione.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 21:10 da Sergio Sozi


Sto gia’ traducendo dall’inglese ed ora approfitto di una pausa, Roberta. Lavoro con lentezza per far bene le cose ed evito di sovrapporre le lingue. In genere faccio una cosa per volta. Pero’ ho letto la citazione in lingua e concordo con quanto scritto dalla Yourcenar. Qualcosa di simile lo espressi anche nel mio modestissimo racconto ”Domitilla”, il cui incipit e’ anche in Internet (sito ”Il compagno Segreto”, mi sembra). Io i sassi li adoro solo un poco meno degli alberi e questi li adoro poco meno degli animali, che adoro poco meno degli uomini. Noi.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 21:17 da Sergio Sozi


Rubo un altro pò di spazio per altri due brevi brani dall’intervista “Les yeux ouverts”. Li metto anche per Renzo e per Lorenzerrimo, perché mi sembra che anche loro( deduco dai loro post anche sull’argomento Facebook) mal sopportino certe superficiali cretinerie del nostro tempo..

“(…) Et puis, il y a toujours pour moi cet aspect bouleversant de l’animal qui ne possède rien, sauf la vie, que si souvent nous lui prenons. Il y a cette immense liberté de l’animal, enfermé certes dans les limites de son espèce, mais vivant sans plus sa réalité d’ “ETRE”, sans tout le faux que nous ajoutons à la sensation d’exister.(…)”
E ANCORA:
“(…) Il y a meme, d’une espèce à une autre, d’un individu de cette espèce à un autre, les memes variations que chez nous entre un homme intelligent et un imbécile, avec cette différence toutefois que la betise de l’animal n’est jamais due à l’absorption de slogans.(…)”
(Perdonate la mancanza di accenti circonflessi: non li trovo).

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 21:31 da roberta


Va bene. Buon lavoro.
Metto io una specie di traduzione( ché traduttrice non sono per nulla) che potrà essere corretta da chi vorrà farlo( e anche perché non possiedo proprio il testo tradotto egregiamente in italiano da Bompiani, e che starebbe meglio qui, ovviamente).

“E poi c’é sempre per me questo aspetto sconvolgente dell’animale che non possiede niente, tranne la vita, che così spesso noi gli prendiamo. C’é questa immensa libertà dell’animale, rinchiuso, certo, nei confini della sua specie, ma vivendo senza più la sua realtà di “essere”, senza tutto il falso che noi aggiungiamo alla sensazione dell’esistere(…)”

“(…)Ci sono anche, da una specie all’altra, da un individuo di questa specie all’altro, le stesse variazioni che tra un uomo intelligente e un imbecille, con questa differenza, tuttavia: che la stupidità dell’animale non é mai dovuta all’assorbimento di slogan.(…)”
BRANI TRATTI DA: Matthieu Galey: “LES YEUX OUVERTS”- “ENTRETIENS” con MARGUERITE YOURCENAR.
N.B.
Qui é particolrmente difficile rendere “la BETISE DE L’ANIMAL” perché in francese “BETE” significa “bestia” nel senso di animale e anche “stupido”, usato come aggettivo.

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 21:51 da roberta


@Massimo
Mi é venuto un dubbio: si possono mettere traduzioni qui( anche “alla buona”) di brevi brani, oppure riferimenti a traduzioni che si conoscono, segnalando la casa editrice?
Perdonami: te l’avrei chiesto in un altro spazio, ma non saprei dove.
Grazie.
Cari saluti:)

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 22:37 da roberta


@ Roberta
Cerrrrrrrrrrto, mia cara:)
Tutto quello che riguarda le traduzioni… trova casa in questo post:)

Postato lunedì, 12 gennaio 2009 alle 23:49 da Massimo Maugeri


PIERRE DE RONSARD: SONNETS POUR HELENE:

“Quand vous serez bien vieille, au soir, à la chandelle,
Assise aupres du feu, devidant et filant,
Direz, chantant mes vers, en vous esmerveillant:
Ronsard me celebroit du temps que j’estois belle.

Lors, vous n’aurez servante oyant telle nouvelle,
Desja sous le labeur à demy sommeillant,
Qui au bruit de mon nom ne s’aille resveillant,
Benissant vostre nom de louange immortelle.

Je seray sous la terre et fantaume sans os:
Par les ombres myrteux je prendray mon repos:
Vous serez au fouyer une vieille accroupie,

Regrettant mon amour et vostre desdain.
Vivez, si m’en croyez, n’attendez à demain:
Cueillez dès aujourd’huy les roses de la vie. ”
N.B. LA TRADUZIONE DEL SONETTO DA PARTE DI MARIO PRAZ NEL POST SULLA POESIA.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 20:27 da roberta


Roberta,
a rileggere le parole della Yourcenar che hai riportato qua sopra, mi e’ venuta in mente un’associazione di idee fra ”bestialita”’ e ”umanita”’. Associazione che squalifica entrambi, direi dopotutto: noi e gli ”altri animali”. Poi – sempre proseguendo nella concatenazione delle cause e degli effetti dei miei pensieri – mi e’ sovvenuto un volumetto, tradotto da Veronika Brecelj, del narratore sloveno Drago Jančar; lo ho appena letto e te lo consiglio: ”L’allievo di Joyce”, racconti di Drago Jančar, Ibiskos Editrice Risolo, 2008. Il curatore della collana e’ un professore sloveno del quale conosco la serieta’ e la competenza, Miran Košuta (sloveno triestino). Leggilo, se vuoi.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 22:08 da Sergio Sozi


P.S.
Garantisco personalmente che ti rimborso se non ti dovesse piacere!

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 22:10 da Sergio Sozi


Certo, grazie,
lo cercherò. Il titolo già mi piace.
E non nutro dubbio alcuno neanche sulla qualità della traduzione.

Non posso trattenermi e immagino neppure tu voglia trattenerti troppo su questo post, ma sono curiosa di sentire la tua opinione sull’8° verso del sonetto di Ronsard:
“Benissant vostre nom de louange immortelle”
e qui la traduzione del nostro amatissimo Praz si discosta molto, però, dal testo. ” E lodi il vostro nome ch’ebbe sì buona stella”.
Saranno le esigenze ritmiche del testo poetico in italiano, suppongo.
Sì, perché il termine “louange” é stato trasformato in verbo, ma manca nella traduzione il termine “immortelle”( sostituito da “sì buona stella”) e in Ronsard é importante. Non so, magari sto invadendo un “campo” che non é il mio.
Ciao:)
Ps: Per l’associazione di idee suggerita dalla Yourcenar, scusa ma io, lo sai, non direi che l’associazione fra “bestialità” e “umanità” squalifica entrambi.. Esiste una parte dell’umanità che é così amabile.. ma per quanto mi riguarda, la grossa fetta dei non-amabili preferirei non incontrarla. Facciano e vivano come credono. Io mi fermo ad ammirare le mucche bianche che pascolano nel vasto paesaggio inabitato della mia antica terra…
Ps2 Tutta quella poesia di oggi sul post della poesia mi ha fatto diventare “poetica”..

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 22:49 da roberta


La poesia è quello che distingue l’uomo bestia dall’uomo che tende a diventare uomo. Fatte salve le vere bestie, esseri che insieme alle piante umilmente fanno la volontà di chi le ha create.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:01 da MarialLucia Riccioli


”Benedica il vostro nome con un perenne encomio” e’ la traduzione letterale. Io pero’ dovrei rivedere tutto il contesto per dire come e’ stata la – originale senza dubbio e personale – traduzione del Praz. Forse sostituirei ”benedire” con ‘’santificare” o qualcosa del tipo di ”eternare”… ma dovrei lavorarci sopra professionalmente.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:09 da Sergio Sozi


@Maria Lucia,
perdonami,
ti scrivo in breve ( scappo se no oggi mi “azzanna” qualcuno) per dirti:
1) ti ho mandato una domanda sul post della poesia…circa il verso HYPOCRITE LECTEUR, MON SEMBLABLE, MON FRèRE ( hai scritto che stai leggendo il libro su Baudelaire.. e poi era per parlarne un pò)
2)Chiunque abbia creato esseri e piante del mondo, me mi ha fatto felice di poterle osservare e amare. Si può pensare così anche senza essere religiosi, giusto? Oppure avere una visione vagamente “panteistica”?
Boh.
Ciao,
carissimi saluti.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:09 da roberta


Eila’, Marilu’!
Ti saluto a ”parole tronche d’accento”. Sai che la tua amica Simona scrive bene? Le ho appena scritto per posta ordinaria una serie di brevi impressioni. Tu, come stai?

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:10 da Sergio Sozi


@Sergio
Merci de ton temps.
Bella la tua traduzione.
Io lascerei, comunque, il termine IMMORTALE.
Mah.. Sono “guasta”, non ci riesco proprio a discostarmi dal testo.
Bonne nuit:)

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:13 da roberta


…”Tu, ipocrita lettore” di Carlo Bodeler e’ (anche anche) l’incipit di un libro di mio padre… pensate che figlio scapestrato che sono… statemi lontano, figliole mie…

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:15 da Sergio Sozi


Pero, Roberta, l’encomio e’ piu’ ”perenne” che ”immortale”, nella lingua dotta, devi ammetterlo…

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:16 da Sergio Sozi


Finisco subito, Roberta. Si tratta, qui, infatti, di un qualcosa di non vivente, di inanimato; dunque andrebbe usato ”perenne”, invece ”immortale” e’ aggettivo per gli esseri animati.

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:19 da Sergio Sozi


Forse non conosco la lingua dotta..
Sì, sì ho capito, comunque.
Grazie, Sergio. Mi serve sempre domandare..

Postato venerdì, 16 gennaio 2009 alle 23:29 da roberta


Caro Sozi,
peccato aver dovuto lasciare te e Maria Lucia ieri.
Eh, ma infatti hai ragione su quella faccenda dell”HYPOCRITE LECTEUR”.
Potresti scrivere qui la tua idea, se vuoi.
Mi giudichi una grande ignorantona, vero? Perché non conosco l’italiano “dotto”. Né il greco. E avevo sempre 4 in latino, me misera..
Sì sì, é vero, lo sono.
Io sono guidata soltanto da una PERENNE passione per la letteratura.
Solo questo posso trasmettere. Mica lo dico con rammarico, perché é proprio così.
L’unica cosa che non ho é “il grigiore”( ringraziando la natura anche per i colori che mi ha regalato).
Mi piace molto scherzare anche qui, con te, Maria Lucia, Lorenzerrimo( al quale devo spedire un piatto con sopra i vostri nomi colorati e dipinti invece delle foglie d’alberi…)e altri.
Eh, scrivimi sull’HYPOCRITE…

Postato sabato, 17 gennaio 2009 alle 18:37 da roberta


Riporto qui in francese+ la traduzione( maldestra, perché ho soltanto il testo in francese- ma Massimo mi ha autorizzato..) un brano dal testo di Marcel Proust. Sempre se non ho frainteso quello che Maria Lucia mi ha scritto su Baudelaire( che “tormenta” entrambe… a quanto pare..) nel post sulla poesia.

” (…)La fameuse méthode(…) qui consiste à ne pas séparer l’homme et l’oeuvre, à considérer qu’il n’est pas indifférent pour juger l’auteur d’un livre, si ce livre n’est pas un “traité de géométrie pure”, d’avoir d’abord répondu aux questions qui paraissaient les plus étrangères à son oeuvre( comment se comportait-il, etc.), à s’entourer de tous les renseignements possibles sur un écrivain, à collationner ses correspondances, à interroger les hommes qui l’ont connu, en causant avec eux s’ils vivent encore, en lisant ce qu’ils ont pu écrire sur lui s’ils sont morts, cette méthode méconnait ce qu’une fréquentation un peu profonde avec nous-memes nous apprend: qu’un livre est le produit d’un autre MOI que celui que nous manifestons dans nos habitudes, dans la société, dans nos vices(…)”-
( da M.Proust:CONTRE SAINTE-BEUVE- Folio-Essais-pag.127)
“(…)Il famoso metodo(…) che consiste nel non separare l’uomo e l’opera, a considerare che non é indifferente per giudicare l’autore di un libro, se questo libro non é un “trattato di geometria pura”, avere prima di tutto risposto alle domande che sembrano più etranee alla sua opera ( come egli si comportava ecc), a circondarsi di tutte le informazioni possibili su uno scrittore, a collazionare la sua corrispondenza, a interrogare gli uomini che l’hanno conosciuto, parlando con loro se vivono ancora, leggendo ciò che hanno potuto scrivere su di lui se sono morti, questo metodo disconosce ciò che una frequentazione un pò profonda con noi stessi ci insegna: che un libro é il prodotto di un altro “IO” rispetto a quello che noi manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi(…)”.
COSA NE PENSI, MARIA LUCIA? Ti piace questa tesi di Proust?

Postato sabato, 17 gennaio 2009 alle 23:55 da roberta


Sergio,
sì ho letto poco fa la tua risposta sul post della poesia: non importa, figurati.
Se Maria Lucia tornerà a dialogare in contemporanea, potremo riprendere; se no tanto quel verso resta lì, nella raccolta dei fiori del male, perennemente misterioso.
Ciao:)

Postato domenica, 18 gennaio 2009 alle 00:01 da roberta


@ Roberta
Continui a mentenere in vita questo post.
Sei splendida!:)

Postato domenica, 18 gennaio 2009 alle 23:17 da Massimo Maugeri


Roberta e’ proprio un bell’acquisto, eh Maugger feroce?

Postato lunedì, 19 gennaio 2009 alle 00:19 da Sergio Sozi


Poi cambio un secondo argomento – ma non troppo: a Veronika (mia moglie traduttrice dal francese e dall’italiano in sloveno) e’ appena giunto un rapporto dettagliato di un organismo dell’Unione Europea sullo stato della professione di traduttore letterario nei vari Paesi UE. Prima o poi vi riporto qualche ”bel” dato riguardante anche l’Italia. Che ci fa capire quanto stan messi male i traduttori letterari nostri… eccetera…

Postato lunedì, 19 gennaio 2009 alle 00:22 da Sergio Sozi


Roberta,
mi raccomando, cara: non prendere mai male quanto io preciso; cerco solo di puntualizzare, di ricercare assieme agli altri (te compresa) le cose migliori da fare e non di correggere per il gusto (che non ho) di fare la figura del ”bravo”. Penso solo che se ci si corregge a vicenda e ci si critica senza superbia la Letteratura ne guadagna – non il mio ego, per carita’! Io sono uno che quando pubblica qualcosa cerca sempre i critici piu’ severi: quelli che ti stroncano motivando punto per punto e ti elogiano motivando punto per punto. Cosi’ cresco. Cosi’ crescerei, anzi, dico, perche’ di solito o si elogia o si stronca, in Italia, e senza il ”punto per punto” che farebbe migliorare lo scrittore.
Ciao, cara
Sergio

Postato lunedì, 19 gennaio 2009 alle 00:30 da Sergio Sozi


Caro Sergio,
non dubito dei tuoi intenti e da te imparo.
Certa, anzi, certissima, che tu sappia leggere perfettamente ciò che scrivo qui. Non sempre succede( qui in questo spazio, voglio dire) che si capisca esattamente con chi si ha a che fare. Si é fraintesi perchè non a tutti il linguaggio( quello che tu conosci così bene) dice le stesse cose.
Ma va bene lo stesso.
Per me sei sempre l’ interlocutore prediletto, senza togliere nulla a nessuno. Perché tutti sono carini, qui, a cominciare da Massimo che é troppo “attachant”, anche così, in modo “virtuale”.
A Lorenzerrimo sto per preparare “IL PIATTO PROMESSO”…(sembra il titolo di un libro scritto malino, vero?)
Ciao:):)

Postato lunedì, 19 gennaio 2009 alle 16:40 da roberta


Domani vado a Milano a firmare per Rizzoli come traduttore! Divento un traduttore vero… :) ))

Gordiano

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 12:08 da Gordiano Lupi


Signor Lupi,
congratulazioni vivissime.
Vorrà darci una mano, qualche volta, al perfezionamento delle traduzioni “caserecce” eventualmente riportate qui?
Saranno riportate anche quelle di traduttori insigni, ma capita di non avere la traduzione a portata di mano e mettiamo, con l’autorizzazione di Massimo, “nostre produzioni fatte in casa”.
Grazie infinite
Roberta

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 13:18 da roberta


Riporto alcune “MAXIMES” di François de La Rochefoucauld (1613-1680):

Mx 357: ” LES PETITS ESPRITS SONT TROP BLESSéS DES PETITES CHOSES; LES GRANDS ESPRITS LES VOIENT TOUTES, ET N’EN SONT POINT BLESSéS”=
” Le menti ristrette si adontano troppo per le piccole cose; i grandi intelletti le vedono tutte e non ne vengono minimamente offesi”.

Mx 358:”L’HUMILITé EST LA VéRITABLE PREUVE DES VERTUS CHRéTIENNES: SANS ELLE NOUS CONSERVONS TOUS NOS DéFAUTS, ET ILS SONT SEULEMENT COUVERTS PAR L’ORGUEIL QUI LES CACHE AUX AUTRES, ET SOUVENT A NOUS-MEMES”=
” L’umiltà è la vera prova delle virtù cristiane: senza di essa noi conserviamo tutti i nostri difetti, celati soltanto dall’orgoglio che li nasconde agli altri e spesso anche a noi stessi”.

Mx 294: “NOUS AIMONS TOUJOURS CEUX QUI NOUS ADMIRENT; ET NOUS N’AIMONS PAS TOUJOURS CEUX QUE NOUS ADMIRONS”=
“Noi amiamo sempre quelli che ci ammirano; ma non sempre amiamo quelli che ammiriamo”.

Mx 356: “NOUS NE LOUONS D’ORDINAIRE DE BON COEUR QUE CEUX QUI NOUS ADMIRENT”=
“Solitamente lodiamo di cuore soltanto coloro che ci ammirano”.

E questa “géniale”:
Mx 304: “NOUS PARDONNONS SOUVENT à CEUX QUI NOUS ENNUIENT, MAIS NOUS NE POUVONS PARDONNER à CEUX QUE NOUS ENNUYONS”=
“Perdoniamo spesso chi ci annoia, ma non possiamo perdonare quelli che annoiamo noi”.
(TRADUZIONE di Giovanni Bogliolo-La Biblioteca Ideale Tascabile).

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 19:34 da roberta


@roberta
mi fa molto piacere rileggerti e colgo l’occasione per farti i complimenti alla nomina di “curatrice” del post traduzioni.
la mx 357 secondo te “esprit” in questo caso non andava bene anche inteso come spirito, nel senso degli animi piccoli, mediocri e degli animi grandi, magnanimi?Come mai si preferisce la traduzione di “menti” che mi pare più ristrettiva?
cari saluti

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 21:52 da francesca giulia


Sì, carissima Francesca Giulia, hai ragione: però é difficile qui rendere in italiano il significato della parola “esprit”, perché non é “spirito” ; forse “animo”, come dici tu. Sul dizionario riportano: “mente”, “animo”.
Eh, com’é sferzante La Rochefoucauld, vero?
Ti taglia a fette in quattro parole.
Sono contentissima che tu abbia letto le “Maximes” e mi abbia scritto.
Ti ringrazio davvero. Poi se hai suggerimenti, me li puoi scrivere e anzi, a dire il vero, Massimo potrebbe nominare anche te coordinatrice, così potremmo curare assieme questo “laboratorio”.
Tanti baci.
Scrivimi qual é di queste la tua preferita… la mia è la 304, perchè mi diverte moltissimo l’umorismo di questo genio di La Rochefoucauld.

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 22:48 da roberta


@roberta
grazie, suggerimenti quanti ne vorrai,ma non credo di essere all’altezza come coordinatrice, parlo spinta dall’intuito e dalla passione per particolari frasi o poesie. Comunque mi piace molto la 294, c’è dentro l’ombra del peccato capitale che mi affascina di più: l’invidia. In fondo la faccia buona per così dire dell’invidia nasce proprio dalla forte ammirazione per qualcuno che ha qualcosa che vorremmo avere noi,non si invidia se non si ammira. In questa massima di La R. leggo anche l’immancabile debolezza dei sentimenti umani,insomma mi piace. La 304 anche, sono quasi tutte “affondanti”.
cari saluti

Postato venerdì, 23 gennaio 2009 alle 09:33 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
non mi sono dimenticata che anche tu hai una grande passione per LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE.. Quindi ti chiedo( ma non oggi perché non posso- ma magari puoi tu) se proviamo a inserire qui brani dal libro prediletto: io ce l’ho solo in inglese; tu puoi mettere le tua versione, quella che hai a casa tua e poi parliamo di quella che ci piace di più, oppure riportiamo la traduzione e basta senza esprimere il nostro parere e parliamo di ALICE. Va bene?
Sì, é vero, il termine per “invidia” per La Rochefoucauld è “envie”: un sentimento che offusca la mente. Ma lui sistema tutti, n’est-ce pas?
Ciao:):)
Ps: anch’io sono spinta nient’altro che dall’intuito e dalla passione per la letteratura e il teatro.

Postato venerdì, 23 gennaio 2009 alle 19:28 da roberta


@roberta di Alice mi piace tutto!E’ il capolavoro del nonsense, si presta a mille interpretazioni,è ancora tremendamente moderno.
Ti riporto questo brano che mi sta a cuore perchè parla di un tema che sento molto:IL Tempo.
Hai trovato la risposta all’indovinello?-chiese il Cappellaio rivolgendosi ad Alice.-No,ci rinuncio-rispose Alice-qual è la risposta?
-Non ne ho la minima idea-disse il Cappellaio.
-E neppure io- aggiunse la lepre Marzolina
Alice sospirò pensosamente e disse-Penso che potreste usarlo meglio il vostro tempo invece di perderlo, chiedendo indovinelli senza risposta.
-Se tu conoscesi il Tempo come lo concosco io-disse il Cappellaio- non parleresti di perderlo,Egli è.
-Non capisco cosa vuoi dire- disse Alice
-Per forza che non capisci!-rispose il cappellaio scuotendo la testa con disprezzo- Immagino che tu non abbia mai parlato con il Tempo.
-Forse no-rispose con prudenza Alice-ma so che devo battere il tempo quando studio musica.
Ah!Questo ne è la prova- disse il cappellaio.-Egli non sopporterà d’essere battuto.Infatti se solo ti tenessi in buoni rapporti con lui,egli farebbe fare all’orologio tutto quello che vuoi.
……………..
buonanotte a chi col tempo parla e a chi non lo fa ancora.

Postato sabato, 24 gennaio 2009 alle 01:07 da francesca giulia


Riporto di seguito il brano proposto da Francesca Giulia:
” HAVE YOU GUESSED THE RIDDLE YET?”-
The Hatter said, turning to Alice again.
“NO, I GIVE IT UP”- , Alice replied: “WHAT’S THE ANSWER?”
” I HAVEN’T THE SLIGHTEST IDEA”- said the Hatter.
“NOR I”, -said the March Hare.
Alice sighed wearily.
“I THINK YOU MIGHT DO SOMETHING BETTER WITH THE TIME”,-she said,
“THAN WASTE IT ASKING RIDDLES WITH NO ANWERS.”
“IF YOU KNEW TIME AS WELL AS I DO,”- said the Hatter, “YOU WOULDN’T TALK ABOUT WASTING it. IT’S him.”
“I DON’T KNOW WHAT YOU MEAN”, said Alice.
“OF COURSE YOU DON’T!”- the Hatter said, tossing his head contemptuously.
“I DARE SAY YOU NEVER EVEN SPOKE TO TIME!”
“PERHAPS NOT”- Alice cautiously replied:
“BUT I KNOW I HAVE TO BEAT TIME WHEN I LEARN MUSIC.”
“AH! THAT ACCOUNTS FOR IT,” said the Hatter.
“HE WON’T STAND BEATING. NOW, IF YOU ONLY KEPT ON GOOD TERMS WITH HIM, HE’D DO ALMOST ANYTHING YOU LIKED WITH THE CLOCK.”
E in questo brano, che a me sembra così diverso tradotto, è presente uno dei tanti “giochi di parole” che è quasi impossibile rendere in italiano: “BEAT” vuol dire “PICCHIARE”, “BATTERE” il tempo( in musica), ma il Cappellaio capisce solo che Alice vuole “picchiare” il Tempo e quindi le consiglia di “tenersi in buoni rapporti con lui”, perché può farne ciò che vuole, se diventa sua amica.
Ovviamente non si capiscono tra di loro, perchè Alice è una bambina ragionevole e questi tre matti che incontra nel cap.VII (A MAD TEA PARTY-appunto-)le dicono a un certo punto che se non la finisce di fare domande al Ghiro che racconta la storia del “POZZO DI MELASSA”, dovrà terminare la storia da sola:
” IF YOU CAN’T BE CIVIL, YOU’D BETTER FINISH THE STORY FOR YOURSELF”.
Metteremo altri brani….

Postato sabato, 24 gennaio 2009 alle 18:20 da roberta


brava roberta,che bello leggerlo in inglese!hai ragione Carroll usa questi bei giochini di parole in tante occasioni in Alice, spesso non se ne coglie la bellezza leggendo il testo solo in italiano, sarebbe carino rintracciarne altri.
Alice è di certo ragionevole, ma assettata di sperimentare,spinta da profonda curiosità, anche se riesce ad adattarsi con diplomazia ed elasticità alle stranezze che incontra. Che ci fosse qualcosa da imparare?
cari saluti

Postato sabato, 24 gennaio 2009 alle 18:39 da francesca giulia


Cara Francesca Giulia,
sì è vero, Alice è spinta da una profonda curiosità. Per il suo riuscire ad “adattarsi con diplomazia ed elasticità alle stranezze che incontra”, è il risultato della sua buona educazione, perché in realtà ogni tanto si “offende” e se ne va. ( Se vuoi, rintacciamo il dialogo tra lei e il Bruco, in cui anche lui quanto ad “offendersi” ne dà una bella dimostrazione).
Però da brava bambina “vittoriana”, non può manifestare troppo i suoi sentimenti. Ci sono momenti in cui, come ricorderai, rischia di “farsi tagliare la testa”!
Ricorderai la memorabile versione di Walt Disney in cui però le due avventure (ALICE IN WONDERLAND+ THROUGH THE LOOKING GLASS=Attraverso lo specchio) sono sovrapposte. A un certo punto Alice, persa nel bosco, piange e dice: “Io mi so dar degli ottimi consigli, ma poi seguirli mai non so”. Non ricordo se davvero nei due testi di Carroll Alice dica veramente così, ma in questo caso, sì, mi sentirei di imparare da lei.
Ciao, cari saluti
Cercherò il dialogo o i dialoghi in cui lei si “offende”.

Postato domenica, 25 gennaio 2009 alle 18:57 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Brave!
Continuate, please:-)

Postato domenica, 25 gennaio 2009 alle 23:52 da Massimo Maugeri


@ Cara Francesca Giulia,
sto trascurando la “mia”/nostra rubrica, ma non per altro: sono oberata di lavoro.
Ti prego, se vorrai rintracciare tu il brano di Alice con Il Bruco e soprattutto il pezzo in cui entrambi “si offendono”, te ne sarò grata.
Poi io insererirò il brano in inglese+commento eventuale.
Mi vengono in mente molte cose da inserire qui, a parte ALICE.
Ho pensato di mettere una traduzione di Pavese da BENITO CERENO di Melville( visto che nell’altro post si parla di Pavese), ma non trovo il testo in inglese.
Poi ho in mente brani da Maupassant ( BOULE DE SUIF, lo conosci?)+ Balzac (LA FILLE AUX YEUX D’OR+ PèRE GORIOT+ EUGéNIE GRANDET).
Posso inserire solamente traduzioni francese-italiano+ inglese-italiano.
Mi astengo dal riportare traduzioni dal sardo…
Ma qualche grecista o latinista potrebbe inserire brani in latino o greco; o altri spagnolo e tedesco.. Purché mettano anche la traduzione.
Se posso, a più tardi.
Un abbraccio

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 15:05 da roberta


Ciao, cara Roberta,
poiche’ sono figlio di un traduttore dal latino, cosa ne penseresti se inserissi qui qualche elegia di Properzio fatta da papa’ – ed edita qualche annetto fa dalle edizioni della Pinacoteca Civica di Spello (PG)? Sono belle – le stava per pubblicare un editore nazionale ma poi non se ne fece niente perche’ considero’ troppo grande il ”rischio d’impresa”…
-
Inoltre, ti ho scritto – mi sembra nel ”post” della Lo Iacono o in quello sui ”poeti letteratitudiniani”… se vuoi va’ a vedere.
ciao ciao!
Sergio

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 16:06 da Sergio Sozi


P.S.
Esattamente il termine per definire mio padre sarebbe ”poligrafo ed artista”: pittore, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore dal latino, narratore e commentatore del Manzoni, giornalista… nonche’ uomo molto riservato e giustamente lontano dai riflettori. Pero’ sono sicuro che gli piacerebbe se pubblicassi qui qualche sua versione di Properzio (che nacque ad Assisi ma molti credevano che fosse spellano, visto che a Spello abbiamo anche le ”Torri di Properzio” d’epoca romana).
-
E poi perche’ non ci traduci qualcosa dal sardo? Sarebbe magnifico – per uno come me che ama ”La leggenda di Redenta Tiria” di Niffoi!

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 16:10 da Sergio Sozi


Dear Sergio,
sì, avevo letto dei tuo viaggio a Spello e degli abbracci ai tuoi.
C’era una mia zia che adorava Spello: lei andava tutti gli anni per questioni religiose e un anno mi cia aveva portato, non a Spello, ama da certe sue amiche Clarisse a Perugia.. Eh che donne straordinarie! Quando mia zia si lamentava della mia mancanza di religiosità l’avevano guardata, quelle quasi centenarie, e le avevano detto, con mia grande soddisfazione: “ma benedetta santa donna, la ragazza ha vent’anni! Che vuoi da lei?”.
L’idea delle elegie di Properzio tradotte da tuo padre e inserite in questo spazio mi sembra magnifica, se lui ce le concede.
Mi madre anche lei è una “latinista” e prima di addormentarsi legge sempre il suo Orazio( che io prendo sempre per l’amico di Amleto, ma, evidentemente, non è lui…eh eh.. glielo dico apposta perchè si “arrabbia” che non mi sia mai piaciuto il latino..).
Quanto al sardo, navigo in un’ignoranza totale e vergognosa. Non so NULLA. Ho solo ascoltato una lettura e traduzione della CARTA DE LOGU che ho trovato molto bella, ma non ci capivo nulla perchè è un sardo molto più “colto” e diverso da quello della mia zona.
L’inica cosa che so fare è riprodurre (quasi perfettamente) tutti gli accenti della regione, ma qui bisognerebbe fare come propongono i registratori della voce..
Ciao:):)
Ps. Ti piacciono le scelte mie e di Francesca Giulia su ALICE e LA ROCHEFOUCAULD? Proust è rimasto proprio nel silenzio, come ti ho scritto in un post, mi pare su La camera accanto n°8..
Aspettiamo dunque Properzio!

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 16:25 da roberta


Errori: 1)”ama” per MA da certe..
2)” Mi ” per “MIA” madre..

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 16:27 da roberta


cara roberta, anch’io mi sono un pò assentata, sto preparando alcune cosine per concorsi di scrittura e lavorando ad un racconto lungo che mi ha preso la mano. Certo che metto il pezzo di alice sul bruco,lo cerco e lo trascrivo con piacere.
Conosco “Palla di sego” o “Pallina” a seconda della traduzione, adoro quel racconto e la ricchezza di particolari di Maupassant,mettiamolo! :-) ))
ben venga l’apporto altamente di qualità di Sergio Sozi e del latino, io putroppo per voi ho studiato il giapponese, a meno che non vogliate qualche haiku di Basho, ma gli ideogrammi non potrei trascriverli.
bacioni

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 16:46 da francesca giulia


Trascrivo da quando la conversazione tra Alice e il bruco è già avviata con diverse incomprensioni fra i due e una grande impazienza da parte del bruco:
-Così tu pensi di essere cambiata, eh?
-Temo proprio di sì, signore,-rispose Alice; non riesco a ricordare le cose come una volta…e non posso restare della stessa grandezza per dieci minuti di seguito!
-Non puoi ricordare quali cose?chiese di nuovo il bruco.
-Beh, ho provato a ripetere : “Come la piccola ape affaccendata”, ma tutto viene in modo diverso,-rispose Alice con voce melanconica.
-Prova a ripetere: “Tu sei vecchio, babbo Guglielmo”,- disse il bruco.
Alice incrocio le mani e cominciò:
…………………………………………………….
-Non è stata detta nel modo giusto,-disse il bruco.
-temo che questo sia vero,- rispose Alice timidamente;-infatti devo aver cambiato qualche parola.
.E’ tutta sbagliata da cima a fondo,-confermò il bruco con decisione, e seguì qualche minuto di silenzio.
Il bruco fu il primo a parlare di nuovo.
-Di che altezza vorresti essere?-chiese-
Oh, non ho particolari preferenze circa l’altezza-rispose Alice con prontezza;-soltanto che non è bello cambiarla così spesso,sapete.
-No,non so- disse il bruco.
Alice non rispose nulla: mai nella sua vita le era capitato di essere tanto contraddetta e sentì che ormai stava perdendo la pazienza.
-Sei contenta adesso?-chiese il bruco.
-Beh, mi piacerebbe essere un pò più alta, signore se a voi non dispiace- rispose Alice- sette centimetri è infelice come statura.
-E invece è una bellissima statura!-ribattè il bruco un poco arrabbiato, drizzandosi tutto mentre parlava (era alto esattamente sette centimetri).
-ma io non ci sono abituata!-protestò la povera Alice in tono compassionevole: poi pensò fra sè:”come vorrei che questi animaletti non s’offendessero così facilmente!”.
-Col tempo ci farai l’abitudine,-esclamò il bruco, mettendosi di nuovo il narghilè in bocca e cominciando a fumare.

E’ evidente che Alice inconsapevolmente tocca la sensibilità del bruco, oltre che riguardo all’altezza anche al fastidio del cambiamento(bruco-crisalide-farfalla).
cara Roberta a te….continuare il gioco.
bacioni

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 17:27 da francesca giulia


Sì, cara Francesca Giulia!
Grazie tra un pò torno.
Ma sono felicissima anche di sapere che conosci il GIAPPONESE!
Non ci farai mancare qualcosa, spero.
Un mio carissimo amico mi parlava sempre di una scrittrice del XII° secolo che scrive del principe Genji. Misaki Shikibu, giusto?
Che bello: sono troppo contenta. Così mettiamo Properzio e dopo la letteratura giapponese+ Maupassant..
Grazie
Bacioni::)::)

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 17:43 da roberta


ma che bella persona che sei, piena di entusiasmi,la scrittrice a cui il tuo amico si riferiva è Murasaki Shikibu, del XI secolo in Giappone. La storia del principe splendente- Genji Monogatari in lingua giapponese, fu tradotta da Arthur Waley e accolta dai critici in Europa con grande calore istituendo paralleli- non si offendessero i puristi…- niente di meno che con l’opera di Proust e persino Shakespeare. E’ senz’altro il massimo capolavoro della letteratura giapponese, ma riesce a dare un ritratto ampio e dettagliato dell’amore di tutti i tempi diventando una delle maggiori saghe dell’umanità. Intrighi amorosi, passioni, cerimonie e giochi nell’antico Giappone imperiale, benchè remoti e lontani dalla nostra cultura sanno parlare con alta letteratura a tutti noi.
Sarò felice di parlarne con te e con chi vorrà.
cari saluti

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 18:59 da francesca giulia


ora mi assento un pò, devo ripetere la storia con mia figlia: ha un’interrogazione domani- a dire il vero sfrutto lei per ripetere cose che non ricordo più dai tempi dell’università….
:-) )) a presto!

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 19:01 da francesca giulia


Aspetto con ansia che parliamo di Murasaki Shikibu. Ho visto proprio giorni fa i due volumi( credo) in una libreria Einaudi.
Ho avuto la fortuna di incontrare oersone “speciali” che me ne hanno parlato.
Anche tu mi sembri prorpio “a special kind”:)
Buon studio:)

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 19:12 da roberta


PERSONE…
PROPRIO…

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 19:13 da roberta


Roberta,
tu e Francesca Giulia siete magnifiche. Scelte letterarie ottime, le vostre, delle quali godo e per le quali vi faccio le mie vivissime congratulazioni.
Nel prossimo ”commento”, inseriro’ dunque qualche elegia properziana per la traduzione di Giuliano Sozi.
Vale!
Sergio

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 20:00 da Sergio Sozi


(”Vale!” alla latina, eh: ‘’salute”)

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 20:01 da Sergio Sozi


Da ”Sesto Properzio – Elegie scelte – A cura di Giuliano Sozi”, Pinacoteca Civica di Spello, Spello 1999
-
I, 12
-
Perche’, Roma che sai, vai sempre costruendo su me
accuse d’inerzia, come volessi farmi danno?
-
Lei dal mio letto tante miglia e’ distante
quante ne vanno tra l’Ipani (1) e il veneto Eridano:
-
Cinzia dunque l’amore di sempre piu’ non nutre per me
con l’amplesso, ne’ risuona soave al mio orecchio.
-
Caro le fui un di’: a nessuno in quel tempo
tocco’ una fortuna d’amore cosi’ sicuro.
-
Fummo d’invidia. Forse un dio mi ha distrutto? O quale
erba colta sulle prometeiche (2) vette mi allontana da lei?
-
Non sono quell’io che fui. La lunga via cambia le donne.
Quale grande amore in un sottile tempo e’ fuggito!
-
Ora per la prima volta le lunghe notti solitarie
son costretto a provare, insopportabile alle mie stesse orecchie.
-
Felice colui che pote’ piangere di fronte alla sua donna:
trova un poco piacere Amore nelle lacrime versate;
-
o anche, se chi e’ rifiutato ha potuto trasferire
la fiamma d’amore, nella schiavitu’ che muta c’e’ ancora gioia.
-
Ma amare altra donna a me non e’ lecito, ne’ questa lasciare:
Cinzia fu la prima, Cinzia sara’ la fine.
-
NOTE:
(1) Fiume della regione degli Sciti (Russia sud-occidentale), portato come esempio di luogo lontanissimo. L’Eridano e’ il Po.
(2) Prometeo, reo di aver rubato il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, fu per punizione incatenato a una vetta rocciosa del Caucaso. Medea, famosa maga, era nata nella Colchide, non lontana da questa regione, che percio’ poeticamente diventa fertile di erbe adatte agli incantesimi.
-
-

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 20:18 da Sergio Sozi


Testo originale (preso da altro libro: e’ l’edizione teubneriana curata da P. Fedeli: ”SEXTI PROPERTI, Elegiarum libri IV, edidit Paulus Fedeli, Stutgardie MCMLXXXIV)
-
I, 12
-
Quid mihi desidiae non cessas fingere crimen,
quod faciat nobis, Pontice, Roma moram?
tam multa illa meo divisa est milia lecto,
quantum Hypanis Veneto dissidet Eridano;
nec mihi consuetos amplexu nutrit amores
Cynthia, nec nostra dulcis in aure sonat.
olim gratus eram: non illo tempore cuiquam
contigit ut simili posset amare fide.
invidiae fuimus: num me deus obruit? an quae
lecta Prometheis dividit herba iugis?
non sum ego qui fueram: mutat via longa puellas.
quantus in exiguo tempore fugit amor!
nunc primum longas solus cognoscere noctes
cogor et ipse meis auribus esse gravis.
felix, qui potuit praesenti flere puellae
(non nihil aspersis gaudet Amor lacrimis),
aut si despectus potuit mutare calores
(sunt quoque translato gaudia servitio).
mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est:
Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit.
-
-

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 20:38 da Sergio Sozi


Nota del sottoscritto
mio padre ha lavorato su diverse edizioni e altrui traduzioni, per ottenere la propria. Quel ”Pontice” (”Pontico”) che non si trova nella versione di papa’, pertanto, potrebbe essere una scelta motivata dall’attingimento a diversi originali latini, le cui lezioni magari non contemplavano quel nome di persona, ”Pontico”.
Sergio

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 20:43 da Sergio Sozi


Sergio, che meraviglia questa elegia.
Mi piacciono soprattutto i versi 11-12:
“NON SONO QUELL’IO CHE FUI. LA LUNGA VIA CAMBIA LE DONNE.
QUALE GRANDE AMORE IN UN SOTTILE TEMPO E’ FUGGITO”.
Io non ho il testo in latino, ma puoi inserire tu alcuni versi( quelli che tu ritieni più opportuni sia per il loro significato che per la bellezza dello stile), in questo modo più risaltare meglio anche la bellezza della traduzione.
Ringrazio moltissimo i Sozi:)+
carissimi saluti

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 21:24 da roberta


Avevi già inserito il testo latino: perdonami, non l’avevo visto.
Io non posso cogliere la bellezza dei versi se non in italiano, ma sono certa che molti sapranno cogliere anche quella in latino.
Però quella dei versi che mi piacciono di più
“NON SUM EGO QUI FUERAM: MUTAT VIA LONGA PUELLAS.
QUANTUS IN EXIGUO TEMPORE FUGIT AMOR!” la colgo.
Che dire? Sono sempre più contenta:) Un bel regalo quello tuo e del signor Giuliano.
Mi informerò su Properzio, ché non ne so nulla.
Ora qui il brano del Bruco non c’entra, quindi non lo metto.
Ciao, caro
(PS: ti cito..)

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 21:35 da roberta


@sergio, grazie per i tuoi apprezzamenti;é bellissima questa elegia sergio, a me piace la fine, sembra semplice, ma trasmette l’ineluttabilità dell’amore,anche se non ricambiato esso non muta se è vero sentimento: Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit. Amore eterno? Amore unico e solo?
cari saluti
@roberta ci aggiorniamo a domani per tutte le cose di cui vogliamo parlare! :-) ))

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 21:59 da francesca giulia


Sì, va bene:):):) Non vedo l’ora!
Buonanotte
un bacione

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 22:14 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Domani ci sarà una piccola sorpresa per voi…

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 22:15 da Massimo Maugeri


@massimo accidenti, ieri non ho dormito perchè ho rivisto il silenzio degli innocenti, stasera per la curiosità della tua sorpresina,riuscirai ad essere più emozionante di Hopkins e Jody Foster??
credo di sì, buonissima notte

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 22:27 da francesca giulia


Anch’io sono sulle spine, dear Massimo..
Ma aspetto..Buonanotte:))

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 22:52 da roberta


Help!
Ho scritto un racconto ispirato alla leggenda giapponese del coniglio e della luna – ma è proprio giapponese? Illuminatemi in proposito!
Come titolo vorrei mettere proprio “Il coniglio della luna”. se me lo traduceste ve ne sarei gratissima… me l’aveva detto la figlia del prof. Di Grado ma avendo qua fior di esperti chiedo lume a voi…
Thanks merci danke

Postato martedì, 27 gennaio 2009 alle 23:44 da Maria Lucia Riccioli


cara maria lucia, per quanto ne sappia di leggende orientali,quella a cui fai riferimento non è giapponese ma cinese e si rifà agli insegnamenti del Buddha a cui il povero coniglietto si sacrifica gettandosi nelle fiamme per donare il suo corpo.A seguito di questo gesto d’amore il Buddha fa prendere forma di coniglio alla luna che ricorderà per sempre il sacrificio d’amore dell’animaletto. Mi spiace per la traduzione, fra l’altro gli ideogrammi, seppure fosse stata lingua giapponese, non avrei saputo come scriverli!
Ma che bello, scrivi favole? :-) )))
buona giornata a tutti

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 10:02 da francesca giulia


Cara Maria Lucia,
l’esperta del giapponese è la nostra Francesca Giulia, ti ha risposto lei.
Per quanto concerne la traduzione del tuo racconto, potrei provare a tradurlo in francese…. eh ma non siamo “fior di esperti”, qui; almeno io non lo sono.
Stiamo inserendo traduzioni da scrittori per cui abbiamo una predilezione o che( come nel caso di Proust) hanno a che fare con gli argomenti trattati negli altri altri post:Sergio ha inserito un’elegia di Properzio nella traduzione concessaci da suo padre; io e Francesca Giulia abbiamo inserito brani da ALICE IN WONDERLAND e magari inseriremo qualcosa di Maupassant e di Balzac, perché abbiamo molti gusti in comune. Tutti possono proporre dei testi originali e affiancare la traduzione. Questo spazio in questo modo si arricchisce. E’ più difficile però inserire brani dall’italiano da tradurre in altre lingue.
Magari puoi inserire un piccolo brano dal tuo racconto e cerchiamo di tradurlo nelle lingue che conosciamo. Se no, puoi mettere tu il tuo brano e inserirne una traduzione nella lingua che preferisci.
Ciao, cari saluti

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 20:25 da roberta


Ps: Mi correggo, scusate: l’unica “non esperta” sono io, perché Sergio e suo padre sono traduttori. Francesca Giulia non so se traduca, ma sembra molto “esperta” di lingue e letteratura.
Gordiano Lupi è un traduttore.
Bref: c’est la passion qui nous inspire= è la passione che ci “ispira”.

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 20:31 da roberta


Come d’accordo, riporto il brano da ALICE IN WONDERLAND in cui Il Bruco conversa con Alice:
“SO YOU THINK YOU’RE CHANGED, DO YOU?”
“I’M AFRAID, I AM, SIR”, said Alice; “I CAN’T REMEMBER THINGS AS I USED-AND DON’T KEEP THE SAME SIZE FOR TEN MINUTES TOGETHER!”
(…)” REPEAT “You’re old, Father William”…………………..
(…) “THAT IS NOT SAID RIGHT”-said the Caterpillar.
“NOT quite RIGHT, I’M AFRAID”- said Alice, timidly; “SOME OF THE WORDS HAVE GOT ALTERED”.
” IT’S WRONG FROM THE BEGINNING TO END”-said the Caterpillar decidedly, and there was silence for some minutes.
The Caterpillar was the first to speak.
“WHAT SIZE DO YOU WANT TO BE?” it asked.
“OH, I’M NOT PARTICULAR AS TO SIZE”- Alice hastily replied; ” ONLY ONE DOESN’T LIKE CHANGING SO OFTEN, YOU KNOW”
“I DON’T know”.
Alice said nothing: she had never been so much contradicted in all her life before, and she felt that she was losing her temper.
“ARE YOU CONTENT NOW?”-said the Caterpillar-
“WELL, I SHOULD LIKE TO BE A little LARGER, SIR, IF YOU WOLUDN’T MIND”- said Alice: “THREE INCES IS SUCH A WRETCHED HEIGHT TO BE”.
” IT IS A VERY GOOD HEIGHT INDEED!”- said the Caterpillar angrily, rearing itself upright as it spoke ( it was exactly three inces high).
” BUT I’M NOT USED TO IT”- pleaded poor Alice in a piteous tone. And she thought to herself, “I wish the creatures wouldn’t be so easily offended!”
“YOU’LL GET USED TO IT IN TIME”-said the Caterpillar; and it put the hookah into its mouth and began smoking again.
Prima di questa conversazione sull’altezza “ideale”, Alice aveva deciso di andarsene e Il Bruco l’aveva richiamata indietro:
” (…)as Alice could not think of any good reason , and as the Caterpillar seemed to be in a very unpleasant state of mind, she turned away.
“COME BACK”-the Caterpillar called after her-”I’VE SOMETHING IMPORTANT TO SAY!”
Quindi la bambina è spesso tentata di “mollare” questi personaggi che le fanno perdere tempo in bazzecole…

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 22:58 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Andate nella sezione in alto a sinistra del sito (sotto la foto) e cliccate su “LIBERI SPAZI, IN LIBERO BLOG”.

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 23:23 da Massimo Maugeri


Caro Massimo,
sono felicissima dello spazio che ci hai dedicato nel LIBERO BLOG: grazie per la fiducia e l’affetto, che ricambio moltissimo:)

D’ora in poi quindi “entriamo” cliccando lì, giusto? Non “NEL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI”.
Buonanotte, dear Massimo.
Forse Francesca Giulia non ha ancora visto, ma ne sarà felicissima, non ne dubito
Ciao:):)

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 23:36 da roberta


Cara Roberta,
a mano a mano che pubblicherò nuovi post il link a “IL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI” andrà sempre più giù fino a sparire. In questo modo sarà più semplice accedervi.
E poi abbiamo ufficializzato il “laboratorio di traduzione”.
Io mi diverto a leggervi…
(Buonanotte):-)

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 23:42 da Massimo Maugeri


Sì, sì, carissimo Massimo, avevo capito.
Grazie, davvero. Sono contentissima. E lo sarà anche Francesca Giulia.Mi fa piacere che ti divertiamo… Ora mettiamo anche qualcosa di giapponese, figurati..
I tuoi consigli sono sempre preziosissimi per me: li aspetto là, in quello spazio, quando puoi.
Ciao, buonanotte::::))))

Postato mercoledì, 28 gennaio 2009 alle 23:51 da roberta


Cara Francesca Giulia,
grazie a te, ma tu piuttosto, invece che me e mio padre, ringrazia il grande Properzio: non propriamente un poeta sempliciotto, devo dire, a scavare nella sua profondita’ che noi moderni non sospettiamo neanche, ne’ abbiamo dentro di noi. Properzio e’ un autore della matura latinita’, infatti, e la profondissima civilta’ dei nostri avi noi italiani di oggi l’abbiamo ereditata solo nelle cose meno importanti e piu’ ‘’semplici”. Ma semplici, mille anni di storia romana non sono affatto, purtroppo per noi.

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 00:28 da Sergio Sozi


Properzio rappresenta il meglio della poesia dell’epoca augustea, insomma.

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 00:29 da Sergio Sozi


@massimo ti ringrazio profondamente della fiducia e dell’acoglienza che hai dato a me (e naturalmente roberta !), è chiaro che anche e soprattutto da parte mia non esiste nessuna pretesa di un fare esperto se non di un soffio di passione che anima l’interesse per la letteratura in genere e in particolare quella giapponese cui ho dedicato i miei studi in passato. Spero di non offendere i veri esperti se mi affaccerò all’esplorazione affiancando la brava Roberta in questo gioco delle comparazioni letterarie.
Sono felice che tu mi abbia dato l’occasione di imparare ancora: è questo lo spirito che mi anima oltre alla gioia di comunicare con voi di questo blog!

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 11:13 da francesca giulia


@maria lucia
cara maria lucia spero che la mia risposta ti sia stata utile a fare chiarezza sulla leggenda che avevi scelto,nel caso dovessi avere bisogno,esistono molti miti giapponesi sulla creazione che sono belli e possono essere punto di ispirazione per favole.
un caro saluto

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 11:16 da francesca giulia


@roberta
dici bene nel correggerre “fior di esperti” cara amica di mouse,anch’io come te ho solo il motore della passione e la gioia di condividere con te questo gioco interessante! :-) ))
mi piace molto il Bruco tradotto con Caterpillar, perchè anche se è quello il termine esatto sembra un modo ironico di chiamarlo, alle volte le parole hanno un colore diverso dette in lingua originale e Caterpillar è una di queste!
curiosità:esattamente wretched height come lo traduci? e in che casi si usa?
cari saluti

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 11:26 da francesca giulia


Carissima Francesca Giulia,
eh che bella la nostra rubrica, vero? Il “Maugger”, come lo chiama Sergio, è stato come una grande “scoperta” per me. E lo ringrazio, lo ringrazio, lo ringrazio( cito un mio amico che ripete le cose tre volte..).
D’ora in poi “entriamo” cliccando su LIBERI SPAZI IN LIBERO BLOG, sotto la foto di Massimo. Ti rispondo là, più tardi, circa la traduzione di “wretched height”.
Sono onoratissima che tu mi affianchi e che possiamo approfondire gli scrittori giapponesi e altri autori col tuo preziosissimo aiuto.
Sono anche felicissima che ci affianchi Sergio.
Ti abbraccio
A toute à l’heure, si tu as le temps:)

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 11:49 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Sono io che ringrazio voi.
Con i vostri interventi state rendendo vivo e attivo un post che, altrimenti, sarebbe finito nel “dimenticatoio”.

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 22:14 da Massimo Maugeri


@Massimo
je dois à toi ma “renaissance”:::)))

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 22:38 da roberta


@Francesca Giulia
Per il termine WRETCHED riporta DISGRAZIATISSIMO; quindi la traduzione di “THREE INCES IS SUCH A WRETCHED HEIGHT TO BE” dovrebbe essere:
” Sette centimetri è una statura così disgraziata da portare!”.
Tu hai riportato: “Sette centimetri è infelice come statura”.
La mia edizione tradotta da Margherita Bignardi riporta:
“Otto centimetri è una statura davvero misera”.
Insomma, sarai d’accordo ancora una volta con me: il testo in inglese non ha corrispondenza reale.
Ciao, un abbraccio.
Ps: sui casi in cui si usa WRETCHED non so dirti molto perchè ho qui con me un dizionario piccolo. Riporta soltanto: TO FEEL WRETCHED= sentirsi malissimo. E ci aiuta a capire come deve sentirsi il Bruco, in effetti…

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 22:56 da roberta


Amiche mie,
ogni tanto vengo a far una capatina da ”queste parti”: almeno per stringervi la mano!
Sergio

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 23:14 da Sergio Sozi


P.S.
In Italia ad aver passione per qualsiasi cosa seria e bella – come anche l’arte del tradurre Letteratura – sono rimasti i giovani come voi e i vecchi… come il Maugger, ah ah ah… ehm… dicevo e i vecchi tosti come Camon e qualche altro. Per esempio Umberto Galimberti – ex filosofo ora sociologicissimo fin troppo, sebbene bravo e bella testa.
Appena ne avro’ la forza – ora ho scritto delle cosette impegnativucce ”di la”’ nel post di Celine e per altra gente – vi mandero’ qualcos’altro di Properzio.
statemi bene, amiche mie e ‘’sursum corda” (”In alto i cuori”).

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 23:19 da Sergio Sozi


Sursum corda: ”un sorso di corda”, no? Poesia surrealista ante litteram.

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 23:21 da Sergio Sozi


”To feel wretched”: io direi ‘’sentirsi uno straccio”… ma forse ho decontestualizzato la frase dall’ ”Alice nel Paese delle Meraviglie” del grande Carroll-Dodgson. Opera straordianaria!
Ciaociao

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 23:26 da Sergio Sozi


Grazie, dear Sergio.
Ho letto le tue “cosette impegnativucce”… troppo difficile quel post per me. Comunque neppure a me interessa Céline: ho cose più importanti da conoscere, prima. Per esempio Properzio! Ma anche romanzi nuovi+ mi aspetta sempre La Recherche, ché sono solo ai GUERMANTES.
Sul “To feel wretched”, sì è così; però, infatti, la frase di Alice è: “Three inces is such a wretched height to be”. E’ Alice che trova infelice quell’altezza; al Bruco piace!
E’ un’opera straordinaria, è vero.
Ciao, io ti leggo sempre e aspetto che tu ritorni in questo spazio::))
PS.
Sul “Sursum corda”…chissà come diamine lo avrei tradotto al liceo…magari proprio con l’”immagine surrealista”, tanto non ne capivo granché.

Postato giovedì, 29 gennaio 2009 alle 23:51 da roberta


@roberta
hai ragione il termine in questione si presta a più traduzioni, ma credo che ,come hai già detto, l’essere disgraziato per Alice si riferisca al sensi di inadeguatezza della statura per lei, certo in inglese rende meglio!
Che ne pensi più tardi di inserire uno stralcio da “palla di sego” di Maupassant?Mi organizzo e inserisco. Ho conosciuto Maupassant da ragazzina leggendo un libro di mia madre, se non ricordo male un’edizione di quelle bur piccole e ingiallite, il romanzo era “Forte come la morte” una bellissima storia d’amore che mi fece avvicinare alla letteratura francese in maniera dolce.
a bien tot

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 10:37 da francesca giulia


@sergio sozi grazie mille della tua viva partecipazione alla nostra “rubrichina”, apprezzo molto il tuo contributo classico, ultimamente ho riletto la Medea di Euripide, ma un amico mi diceva di confrontare con quella di Seneca più appassionante, cosa ne pensi? sarebbe interessante un parallelo fra questi due grandi?solo per Medea,naturalmente.
cari saluti

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 10:42 da francesca giulia


Dopo l’impareggiabile NONSENSE del reverendo Dodgson,
propongo il tema della INGRATITUDINE UMANA, tema a me caro e sempre attuale. Come sempre i grandi scrittori come Maupassant e Balzac sanno spiegarci i meccanismi della bontà di alcuni esseri, così come sondano l’animo degli esseri ingrati e cattivi.

Di comune accordo con la mia amica Francesca Giulia, riporto qui di seguito un brano da “BOULE DE SUIF”di Guy de Maupassant.
E’ d’uopo dire, per chi non lo ricordi, che la poveretta era stata costretta a concedere “i suoi favori” al nemico prussiano durante un viaggio in carrozza( lei assieme ad altri rappresentanti dei vari ceti sociali cercavano di varcare il confine) e che questo suo “sacrificio” era stato preteso in cambio del lasciapassare.
Ora, prima che venissero fermati, la “pauvre” aveva condiviso il suo cibo con le altre persone della carrozza; ma in seguito al suo “peccato” con il gendarme prussiano, rientrata nella carrozza, questa fu l’accolgienza degli ingrati suoi compagni di viaggio:

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 16:08 da roberta


da “Boule de suif”- pag 96:
” PERSONNE NE LA REGARDAIT, NE SONGEAIT à ELLE. ELLE SE SENTAIT noyée DANS UN MéPRIS DE CES GREDINS HONNETES QUI L’AVAIENT sacrifiée D’ABORD, rejetée ENSUITE, COMME UNE CHOSE MALPROPRE ET INUTILE. (…)”
“(…) ELLE FIT DES EFFORTS TERRIBLES, SE RAIDIT, AVALA SES SANGLOTS COMME LES ENFANTS, MAIS LES PLEURS MONTAIENT, LUISAIENT AU BORD DE SES paupières, ET BIENTOT DEUX GROSSES LARMES SE DéTACHANT DES YEUX ROULèRENT LENTEMENTSUE SES JOUES(…)”
traduzione- di Mario Fortunato- Einaudi Tascabili-serie bilingue-:

” Nessuno la guardava, nessuno badava a lei. Lei si sentiva come annegare nel disprezzo di questa gente per bene, che prima l’aveva sacrificata, e poi buttata via come un oggetto sporco e inutile”.
(…) “Fece sforzi terribili per trattenersi, inghiottì i suoi singhiozzi come fanno i bambini, ma le lacrime premevano , già luccicavano sotto le palpebre, e ben presto due lucciconi staccandosi dagli occhi scivolarono lentamente sulle sue guance”.
Cosa te ne pare, Francesca Giulia, di “DEUX GROSSES LARMES”= due lucciconi?

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 16:25 da roberta


Nei racconti di Maupassant c’è la varietà che appartiene alla vita stessa, incontriamo una folla di personaggi, donne, vecchi, bambini, nobili e donnine allegre, tutta la gamma delle categorie sociali rappresentate con disegno psicologico di grande maestria,almeno trecento in cui si esprime la facilità del narrare variopinto del grande scrittore. Boule de suif rientra nel genere che parla di guerra, ma nel profondo ci rimanda l’immagine dell’ingratitudine degli esseri umani e del senso di emarginazione sofferto dalla protagonista.La lezione di stile che mi sento di apprezzare di più dallo scrittore è quella di raccontare ciò che vediamo, lui stesso disse:Ho visto acqua,sole, nubi e rocce;non posso raccontare altro.
Deux grosses larmes=due lucciconi, non saprei cara roberta, a me piacerebbe anche semplicemente due lacrimoni, inoltre “le pleurs montaient”=le lacrime premevano,mi piace anche “le lacrime salivano”, ma è un gusto personale.
mi compiaccio che tu abbia scelto questa parte così tenera e forte.

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 17:57 da francesca giulia


a domani con nuove proposte,cari saluti

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 19:30 da francesca giulia


Sì, hai ragione su tutto. Ho l’influenza in questi giorni, quindi posso dedicarmi un pò di più al nostro spazio. A me piace di più “le lacrime premevano” della traduzione di Mario Fortunato, perché rende meglio l’idea che lei volesse trattenere le lacrime davanti agli altri; però, come dici tu, il testo ha “MONTAIENT”, quindi “salivano”.
Se vuoi, inseriamo altri brani: dimmi quali. Purtroppo ho tagliato molto l’altro brano per non portar via troppo spazio.
Un abbraccio

Postato venerdì, 30 gennaio 2009 alle 20:13 da roberta


cara roberta, innanzitutto ti auguro di guarire presto,anche se involontariamente l’influenza ti spinge a dedicarti di più al nostro spazio,meglio essere in piena forma! .-)))
Che ne pensi di inserire la descrizione fisica di Pallina, e magari lo sdegno manifestato dagli sguardi degli altri viaggiatori?quindi dovrebbe essere all’inizio della storia, dopo 4, 5 pagine,in modo da darci l’immagine che precede il sacrificio di Pallina per mettere in salvo quelli che dopo la escluderanno nuovamente.
un abbraccio

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 13:49 da francesca giulia


inoltre c’è un altro gioiellino di Maupassant, si chiama “I gioielli”, breve racconto preciso e scintillante di perfezione propio come un gioiellino raro.
Fammi sapere se ti piace.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 13:50 da francesca giulia


Carissima, sì grazie, spero di guarire presto:)
Più tardi cerco il brano che mi hai suggerito. Hai ragione: ci serve la descrizione della ragazza e lo sdegno degli altri viaggiatori. Volevo anche inserire, se sei d’accordo, il breve brano in cui vengono descritte le provviste che lei tira fuori dal cestino all’inizio del viaggio e che tutti mangiano avidamente( religiose comprese); perchè poi dopo, invece, loro tirano fuori le loro provviste ma non le condividono con lei.
Qui con me ho solo un altro volume di Maupassant, LES CONTES DE LA BéCASSE. Volevo proporti qualcosa. Non conosco “I gioielli”, ma puoi inserire tu in italiano o in francese, se ce l’hai, il brano che più ti piace: sarò felice di leggerlo.
UN BACIONE
Come farei senza di te in questo laboratorio? GRAZIE:)
Poi ci dedichiamo a Murasaki…
Ps: tra l’altro sul termine “Bécasse” c’è un a specie di aneddoto che sicuramente divertirà anche Massimo::))…..

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 14:50 da roberta


Aspetto l’aneddoto su “Bécasse”, cara Roberta. E guarisci presto…

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 15:18 da Massimo Maugeri


Mi sono avvicinata a Maupassant proprio così….
Quando abitavo in Francia un mio carissimo amico “selezionava” le sue frequantazioni in base alle sue simpatie( beh è ovvio, ma nel suo caso erano troppo esplicite); una sua amica gli aveva chiesto: “Mais pourquoi elle ne te plait pas, cette pauvre fille?”- e lui le aveva risposto: “Eh, parce que c’est une vraie “bécasse” celle-là”- Ora il termine “bécasse” era usato da lui come sinonimo di “oca” per noi, cioè una persona superficiale ( magari la ragazza in questione non lo era, ma per il mio amico bastava il fatto che a lui non fosse simpatica perché le trovasse quel difetto). Il termine significa BECCACCIA e questa raccolta di racconti di Maupassant si intitola così perché ambientata in campagna: un vecchio signore, un tempo cacciatore, aveva l’abitudine di invitare a cena suoi vecchi amici cacciatori e cucinava le beccacce( suo cibo preferito);a fine cena ognuno doveva raccontare una storia.
Ho “scoperto” questi racconti perché attratta in una libreria dal titolo che mi ricordava il modo di dire così buffo del mio amico.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 18:35 da roberta


Qui di seguito la descrizione del personaggio Pallina.
………………………
La donna, una di quelle che vengon chiamate allegre, era rinomata per la sua floridezza, che le aveva procurato il soprannome di Pallina.Piccina, tutta tonda, grassa grassa, con le dita rigonfie strozzate alle falangi, simili a rosari di salsicciotti, aveva la pelle lustra e tesa, un enorme seno che le gonfiava il vestito : pure, era appettitosa e desiderata, tanto piacevole a vedersi era la sua freschezza. Il suo viso era una mela rossa, un bocciolo di peonia vicino a schiudersi; vi si aprivano, in alto,due magnifici occhi neri ombreggiati da lunghe e folte ciglia, e sotto una bella bocca piccola, umida, da baci, guarnita di dentini lucenti e microscopici.
Ella aveva inoltre- si diceva- moltissime inestimabili qualità.

Secondo me è una delle descrizioni fisiche più riuscite del Maupassant,vediamo la versione originale?La frase finale inoltre sembra anticipare ciò che accadrà: il sacrificio di Pallina, ma anche la sua generosità nel dare a quella gente che la guardava con disprezzo.
abbracci

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 18:42 da francesca giulia marone


che carino il tuo aneddoto,senz’altro puoi mettere qualche rigo che ritieni opportuno della storia del “vieux baron de ravots”,purtroppo io non ho il testo italiano, ma conosco la storia,perciò mettila in francese.

il mondo è pieno di “becasses”….. ma magari è meglio non dirglielo in faccia! :-) )

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 19:09 da francesca giulia marone


Come mi suggeriva Francesca Giulia, riporto il brano in cui BOULE è descritta( nella traduzione di Mario Fortunato):
“Lei, una cosiddetta donnina allegra, era celebre per la sua precoce pinguedine che le aveva valso il soprannome di Boule de suif(= Palla di lardo). Piccola, rotonda, grassoccia, con dita gonfie e strette alle falangi, che parevano salsicciotti; la pelle tenera e liscia, un petto generoso che debordava dal vestito, era tuttavia eccitante e ricercata, tanto la sua freschezza era piacevole a vedersi. Aveva il viso come una mela rossa, come un bocciolo di peonia che stia per fiorire: e lì dentro, in alto, vi si aprivano due occhi neri magnifici, schermati da lunghe ciglia folte, mentre in basso una bocca seducente, una fessura umida di baci, era adornata da piccoli denti, bianchissimi e microscopici”.
“SA FIGURE éTAIT UNE POMME ROUGE, UN BOUTON DE PIVOINE PRET à FLEURIR, et là-dedans s’ouvraient , en haut, des yeux noirs magnifiques, ombragés de grands cils épais qui mettaient une ombre dedans; en bas, une bouche charmante, étroite, humide pour le baiser, meublée de quenottes luisantes et microscopiques”-
E’ bello soprattutto ” Il suo viso era come una mela rossa, un bocciolo di peonia pronto a fiorire”. Vero?
PS. il termine “QUENOTTE”, dice la nota del traduttore, è un vocabolo di origine normanna e nel linguaggio familiare indica il dentino di latte.
Maupassant utilizza spesso queste espressioni e vocaboli regionali, credo.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 20:16 da roberta


Cara, non avevo visto il pezzo riportato da te in italiano.
Ora aggiungo il pezzo in francese. Sì, è vero, l’ultima frase della descrizione anticipa ciò che accadrà:
“ELLE éTAIT DE PLUS, DISAIT-ON, PLEINE DE QUALITéS INAPPRéCIABLES”-
Nel tuo testo traducono “qualités inappréciables” con= inestimabili qualità; nel mio traducono “qualità fuori del comune”. Ma l’aggettivo di Maupassant è l’unico che in realtà esprime perfettamente che le qualità della ragazza non saranno apprezzate, come dicevi tu.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 20:23 da roberta


Perche’ ora sei diventata ”Francesca Giulia Marone”? Non ti chiamerai mica veramente cosi’…

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 20:26 da Sergio Sozi


Caro Sergio,
continuo a non capire le polemiche sul post dedicato a Céline. Ma leggo tutto.
Sono contenta che tu sia venuto a trovarci… Che mi dici dell’INGRATITUDINE umana? Lo so, non ti piace. Neppure a me. Neanche a Maupassant, a quanto pare.
A proposito di “uomo e natura”, potrei inserire qui brani dalle “PAGES SUR LA NATURE” di Jules Michelet. O brani di Colette.
Ti risponderei qui, anzichè in quel post ( che mi intimidisce un pò). Dimmi tu, se vuoi, perché volevi inserire i due concetti.
Ma forse il tuo discorso vuol essere più etico-politico che letterario( benché credo che a te stia molto a cuore soprattutto quello letterario).

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 20:38 da roberta


Chère Francesca Giulia, se Massimo permette e a te fa piacere, io continuo a inserire un breve brano dai CONTES DE LA Bécasse+
Da qui potremmo toccare altri temi(= natura+ uomo); oppure restiamo sempre nel campo della INGRATITUDINE umana e inseriamo Balzac. Che ne dici?

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 20:44 da roberta


Ciao, cara Roberta,
certo che mi sta a cuore quello letterario stricto sensu; pero’ la ”Letteratura in genere” io la collego al senso delle singole opere: narrare ”cosi’ per farlo” mi sembra sia cosa rara – o da scrittori immaturi. E la maturita’ di un uomo (e dunque anche di uno scrittore) sta nel dare un senso alle proprie opere ed azioni. Il senso ultimo del genere umano e’, pertanto, il perche’ della sua esistenza ed il perche’ dell’esistenza dell’ ”altro da se”’, ovvero della Natura tutta, della quale facciamo parte pur essendo ”noi stessi”: dunque identita’ umana e appartenenza dell’uomo al ”non umano” (aria, altri esseri viventi, acqua…) sono i due poli attorno ai quali si riflette come fondamenti del tutto, di noi stessi e… anche delle possibilita’ di significato ulteriore per la nostra vita.
Dunque, proseguendo nel discorso, se l’etica si restringesse solamente ad un limitare le azioni ed i comportamenti umani restando all’interno del campo umano, questa sarebbe un’etica ben misera e perdente – perdente visto che gli interrogativi PRINCIPALI di ogni uomo son questi: dove vado? Perche’ vivo? Quali sono le mie speranze una volta che saro’ morto? L’amore restera’ anche dopo? Sono proprio TUTTO mortale, io? Sono proprio DEL TUTTO mortali le persone che amo? Cos’e’ l’odio? Cos’e’ la personalita’? Cos’e’ l’individualita’?
Dunque un’etica ”forte” e’ un’etica di stampo morale, ovvero piu’ estesa rispetto ad una mera ‘’scienza dell’amministrazione dei conflitti umani sociali”.
Questo e’ il motivo per cui sono giunto a chieder di parlare di ”uomo e Natura”.
Poi, il discorso deve proseguire – e’ solo l’inizio di un altro ragionare, insomma.
Ciao, cara
Sergio

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:19 da Sergio Sozi


sergio sì mi chiamo proprio così….diretta discendente di Pubblio Virgilio Marone….forse non proprio diretta da nord a sud avrà perso un poco la via, ma a Napoli, come sappiamo, ci è rimasto.
In realtà mi è scappato il cognome mette scrivevo nella casella per inviare,ma sono sempre io.
roberta,la parte in lingua originale sul personaggio di Pallina è meravigliosa,il finale intraducibile,nel senso che nessun termine rende così bene la scelta di Maupassant.
Mi piace lìidea rapporto natura uomo,adoro Colette,perciò vai pure…
ciao cari

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:29 da francesca giulia marone


publio….
scusate è scappata una b alla napoletana

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:30 da francesca giulia marone


Francesca Giulia Marone,
ed io sono Sergio Francesco Maria Quirino Sozi – discendente dei Conti Sozj di Civitella D’Arna. Ma con una Marone parlo sottovoce e in ginocchio… eh eh eh! Ciao cara!

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:35 da Sergio Sozi


perbaccolina,l’importante è continuare a parlare! :-) )
anch’io leggo gli interventi sul post celine,ho detto timidamente la mia,ma non posso entrare nel merito perchènon conosco l’autore,è interessante dunque seguire i commenti,qualcuno più qualcuno meno,grazie anche da parte mia per venirci a “trovare” qui!

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:42 da francesca giulia marone


E, parlando di Virgilio – l’altro ‘’sommo” assieme a Dante – torno a bomba all’argomento uomo-natura. Citandolo dall’ ”Aeneides”:
-
”Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”
(”La storia e’ lacrime e le vicende dei mortali ci toccano il cuore”)
-
Il commento a questa frase virgiliana che riportero’ in breve e’ dello storico della Letteratura Latina Italo Lana. L’episodio di cui si parla e’ quello in cui si parla dei funerali di Pallante e della disperazione del vecchio suo genitore. Cosi’ dice dunque il Lana:
”(…) Il Poeta sente in modo dilaniante questo indomabile contrasto fra la serenita’ della natura e le passioni degli uomini: e non puo’ non chinarsi amorosamente sui suoi personaggi, e piangere assieme ad essi (…). Pero’ nell’uomo del poema virgiliano, che vive immerso in quel mondo e che senza pieta’ lacera il tessuto regolare e riposante dell’ordine naturale, c’e’ un’intenzione, un’idea; egli ha una missione da compiere, una parola da dire, all’umanita’; e’ la Provvidenza che guida i suoi passi. Non e’ cieco, il mondo dell’Eneide: si’, la violenza e la frode hanno privato Enea della patria, talora egli stesso dell’inganno si serve nei confronti di altri, guerra e distruzione egli viene a portare nel Lazio: sembra che la vicenda umana continui monotona, sempre ugualmente desolante, senza luce di speranza. Ma in verita’ e’ per Roma, termine ultimo della storia umana, che tutto cio’ accade.”

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 21:58 da Sergio Sozi


Ecco: quella virgiliana E’ UN’ETICA VERA. Ossia un’etica-morale.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:03 da Sergio Sozi


Andando oltre la ristretta visione moderna – che considera gli antichi dei barbari in confronto a noi – sembra dunque sia chiaro che quel mondo, il mondo antico, era fortemente etico e morale, nonche’ fortemente suggestionato e influenzato dalla Natura. Lo e’ stato fino a pochi secoli fa, d’altronde – nonostante alcune distorte interpretazioni del cattolicesimo abbiano cercato di differenziare l’uomo dal ”giglio” di cui parla Gesu’, ossia dalla Natura tutta che ci respira dentro nell’anima. Certe contrapposizioni fra paganesimo e cattolicesimo, dopotutto, sono frutto di vari oltranzismi, non delle due dottrine in se’, che differiscono solo per alcuni aspetti e comunicano per molti altri. Comunicano, infatti, come tutto comunica nel corso della Storia: non esistono barriere rigide fra epoche, ma un fiume ininterrotto che ci riporta in men che non si dica alla Latinita’ e alla Grecita’.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:13 da Sergio Sozi


Scusate, Sergio, Francesca Giulia, non vorrete farmi sentire una tapina nel laboratorio che Massimo mi ha così generosamente donato….
Io non discendo da nessuno, se non da una antica famiglia di sardi nel cuore del nuorese.. di abitanti dei nuraghi, dunque..
Scherzo, naturalmente:)

@Sergio
mi piace moltissimo questo tuo pezzo:
“il mondo antico, era fortemente etico e morale, nonche’ fortemente suggestionato e influenzato dalla Natura. Lo e’ stato fino a pochi secoli fa, d’altronde – nonostante alcune distorte interpretazioni del cattolicesimo abbiano cercato di differenziare l’uomo dal ”giglio” di cui parla Gesu’, ossia dalla Natura tutta che ci respira dentro nell’anima.”
Infatti, anche secondo me( ma l’ho letto anche questo nella Yourcenar) questo “flusso” di cui tu parli SEMBRA interrotto solamente da false interpretazioni..che non sono fatte per ingenuità, però, bensì con l’intento di condizionare il pensiero.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:25 da Anonimo


Sono io..ogni tanto mi sfugge il nome..

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:25 da roberta


Sergio, se ti ho capito bene, io ho una concezione della letteratura un pò meno “etica” della tua…
Sì, è vero che un grande scrittore dev’essere come dici tu, ma l’opera d’arte ha vita “a sé” e io la vedo( quasi ) sempre:
1) o come “interpretazione” delle vicende umane( in senso “moralistico”, voglio dire, di “condanna”-come nei grandi MORALISTI e anche nello stesso Maupassant qui sopra- di atteggiamenti umani sbagliati)
2)o come ricerca della propria “storia”, come nel caso del TEMPO RITROVATO ( però non è necessariamente la “storia” di tutti, perchè l’idea di un’opera d’arte come “manifestazione del proprio tempo” mi opprime e non mi piace)
3) come espressione lirica dei propri sentimenti( poesia);
Se no, forse, non ti ho capito..

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:37 da roberta


@ Francesca Giulia
Sì, cara, ci mettiamo sulla strada della Natura…. eh a me piace:)
Così ci “dimentichiamo” delle “bécasses”+ dell’ingratitudine umana e delle cose degli umani che non ci piacciono…
Ps: per fortuna ci sono anche molti esseri umani che ci piacciono… che ti acsoltano e scrivono quando hai l’influenza.. e che ti augirano di guarire presto::))

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:41 da roberta


roberta tu sei bravissima, e poi i sardi sono tanto simpatici,io e mio marito abbiamo spesso parlato di un ristorante rinomato che si trova a Oliena di cui abbiamo letto visibilie in diverse guide -anche quella è cultura…e a noi piace molto il mangiar bene e il bere in compagnia!-,Se posso poi, adoro il Capichera freddo d’estate…
e con ciò, sergio che ne pensi anche del leopardi nel discorso su natura – uomo?forse è colui che ha raccolto meglio l’eredità per così dire latina?
abbracci

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 22:55 da francesca giulia


Cara Roberta,
in primis, discendere da quattro nobilucci di provincia non e’ blasone: per fortuna dovevano essere, i miei perugini (Civitella D’Arna sta vicino a Perugia), tanto umani da perdere il castello e spezzettare i possedimenti fra gli eredi – e questa umanita’ li salva moralmente rispetto all’immorale ingordigia dei ”grandi e forti” nobili, gli altri, i prepotenti arraffatori che sappiamo. Inoltre tu, Roberta, sei figlia dei tuoi antenati e questo ti dovrebbe bastare per esserne orgogliosa e fiera, poiche’ ogni stirpe e’ il nostro sangue e il nostro sangue e’ il nostro orgoglio, blasone o non blasone.
-
Sulle opere letterarie. Cerrrrrrto: i tre casi che hai detto tu… piu’ il resto: le mille varianti e ricerche d’eternita’, di senso e di direzione che ogni uomo intelligente e sensibile ha. Solo che lo scrittore vero e’ piu’ sensibile e piu’ capace di esprimersi tecnicamente degli altri uomini. Gli scrittori insensibili esistono, sai? Ed io non li amo. I sentimenti per me sono divini, l’arte ”bella” e’ divina: Giove e/o Gesu’ ce l’ha donata per affievolire la nostra sofferenza. L’arte e’ la nostra Roma – dico riferendomi all’Enea di poco sopra.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:07 da Sergio Sozi


Non siamo proprio “tutti” simpatici….anzi.. Forse perché ci siamo dovuti difendere sempre dalle colonizzazioni( anche dei cari Romani, di cui eravamo il “granaio”…ecc.. Vabbé mi direte che c’entra? Infatti. Non c’entra).
Riprendo:
In questo pezzo che riporti tu, Sergio, sta il senso dello scrivere?
In questa “PAROLA DA DIRE ALL’UMANITA’?”

“Pero’ nell’uomo del poema virgiliano, che vive immerso in quel mondo e che senza pieta’ lacera il tessuto regolare e riposante dell’ordine naturale, c’e’ un’intenzione, un’idea; egli ha una missione da compiere, una parola da dire, all’umanita’; e’ la Provvidenza che guida i suoi passi. ”

Su Leopardi saprete dire di più voi, perchè io ho ricordi troppo “semplificati”del suo pensiero. Ricordo pochissimo de LA GINESTRA. Ma, per quel poco che ricordo, non credo di essere troppo vicina alla sua concezione della natura. Dite voi.
Vi abbraccio.
Cara Francesca Giulia,
a presto:)un bacione

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:18 da roberta


“Gli scrittori insensibili esistono, sai? Ed io non li amo. I sentimenti per me sono divini, l’arte ”bella” e’ divina: Giove e/o Gesu’ ce l’ha donata per affievolire la nostra sofferenza.”
Sergio, questa frase che hai scritto sopra mi piace moltissimo.
Certo che sono orgogliosa, figurarsi! Non è un sentimento che ci (uso il “ci” non credo in maniera impropria, perchè ogni popolo ha, a parte le differenze tra individui, un certo suo “carattere”) manca…
Ps:
Eh, certo che se avete perso il castello, eravate davvero diversi e “lontani dall’ingordigia dei grandi e forti che sappiamo”. Mi pare che tu abbia ereditato quella nobiltà d’animo.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:27 da roberta


Provvidenza o altro, Roberta, a ognuno la sua forma di speranza: solo chi scrive senza alcuna speranza mi e’ lontano. dolore, rabbia, angoscia, va bene, e’ giusto. Ma la speranza e il saperla scrivere differenzia gli eccelsi dai bravi e dai mediocri scrittori. Oggi… lasciamo stare, va’…
Ciao bella
P.S.
Mica bisogna esser per forza ‘’simpatici”, sai? I medici non lo prescrivono a nessuno. Lo so bene io.

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:30 da Sergio Sozi


io per il momento vi auguro buonanotte,buon nuit,good night,oyasuminasai….
a domani

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:43 da francesca giulia


Ciao, caro Sergio:)

Postato sabato, 31 gennaio 2009 alle 23:47 da roberta


Buonanotte, care: io torno a scrivere un racconto che ho iniziato nel frattempo.

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 00:23 da Sergio Sozi


P.S.
anche a me l’opera letteraria come espressione del proprio tempo non piace per nulla. A meno che non si abbia grandi capacita’ mitopoietiche, si scrivono sempre delle cosette bigie e cretinoidi.

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 00:28 da Sergio Sozi


Eccezione, ottima eccezione: ”La leggenda di Redenta Tiria” del tuo corregionale Salvatore Niffoi, che vede la contemporaneita’ come se fosse un mito. Bravo. Veramente. Grazie a quelli come lui la letteratura italiana vive e si fortifica. Lo hai letto? E’ ottimo, quel romanzo – diciamo ”romanzo”, va’, meglio evitare i particolari, lo spaccamento del capello in quattro, come si dice…
E adesso proprio ciao: se no la mia storia se ne va via!

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 00:33 da Sergio Sozi


@sergio
leggendoti più volte credo di aver compreso abbastanza il tuo pensiero,io mi trovo in accordo su quanto detto sull’etica e penso che di scrittori autoreferenziali che parlano del proprio tempo ce ne siano abbastanza, però volevo chiederti, non pensi che arrivare all’etica sia parte di un percorso sia interiore sia di scrittura che bisogna umilmente sperimentare?cominciare a parlare di ciò che vediamo e viviamo, se fatto onestamente e con responsabilità e rispetto è il passo sincero per parlare al mondo. Dove c’è verità non può esistere cosetta bigia, forse il problema è il senso del vero che mettiamo nelle parole,poi anche la bruttezza descritta a contrasto con il bene è utile. Non so se sono riuscita ad esprimerti i miei dubbi, ti sono grata di dialogare, grazie mille.
saluti

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 19:11 da francesca giulia


Se pensiamo alla poesia di emily bronte, c’è l’inafferabile senso della vita, la morte e la natura, ma senza alcun codice morale, eppure la scrittrice era intensamnete morale, ma le parole intrise di forza e malinconia nella vita spirituale non hanno catene, o almeno tentano di spezzarle. Mi permetto di trascrivere qualche verso che amo molto.

Tutto è quiete e silenzio nella casa,
fuori… vento e scrosci di pioggia;
ma qualcosa mormora al mio spirito,
fendendo l’acqua e il gemito del vento,
mai più.
Mai più? e perchè non di nuovo?
La memoria ha un potere reale quanto il tuo.

All hushed and still within the house;
Without- all wind and driving rain;
But something whispers to my mind,
Through rain and through the wailing wind,
Never again.
Never again?Why not again?
Memory has the power as real as thine.
Roberta cara che ne pensi?ti piacciono questi versi?hai qualc’osa da notare riguardo alla traduzione?
cari saluti

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 19:44 da francesca giulia


Qualcosa…
scusate

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 19:45 da francesca giulia


Certo, cara Marone! (mi piace anche scherzare se me lo permetti: non sono un serioso ma un serio): solo che anche la verita’ puo’ essere lontana dall’arte. Infatti un’opera letteraria, a mio modesto parere, e’ composta di queste costanti:
1) Stile personale (che e’ l’aspetto estetico del narrare, e’ l’impronta dell’individuo che scrive);
2) Significato etico, filosofico, religioso, morale, trascendentale o immanente: ognuno sceglie quello che sente proprio;
3) Intreccio – la ‘’storia” propriamente detta, fatta di inizio, svolgimento e finale o anche divisa su piu’ piani temporali, eccetera;
4) Superamento della ”realta’ reale”: questo va fatto perche’ altrimenti non c’e’ differenza fra un romanzo, un racconto, una poesia e un articolo di giornale.
-
L’importante e’ che un’opera d’arte sia qualcosa di forte, di eccitante, di rinvigorente, di vitale ed entusiasmante! I libri che ci cambiano la vita facendocela afftrontare con gioia e amore e che ci dicono che dopotutto l’uomo merita d’esser amato, la Natura di esser sentita e pregata, la Storia di proseguire verso mete migliori, proficue e belle. L’opera nichilista, invece, potra’ anche esser esteticamente, stilisticamente bella, ma se resta chiusa in se’, se resta nella galleria buia della disperazione, non assolve al suo principale dovere: l’amore che diviene bellezza; ma resta una ”bellezza sfiorita” decadente, mortifera.
Sono le mie posizioni personali, queste, ovviamente. Non ne faccio un ”manifesto”, per carita’.
Ciao, cara
Sergio

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 19:55 da Sergio Sozi


P.S.
Tutto questo puo’ esser riassunto in una sola parola, antica quanto Omero: MITOPOIESI. Il mitografo e’ lo scrittore che amo. E ce ne sono pochissimi, oggi, epoca di elettronica e non di caverne platoniche.

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 19:59 da Sergio Sozi


grazie sergio,rifletterò sulle tue acute osservazioni,Mitopoiesi,ed altro.
perfettamente d’accordo sul concetto di trascendenza e trasformazione della realtà,ma pur sempre da lì dobbiam partire…per commentare i tuoi commenti bisogna metabolizzarli un pò…direi molto “densi”.
un caro saluto

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 20:25 da francesca giulia


Dear Francesca Giulia,
posso scrivere solo poche righe; spero di riaffacciarmi domani..
Ti ringrazio per i versi della Bronte: sono veramente belli. Io ho letto soltanto CIME TEMPESTOSE e devo dire che lo trovo geniale, in tutti i sensi. Confondo sempre un pò Emily Bronte non con sua sorella Charlotte( che grazie a Dio era geniale pure lei) ma con Emily Dickinson. Sono lontanne le due scrittrici( a parte il nome) dico anche perchè una è inglese e l’altra americana..eppure io le confondo. Magari approfondiamo, se vuoi, nei prossimi giorni. Un abbraccio forte:)
Ps: però ci tengo a inserire Les Pages sur la Nature+ Colette… eh noi due e Sergio siamo animate da una grande passione letteraria::))
@Sergio
Caro Sergio non conosco Niffoi, ma se me ne consigli la lettura, non mancherò. Ciao:)
@Massimo:
Massimo ti stiamo dando un sacco di cose da leggere… e perdonami..io mi faccio sempre travolgere e poi qui i miei interlocutori sono troppo carini, vero?
Mi raccomando, io ci tenevo soltanto che tu sapessi della “bécasse”…che poi fa ridere solo me perché il personaggio che usava il termine era un mio amico carissimo( che ci ha lasciato, purtroppo nel 95)e con lui ridevo molto. Parlarne qui era un modo per ricordarlo.
Un abbraccio

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 20:36 da roberta


cara rob,sicuramente rimandiamo a domani la discussione su Colette ed altro,Cime Tempestose stupendo adorabile capolavoro di passione eterna che mi ha affascinata da ragazzina, Ogni tanto mi piace mettere anche qualcosa di “poetico” e condividerlo con voi.
Spero domani di aver tempo nel tardo pomeriggio,dopo incombenze familiari difficili.
un grande bacio e buonanotte
p.s. anche la Dickinson è meravigliosa,penserò a qualche verso da mettere domani,dopo Colette.
abbracci a tutti

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 21:37 da francesca giulia


Beh sì… scrivo racconti, sto tentando di scrivere un romanzo, ma sono partita da bambina con le poesie…
Per quanto riguarda le fiabe, ne ho trascritta una inventata oralmente da mia madre, mentre questa del coniglietto l’ho scritta perché ne avevo uno.
La mia richiesta era di tradurmi non tutto il racconto – non vi avrei chiesto tanto!!! :-) – ma solo il titolo. IL CONIGLIO DELLA LUNA.

Per Alice: se misuri tre pollici non ti senti certo all’altezza!
Vi piace? Naturalmente per giocare…

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 21:51 da Maria Lucia Riccioli


cara maria lucia,ti ho scritto precedentemente che la leggenda cui fai riferimento mi risulta essere cinese, se posso per altri argomenti aiutarti lo farò volentieri.
il problema della trascrizione dei kanji con la tastiera-ideogrammi- rende difficile la traduzione in giapponese,ma per riferimenti e suggerimenti dalla letteratura giapponese possiamo darci da fare.
p.s.mi piace la tua traduzione di alice…
cari saluti

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 22:02 da francesca giulia


cara maria lucia a parziale rettifica ti dico che esistono due leggende che parlano di conigli sulla luna,quella giapponese e quella cinese,comunque potretsi scrivere il titolo in romaji,caratteri romani: TSUKI NO USAGI.
spero possa servirti a qualcosa.
auguri per la tua scrittura

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 22:11 da francesca giulia


letteralmente “Della luna il coniglio” = “il coniglio della luna”
baci

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 22:13 da francesca giulia


Grazie!!! Francesca, sei stata davvero carina…
Magari vi posto il racconto. Lo metto su Iperspazio creativo o qui? Massi, che dici?

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 23:27 da Maria Lucia Riccioli


Meglio su “Iperspazio creativo”, Mari. Così diamo un po’ di linfa anche a quell’altro spazio, che dici?:-)
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 23:39 da Massimo Maugeri


Un “brave!” a Roberta e a Francesca Giulia.

Postato domenica, 1 febbraio 2009 alle 23:39 da Massimo Maugeri


@Maria Lucia Riccioli
Io leggerò volentieri il tuo racconto TSUKI NO USAGI ( mi piace troppissimo la traduzione che ti ha dato Francesca Giulia, la nostra impareggiabile esperta del giapponese:::)))
Mi sembra di aver capito che ami molto i conigli e gli animali in generale e questa è una cosa molto bella, secondo me. Francesca Giulia ci ha scritto la leggenda cinese:
“il povero coniglietto si sacrifica gettandosi nelle fiamme per donare il suo corpo.A seguito di questo gesto d’amore il Buddha fa prendere forma di coniglio alla luna che ricorderà per sempre il sacrificio d’amore dell’animaletto”. Così noi leggeremo la tua versione. ( scusate il “noi” non è un plurale maiestatis dei “megalomani”, ma sta per “Francesca Giulia and me…”)
Ciao.

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 16:46 da roberta


Cara Franci,
tornando ai versi della Bronte, quello che più mi piace è questo:
“But something whispers to my mind”.
Qui troviamo di nuovo la “difficoltà” nel tradurre un termine= MIND; ricordi che in La Rochefoucauld la difficoltà era tradurre “ESPRIT”?
Qui si pone nuovamente il problema. La tua traduzione riporta:
“qualcosa mormora al mio spirito”. In realtà MIND significa MENTE, in inglese; tuttavia è dello SPIRITO e dell’ANIMA che si sta parlando( credo), quindi la traduzione a me piace.
Però: qual è la differenza tra ANIMA, SPIRITO e MENTE??
A dopo… Ritorno con Colette…(posso chiamarti Franci?)

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 16:56 da roberta


@ Roberta
mi inserisco alla tua domanda rivolta a Franci.
Per me sono tutte e tre elaborate nel cervello. Sono quindi tre aspetti ai quali abbiamo dato un senso differente.
La mente uguale ai sentimenti e stimoli dettati dai geni ed elaborati con la ragione, l’anima uguale allo stato psichico che ne risulta e lo spirito alla forza universale che tutto crea e tiene in vita.
Saluti.
lorenzo

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 18:32 da lorenzerrimo


Caro Lorenzo, mi sembra la tua una differenziazione impeccabile.
Bisognerebbe chiedersi e sapere( ma questo è impossibile) in quale accezione la Bronte lo ha usato. Ha usato MIND; e, visto che nell’ultimo verso si riferisce alla MEMORIA=MEMORY che ha sede nel nostro cervello, dovrebbe trattarsi di quello. Ma, come scrivi tu, è tutto legato.
Negli scrittori ci sono molte sfumature, in realtà, riguardo a questi concetti. E le stesse sfumature sono più “sfumate” nelle lingue straniere. Per esempio, l’INGEGNO in inglese è spesso tradotto con WIT, termine per cui il dizionario riporta: 1)ARGUZIA; 2)persona di SPIRITO; 3)INTELLIGENZA. Tutto è sempre dentro di noi.
Ma ne sono provvisti anche alcuni animali( se non tutti..); riporteremo più tardi alcuni brani per supportare l’argomentazione..
Sono contenta che sia venuto a trovarci qui, caro Lorenzerrimo:)
Cari saluti.

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 19:44 da roberta


@roberta
certo che puoi chiamarmi Franci, lo fanno le amiche più care…
hai ragione sul termine mind,difficile capire in pieno cosa volesse dire la bronte,ma io intuisco che sia usato nell’accezione più ampia del termine e
@lorenzerrimo: qui mi accordo con il bel commento lasciato da lorenzerrimo,una specie di triade emozionale-intellettiva generata dalla stessa madre: the mind.
Sò che la bronte cercava di essere altro da sè quando scriveva,immaginare ed uscire dai legacci dell’essere materiale di carne e ossa,perciò in questo senso mind sarebbe tutto forse animo, spirito, mente e cuore, ma anche memoria che è lo scrigno magico in cui tutto ciò si custodisce per poi essere donato ad altro.
buonanotte a tutti,stasera sono molto stanca e continuerò domani con piacere.

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 22:45 da francesca giulia


Ok Massi!
Bacio…
ML

Postato lunedì, 2 febbraio 2009 alle 22:48 da Maria Lucia Riccioli


Carissima Francesca Giulia( è più bello di Franci, decisamente),
anch’io ieri ho dovuto rimandare di inserire Colette e Jules Michelet( ho trovato in entrambi un brano su RAGNO=ARAIGNéE-molto bellini entrambi); forse lo farò più tardi.
Hai visto che meraviglia il nuovo post su Proust e la Ginzburg?
Vorrei inserire il brano in francese dal primo capitolo della RECHERCHE di cui Margherita ha riportato tre diverse traduzioni, agevolando il nostro “lavoro” qui.
Per ora ti abbraccio:)

Postato martedì, 3 febbraio 2009 alle 19:42 da roberta


Inserisco, come d’accordo, il brano di COLETTE da: “Histoires pour Bel-Gazou”:
” Mais je verserai ma mince contribution au trésor des connaissances humaines en mentionnant l’araignée que ma mère avait – comme disait papa – dans son plafond, cette meme année qui feta mon seizième printemps. Une belle araignée des jardins, ma foi, le ventre en gousse d’ail, barré d’une croix historiée. Elle dormait ou chassait , le jour, sur sa toile tendue au plafond de la chambre à coucher. La nuit, vers trois heures, au moment où l’insomnie quotidienne rallumait la lampe, rouvrait le livre au chevet de ma mère, la grosse araignée s’éveillait aussi, prenait ses mesures d’arpenteur et quittait le plafond au bout d’un fil, droit au-dessus de la vieilleuse à huile où tiédissait, toute la nuit, un bol de chocolat. Elle descendait, lente, balancée mollement comme une grosse perle,empoignait de ses huit pattes le bord de la tasse, se penchait tete première et buvait jusqu’à sa satiété. Puis elle remontait, lourde de chocolat crémeux, avec les haltes, les méditations qu’impose un ventre trop chargé, et reprenait sa place au centre de son gréement de soie..”
CERTO UN RAGNO CHE BEVE IL CIOCCOLATO…..

Postato martedì, 3 febbraio 2009 alle 22:12 da roberta


Ora riporto il brano da DU COTé DE CHEZ SWANN di Marcel Proust, brano di cui son state riportate tre diverse traduzioni nel post su Proust e la Ginzburg.
“Longtemps je me suis couché de bonne heure. Parfois, à ma bougie éteinte, mes yeux se fermaient si vite que je n’avais pas le temps de me dire: “je m’endors”. Et, une demi-heure après, la pensée qu’il était temps de chercher le sommeil m’éveillait; je voulait poser le volume que je croyais avoir encore dans les mains, et souffler ma lumière; je n’avais pas cessé en dormant de faire des réflexions sur ce que je venais de lire, mais ces réflexions avaient pris un tour un peu particulier; il me semblait que j’étais moi-meme ce dont parlait l’ouvrage: une église, un quatuor, la rivalité de François I er et de Charles V”.

Postato martedì, 3 febbraio 2009 alle 22:23 da roberta


….balancée mollement comme une grosse perle, empoignait de ses huit pattes le bord de la tasse, se penchait tete première et buvait jusqu’à sa satiété.
questa descrzione mi piace moltissimo e non so quanto in italiano possa rendere la bellezza di vocaboli come balancèe mollement…,ci metti la tua traduzione e ci dici qualcosa di più di questo brano di colette?IO ho letto solo cherì e la naissaince du jour.
Riguardo a Proust vorrei dire che quando esce il volume di colette Mitsou, come le fanciulle diventono sagge non ben accolto dalla critica,marcel proust è uno degli estimatori e dice :
“Ho un poco pianto stasera, per la prima volta dopo molto tempo, eppure da un pezzo sono oppresso da dispiaceri, da sofferenze, e da seccature. Ma se ho pianto non è per tutto questo, è leggendo la lettera di Mitsou… Le due lettere finali sono il capolavoro del libro”
un abbraccio alla cara roberta

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 10:48 da francesca giulia


cara Robertina, mi sembra di averti letto così giorni fa o settimane fa.
Le sfumature tanto usate dagli scrittori sono il segno di una loro ricerca verso il profondo, senza averlo ancora raggiunto.
L’essere in viaggio verso la chiarezza finale, dove non esistono più nomignoli, ma parole vive e chiare a tutti che ci siano arrivati.
Questo vale non solo per gli scrittori, ma per chiunque cerchi la sua natura originaria, persa poi attraverso un processo accaduto all’infuori della nostra volontà, ma del quale noi tutti ne portiamo i segni giorno per giorno.
Sono segni come litigi, fraintendimenti, vanità, presunzione, violenza, distruzione, sofferenze, e solo raramente amore, per il suo impegno totale che richiede sempre desiderato e difficilmente trovato e sostenuto, ecc, ecc.
Saluti cari.
Lorenzo

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 12:46 da lorenzerrimo


@Cara Francesca Giulia,
sì, è vero che Proust amava molto Colette.. se trovo un pezzo( che ho in mente) molto “proustiano” di Colette, lo inserisco.
E’ molto bello che tu abbia inserito quelle parole di Proust per Colette. Anche la Yourcenar dice in un’intervista che non si può prescindere da Proust. (cerco anche quel pezzo)
Più tardi inserisco la traduzione del brano di Colette…è strepitoso, vero?
Baci

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 20:58 da roberta


@carissimo Lorenzerrimo,
sì, mi piace moltissimo quando mi chiamano Robertina…e ti rongrazio per le tue parole. Eh certo…andare “à la recherche” della propria natura originaria…
Grazie infinite.
Spero ti piacciano le scelte dei testi che io e Francesca Giulia riportiamo in questo spazio. Per ciò per scrivi e per il tuo animo sensibile, credo di sì:):)
Un abbraccio
Robertina

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 21:02 da roberta


Il “pezzo proustiano” di Colette:
“TOUT EST ENCORE DEVANT MES YEUX: LE JARDIN AUZ MURS CHAUDS, LES DERNIèRES CéRISES SOMBRES PENDUES à L’ARBRE, LE CIEL PALMé DE LONGUES NUéES ROSES– TOUT EST SOUS MES DOIGTS:RéVOLTE VIGOUREUSE DE LA CHéNILLE, CUIR éPAIS ET MOUILLé DES FEUILLES D’HORTENSIA- ET LA PETITE MAIN DURCIE DE MA MèRE”.
“Tutto è ancora davanti ai miei occhi: il giardino dai muri caldi, le ultime ciliege mature appese all’albero, il cielo striato di lunghe nubi rosa–tutto è sotto le mie dita: la rivolta vigorosa del bruco, la pelle( CUIR= CUOIO)spessa e bagnato delle foglie di ortensia- e la piccola mano indurita di mia madre”.
Sia in lei che in Proust lo stesso modo di osservare la natura( vedi i BIANCOSPINI, GLI INSETTI ecc osservati da Marcel) e di “descriverla” attraverso metafore.
(Dico bene?)

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 22:24 da roberta


Qualcosa sulle “HISOIRES POUR BEL-GAZOU”-tratto dall’introduzione di Grazia Vitale:
“Pubblicate per la prima volta nel 1930, il titolo le definisce “histoires”, ma potrebbero essere anche schizzi, racconti, impressioni, immagini, ricordi… Sono 17 narrazioni tratte da alcuni libri di Colette( “Sept dialogues de betes”-1907+ “Les vrilles de la vigne”-1906+ “La maison de Claudine”-1922 e altri). Bel-Gazou–ce lo spiega in LE CURé SUR LE MUR– è una parola provenzale che significa “bel cinguettio”, bel linguaggio, ed è il soprannome dato dal padre a Colette e da quest’ultima a sua figlia. Scritti quasi tutti in prima persona, sono tanti episodi dell’infanzia e della giovinezza di Colette”.

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 22:36 da roberta


Cara Francesca Giulia, ora la traduzione del brano sul RAGNO che beve il cioccolato…
“Ma verserò il mio piccolo contributo al tesoro delle conoscenze umane menzionando il ragno che mia madre aveva- come diceva papà-nel suo soffitto, quello stesso anno che festeggiò la mia sedicesima primavera. Un bel ragno dei giardini, parola mia, con la pancia a forma di spicchio d’aglio, attraversato da una croce istoriata. Dormiva o cacciava, di giorno, sulla sua tela attaccata al soffitto della camera da letto. Di notte, verso le tre, nel momento in cui l’insonnia quotidiana riaccendeva la lampada e riapriva il libro sul comodino di mia madre, il grosso ragno si svegliava anche lui, prendeva le misure da agrimensore e lasciava il soffitto all’estremità di un filo , proprio al di sopra del lumino a olio in cui intiepidiva , tutta la notte, una scodella di cioccolato. Scendeva, lento, dondolando delicatamente come una grossa perla, afferrava con le sue otto zampe il bordo della tazza, si chinava con la testa all’ingiù e beveva a sazietà. Poi risaliva, appesantita dal cioccolato cremoso, facendo piccole soste, le meditazioni che impone una pancia troppo carica, e riprendeva il suo posto al centro del suo equipaggiamento di seta…..”
CERTO DIFFICILISSIMO RENDERE UN BRANO COSì, soprattutto quel “MA FOI” che i francesi utilizzano i mille modi e che si usa nei casi di increduità+ l’immagine del RAGNO-PERLA che ondeggia lentamente…Sì, cara Francesca Giulia… hai ragione.
Un affettuoso abbraccio::))

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 23:05 da roberta


Ps: PER “balancée mollement comme une grosse perle” preferisci:
1) “dondolando delicatamente” -oppure:
2) “ondeggiando lentamente”?
Perché nel testo c’è il participio passato del verbo “balancer”( = OSCILLARE; DONDOLARE); però non si può rendere con un participio passato, mi sembra; quindi si può usare, forse, il gerundio, anche se non c’è nel testo.
A domani, spero.
Baci

Postato mercoledì, 4 febbraio 2009 alle 23:13 da roberta


cara rob,è un brano difficile da tradurre,per “balancée” ondeggiando lentamente è più poetico e si accorda meglio con l’immagine della perla,ma forse dondolando si presta meglio alla descrizione?Mi suggerisce anche penzolando,ma è assolutamente personale,perchè immagino il grande ragno penzolare incerto verso il basso,comunque è un bel brano anche se difficilotto.Bellissima la descrizione di Colette della natura,è vero in quei passi è molto Proustiana,c’è una meticolosa attenzione ad ogni elemento della vita,si legge molto in La naissance du jour-.
un abbraccio

Postato giovedì, 5 febbraio 2009 alle 10:23 da francesca giulia marone


@maria lucia riccioli
io aspetto di leggere il tuo coniglio della luna.
cari saluti

Postato giovedì, 5 febbraio 2009 alle 10:29 da francesca giulia marone


Riporto il breve brano dall’intervista di Matthieu Galey a Margurite Yourcenar( LES YEUX OUVERTS):
“Parmi les grands écrivains du début du siècle, je crois que je retiendrais surtout Marcel Proust. J’aime chez lui la grande construction thématique, la perception exquise du passage du temps et du changement qu’il produit dans les personnalités humaines, et une sensibilité qui ne ressemble à aucune autre. J’ai relu Proust sept ou huit fois”.
= “Tra i grandi scrittori dell’inizio del secolo, credo che considererei soprattutto Marcel proust. Mi piace in lui la grande costruzione tematica, la percezione adorabile del passaggio del tempo e del cambiamento che esso produce nelle personalità umane, e una sensibilità che non assomiglia a nessun’altra. Ho riletto Proust sette o otto volte”.

Postato giovedì, 5 febbraio 2009 alle 13:20 da roberta


cara rob, quanto detto da un mostro sacro come la Yourcenar non può che trovarci d’accordo,se parliamo di temi come la memoria poi credo che nessuno meglio di lei possa svelarcene i misteri.Che ne pensi di mettere qualcosa di M.Yourcenar?A parte le Memorie di Adriano,grande capolavoro,ci sonoalcuni racconti che amo molto, hai letto Anna Soror?Fu scritto durante un breve soggiorno a Napoli e fa parte delle opere della gioventù della scrittrice,ma ha in se tutto il magnifico progetto della sua scrittura.
abbracci

Postato venerdì, 6 febbraio 2009 alle 09:28 da francesca giulia marone


Carissima Frances..( ti chiamo all’inglese…)
ora ti scrivo un proverbio da ALICE… perché Massimo non ci sarà in questi giorni, ha detto….
“WHEN THE CAT IS AWAY, THEN THE MICE WILL PLAY…”
Della Yourcenar ho molte cose, ma forse “Anna Soror” no: devo controllare. Se vuoi, perché non metti tu qualcosa?
Io continuo tra un pò con la descrizione di un altro “ragno”…..
Ciao Un abbraccio::))

Postato venerdì, 6 febbraio 2009 alle 21:26 da roberta


…noi siamo the mices?,che carino, a più tardi rob.

Postato venerdì, 6 febbraio 2009 alle 21:59 da francesca giulia marone


Da “PAGES SUR LA NATURE” di Jules Michelet (1798-1874)
“(…) à l’angle du mur, j’apercevais distinctement une araignée qui, supposant que le rayon amènerait pour son déjeuner quelque étourdi moucheron, se rapprochait de ma casse.(…) Malgré le dégout naturel , j’admirai dans quelle mesure progressive de timide, lente et sage expérimentation, elle s’assurait du caractère de celui auquel il fallait qu’elle confiat presque sa vie. Elle m’observait certainement de tous ses huit yeux, et se posait le problème:”Est-ce, n’est-ce pas un ennemi?”
Sans anlyser sa figure, ni bien distinguer ses yeux, je me sentais regardé, observé; et apparemment l’observation, à la longue, me fut toute à fait favorable. Par l’istinct du travail peut-etre (qui est si grand dans son espèce), elle sentit que je devais etre un paisible travailleur, et que j’étais là aussi occupé, comme elle, à tisser ma toile”.
N.B.MANCANO GLI ACCENTI CIRCONFLESSI.
Manca anche la traduzione…ma che te ne pare?
Ps: Sì, siamo noi i “topi”…..
Un abbraccio

Postato venerdì, 6 febbraio 2009 alle 23:06 da roberta


Quannu ‘u jattu nun c’è, ‘i succi abballunu…
Siciliano…
Che ve ne pare?
Il dialetto è anch’esso “altro”, proprio come una lingua straniera. Ha espressioni così pregnanti che la lingua nazionale non riesce a riprodurre… bellissimo!
TSUKI NO USAGI – Viola Di Grado mi dice che questo è il nome dell’anime giapponese Sailor Moon… – apparirà a giorni in iperspazio creativo!

Postato sabato, 7 febbraio 2009 alle 10:23 da Maria Lucia Riccioli


@rob ,pur non conoscendo bene il pensiero di Michelet,so che è stato un importante storico oltre che scrittore con una particolare concezione della natura- potresti dirci qualcosa di più preciso a tal proposito.te ne sarei grata- mi piace molto la frase : mi osservava con tutti i suoi otto occhi, e si poneva la domanda: E’, non è un nemico?”.Chi osserva è osservato,questo scambio di ruolo diventa interessante,quando osserviamo la natura chi può dire che essa stessa non stia osservando noi?
perdona la traduzione è soggettiva e maccheronica, alla francesca giulia…
abbracci

Postato sabato, 7 febbraio 2009 alle 23:44 da francesca giulia marone


@maria lucia
jattu è bellissimo, me lo vedrei nero…ma con la camicia azzurra!
non sapevo di sailor moon, ma ricordo il cartone animato,aspetto di leggerti.
abbracci

Postato sabato, 7 febbraio 2009 alle 23:46 da francesca giulia marone


Carissima Frances,
la tua traduzione è impeccabile, secondo me, e quella è la frase che piace di più anche a me…
Sai, di Michelet non so nulla. Solo avevo trovato in libreria un libricino piccolissimo e mi aveva attratto il titolo: “PAGES SU LA NATURE”.
Più tardi leggo l’introduzione e riporto qui qualcosa+la traduzione del brano sul ragno( però se lo vuoi inserire tradotto da te io sono contentissima. Non ho il testo in italiano e dovrei inserire la mia traduzione e la tua sarebbe più bella, più “poetica”, secondo me).
Un abbraccio
Ps: a proposito della natura che “ci osserva”… guarda che succede davvero! Tempo fa ero ferma a uno stop e c’era una piccola mandria alla mia sinistra, con anche vitellini… avevo tutti i loro occhi addosso. Ho aperto il finestrino e ho chiesto al signore che era lì: “Ma stanno per attaccarmi?”- “Ma no, si figuri, le mucche lo fanno: la osservano e basta”..
Dovevi vedere che faccia avevano tutti quei bovini bianchi, piccolini e mamme…. Erano BUFFISSIMI!

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 11:43 da roberta


Correggo: Pages SUR la nature

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 12:15 da roberta


Gli animali ci guardano… con curiosità, timore, indifferenza. Quando ci guardano con amore è una cosa bellissima: hai quasi l’impressione che ti dicano: “Ti voglio bene, sei importante per me”.
Ehi, non vi aspettate granché dal racconto… lo faccio leggere prima a mia sorella che era la “mamma” del protagonista, poi ve lo posto in iperspazio creativo!
ML
=:-)

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 14:43 da Maria Lucia Riccioli


grazie rob,sono felice che ti sia piaciuta la mia traduzione,io sono molto istintiva e poco accademica,perciò conoscocendo i miei limiti mi prendo con gioia il più poetica,visto che adoro scrivere in poesia!é vero che gli animali spesso ci osservano,io li ho sempre un pò umanizzati guardandoli,poi però a pensarci bene siamo noi che siamo animalizzati,cioè vicini a loro. Questa forte sensazione l’ho provata tanti anni fa- ho viaggiato molto in giro per il mondo- quando in Zaire ho incontrato lo sguardo acquoso e pieno di ricordi del gorilla di montagna,esperienza indimenticabile!
marialucia le favole sono sempre una magia da leggere,non temere il giudizio! :-) ) sarà bellissimo il tuo coniglio…
abbracci

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 20:11 da francesca giulia marone


conoscendo

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 20:11 da francesca giulia marone


Che bello, beata…hai visto i gorilla di montagna.. Io ho visto due volte “Gorilla nella nebbia” quel film su Diane Fossey e ho pianto per tutto il film. Sogno sempre di tuffarmi coi delfini…ma chissà se questo sogno potrà avverarsi..
Certo anche la sofferenza umana mi colpisce molto, specialmente negli innocenti, nei bambini, nei vecchi.
Sì a me piacciono le tue traduzioni. Anch’io sono così poco accademica…. Del resto, se ci pensi bene… due “seguaci” di Carroll e del Cappellaio Matto, come fanno ad essere “accademiche”??
Spero di inserire domani qualcosa su Michelet, come mi hai chiesto+ una sorpresina…. ma son sicura ti piacerà.
Lascio a te la traduzione del brano del ragno.. il brano in effetti è molto lungo e più bello, ma non possiamo riportarlo tutto per questioni di spazio.
Un abbraccio::))

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 21:32 da Anonimo


Uff…macché anonimo…sono io…dimentico sempre il nome..

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 21:33 da roberta


Cara rob,io per gli spettacoli della natura ho fatto cose pazze in passato,ti svelerò un pò alla volta…anche il bagno con i delfini,quando facevo immersioni, veramente ancora più bello fu con i pinguini,che ne pensi se tramite massimo ci scambiamo l’indirizzo mail?così possiamo anche coordinare meglio gli interventi. domani metterò la traduzione del “ragno”,ma tu controlla sempre se su qulacosa non sei d’accordo,al di là di ciò che dici ti vedo molto preparata,anche il Bianconiglio è uno dei miei preferiti e con lui il tema del tempo che spesso mi ossessiona nei racconti che scrivo.
abbracci

Postato domenica, 8 febbraio 2009 alle 22:40 da francesca giulia marone


Carissima Frances,
sì certo, scriverò a Massimo così ci scrivaimo per e-mail o ci sentiamo e mi racconti dei tuoi viaggi…io purtroppo viaggio soprattutto con le mente.. che non è male, ma..
Riporto qui sotto la “sorpresina” di cui ti parlavo ieri: ho il testo soltanto in italiano, però. E’ tratto dal carteggio che Henry James fece con alcuni suoi amici tra il 1914 e il 1915 e si intitola IL GELSO CADUTO.
Poi metto qualcosa su Michelet, ma devo leggere prima perché non so nulla di questo storico..

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 16:33 da roberta


Da IL GELSO CADUTO: Lettere di Henry James:
” Mia Cara Margaret,
è stato un piacere che tu mi abbia scritto, anche se su un argomento triste quale quello del mio povero vecchio albero caduto, cui sei stata gentilissima ad andare a dare una pietosa occhiata. Avrebbe potuto resistere ancora per qualche tempo, credo, se non ci fosse stata una tempesta tanto ECCEZIONALE, ma una volta scatenatasi la furia è stato inesorabilmente costretto ad arrendersi, perché il suo povero cuore era morto, il suo immenso vecchio tronco svuotato. Non gli era più rimasta alcuna forza di resistere quando il vento di sud-est lo ha afferrato per la gran CRINIèRE e gli ha semplicemente torto il collo più volte. E’ una cosa molto triste, perché era proprio quella pianta a dare tono al giardino, era il giardino stesso, di cui mi pare adesso quasi di non voler sapere più nulla, come se ai miei occhi avesse perso ogni importanza. Ma che follia parlare di QUELLA caduta, in mezzo a tutte le prostrazioni che ci circondano!”
N.B. 1)NELL’ULTIMA FRASE JAMES SI RIFERISCE ALLA BRUTTURE DELLA
PRIMA GUERRA MONDIALE.
2) EDIZIONE A CURA DI LUCIO ANGELINI-Biblioteca dl Vascello-

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 16:46 da roberta


Cara rob,qualche termine è poco comprensibile,lo lascio in lingua con un’ipotesi in parentesi,suggerisci tu qualcosa.
Nell’angolo del muro,io vidi nettamente un ragno che,supponendo che il suo raggio stesse portando per il suo pranzo qualche stordito moscone,si avvicinava (a me) de ma casse=rottura.
Nonostante il disgusto naturale,io ammirai in che misura progressiva della sperimentazione timida lenta e saggia,esso accertava il carattere di colui al quale (era sbagliato affidasse la sua vita)il fallait que elle confiat presque sa vie.
Mi osservava con tutti i suoi otto occhi,e si poneva la questione: é o non è un nemico?
Senza studiare la sua faccia, né bene distinguere i suoi occhi, io mi sentii guardato osservato; ed apparentemente l’osservazione, a lungo,mi risultò del tutto favorevole. esso sentì forse dall’istinto del lavoro (che è così grande nella sua specie), che io dovevo essere un lavoratore calmo, e che anche io ero impegnato là, come lui,a tessere la mia tela.”

Il senso credo di averlo reso abbastanza,anche se c’è un rigo in particolare un pò ostico,quello “elle s’assurait du caractere….etc”,vedi se puoi meglio comprendere.
Comunque trovo molto interessante il faccia a faccia fra il ragno lavoratore e l’umano lavoratore anch’esso.
abbracci

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 19:29 da francesca giulia marone


è bellissimo il brano sulla caduta del gelso,è commovente il rammarico dello scrittore per il dispiacere provato quasi vergognoso di fronte a drammi più grandi,ma l’immagine dell’albero preso per il collo e la sua criniera come fosse un vecchio leone fatto cadere sotto i colpi di una caccia mortale è bellissima.
brava rob,sai che ho visto negli stati uniti?le sequoie giganti,maestose gigantesche e forti.

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 19:33 da francesca giulia marone


Cara Franci,
la lettera di Henry James potrebbe essere scritta in questi giorni, tante sono le notizie che ci fanno male( e lui parlava della guerra); ma il dispiacere per le cose dell’umanità non può impedirci ci dispiacerci anche per il malessere del pianeta(a proposito: hai sentito che bella ieri l’intervista che Fazio ha fatto a Guido Ceronetti per la sua raccolta di ballate: “LE BALLATE DELL’ANGELO FERITO?”). I problemi dell’inqinamento non c’erano nel 1915, eppure un forte vento aveva buttato giù il gelso che si trovava nel prato della sua casa a Lamb House.
Che scrittore, Henry James. Sì, l’immagine della criniera “afferrata” è bellissima. peccato non poter inserire il brano in inglese..
Per la traduzione di Michelet: mi fatta benissimo.
Io avrei tradotto “un ragno che, supponendo che il raggio avrebbe condotto lì uno stordito moscerino per la sua colazione, si avvicinava alla mia cassetta delle lettere”- MOUCHERON sul dizionario riporta =MOSCERINO( anch’io avevo pensato a un moscone..)+ il termine CASSE, come sostantivo, vorrebbe dire=CASSETTA DELLA POSTA( non ho trovato altro; evidentemente Michelet si trovava nel suo giardino e da lì vedeva la sua cassetta della posta…spero non sia una mia invenzione…ma foi…).
Per l’altro pezzettino…”elle s’assurait du caractère de celui auquel il fallait qu’elle confiat presque sa vie”= dovrebbe essere:
“si assicurava del carattere di colui al quale bisognava ch’egli quasi affidasse la sua vita”( nel testo del libro CONFIAT ha l’accento circonflesso, ma io non riesco a mettere gli accenti circonflessi nella mia tastiera).
Beh, insieme siamo venute, forse, a capo della matassa…
Sempre che io non abbia fatto per CASSE come facevo da piccola con le versioni di latino…..: inventavo….
Ciao un bacionissimo.
Ci scrivaiamo sulla mail:)
Ps: ma qui continuiamo…..

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 20:31 da roberta


Volevo dire: mi sembra fatta benissimo.
Ciao:)

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 20:37 da roberta


grazie rob!ho fatto del mio meglio,comunque questo casse mi lasciava perplessa forse perchè bisognerebbe leggere il contesto intero per capire se riferisce ad un posto particolare,tu hai tradotto benissimo.
James è un grande,ritratto di signora è uno dei miei preferiti affreschi di figure femminili,nonostante alcune parti apparentemente lente sa compenetrarsi nella psicologia di Isabel in maniera magistrale.
una abbraccio

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 21:38 da francesca giulia marone


Franci, mi sa che vado a cercare “RITRATTO DI SIGNORA” in inglese, così inseriamo qualche brano scelto da te. Me l’ha regalato una mia amica in italiano ma non l’ho letto. Ho qui “IL GIRO DI VITE”+ IL CARTEGGIO ASPERN, ma sempre in italiano.
Sì hai ragione: in effetti per Michelet non si capiva bene il contesto. Poi lo rileggo e aggiungo qualcosa domani.
Comunque sono felicissima perché mi sembra davvero che noi due abbiamo gli stessi gusti e ci capiamo molto.
Ps: Che belle le sequoie di cui parli..
Buonanotte. Bacioni::))

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 21:54 da roberta


@Maria Lucia
Sì, è vero: quando gli animali ti guardano con affetto..anche se non te lo possono dire.. Io avevo un gatto con me per dieci anni, il mio adoratissimo gatto. Poi il veterinario ma ha detto che soffriva perché lo lasciavo solo e perchè era rinchiuso sempre, così( con dolore) l’ho portato dai miei, dove vive nel giardino e si è abituato all’affetto di mia madre. Un giorno ero a fianco a lei e il gatto, sulle sue ginocchia, mi dava le “spalle”. Ho detto a mia madre: “Non mi riconosce più..” e in quel preciso momento si è girato a guardarmi con gli occhi dolci, come dire: “Non è vero” e ha fatto il suo solito miagolio da “viziato”. E’ vero, è proprio vero che mi ha guardato così.
Quindi io leggerò volentieri la storia del coniglietto::))
La aspettiamo:)

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 22:02 da roberta


sì rob siamo in sintonia davvero!
p.s.anch’io ho avuto un gatto per ben diciotto anni…mia madre ci chiamava il “binomioperfetto”.
a domani cara con James,anche il giro di vite,stupendo!!
buonanotte
@marialucia
aspetto anch’io di leggerti,adoro lo sguardo degli animali,come dicevo a rob ho fatto viaggi di chilometri per vedere occhi di leoni,gazzelle,aquile,gorilla,scimpanzè,pinguini,iguana,fenicotteri,squali….buonanotte dalla vostra ex-piera angela

Postato lunedì, 9 febbraio 2009 alle 22:49 da francesca giulia marone


Cara Frances,
ti ho scritto una mail ma me la respinge. Riproverò domani.
Ho cercato un brano da Henry James, ma, non ricordando nulla o quasi del “Giro di vite”, né di “Daisy Miller”+ non avendo con me “Il carteggio Aspern”( per quel poco che ricordo è il mio preferito di James), ci ho rinunciato. Potrei solo riportare un altro brano da “Il gelso caduto”, ma se mi aiuti tu e inserisci un brano, te ne sarò grata.
Un caro abbraccio
Ps: nel frattempo cerco qualcosa( se posso in lingua originale) che tratti della “bellezza estetica femminile”, così potremmo riagganciarci al tema del nuovo post, cosa ne pensi? I’ll wait for some suggestions…

Postato giovedì, 12 febbraio 2009 alle 00:38 da roberta


Avevo dimenticato di inserire un brano dai “CONTES DE LA BéCASSE”… Ce n’è uno che si intitola “PIERROT”, parla di un cane..anzi, di una certa Madame Lefèvre. E’ ambientato in Normandia e qui i personaggi parlano davvero come nella realtà. Questa signora, tirchissima, vive con la sua “bonne”; un giorno viene derubata e decide di prendere con sé un cagnolino, ma costandole troppo nutrirlo, decide di buttarlo in un pozzo in cui buttano tutti i cani che disturbano. Quella stessa notte in cui abbandona il cagnolino Madame Lefèvre fa molti incubi e decide di andare a riprenderlo l’indomani; ma recuperare il cane dal pozzo le costerebbe 4 franchi, quindi dedice di lasciarlo lì e di nutrirlo giorno per giorno buttandogli del cibo. Ma un giorno un cane più grosso viene gettato anche lui dentro il pozzo e il povero Pierrot è costretto a soccombere.
Questo racconto è terribile. Riporto un breve brano che descrive Madame Lefèvre+un altro in cui appare Pierrot.

Postato venerdì, 13 febbraio 2009 alle 11:00 da roberta


Da LES CONTES DE LA BéCASSE di Guy de Maupassant:
“Madame Lefèvre était une dame de campagne, une veuve, une de ces demi-paysanne à rubans et à chapeaux falbalas, de ces personnes qui parlent avec des cuirs, prennent en public des airs grandioses, et cachent une ame de brute prétentieuse sous des dehors comiques et chamarrés, comme elles dissimulent leurs grosses mains rouges sous des gants de soie écrue. (…) Elle était de cette race parcimoniueuse de dames campagnardes qui portent toujours des centimes dans leur poche pour faire l’aumone ostensiblement aux pauvres des chemins, et donner aux quetes du dimanches”:
(MANCANO gli accenti circonflessi su: ame+aumone+quete).
“Madame Lefèvre era una signora di campagna, una vedova, una di quelle mezze-contadine con nastri e cappelli falpalà, di quelle persone che hanno un difetto di pronuncia, prendono in pubblico delle arie grandiose, e nascondono un animo di pretenziosa non raffinata sotto un’apparenza comica e piena di fronzoli, così come dissimulano le loro grosse mani rosse sotto guanti di seta écru.(…) era di quella razza parsimoniosa di signore di campagna che hanno sempre con sé dei centesimi in tasca per fare platealmente l’elemosina ai poveri di strada, e fare la questua della domenica”.

Postato venerdì, 13 febbraio 2009 alle 11:28 da roberta


Da:LES CONTES DE LA BéCASSE di Guy de Maupassant-edizioni “Classiques français”- “PIERROT”
“Alors Rose qui pleurait, l’embrassa, puis le lança dans le trou; et elles se penchèrent toutes deux, l’oreille tendue.
Elles entendirent d’abord un bruit sourd; puis la plainte aigue, déchirante, d’une bete blessée, puis une succession de petits cris de douleur, puis des appels désespérés, des supplications de chien qui implorait, la tete levée vers l’ouverture”.
(MANCANO: una dieresi su la E di aigue+l’accento circonflesso su bete+tete).
“Quindi Rose, che piangeva, lo abbracciò, poi lo lanciò nel pozzo; ed esse si sporsero entrambe, con l’orecchio teso.
All’inizio sentirono un rumore sordo; poi il lamento acuto, straziante di una bestia ferita, delle suppliche di cane che implorava, con la testa rivolta verso l’apertura”.

Postato venerdì, 13 febbraio 2009 alle 12:20 da roberta


e’ molto bella la descrizione della madame Lefèvre,mi piace particolarmente la frase :…de dames campagnardes qui portent toujours
des centimes dans leur poche pour faire l’aumone ostensiblement aux pauvres des chemins, et donner aux quetes du dimanches”:
curiosità: quetes du dimanches è proprio “questua della domenica”?cioè è una frase d’uso comune per indicare l’elemosina del giorno di festa?
un abbraccio

Postato sabato, 14 febbraio 2009 alle 16:29 da Anonimo


sono io,francesca

Postato sabato, 14 febbraio 2009 alle 16:29 da francesca giulia marone


come ho detto nel post su san valentino non amo questa falsa festa ,ma prendo spunto per inserire una piccola poesia di william butler yeats:
The lover’s song

Bird sighs for the air,
Thought for I know not where,
For the womb the seed sighs.
Now sinks the same rest
On mind, on nest,
On straining thighs.

Canzone dell’amante

L’uccello sospira per desiderio d’aria,
Il pensiero per non so qual luogo,
Per il grembo il seme sospira.
Ora scende un medesimo riposo
Sulla mente,sul nido,
Sulle cosce sforzate.
Che ne pensi rob?in lingua originale è molto più bella e musicale,vero?

Postato sabato, 14 febbraio 2009 alle 17:00 da francesca giulia marone


Francesca, noi due pensiamo all’unisono! Ero in libreria e ho comprato, mentre scrivevi tu qui, una raccolta di poesie di Yeats! Non è possibile…
Molto bella quella che hai riportato qui. Eh l’amore è una cosa così importante per tutti, non bisogna dimenticarlo che ti fa vedere il mondo con altri occhi:) Che si celebri oggi o in altri giorni, non importa.
Certo a me piace sempre di più in lingua originale.
Ora sto uscendo ma spero domani di trattenermi e riportare altri versi di Yeats dalla raccolta appena comprata..
Sul termine “quete du dimanche” credo di sì, almeno ho trovato così sul dizionario. Maupassant ha sempre uno sguardo molto amaro nell’osservazione dei comportamenti umani, l’abbiamo visto anche in “Boule de suif”. Se non ricordo male, credo si sia suicidato. Che tristezza. E’ un grande artista, un vero genio del RACCONTO. Molti scrivono racconti, ma i piccoli capolavori di Guy sono incomparabili.
Conosci UN COEUR SIMPLE di Flaubert? Un racconto maraviglioso anche quello: fa parte dei TROIS CONTES. Se vuoi cerco un brano anche da lì.
Un forte abbraccio::))

Postato sabato, 14 febbraio 2009 alle 18:41 da roberta


cara rob,accidenti siamo proprio in sintonia allora,che cosa bella!sì conosco Un cuore semplice di Flaubert l’abbiamo studiato al laboratorio di scrittura proprio come esempio di rara precisione e bellezza del racconto. Hai ragione l’arte del racconto si ritrova in questi grandi dei classici francesi e in pochi altri contemporanei,io comunque adoro la forma breve: una freccia che deve andare dritta al bersaglio!
a più tardi o al massimo a domani
abbracci

Postato sabato, 14 febbraio 2009 alle 19:50 da francesca giulia marone


cara rob, visto che hai comperato la raccolta di William Butler Yeats, aggiungo un’altra poesia che mi piace molto,quando potrai mi dirai le tue considerazioni:
The Lady’s First Song
I turn round
like a dumb beast in a show,
neither know what I am
nor where I go,
my language beaten
into one name;
I am in love
and that in my shame.
What hurts the soul
my soul adores,no better than a beast
upon all fours.

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 10:01 da francesca giulia marone


Prima canzone della dama
Mi aggiro torno torno
come una belva bruta messa in mostra,
nè so chi io sia
nè dove io vada,
il mio linguaggio costretto
in unico nome;
io sono innamorata:
tale è la mia vergogna.
Quel che all’anima nuoce
la mia anima adora,
come fossi una bestia
a quattro zampe.
(trad.di giorgio melchiori)

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 10:04 da francesca giulia marone


la frase finale l’avresti tradotta così?per carità non che io voglia permettermi di gareggiare con il bravissimo traduttore,ma secondo me era bello anche:non meglio di una bestia a quattro zampe.
Hai notato “fours”, su tutte le quattro letteralmente?
ti mando un abbraccio

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 10:08 da francesca giulia marone


Sì, letteralmente c’è scritto “non meglio di una bestia a quattro zampe”, in effetti. Anch’io preferirei. Anche “hurts”= ferisce, ma molte volte i traduttori sono anche poeti e inseriscono vocaboli per il loro suono, credo. Per “FOURS” credo che ci sia la “s” perché qui è usato come sostantivo invece di “zampe”, e quindi non come aggettivo numerale= quattro.
Ti metto questa, nella traduzione di Roberto Sanesi( che ringrazia, nell’introduzione, il prof. Giorgio Melchiori per i consigli sulla traduzione)- edizione: Oscar Mondadori: W.B. YEATS: POESIE.
THE WILD SWANS AT COOLE (1919)
The trees are in their autumn beauty,
The woodland paths are dry,
Under the October twilight the water
Mirrors a still sky;
Upon the brimming water among the stones
Are nine-and-fifty swans.

The nineteenth autumn has come upon me
Since I first made my count;
I saw, before I had well finished,
All suddenly mount
And scatter wheeling in great broken rings
Upon their clamorous wings.

I have looked upon those brilliant creatures,
And now my heart is sore.
All’s changed since I, hearing at twilight,
The first time on this shore,
The bell-beat of their wings above my head,
Trod with a lighter tread.

Unwearied still, lover by lover,
They paddle in the cold
Companionable streams or climb the air;
Their hearts have not grown old;
Passion or conquest, wander where they will,
Attend upon them still.

But now they drift on the still water,
Mysterious, beautiful;
Among what rushes will they build.
By what lake’s edge or pool
Delight men’s eyes when I awake some day
To find they have flown away?

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 23:31 da Anonimo


No, non è un anonimo…sono io.
Inserisco la traduzione di Roberto Sanesi:
I CIGNI SELVATICI A COOLE
Gli alberi sono nella loro
Bellezza autunnale, i sentieri
Del bosco sono asciutti , e l’acqua
Nel tramonto d’ottobre specchia un cielo immobile;
Sull’acqua traboccante fra le pietre
Cinquantanove cigni stanno.
Già diciannove autunni son passati
Da quando li contai la prima volta;
E prima ancora che avessi terminato
Li vidi all’improvviso alzarsi in volo
E in vasti cerchi infranti roteando sperdersi
Sull’ali clamorose.
Quelle creature splendenti ho contemplato,
E mi dolora il cuore. E’ tutto
Mutato ormai da quando nel tramonto
Su questa riva intesi per la prima volta
Come rintocchi di campana sul mio capo battere
Le loro ali, e camminavo agile.
Instancabili ancora, in coppie innamorate,
Solcano quasi remando l’acqua gelida
Delle correnti amiche o ascendono nell’aria;
I loro cuori sono ancora giovani; e ovunque
Vadano errando , passione o conquista
Tuttora li accompagna.
Ma ora ecco, misteriosi e belli,
Scivolano sopra l’acqua immobile;
Fra quali giunchi costruiranno il nido,
Presso che riva di lago o di stagno
Delizieranno mai gli occhi degli uomini il giorno
Che io mi sveglierò, e troverò che son volati via?

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 23:44 da roberta


Se si guarda bene, il termine UPON, così come altri avverbi( ABOVE+ AMONG), ricorre spesso, a indicare, credo, lo sguardo di chi osserva volto verso l’alto. A me questa traduzione sembra bellissima; e lo dico perché leggendo il testo in italiano, mi ha emozionato.
Per esempio, nel v.6 il testo di Yeats ha “ARE”=SONO cinquantanove cigni; ma ovviamente il traduttore doveva rispettare la poesia del testo, quindi ha tradotto “STANNO” e ha inserito il verbo alla fine del verso.
Chi traduce sempre letteralmenente spesso lo fa perché non ha competenze “poetiche”( mi riferisco alle “nostre” ( almeno le mie)traduzioni qui- che in genere sono inserite esclusivamente per la mancanza di una traduzione pubblicata insieme al testo originale).
Io trovo questa poesia di una bellezza indicibile, soprattutto in inglese e i versi 30-31 più belli( se si può) degli altri.
Ti piace? Non dubito di sì. Il tema è a noi molto caro…
Un abbraccio

Postato mercoledì, 18 febbraio 2009 alle 23:55 da roberta


Comincio a inserire un breve brano in lingua originale da: “UN COEUR SIMPLE” di Flaubert, come d’accordo. Riporto la reazione della protagonista del racconto, Félicité, quando crede di aver perso per sempre il suo pappagallino, Loulou.
“Elle l’avait posé sur l’herbe pour le rafraichir, s’absenta une minute et, quand elle revint, plus de perroquet! D’abord, elle le chercha dans les buissons, au bord de l’eau et sur les toits, sans écouter sa maitresse qui lui criait: ” Prenez donc garde! Vous etes folle!” Ensuite, elle inspecta tous les jardins de Pont-l’ Eveque; et elle arretait les passants. “Vous n’auriez pas vu, quelquefois, par hasard, mon perroquet?” A ceux qui ne connaissaient pas le perroquet, elle en faisait la description. Tout à coup, elle crut distinguer derrère les moulins, au bas de la cote, une chose verte qui voltigeait. Mais au haut de la cote, rien! (…)
Enfin elle rentra épuisée, les savates en lambeaux, la mort dans l’ame;-et, assise au milieu du banc, près de Madame, elle racontait toutes ses démarches, quand un poids léger lui tomba sur l’épaule. Loulou! Que diable avait-il fait? Peut-etre qu’il s’était promené aux environs!
Elle eut mal à s’en remettre, ou plutot ne s’en remit jamais”.
(MANCANO gli accenti circonflessi su:
rafraichir- maitresse-etes- Eveque- arretait-cote- ame- etre-plutot)
edizione francese: CLASSIQUES POCKET.
Cara Franc, hai la versione italiana?
Se sì, mettiamo questo breve brano?
Ciao:)

Postato venerdì, 20 febbraio 2009 alle 18:50 da roberta


cara rob,poichè ora sono sanremese e poco seria mi riservo di inserire domani il mio commento sul bel post su Flaubert – e la mia versione italiana- ed anche il mio pensiero sul precedente post su poesia e traduzione.
ti abbraccio

Postato venerdì, 20 febbraio 2009 alle 21:48 da francesca giulia marone


Inserisco la traduzione letterale del brano(ovviamente, non avendola riportata da una traduzione pubblicata, è piuttosto imperfetta).
” Lo aveva posato sull’erba per rinfrescarlo, si assentò un minuto e, quando ritornò, nessun pappagallo! All’inizio lo cercò nei cespugli, sul bordo dell’acqua, e sui tetti, senza ascoltare la sua padrona che le gridava: “Fate attenzione, dunque! Siete folle!” Poi ispezionò tutti i giardini del Ponte l’Eveque; e fermava i passanti. “Non avreste, per caso, visto qualche volta il mio pappagallo?” A coloro che non conoscevano il pappagallo, ne faceva la descrizione. Improvvisamente credette di distinguere dietro i mulini, ai piedi della costa, una cosa verde che volteggiava. Ma in cima alla costa, nulla!
Alla fine rientrò sfinita, con le ciabatte a brandelli, e la morte nell’anima; e, seduta in mezzo alla panca, vicino alla Signora, raccontava tutti i suoi tentativi, quando un peso leggero le si posò sulla spalla. Loulou! Che diavolo aveva fatto? Forse era andato a fare un giro nei dintorni!
Ella stentò a riprendersi, o meglio, non si riprese mai”.
Cara Francesca Giulia, non c’entra nulla con Flaubert, ma dimenticavo sempre di dirti che nel proverbio ” When the cat is away, then the mice will play”, MICE è un plurale irregolare: A MOUSE, TWO MICE ( non prende la “s”).
Ciao un abbraccio poi mi fai sapere della traduzione di UN COEUR SIMPLE, se ti piace e se puoi inserirne una versione “pubblicata”.

Postato sabato, 21 febbraio 2009 alle 23:43 da roberta


Nel testo in francese ho inserito “derrère” anziché “derrière”=dietro.

Postato sabato, 21 febbraio 2009 alle 23:55 da roberta


ecco la traduz. del brano da Un cuore semplice:
Félicité l’aveva deposto sull’erba per rinfrescarlo,si assentò un minuto e, quando tornò, niente più pappagallo!In principio cominciò a cercarlo fra i cespugli in riva al fiume o sopra ai tetti, senza prestare ascolto alla padrona che le diceva:”State attenta!siete impazzita!”. Successivamente ispezionò tutti i giardini di Pont-l’éveque; fermava i passanti: “Avete visto per caso il mio pappagallo?”.A quelli che non lo conoscevano ne dava una descrizione.D’un tratto, credette di distinguere,dietro i mulini,ai piedi della costa,qualcosa di verde che volteggiava. Ma giunta in cima alla costa,niente!…………………………..
Alla fine tornò a casa,sfinita, con le ciabatte ridotte in brandelli e la morte nell’anima;seduta sulla panca,accanto alla Signora,stava raccontando tutte le sue traversie,quando un leggero peso le piombò sulla spalla: Lulù! Che diavolo aveva fatto? Forse se ne era andato un pò in giro nei dintorni!
Félicité faticò a rimettersi,o meglio non si rimise mai più.
traduz. di Ottavio Cecchi e Maurizio Grasso
in Madame Bovary e tre racconti, con un saggio di Proust
Questo racconto insieme agli altri due è considerato il vertice dell’arte di Flaubert, esempio di lirica semplicità di un’umile realtà quotidiana della vita della protagonista e del suo rapporto commovente con il suo pappagallino.

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 13:22 da francesca giulia


cara rob,mi piace la tua traduz, il racconto è veramente da consigliare a chi non lo avesse letto!
Inoltre volevo aggiungere al discorso fatto da te sulle traduzioni in poesia. Abbiamo sottolineato della difficoltà e dell’impegno del traduttore in genere,ma credo che questo problema si manifesti ancor più per la poesia,dove incontriamo lo scoglio fra la scelta di essere fedeli al testo originale e nello stesso tempo l’impegno a cercare di mantenere la bellezza dei versi,queste due cose non sempre coincidono,purtroppo talvolta proprio perchè il traduttore è anche poeta egli stesso rischiamo di trovarci di fronte ad “altra “cosa rispetto all’originale. Magari anch’essa stupenda lirica ma non più la stessa,in certe occasioni tale è la bravura e l’altezza poetica del traduttore tale sarà la resa del lavoro fatto,e senza questo sforzo noi non avremmo mai potuto leggere opere scritte in lingue che non conosciamo,ma quando possibile consiglio sempre di leggere anche il testo originale. C’è in esso una musicalità della prole e del verso che resta intraducibile.
un abbraccio

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 13:29 da francesca giulia


“delle parole”

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 13:30 da francesca giulia


@ Roberta e Francesca Giulia.
Grazie!!!
Vi leggo con piacere e gioia.

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 13:32 da Massimo Maugeri


bentornato caro massimo!
un saluto e buona domenica a tutti.

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 13:34 da francesca giulia


Che bello quest’episodio di Flaubert! Come si sbagliava chi lo ritenne una persona cinica e fredda…
Se leggete la carinissina autobiografia della Christie, vedrete che Agatha da piccola subì lo stesso trauma della protagonista di UN COEUR SIMPLE: smarrì il canarino. Lo cercò un’intera giornata insieme alla nurse e, dopo un giorno intero di stanchezza e pianti, Dickie – credo si chiamasse così – venne giù svolazzando dal bastone della tenda…

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 15:21 da Maria Lucia Riccioli


L’autobiografia è pubblicata da Mondadori e si chiama LA MIA VITA.

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 15:24 da Maria Lucia Riccioli


@maria lucia grazie di venire qui a trovarci ogni tanto,non sapevo della Christie,narrare i sentimenti semplici è molto difficile,credo forse più dei sentimenti forti che si lasciano narrare da sè,in questo Flaubert è stato un maestro.
un saluto affettuoso

Postato domenica, 22 febbraio 2009 alle 16:22 da francesca giulia


@Maria Lucia
anch’io ti ringrazio perché ci leggi sempre::)) Credo che andrò a cercare l’autobiografia di Agatha Christie che ci hai segnalato.
Ci sono dei brani strepitosi in questo racconto: anche quello in cui la famigliola è rincorsa dai buoi… e poi Félicité che fa imbalsamare il pappagallino e le sue visioni quando è in fin di vita…
Eh, non sapevo si dicesse di Flaubert che era un cinico e un freddo…Mah.
un saluto affettuoso anche da parte mia:)

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 16:05 da roberta


@ Francesca Giulia
Inseriamo un altro breve brano, che ne dici?

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 16:07 da roberta


@roberta certo mia cara,domani mattina sono qui!Mi piace molto la parte in cui la protagonista fa impagliare il pappagallo.

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 20:57 da emma bovary


@roberta certo mia cara,domani mattina sono qui!Mi piace molto la parte in cui la protagonista fa impagliare il pappagallo.

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 20:58 da francesca giulia


@roberta accidenti:c’è stata un’interferenza!
baci

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 21:00 da francesca giulia


Va bene, allora. Domani lo cerco e lo inserisco.
Un abbraccio:)
Ah, eri tu Emma Bovary? Beh, qui parlaimo di Flaubert..
Abbiamo anche dialogato un pò “mascherate”: mi hai riconosciuto?
Ciao:)

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 21:12 da roberta


gretel?

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 22:36 da emma bovary


gretel?

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 22:36 da anonimo


Hi, translaters!
Please treat me right…
A big hug from me and Mr. Darcy…

Postato lunedì, 23 febbraio 2009 alle 23:14 da Lizzy Bennet


Ciao, Lizzy Bennet,
we’ll treat you right, of course!
A big hug to you, too! If you and Mr. Darcy want to join us sometimes, you’ll be welcome:)
@Francesca Giulia: certo, Gretel..:)

Postato martedì, 24 febbraio 2009 alle 00:02 da roberta


@roberta mi piace in modo particolare da qui: (Un cuore semplice)
Poco primache Lulù muoia e venga impagliato.
………….Avevano dei dialoghi,lui sillabando a sazietà le tre frasi del suo repertorio,lei rispondendo con parole senza più costrutto,ma nelle quali effondeva tutto il suo cuore.Nel suo isolamento Lulù era quasi un figlio,un innamorato.Scalava le sue dita,le mordeva le labbra,le artigliava lo scialletto e ,quando lei chinava la fronte scrollando il capo alla maniera delle balie,le grandi ali della cuffia e le ali dell’uccello fremevano insieme.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 09:43 da francesca giulia


non è delicatissima questa descrizione?sembrerebbe che si stesse parlando di due innamorati che vibrano all’unisono dello stesso sentimento….
aspetto la tua versione originale,quando potrai.
bacissimi

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 09:44 da francesca giulia


” Ils avaient des dialogues, lui débitant à satiété les trois phrases de son répertoire, et elle y répondant par des mots sans plus de suite, mais où son coeur s’épanchait. Loulou, dans son isolement, était presque un fils, un amoureux. Il escaladait ses doigts, mordillait ses lèvres, se cramponnait à son fichu et comme elle penchait son front, en branlant la tete à la manière des nourrices, les grandes ailes du bonnet et les ailes de l’oiseau frémissaient ensemble”
da “Un coeur simple” di Gustave Flaubert.
(MANCA IL CIRCONFLESSO SU: TETE)
Sì, in questo racconto di Flaubert, così come in tutti i suoi scritti, non è soltanto il carattere del personaggio principale, Félicité, che è descritto in maniera tale da non poter essere dimenticato, ma è anche l’uso delle parole che è in grado di rendere in modo perfetto la “visualizzazione” della scena.
Si dice di questo scrittore, “contrapponendolo” spesso a Balzac, che scriveva “di getto”- per lo stile diverso dei due grandi romanzieri, che il suo “culto della FORMA” sia il corrispettivo del culto della forma nei poeti Parnassiani. E in effetti ci si potrebbe chiedere: quanto è importante per uno scrittore il TEMPO che egli impiega per la scrittura di un’opera?
Non prendendo come esempio Balzac( che è un genio assoluto), quanto è giusto il “rimaneggiamento” e la cura della FORMA in un’opera letteraria? Flaubert pare non riuscisse, nemmeno dopo cinque anni, a dare una versione definitiva di “Madame Bovary”, tanto che, a parte la celebre frase, spesso erroneamente interpretata: “Madame Bovary c’est moi”, cominciava a non amare troppo il suo personaggio.
Ricordo di quel romanzo la descrizione della “torta di compleanno” della figlioletta: nei manuali è riportata come esempio di perfezione dello “stile realistico”. La torta in sè, a quel punto, non ha importanza per lo sviluppo della storia, né quello che viene chiamato “bovarismo” ha a che fare con la descrizione di tale oggetto; eppure il risultato finale che ne deriva è proprio questo: una quasi totale identità tra FORMA e CONTENUTO, tra forma e sostanza.
Si potrebbero riportare, per tentare di dare una risposta al quesito( quesito che peraltro tormenta tutti gli scrittori, credo) due brani e metterli a confronto: 1) la descrizione che Balzac fa di Madame Vauquer in “PèRE GORIOT”( oppure un altro esempio in Balzac); 2) la descrizione di un personaggio in Flaubert.
Inoltre si potrebbe inserire una descrizione di Emile Zola (?).
E’ solo il tempo che mi manca.
Un abbraccio

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 20:34 da roberta


cara rob,ho pensato per te:per l’accento circonflesso o vai sulla barra menu: inserisci: a destra dovrebbe aprirsi una piccola schermata con “simboli” lì trovi il circonflesso,altrimenti dal pannello controllo: opzioni:cambia lingua straniera potresti inserire :lingua francese,ma è una procedura più lunghetta. Non so se riesco a rendermi utile,altrimenti scrivi senza circonflesso che tanto ci capiamo lo stesso! :-)
a domani cara amica di mouse

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 20:58 da francesca giulia


Cara Frances, nella mia “barra menù” non trovo i “simboli” che di solito trovo quando scrivo su word. Per ora dovrò fare a meno degli accenti circonflessi, anche se mi “irrita” moltissimo non poterli mettere…
Posso “ovviare” riportando qui le ultime quattro righe da: “THE DEAD” di James Joyce ( tratto da “Gente di Dublino”) Esiste un bel film di John Huston che è tratto da questo racconto; se vuoi ne parliamo( anche se qui in questo spazio io tendo a fere molti “pastiches” e non esiste molte volte un “filo conduttore”…) Ho preso in mano questo volume poco fa e così ho pensato di riportare il breve brano; ma possiamo riportarne altri.
Ciao, un abbraccio

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 20:36 da roberta


” His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead”.

“E l’anima lenta gli svanì nel sonno mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo, lieve come la discesa della loro ultima fine su su tutti i vivi, su tutti i morti”.
TRADUZIONE di Franca Cancogni. Edizioni Einaudi Tascabili- Serie Bilingue-

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 20:42 da roberta


Bellissimo… anche se non commento sempre, vi leggo comunque… macte à les translaters!!!

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:07 da Maria Lucia Riccioli


Grazie, Maria Lucia, sei molto cara. Vorrei aggiungere un altro brano da questo bellissimo racconto di Joyce. Sono contenta che ti piaccia.
A me fa molto piacere se hai suggerimenti o se vuoi inserire qualcosa tu su autori che ami ( mi sembra di aver capito Jane Austen?) e ne parliamo.
Un abbraccio
Ps: aspettiamo di leggerti anche sullo spazio creativo:)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:17 da roberta


@roberta ok,non ti preoccupare per i circonflessi,io ci ho provato perchè ho capito che sei una che ama la precisione,magari vengo lì in terra sarda e cerchiamo di risolvere! :-)
stupende le righe di Joyce,questa neve che tutto ricopre leggera inesorabile,rende tutti uguali,tutto livella e l’anima vola via….
molto poetico pur essendo narrativa.
un abbraccio a te e anche a maria lucia che ci viene sempre a trovare.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:07 da francesca giulia


@rob “nel sonno” non c’è in lingua originale?secondo te si presume dal verbo swooned?
grazie

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:09 da francesca giulia


si desume

buon nuit

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:24 da francesca giulia


Sì, hai ragione: ho con me in questo momento un dizionario troppo piccolo e non ho trovato questo verbo. Letteralmente dovrebbe essere ” la sua anima svanì lentamente”, perché non c’é un aggettivo riferito a “anima=soul”, ma c’è l’avverbio SLOWLY=lentamente. Siccome nell’ ultima pagina del racconto questo personaggio si addormenta, forse “nel sonno” c’è per questo motivo; ma cercherò meglio il verbo “to swoon”, che forse implica in sè l’idea di addormentarsi. Avrei forse dovuto mettere un brano più lungo: lo farò. Hai visto il film di John Huston?
Ciao, buonanotte:)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:37 da roberta


Non lo ricordo molto bene il film, c’era Anjelica Houston? Mi pare sia stato uno degli ultimi film o addirittura l’ultimo che lui girò prima di morire. Mi ricordi qualche scena?E’ chiaramente un omaggio a Joyce.
Certamente il traduttore avrà scelto “nel sonno” perchè indicato dal contesto dello svolgimento della storia anche se non esplicitamente presente come termine.
grazie sempre rob!

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 09:54 da francesca giulia


cara rob poichè parliamo di Joyce ti trascrivo una poesia che ha nel tema qualcosa che si lega molto bene alle righe del brano che hai riportato tu sopra.
…………………..

Amata,di quella sì dolce prigionia
la mia anima è lieta…
Tenere braccia che inducono alla resa
E vogliono essere strette,
Sempre così mi trattenessero,
Felice prigioniero sarei!
Amata quella notte mi tenta
Che nel tremante viluppo delle braccia,
In alcun modo gli allarmi
Possano turbarci ma il sonno
A più sognante sonno si sposi e l’anima
Con l’anima giaccia prigioniera.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 12:14 da francesca giulia


Of that so sweet imprisonment
My soul,dearest,is fain-
Soft arms that woo me to relent
And woo me to detain.
Ah,could they ever hold me there,
Gladly were I a prisoner!
Dearest,through interwoven arms
by love made tremulous,
That night allures me where alarms
Nowise may trouble us
But sleep to dreamier sleep be wed
Where soul with soul lies prisoned.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 12:37 da francesca giulia


@Cara Franci
cercherò di collegarmi stasera. Per il momento ti ringrazio molto.
Un abbraccio

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 14:00 da roberta


Cara Franc,
ho cercato il verbo TO SWOON: il dizionario riporta: “venir meno”; “svenire”; “andare in estasi”; l’idea del sonno, quindi, è un’interpretazione del traduttore, credo, visto che un paio di pagine( e non solo queste ultime righe del racconto) sono dedicate al momento in cui i due coniugi, dopo aver trascorso il capodanno a casa delle care zie, ripensano al passato, prima di addormentarsi.
Il film è molto bello( sì credo l’ultimo di John Huston e la protagonista è Angelica, sua figlia). Il titolo “THE DEAD”, quando avevo visto il film( e avevo 23 anni) sembrava suggerire l’idea di persone che erano “morte dentro”, nel senso di non aver ceduto alle passioni (la protagonista racconta a suo marito di un suo amore giovanile e il ragazzo, non potendola amare perché lei doveva partire per non so dove, si era lasciato morire); per molti anni, quindi, ho pensato che il significato fosse quello. Ed è il film che mi ha “sviato”. Certo in “GENTE DI DUBLINO” ci sono molte “vite negate”, però, rileggendo alcune parti del racconto mi sono convinta che “I MORTI” è un racconto sui “cari” morti, quelli morti davvero. Ora cerco qualche punto del testo che confermi o la mia prima idea o la seconda ( io certe volte mi faccio idee sbagliate su quello che leggo, a seconda che mi “convenga” capire una cosa piuttosto che un’altra; per esempio per anni, dopo aver letto MOBY DICK due volte, ho avuto sempre in mente che Melville parlasse della “natura violata”; ma ci sono riferimenti al Leviatano della Bibbia e forse Melville non era così “ambientailsta” come lo vedo io. La questione è evidentemente ben più complessa e dovrei rileggere anche Moby Dick – cosa non mi dispiacerebbe affatto- tranne il capitolo che si intitola “CETOLOGIA”= quello lo salterei…., visto che Melville è uno degli scrittori che amo di più).
Se tu conosci e hai letto tutto il racconto di Joyce, puoi dare una tua versione del significato. In genere la Yourcenar DETESTAVA letteralmente i lettori che vedono nei testi quello che vogliono vederci (lei diceva che sono tutte forme di insopportabile “egocentrismo” 0 “egotismo” e aveva ragione); perciò io cercherò di trovare il significato del titolo del racconto di Joyce cercando di allontanarmi dalla MIA idea e trovando l’idea dello scrittore.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 17:38 da roberta


Ps: la poesia, molto bella, mi sembra più sull’amore che sul sonno. Ma infatti sono spesso le PAROLE che incontriamo in un testo( il racconto THE DEAD) a farcene venire in mente un altro ( la poesia da te riportata) .Non sapevo che Joyce scrivesse anche poesie. Franci, non ha il titolo? Sai da quale raccolta è tratta?
Nella poesia che hai riportato la notte+ il sonno accompagnano gli amanti felici; nel racconto di Joyce ( ma mi rendo conto che ho inserito troppo poco perché si capisca) il ricordo del giovane Michael Furey morto per lei fa “allontanare” Gretta da suo marito Gabriel e lei si addormenta dopo aver pianto; a quel punto Gabriel pensa alla vita e alla morte, mentre la neve ricopre tutto.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 17:48 da roberta


cara rob,il titolo della poesia è “Amata,di quella sì dolce prigionia”
Of that so sweet imprisonment dovrebbe essere tratta da Musica da camera XXII.
Sì Joyce ne ha scritte diverse e anche molto belle,spesso autori che conosciamo solo per la prosa magistrale hanno espresso il pensiero poetico in manierea meravigliosa e meno diffusa,perciò per quel che posso,mi pregerò di inserire qualche poesia ogni qual volta tu parlerai di autore interessanti se ti fa piacere.Sai che io nel mio piccolo adoro “poetare”…
Comunque è sull’amore,ma le parole usate in alcuni versi mi suggerivano un’atmosfera di quiete pari a quella del sonno,perciò mi piaceva fartela leggere.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 18:27 da francesca giulia


grazie per la spiegazione sul termine swoon, avevamo ben intuito quindi che era stata un’interpretazione del traduttore, naturalmente leggendo tutto il contesto sarebbe stato più evidente,ma grazie a te ci capiamo un pò di più!
Anch’io spesso cado nell’errore detestato dalla Yourcenar,perchè soggettivizzo molto ciò che leggo,tu hai ragione che bisognerebbe attenersi all’intenzione profonda dell’autore ma fra emittente e ricevente il messaggio spesso muta in qualsiasi forma di comunicazione,che è libera ed emozionante proprio perchè ognuno di noi possa leggerci ciò che più si attiene al proprio animo e alla propria sensibilità.Un pò ci attieniamo e un pò “sbagliamo” prendendo ciò che piace e serve.
un bacione

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 18:33 da francesca giulia


Franci, sono contentissima che tu abbia inserito la poesia di Joyce e se lo farai ancora, te ne sarò grata. Intanto cerco anche la sua produzione poetica, grazie a te.
Sì, lo so che ami molto la poesia e in questo ti seguo molto, perché anch’io la amo. Ma ne conosco di meno, forse.
Eh, la Yourcenar era “terribile” in questo: perché in effetti molte volte “distorcevano” il significato dei suoi libri ( che lei impiegava non so quanto a scrivere e a rimaneggiare) e questo la irritava. E poi se la prendeva un pò per l’”egocentrismo” in generale: nei saggi dice che trovava così irritante incontrare a una festa una persona che cominciava ( CONTINUAVA…) con “Io….. io …..io “. Non le si può dare torto, in effetti: me mi avrebbe trovato “insopportabile”.
Cerchiamo il significato di “THE DEAD”? Va bene?
Perché non inserisci un’altra poesia dalla raccolta della Musica da Camera XXII ?
un abbraccio anche a te:)

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:25 da roberta


Faccio una premessa: la musica ha nella vita e nelle opere di Joyce un’importanza nodale,il titolo di questa raccolta poetica giovanile non è casuale. Joyce da ragazzo desiderava diventare un tenore,ma si dimostrò essere molto riottoso allo studio della musica e si rifutò più volte di leggere gli spartiti. Ebbe però in un’occasione di un concorso una medaglia dal celebre Luigi Denza,il compositore della “nostra” famosa “Funiculì funiculà”.Tutta la sua opera è plasmata dal senso della musica,nella raccolta giovanile di poesie la trama come uno spartito e le parole musicali hanno attratto l’attenzione di più di un musicista dei suoi tempi.
ne metto volentieri un’altra…

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:46 da francesca giulia


la dedichiamo alle donne……
L’amor mio è vestita di luce
……………………………………
L’amor mio è vestita di luce
In mezzo ai meli
Dove i lieti venti più bramano
Di correre insieme.

Là dove i venti lieti restano un poco
A corteggiare le giovani foglie,
L’amor mio va lentamente, china
Alla propria ombra sull’erba;

Là, dove il cielo è una coppa azzurrina
Rovescia sulla terra ridente,
Va l’amor mio luminoso, sostenendo
Con garbo la veste.

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 19:29 da francesca giulia


My love is in a light attire
Among the appletrees
Where the gay winds do most desire
To run in companies.
There,where the gay winds stay to woo
The young leaves as they pass,
My love goes slowly,bending to
Her shadow on the grass;
And where the sky’s a pale blue cup
Over the laughing land,
My love goes lightly,holding up
Her dress with dainty hand.

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 19:35 da francesca giulia


Bellissima poesia, Francesca Giulia. Grazie.

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 19:35 da Massimo Maugeri


cara rob che ne pensi del “in a light attire” tradotto “vestita di luce”?
bacioni

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 19:36 da francesca giulia


grazie massi….anche di aver fatto una capatina qui!
bacioni

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 19:37 da francesca giulia


Sì, bella poesia, avete ragione.
cara Franc,
come sempre il testo è “cambiato”. Non ho trovato su questo dizionario che ho qui il termine “attire” che dovrebbe essere un sostantivo a cui l’aggettivo LIGHT si riferisce. Non credo che LIGHT qui sia il sostantivo LUCE; credo che sia aggettivo= leggero, luminoso, forse. Dovrei avere il mio dizionario di sempre e qui non ce l’ho.
Sto pensando ( ma boh..) che se il termine ATTIRE viene ( com’è probabilissimo, visto che moltissimo lessico dell’inglese ha una derivazione neolatina-dal francese più che dal latino direttamente, per ragioni storiche) deriva dal verbo francese ATTIRER= attirare+ attrarre+ anche SEDURRE; l’espressione IN A LIGHT ATTIRE potrebbe significare= “il mio amore è in un luminoso atteggiamento che attrae”, che seduce, SEDUCENTE, sotto una “luce attraente”, quindi, guardata dall’amato attraverso i rami e le foglie degli alberi in cui filtra la luce che illumina l’amata(=my love). Ma la stessa amata potrebbe essere vista sotto quella “luce” dall’amore di chi la osserva, che è innamorato, evidentemente; credo che l’espressione sia volutamente ambigua.
Non ho mai scritto versi in metrica, so solo ri-conoscerli e non saprei rendere il verso in poesia, nel tradurlo. Capisco direttamente in inglese ( e qui la traduzione non la farei…ma che bella scoperta da parte mia, vero??) che l’intero verso vuol dire “Il mio amore è sotto una luce seducente”; eh, ma infatti non sono una traduttrice..
Di chi è la traduzione di questa raccolta di Joyce, Franci?
Grazie per averla inserita, anche perchè mi dà l’occasione di riflettere su tante cose.
Un bacione

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 20:31 da roberta


Aggiungo, prima di chiudere: lo schema delle quartine è: a-b-a-b; c-d-c-d; e-f-e-f : in italiano non c’è rima( che sarebbe difficile credo rendere uguale in italiano)forse “attire” è stato inserito perchè dopo c’è “desire”( spero di non aver detto un’altra fesseria..).
Un’altra cosa; poi a domani, spero:
i versi “BENDING to / the shadow on her grass”: perchè traducono “bending”(= present progressive) con un participio passato(= china) anziché con un gerundio( =piegandosi)?
Anche “rovescia” (che è verbo?) nel testo non c’è; nel testo c’é OVER= sopra, su; quindi sarebbe: “Là, dove il cielo è una coppa azzurrina/
sulla terra ridente/ va l’amor mio luminoso”.
Ma ripeto, se non me l’avessi fatto notare tu, non ci avrei pensato, neppure a “in a light attire”, perché la poesia è bella anche in italiano ; in ogni caso chi traduce sa bene come riportare la poeticità del testo e in poesia è ancor più difficile renderlo.
I traduttori, che svolgono sapientemente il loro lavoro, come abbiamo scritto a lungo in questo post in cui alcuni sono intervenuti, conoscono tutti i metodi per tradurre e infatti esiste “la scuola per traduttori” che avrei voluto frequentare, ma che con evidenza (vedi appunto qui) non ho frequentato.
Un abbraccio

Postato domenica, 8 marzo 2009 alle 23:13 da roberta


Cara Rob,come sempre apre la discussione ad interessanti interrogativi. La traduzione è di Alfredo giuliani,poeta scrittore e critico letterario del 1924 morto nel 2007,le cui poesie sono state raccolte nell’antologia “I Novissimi”,curata da lui, testo importante della neoavanguardia,in cui le sue poesie sono accanto a quelle di Sanguineti,Pagliarani e Porta. Come abbiamo più volte detto è fondamentale che il traduttore sia anche egli poeta,ma essendo tale non si limita a tradurre ma crea nuova poesia accanto all’originale,rispecchiandone il senso eppure creando qualcosa di nuovo;perciò bisogna dove la conoscenza della lingua lo ritenga possibile,leggere sempre anche l’originale.
Sicuramente il poeta nel testo originale si è posto la scelta delle parole per far combaciare i versi,oltre che per necessità espressiva del senso,ma io credo anche per conservare quel senso della musica che si perde un pò leggendo la traduzione-seppure belissima!-
Ho trovato sul mio dizionario un significato di to attire=vestire,abbigliare anche sinonimo di to adorn=adornare,perciò è consono alla traduzione.
Effettivamente l’uso di bending to come participio passato secondo me rende più leggera la figura dell’amata rispetto al gerundio che avrebbe appesantito il verso.
Vedi che cosa bella è la vita?Se avessi fatto la traduttrice di professione non ti saresti cimentata qui con me in questo gioco meraviglioso,perciò ciò che sembra un’occasione perduta nella nostra vita può essere vista al contrario come un’opportunità.
buona giornata

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 11:27 da francesca giulia


Sì, questo è vero, cara Franci, dico per le “opportunità” perse. E’ che tradurre ti fa leggere il testo con occhi diversi, e ti fa stare attento a particolari che altrimenti sfuggono anche ai lettori più esigenti.
Ho anch’io cercato il termine ATTIRE che come sostantivo significa “abbigliamento/abito” e come verbo ha il significato che hai inserito tu; quindi mi ero totalmente sbagliata ieri supponendo derivazioni dal francese ecc.. Il verso sarebbe infatti
, così come è nella traduzione, “in un abito di luce”.
Un abbraccio
Inseriremo altri testi di Joyce+ un altro brano da GENTE DI DUBLINO.

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 15:21 da roberta


Avec plaisir,ma cherie.

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 15:41 da francesca giulia


Cara Franc,
ci sono due brani da “The dead” che vorrei inserire: uno è quello in cui Gabriel parla con la signorina Ivors dell’”amor patrio” per l’Irlanda; l’altro quello in cui la zia Julia canta, accompagnata al pianoforte, una canzone dolce che nel film di John Huston è molto commovente.
Riporto prima il secondo:
” A murmur in the room attracted his attention. Mr Browne was advancing from the door, gallantly escorting Aunt Julia, who leaned upon his arm, smiling and hanging her head. An irregular musketry of applause escorted her also as far as the piano and then , as Mary Jane seated herself on the stool, and Aunt Julia, no longer smiling, half turned so as to pitch her voice fairly into the room, gradually ceased. Gabriel recognized the prelude. It was that of an old song of Aunt Julia’s- ARRAYED FOR THE BRIDAL. Her voice, strong and clear in tone, attacked with great spirit the runs which embellish the air and though she sang very rapidly she did not miss even the smallest of the grace notes. To follow the voice, without looking at the singer’s face, was to feel and share the excitement of swift and secure flight. Gabriel applauded loudly with all the others at the close of the song and loud applause was borne in from the invisible supper-table. It sounded so genuine that a little colour struggled into Aunt Julia’s face as she bent to replace in the music-stand the old leather-bound-song-book that had her initials on the cover.”
da: James Joyce: The Dead- Einaudi Tascabili- Serie Bilingue- (segue traduzione di Franca Cancogni)

Postato domenica, 15 marzo 2009 alle 14:44 da roberta


“Un mormorio in sala attrasse la sua attenzione. Dalla soglia veniva avanti il signor Browne a galante scorta di zia Julia che gli s’appoggiava al braccio sorridendo e chinando il capo. Una salva d’applausi li accompagnò fino al pianoforte e andò poi spegnendosi via via mentre Mary Jane s’accomodava sullo sgabello e zia Julia, senza più sorridere, si voltava a mezzo verso l’uditorio in modo da aggiungere alla voce maggior risonanza.
Gabriel riconobbe subito il preludio, quello di una vecchia canzone di zia Julia: ADORNA PER LE NOZZE. La voce forte e chiara di tono attaccò con brio i gorgheggi che abbellivano la melodia senza mancarne, nonostante la rapidità, la minima fioritura, e a seguirla, evitando di guardare la faccia della cantante, pareva di partecipare all’impeto di un volo rapido e sicuro. Alla fine del pezzo, Gabriel applaudì forte assieme agli altri, un nutrito applauso si partì anche dall’invisibile tavolata nella stanza di fondo e suonò così sincero che un pò di rossore salì al viso di zia Julia, intenta a riporre nello scaffale il vecchio volume di canzoni rilegato in cuoio, con le iniziali sulla copertina.”

Postato domenica, 15 marzo 2009 alle 14:57 da roberta


” O, Mr Conroy, will you come for an excursion to the Aran Isles this summer? We’re going to stay there a whole month. It will be splendid out in the Atlantic. You ought to come. Mr Clancy is coming, and Mr Kilkelly and Kathleen Kearney. It would be splendid for Gretta too if she’d come. She’s from Connacht, isn’t she?
- Her people are, said Gabriel shortly.
- But you will come, won’t you? said Miss Ivors, laying her warm hand eagerly on his arm.
- The fact is, said Gabriel, I have already arranged to go -
- Go where? asked Miss Ivors.
- Well, you know, every year I go for a cycling tour with some fellows and so -
- But where? asked Miss Ivors.
- Well, we usually go to France or Belgium or perhaps Germany; said Gabriel awkwardly.
- And why do you go to France and Belgium, said Miss Ivors, instead of visiting your own land?
- Well, said Gabriel, it’s partly to keep in touch with the languages and partly for a change.
- And havent’t you your own language to keep in touch with – Irish? asked Miss Ivors.
Well, said Gabriel, if it comes to that, you know, Irish is not my language.
(…)
- And havent’you your own land to visit, continued Miss Ivors, that you know nothing of, your own people, and your own country?
- O, to tell you the truth, retorted Gabriel suddenly, I’m sick of my own country, sick of it!
- Why? asked Miss Ivors.
Gabriel did not answer for his retort had heated him.
- Why? repeated Miss Ivors.
They had to go visiting togetherand, as he had not answered her, Miss Ivors siad warmly:
- Of course, you’ve no answer.
gabriel tried to cover his agitation by taking part in the dance with great energy. He avoided her eyes for he had seen a sour of expression on her face. But when they met in the long chain he was surprised to feel his hand firmly pressed. She looked at him from under her brows for a moment quizzically until he smiled. Then, just as the chain was about to start again, she stood on tiptoe and whispered into his ear:
-West Briton!”
SEGUE TRADUZIONE

Postato domenica, 15 marzo 2009 alle 16:07 da roberta


“- Ma perché Conroy, non ci venite anche voi alle isole Aran* quest’estate? Noi ci staremo tutto un mese. Sarà magnifico trovarsi laggiù in pieno Atlantico. Dovreste proprio venirci. verranno anche il signor Clancy e il signor Kilkelly e Kathleen Kearney…Anche a Gretta piacerebbe, ne sono sicura. E’ del Connacht, vero?
- La sua famiglia, sì, – tagliò corto Gabriel.
- Verrete allora? – ripeté con entusiasmo la ragazza posandogli la mano calda sul braccio.
- Il fatto è che avrei già in mente di andare…
- Andare dove?
- Sapete ogni anno combiniamo un giro in bicicletta con gli amici e…
- Ma dove?
- Be’, di solito in Francia o nel Belgio o magari in Germania… – rispose Gabriel imbarazzato.
- E perché ve ne andate in Francia o nel Belgio invece di visitare il vostro paese?
- Mah, così, un pò per tenermi in esercizio con le lingue e un pò per cambiare aria.
- E la vostra lingua, l’irlandese non vi basta?
- Be’, in quanto a questo allora vi dirò che l’irlandese non è la mia lingua.
(…)
- Non avete dunque il vostro paese da visitare, il vostro paese e la vostra gente che ancora non conoscete? – lo incalzò la signorina Ivors.
- oh, a dirvi la verità sono stufo del mio paese, stufo! – esplose Gabriel d’un tratto.
- E per quale ragione, sentiamo?
Ma Gabriel non rispose perché lo scatto improvviso gli aveva mandato il sangue alla testa.
- Per quale ragione? – insisté la Ivors.
La danza imponeva adesso la figura delle visite e siccome egli continuava a tacere la Ivors disse con calore:
- Non avete nulla da rispondermi, naturalmente.
Gabriel cercava di nascondere il suo turbamento partecipando alla danza con grande energia. Evitava però d’incontrare gli occhi della ragazza in cui leggeva il risentimento; e quando così si ritrovarono nella catena lo sorprese sentirsi stringere forte per mano. Ella lo guardò per un istante con aria enigmatica finché lui non smise, poi, proprio mentre la catena stava per riprendere, s’alzò in punta di piedi e gli sussurrò all’orecchio:
- Anglofilo!”

*una nota a piè di pagina dice che le isole Aran erano meta di pellegrinaggio da parte di fautori dell’Irish Revival.
Nel testo in italiano la frase “UNTIL HE SMILED” è tradotta con “FINCHE’ LUI NON SMISE”- hai notato? Mi chiedo perché.
Sopra nel testo in inglese ho scritto “siad” per “said”.

Postato domenica, 15 marzo 2009 alle 16:47 da roberta


Molto bello questo brano,il dialogo è scorrevole e descrittivo dei personaggi,”ripeté con entusiasmo la ragazza posandogli la mano calda sul braccio”, eagerly ad esempio nella traduzione è riferito a “ripetè con entusiasmo” ma secondome potrebbe essere riferito tranquillamente al modo in cui lei posa la mano sul braccio,infatti nel suo significato è anche desideroso, bramoso,quindi fatto con desiderio. Sì ho notato la traduzione di “until he smiled”, come spesso abbiamo detto io e te, il traduttore si è riferito ad un contesto e non alla traduzione letterale del termine. Forse intendeva dire :finchè non smise di turbarsi perchè lui prima sorrideva ed ha concentrato in finchè non smise.Dovrei rileggeretutto il contesto che sinceramente non ricordo benissimo,comunque grazie per averlo riscritto.

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 10:15 da francesca giulia


Ciao, Franc. Sì, il termine EAGERLY è, come hai scritto tu, importante e ha tanti significati. Nel mio dizionario: “con impazienza”. Ma la ragazza, che porta una specie di “coccarda” sul petto a indicare la “fierezza” per sua appartenenza al movimento irlandese, poggia la sua mano sul braccio di Gabriel perché vuole convincerlo davvero affinchè lui e Gretta li raggiungano e si uniscano a loro; Gabriel, si dice un pò prima nel racconto, scrive articoli su un famoso giornale irlandese conservatore, il “Daily Express”( firmandosi solo con le sue iniziali, G.C.= Gabriel Conroy)che lei definisce “anglofilo” e gli chiede( prima del ballo) “Non vi vergognate?”- Lui risponde: “E perchè dovrei vergognarmi?”.
” I have found out that you write for “The Daily Express”. Now, aren’t you ashamed of yourself?”-
“Why should I be ashamed of myself? asked Gabriel, blinking his eyes and trying to smile.(=sbattendo le palpebre e cercando di sorridere)
-Well, I’m ashamed for you, said Miss Ivors frankly. To say you’d write for a rag like that. I didn’t think you were a West Briton.”
(= “Vuol dire che allora mi vergognerò io per voi,-dichiarò la signorina Ivors con franchezza- Pensare che scrivete per un giornale simile. Non credevo che foste un anglofilo”).
Lei è animata da quello “spirito combattivo” che porta molte persone ideologicamente definite a non accettare le posizioni e le idee altrui.
Anche l’altra scena, il canto della zia Julia, è molto bella e John Huston ha reso questo racconto in maniera magistrale, secondo me.

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 12:29 da roberta


Spinta dai suggerimenti di Gaetano ( che, sulla camera accanto n°9, parlando del romanzo di Massimo ricordava come anche Stevenson fosse stao “ispirato” da un sogno per il suo racconto) riporto in inglese il brano sui “folletti”= Brownies= l’ispirazione creativa (difficilmente definibile). Il testo in italiano è riportato nel post sulla Camera accanto n°9. (Se manca qualche riga non tradotta, la aggiungo).
“The more I think of it, the more I am moved to press upon the world my question: Who are the Little People? They are near connections of the dreamer’s, beyond doubt; they share in his financial worries and have an eye to the bank-book; they share plainly in his training; they have plainly learned like him to build the scheme of a considerate story and to arrange emotion in progressive order; only I think they have more talent; and one thing is beyond doubt, they can tell him a story piece by piece, like a serial, and keep him all the while in ignorance of where they aim. Who are they, then? and who is the dreamer?
Well, as regards the dreamer, I can answer that, for he is no less a person than myself;- as I might have told you from the beginning, only that the critics murmur over my consistent egotism;- and as I am positively forced to tell you now, or I could advance but little farther with my story. And for the Little People, what shall I say they are but just my Brownies, God bless them! who do one-half of my work for me while I am fast asleep, and in all human likelihood, do the rest for me as well, when I am wide awake and fondly suppose I do it for myself. That part which is done while I am sleeping is the Brownies’ part beyond contention; but that which is done when I am up and about is by no means necessarily mine, since all goes to show the Brownies have a hand in it even then”.
(da: “A CHAPTER ON DREAMS” di R. L. Sttevenson)

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 12:57 da roberta


E’ bellissimo questo brano sui folletti!Penso anch’io come avete già detto che sia difficile nonchè superfluo definire esattamente questa o quella fonte di ispirazione,è sempre altro da sè ma è parte di sè,nella nebulosa del momento in cui spicca l’atto generativo e creativo non c’è solo sdoppiamento,ma fusione del sogno col sognatore. E’ il momento magico dello straniamento da cui tutto può germogliare,poi da risistemare con gran lavoro e per chi è più fortunato con l’ausilio di folletti!.
grazie a gaetano e rob, un bacione :-)

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 15:19 da francesca giulia


Grazie:) !anche a te:) E’ vero.
Vuoi mettere la traduzione del pezzo mancante, se hai tempo?

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 15:38 da roberta


rob,volentieri domani,ora devo andare al laboratorio di scrittura, appuntamento sacro…e spero di trovare tanti folletti ad attendermi!!

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 16:23 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
Grazie a te. Un abbraccio e l’augurio di tuoi continui incontri con cari folletti laboriosi,
Gaetano

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 16:45 da Subhaga Gaetano Failla


Va bene. Oggi ho il tempo e la inserisco io: prendo la traduzione del Brilli:
“Più ci penso e più sono spinto a chiedere: chi sono questi esserini? Essi sono dei parenti stretti del sognatore, senza dubbio: condividono le sue preoccupazioni finanziarie e tengono d’occhio il suo conto in banca; con ogni evidenza essi condividono il suo tirocinio; hanno imparato come lui a costruire l’impalcatura di una storia e a graduare l’emozione in ordine progressivo; solo penso che abbiano maggior talento. E una cosa è fuori di dubbio: essi sono in grado di raccontargli una storia pezzo per pezzo, come se fosse a puntate, pur tenendolo all’oscuro di come andrà a finire. Chi sono dunque costoro? E chi è il sognatore?
Bene, per quanto concerne il sognatore, posso darvi una risposta, perché altri non è se non io stesso; come d’altra parte avrei dovuto dirvi fin dall’inizio, se non fosse stato per certo mormorare dei critici circa il mio consistente egotismo, come è vero che sono costretto a dirvelo ora, pena il non poter proseguire questa narrazione. Quanto agli esserini, cosa dovrei dire che sono, se non i miei folletti, Dio li benedica! che svolgono al mio posto metà del lavoro mentre me la dormo come un ghiro, e come esseri umani fanno per me il resto, quando sono sveglio e sono convinto de eseguirlo io stesso? La parte che viene svolta mentre dormo è senza dubbio quella dei folletti; ma quella che viene tessuta quando sono desto è mia per forza, anche se tutto dimostra che anche in questa c’è il lro zampino”.

Postato mercoledì, 18 marzo 2009 alle 22:57 da roberta


E’ molto bella la tarduzione,pensavo al termine “to arrange emotion”, mi viene in mente anche “orchestrare le emozioni “,accordare le emozioni proprio come se i folletti fossero tanti direttori d’orchestra che pensano a creare armonia mettendo in ordine un impulso emotivo di creazione che altrimenti porterebbe solo caos.
grazie a rob e un bacio

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 17:14 da francesca giulia


Sì, è vero. Credo che Stevenson, poi, dovesse “lottare” per ri-sistemare il tutto.
Grazie a te. Un abbraccio. Più tardi aggiungo il brano che ha inserito Gaetano, e che è immediatamente successivo a questo (il signifiacato è lo stesso) perché in effetti mi sono accorta che ne ho inserito un altro. Io “mi sveno”, come si suol dire, per Stevenson.
Aspetto tue nuove proposte o ( o altri che volessero proporcele).
Kisses:)

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 18:38 da roberta


Ps: “lottare” con se stesso, volevo dire.

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 18:39 da roberta


“Here is a doubt that much concerns my conscience. For myself- what I call I, my conscious ego, tha denizen of the pineal gland unless he has changed his residence since Decartes, the man with the conscience and the variable bank-account, the man with the hat and the boots, and the privilege of voting and not carrying his candidate at the general elections- I am sometimes tempted to suppose he is no story-teller at all, but a creature as matter of fact as any cheesemonger or any cheese, and a realistic bemired up to the ears in actuality; so that, by that account, the whole of my published fiction should be the single-handed product of some Brownie, some Familiar, some unseen collaborator, whom I keep locked in a back garret, while I get all the praise and he but a share (which I cannot prevent him getting) of the pudding. I am an excellent adviser, something like Molière’s servant; I pull back and I cut down; and I dress the whole in the best words and sentences that I can find and make; I hold the pen, too; and I do the sitting at the table, which is about the worst of it; and when all is done, I make up tha manuscript and pay for the registration(…)”
In questo brano si trova, secondo me, ancora una volta l’idea dello “sdoppiamento” che la scrittura presuppone: diventare “altro da sé”. Perché comunque Stevenson, nell’ultima parte, definisce se stesso come un “ADVISER= consulente- to ADVISE=consigliare; una sorta di “supervisore” ( = un Super-Io??) che “ricompone” ciò che “altri”( l’Inconscio?) hanno suggerito. Senonché questi “altri” sono, appunto, sempre lui.
All’inizio del brano l’autore utilizza per tre volte il termine che rimanda allo “stato cosciente”= CONSCIOUS EGO+ THE CONSCIENCE+MY CONSCIENCE. E si dice che egli non fosse del tutto all’oscuro delle teorie freudiane sulla psiche e nemmeno estraneo alle teoria evoluzionista di Darwin.
Gaetano, Francesca Giulia: correggetemi se sbaglio (sull’epoca della pubblicazone de “L’interpretazione dei Sogni”).
Riporto la traduzione qui di seguito.
Ps: forse ho riportato un brano troppo lungo. Ma trovo che sia così significativo.

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 20:07 da roberta


“Quanto a me stesso – ciò che chiamo me stesso, il mio ego cosciente, l’abitatore della ghiandola pineale, a meno che dopo Cartesio non abbia cambiato posto, l’uomo con la coscienza e un fluttuante conto bancario, l’uomo con tanto di cappello e di stivali e il privilegio di votare e di non portare il proprio candidato alle elezioni generali – sono tentato talora di pensare che non sia affatto un narratore di storie, ma una semplice creatura come qualsiasi formaggiaio o come qualsiasi forma di cacio, e un realista immerso nell’attualità contingente fino alle orecchie; così che, di conseguenza, l’intera mia produzione narrativa che è stata pubblicata sarebbe il prodotto specifico di qualche folletto, di qualche intimo demone, di qualche invisibile collaboratore che tengo rinchiuso in soffitta, mentre io prendo tutti gli elogi e lui ( non potrei impedirglielo) solo una fetta della torta. Da parte mia, sono una suggeritore eccellente, un pò come il servitore di Molière; son io che taglio e respingo; e sono io che rivesto il tutto con le migliori frasi e parole che riesco a trovare e a fabbricare; sono io inoltre che stringo la penna , e io quello che sta a tavolino, che è la parte peggiore del lavoro; e quando è tutto finito, sistemo il manoscritto e lo faccio registrare (…)”

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 20:17 da roberta


Ps: mi piace dedicare queste pagine di Stevenson a tutti coloro che traggono ispirazione dal profondo e la trasformano in scrittura.
( non è tra virgolette, quindi è una mia “dedica”).

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 20:19 da roberta


Ho cercato qualche data, per curiosità:
1899: L’interpretazione dei Sogni di Sigmund Freud
1886: Pubblicazione de “Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr. Hyde
1859: Trattato sulla “Teoria della specie” di Charles Darwin.
Ora chiudo…Grazie. baci a tutti:)

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 20:33 da roberta


@ Roberta
Il tuo lavoro di traduzione sul brano di Stevenson è molto interessante.
A un certo punto traduci con:
“… l’intera mia produzione narrativa che è stata pubblicata sarebbe il prodotto specifico di qualche folletto, di qualche intimo demone…”
.
Trascrivo dal risvolto di copertina dell’importante saggio di Hillman intitolato “Il codice dell’anima”:
.
“Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie – anche se talvolta simili passaggi possono sembrare casuali o irragionevoli? Se esiste, è il ‘daimon’, il ‘demone’ che ciascuno di noi riceve come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone. Se esiste, è ciò che si nasconde dietro parole come ‘vocazione’, ‘chiamata’, ‘carattere’. Se esiste, è la chiave per leggere il ‘codice dell’anima’, quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire ma che non sempre capiamo. (…) Hillman è riuscito a farci capire che se la psicologia si è dimostrata incapace di spiegare le scelte più profonde che decidono la vita di tutti noi è proprio perchè aveva perso contatto con il ‘daimon’. E soprattutto a farci sentire di nuovo la presenza di questo compagno segreto dal quale, più che da ogni altro elemento, la nostra vita dipende.”
.
Buonanotte Roberta,
Gaetano

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 21:17 da Subhaga Gaetano Failla


@ Gaetano
Caro Gaetano, ti ringrazio ancora perché mi dai tanti spunti su cose che non conosco e che poi vado a cercare, come “Il codice dell’anima” di Hillman+ Buzzati e Borges.
Bellissimo il brano sul “daimon” che hai appena inserito.
Tutte le traduzioni da Stevenson che ho inserito in questa pagina non sono mie: le ho tratte dal volume Oscar Mondadori che ho citato sopra. Il volume è curato da Attilio Brilli, che in questa traduzione del Jekyll e Hyde è veramnte “mitico” ( abbiamo parlato un pò all’inizio di questo post delle due traduzioni di questo testo, quella Garzanti e questa). In questo volume, poi, si trovano anche “a Chapter on Dreams”+ “Il trafugatore di salme” – sempre con il testo a fronte+ alla fine uno scritto di Joyce Carol Otes ( che non conoscevo, ma ora so che è una scrittrice americana perché è nell’elenco del post letteratitudine book award).
Buonanotte anche a te+ mille grazie:)

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 21:56 da roberta


caro gaetano e cara rob aggiungo qualcosa sul Daimon:La parola greca daimon (singolare di daimones) deriva da “daiomai”, che significa “dividere”, distribuire, assegnare, cedere. L’idea di un demone che fosse il costante compagno di una persona apparve nel V secolo a.C. in Esiodo, e il concetto che demone fosse la causa della felicità o dell’infelicità di una persona ebbe nei III secolo a. C. una diffusione molto ampia. I greci, fin dal IV secolo a.C., facevano sacrifici ad un demone “buono” (agatos), considerato lo spirito della casa. Platone usa la parola daimon con una certa ambiguità; in genere è sinonimo di Dio e talvolta con la sfumatura di un essere quasi umano. Nell’opera filosofica platoniana il Symposium, Diotima dice che Eros è un demone potente e che gli spiriti sono qualcosa tra Dio e l’umano.
Per voi il daimon cos’è? qualcosa di più divino o di umano?

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 22:15 da francesca giulia


Diotima ci dice questo : Al quesito di Socrate: “Che potere hanno essi, dunque?”, Diotima risponde: “Sono gli inviati e gli interpreti che vanno e vengono tra cielo e terra, volando in alto con la nostra venerazione e le nostre preghiere, e discendendo con le risposte e comandamenti divini”. Poiché si trovano fra le due situazioni essi fondono i due lati insieme e le incorporano in un grande tutto. Essi formano il mezzo delle arti profetiche, dei riti sacerdotali, di sacrifici, iniziazioni e incarnazioni, di divinazioni e di stregoneria; infatti il divino non si mescola direttamente con l’umano, ed è soltanto attraverso la mediazione del mondo della spirito che l’uomo, sveglio o dormiente, può avere qualche rapporto con gli dei. Vi sono molti spiriti e Eros (Amore) è uno di loro.

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 22:22 da francesca giulia


Direi che è molto Stevensoniana la spiegazione di Diotima, vero che è bellissima?
un bacio e buonanotte

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 22:24 da francesca giulia


Per chiudere anche se solo per stasera poi spero che domani continuiamo a dialogare…Platone, nell’opera Timeo, enuncia la sua dottrina secondo la quale ogni persona possiede un daimon divino, che è la componente più nobile della sua psiche. Ogni essere umano che cerca la saggezza divina alimenta il suo daimon, mentre la comunicazione e la superficialità lo sminuiscono.

Io spero che stanotte in sogno mi venga a trovare il mio e mi racconti qualcosa di magico!
baci

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 22:28 da francesca giulia


Che livelli di discussione! Bellissimo e bravi…

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 09:46 da Maria Lucia Riccioli


cara maria lucia grazie, il tuo daimon lo hai conosciuto?di che natura è?
un abbraccio

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 10:07 da francesca giulia


Francesca, bellissimo l’approfondimento sul “daimon”+ Platone.
Per rispondere alla tua domanda: per me il “daimon” non ha molto dell’umano. Se lo si intende, come per chi scrive o produce qualcosa di artistico, come “fonte di ispirazione”, mi pare abbia origine nel divino (penso al Romanticismo).
Nelle persone “normali”, non artiste, non so se è facilmente individuabile. Forse è quel sentimento che ti spinge ad essere in un modo piuttosto che in un altro, è quello il tuo “demone”. Non so.
Grazie+baci.

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 14:10 da roberta


@ Roberta, Francesca Giulia, Gaetano
Grazie per la bellissima discussione.

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 16:27 da Massimo Maugeri


il mio grazie personale a te massi per avermi dato nuovi amici con cui dialogare in modo così proficuo.
un bacio a rob

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 16:30 da francesca giulia


Nel post sulla poesia si parla dell’importanza dei versi e poi c’è il post sui dolori dell’anima,perciò ho pensato di inserire questa bellissima poesia di Alfred De Musset sulla tristezza.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
J’ai perdu ma force et ma vie,
Et mes amis et ma gaieté;
J’ai perdu jusqu’à la fierté
Qui faisait croire à mon génie.

Quand j’ai connu la Vérité,
J’ai cru que c’était une amie ;
Quand je l’ai comprise et sentie,
J’en étais déjà dégoûté.

Et pourtant elle est éternelle,
Et ceux qui se sont passés d’elle
Ici-bas ont tout ignoré.

Dieu parle, il faut qu’on lui réponde.
Le seul bien qui me reste au monde
Est d’avoir quelquefois pleuré.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 11:57 da francesca giulia


Ho perso la mia forza e la mia vita,
E i miei amici e la mia allegria,
ho perso persino la fierezza
che faceva credere al mio genio.
Quando ho conosciuto la Verità,
ho creduto che fosse un’amica;
Quando l’ho capita e sentita,
ne ero già disgustato.
E tuttavia è eterna,
E quelli che ne hanno fatto a meno
hanno ignorato tutto.
Dio parla,bisogna rispondergli.
Il solo bene che mi resta al mondo
E’ di aver pianto qualche volta.

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 12:04 da francesca giulia


Il poeta ebbe una vita tormentata dalle necessità economiche dopo la morte del padre,dall’alcolismo e dalla passione turbolenta per George Sand.La malattia prosciugò il suo genio e morì nell’oscurità nel 1857.La sua poesia nasce dal profondo del cuore per parlare al cuore,la sua forza è data dal credere all’immortalità dell’anima.
Auguro un buon inizio di settimana a tutti.

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 12:07 da francesca giulia


Ciao, Francesca Giulia
grazie per la scelta di questo testo di De Musset. Ha molto a che fare sia con la poesia (evidentemente..) che con il malessere esistenziale.
Triste, però, quando un artista scrive:

“J’ai perdu jusqu’à la fierté
Qui faisait croire à mon génie.”
Certe volte gli scrittori, i poeti, i romanzieri o gli artisti in generale soffrono molto ( penso a Van Gogh, per esempio). C’è forse da chiedersi: soffrono perché sentono che le loro opere sono geniali eppure incomprese, oppure per questioni della vita?
Riporto qui sotto ( a proposito di poeti “tormentati”) un testo di Paul Verlaine+ ti ringrazio ancora per lo spunto..

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 16:20 da roberta


Paul Verlaine: MON REVE FAMILIER= IL MIO SOGNO FAMILIARE
“Je fais souvent ce reve étrange et pénétrant
D’une femme inconnue , et que j’aime, et qui m’aime,
Et qui n’est, chaque fois, ni tout à fait la meme
Ni tout à fait une autre, et m’aime et me comprend.

Car elle me comprend, et mon coeur transparent
Pour elle seule, hélas! cesse d’etre un problème
Pour elle seule, et les moiteurs de mon front bleme,
Elle seule les sait refraichir, en pleurant.

Est-elle brune, blonde ou rousse? — Je l’ignore.
Son nom? Je me souviens qu’il est doux et sonore
Comme ceux des aimés que la Vie exila.

Son regard est pareil au regard des statues,
Et, pour sa voix, lointaine, et calme, et grave, elle a
L’inflexion des voix chères qui se sont tues. ”
Riportiamo dopo la traduzione ( se ce l’hai anche tu).
Ma prima: sappiamo quale sofferenza aveva causato a Verlaine la sua relazione con Rimbaud. Tuttavia, se pensassimo che questo è un sonetto “d’amore”, temo che potremmo sbagliarci.
Chi sono, infatti, “CEUX QUE LA VIE EXILA”?= “Coloro che la Vita esiliò”?
La Vita è scritta con la maiuscola.
Forse sono i poeti come De Musset?

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 16:32 da roberta


Non ho trovato un’edizione con la traduzione. Ne inserisco una senza pretese, giusto per dare il senso.
“Faccio spesso questo sogno strano e penetrante
Di una donna sconosciuta, e che mi ama, e che amo,
E che non è, ogni volta, né del tutto la stessa
Né del tutto un’altra, e mi ama e mi capisce.
Perché lei mi capisce, e il mio cuore trasparente
Per lei sola, ahimé, smette di essere un problema
Per lei sola, e i sudori della mia fronte pallida,
Lei sola li sa rinfrescare, piangendo.
E’ bruna, bionda o rossa? – Lo ignoro.
Il suo nome? Mi ricordo che è dolce e sonoro
Come quelli degli amati che la Vita esiliò.
Il suo sguardo è simile allo sguardo delle statue,
E, per la sua voce, lontana, e calma, e grave, lei ha
L’inflessione delle voci care che hanno taciuto”
Il sonetto è il VI° dei POèMES SATURNIENS- 1866-
Ps: nel testo in francese mancano gli accenti circonflessi su: REVE+ MEME+ETRE+ BLEME+ REFRAICHIR.

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 21:49 da roberta


Cara rob è molto bella e credo anch’io che il riferimento sia all’animo inquito dell’artista,del resto poeta maledetto verlain che ha fatto conoscere gli altri poeti maledetti come Rimbaud,Baudelaire,Mallarmè.Apre la strada al simbolismo,ma sopratutto la sua poesia è legata indissolubilmente alla musica,tant’è che ce ne parla in una poesia dove ci spiega l’arte poetica.Sillabe dispari,assonanze e richiamo alla musica. La poesia è “Art Poetique”.
“De la musique avant toute chose,
Et pour cela préfère l’Impair,
Plus vague et plus soluble dans
l’air,
Sans rien en lui qui pèse pu qui
pose…
Rien de plus cher que la chanson
grise
Où l’Indécis au Précis se joint…
Car nous voulons la nuance
encor,
Pas la Couleur, rien que la
nuance!
Oh! La nuance seule fiance
Le rêve au rêve et la flûte au
cor!…
Prend l’éloquence et tords-lui
son cou!…
De la musique encore et
toujours!
Que ton vers soit la chose
envolée
Qu’on sent qui fuit…
Que ton vers soit la bonne
aventure
Eparse au vent crispé di matin
Qui va pleurant la menthe et le
thym…
Et tout le reste est littérature.”

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 22:42 da francesca giulia


« Different ApproachesSick, Sick, Sick »Paul Verlaine – Art Poétique
Art Poétique
De la musique avant toute chose,
Et pour cela préfère l’Impair
Plus vague et plus soluble dans l’air,
Sans rien en lui qui pèse ou qui pose.

Il faut aussi que tu n’ailles point
Choisir tes mots sans quelque méprise :
Rien de plus cher que la chanson grise
Où l’Indécis au Précis se joint.

C’est des beaux yeux derrière des voiles,
C’est le grand jour tremblant de midi,
C’est, par un ciel d’automne attiédi,
Le bleu fouillis des claires étoiles !

Car nous voulons la Nuance encor,
Pas la Couleur, rien que la nuance !
Oh ! la nuance seule fiance
Le rêve au rêve et la flûte au cor !

Fuis du plus loin la Pointe assassine,
L’Esprit cruel et le Rire impur,
Qui font pleurer les yeux de l’Azur,
Et tout cet ail de basse cuisine !

Prends l’éloquence et tords-lui son cou !
Tu feras bien, en train d’énergie,
De rendre un peu la Rime assagie.
Si l’on n’y veille, elle ira jusqu’où ?

O qui dira les torts de la Rime ?
Quel enfant sourd ou quel nègre fou
Nous a forgé ce bijou d’un sou
Qui sonne creux et faux sous la lime ?

De la musique encore et toujours !
Que ton vers soit la chose envolée
Qu’on sent qui fuit d’une âme en allée
Vers d’autres cieux à d’autres amours.

Que ton vers soit la bonne aventure
Eparse au vent crispé du matin
Qui va fleurant la menthe et le thym…
Et tout le reste est littérature.

Traduzione:

La musica, prima di ogni altra cosa:
e per questo preferisci l’impari,
più vago e solubile nell’aria,
senza nulla in sè che pesi e posi.E’ necessario poi che tu non scelga
le tue parole senza qualche errore:
nulla è più caro della canzone grigia
in cui l’incerto si unisca al preciso.

Sono occhi deliziosi dietro veli,
è la grande luce tremula del mezzogiorno,
è – in un cielo tiepido d’autunno -
l’azzurro brulichio di chiare stelle!

Perchè vogliamo ancor la sfumatura,
non colore, ma solo sfumatura!
Oh, solo essa accoppia il sogno
al sogno e il flauto al corno!

Va più lontano possibile dall’assassina arguzia,
dal crudele spirito e dall’impuro riso,
che fanno piangere gli occhi dell’azzurro
e tutto quell’aglio di bassa cucina!

Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco anche la rima.
Fin dove andrà, se non la tieni d’occhio?

Oh, chi dirà i torti della rima?
Quale bambino sordo o negro pazzo
ci ha plasmato questo gioiello da un soldo,
che sotto la lima suona vuoto e falso?

La musica, ancora e sempre!
Il tuo verso sia la cosa che va via,
che si sente fuggire da un’anima in cammino
verso altri cieli ed altri amori.

Il tuo verso sia l’avventura buona
sparsa al vento increspato del mattino
che va sfiorando la menta e il timo…
E tutto il resto è letteratura.

E con questi versi auguro a roberta e a chi si trovasse a passare da qui una serena buonanotte!

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 22:45 da francesca giulia


scusate ho inserito di nuovo il testo originale!
:-)

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 22:45 da francesca giulia


Grazie, Franc::)
Bonne nuit à toi aussi:)

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 23:03 da roberta


WHEN I READ THE BOOK= QUANDO LESSI IL LIBRO
“WHEN I read the book, the biography famous,
And is this then (said I) what the author calls a man’s life?
And so will some one when I am dead and gone write my life?
(As if any man really knew aught of my life,
Why even I myself I often think know little or nothing of my real life,
Only a few hints, a few diffused faint clews and indirections
I seek for my own use to trace out here.)”
Da: LEAVES OF GRASS= FOGLIE D’ERBA di Walt Whitman
TRADUZIONE ( tratta dal sito su Whitman)
“Quando lessi il libro, la famosa biografia,
E’ questa (mi dissi) che l’autore chiama vita d’un uomo?
Così qualcuno scriverà la mia vita, quando io sarà morto? (Come se un altro potesse veramente conoscerne qualcosa, Se perfino io penso spesso che ne so poco o niente, Qualche cenno, qualche sparso debole indizio, segnali indiretti
Che per mio uso esclusivo cerco qui di tracciare).”

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 15:01 da roberta


WALT WHITMAN:DA: Song of myself- parte I-
“I CELEBRATE myself, and sing myself, And what I assume you shall assume, For every atom belonging to me as good belongs to you.”
TRADUZIONE:
“Io celebro me stesso, e canto me stesso, e ciò che io presumo, tu lo presumerai, perché ogni atomo che mi appartiene appartiene anche a te. Io sto in ozio e invito la mia anima, io mi chino e ozio a mio agio osservando una spinosa erba estiva. La mia lingua, ogni atomo del mio sangue, formato da questo suolo, da questa aria, nato qui da genitori nati qui come i padri dei loro padri, anche loro di qui, io, ora a trentasette anni perfettamente sano comincio, e spero di non cessare sino alla morte. Credi e scuole lasciati in sospeso, mi ritiro, ne ho abbastanza di quello che sono, ma non li dimentico, e accolgo il bene e il male, lascio che parli seguendo il caso, la natura senza impedimenti con originaria energia”.
@Franc
i discorsi sull’”io” che diventa “noi” mi hanno portato, chissà perché, a cercare Whitman e ho riportato due testi (il secondo è solo la prima parte di un “long poem”).
In questi versi di Whitman egli dice ciò che scrivevi tu, mi sembra:
” FOR EVERY ATOM BELONGING TO ME AS GOOD BELONGS TO YOU”.
Ho riportato l’altra poesia perché lì Whitman dice che non è possibile che gli altri lo conoscano, perché poco conosce anche lui di se stesso:
“EVEV I MYSELF I OFTEN THINK KNOW LITTLE OR NOTHING OF MY REAL LIFE”;
inoltre io ci trovo una possibile “risposta” per ciò che mi scriveva Renzo sul post= “poeti- perdenti?”:
“I SEEK FOR MY OWN USE TO TRACE OUT HERE”= un poeta scrive i versi soprattutto per se stesso. (?)

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 15:24 da roberta


Scusate: ho scritto EVEV anziché EVEN

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 15:25 da roberta


Molto bella la parte di song of myself che hai trascritto,lungi da me l’idea di “correre” con Wihtman ma è quel che sento e cerco quando scrivo in versi-e quando li leggo-,senza chi si rispecchia in ciò che è scritto nella poesia,la poesia è mera voce di un canto individuale,ma se questo canto ha la forza di innalzarsi sopra la propria voce diventa la voce e la forza di ogni individuo che legge e si viene a compiere quel miracoloso incontro di anime e intenti che perdura nel tempo.Ecco la poesia così forse acquista anche un senso epico perchè ci parla di noi e ci restituisce la storia dell’umanità,ma è cosa rara.Ciò non toglie che provare ad esprimerlo sia un passo da non scoraggiare anche nei poeti dei giorni nostri,ma sempre legandolo ad un passato con una linea continua che è la nostra storia.

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:03 da francesca giulia


Canto il sè di Walt Withman

Canto il sè, la semplice singola persona,
Ma aggiungo anche la parola Democratico, la parola
In-massa. La fisiologia da capo a piedi, canto.

Né la fisionomia né il cervello sono degni da soli della
Musa, la Forma completa è di gran lunga più degna.
Canto imparzialmente la Femmina insieme col Maschio.

La vita immensa nella sua passione, impulso, e forza,
Gioiosamente, per un più libero agire sotto le leggi divine,
L’Uomo Moderno, io canto.

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:04 da francesca giulia


ONE’S-SELF I sing, a simple separate person,
Yet utter the word Democratic, the word En-Masse.
Of physiology from top to toe I sing,
Not physiognomy alone nor brain alone is worthy for the
Muse, I say the Form complete is worthier far, The Female equally with the Male
I sing. Of Life immense in passion, pulse, and power,
Cheerful, for freest action form’d under the laws divine,
The Modern Man I sing.

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:07 da francesca giulia


E’ stato più volte fatto notare dai critici l’uso «spregiudicato» del lessico da parte del poeta americano.Il suo vocabolario conta oltre 13mila parole, di cui circa una metà usate per una sola volta,perciò la sua poesia si presta ad una ricchezza di linguaggio tale da essere quasi declamata oltre che letta.

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:17 da francesca giulia


…forse a discapito di una certa musicalità dei versi?
@rob che ne pensi dei vocaboli usati,tipo utter, physiology e physiognomy poco “poetici”?

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:19 da francesca giulia


utter è tradotto con “aggiungo” ma il significato del verbo-peraltro raro-è soprattutto “manifestare,declamare,proferire”.

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:22 da francesca giulia


Sì, hai ragione: la traduzione che ho trovato sul sito dedicato a Whitman, infatti, dice PRONUCIO=UTTER:
“L’individuo io canto, una semplice singola persona,
eppur pronuncio(…)”.
Beh, sì, siamo molto lontani dalla “musicalità” dei versi di Verlaine ( che, come ci hai ricordato tu, scriveva “De la musique avant toute chose…”).
Però in Whitman c’è questa “forza vitale” che travolge: come scrive lui: “Of life immense in PASSION, PULSE, and POWER..”
Quindi se un lettore si “identifica” di più nell’epico-travolgente-linguaggio di Whitman o nella malinconica musicalità di Verlaine, questo dipende da chi legge. A me piacciono molto entrambi, Whitman per un verso, Verlaine per altri.
Sui termini “poco poetici” di Whitman non ricordo molto..ma mi sembra che rientrino nel suo concetto di poesia. Come Verlaine, che utilizza una poesia come suo “manifesto letterario” per dirci le sue intenzioni, così Whitman utilizza quel linguaggio perché è attraverso quei termini che ci trasmette la sua idea della vita.
Così mi sembra. A te cosa piace in Whitman?
E tra Whitman e Verlaine quale dei due poeti senti più vicino al tuo sentire?
Io a quello di Verlaine, sebbene mi piaccia molto anche Walt.
Naturalmente le domande sono per tutti coloro che vorranno rispondere, Renzo, se viene a trovarci, la nostra Maria Lucia e anche Massimo:)

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 16:51 da roberta


sicuramente Withman emana una forza anche sociale epolitica,diciamo di denuncia per l’America dei suoi giorni,ma che è molto moderna anche oggi,questo aspetto mi affascina molto nel leggerlo,ma mi appartiene poco,nel senso che la liricità musicale di Verlaine si avvicina molto più al mio intimo modo di sentire la poesia e forse anche la musica.Withman mi ricorda una persona che non c’è più e che purtoppo è tristemente scomparsa per uno di quei mali del vivere di cui si parla nel post di Camon,quindi mi rattrista e mi commuove perchè legata al ricordo di un ragazzo infelice,ma Verlaine è un poeta maledetto ed è alla lettura di questi-in primis Baudelaire- che devo la scoperta da adolescente del piacere della poesia e delle sue suggestioni più forti.
E’ interessante come spesso la scelta di un termine sia da accostare anche ad un modo di sentire e esprimere la poetica di un autore.
Un abbraccio

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 18:03 da francesca giulia


scusate Whitman, ho spostato nella fretta una “h”,spesso faccio di peggio e quando mi rileggo ho i brividi!

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 18:05 da francesca giulia


@Cara Franc,
hai ragione su Verlaine, su Baudelaire e su Whitman ( mi dispiace per il tuo ricordo della persona cara).
Credo che nonostante la “vitalità” che emana dai suoi versi, anche Whitman fosse abbastanza infelice. Ho letto da qualche parte che qualcuno, all’epoca, considerava “assurdo” che il “bardo” statunitense fosse omosessuale. Ma torniamo sempre al discorso VITA= ARTE ( che a me personalmente disturba molto). Vita= arte nel senso: si cercano “notizie” nella vita di un poeta, alcuni le cercano per “capire” di più la sua poesia, ma si sbagliano, perché piuttosto, più cercano, più si allontanano dalla comprensione. (secondo me, naturalmente. Ma, come ho riportato altre volte, la mia opinione non è per nulla originale, bensì influenzata da letture riguardo al tema e diciamo che mi hanno fermamente convinto…)
Ciao. Baci.
Would you suggest some other poems ( or poets) to add in this blank space?

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 19:17 da roberta


Ma quanto è difficle il ruolo dei traduttori! Più di quello degli artisti: ne state parlando da cinque mesi . Vi leggo sempre.
Complimenti a Roberta e Francesca Giulia, guardo con ammirazione e stupore al vostro vitalissimo impegno.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 21:20 da miriam ravasio


@Miriam
Cara Miriam, grazie::)) Sono molto contenta che tu venga a trovarci. Se tu volessi darci qualche suggerimento, ne sarei felice.
Sai, la maggior parte delle traduzioni che inseriamo qui non sono “nostre”. Se ho il testo originale con la traduzione a fronte, inserisco sempre quella.
Qui mettiamo brani di scrittori che ci piacciono o che ci ricordano i temi proposti sugli altri post ( De Musset è stato inserito par questo da Francesca Giulia); poi un’idea tira l’altra…. Ma più siamo, meglio è:)
Ciao, cari saluti

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 21:30 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Miriam ha ragione. E io non posso che dirvi grazie.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 22:24 da Massimo Maugeri


Qualche riga per parlare d’una traduzione insolita.
Antonio Tabucchi pubblica nel 1991, scrivendolo in portoghese, “Requiem. Uma alucinaçao”, presso “Quetzal Editores” di Lisbona. Nel 1992 Sergio Vecchio traduce “Requiem” dal portoghese all’italiano (”perchè non potevo tradurre me stesso” dice più o meno Tabucchi in un incontro pubblico) per l’editore Feltrinelli. Questo breve romanzo visionario (”Un’allucinazione”) descrive il definitivo commiato dello scrittore dal Poeta, da Pessoa.
Trascrivo l’incipit dal bellissimo volume che possiedo (la sesta edizione del 1999 pubblicata da “Quetzal Editores”) che ha in copertina il particolare d’un dipinto di Henri Rousseau, “La Charmeuse de Serpents”.
Purtroppo non sono in grado di riprodurre alcuni caratteri grafici della lingua portoghese.
-
“Pensei: o gajo nunca mais chega. E depois pensei: nao posso chamar-lhe ‘gajo’, é um grande poeta, talvez o major poeta do século vinte, morreu hà muitos anos, tenho de o tratar com respeito, ou melhor, com respeitinho. Mas entretanto começava a aborrecer-me, o sol dardejava, o sol de fim de Julho, e pensei ainda: estou de férias, estava tao bem là em Azeitao, na quinta dos meus amigos, porque é que aceitei este encontro aqui no cais?, tudo isto é aburdo.”
-

Postato Giovedì, 2 Aprile 2009 alle 10:49 pm da Subhaga Gaetano Failla

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 22:57 da Subhaga Gaetano Failla


@miriam ravasio anche da parte mia un grazie dal cuore,certe volte sono così presa dal dialogo con roberta che dimentico che poi magari-per fortuna!-qualcuno passa da qui e ci legge!come dico sempre a massimo sono animata da pochi strumenti professionali e tanta passione e curiosità e aggiungo,ben sostenuta,dalla sintonia che si è creata con roberta.I suggerimenti sono molto ben accolti.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:17 da francesca giulia


@gaetano io non conosco il portoghese ma resto incantata dalla musicalità della lingua e provo a leggerla ad alta voce anche sbagliando naturalmente,ti ringrazio.Ci metteresti anche la traduzione?
un abbraccio

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:20 da francesca giulia


Gaetano mi ha suggerito la seguente,che ne pensate?
« O poeta é um fingidor.

Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor

A dor que deveras sente. »

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:23 da francesca giulia


Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
AUTOPSICOGRAFIA (solo i primi versi)

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:30 da francesca giulia


@ Miriam, Robertina, Francesca Giulia
ti do ragione anch’io Miriam, tradurre un racconto significa conservare lo spirito che l’ha creato anche nella nuova lingua.
Un buon traduttore deve immettersi nell’animo dello scrittore, assumendone tutte le sfumature della sua cultura.
Impiego difficile, come si può immaginare.
Saluti cari, e non manco di lodare il vostro impegno illuminante e vitale
Lorenzo

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:32 da lorenzerrimo


Cara Francesca Giulia,
ecco la traduzione di Sergio Vecchio dell’incipit di “Requiem” di Tabucchi. Traduzione “insolita”, dicevo, perchè riguarda un libro scritto in portoghese da un autore italiano, poi tradotto dal portoghese in italiano.
La traduzione, come spesso succede, modifica la punteggiatura, e in questo caso perfino un punto fermo; quindi, per trascrivere tutta la parte in originale da me citata, ho dovuto riportare, nella frase finale, anche alcune parole in più:
-
“Pensai: quel tizio non arriva più. E poi pensai: mica posso chiamarlo ‘tizio’, è un grande poeta, forse il più grande poeta del ventesimo secolo, è morto ormai da tanti anni, devo trattarlo con rispetto, meglio, con tutto il rispetto. Ma intanto cominciavo a sentire fastidio, il sole dardeggiava, il sole di fine luglio, e pensai ancora: sono in ferie, stavo tanto bene là ad Azeitao, nella casa di campagna dei miei amici, chi me l’ha fatto fare di accettare questo incontro qui sul molo? E adocchiai ai miei piedi la mia ombra, e anche lei mi apparve assurda (…)”

Postato venerdì, 3 aprile 2009 alle 15:07 da Subhaga Gaetano Failla


@Gaetano
Ti ringrazio moltissimo perchè hai inserito un brano in portoghese di Tabucchi+ la traduzione di Sergio Vecchio: prima di tutto è interessantissimo il “saluto sul molo” a un poeta che non c’è da vent’anni (=ho capito bene?); poi, più siamo + lingue mettiamo e meglio è. Io conosco pochissima letteratura che non sia inglese, francese+nord-americana e qualche scrittore tedesco del Novecento (ben poca anche quella, purtroppo), perché per anni mi sono “concentrata” su quella francese “antica” e da lì non mi “schiodavo” (nel senso anche che rileggevo sempre la stessa…..).
Quindi mi manca moltissimo la conoscenza della letteratura spagnola+ portoghese+ tedesca (e altre). Figurati che in spagnolo ho letto soltanto “EL CANTAR DE MIO CID”, poema epico molto bello, però. Lo avevamo studiato per l’esame di filologia romanza: che difficile!
Quindi, a chi desiderasse allargare i miei orizzonti letterari sarei molto grata e sarebbe un arricchimento per tutti.
Grazie ancora::))

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 16:02 da roberta


@Francesca
Molto bello l’inizio della poesia che hai riportato. Di chi è? Chi l’ha tradotta?
Come mai il titolo “AUTOPSICOGRAFIA”? Ci dici qualcosina?
Ciao::))

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 16:06 da roberta


@Lorenzerrimo
Ciao, dear Lorenzo. Grazie infinite. Trovi sempre parole bellissime che fanno star bene.
Se vuoi inserire qualche testo anche tu, io sono felicissima. Abiti in Austria, vero? Magari puoi inserire qualcosa in tedesco+ la traduzione ( in tedesco non capisco nulla).
Conosci un drammaturgo tedesco della repubblica di Weimar che si chiama Hoden Von Horvath (la “o” di Hoden con la dieresi…non la trovo sulla tastiera)? Ha scritto una commedia “parodiando” il “Mariage de Figaro” di Beaumarchais, “Figaro divorzia”. Purtroppo non so più dov’è finito quel testo che mi piaceva moltissimo.
Un abbraccio
Robertina::))

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 16:12 da roberta


Cara Roberta,
la rubrica che porti avanti con Francesca Giulia è molto interessante, e mi permette, talvolta, di lasciare qualche contributo: per tutto ciò ti/vi ringrazio.
Tabucchi scrive in portoghese “Requiem” nel 1991. Il breve romanzo, uno dei miei preferiti di Tabucchi, rappresenta, come dicevo, l’ultimo saluto dello scrittore italiano a Pessoa. Tabucchi ha dato un grandissimo contributo nel divulgare l’opera di Pessoa in Italia. Il poeta portoghese è morto nel 1935, quindi l’incontro sul molo avverrà con una persona (sembra una ben strana casualità, per un poeta che si trasfigurava in una molteplicità di eteronimi, ma “pessoa” in portoghese significa “persona”) morta da cinquantasei anni.
Riporto qualche riga in più, a continuazione di quelle già trascritte, sia in portoghese che nella traduzione italiana di Sergio Vecchio.
-
“E olhei aos meus pés a silhueta da minha sombra, e também me pareceu absurda, incongruente, nao tinha sentido, era uma silhueta curta, esmagada pelo sol do meio-dia, e foi entao que me lembrei: ele tinha marcado às doze, mas talvez quisesse dizer doze da noite, porque os fantasmas aparecem à meia-noite. Levantei-me e percorri o cais.”
-
“E adocchiai ai miei piedi la mia ombra, e anche lei mi parve assurda e incongrua, non aveva senso, era un’ombra corta, appiattita dal sole di mezzogiorno, e fu allora che ricordai: lui aveva fissato per le dodici, ma forse aveva voluto dire le dodici di notte, visto che i fantasmi appaiono a mezzanotte. Mi alzai e percorsi il molo.”

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 17:47 da Subhaga Gaetano Failla


cara rob, i versi sono una prima parte di una poesia di Fernando Pessoa,grande poesta portoghese a cui AntonioTabucchi ha legato buona parte della sua produzione letteraria.Al ritorno da uno dei suoi viaggi a Parigi, trova su una bancarella nei pressi della Gare de Lyon, il poema Tabacaria , del poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935)firmato con uno degli eteronimi utilizzati dal Pessoa: Alvaro de Campos, . Dalle pagine di questo libro parte lo stimolo di quello che sarà per più vent’anni l’interesse principale della sua vita di scrittore.
infatti và a Lisbona, sviluppa per la città del fado e per il Portogallo una vera passione che,grazie alle sue opere di traduzioni arriva a noi in talia,anche se attualmente una parte delle opere di Pessoa non è ancora stata tradotta.
La poesia di cui ho trascritto solo alcuni versi,poichè non ho la traduzione cartacea fra le mani,è dal “Cancioneiro” ed è importante credo perchè racchiude in sè un pò il senso del pensiero filosofico e poetico del poeta. Pessoa esprime la sua inquitudine la sensazione dolorosa di una mancata sincerità dell’essere,come se l’uomo fosse l’attore di se stesso. Mi permetto di aggiungere che il pensiero di questo poeta è talmente complesso e la sua opera ricca di suggestioni,esoteriche,mistiche e influenzate da teosofia e simbolismo,che di certo non è esauribile nella lettura di queste poche righe. Resta la grande godibilità dei suoi versi,anche se mi rammarico molto di non poter leggere e comprendere appieno in lingua originale.

Un bacione a rob :-) ))

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 18:38 da francesca giulia


@gaetano grazie a te abbiamo l’opportunità di saperne di più anche su poeti e scrittori di altre nazionalità,come Pessoa,di ciò ti ringrazio dal cuore.
Io di Antonio Tabucchi ho letto qualche cosa:Sostiene Pereira,Notturno indiano,Donna di porto pim,I volatili del beato angelico,tutti bellissimi,ma consiglio a roberta,se non lo avesse letto ancora,Sostiene Pereira.
Tu cosa consigli di Tabucchi?(piccolo off topic,ma non troppo).
un abbraccio

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 18:43 da francesca giulia


@getano scusa,non avevo letto che avevi già consigliato “Requiem”,presto mi procurerò una copia per leggerlo! :-) ))

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 18:49 da francesca giulia


Mi piace moltissimo la descrizione dell’ombra incongruente,come se nell’atmosfera dipinta non fosse solo l’incontro in se stesso con un fantasma ad essere qualcosa di nebuloso,ma tutta la figura umana del protagonista viene vista in una luce-ombra che la fa assomigliare anch’essa a qualcosa di immateriale…
Bello,davvero.

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 19:00 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
Ho seguito negli anni tutta l’opera di Tabucchi, anche la saggistica letteraria e non, e i suoi articoli apparsi qui e là su quotidiani e periodici, e ho avuto inoltre l’occasione di approfondire alcuni aspetti della sua scrittura attraverso alcune domande rivolte direttamente a lui durante un paio di incontri pubblici.
Dei suoi libri, oltre a “Requiem”, preferisco “Sostiene Pereira” (letto due volte, la seconda ad alta voce con degli amici; e il Mastroianni- Pereira, nella versione cinematografica, è da lasciare a bocca aperta) e “Notturno indiano”. Quest’ultimo è leggibile anche per episodi, cioè, con una lettura autonoma dei piccoli capitoli, come se fossero racconti. Alcuni di essi sono delle vere perle stilistiche come, ad esempio, quello che descrive l’attesa notturna nei pressi d’una stazione ferroviaria indiana. Comincia così:
-
“Che cosa ci facciamo dentro questi corpi”, disse il signore che si stava preparando a stendersi nel letto vicino al mio.
-

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 20:51 da Subhaga Gaetano Failla


Accolgo con piacere i vostri preziosi suggerimenti e cercherò sia Pessoa che Tabucchi.
Certo, Franc, di un poeta, come dici tu, si coglie poco se si leggono solo alcuni versi, sono proprio d’accordo, perché si rischia di farsi un’idea sbagliatissima e di non rendere giustizia al suo genio.
Di Pessoa, infatti, ho letto qualche verso e sembrava non piacermi. Un pò perché non poter leggere un poeta in lingua originale ti allontana moltissimo dai suoi scritti+ un pò perché le sue tematiche mi sembravano “lontane” e un pò incomprensibili. Tornerò sui suoi versi, grazie a voi.
Anche questo testo di Tabucchi ( che strano scriva in portoghese – comunque anche Conrad era polacco e scriveva in inglese- e quale inglese, quello di Conrad ) sembra molto bello. A me fa pensare allo strano “affetto” (non so quale altra parola usare) che si stabilisce tra un lettore e uno scrittore morto da tempo. Non so quale “strana magia” ci può avvicinare così tanto alla “persona” che ha scritto il libro ( uso le virgolette perchè in effetti quella “persona” è un “fantasma”, ormai), perchè è soltanto il “testo” che noi avviciniamo. A me succede con alcuni “mostri sacri” della letteratura, come Melville o Shakespeare, Proust e la Yourcenar ( molti altri, ma questi non possono stare lontani dal mio “comodino”…).
A proposito ( non per fare sempre citazioni ad “oltranza”, ma per me è “inevitabile” in questo spazio prediletto) : il “fantasma che arriva a mezzanotte” mi fa pensare ( è un’associazione che mi è venuta immediatamente alla mente mentra leggevo l’ultimo brano riportato da Gaetano) ad AMLETO.
Grazie::)) un abbraccio

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 20:54 da roberta


Sfogliando adesso “Notturno indiano” sono capitato su una pagina che parla di Pessoa. La pagina riguarda anche, in un qualche modo estremo, il problema della interpretazione linguistica, che si approssima a quello della traduzione (spero, voglio dire, di non andare fuori tema…). Eccola:
-
“(…) La tradusse Fernando Pessoa, è un grande poeta portoghese, morì sconosciuto nel Trentacinque”.
“Pessoa”, disse lui, “certo”.
“Lo conosce”, chiesi io.
“Qualcosa”, disse lui, “come lei degli altri”.
“Pessoa si professava gnostico”, dissi, “era rosacroce, ha scritto una serie di poesie esoteriche intitolate ‘Passos da Cruz’ “.
“Non le ho mai lette”, disse il mio ospite, “ma conosco qualcosa della sua vita”.
“Sa quali furono le sue ultime parole?”.
“No”, disse lui, “quali?”.
“Datemi i miei occhiali”, dissi. “Era molto miope e volle entrare dall’altra parte con gli occhiali”.
Il mio ospite sorrise e non disse niente.
“Pochi minuti prima aveva scritto un bigliettino in inglese, nelle sue note personali usava spesso l’inglese, era la sua altra lingua, lui era cresciuto in Africa del Sud. Quel bigliettino sono riuscito a fotopiarlo, la scrittura è molto incerta, naturalmente, Pessoa era in agonia, ma è decifrabile. Vuole che le dica cosa scrisse?”
Il mio ospite dondolò la testa come fanno gli indiani quando annuiscono.
“I know not what thomorrow will bring”.
“Che strano inglese”, disse lui.
“Già”, dissi io, “che strano inglese”.
-

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 21:10 da Subhaga Gaetano Failla


Prima di andare, vorrei spiegare perchè ho scritto :”è soltanto il testo che noi avviciniamo”.
Io non credo che la “persona” che scrive il libro sia rintracciabile nei suoi scritti in modo esplicito (e forse neppure in modo implicito). Molti degli scrittori che hanno scritto anche saggi di estetica chiedono che i due “io” ( quello che scrive e quello della persona che scrive) non siano confusi.
Però se di uno scrittore si sono lette molte opere al punto che si “ri-conosce” il suo stile, è impossibile non associarlo alla PERSONA che l’ha scritto ed essere incuriositi anche dalla sua vita. O perlomeno, quello strano “affetto” che si prova per il “fantasma” ha un NOME e un COGNOME, non è un’entità astratta.

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 21:10 da roberta


@Gaetano
Sono splendide le tue citazioni ( “che cosa ci facciamo dentro questi corpi” del signore che si stende a fianco è da “sveno”….).
Affatto fuori-tema, anzi.
Che strano uomo, questo signor Pessoa…
La frase in inglese dovrebbe significare: “Non so che cosa il domani mi porterà”..
Secondo te come mai lo aveva scritto in punto di morte?
Beh, un pò è ovvio, nel senso che non sappiamo mai davvero cosa ci porterà il domani.
grazie un abbraccio

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 21:17 da roberta


Grazie a te Roberta. Ricambio l’abbraccio e ti auguro buonanotte,
Gaetano

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 21:22 da Subhaga Gaetano Failla


carissimi gaetano e roberta bellissima discussione,vi scrivo qualche verso di Pessoa che si riconduce alle parole del brano di Tabucchi estrapolate da “Notturno Indiano”,che lessi anni fa anch’io,mi pare siano proprio in tema.

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 22:46 da francesca giulia


Não cantes mais!

Quero o silêncio
Para dormir
Qualquer memória
Da voz ouvida,
Desentendida,
Que foi perdida
Por eu a ouvir…
De repente, pauso no que penso
Escrever é preciso. Viver não é preciso
Não sou nada.
Nunca serei nada.
Não posso querer ser nada.

À parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo. »

« Non cantare più!
Voglio il silenzio
per dormire
qualsiasi ricordo
della voce udita,
incompresa,
che fu perduta
perché l’ho udita…
All’improvviso, pauso in ciò che penso
Scrivere è necessario. Vivere non è necessario
Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere d’essere nient

A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo. »
(Da “Tabacaria”)

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 22:48 da francesca giulia


E Francesca vi augura una felice notte!

Postato sabato, 4 aprile 2009 alle 22:48 da francesca giulia


@ Roberta e Francesca Giulia
Facendo un percorso da Pessoa a Tabucchi, passando dal personaggio Pereira creato da Tabucchi, giungo infine a un brano di Alphonse Daudet e a certi accadimenti nostrani recentissimi…
Pereira è un giornalista della pagina culturale d’un quotidiano di Lisbona. Siamo nel 1938, e un venticello velenoso originatosi guarda caso in Italia, si è già diffuso in Europa – e in Portogallo con il fascismo di Salazar. Il mite e anziano Pereira sembra non accorgersene, e immerso nella propria solitudine, dopo la morte della amata moglie, traduce per il quotidiano “Lisboa” soprattutto alcuni racconti d’autori francesi – siccome egli predilige la letteratura francese. La sua ingenuità gli fa tradurre anche un racconto di Daudet che lo metterà nei guai.
In tempi di Gelmini e delle dichiarazioni di ieri di Berlusconi in cui il nostro capo dice di essere tentato “di fare azioni dirette e dure nei confronti di certi giornali e di certi protagonisti della stampa”, il brano che riporto potrebbe essere interessante anche per i motivi dell’attualità.
Ho trovato pochi anni fa il libro in Francia: una raccolta di racconti di Alphonse Daudet intitolata “CONTES DU LUNDI”.
Riporto un brano, nell’originale francese, dal racconto che aveva messo nei guai Pereira a causa della traduzione in portoghese. Il racconto ha il seguente titolo:
-
LA DERNIÈRE CLASSE
Récit d’un petit alsacien
-
(…) Pendant que je m’étonnais de tout cela, M. Hamel était monté dans sa chaire, e de la même voix douce et grave dont il m’avait reçu, il nous dit:
“Mes enfants, c’est la dernière fois que je vous fais la classe. L’ordre est venu de Berlin de ne plus enseigner que l’allemand dans les écoles de l’Alsace et de la Lorraine… Le nouveau maître arrive demaine. Aujourd’hui, c’est votre dernière leçon de français. Je vous prie d’être bien attentifs.”
Ces quelques paroles me bouleversèrent. Ah! le misérables, voilà ce qu’ils avaient affiché à la mairie.
Ma dernière leçon de français!…
-

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 09:56 da Subhaga Gaetano Failla


@Gaetano
Caro Gaetano, sono certa che non succederà mai più quello che è successo nel passato.
Poco mi interesso della politica, tanto sono spinta ad occuparmi di letteratura. E non lo faccio per “qualunquismo”, ma perché, come diceva la Yourcenar, riprendendo i grandi Umanisti del Rinascimento come Rabelais ( se la trovo inserisco la “Lettre de Gargantua à son fils Pantagruel”) è attaverso la conoscenza che si raggiunge la coscienza.
Il brano che hai riportato mi ha fatto pensare al discorso che, nel finale del film, il frate rivolge ai ragazzi del collège che è costretto a lasciare; il film è “Au revoir, les enfants” di Louis Malle. Lo conosci? Molto bello. E’ del 1987. Erano tempi tristi, non bisogna dimenticarlo. Ma non torneranno.
Un abbraccio

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 11:15 da roberta


@Franc+ Gaetano
Ma come fate a inserire gli accenti circonflessi? Franc me l’hai spiegato, ma non riesco a farlo…
@Franc
vedi? Già mi viene una gran curiosità di leggere Pessoa: l’ultimo verso della poesia che hai riportato è troppo bello e “me lo leggo” in portoghese….
” À parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo”.

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 11:20 da roberta


@Franc+Gaetano
Riporto un pensiero di Baise Pascal. Non c’entra molto con gli altri argomenti, ma credo possa dirvi qualcosa. Bises+bon dimanche.
“Quand un discours naturel peint une passion ou un effet, on trouve dans soi-meme la vérité de ce qu’on entend, laquelle on ne savait pas qu’elle y fut, en sorte qu’on est porté à aimer celui qui nous le fait sentir; car il ne nous a pas fait montre de son bien, mais du notre; et ainsi ce bienfait nous le rend aimable, outre que cette communauté d’intelligence que nous avons avec lui incline nécessairement le coeur à l’aimer”
PENSEE- 44-
(circonflessi mancanti su: MEME+ FUT+NOTRE)
TRADUZIONE di Adriano Bausola- da “PENSIERI” di Blaise Pascal-Rusconi Libri- 1993-
” Quando un discorso spontaneo descrive una passione o un effetto, si trova in noi stessi la verità di ciò che si ascolta e che non si sapeva che ci fosse, di modo che si è portati ad amare chi ce l’ha fatto avvertire; infatti, egli non ha rivelato il suo bene, ma il nostro; e così tale beneficio ce lo rende gradito; inoltre, simile comunione di intelligenza che abbiamo con lui, inclina necessariamente il nostro cuore ad amarlo”.

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 12:49 da roberta


@ Roberta
Non ho visto il film di Louis Malle che tu citi. Ti ringrazio dell’indicazione. Molto interessante la frase della Yourcenar – un’autrice che amo; bisognerebbe tuttavia approfondire l’argomento per scoprire con quale coscienza (che si intende per coscienza?) si accede alla conoscenza (quale conoscenza?), e attraverso quali modi.
Ho lavorato sul computer ieri per capire come riportare alcuni caratteri grafici di lingue straniere e, come vedi, da questa mattina riesco a scrivere anche i caratteri stranieri! Io ho seguito questa strada: digita su Google: visibilmente.com ASCII – quest’ultimo è il nome d’un codice per i caratteri stranieri – e poi fai copia/incolla, evidenziando solo il carattere che ti interessa (clicca nel cerchietto a fianco al carattere, evidenziando poi però solo il carattere e non il puntino apparso nel cerchietto).
Grazie ancora e buona domenica,
Gaetano

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 14:21 da Subhaga Gaetano Failla


Caro Gaetano, sono riuscita a trovare i simboli sul sito che mi hai indicato! Grazie:) Menomale, perché, come dico sempre a Francesca Giulia, mi fa “imbufalire” scrivere male il testo originale…
Devo confessarti che la frase della Yourcenar l’ho un pochino “reinterpretata” cercando di ricordare cosa volesse dire in quell’intervista e credo che, forse, se Marguerite potesse “acciuffarmi”, mi torcerebbe il collo, se l’ho interpretata male e ne ho distorto il significato.
Sia in “Le Temps, ce grand sculpteur” che in “Les yeux ouverts”
(intervista rilasciata a Matthieu Galey nel 1980, credo) la Yourcenar parla molto dell’Umanesimo. Immagino tu conosca questi testi e, come hai scritto, ami questa grande scrittrice. Beh, in un punto che dovrò ritrovare lei parla di una certa “trasformazione+ crescita” delle persone (nel senso di presa di coscienza) che non avviene mai dall’”esterno” ( quando qualcuno vuole convincerti di un’idea) ma dall”interno”, attraverso la frequentazione di quei “luoghi” (i “luoghi” del sapere, evidentemente, quindi la letteratura) in cui la persona va ad “abbeverarsi” per formarsi e quindi da lì dovrebbe scaturire anche l’etica. Il pensiero è quello Umanistico-Rinascimentale, perché anche Gargantua scriveva a suo figlio: “Cerca di studiare tutto, a partire dal greco, poi tutte le altre lingue, le scienze, la matematica, la geografia, la geometria, le religioni: solo così potrai formarti”; in conclusione aggiungeva: “ma ricorda: la sapienza senza la coscienza non è che rovina dell’anima” (= La science sans conscience n’est que ruine de l’âme).
Non che la sensibilità delle persone risieda tutta nel suo sapere, ma il buon uso del sapere porta le persone ad essere dei bravi cittadini.
Su “Au revoir, les enfants” mi piacerebbe mandarti il video; però puoi cercare anche su you tube e lì c’è proprio il breve brano in cui i ragazzi ebrei+ il frate vengono portati via dal collège per essere deportati. E’ una scena molto commovente e dà il titolo a tutto il film che è molto bello. Ha vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 1987.

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 18:31 da roberta


Cara Roberta,
grazie per aver riportato molto opportunamente la frase di Rabelais:
“la sapienza (non sarebbe meglio tradurre con ’scienza’?) senza la coscienza non è che la rovina dell’anima”.
Altrimenti Google potrebbe avere la coscienza d’un Illuminato, d’un Risvegliato… La sola conoscenza – illuminata da una fievole consapevolezza, da una coscienza offuscata – provoca situazioni umane altrimenti incomprensibili. Il Novecento è tristemente ricco di esempi: in filosofia, le “sbandate” per il nazismo da parte di Heidegger, in letteratura i collaborazionismi con l’invasore nazista da parte di Hamsun e Celine e i gravi equivoci politici, in misura diversa, di Pound e Borges; nella scienza, il determinante contributo dato da Einstein alla costruzione della bomba atomica, da utilizzare, secondo la conoscenza del geniale scienziato, per scopi benefici…
Buonanotte,
Gaetano

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 22:05 da Subhaga Gaetano Failla


Qui state andando alla grande. Bravi!:-)

Postato domenica, 5 aprile 2009 alle 22:17 da Massimo Maugeri


cara rob e caro gaetano,mi sento in profonda sintonia con ciò che avete detto sopra a proposito della sapienza senza coscienza,io aggiungerei una frase che una signora anziana che ho molto stimato e che non era una letterata ma un medico dell’anima che un giorno mi disse: Signora bella,con l’intelligenza non si và sempre avanti,si può anche restare indietro,se non c’è il cuore ad accompagnarla.
Stamattina vi ragalo qualche verso di un poeta che più tardi vi dirò chi è,a meno che non lo capiate subito!
……………………………………………..
Ma chi era l’uccello?Quale celeste fiamma
si è spenta,mi ha lasciato tornando verso il sole,
di soprassalto a volte svegliandomi dal sonno
che è la vita,mi dico:”Era la mia anima”.
L’uccello sacro è in noi il poeta,è l’anima,
L’anima è poesia.L’uccello ahimè ha taciuto!
Sonnanbuli gementi coccolati o battuti
dove corriamo dimentichi della nostra anima?
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Più tardi la traduzione,intanto vi piace?cosa vi suggerisce?NOn trovate bellissimp l’ultimo verso “dove corriamo dimentichi della nostra anima”?sembra proprio adatto ai giorni nostri in cui distratti e frettolosi tutti andiamo verso qualcosa dimentichi di noi stessi.
una felice giornata

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 11:23 da francesca giulia


Bellissimo e non farmi stare sulle spine, perché mi servirebbe per quello che sto scrivendo… la traduzione è tua?
=:-)

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 16:46 da Maria Lucia Riccioli


@Gaetano
Sì, è meglio tradurre con “scienza”, hai ragione. Questo termine ha molte connotazioni, infatti.
Eh, certo che anche Robespierre, Danton e Saint-Just erano piuttosto “illuminati”, ma hanno portato la Rivoluzione a un “bagno di sangue”.
E’ altrettanto vero che la “bontà” umana disgiunta dall’”illuminazione”+ dalla sapienza o dalla scienza alla fine non porta a grandi cambiamenti storici. E, parlando di Storia, gli “illuminati” sono indispensabili.
Bonne journée

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 17:13 da roberta


@Maria Lucia+ Franc
Non ho idea di chi possa essere il poeta…E’ tradotto o è in originale?
Beh, sì, in effetti ci dimentichiamo della nostra anima.
Oppure pensiamo che sia una cosa diversa da quello che è. O pensiamo che sia in un luogo diverso da quello dove sta.
Nel terzo verso c’è la VITA= SONNO; “La vida es sueño”?
Ma “sueño” vuol dire “sogno”, non “sonno”….. Che dico..
Scusate non so nulla dello spagnolo…ma sperimento con gioia la novità delle mie letterine straniere…

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 17:25 da roberta


Secondo indizio:il poeta è tradotto,è maggiormente conosciuto per la prosa,qui di seguito il testo originale,ma badate bene è solo una parte della poesia che ho scelto ed astrapolato,poi se vi piace la mettiamo tutta.
Qui donc était l’oiseau?Quelle céleste flamme
S’est éteinte, m’a délaissé pour le soleil
Quelquefois, en sursaut réveillé du sommeil
Qu’est notre vie,je me dis:”C’était mon àme”.
L’oiseau sacré c’est notre poète,notre àme
Notre àme est poésie.Hélas l’oiseau s’est tu!
Somnambules plaintifs caressés ou battus
Vers quel but courons-nous, oublieux de notre àme?

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 17:47 da francesca giulia


su ame l’accento dovrebbe essere circonflesso,robi oggi non viene a me!!
comunque sei troppo carina,ti sei appassionata anche alle lingue che non conosci,brava,sei sulla strada dell follia felice come me che vorrei vivere nove vite per imparare tutte le lingue del mondo….però possiamo aiutarci qui su Letteratitudine con chi ha competenze diverse e fare una scuola-blog,come stiamo provando a fare :-) ))
bacioni anche m.lucia

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 17:50 da francesca giulia


Errata corrige : âme, estrapolato.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 17:56 da francesca giulia


No, non ci arrivo… Dev’essere dell’800, ma se dici che è famoso per la prosa.. Forse: Victor Hugo? No, non mi pare. Poi Hugo è famoso anche per la poesia.. lo schema delle quartine è ABBA- ACCA- quindi un “classico”, ma non ci arrivo lo stesso..
Sulle lingue…. io mi limiterò a “La vida es sueño”… Ma sarò felicissima se molti vorranno unirsi a noi sempre.
Un abbraccio
Oggi questa notizia è sconvolgente. Ho letto le tue parole e quelle di Maria Lucia:avete ragione. Cosa dev’essere svegliarsi di soprassalto nel cuore della notte perché la terra trema?

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 19:51 da roberta


cara rob,io il terremoto dell’80 l’ho vissuto qui a Napoli e lo ricordo molto bene purtroppo,il vuoto nello stomaco e la paura cieca di non saper dove andare perchè senti sotto di te la terra che trema tutta.Ringrazio Dio che mi ha lasciata qui e senza danni alla mia casa di allora,oggi ci vive mia madre,ma quando guardao qualche crepa nel muro ho vivo in me quel brivido di impotenza che si prova in quei momenti.Penso con immensa tristezza a quelle povere persone che sopravvivono ai loro cari e che guardandosi attorno vedono solo distruzione,forse tutto ciò può essere peggio della morte,ma naturalmente il nostro pensiero di dolore più grande và alle vittime.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 19:56 da francesca giulia


Per un attimo voltando pagina,torniamo al nostro”gioco” molte cose l’hai azzaccate,sei molto brava,vuoi un altro indizio o vuoi sapere chi è?
:-)

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 20:00 da francesca giulia


Un altro indizio..

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 20:40 da roberta


…una poesia in un certo senso lasciata incompiuta forse per scelta,un materiale composito fatto di versi burleschi e satirici,dedicati ad amici e amiche,talvolta poco comprensibili perchè ricchi di allusioni alla vita privata dell’autore, il tutto in una dimensione di ambiguità.I critici vi leggono una “spontaneità” che serve al poeta più per nascondersi che per rivelarsi,ma a ben guardare possiamo scorgervi qualche segno dell’immensa opera futura.
……..a più tardi…..

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 20:58 da francesca giulia


@ Roberta
Interessante, molto interessante questa difficoltà di comunicazione e/o equivoco che è avvenuto nella comunicazione fra me e te. Io scrivo “la coscienza d’un Illuminato, d’un Risvegliato” e tu citi Robespierre, Danton, ecc., gli “illuminati” (nota la lettera minuscola) dell’illuminismo. Per evitare fraintendimenti avevo aggiunto a “Illuminato” “Risvegliato”. Eppure, sembra, i fraintendimenti ci sono comunque stati. Ho digitato su Google: “Illuminato Risvegliato”, e la prima voce che mi dà è: Buddha. Quello che più o meno intendevo. O meglio, per estensione, intendevo uomini come Buddha, Cristo, Lao-Tse, Osho e tutti i Maestri Zen, forse Pitagora, Francesco d’Assisi, Krishnamurti, Gurdjieff, ecc.
Se avvengono difficoltà di interpretazione tra me e te che comunichiamo in una lingua madre condivisa (l’italiano), in un dialogo che avviene più o meno nella stessa giornata tramite internet, possiamo immaginare gli equivoci, gli errori nelle traduzioni. Immaginiamo un traduttore di oggi: per esempio, un islandese di oggi che traduce un poema cinese d’un tipo vissuto nel Sedicesimo Secolo. Quanti equivoci, quanti fraintendimenti. La traduzione è probabilmente un “ricreare” l’opera, mantenendo però lo spirito di essa, il cuore pulsante dell’opera. Cioè, traduzione e non tradimento.
Tornando all’oggi, 6 aprile 2009. Il termine “compassione” non ha la stessa accezione per tutti. La compassione televisiva relativa alle vittime del terremoto non ha lo stesso significato della compassione dei cuori semplici (ma cosa vuol dire “cuori semplici”?).
Un abbraccio e l’augurio d’una notte serena,
Gaetano

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 21:22 da Subhaga Gaetano Failla


Non, je n’y arrive pas…
Ora devo disconnettermi.
Un abbraccio+ grazie::)) Sei brava anche tu coi tui indizi…
Non sapevo del tuo vissuto. Non posso immaginare come ci si deve sentire in quei momenti. Se vuoi domani riportiamo un brano da “La Ginestra” di Leopardi.
Buonanotte, Franc.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 21:23 da roberta


Correggo nel primo rigo: avvenuto=avvenuta

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 21:25 da Subhaga Gaetano Failla


@Gaetano
sono io che “parto per la mia tangente”… E’ molto buffa questa incomprensione di cui parli…E giustamente tu pensavi ai personaggi che hai elencato, e sicuramente anche la Yourcenar si riferiva a loro.
Io pensavo “à la Terreur”… ma chissà che associazioni ho fatto. Ho l’immaginazione “galoppante”. Forse stavo pensando a un uso “malsano” dei buoni princìpi, perché se pensi che gli ideali del 1789 erano: “liberté-égalité-fraternité”..e che si sono trasformati in quelli del “Comitato di Salute Pubblica” nel 1794..
Vedi, ora mi viene in mente Anatole France: “Les Dieux ont soif” (un romanzo ambientato nel periodo del Terrore), che non c’entra nulla con i nostri discorsi su “la science sans conscience…” ( ma vorrei inserirne un brano).
Perché non provi ad indovinare il poeta che ci propone Francesca Giulia?
Io proprio non ci arrivo.
Un abbraccio Buonanotte
Ps: i “cuori semplici” esistono. Penso siano molto rari. Non provano la compassione televisiva? No.
Un vicino di casa dei miei è “un cuore semplice”: gli avevo portato un mio gatto che non voleva più stare a casa rinchiuso. Il signor Giovanni coltivava la terra, aveva perso sua moglie e, da poco, suo figlio. Aveva preso il mio gatto e mi aveva detto: “E’ abituato a saltare sulle spalle e mi accompagna in campagna, quando zappo la terra”. Lo osservavo con molta ammirazione. “Ma lei come fa a non arrabbiarsi mai?”- “E’ la natura”, mi aveva risposto. Non aveva il cuore “guastato” dall’ingordigia ( così mi sembra, almeno).

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 21:47 da roberta


caro gaetano io avrei pensato subito all’illuminato Siddharta che per l’appunto signica illuminato,quando penso alla luce senza alcun riferimento specifico letterario immagino una luce spirituale qualcosa che venga a far luce sulle ombre che sono parte della natura umana quindi qualcosa che abbia in sè il divino.Ma io credo che la diversa interpretazione non sia un esempio di difficoltà di comunicazione piuttosto una diversa percezione della parola che si presta a più significati e interpretazioni.Cioè,se io e te parliamo di “gatti” dentro di noi sappiamo a cosa ci stiamo riferendo ,ma ad ognuno di noi verrà in mente un’immagine differente perchè sarà il nostro vissuto a suggerirne una suggestione piuttosto che un’altra.Potrebbe darsi che tu e un islandese abbiate molte più cose in comune di quanto non crediate,spesso basta aprire la mente e accogliere i suggerimenti del cuore.Io come roberta credo che esistano i “cuori semplici”,ma che non sia facile trovarli,soprattutto se la vita ci abitua a non saperli riconoscere.
Vuoi provare tu a indovinare i versi del mio poeta misterioso?
:-)
E’ una triste serata e il pensiero di tanta gente che soffre senza la propria storia sbriciolata in macerie mi fà venire voglia di esorcizzare il male con il sogno.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 22:30 da francesca giulia


ciao rob ti auguro una felice notte!
a domani,metti pure La Ginestra,adoro Leopardi,ti seguo nella scelta.
bacioni

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 22:33 da francesca giulia


@ Roberta
Anatole France mi aveva fatto recentemente compagnia con l’immaginifico “La rivolta degli angeli”.
Molto bello il racconto del signor Giovanni. Un buon pensiero prima del sonno.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 22:40 da Subhaga Gaetano Failla


Cara Francesca Giulia
Ti leggo soltanto ora. Grazie per i versi. Buonanotte,
Gaetano

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 22:49 da Subhaga Gaetano Failla


buonanotte a te gaetano,sono affranta dalle notizie del telegiornale.a domani.

Postato lunedì, 6 aprile 2009 alle 23:00 da francesca giulia


giusto una capatina per un disvelamento: il poeta del francescanquiz era :Marcel Proust.
Sì lo so che i suoi versi non raggiungono la bellezza sublime della sua prosa,però io ho scelto fra i più belli,perciò vi ho confuso un pò le acque…bastava che vi avessi scritto :
Je contemple souvent le ciel de ma mémoire
Contemplo spesso il cielo della mia memoria
Titolo di una meravigliosa poesia di Proust che ci rimanda all’opera sua immane.
un abbraccio

Postato giovedì, 9 aprile 2009 alle 15:18 da francesca giulia


Cara Franc,
ero proprio fuori strada..con l’Ottocento…
comunque abbiamo conosciuto anche qualche verso di Proust, quindi ci sta sempre tutto bene:)
Bises

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 14:25 da roberta


cara rob,tu sei sempre brava e preparatissima,ma effettivamente le posie di Proust sono abbastanza sconosciute….le ho scoperte per caso nei miei girovagare fra gli scaffali della feltrinelli.
Ps.Hai notato che il reparto Poesia nelle librerie è una millessima parte dello spazio totale e quasi sempre relegato in angoli poco visibili?
Bisognerebbe cominciare da qui a dare maggiore spazio alla poesia.
baciuzzi

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 14:56 da francesca giulia


Sì, ho notato che la poesia è sempre relegata in uno scaffale in fondo.
Non lo capisco, davvero.
No, non sono preparatissima. Conosco certe cose perché ero una studentessa che ascoltava molto i suoi professori. La passione per l’arte me l’ha trasmessa mia madre, però.
Mi rendo conto che mi mancano moltissime cose. Il lavoro, che adoro e che è molto gratificante gratificante per me, non mi permette di concentrarmi sulla lettura. Ma qui ho “ritrovato” una certa “atmosfera” e ne sono contenta.
Tanti baci

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 15:42 da roberta


anche per me è così,cioè l’atmosfera di scambio e curiosità,mi piace moltissimo….mio marito è diventato geloso di…Letteratitudine!!

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 15:45 da francesca giulia


Inserisco l’ultima strofa de: “La quiete dipo la tempesta” di Giacomo Leopardi. Personalmente, tra i poeti taliani, lo prediligo davvero. ( Mi piacerebbe leggere com’è tradotto Leopardi all’estero..).
Ma per ora, ecco:
“O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena 45
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana 50
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.”

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 16:05 da roberta


Scusate: “La quiete DOPO la tempesta”.
+ prima ho scritto “gratificante” due volte.

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 16:06 da roberta


Inserisco nuovamente la strofa perché quei numeri dei versi a fianco la “rovinano”.
Aggiungo una cosa che ha a che fare con Proust, secondo me.
Anche per Leopardi si associa sempre la sua poesia alla sua vita, quasi si dovessero o potessero “identificare” nei suoi versi, o anche amarli senza “identificarsi”, solo coloro che hanno un certo “mal di vivere”. Io non credo sia così.
Quest’ultima strofa de “La quiete dopo la tempesta”, per esempio, ne è un esempio. Le “pene” che la natura sparge “a larga mano” le constatiamo anche in questi giorni. Ora, se non conoscessimo il pensiero di Leopardi, non avremmo dubbi sulla verità di questi versi.
Cosa ne pensi, Fran?

“O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.”

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 16:24 da roberta


cara Rob il verso che mi fa soffermare di più è :”uscir di pena” perchè Leopardi in un certo senso ci dice che l’unico modo per assaporare la felicità di essere vivi è quando scampiamo ad un dolore,ma poi poco dopo ribadisce il suo concetto pessimistico che solo la morte ci può donare pace per gli affanni della vita.Leggendola completa la poesia sembra divisa in due parti nette:la prima dedicata alla descrizione del paesaggio,ricca di suoni ritmici e di termini che fanno aprte del quotidiano,la seconda in cui rispecchia il dolore degli uomini a livello universale- molto diverso dai versi di Alla luna in cui c’è il dolore personale del poesta-.Anche i termini usati qui sono più aulici e difficili.
Vi sono molti enjambements: es. Duolo/spontaneo sorge,ma la poesia molto bella termina con versi amari.

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 17:07 da francesca giulia


mia cara rob a domani…

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 17:14 da francesca giulia


Come si chiama la poesia dell’uccello? E’ intera o no? Dove la trovo e chi l’ha tradotta? Mi servirebbe per il mio romanzo…
Grazie!
:-)

Postato sabato, 11 aprile 2009 alle 21:41 da Maria Lucia Riccioli


@ Maria Lucia
Cara Maria Lucia, Francesca Giulia ha inserito la poesia di Proust, io non le conoscevo. Credo ti dirà domani. Un bacione:)
@Fran
sì, hai ragione, mi ero concentrata più sul verso “uscir di pena” che sull’ultimo, che è molto triste. Avrei forse dovuto leggerla con più attenzione, prima di inserirla. Beh, Leopardi non era un “bontempone”, si sa. E’ molto “amletico”, in questo senso. A me sembra che dai suoi versi emani comunque una certa “compassione” per il dolore dell’esistenza in generale e che abbia capito l’illusorietà della gioia umana. Poi ci si può discostare dalla sua visione del mondo. Secondo me resta quella giusta. Molto vera.
Un abbraccio a domani

Postato domenica, 12 aprile 2009 alle 00:08 da roberta


@maria lucia cara la poesia è di Marcel Proust è estratta da una miscellanea di versi,piccoli schizzi poetici e riflessioni anche su figure amiche,non ha un titolo,fa parte della sezione “le intermittenze del cuore” Les intermittences du coeur” edizione I Classici Universale Economica Feltrinelli. Traduzione e cura di Luciana Frezza.IO ne ho inserito solo la parte finale,ma se vuoi stasera la metto per intero.Sono felice di esserti nuovamente utile con un piccolissimo contributo per scrivere,è la sensazione di avere già più amiche la cosa più soddisfacente del partecipare a questo blog meraviglioso.
baci e Auguri

Postato domenica, 12 aprile 2009 alle 12:27 da francesca giulia


@rob carissima hai fatto bene a inserire quei versi sono molto belli e interessanti dal punto di vista della scelta linguistica,meriterebbero maggiore attenzione,così come il pensiero di Leopardi che non possiamo esaurire così,magari poi ci torniamo se ti fa piacere e inseriamo qualcos’altro.
Ti Auguro una Felice Pasqua di amore e serenità

Postato domenica, 12 aprile 2009 alle 12:30 da francesca giulia


@ Robertina- Francesca Giulia
il Leopardi lo amavo a scuola, poi meno. Troppa amarezza e delusione contengono i suoi versi, da non passare a un giovane preso dalla voglia di vivere, non curante delle delusioni che lo avrebbero accompagnato.
Di certo, fu influenzato dal suo stato di salute precaria, da renderlo chiuso ai piaceri della vita nel loro alternarsi ai dolori e sofferenze. A cosa serve il godere i momenti di gioia, quando si sa che sono accompagnati sempre dalla sofferenza e dolore, è sempre la domanda dei pessimisti.
Fu proprio questo suo stato di salute a indurlo a scrivere i suoi tanto reclamati versi poetici nei quali noto anche una voglia di liberarsi del suo stato di maledizione senza riuscirci. Sballottato tra il pessimismo sulla vita che vedeva segnata da un destino crudele, illusoria e beffarda, cercò quindi nei suoi versi la propria e momentanea liberazione.
Il passero solitario, il sabato del villaggio, tanto per nominarne qualcuno, sono implorazioni sullo stato di soggezione e segregazione dell’uomo, dal quale non può liberarsi, se non ignorando la sua sorte e godere con più passione i momenti fugaci di gioia e successo.
In lui, vedo un uomo che, preso dalla depressione, non riesce a stare al gioco che la vita offre come unica via d’uscita dal suo destino.
Fa bene sforzarsi e affrontare tanti rischi nella ricerca di amore e armonia durature, fa bene gioire su un amore finalmente trovato, sebbene l’incubo di una sua prossima e temuta fine ci accompagni sempre.
Sofferenze e gioie sono segnali che viviamo e solo questo significato dovremmo sempre dare loro.
Cari saluti,
Lorenzo

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 19:23 da lorenzo


@ Robertina e Francesca Giulia
Lo stato di solitudine del Leopardi mi ha ispirato a scrivere questa mia sulla:
La solitudine:
Per natura, sono un essere che sta volentieri in compagnia, ma che ama anche l’essere solo, per ritrovarmi e riflettere su tutto ciò che mi attira e preoccupa. Come scrivere una lettera, senza la preparazione nella riflessione, come farlo, quando la famiglia, i vicini, gli amici mi tormentano con domande riguardanti problemi banali e giornalieri?

Nella solitudine riesco a pensare alla mia vita di ieri, di oggi, a immaginarmi quella di domani, riflettere sugli errori fatti e come prevenirli per il futuro, fare programmi per migliorare le vicende delle mie giornate, creare idee migliori, allargare il mio orizzonte di vita, pensare a come intrecciare nuove conoscenze con le quali rallegrare il mio animo e soddisfare il mio spirito.

La solitudine, quando non patologica, è una medicina per il mio spirito e corpo, troppo spesso strapazzati dai colleghi di lavoro intriganti e ipocriti, dagli amici permalosi, presuntuosi, asfissianti, dalla famiglia che si ama più di tutto, ma che talvolta si vorrebbe più distante.
Per essere solitario, faccio camminate attraverso i campi, dove ammirare la natura nei suoi più vari aspetti stagionali, posso immaginarmi in compagnia di una persona cara, colta e intelligente alla quale confidarmi e poter discutere di cose che altrimenti rimarrebbero in me senza risposta obiettiva. È bene che la vita abbia diversi aspetti; ne avesse solo uno, diventerebbe noiosa, arida, comune. Nella solitudine, rigenero le mie forze creative, che mi aiutano poi a sopportare gli avvenimenti giornalieri, a trovarmi con la mente riposata e pronta ai prossimi impegni, a provare più comprensione con i miei, che, innocenti della mia stanchezza, m’impegnano più del possibile. Nella solitudine evito di chiedere scusa per una reazione inopportuna, di dover dire: lasciatemi un po’ in pace, non ne posso più. La solitudine è semplicemente una necessità di cui ognuno ha diritto, per non essere sfruttato e martoriato senza fine.

Essa deve alternarsi alla compagnia, per non sfociare in uno stato d’incomprensione, in un mancare assoluto, al quale bisogna far fronte, prima che alimenti l’egoismo ed’egocentricità, difetti che sono la rovina del singolo e della società umana.
Cari saluti.
Lorenzo

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 19:58 da lorenzo


Caro Lorenzo,
mi è molto piaciuta la tua pagina sulla solitudine, perchè credo sia ciò che sentiamo tutti, sia quando siamo soli che quando siamo in compagnia. In realtà non esiste una situazione “ideale” dell’esistere, forse. Certo, l’uomo è un “animale socievole”, si dice; quindi il “misantropo” anche più esagerato, prima o poi deve tornare tra i suoi simili. Però i suoi simili spesso lo “tormentano” e quindi è un ciclo che non finisce mai…
Comunque, le tue parole mi hanno fatto venire alla mente il celeberrimo sonetto di Petrarca ed eccolo ( su Leopradi scrivo più sotto):

“Solo e pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
e gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio uman l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti;
perché ne gli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi;

sì ch’io mi credo omai che monti e piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né si selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.”
Qui il Petrarca parla dell’Amore che egli cerca di celare agli altri; che poi l’Amore in questi poeti ha spesso un’accezione diversa da quella che gli attribuiamo noi, credo. Ma, al di là del motivo per cui il poeta vuole nascondersi alla vista degli altri, i versi della prima quartina ( che d’Amore ancora non parlano) non li senti vicini al tuo stato d’animo, così come li sentiamo tutti quando vogliamo “allontanarci”, per poi tornare?

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 21:36 da roberta


@ Fran,
ho letto solo stasera dei tuoi affettuosi auguri, che ricambio anche se in ritardo:)
Come vedi, Lorenzo ha commentato i versi di Leopardi e gli ho risposto con un sonetto di Patrarca…. e qui stiamo andando fuori tema, anche se forse Massimo ci perdonerà. Magari ci viene in mente qualcosa di straniero dopo…

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 21:39 da roberta


Cara Roberta,
va benissimo così:-)

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 21:47 da Massimo Maugeri


@rob e Lorenzo grazie qui da “noi” non c’è un tema preciso,solo cose fatte con amore e per questo c’è sempre tutto lo spazio che desideriamo,.. se Maxime ci autorizza… :-)
grazie lorenzo.

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 21:54 da francesca giulia


@ Lorenzo
Caro Lorenzo, sulla sofferenza di Leopardi- persona, si è scritto moltissimo. Eppure io credo che parlare della sua poesia associandola sempre alla sua esistenza riduca moltissimo la grandezza del suo genio poetico. Penso, per esempio, che se dal malessere esistenziale umano scaturisse automaticamente l’Arte al livello di quella del Leopardi, forse non lamenteremmo la mancanza della poesia nella società. E invece non è così. Per citare un “consimile” del Leopardi ( di cui abbiamo tanto parlato anche in altri post negli ultimi tempi) i “fiori dal male” sono soltanto i geni che sanno trarli.
Questa è la mia opinione, ovviamente e, come tale, è opinabile.
Sai però cosa dispiace sempre? (e in questo mi sosterrà la Maria Lucia Riccioli, credo..) Che quando si studia a scuola di questi tempi l’opera poetica del Leopardi la “premessa” sulla sua vita ha la capacità di “sviare” perniciosamente gli studenti dal significato profondo della sua poesia, perché agli studenti sembra che la profondità d’animo si accompagni SEMPRE all’insuccesso nella vita (torniamo al tema che Massimo proponeva per avviare la discussione sui “poeti perdenti”); in questo modo essi si allontanano dalla poesia proprio per questo motivo. Ed è questo che bisogna evitare, affinché i giovani si avvicinino alla poesia e all’arte in generale senza vedere necessariamente in essa un “marchio” di insuccesso.
Ti mando un affettuoso saluto anch’io.
Spero di non aver interpretato male il tuo pensiero.

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 22:05 da roberta


Fran, siete più che autorizzate:-)

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 22:15 da Massimo Maugeri


@roberta mi hai letto nel pensiero!!diciamo che l’arte và considerata per quel che è e non sempre legata all’individuo e alle sue pene personali,sennò ogni sfigato potrebbe scrivere poesie e capolavori.E’ chiaro che non è questo il pensiero di Lorenzo e io sono felice che lui abbia trovato uno spazio per le sue attente riflessioni.
A proposito di fiori del male che ne pensi di mettere il mio primo amore poetico??…Baudelaire…
baciuzzi

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 22:22 da francesca giulia


@ Fran,
sì, certo, credo anch’io non sia il pensiero di Lorenzo, ma ne ho “approfittato” un pò per riportare alla memoria ( e, in senso foscoliano+ petrarchesco , farla “trionfare” sul Tempo) la poesia del Leopardi.
Sì, abbiamo parlato molto di Baudelaire, con Maria Lucia e Sergio, tempo fa. Per Baudelaire un vero “culto”….
E, visto che a te piacciono i “literary.quiz”, te ne propongo uno:
I guess which is your favourite poem by Baudelaire… and you guess which is mine…. (there is more than one, but…). Naturalmente possono indovinare tutti, come l’altra volta..
In fondo non è un “quiz” fine a se stesso, perché mostra se abbiamo capito un pò la personalità degli altri ( con i pochi mezzi a disposizione cha abbiamo, diciamo così, per conoscerla).
Bises:)

Postato martedì, 14 aprile 2009 alle 23:11 da roberta


cara robè difficile capire da così pochi elementi cosa potrebbe piacerti di più,ma ci proverò,ne ho due che mi fanno pensare alla tua predisposizione d’animo e anche se dovessi sbagliarmi, spero che tu le gradisca ugualmente!In fondo è molto diverso il modo in cui gli altri ci percepiscono rispettono a come crediamo di essere,è questo sì che sarbbe il bel gioco interessante da fare più spesso.Siiamo veramente come crediamo di essere o gli occhi di coloro che ci guardano vedono un’altra persona, e questo specchio ci rimanda un essere migliore o peggiore?O ci da l’immagine di chi non vorremmo essere?

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 12:05 da francesca giulia


ELEVAZIONE di C. Baudelaire

——————————————————————————–

Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli, delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari, oltre il sole e l’etere, al di là dei confini delle sfere stellate,
spirito mio tu ti muovi con destrezza e, come un bravo nuotatore che si crogiola sulle onde, spartisci gaiamente, con maschio, indicibile piacere, le profonde immensità.

Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi, va’ a purificarti nell’aria superiore, bevi come un liquido puro e divino il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.

Felice chi, lasciatisi alle spalle gli affanni e i dolori che pesano con il loro carico sulla nebbiosa esistenza, può con ala vigorosa slanciarsi verso i campi luminosi e sereni;

colui i cui pensieri, come allodole, saettano liberamente verso il cielo del mattino; colui che vola sulla vita e comprende agevolmente il linguaggio dei fiori e delle cose mute.

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 12:16 da francesca giulia


Spleen

Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
E versa abbracciando l’intero giro dell’orizzonte
Una luce diurna più triste della notte;

Quando la terra è trasformata in umida prigione,
Dove come un pipistrello la Speranza
Batte contro i muri con la sua timida ala
Picchiando la testa sui soffitti marcescenti;

Quando la pioggia distendendo le sue immense strisce
Imita le sbarre di un grande carcere
Ed un popolo muto di infami ragni
Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

Improvvisamente delle campane sbattono con furia
E lanciano verso il cielo un urlo orrendo
Simili a spiriti vaganti senza patria
Che si mettono a gemere ostinati

E lunghi trasporti funebri senza tamburi, senza bande
Sfilano lentamente nella mia anima vinta; la Speranza
Piange e l’atroce angoscia dispotica
Pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 12:22 da francesca giulia


cara rob mi dispiace ma non ho il libro a portata di mano con il testo originale,rimedierò quanto prima!
buona giornata a te!

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 12:23 da francesca giulia


Elévation
Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées,

Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde,
Tu sillonnes gaiement l’immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.

Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Va te purifier dans l’air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.

Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse
S’élancer vers les champs lumineux et sereins;

Celui dont les pensers, comme des alouettes,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes.

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 12:34 da francesca giulia


@ Francesca Giulia-Robertina
Come siete brave e gentili nelle vostre espressioni e risposte!
Permettetemi di aggiungere altre mie riflessioni sul vasto tema dell’arte e del genio umano.
Credo che l’arte abbia diverse matrici, così che si può parlare dell’arte romantica, basata sulla sensibilità dell’animo che si nutre degli affetti umani, quella razionale dove il creato è opera di selezioni intellettuali determinate e configurate in linee geometriche e funzionali, dell’arte religiosa nella quale Dio è figura centrale e coinvolge determinatamente la forza creativa mistica dell’uomo, e così via.
Alla base deve sorreggere sempre l’intuizione e la sensibilità, che rendono l’uomo geniale trasportandolo in sfere metafisiche, trascendentali.
Le sofferenze sono intrinseche quando il soggetto si nutre dei suoi sentimenti e solo in essi riesce a elevarsi.
A me sembra che l’abilità tecnica, di comporre per esempio musica e scrivere versi, sia secondaria. Il motore creativo è l’animo, sorretto da uno spirito insoddisfatto e sensibile, che lo fa estasiare come a volte anche soffrire.
In questo stato di contraddizioni psichiche, raggiunge l’uomo, l’apice della sua creatività.
Una persona normale, considerata dal punto di vista del suo stato psichico, giudicherà l’artista come un essere, fuori dalla moda, un disturbato che non vuole vivere serenamente, che gode addirittura nel suo intimo delle sue anomalie, perché non riesce a penetrare nel suo mondo, dove il paradiso e l’inferno vanno a banchetto, simbolicamente parlando.
Per comprendere questo stato speciale del genio è necessaria possedere un minimo della sua sensibilità, onde comprendere l’origine delle sue inclinazioni, inoltre cognizioni culturali estese e unite ad esperienze personali di rilievo, senza lasciarsi imprigionare; lui stesso non sarà in grado di creare di proprio qualcosa di grande rilievo.
La genialità e il disturbo psichico vanno quindi di pari passo; sono espressioni elevate nelle quali il genio cerca il suo equilibrio come sottostando a una scarica di tensione elevatissima senza bruciarsi del tutto.
La vita si manifesta in loro con le sue più forti e determinanti caratteristiche, come per liberarsi anche lei per un attimo dalle restrizioni dimensionali.
Oggi, vivendo in una epoca eccessivamente razionale e materialistica, il genio si cerca e riscontra più facilmente nelle ricerche scientifiche, nello sport, nelle manifestazioni dilettevoli con le quali l’uomo tende a superare la mediocrità del suo animo, diventato oggetto di mercato, vivendo più a lungo e apparentemente meglio.
Cari saluti.
Lorenzo

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 19:25 da lorenzo


@Lorenzo
CarissimoLorenzo,
devo dire che questo tuo ultimo intervento mi ha entusiasmato più di quello sul Leopardi. Due le cose che mi sono piaciute particolarmente ( mi permetto di riportare quello che mi piace di più…spero non ti dispiaccia):
“La genialità e il disturbo psichico vanno quindi di pari passo”+
“Per comprendere questo stato speciale del genio è necessaria possedere un minimo della sua sensibilità”(…) ” lui stesso non sarà in grado di creare di proprio qualcosa di grande rilievo.”
Attraverso questa tua analisi si capisce bene in quale rapporto possono stare un artista geniale e la persona “mediocre” ( nel senso di “non geniale”, voglio dire; non in senso dispregiativo).
Grazie un abbraccio:)
Ti farebbe piacere partecipare al “qual è la tua poesia preferita di Baudelaire”?

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 21:22 da roberta


L’albatro, nunc et semper…
C’est moi!

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 21:59 da Maria Lucia Riccioli


@ Robertina
non conosco le poesie di Baudelaire. Dove posso riscontrarle?
Ti allego una mia poesia scritta in un momento di riflessione.
Le scelte della vita:

È nella quiete della notte
Che il proprio animo rivendica
Le mancanze, subite e fatte, nel giorno.
Non essere così ingenuo, sussurra
Nel donare e pretendere sentimenti d’affetto da chi poi
Non può ricambiare.

Sii prudente e misura la loro intensità.
Il ritirarli dopo è un’impresa
Assai più ardua del crearli
Perché comporta l’affanno e delusione
Della rinuncia.
Anche se le emozioni che creano
Sono momenti d’estasi di gioia
Dei quali ogni essere coraggioso, aspira
Pensa alla tristezza e malinconia del dopo.

Nella misura c’è l’armonia
Che crea gioia continua e sana
Senza gli eccessi che bruciano
Il proprio e degli altri animi.

I grandi di questo mondo tentano la fortuna
Del ricevere tutto, subito e sempre,
Senza curarsi delle anime donanti
Quando esauste da tanta richiesta
Devono implorare il loro destino
D’essere ancora una volta benefico e salvatore.

Ma come ignorare i doni della passione
Che brucia nel sangue da non potervi rinunciare!
È la vita solo dovere e rinuncia
Per un ordine che non è più propria vita?

È meglio, allora, godere e poi
Soffrire tutti i mali di questo mondo.
Perdendo dopo aver gustato i suoi frutti
È un seguire la propria sorte
E nell’ultimo attimo di sospiro poter affermare:
Sì, ho vissuto come volevo
E adesso muoio felice.

Non sa che è un morire per sempre,
Senza speranza di risorgere altrove a vita eterna.
Questa è riservata ai buoni e forti d’animo
Che nel rinunciare alle false gioie di questa vita
Hanno capito che essa è un processo di maturità
Con la quale solo è possibile accedere all’eternità.
Lorenzo 19.3.09

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 22:06 da lorenzo


@ Fran
Cara Fran, stavo cercando un sonetto che potesse essere il tuo preferito, ma è così difficile, in effetti. Per me hai ragione per la prima poesia, ELEVATION, di cui mi piacciono moltissimo gli ultimi 4 versi. Gli SPLEEN non sono tra i miei componimenti preferiti, anche se ne riconosco ovviamente l’indicibile bellezza; suggeriscono molta angoscia ( pensa all’immagine della “bandiera nera”= l’ANGOISSE ATROCE DESPOTIQUE che si pianta sul “cranio inclinato”). A me piace moltissimo PAYSAGE ( domani magari la inserisco).
Per te non direi uno SPLEEN, ma forse potrebbero piacerti le due ultime terzine di questo sonetto:
” Mollement balancés sur l’aile
Du tourbillon intelligent,
Dans un délire parallèle,

Ma soeur, côte à côte nageant,
Nous fuirons sans repos ni trêves
Vers le paradis de mes rêves!”
Se ti piace e se non l’hai già riconosciuto, ti scrivo domani qual è il sonetto+ la traduzione.
Bonne Nuit:)

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 23:38 da roberta


Caro Lorenzo,
ti ringrazio per la tua poesia: emana dal testo, mi sembra, un “inno alla vita”, che incoraggia a non perder tempo…. E hai ragione.
Solo che i RIMPIANTI certe volte avvolgono l’animo, in modo tale che non è possibile poter dire:
“Sì, ho vissuto come volevo
E adesso muoio felice.”
Forse, un giorno, mi piacerebbe dirlo, chissà. Ma temo che sia necessario arrivare oltre la giovinezza, per poter dire a se stessi così+ non bisognerebbe avere dei rimpianti, neanche da giovani.
Su Charles Baudelaire, puoi cliccare il suo nome su qualsiasi motore di ricerca oppure clicca “I Fiori del Male”; o puoi leggere le due poesie che ha inserito oggi Francesca Giulia e quelle che inseriremo in questi giorni, magari. Non sono certissima, in effetti, per le tematiche trattate, che ti piacciano tutte le poesie di Charles ( già il titolo è abbastanza “inquietante”, giusto?); però certo la preferita di Maria Lucia, L’ALBATRO, non mancherà di esercitare il suo gran fascino.
Bonne Nuit à toi aussi:)

Postato mercoledì, 15 aprile 2009 alle 23:50 da roberta


@Franc
Ne ho trovato, forse un’altra. L’ora è tarda, ma il silenzio notturno “ispira”..
La Rançon
L’Homme a, pour payer sa rançon,
Deux champs au tuf profond et riche,
Qu’il faut qu’il remue et défriche
Avec le coeur de la raison;
Pour obtenir la moindre rose,
Pour extorquer quelques épis,
Des pleurs salés de son front gris
Sans cesse il faut qu’il les arrose.
L’un est l’Art, et l’autre l’Amour.
- Pour rendre le juge propice,
Lorsque de la stricte justice
Paraitra le terrible jour,
Il faudra lui montrer des granges
Pleines de moissons, et des fleurs
Dont les formes et les couleurs
Gagnent le suffrage des Anges. ”
IL RISCATTO
“L’uomo possiede come suo riscatto,
Due campi dal terriccio ricco e fondo,
Che deve alacremente dissodare
Con l’aratro della sua mente.
Per ottener la più piccola rosa,
Per estorcere qualche spica
Con le lagrime salse della sua grigia fronte
Senza posa li annaffierà.
L’un campo è l’Arte e l’altro l’Amore.
- Per propiziarsi il giudice
Quando della stretta giustizia
Il terribile giorno arriverà,
Bisognerà mostrargli grange
Piene di messi, e di fiori,
Che con le forme e i colori
Vincano il suffragio degli Angeli.”
Domani mi dici.
La traduzione è di Mario Bonfantini- in un volume Mursia-edizione bilingue.

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 01:04 da roberta


cara rob,sono molto contenta che tu abbia scelto per me il vino degli amanti,è veramente una delle mie preferite,insieme con Il Vampiro,Ad una Passante e Inno alla bellezza,naturalmente è difficile scegliere perchè Baudelaire ogni volta che lo si legge, in ogni strofa rinnova l’antica emozione e suscita inaspettate sensazioni.
IL Vino degli amanti

Oggi lo spazio è splendido! Senza morsi né speroni o briglie,
via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e incantato!

Come due angeli che tortura un rovello implacabile oh,
nel cristallo azzurro del mattino, seguire il lontano meriggio!

Mollemente cullati sull’ala del turbine cerebrale, in un
delirio parallelo,

sorella, nuotando affiancati, fuggire senza riposi né tregue
verso il paradiso dei miei sogni.

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 10:19 da francesca giulia


……………Dans un délire parallèle,……………….
mi piace moltissimo quest’idea del delirio che normalmente isola l’individuo, ma in questo caso poichè si tratta di due amanti li accomuna in un delirio parallelo e ci sembra vederli nuotare affianco l’uno dell’altra, estraniati dalla realtà.
Naturalmente anche l’albatro che piace a marialucia è meravigliosa- e tu sai che io visto quest’uccello spiccare il volo alle isole galapos tanti anni fa e ne conservo il ricordo nel cuore.

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 10:26 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
riprendo dal tuo verso: Siamo veramente come crediamo di essere o gli occhi di coloro che ci guardano vedono un’altra persona, e questo specchio ci rimanda un essere migliore o peggiore?O ci da l’immagine di chi non vorremmo essere?

Postato Mercoledì, 15 Aprile 2009 alle 12:05 pm da francesca giulia
Com’è vero! aggiungo qui: e nell’inganno continuo, non abbiamo altro scampo che credere in noi, uguale che cosa siamo o sembriamo.
Non altro ci è concesso in questa vita, dove l’illusione è l’unica dote concessaci. Una dote vorace, da lasciarci impazzire dal dolore e gioire in estasi, in alternanza continua, e che non altro è che vivere.
Saluti cari
Lorenzo

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 12:10 da lorenzerrimo


@ Robertina

.. a non perdere tempo come ad aspettare; a ognuno la sua forma preferita. I rimpianti sono anche un aspetto salutare, perché ci dicono che abbiamo amato e quando non sono gravissimi ci insegnano ad aspettare, perché il tutto ritorna sempre di nuovo. Cambiano i volti, le persone dei volti amati, ma ritornano di nuovo, dietro un altro volto nel quale si riflette sempre un essere umano, bisognoso di affetto e compagnia.
Cari saluti
Lorenzo
@ Ho inviato a Francesca Giulia un mio commento su una sua frase, che mi aveva colpito, riportata più sopra. L’antiviri spam se l’è presa ed ora non ci resta che aspettare che Massimo ce lo riporti qui.
Grazie Massimo. Se penso che prima i miei invii arrivavano sempre, non ci capisco più niente con questa elettronica protettiva.
Saluti cari
Lorenzo

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 12:21 da lorenzo


@Cara Franci,
ho pochissimi minuti, ma sono contenta per la scelta del “Vin des Amants”; avevo pensato anche a “Inno alla bellezza”+ altre ma “Il Vampiro” no e temevo un pochino perché i versi del nostro Charles, lo sai, sono “bien compliqués..” “Il vino degli amanti” è anche una delle mie preferite e proprio per quello che hai scritto tu… le “délire parallèle”. E che dire dell’ultimo verso “le paradis de mes reves”..
Per l’altra, che in realtà non fa parte dei “Fleurs du Mal” ma dei “Nouvelles Fleurs du Mal” mi colpiva l’associazione AMORE-ARTE e che “pour obtenir la moindre rose – sans cesse il faut qu’il les arrose” …
Più tardi potrei inserire PAYSAGE, se ne avrò il tempo.
Intanto sono contentissima perché i nostri gusti vanno nella stessa direzione e parlare di Charles mi riempie di gioia.
Un bacione:)

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 13:26 da roberta


@Lorenzo
Grazie per i tuoi consigli, che considero sempre preziosissimi per me:)
Poi ci dici del nostro caro Charles..
Un abbraccio
Robertina:)

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 13:28 da roberta


@ Robertina
grazie delle tue annotazioni su Baudelaire.
Ho letto su Wikipedia, poi anche alcuni pezzi inseriti da te, Francesca Giulia, Maria Lucia Riccioli e Gaetano.
Ho compassione di questo geniale artista, un uomo che non riesce a trovare la serenità e armonia nel suo animo, straziato dai sensi estremistici rivolti verso la propria distruzione e quindi peccaminosi. Il peccato, quello grave, ha per me il senso di disturbo psichico depositato nei geni che sconvolgono tutta la personalità dell’essere e contro i quali lui stesso può fare poco o nulla.
Genialità e disturbo psichico trovano in lui la simbiosi, dove il male, agente in lui senza il corrispettivo benefico liberatore, è padrone della sua anima.
È sempre così, quando i due elementi che determinano il nostro vivere: male e bene non si alternano, di modo che non ne sorga una psicosi degenerativa.
Vedo in lui il prezzo dello sprone dell’uomo a una spiritualità elevata, nella quale trovarsi in un livello superiore nel suo disprezzo verso la mediocrità che lo circonda, ma che è propria della materia umana e che è quindi da considerare e valutare nelle sue limitate possibilità.
Il suo spirito anelava a un’elevazione, alla quale il suo stato psichico non era adeguato e preparato.
Intravedo la contraddizione che genera il genio in una delle sue forme più malefiche possibili, perché ogni manifestazione umana può, indipendentemente dal livello raggiunto, essere benigna come maligna.
In questo caso, l’alto livello spirituale propugnato da Baudelaire, l’ha condannato alla propria distruzione.
Il suo stile mi attira, ma anche ripugna, non portando a uno stato finale liberatore, perché non esistente nel suo animo rimasto arcaico animalesco.
La storia è ricca di questi personaggi che, spinti da uno stimolo imperante di raggiungere una meta superiore, non considerano le condizioni che essa richiede, e che quindi sono destinati a fallire.
Cari saluti.
Lorenzo

@ Gaetano
mi ha interessato la tua domando sui cuori semplici e alla quale desidero darne la mia interpretazione.
Cuore semplice è il cuore non distratto da tutto ciò che viene dal fuori, non che non ne prenda atto ma rimanente nel suo essere in simbiosi con il suo animo e spirito.
Un cuore che sa selezionare e riservare per sé solo ciò che non lo allontani dal suo stato di grazia.
Cari saluti anche a te
lorenzo

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 15:10 da lorenzo


Grazie Lorenzo per le tue dolci e attente parole sulla cura del nostro “stato di grazia”.
Un abbraccio,
Gaetano

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 15:39 da Subhaga Gaetano Failla


@ Lorenzo
Ho recuperato il tuo commento. Ho notato che il sistema riconosce i tuoi commenti come spam ogni volta che ti firmi come Lorenzerrimo (non so perché).
Dunque, è sufficiente che ti firmi con il tuo vero nome e il problema è risolto.

Postato giovedì, 16 aprile 2009 alle 22:55 da Massimo Maugeri


Riporto uno dei PETITS POèMES EN PROSE- 1862- di Charles Baudelaire-
Per ogni sillaba di questo grande poeta io gli sono grata, perché è grazie a lui e alla fortuna che ho avuto quando qualcuno mi ha messo in mano i suoi versi, che posso avere la gioia di leggerli e che, avendone memorizzato taluni, essi possono accompagnarmi ovunque, come un grande regalo.
In questo petit poème è racchiuso, mi pare, tutto il significato dell’esistenza legato indissolubilmente a quello dell’arte, così che il binomio ARTE=VITA sia inscindibile ( almeno per il poeta, ma credo che voglia dire per tutti).
XXXIII. ENIVREZ-VOUS
“Il faut être toujours ivre. Tout est là: c’est l’unique question. Pour ne pas sentir l’horrible fardeau du Temps qui brise vos épaules et vous penche vers la terre, il faut vous enivrer sans trêve.

Mais de quoi? De vin, de poésie ou de vertu, à votre guise. Mais enivrez-vous.

Et si quelquefois, sur les marches d’un palais, sur l’herbe verte d’un fossé, dans la solitude morne de votre chambre, vous vous réveillez, l’ivresse déjà diminuée ou disparue, demandez au vent, à la vague, à l’étoile, à l’oiseau, à l’horloge, à tout ce qui fuit, à tout ce qui gémit, à tout ce qui roule, à tout ce qui chante, à tout ce qui parle, demandez quelle heure il est et le vent, la vague, l’étoile, l’oiseau, l’horloge, vous répondront: “Il est l’heure de s’enivrer! Pour n’être pas les esclaves martyrisés du Temps, enivrez-vous; enivrez-vous sans cesse! De vin, de poésie ou de vertu, à votre guise.”

Postato venerdì, 17 aprile 2009 alle 20:35 da roberta


Non ho trovato una traduzione; ne inserisco una letterale e senza pretese.
” INEBRIATEVI”
Bisogna essere sempre ebbri. Tutto è lì: è l’unica questione. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che spezza le vostre spalle e vi fa inclinare verso la terra, bisogna inebriarsi senza tregua.
Ma di cosa? Di vino, di poesia o di virtù, a modo vostro. Ma inebriatevi.
E se talvolta, sugli scalini di un palazzo, sull’erba verte di un fossato, nella solitudine cupa della vostra stanza , voi vi risvegliate, con l’ebbrezza già diminuita o sparita, domandate al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che gira, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, domandate che ore sono e il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio, vi risponderanno: “E’ l’ora di inebriarsi! per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, inebriatevi; inebriatevi incessantemente! Di vino, di poesia o di virtu, a modo vostro.”

Postato venerdì, 17 aprile 2009 alle 22:46 da roberta


@ Robertina
brava, grazie di averci tradotto questi meravigliosi versi che testimoniano la crudeltà del nostro destino. Mi sono lasciato inebriare nel leggerli, ma alla fine della lettura mi sono cullato di nuovo sulla mia fede nell’assoluzione della provvidenza che rigenera sempre le nostre forze e ci aiuta a ricominciare, come per assolvere a un impegno voluto da una forza divina benevole e quindi necessario.
Un abbraccio
Lorenzo

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 13:27 da lorenzo


@rob è bellissimo questo poema in prosa,meraviglioso l’appello del poeta alla necessità di abbeverarsi alle fonti di vita che hanno il potere di inebriarci!Visto che ti piace ti rispondo con un altro che è una dichiarazione d’amore per una donna secondo me meravigliosa,ma metto solo qualche parte a scelta.

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 16:37 da francesca giulia


Le Désir de peindre

Malheureux peut-être l’homme, mais heureux l’artiste que le désir déchire!

Je brûle de peindre celle qui m’est apparue si rarement et qui a fui si vite, comme une belle chose regrettable derrière le voyageur emporté dans la nuit. Comme il y a longtemps déjà qu’elle a disparu!

Elle est belle, et plus que belle; elle est surprenante. En elle le noir abonde: et tout ce qu’elle inspire est nocturne et profond. Ses yeux sont deux antres où scintille vaguement le mystère, et son regard illumine comme l’éclair: c’est une explosion dans les ténèbres.
…………………………………………………………………………………………
Il y a des femmes qui inspirent l’envie de les vaincre et de jouir d’elles; mais celle-ci donne le désir de mourir lentement sous son regard.

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 16:38 da francesca giulia


Il desiderio di dipingere

Infelice forse l’uomo, ma felice l’artista che è dilaniato dal desiderio!

Io ardo dal desiderio di dipingere colei che mi è apparsa così raramente e che così presto è fuggita come una cosa bella da rimpiangere che nella notte il viaggiatore perde dietro di sè. Quanto tempo è passato, ormai da quando è scomparsa!

È bella, e più che bella è sorprendente. In lei abbonda il nero: e tutto ciò che ispira è notturno e profondo. I suoi occhi sono due antri in cui lampeggia e vaga il mistero. Il suo sguardo illumina come il lampo: è una esplosione nelle tenebre.
………………………………………………………………
Ci sono donne che ispirano la voglia di vincerle e di goderle. Questa dà il desiderio di morire lentamente sotto il suo sguardo.

Charles Baudelaire
Petits poèmes en prose »

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 16:40 da francesca giulia


@rob ti ricorda molto i versi e l’atmosfera cantata nella poesia “Ad una Passante?”
E’ così intenso in ogni descrizione,denso di passione,di luce e di ombre,anch’io sono grata a questo grande poeta per l’emozione che ci da.

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 16:42 da francesca giulia


@ Francesca Giulia-Robertina
continuate pure a riportare i meravigliosi versi di questo poeta che attraverso le sue sofferenze mostra una sensibilità struggente e coinvolgente.
L’arte che ne deriva eleva l’uomo a una nobiltà senza fine.
Un grido nel buio della realtà del giorno che, specie nella notte dei richiami dolci e sfuggenti, cerca il suo eco e, non trovandolo più, deve stringersi nel suo dolore. Un artista dei piaceri umani che coraggioso tenta la sua avventura verso colei che gli sfugge, perché intimorita da tanto amore.
Sente forse la sua intensità della quale anche lei avrebbe bisogno, m, sapendo della fine funesta che l’accompagna, si riprende e si allontana.
Che cosa rimane, se non un grido lacerante verso il cielo che, immobile e chiuso, non permette che si realizzi ciò che all’uomo non sarà mai concesso di raggiungere: felicità perpetua in amore verso la donna dei suoi ideali e sensi.
Non resta che di inebriarsi di cibo, vino, virtù e poesia per piangere e dimenticare il proprio dolore.
Cari saluti,
Lorenzo

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 18:50 da lorenzo


@ Francesca Giulia-Robertina
aggiungo un altro commento.
……. e alla fine di tanto dolore, deve accorgersi che la donna tanto amata non esiste se non in sé.
Volendola cercare fuori per raggiungere unione completa, deve far conto con un’altra volontà, non sempre accordante e fedele.
Non riesce a tenersela, perché troppo narcisista e individualista. È lei che si accorge, di non essere l’amata, ma solo il riflesso della sua bramosia verso la propria femminilità che, trasportata verso l’esterno sarà sempre in conflitto con quella ricercata.
Che cosa ne dite?
Lorenzo

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 20:13 da lorenzo


Cara Franc,
sì ricorda “A une passante”, soprattutto perché c’è la sensazione del fuggire ” car j’ignore où tu fuis..” (V.13) del sonetto.
Chissà se questa donna era così meravigliosa.. di certo la trasposizione immaginifica è forse più efficace della bellezza stessa della donna cantata qui; e del resto, come scriveva Ronsard nei sonetti POUR HELENE, se il poeta non avesse cantato la sua bellezza, nessuno se ne sarebbe mai ricordato… (vedi anche I TRIONFI del Petrarca.. è un tema classicissimo); il sonetto di Ronsard a cui mi riferisco l’ho già inserito all’inizio del post, mi sembra.
Lo SGUARDO della donna ( SON REGARD è detto due volte) è “magnetico”+ misterioso , come quello dei gatti ( ci sono almeno due testi nei FLEURS DU MAL in cui è presente questa associazione).
Mi chiedo perché Baudelaire trovasse così affascinante il “mistero”- le mystère- ( che è una parola-chiave dell’intera raccolta).

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 20:59 da roberta


Caro Lorenzo,
eh, nell’arte non si è mai sicuri del significato dei versi di un poeta. Leggo la tua interpretazione dei versi+ poèmes en prose del Nostro: differisce sicuramente dalla mia; però non è questo l’importante, credo. L’importante è che la raccolta è stata scritta nel 1857 e, visto che noi leggiamo ancora i versi di Baudelaire e per qualsiasi motivo ci “inebriamo” di essi, è certo che il Trionfo SULLA Morte nel suo caso è assicurato.
Un bacione+ grazie perché ci segui e ci fai compagnia in questo spazio:)

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 21:05 da roberta


cara rob,anch’io ho pensato a quelle dedicate al gatto,per il magnetismo evocato dagli occhi della donna come quelli del gatto,in fondo è anche un simbolo di femminilità sfuggente e misteriosa e questo lo ricollega all’attrazione per il mistero di baudelaire.Pensiamo che fu anche processato per immoralità dei suoi versi,era irrimediabilmente attratto dalle emozioni turbolente contro la noia della normalità in una ricerca ansiosa dell’ideale.Fu comunque il precursore di un’estetica nuova,di un romanticismo ricco di simbolismi che attraverso l’evocazione della contradditorietà dell’essere umano e le brutture della sua natura stessa può elevarsi ed raggiungere uno stato sublime.
Senza nulla togliere a tanti altri grandi poeti,credo che baudelaire sia davvero una voce unica e originale che s’innalza sopra le altre e sa donarci lo specchio delle contraddizioni del suo tempo che talvolta sanno ancora parlare anche all’uomo di adesso.

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 23:36 da francesca giulia


caro lorenzo anche a me fa piacere leggerti e sapere che ci fai compagnia gradita in questo spazio!Ho letto il commneto che mi avevi mandato e che si era perso nell’etere-web,è un discorso interessante quello della percezione che l’esterno ha di noi e ciò che noi crediamo di trasmettere,possiamo anche cercare poeti che lo abbiano affrontato nei loro versi.
un caro saluto anche a te!

Postato sabato, 18 aprile 2009 alle 23:39 da francesca giulia


Termino l’”omaggio” a Baudelaire di questi giorni con un sonetto, LE CHAT ( che conferma quanto scritto da Franc)+ PAYSAGE, che è una delle mie poesia preferite del Nostro. Se i suoi versi ( di PAYSAGE, voglio dire) suggeriscono qualche riflessione, sarò felice di leggerli; a me paiono bellissimi così come sono, senza commenti.
LE CHAT
Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux ;
Retiens les griffes de ta patte,
Et laisse moi plonger dans tes beaux yeux,
Mêlés de métal et d’agate.

Lorsque mes doigts caressent à loisir
Ta tête et ton dos élastique,
Et que ma main s’enivre du plaisir
De palper ton corps électrique,

Je vois ma femme en esprit. Son regard,
Comme le tien, aimable bête,
Profond et froid, coupe et fend comme un dard,

Et, des pieds jusques à la tête,
Un air subtil, un dangereux parfum,
Nagent autour de son corps brun.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 12:43 da roberta


XXXVI: IL GATTO
Vien, mio bel gatto, sul mio cuore amante;
Gli artigli della tua zampa rattieni,
Fa’ che m’immerga dentro i tuoi begli occhi
Misti di metallo e d’agata.
Quando le mie dita scorrono leggere
Per il tuo capo e la tua schiena elastica,
E la mia man s’inebria del piacere
Di palpare il tuo corpo elettrico,
Mi appare la mia donna: ché il suo sguardo
Sì come il tuo, grazioso animale,
Freddo e profondo, fende come un dardo,
E, dai suoi piedi sù fino ala chioma
Un aer sottile, un periglioso aroma
Aleggia intorno al suo bel corpo bruno.
TRADUZIONE di Mario Bonfantini -ediz. Mursia- 1974-

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 12:49 da roberta


LXXXIX- PAYSAGE
Je veux, pour composer chastement mes églogues,
Coucher auprès du ciel, comme les astrologues,
Et, voisin des clochers écouter en rêvant
Leurs hymnes solennels emportés par le vent.
Les deux mains au menton, du haut de ma mansarde,
Je verrai l’atelier qui chante et qui bavarde;
Les tuyaux, les clochers, ces mâts de la cité,
Et les grands ciels qui font rêver d’éternité.

II est doux, à travers les brumes, de voir naître
L’étoile dans l’azur, la lampe à la fenêtre
Les fleuves de charbon monter au firmament
Et la lune verser son pâle enchantement.
Je verrai les printemps, les étés, les automnes;
Et quand viendra l’hiver aux neiges monotones,
Je fermerai partout portières et volets
Pour bâtir dans la nuit mes féeriques palais.
Alors je rêverai des horizons bleuâtres,
Des jardins, des jets d’eau pleurant dans les albâtres,
Des baisers, des oiseaux chantant soir et matin,
Et tout ce que l’Idylle a de plus enfantin.
L’Emeute, tempêtant vainement à ma vitre,
Ne fera pas lever mon front de mon pupitre;
Car je serai plongé dans cette volupté
D’évoquer le Printemps avec ma volonté,
De tirer un soleil de mon coeur, et de faire
De mes pensers brûlants une tiède atmosphère.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 12:52 da roberta


PAESAGGIO
Voglio, per meditare castamente quest’egloghe,
Dormire presso il cielo, come fanno gli astrologi:
Vicino ai campanili, ascoltare sognando
I loro inni solenni che se ne van col vento.
Appoggiato sui gomiti alla mia finestrella
Vedrò giù l’atelié pien di voci gioiose;
Camini e campanili, alberi della nave ch’è la città,
E i gran cieli che fanno sognar d’eternità.
E’ dolce veder nascere attraverso le brume
Una stella nel cielo, a una finestra un lume,
I fiumi di carbone salire al firmamento.
Vedrò le primavere, e le estati, e gli autunni,
E quando vien l’inverno con le nevi monotone,
Sbarrerò la mia stanza, imposte e chiavistelli,
Per costruir nel buio incantati castelli.
E sognerò così orizzonti turchini,
Giardini, getti d’acqua canori e cristallini,
Baci, augelletti lieti che cantan nell’aprile,
Quanto può aver l’idillio di più dolce e puerile.
La Sommossa, mugghiando contro i miei vetri invano,
Non mi farà levare la fronte dalla mano;
Ché sarò troppo immerso in quella voluttà
D’evocare il sereno con la mia volontà,
Far nascere dal mio cuore il sole, e ricreare
Coi miei pensieri ardenti il tepor più soave.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:13 da roberta


@Franc
La traduzione di Mario Bonfantini, così bella in certi momenti ( anche perché il ritmo delle rime baciate AA-BB dell’originale è reso mirabilmente)
cambia totalmente il testo; ti riporto di seguito gli esempi che ho rilevato. Immagino che anche tu troverai qualcosa da scrivere sulla traduzione di questa poesia.
1)”emportés par le vent”= trasportati dal vento;
2)”qui chante et qui bavarde”= che canta e che chiacchiera;
3)”l’étoile dans l’azur”= la stella nell’azzurro
4)”des oiseaux chantant soir et matin”= uccelli che cantano mattina e sera;
5)”évoquer le Printemps”= evocare la Primavera (maiuscolo)
6)”MES féeriques palais”= i MIEI castelli incantati;
7)”faire/De mes pensers brûlants une tiède atmosphère= fare( + enjembement)dei miei pensieri ardenti una tiepida atmosfera.
8) nel riportatre la traduzione ho dimenticato di trascrivere il verso12=
“E la luna diffondere un bianco incantamento”
( perché BIANCO se nel testo c’é ” pâle”= PALLIDO?).
Buona domenica
Bises:)

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:32 da roberta


@ robertina
quella del gatto mi è piaciuta; un meraviglioso riflesso del tanto a lui amato senso della femminilità che purtroppo non riscontra nella realtà.
È certo, che i costumi del suo tempo lo avrebbero permesso solo di nascosto. Una contraddizione per i suoi sensi che lo spingono maggiormente a mostrarli e goderli apertamente. Sarebbe come affermare: chi per timore non si confronta con la sua vera natura, non riuscirà mai a comprenderla e domarla, onde raggiungere armonia.
Mi traduci la seconda poesia, paysage?
Grazie
lorenzo

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:34 da lorenzo


Ps: la faccina gialla è apparsa sotto la parola “ardenti”, ma non intendevo metterla: non so come si sia “materializzata”….Doveva esserci il n. 8…

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:34 da roberta


Carissimo Lorenzo,
noto con grande gioia che Charles ti affascina…
Sì, ho inserito la traduzione di PAYSAGE+ qualche nota perché la traduzione del Bonfantini è bellissima( era un grande studioso della letteratura francese- inseganva a Torino- è morto nel 1978), ma in certi punti differisce molto dal testo originale, per ragioni “poetiche” sicuramente e perché il traduttore spesso vuol rendere la “musicalità” del verso rispettando anche in italiano lo schema delle rime ( per esempio, se osservi: in francese i versi rimano e due a due= rime baciate; nei vv.21-22 il traduttore fa rimare INVANO con MANO; in francese le ultime due parole degli stessi versi sono: VITRE -PUPITRE; quindi rimano entrambi).
Non capisco come sia spuntata quella faccettina….
Per la “donna amata” a cui si riferisce LE CHAT, seppure a me non piaccia mai cercare riferimenti biografici nella vita dei poeti, Charles Baudelaire ha veramente amato una donna creola, credo, che si chiamava Jeanne. Moltissime poesie della raccolta furono censurate, all’epoca, proprio per i loro contenuti sensuali; era il 1857, del resto. Pensa al “processo” a Oscar Wilde, che è della fine del secolo.
Nell’altro post si parla di censura…

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:47 da roberta


Robertina,
Volevo fartelo notare, ma tu mi hai preceduto.
Buona Domenica.
Noi andremo a fare la solita camminata attraverso i vigneti del posto e poi ad assaggiare qualcosa.
Ciao
Lorenzo

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 13:56 da lorenzo


Che bello, la passeggiata attraverso i vigneti..
Ciao Buona domenica::))
Ps: cosa mi volevi far notare? Della faccina gialla che non c’entra nulla?

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 14:46 da roberta


rob a me è piaciuta la faccina gialla e tanto la poesia del gatto!Sì il fatto è che la traduzione come più volte abbiamo sottolineato porta ad una nuova creazione che in un certo senso dovrebbe non tradire la prima,ma nonsempre è possibile perchè chi traduce alle volte è poeta egli stesso oppure per necessità stilistica ha necessità di cambiare i termini usati per una rima o un’assonanza o per mantenere un ritmo che altrimenti si sarebbe perso.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 17:08 da francesca giulia


MI piaceva anche “vedo in spirito la mia donna” e “amabile bestia”,che rende più selvaggia l’immagine di “grazioso animale”,perchè io leggo nei versi un desiderio più istintivo, una pulsione che avvicina il gatto alla donna amata, meno delicata di come il traduttore ce l’ha posta.Comunque è una sensazione tutta mia,è sempre meravigliosa!

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 17:13 da francesca giulia


@lorenzo anch’io invidio tanto la passeggiata fra i vigneti!!

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 17:13 da francesca giulia


Cara Franc,
nel caso dei versi di cui parli- (“aimable bête”+Je vois ma femme en esprit)- anch’io ne colgo la sensualità, ma non la trovo un’ “immagine selvaggia”, non so perché. In francese il termine “bête” non ha il senso nostro di “bestia”, perchè è un sinonimo di “animale” ( l’aggettivo significa = stupido, sciocco anche nel senso di innocente). Non mi dispiace, quindi, il “grazioso animale” del Bonfantini. Ma magari è una mia impressione e mi sono sbaglaita altre volte. Io non trovo mai nei versi di Baudelaire, perfino in quelli più sensuali, immagini di desiderio così forti; la “sublimazione” dei sentimenti mi sembra in questo poeta dominare qualsiasi altra tendenza e il sentimento puramente estetico mi sembra una sorta di “prospettiva” che filtra tutto. Non so come dire.. Sono forse condizionata, nella lettura, da tutto ciò che abbaimo letto quando lo abbiamo “studiato”; e questo non credo significhi che non riesco a “fruire” della sua arte in maniera naturale, ma rientra in quel discorso che facevamo tempo fa anche con Sergio a proposito della Yourcenar e dell’irritazione della scrittrice verso le interpretazioni troppo “soggettive”, per così dire, dei suoi lettori. Lei lamentava il fatto, per esempio, che nel personaggio di Zenone dell’OPERA AL NERO, alcuni, nel leggerlo, “proiettassero” se stessi, quando lei ci aveva impiegato tanto tempo a definirne il suo carattere e così desiderava che fosse “oggettivamente” interpretato.
Ora, certo, è ovvio che, nonostante le esigenze della scrittrice, non è possibile che un lettore non “proietti” un pò della sua sensibilità nel leggere un testo e che sia proprio questa interpretazione “soggettiva”, per quanto talvolta impropria, che permette al testo di ” RI-VIVERE” ogni volta.
Quindi, per me hai ragione tu, quando scrivi che “la sensazione è tutta tua”; perché anche nel mio caso, la “sensazione” è mia e deriva forse da un diverso approccio, manifestazione di una personalità diversa.
In any case… è sempre “meraviglioso” poter condividere la passione per la poesia con qualcuno che la ama quanto noi.
Vuoi propormi qualcosa di nuovo?
Un abbraccio:)
Ps: magari le impressioni di Lorenzo alla vista dei vigneti… ci faranno venire in mente qualcosa…

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 18:30 da roberta


Francesca Giulia-Robertina
non solo non è possibile riportare il senso originale del poeta nelle traduzioni. Ogni lingua ha le sue particolari caratteristiche, rispecchianti la mentalità e gusto del popolo che sfociano in vocaboli che poi non passano con il verso originale.
Il gusto sopra citato muta anche nello scorrere del tempo, così che ogni interpretazione ne rimane più soggetta.
In questo geniale poeta mi ritrovo, ma solo in parte, ma probabilmente perché oggi usufruiamo di maggiore libertà d’azione e d’espressione.
Insomma, oggi si vive il romanticismo, a mio parere incrementato allora dalle restrizioni assolute in ogni campo d’azione, e lo si supera con più facilità con l’uso abituale della ragione. Ne esce una mescolanza tra il sentire e ragionare che sa di una minestra senza ingredienti.
Alla fine si è sazi, senza aver assaporato qualcosa di veramente buono da rimanerne soddisfatti.

La camminata è stata salubre e altrettanto la degustazione del vino e dei pasti.
Ad approfittarne di più è sempre la mia mogliettina, perché io mi sono assunto sempre il ruolo di guidatore della macchina.
Di nuovo, un esempio di come oggi le donne vengano trattate meglio.
Il tempo da noi è da due settimane splendido, con temperature tra i ventiquattro gradi di giorno e otto di notte. Cosa pretendere di più, quando fra tre settimane si va al mare a San Benedetto del Tronto.
Cari saluti e buona serata.
Lorenzo

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 19:03 da lorenzo


@ Robertina
ho dimenticato di rispondere alla tua domanda; Volevo pregarti di allegare la traduzione della poesia: il paesaggio, cosa che hai fatto con qualche secondo di anticipo al mio invio.
Ragazze mie, il ritmo dello scambio dei nostri commenti diventa sempre più veloce. Niente di male, dato che di tempo ne ho tanto.
Le faccine gialle fanno sempre bene, mi aiutano a sorridere e leggere prima.
Ciao
Lorenzo

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 19:09 da lorenzo


Vorrei aggiungere la traduzione di G. Bufalino, Oscar Classici Mondadori, anno 1983:
Bel gatto, vieni sul mio cuore ardente:
ritira l’unghie e lasciami
annegar nel tuo occhio rilucente
d’un lume d’oro e d’agata.

Quando si perdon le mie dita lente
nel tuo capo e l’elastica
groppa ti palpan voluttuosamente,
come per trarne un brivido,

rivedo la mia donna: ha nello sguardo,
come te, bestia amabile,
un taglio freddo e pungente di dardo,

e tutt’intorno al bronzeo
suo corpo un’aria fine, un infingardo
perfido efflevio naviga.

Quel “Bel gatto” posto immeritatamente all’inizio del verso sa di grottesco e comico. E che dire del “lume d’oro” che mi pare più caratteristica d’un alieno.
Non si è persa tutta l’immagine felina di
“Melés de métal et d’agate” ?
Tralasciando tutto il resto, penso a quanto sia difficile, se non impossibile, tradurre una poesia che cesella il significato delle parole con uno strumento unico ed irripetibile: la sensibilità del poeta.
Diversamente, la Yourcenar scriveva a L.S. Mazzolati:
“Tutta la nostra corrispondenza dimostra, cosa che del resto sapevo già per esperienza, fino a che punto sia difficile l’arte del traduttore. Ogni scelta, anche la più insignificante, mette in gioco calcoli d’una complessità infinita: storia delle idee, linguistica, differenze psicologiche tra due paesi, ritmo musicale e sopratutto l’uso d’una qualità molto rara, il tatto…la lingua italiana, apparentemente così vicina al francese, per questo appunto è più irta di trabocchetti: che fortuna straordinaria ho avuto nell’aver lei…” A proposito della traduzione che la Mazzolati stava eseguendo delle “Memorie di Adriano”.
Questo a testimonianza del fatto che la traduzione è comunque e sempre un surrogato.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 19:49 da luigi


ragazzi il gruppo si allarga!!che piacere che è venuto pure Luigi a discorrere di poesia e traduzione con noi,con cui sono perfettamente d’accordo,però del resto se non avessimo il duro lavoro dei traduttori non potremmo leggere tanti autori di cui non conosciamo la lingua-per me il tedesco e il russo e altro…-.E’ mia abitudine leggere quando conosco un pò la lingua anche l’originale e magari più traduzioni dello stesso,possibilmente fatte da un poeta.
Io tornerò domani sull’argomento,stasera non posso più collegarmi.
Caro Lorenzo fai bene a deliziare tua moglie con vino buono e pranzetti,anch’io ho deliziato il mio con linguine con le vongole e vino bianco,però fatte da me! Mi mancano le vigne dove potermi addormentare sotto.
cari saluti a tutti voi

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 21:31 da francesca giulia


@Luigi
Sì, hai ragione su quest’ultima traduzione che hai inserito. E ti ringrazio infinitamente per aver riportato le parole della Yourcenar.
Avevo letto tempo fa le “Memorie di Adriano” e lo avevo letto in italiano (forse l’edizione tradotta dalla Mazzolati? Non ricordo).
Sono felicissima della tua partecipazione qui.
Immagino che anche la traduzione di PAYSAGE ti lasci un senso di “insoddisfazione”. Eh, come fare, davvero?
Quando ero molto giovane mi era venuta una grande passione per Thomas Mann, ma non riuscirò mai a leggere Morte a Venezia in tedesco.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 21:44 da roberta


@Franc+ Lorenzo+ Luigi
Noi continuamo a parlarne e a parlare dell’importanza della traduzione, pur sapendo quanto sia difficile, “se non impossibile”, come scrive Luigi.
Nell’altro post Gordiano Lupi ha fatto conoscere in Italia la voce della giornalista cubana. E’ sempre molto importante.
Un abbraccio a tutti anche da parte mia.
Io sono felicissima se il nostro spazio si allarga a molti. Ognuno può contribuire con le sue competenze, le sue considerazione e ogni intervento è prezioso.

Postato domenica, 19 aprile 2009 alle 21:49 da roberta


@ francesca giulia
potrei inviarti alcune foto scattate l’anno scorso in autunno.
Rispecchiano un paesaggio stupendo, veramente da innamorarsi.
Ciao e saluti
Lorenzo

Postato lunedì, 20 aprile 2009 alle 22:08 da lorenzo


IV
O ihr Zaertlichen, treter zuweilen
in den Atem, der euch nicht meint,
la§t ihn an eueren Wangen sich teilen.

O ihr Seligen, o ihr Heilen,
die ihr der Anfang der Herzen scheint
Bogen der Pfeile und Ziele von Pfeilen,
ewiger glaenzt euer Laecheln verweint.

fiurchtet euch nicht zu leiden, die Schwere,
gebt sie zuriuck an der Erde Gewicht;
schwer sind die Berge, schwer sind die Meere.

Selbst die als kinder ihr pflanztet, die Beaume,
wurden zu schwer laengst; ihr triuget sie nicht.
Aber die liufte… aber die Rreaume…

IV
O voi tenere, talvolta entrate
nel respiro, che di voi non vuol dire,
lasciatelo dividersi sulle vostre guance,
dietro a voi vibrare, di nuovo unito.

O voi beate, voi intatte, o voi
che del cuore sembratel’inizio,
archi di frecce e di frecce mète, gonfio
di pianto più eterno splende il vostro sorriso.

Non temete il dolore, la pesantezza
rendetela al peso della terra;
pesanti sono i monti, pesanti i mari.

Anche gli alberi, piantati nell’infanzia,
si sono fatti ormai troppo pesanti;
non li reggete. Ma l’aria…gli spazi…

R.M. Rilke, Die sonette an Orpheus, traduzione di Mario Ajazzi Mancini, Grandi Tascabili Economci Newton, 1997

Il tedesco potrebbe sembrare ruvido ai nostri orecchi, ma leggendo e rileggendo questa poesia, ci è molto più dolce e armoniosa del testo italiano, eppure qui la traduzione è un’opera seria, eseguita con profonda conoscenza del poeta e della lingua.
Il fatto è che la parola nella poesia moderna, già dalla fine del Romantacismo in poi, non è più semplicemente un mezzo. Il poeta, afflitto dal non poter comprendere la sua posizione nei confronti delle due morti, quella che precede la vita e quella che segue, sferzato dal bisogno di materializzare il sentire nell’immagine, tenta la vivificazione della parola, trasformandola, essa stessa, nella sensazione, risultato di una aggregazione di sentimenti, di “sentiri” univoci. Non per niente, il Pascoli, agitato da questa sferza interiore, non resiste nel suo dorato, metrico, neoclassicismo, e si diffonde in un linguaggio onomatopeico che soddisfa il bisogno di rendere suoni e colori nella loro immediata percezione, alterando e modificando la semantica alle proprie esigenze. Lo stesso impellente bisogno che genera l’ermetismo.
Tradurre queste parole che sono del poeta che le adopera e che le ricrea nel suo mondo, non è possibile. Si può tradurre però il significato comune sedimentato nei termini in una lingua diversa, a fini divulgativi, così come fa lo studioso che spiega al pubblico le innovazioni scientifiche. Siamo tutti d’accordo, credo, che in questo senso l’opera del traduttore è altamente meritoria: permette che opere ed artisti siano conosciuti e ricordati in altre parti del mondo, sottraendoli al buio dell’ignoranza. Così come è altamente meritoria, per esempio l’opera di Gordiano Lupi che tra l’altro ci permette di conoscere l’artista cubana.
Importante è sapere cosa si guadagna e cosa si perde.

Postato martedì, 21 aprile 2009 alle 23:00 da luigi


@ Luigi
Io ho sempre sentito la “musicalità” anche nel tedesco. L’ho sempre sentita nel “Zauberflote” di Mozart, per esempio. L’ho studiato per una anno tempo fa e poi lo trovavo troppo difficile e l’ho lasciato. Una mia prof era originaria di una regione del nord e aveva un tedesco splendido, l’altro prof,originario del sud, aveva una pronuncia più “dura”, per così dire. Il suo tedesco non mi piaceva, non era musicale.
Sicuramente, se fossi in grado di capirlo, coglierei maggiormente la bellezza del sonetto di Rilke. Colgo soltanto la musicalità delle rime. E per quanto lo legga in italiano, non lo “capisco”. ma forse perché non conosco Rilke.
Questa immagine delle frecce che partono dal punto in cui arrivano sono molto significative
“voi intatte, o voi
che del cuore sembrate l’inizio,
archi di frecce e di frecce mète”
Caro Luigi, forse l’ermetismo c’è, perché se non lo avessi scritto tu, io non avrei capito che si trattava delle “due morti”.
Se vorrai inserire qualcosa su Rilke+ altri testi, ne sarò felice.
Francesca Giulia lo sarà come me.

Postato martedì, 21 aprile 2009 alle 23:24 da roberta


Caro Lugi mi fa molto piacere che tu abbia inserito Rilke,pur non conoscendo il tedesco mi piace leggerlo e tentare di trattenerne il suono in me.Come Rob ho pensato immediatamente alla musica,in particolare a Wagner il cui ascolto mi rapisce totalmente pur non comprendendo le parole,mistero del linguaggio universale della musica!
Da ragazza lessi di Rilke “Le elegie duinesi” di cui ricordo bei versi d’amore e sull’importanza della poesia,benchè credo che non sia un apoesia di facile e immediata comprensione,poichè intrisa di filosofia e di sentimento religioso in un linguaggio ricco di simbolismi,forse vicino al simbolismo francese,ma meno fruibile nell’immediato.Nei versi che hai trascritto è molto forte l’ansia della ricerca di una spiegazione dell’esistenza e il soffio della morte,potresti inserire qualche verso dalle Elegie e dirci qualcosa di più?Il poeta nella maturità elaborò attraverso i versi una visione meno ansiosa della morte?traspare un senso di infelicità della vita da cui liberarsi attraverso l’aria….lo spirito che si lascia alle spalle la pesantezza degli alberi piantati nell’infanzia.
Esiste anche un Requiem scritto per un’amica,ti piacerebbe inserirlo e parlarcene?
Grazie, un caro saluto a te e a Rob.

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 10:24 da francesca giulia


@ Luigi-Robertina
Mi sembra che il testo tedesco non sia perfettamente corretto.
Trovo che la traduzione della poesia di Rilke sia un po’ arbitraria.
Non rispetta sempre il vero significato dato dai vocaboli tedeschi.
Qua e là, noto delle variazioni che offrono un senso piuttosto personale, pur mantenendo il significato generale.
Io l’avrei tradotta:

O voi teneri, entranti talvolta
nel respiro, non riferente a voi,
lasciatelo dividersi sulle vostre guance.
O voi beati, o voi sani
che dei cuori sembrate l’inizio
Arco e mete di frecce,
più in eterno splende il vostro sorriso di pianto.
Non temete il dolore, la pesantezza,
ridatala alla sorte terrena;
pesanti sono i monti, pesanti i mari.
Gli alberi stessi, piantati da bambini,
sono da tanto diventati troppo pesanti;
non li potreste reggere.
ma le arie… gli spazi….
Cercherò la poesia e confronterò il testo originale con il qui riportato.
Cari saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 15:07 da lorenzetti


Ho trovato l’errore di testo: tretet e non treter, per cui bisogna sostituire entranti con entrate. Treter è sostantivo e andrebbe anche scritto con la T maiuscola.
Nel testo tedesco riportato, ci manca un verso che però è stato tradotto in italiano.
Lo riporto qui sotto completo.

O ihr zärtlichen, tretet zuweilen
in den Atem, der euch nicht meint,
laßt ihn an eueren Wangen sich teilen,
hinter euch zittert er, wieder vereint.

O voi teneri, entrate a volta
nel respiro, non riferente a voi,
lasciatelo dividersi sulle vostre guance,
di nuovo unito, vibra dietro di voi.
Il vero senso dovrebbe essere, a mio parere:
O voi sensibili, respirate a volte
uno spirito non vostro
lasciatelo dividersi sulle vostre guance,
di nuovo unito, vibra di nuovo.
Saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 15:39 da lorenzetti


ciao Lorenzo è interessante il confronto che fai,io non conosco il tedesco eposso limitarmi a considerazioni superficilai,ma il femminile utilizzato in oh voi tenere… non potrebbe esser più consono all’idea di anima?visto che si parla di morti,ma non sappiamo se maschi o femmine,intanto “le morti” sarebbe femminile e non maschile come traduci tu,che ne pensi?perdona ma davvero forse dico incongurnze dettate solo dall’intuito e non dalla conoscenza della ligua.
p.s.perchè sei diventato “lorenzetti”?

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 15:42 da francesca giulia


Se si tratta di anime, scusa la mia ignoranza, allora hai certamente ragione. Del resto e come si vede, è a volte impossibile tradurre da una lingua in un altra, anche perché lo stile poetico della Rilke non segue norme grammaticali. È un frammento di parole messe lì per creare un senso proprio efficace, ma non comprensibile a chi la legge senza conoscere la sua personalità.
Ogni traduzione può risultare soggetta quindi a fraintendimenti e arbitrarietà.
A proposito, non mi piace neanche la mia traduzione dell’ultimo verso dove “di nuovo” lo ripeto. Hinter euch dovrebbe qui significare: dopo la vostra inalazione, vibra, di nuovo unito.
Il perché del mio nuovo pseudonimo risiede nel suggerimento datomi da Zauberei, come del resto lo era anche lorenzerrimo, dopo che Kataweb rifiutava di accettarlo.
Ciao e a dopo.
Lorenzo

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 18:04 da lorenzetti


@ Lorenzetti:)
Carino quest’ultimo tuo nome:)
Caro Lorenzo, sono riuscita a “seguirti” in modo molto parziale, perché davvero non capisco nulla del tedesco. Una mia amica mi aveva parlato di Rilke tempo fa e mi aveva spinto a leggere le sue poesie; io non lo avevo fatto, ma forse ora, dopo gli interventi di Luigi+ il tuo, credo che andrò a comprarmi un suo libro. Mi ha colpito ciò che scriveva Francesca Giulia sulla “morte” e sull’ansia, da parte del poeta, di “liberarsi dell’infelicità”.
Comunque sono molto contenta che abbiamo trovato una “campo” (quello specifico della lingua tedesca) in cui tu puoi darci un aiuto, dialogando con altre persone che hanno le competenze linguistiche; Luigi, per esempio.
Grazie e scrivici ancora su Rilke.

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 21:00 da roberta


@ Robertina-Francesca Giulia
grazie, certo che vi sarò nel mio possibile di aiuto.
Mi preme ora di presentarvi una poesia di Heinrich Heine che mi ha colpito maggiormente.
Heine è più musicale, semplice da capire, scorrevole nei suoi ritmi che spingono addirittura a cantare le sue poesie.
TEXT BY HEINRICH HEINE (1797-1856)

Der Kopf spricht:

Ach, wenn ich nur der Schemel wär,
Worauf der Liebsten Füße ruhn!
Und stampfte sie mich noch so sehr,
Ich wollte doch nicht klagen tun.

Das Herz spricht:

Ach, wenn ich nur das Kißchen wär,
Wo sie die Nadeln steckt hinein!
Und stäche sie mich noch so sehr,
Ich wollte mich der Stiche freun.

Das Lied spricht:

Ach, wär ich nur das Stück Papier,
Das sie als Papillote braucht!
Ich wollte heimlich flüstern ihr
Ins Ohr, was in mir lebt und haucht.

La testa dice:

Ah, se fossi almeno lo sgabello,
Sul quale i miei piedi cari riposino!
E lei ancora mi pestasse così tanto,
Non vorrei di certo presentare accuse.

Il cuore dice:

Ah, se fossi almeno il cuscinetto,
Dove lei conficca gli spilli!
E mi pungesse anche così tanto,
Mi rallegrerei delle fitte.

La canzone dice:

Ah, fossi almeno il pezzo di carta,
Che lei usa come bozzo!
Vorrei in segreto suggerirle
Nell’orecchio, ciò che vive e respira in me.

Saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 22 aprile 2009 alle 21:46 da lorenzetti


Approfitto della celebrazione per LA GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO, e poiché è già il 23 aprile e si festeggia la data di nascita del grande drammaturgo inglese, assieme a quella del Cervantes, inserisco un brano tratto dall’atto II dell’AMLETO di Shakespeare. In questa scena Amleto ( che sa di essere spiato da Polonio e da suo zio il Re perché devono capire se é veramente “matto”) ha un libro in mano e legge, ed è per questo che l’ho scelta. L’ho sempre trovata “buffissima” perché Polonio non è uno stupido, però Amleto riesce a burlarsi di lui per tutta la durata della “folle conversazione” ( e poi, più avanti, come sappiamo, lo “infilza” con la spada, quando lui si è nascosto dietro la tenda nella camera di Gertrude, la madre di Amleto- e anche in quel momento Amleto, infilzando Polonio, grida: “Un topo! Un topo!”).

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 00:09 da roberta


” LORD POLONIUS
What do you read, my lord?

HAMLET
Words, words, words.

LORD POLONIUS
What is the matter, my lord?

HAMLET
Between who?

LORD POLONIUS
I mean, the matter that you read, my lord.

HAMLET
Slanders, sir: for the satirical rogue says here
that old men have grey beards, that their faces are
wrinkled, their eyes purging thick amber and
plum-tree gum and that they have a plentiful lack of
wit, together with most weak hams: all which, sir,
though I most powerfully and potently believe, yet
I hold it not honesty to have it thus set down, for
yourself, sir, should be old as I am, if like a crab
you could go backward.

LORD POLONIUS
[Aside] Though this be madness, yet there is method
in ‘t. ”
FROM “HAMLET”- II,2.

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 00:11 da roberta


Traduzione ( da un sito internet )
” POLONIO: Monsignore,
posso sapere che state leggendo?”
AMLETO: Parole, parole, parole.
POLONIO: Di che è questione, signore?
AMLETO: Questione?
Fra chi?
POLONIO: Volevo dire l’argomento,
l’argomento del libro che leggete.
AMLETO: Calunnie, signor mio.
Perché questa canaglia di satirico
scrive che i vecchi hanno la barba grigia,
la faccia scanalata dalle rughe
e gli occhi secernenti un certo umore
denso come la gomma di susino;
che abbondano di carestia di senno,
insieme a debolissimi garretti…
tutte cose di cui, signore mio,
per quanto possa io esser convinto
nella maniera più forte e potente,
non penso tuttavia che sia decenza
spiattellarle così; perché anche voi,
signore, avreste la mia stessa età,
se, simile ad un gambero,
poteste camminare a retromarcia.
POLONIO: (A parte)
Questa è follia, se pure c’è del nesso.”

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 00:25 da roberta


@Lorenzo
Caro Lorenzo,
Grazie! La poesia di Heine a me è piaciuta moltissimo::)) Troppo carina::))
Sì, è vero, è meno difficile rispetto a Rilke.
Sono forse due poeti molto diversi. Me li andrò a cercare entrambi..
Domani mi dici se ti è piaciuto il brano dall’AMLETO? Eh, non puoi non soccombere..
Un caro saluto anche a te
Se vuoi, inserisci altri testi:)

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 00:33 da roberta


Lorenzo è molto carina la poesia di heine,sembra quasi un cato,una filastrocca poetica!
Rob hai fatto bene a rendere omaggio al grande Shakespeare, poi Amleto è meraviglioso,vorresti mettere qualche pezzo che ci parla della pazzia di Ofelia?Ofelia è uno di quei personaggi femminili che mi ha sempre affascinata,lo sapevi che anche Guccini dedicò una canzone a lei?Appunto “Ofelia”,molto bella.
baci e buona giornata a voi,tornerò più tardi.

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 10:08 da francesca giulia


scusate : Heine, Canto,

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 10:09 da francesca giulia


Grazie per quella precisazione su Proust e l’uccellino…
:-)
Leopardi, poeta del cuore, compagno delle mie lacrime, voce della mia inquietudine poetica. Ci credete che ho fatto la tesi di laurea su di lui ma non lo rileggo da allora?
Molte cose dolorose del mio spirito sono legate a lui, ma anche la vicinanza poetica.
Purtroppo gli studi leopardiani sono stati a lungo legati ad una psicopatologia critica, come scrivevo nella mia tesi. Se lo leggiamo senza sapere della gobba e delle fughe e della malattia scopriamo un genio, uno Chopin della poesia.
Musicalissimo.
Dolce e chiara è la notte e senza vento.
Cantabile, quasi.
Poi aspro e dialettico nello Zibaldone, franto negli ultimi versi.

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 15:24 da Maria Lucia Riccioli


@Maria Lucia
ti è piaciuto l’omaggio a Skakespeare? Dopo aggingiamo un altro brano.
Questo Polonio Amleto proprio non lo sopportava: “Mi avete riconosciuto?” – chiede Polonio ad Amleto prima del dialogo riportato su- “Sì, certo”- risponde Amleto- “siete un pescivendolo”.
Nell’ inglese elisabettiano la parola FISHMONGER vuol dire anche “ruffiano”; infatti Amleto rimprovera Polonio di servirsi di Ofelia per scoprire cos’egli ha in mente.
Veramente non esiste un grande più grande di Shakespeare. Si celebra la giornata mondiale del libro ricordando la sua nascita; ma in effetti è un grande drammaturgo, non uno “scrittore” in senso stretto. Certo, non potendo assistere alla rappresentazioni teatrali, ce lo leggiamo: questo almeno non ci è impedito.
Su Leopardi: ci sono quegli scrittori che leggevamo un tempo e che ci fa male, in un certo senso, rileggere dopo anni. Per me questo succede con Pavese. Ho riletto LA BELLA ESTATE due anni fa e ho giurato a me stessa che non lo avrei più preso in mano. Ma non sarà così, perché ci ritornerò…
Kisses:)

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 17:46 da roberta


Cara Robertina,
lascio per ora di commentare l’Amleto. Non che non mi piaccia, al contrario, è solo che in questo momento ho la testa altrove.
Con il tuo permesso, ti allego una poesia di Novalis, tradotta da me, come le altre, ieri.
Ciao e saluti,
Lorenzo
Wer Schmetterlinge lachen hört

Wer Schmetterlinge lachen hört,
der weiß, wie Wolken schmecken.
Der wird im Mondschein, ungestört von Furcht,
die Nacht entdecken.

Der wird zur Pflanze, wenn er will,
zum Tier, zum Narr, zum Weisen.
Und kann in einer Stunde
durchs ganze Weltall reisen.

Der weiß, dass er nichts weiß,
wie alle anderen auch nichts wissen.
Nur weiß er, was die andern
und auch er selbst noch lernen müssen.

Wer in sich fremde Ufer spürt
und den Mut hat sich zu recken,
der wird allmählich,
ungestört von Furcht sich selbst entdecken.

Abwärts zu den Gipfeln
seiner selbst bricht er hinauf,
den Kampf mit seiner Unterwelt
nimmt er gelassen auf.

Wer Schmetterlinge lachen hört,
der weiß, wie Wolken schmecken.
Der wird im Mondschein, ungestört von Furcht,
die Nacht entdecken.

Wer mit sich selbst in Frieden lebt,
der wird genauso sterben
und ist selbst dann lebendiger
als alle seine Erben.

Novalis (1772 – 1801)

Chi sente ridere le farfalle

Chi sente ridere le farfalle,
sa, come piacciono le nuvole.
Sotto la luce della luna,
scoprirà la notte,
senza provare timore.

Quando lo voglia, diventa una pianta,
un animale, un folle, un saggio.
E può in un’ora
viaggiare attraverso tutto l’Universo.

Sa, di non sapere nulla,
come anche gli altri niente sanno.
Sa soltanto, che cosa gli altri
e anche se stesso
devono ancora imparare.

Chi sente in sé una riva sconosciuta
e il coraggio ha di elevarsi
scoprirà infine,
se stesso
senza provar timore

Dal basso, s’incammina
verso la propria elevazione,
la lotta contro il suo inconscio
affronta con calma.

Chi sente ridere le farfalle,
sa, come piacciono le nuvole.
Sotto la luce della luna,
scoprirà la notte,
senza provare timore.

Chi vive in pace con se stesso,
morirà la stessa morte
ed è poi lui stesso più vivo
di tutti i suoi eredi.

Novalis (1772.-.1801)

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 20:13 da lorenzetti


A proposito di Skakespeare… vi anticipo che all’inizio della settimana prossima dedicherò un post a questo grande e misterioso autore.
Buone traduzioni!:-)

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 22:10 da Massimo Maugeri


@ Robertina- Francesca Giulia
due poesie carine e sentimentali del grande Heine. Spero che vi accontentiate delle mie traduzioni.
A domani carissime
Lorenzo.

Im wunderschönen Monat Mai,
Als alle Knospen sprangen,
Da ist in meinem Herzen
Die Liebe aufgegangen
Im wunderschönen Monat Mai
Als alle Vögel sangen,
Da hab ich ihr gestanden
Mein Sehnen und Verlangen
Nel meraviglioso mese di Maggio,
Quando tutti germogli sbocciavano,
È nel mio cuore
Sorto l’amore
Nel meraviglioso mese di Maggio
Quando tutti gli uccelli cinguettavano,
Le ho confessato
La mia bramosia e desiderio.

Als die junge Rose blühte
Und die Nachtigall gesungen,
Hast du mich geherzt, geküsset,
Und mit Zärtlichkeit umschlungen.
Nun der Herbst die Ros entblättert
Und die Nachtigall vertrieben,
Bist du auch davon geflogen
Und ich bin allein geblieben.
Lang und kalt sind schon die Nächte
Sag wie lange wirst du säumen?
Soll ich immer mich begnügen
Nur vom alten Glück zu träumen?
Quando i boccioli di rosa fiorivano
E l’usignolo cantava,
Mi hai baciato con amore,
E abbracciato con tenerezza.
Ed ora che l’autunno sfoglia la rosa
E scacciato ha l’usignolo,
Te ne sei andata anche te
Ed io sono rimasto solo.
Lunghe e fredde sono già le notti
Dimmi, fino a quando vuoi indugiare?
Devo sempre accontentarmi
Di sognare soltanto della vecchia fortuna?

Postato giovedì, 23 aprile 2009 alle 23:40 da lorenzetti


Entrate talvolta, voi tenere,
in quell’alito che non per voi spira,
sfiorandovi le guance si divida
e ricomposto di voi tremi.
(Traduzione di G. Cacciapaglia, 2^ ediz. Edizioni Studio Tesi,1995)

Credo che basti ancora una sola strofa per constatare quanta differenza ci sia tra una traduzione e le altre; si verifica addirittura un cambio di sesso tra le due edite e quella di Lorenzo; e quel respiro che per uno “non vuol dire”, per l’altro “non per voi spira” e per Lorenzo un po’ stravagante “non riferente a voi”.
Mi ci son messo io anzitutto col riportare nel mio post precedente la prima strofa del sonetto originale alterata e senza la coda del quarto verso, ma la mia attenzione era rivolta più al testo in italiano.
Il tema del respiro chiude il terzo sonetto della raccolta, il poeta stesso ha difficoltà a definirlo, per tre volte lo ripete in modo differente: “Ein Hauch um nichts. Ein Wehn im Gott. Ein Wind.” (Un respiro a nulla. Un soffio in Dio. Un vento).
E’ l’eterno che si apre alla vita e si richiude dopo la morte, poiché nell’eternità la stessa morte muore con la rinascita nel sorriso e nel dolore. E’ il ciclo in cui si è allo stesso tempo freccia e bersaglio.
Naturalmente io ho portato l’esempio di Rilke perché a me piace più di altri poeti tedeschi, ma il discorso vale per le traduzioni in genere d’ogni opera scritta in ogni altra lingua.

Ed ora deliziatevi con il “Requiem fiur eine Freundin” scritto da Rilke a Parigi nel 1908, sono solo i primi 12 versi.
(purtroppo non riesco a trovare la dieresi e la § tedesca ed altro).

Ich habe Tote, und ich lie§ sie hin
und war erstaunt, sie so getrost zu sehn,
so rasch zuhaus im Totsein, so gerecht,
so anders al ihr Ruf. Nur du, du kehrst
zuriuck; du streifst mich, du gehst um, du willst
an etwas sto§en, da§ es klingt von dir
und dich verraet. O nimm mir nicht, was ich
langsam erlern. Ich habe recht; du irrst
wenn du geriurt zu irgend einem Ding
ein Heimweh hast. Wir wandeln dieses um;
es ist nicht hier, wir spiegeln es herein
aus unserm Sein, sobald wir es erkennen.

Spero di aver copiato senza errori. Ora prego Lorenzo di regalarci la traduzione anche di questo brano, come in un bel gioco tra amici.

Postato venerdì, 24 aprile 2009 alle 00:35 da luigi


Carissimo Luigi,
non mettermi in difficoltà. Il mio tedesco non è perfetto. Non mi sono mai considerato un perfezionista e questo in ogni attività e fase della mia vita. Addirittura odio la perfezione. Mi piace cercare e infine riscontrare di aver trovato poco o nulla, di modo che senta la necessità di cercare ancora. Per me tutto è quindi relativo.
Una traduzione, specialmente da una lingua straniera, è un viaggio nell’inconscio dell’autore. Da qui le difficoltà di capirlo, alle quali si aggiungono le limitatezze che ogni linguaggio ha. Una cosa è il pensiero nato dai sensi e tutta un’altra il riportarlo per iscritto usando una forma di per sé limitatissima com’è la lingua.
Ho quindi le mie difficoltà nel tradurre un verso; mi chiedo se debba trarne solo il senso percepito da me, o tradurre fedelmente parola per parola a scapito del senso che diano, dato che esse hanno un significato differente nelle diverse lingue, perché rispecchiano la mentalità e gli usi di un popolo, anche loro mutanti nel tempo.
Premesso questo, mi provo ora a tradurre i versi da te riportati sopra.

I miei morti, li lasciai essere morti
e rimasi meravigliato, di vederli così sereni,
così svelti e abituati alla morte, così giusti,
così diversi della loro fama. Soltanto tu, torni indietro;mi sfiori, mi circondi, vuoi
raggiungere qualcosa, che risuona di te
e ti sveli. O, non togliermi, ciò che
apprendo lentamente. Ho ragione; tu ti sbagli
quando commossa di un qualcosa
hai nostalgia di casa. La mutiamo,
non è di qui, la riflettiamo
dal nostro essere, non appena la riconosciamo.
Saluti, anche a Robertina e Francesca Giulia.
Lorenzo

Postato venerdì, 24 aprile 2009 alle 18:58 da lorenzetti


Carissimi Lorenzo+ Luigi
State arricchendo moltissimo la nostra rubrica! Ne sono felicissima e anche Franc, ne sono certa.
Io non colgo nulla del vostro dialogo sulla traduzione specifica del tedesco. So solo che quando non ho una traduzione( che può anche non piacermi) a portata di mano di un brano dal francese o dall’inglese e mi metto a riportare io una specie di traduzione improvvisata, il risultato non mi piace proprio. E’ un mestiere, quello dei traduttori.
Comunque qui in questo spazio, noi siamo “appassionati” tutti quanti, compresa la nostra cara Maria lUcia che ci segue sempre con affetto, del TESTO ORIGINALE, quindi ci perdoneranno tutti coloro che leggeranno traduzioni letterali e “non artistiche” ( autorizzate da Massimo:).
Prendete il brano dalL’AMLETO: a me non piace in italiano, proprio no.
Da poco ho preso in mano l’edizione Garzanti del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE: per quanto mirabile in certi punti, il testo è un proprio diverso dall’originale in altri.

Postato venerdì, 24 aprile 2009 alle 20:42 da roberta


@Lorenzo
Caro Lorenzo, grazie per la tua traduzione dei versi di Rilke: ne intuisco la difficoltà.
Devo dirti ( non me ne vorrà Luigi, spero, anche perché magari la mia sensazione è basata semplicemente sulla mancanza di conoscenza del poeta) che preferisco Heine sia a Novalis che a Rilke.
Un affettuoso saluto
Continua, se ti fa piacere:)
Ma guarda che inserirò, sotto suggerimento di Fran, un altro brano dall’AMLETO… Fatti accarezzare l’udito dalla musica di quelle parole divine….

Postato venerdì, 24 aprile 2009 alle 20:46 da roberta


@Luigi
ti ringrazio moltissimo per l’omaggio a Rilke. Continuo a “brancolare” nel buio… ( ma temo non a causa delle traduzioni). Andrò a comprare la raccolta.
Tu scrivi:
“E’ l’eterno che si apre alla vita e si richiude dopo la morte, poiché nell’eternità la stessa morte muore con la rinascita nel sorriso e nel dolore. E’ il ciclo in cui si è allo stesso tempo freccia e bersaglio.”
Quest’ultima frase è “tremenda”: sembra non ci sia speranza, se non di essere il “bersaglio” di qualcuno. Però si è anche “freccia”= quindi si “parte”; ma per tendere alla morte?
Sì, è vero, ma è terribile pensarci.
Ti saluto affettuosamente.

Postato venerdì, 24 aprile 2009 alle 20:53 da roberta


@ Robertina
consideriamo che la bella traduzione di Luigi segue un concetto personale dell’autore. Dobbiamo anche considerare il periodo difficile che l’ha visto operare. In questi versi domina il pessimismo che non mi è proprio. Io credo nell’immortalità dello spirito che si manifesta nell’anima.
Il percorso che intraprendiamo è difficile, ma percorribile quando si crede in un senso che ci sopporti davanti alle difficoltà e ci illumini facendoci capire che siamo alla ricerca di qualcosa di perso che ci apparteneva, ma una forza superiore ce l’ha tolta, appunto per vivere questa vita e dopo tante fatiche ritrovarla e risorgere.
Dovremmo assumere nel suo vero senso il messaggio del cristianesimo, che va inteso non alla parola, così come le poesie che abbiamo commentato.
I versi di Rilke non hanno logica grammaticale, quindi ogni traduzione sarebbe sempre errata. Bisogna introdurci nel suo stato d’animo, ma anche nel suo tempo, per offrirne una migliore.
Cari saluti.
Lorenzo
PS) Quando mia moglie legge Heine, si rallegra e alzando la voce incomincia a cantare i versi inebriandosi dei loro contenuti. Metti in conto che anche in loro la grammatica va a spasso.

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 00:41 da lorenzetti


@ Robertina
il sogno di una notte di mezza estate, l’ho visto in forma di pantomima e mi è piaciuto molto. Skakespeare è grande, lo sappiamo e bello da leggere.
Buona notte,
lorenzo

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 00:55 da lorenzetti


@ Lorenzo, Lorenzerrimo ora Lorenzetti (un cognome che qui c’è davvero), Roberta, Francesca Giulia:
questo vostro incessante intervenire sul Difficile Ruolo dei Traduttori, è un po’ insidioso, non pensate? Chi si dedicherà mai più, dopo aver letto qui, ad un lavoro di traduzione? State creando fantasmi, ben più ingombranti di quello che tormentava don Giovanni. Fantasmoni tremendi che possono scoraggiare anche un parente intimo dell’autore stesso. Prendiamocela un po’ con Liberazione, dopotutto è il 25 aprile…
e i giovani non vanno spaventati :-)
Ciao, miriam

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 11:58 da miriam ravasio


@ Miriam, scusami, ma mi sembra che ti abbia morsicato uno scorpione.
Perché non intervieni più spesso con traduzioni più benevoli?
Mi farebbe tanto piacere, ma criticare alla libera solo perché da giorni ci soffermiamo su autori complicati da tradurre, per non dire impossibili, e disturbati dal punto di vista psicologico, non lo trovo giusto.
Di certo arriveranno anche altri autori di tuo gusto, ma anche di mio, perché io sopporto e amo tutto ciò che è umano, il bello come il brutto, il leggero come il pesante, l’amabile come l’odioso.
Ti auguro una buona giornata e aspetto un tuo contributo.
lorenzo

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 12:57 da lorenzetti


@Miriam
in genere rifuggo dalle provocazioni, così come Francesca Giulia e Lorenzo. Mi pare, invece, che a te piacciano.
La rubrica sulle traduzioni è stata affidata a me e a Francesca Giulia, ti ricordo.
Se non ne condividi gli intenti, non hai che da starne lontano.
Noi continuiamo, se non ti dispiace.
Mi permetto di proporti di “rispolverare” qualche classico che tratta tematiche sul Trionfo dell’Arte sulla Morte: Petrarca ( I TRIONFI)+ Ronsard+ Foscolo, per citarne solo alcuni.
Qui non vogliamo “scoraggiare” le traduzioni, ma perpetrare la Memoria dei grandi.
Ciao.

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 18:27 da roberta


@ Roberta e Francesca Giulia
Solidarietà a voi. Vi leggo sempre con piacere.
-
-
A chi usa le faccine in modo improprio : gli smile non riescono a nascondere il veleno.

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 20:06 da Martina


@Martina
Cara Martina, grazie.
Ti dedico con affetto un altro brano dall’AMLETO che Francesca Giulia mi aveva chiesto di inserire.
un caro saluto:)

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 20:26 da roberta


AMLETO- atto IV-scena 5: la pazzia di Ofelia:
“Entra Ofelia, pazza
OFELIA: Dov’è sua graziosissima maestà
di Danimarca?
REGINA: Ofelia, come va?
OFELIA:(Cantando)
“Come farò fra tanti
“a distinguere il mio innamorato?
“dal bordone, dai sandali,
“o dal cappello di conchiglie ornato?”
REGINA: Ahimè, dolce fanciulla, che vuol dire
questa canzone?
OFELIA: Ah, dite così?
Sentite questa allora.
(Canta)
“È morto e se n’è andato,
“signora, egli è morto ed è partito,
“un sasso ai piedi ed il capo poggiato
“sopra una zolla di terren fiorito”.
REGINA: Ma via, Ofelia!
OFELIA: Di grazia, ascoltate.
(Canta)
“Bianco come la neve il suo lenzuolo…”
Entra il Re
REGINA: Ah, guardate, guardate, mio signore!
OFELIA (Cantando)
“… di fior tutto ammantato,
“di lacrime d’amor non innaffiato”.
RE: Ti senti bene, vezzosa fanciulla?
OFELIA:Bene, Dio vi rimeriti, signore.
Il gufo – così dicono, signore -
era un giorno la figlia d’un fornaio.
Sappiamo quel che siamo,
ma non quel che possiamo diventare.
Dio sia alla vostra tavola!
RE: Ella farnetica intorno a suo padre.
OFELIA:Di questo non parliamo, ve ne prego;
ma quando vi dovessero richiedere
di che si tratta, ditegli così:
“Sarà domani San Valentino,
“ci leveremo di buon mattino,
“alla finestra tua busserò,
“la Valentina tua diventerò.
“Allora egli si alzò,
“delle sue robe tutto si vestì,
“la porta della camera le aprì,
“ed ella non più vergine ne uscì”.
RE: Graziosa Ofelia!

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 20:49 da roberta


Hamlet: act IV- scene 5-
Re-enter HORATIO, with OPHELIA

OPHELIA

Where is the beauteous majesty of Denmark?

QUEEN GERTRUDE

How now, Ophelia!

OPHELIA

[Sings]
How should I your true love know
From another one?
By his cockle hat and staff,
And his sandal shoon.

QUEEN GERTRUDE

Alas, sweet lady, what imports this song?

OPHELIA

Say you? nay, pray you, mark.

Sings
He is dead and gone, lady,
He is dead and gone;
At his head a grass-green turf,
At his heels a stone.

QUEEN GERTRUDE

Nay, but, Ophelia,–

OPHELIA

Pray you, mark.

Sings
White his shroud as the mountain snow,–

Enter KING CLAUDIUS

QUEEN GERTRUDE

Alas, look here, my lord.

OPHELIA

[Sings]
Larded with sweet flowers
Which bewept to the grave did go
With true-love showers.

KING CLAUDIUS

How do you, pretty lady?

OPHELIA

Well, God ‘ild you! They say the owl was a baker’s
daughter. Lord, we know what we are, but know not
what we may be. God be at your table!

KING CLAUDIUS

Conceit upon her father.

OPHELIA

Pray you, let’s have no words of this; but when they
ask you what it means, say you this:

Sings
To-morrow is Saint Valentine’s day,
All in the morning betime,
And I a maid at your window,
To be your Valentine.
Then up he rose, and donn’d his clothes,
And dupp’d the chamber-door;
Let in the maid, that out a maid
Never departed more.

KING CLAUDIUS

Pretty Ophelia!

Postato sabato, 25 aprile 2009 alle 20:52 da roberta


@signora ravasio io invece le dico che è sempre un gran piacere sapere che lei abbia trovato altro tempo per leggerci,le sue critiche un pò provocatorie sono la testimonianza che nonostante il “25 aprile” sia argomento più interessante delle discussioni fra me e la cara e brava roberta-nonchè lorenzo,luigi e chi voglia partecipare!- lei ha avuto l’istinto irrefrenabile di tornare qui a leggerci…..perciò mi ritengo sì “insidiosa” ma invincibilmente accattivante anche per lei.
con simpatia

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 12:24 da francesca giulia


Cari rob e lorenzo,io invece devo confessarmi che Rilke mi piace molto anche se conserva una certa inafferabilità nei versi euna cuoezza, Heine un pò meno perchè non è proprio la leggerezza e l’allegria ciò che cerco i una poesia,ma questa è opinione e gusto assolutamente personali,ma ringrazio sentitamente lorenzo per essere così presente in questi dialoghi!
La faccina non la metto,ma sto sorridendo mentro scrivo,credeteci!!
un grazie un bacio a martina

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 12:28 da francesca giulia


@rob grazie per aver inserito il pezzo in cui parla Ofelia come ti avevo richiesto,è bellissimo,mi ricordi in che punto della tragedia siamo?quando Ofelia è impazzita? Mi piace particolarmente:Lord, we know what we are, but know not
what we may be. God be at your table!
Baci e buona domenica

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 12:31 da francesca giulia


Francesca Giulia- Robertina
mi correggo o preciso. Non è che Rilke non mi interessi; eccome e assai, non mi piace tanto perché non consola, ci lascia senza una risposta che ci aiuti nella vita.
Le sue espressioni sono domande senza risposte finite. Mi ritrovo un po’ in lui, ma mi rimane sempre il dubbio se l’abbia capito veramente. Sarà forse perché io stesso vivo alla ricerca di una risposta o spiegazione precisa, da perdere l’orientamento e dover incominciare di nuovo da capo. Ci si può fidare dei sensi o della ragione, o trattenerli entrambi e sentirsi come camminare su un filo teso tra due rive e provare la fortuna? È la decisione finale che è difficile, perché comporta un sottomettersi a lei, un crederle e seguirla.
Non siamo troppo severi con la cara Miriam, chissà che cosa l’avrà spinta a esprimersi così.
Il mondo virtuale nasconde più fraintendimenti che soluzioni a causa del mancato riscontro immediato, come avviene in una conversazione diretta.
Su Amleto mi esprimerò domani. Oggi festeggiamo due ricorrenze che anticipiamo per motivi organizzativi:
la giornata della mamma e il compleanno di Esther. Com’è cambiato il mondo! Non si riesce nemmeno a festeggiare nella giornata della ricorrenza. I figli, impegnati altrove, in tante attività tutte importanti a dir loro, e gli anziani sempre più isolati da loro.
Una buona Domenica a voi, care amiche della poesia. Forse ritornerò stasera.
Lorenzo

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 13:39 da lorenzetti


@Caro Lorenzo,
sono davvero in sintonia con ciò che scrivi a proposito del “sentirsi persi”senza risposte da parte dei poeti-scrittori+ dell’affidarsi o meno alle decisioni del “caso”=fato.
“Ci si può fidare dei sensi o della ragione, o trattenerli entrambi e sentirsi come camminare su un filo teso tra due rive e provare la fortuna? È la decisione finale che è difficile, perché comporta un sottomettersi a lei, un crederle e seguirla”.
Sembri bravo nelle analisi della psiche umana.
Anch’io cerco sempre “risposte” nella letteratura; devo dire che nella poesia ne trovo poche, rispetto alla prosa o ai “saggi”=essais. Perché la forma poetica racchiude i significati in immagini “sintetiche” ( senza che l’uso di questo termine le connoti negativamente) e questi “significati” sono noti solo al poeta; l”esplicitazione nella prosa e nel teatro a me piace di più, perché mi capita di applicare nella vita modelli che ho appreso nella lettura. Ti faccio un esempio, vediamo se sei d’accordo: attenendoci al tema dei figli che “hanno molto da fare” e i genitori se ne stan soli, prendi per esempio RE LEAR+ LE PèRE GORIOT di Balzac: lì c’è tutto sull’amore filiale, io ci trovo le mie risposte.
Buona domenica anche a te, caro Lorenzo.
Torna più tardi:)

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 16:25 da roberta


@Fran
sì, hai colto nel discorso di Ofelia “Lord, we know what we are, but know not
what we may be” un concetto importante sulla vita; e questo mostra, come sempre in Shakespeare, che nella “follia” c’è sempre la verità (vedi anche il discorso che Amleto, fingendosi matto, rivolge a Polonio, dicendogli che è un “ruffiano”).
Nel brano riportato qui su, Ofelia canta strane canzoni e alcuni pezzi hanno riferimenti vagamnte osceni ( ho letto nelle note), così come “oscene” sono le parole che Amleto le rivolge quando, nel III° atto, assistono assieme a tutta la corte alla rappresentazione dei comici, che rappresentano, “pilotati” da Amleto, l’uccisione del re.
Qui siamo al IV° atto, scena 5: Ofelia ha perso l’amore di Amleto(perlomeno, lui le dice, nel II° atto, mi pare, che non la ama e le suggerisce di andarsene in convento- ovviamente fa parte della “messinscena” della follia, perché poi dalle parole che Amleto rivolge a Laerte durante il seppellimento di Ofelia, scopriamo che il principe amava molto Ofelia)+ suo padre è morto, ucciso da Amleto+ e suo fratello Laerte non è in Danimarca, quindi lei nel castello si trova in compagnia di Amleto- pazzo (o finto pazzo)+dei due “assassini”, Gertrude+il Re, che sì le dimostrano apparentemente la loro preoccupazione, ma forse lei sa che è per loro colpa che si è innescato una strano meccanismo di morte. Se ne va a cercare fiori presso il fiume e canta canzoni apparentemente anch’esse senza senso e poi si lascia cadere nell’acqua. La regina riferisce della sua morte dicendo che “è caduta nel cercare di cogliere dei fiori”, ma chissà se è caduta incidentalmente.
Ti abbraccio:)
ps: io ho una “amore” sviscerato per questo grande drammaturgo e scriverei ininterrottamente. Ma mi fermo qui. Aspetto il post che Massimo ci ha annunciato.
Approfitto, però, per segnalare le belle edizioni in dvd che pubblicano nelle edicole ogni venerdì: edizioni BBC; questa settimana: PENE D’AMOR PERDUTE.

Quando Massimo dedicherà il post a Shakespeare, come ci ha scritto, mi piacerebbe approfondire, col vostro prezioso aiuto, sia il tema del “fool” che quello dell’amore filiale, e vi ringrazio di averli proposti qui. Intanto possiamo inserire altri esempi su questi due temi, se ci viene in mente quelcosa.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 16:45 da roberta


Ciao Lorenzo,
non mi ha morsicato uno scorpione e vi trovo stupefacenti e irresistibili, tutti e tre. Anche se pesantissimi. E’ solo che a volte mi prende una rabbia tremenda perché ognuno sta lì, prigioniero nelle sue stesse sedimentazioni. Stiamo diventando dei fossili.
non ritornerò.
baci a tutti, anche a Martina a cui dedico una faccina :-)

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 19:24 da miriam ravasio


@signora ravasio non è necessario che lei prenda posizioni rigide:potrà sempre cambiare idea e aver voglia di appesantirsi un pò qui con noi,in quanto ai fossili se li osserva con curiosità- come tutte le cose della vita- hanno in sè un lungo passato e una storia da raccontare e oggi ne abbiamo tanto bisogno,perciò non si rammarichi,io sarei ben felice di portare in me i segni di un passato da far studiare ai posteri,ma purtroppo credo che tranne i parenti stretti, nessuno avrà interesse a me nei secoli a venire.Mi permetta di dedicarle una frase di Seneca,la sua pronta perspicacia saprà coglierne l’essenza anche omettendone la versione latina originale-per non tediarla-.Con simpatia,davvero.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
… Che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa; e nascerà, purché essa sia dentro a te stesso. Le altre forme di contentezza non riempiono il cuore, sono esteriori e vane. È lo spirito che dev’essere allegro ed ergersi pieno di fiducia al di sopra di ogni evento. Credimi, la vera gioia è austera.

Sorrido con la faccina che il Padreterno mi ha donato con le sue molteplici espressioni,ma non posso mostrargliela!
saluti affettuosi

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:20 da francesca giulia


Miriam, io ho invece trovato pesante (oltre che arcana, gratuita e non richiesta) la tua provocazione. E offensivo il tuo ultimo commento (sebbene abilmente camuffato).
Ti invito a far sbollire la tua rabbia fossile da altre parti.
Credo che il tuo “non ritorno” sia cosa saggia, oltre che gradita.
-
Invito Francesca Giulia, Roberta, Lorenzo e Martina a non replicare ulteriormente.
Grazie.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:28 da Massimo Maugeri


@ Roberta e Francesca Giulia
Vi ringrazio per la passione e l’abnegazione con cui state portando avanti questo spazio. Vi esorto a continuare.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:30 da Massimo Maugeri


Uhei, non mi toccate la Robertina perchè faccio una strage!!! Salgo su con coppola e lupara e chi s’è visto s’è visto.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:41 da Salvo zappulla


Francesca Giulia e Roberta, volevo solo dirvi che anche se non intervengo anch’io vi seguo con interesse.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:45 da Marco Vinci


Grazie a tutti!cari amici qui il dialogo resta aperto e non si smuove…come un fossile attaccato allla sua storia e al suo destino,fino a quando massimo non deciderà di chiudere il museo!

p.s. Salvo e per me una bella coppola non la indossi??
un saluto speciale a massimo

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 20:53 da francesca giulia


@FG. Per te porto le molotov. Ma non occorre, gli animi si distenderanno da soli, siamo tutti un po’ stressati, sono tempi tristi: il terremoto, lo sfacelo politico dell’Italia, le cambiali, una nidiata di figli e nipoti da mantenere, la vecchiaia che incombe, l’arteriosclerosi che avanza. Coraggio, facciamo un bel sorriso a dentiera aperta ed eliminiamo le scorie. Vado a riposare nel mio sarcofago.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 21:23 da Salvo zappulla


Credo che questo spazio sia fresco e portato avanti con genuina passione. Felice di leggervi.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:03 da Angela


@Massimo+ Fran+ Marco+Lorenzo+ Salvo
Cosa dire? Vedo la “tenzone” solo adesso ( satavo guardando David Copperfield). Sono oltremodo lusingata e commossa per le vostre parole e ve ne ringrazio infinitamente.
Sono contenta che ci leggano anche persone che non intervengono; in effetti di originale non c’è nulla, ma pur essendo la passione per la letterartura una cosa che uno ha dentro, è sempre bello condividerla con qualcuno che ce l’ha con la stessa intensità.
Del resto, quando il nostro prof di letteratura inglese ci parlava del teatro elisabettiano non perdeva certo il gusto di “assaporare” in solitudine quei versi e quelle opere, condividendole con noi, i suoi allievi.
Riportare qui dei testi ( qualcuno meno appassionato dei classici potrebbe inserirne dei nuovi, anche ) significa, per me, perpetrarne la memoria e questo si fa non in solitudine.
Grazie un abbraccio a tutti.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:14 da roberta


@ Angela
grazie anche a te:) ho scoperto un’altra lettrice e non posso che essere anche più felice di prima.
@Salvo
sei un inguaribile “cavaliere” d’altri tempi… tanto per stare in tema e tornare ancora più indietro nel tempo, proporrei un brano dalle CHANSONS DE GESTE oppure da Chrétien de Troyes o da LA MORTE D’ARTHUR di Thomas Malory. A parte gli scherzi, da quest’ultima opera hanno tratto un film molto bello sulla leggenda del Santo Graal, EXCALIBUR. E, sempre lasciando da parte gli scherzi, a proposito della “QUEST”(= Ricerca) del Santo Graal, questa “ricerca” che ha andamento circolare ( parto per andare a cercare qualcosa che non so se esiste o dov’è) viene spesso intesa da alcuni studiosi come un simbolo della ricerca artistica, quindi della SCRITTURA. Ha a che fare anche col titolo del libro presentato nell’altro post.
Ps: naturalmente tutto ciò che scrivo, anche sul Graal ecc, lo “prendo in prestito” dai ricordi delle lezioni del mio adorato professore, non c’è nulla di “originale”.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:24 da roberta


@cara rob mi piacerebbe qualcosa da La Morte D’Arthur,anche se suppongo la lingua dati gli anni in cui fu scritto risulterà di difficile approccio.Da quello che so è scritta nel cosiddetto “medio inglese” in cui i cambiamenti linguistici tesi a snellire alcuni aspetti preavvisano l’avvento della lingua inglese moderna.
Anch’io sono felice che ci siano altri amici,grazie a marco e angela.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:33 da francesca giulia


inoltre è vero che fu Chretien de Troyes ad introdurre nelle storie del ciclo bretone il personaggio di Lancillotto?

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:36 da francesca giulia


Care Francesca Giulia e Roberta
credo che chi ama la traduzione sia una specie di medium benefico e appassionato della letteratura, che con spirito indomito e tenace disvela la lingua alla lingua.
Interpretare, prestare la propria voce è sempre un’operazione di grande responsabilità e maturità umana, e credo che l’officina del traduttore sia come quella di un silenzioso e peritissimo orafo, che scioglie il metallo e lo plasma con amore sforzandosi di rimanere fedele alla forma originaria.
Abbiamo molto bisogno di cuore e voce. Abbiamo bisogno di questa passione e di questa condivisione. Abbiamo bisogno della bellezza che affiora da una trasposizione, da un nodo di letture, dal canto di chi presta il proprio canto.
Abbiamo bisogno di voi.
Un bacio
Simo

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:42 da Simona Lo Iacono


@simona carissima, come ha ribadito roberta,siamo spinte davvero soltanto dalla passione,la curiosità e la voglia di condividere il pensiero appassionato su alcuni aspetti della letteratura e della traduzione.Sapessi come sono grata all’attività su questo blog perchè mi consente di imparare in continuazione e più mi apro agli altri più vorrei maggior tempo e forza per approfondire,poi mi accorgo che la bellezza di tutto è per me il percorso stesso e non l’arrivare a qualcosa.
Ti ringrazio di cuore per le tue belle parole che si uniscono allo sguardo amorevole e di condivisione che abbiamo tutti noi animati dalla stessa passione.
un abbraccio e una buona notte

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 22:51 da francesca giulia


Vedo che il dialogo è andato avanti, splendidamente, nonostante qualche breve tefferuglio, tra l’altro subito sedato. Scusatemi se torno indietro di qualche giorno, ma sento l’obbligo, piacevolissimo, di fare i complimenti a Lorenzo per l’ottima traduzione del Requiem di Rilke e per ringraziarlo di aver accettato l’invito, è stata per me una bellissima sorpresa. Naturalmente non condivido alcune delle sue affermazioni sul poeta, ma questo è un discorso che esula dal tema sulle traduzioni.
Mi piace salutarvi con le parole di Simona: “…prestare la propria voce è sempre un’operazione di grande responsabilità e maturità”.

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 23:50 da luigi


@Simona
Cara Simona, anch’io ti ringrazio per le belle parole.
Beh, devo dire che stasera ho capito ancora di più che non sembrava ma ci leggeva qualcuno… non sto in me per la gioia…
E ho capito anche che questo è un luogo di “affinità elettive”.
Un abbraccio Buonanotte:):)
@Fran
cercherò un brano di Malory in italiano+ in inglese. Con il testo a fronte, si capisce anche l’inglese del Quattrocento.
Per Chrétien de Troyes: sì hai ragione. (approfondirò).
Buonanotte:) Baci::))

Postato domenica, 26 aprile 2009 alle 23:52 da roberta


@Luigi
Caro Luigi, ringrazio moltissimo anche te. Spero tu ci aiuterai ancora. Lorenzo è molto disponibile ( gli sto dipingendo pure un piatto… da spedire quanto prima…..) e se continuerete il vostro dialogo su Rilke, su Heine e altri poeti, ne saremo tutti felici. A me piacerebbe molto se poteste inserire qualcosa di Thomas Mann, dal “Tonio Kröger” e/o dalla “Morte a Venezia”.
Ti saluto affettuosamente.

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 00:03 da roberta


Cara Francesca Giulia e Roberta, caro Lorenzo,
ho ricevuto da un mio carissimo amico che abita a Londra, l’ultimo racconto (pubblicato su “The Guardian” di due giorni fa) del grande scrittore J.G. Ballard, morto recentemente (il 19 aprile 2009). Sperando di fare cosa gradita, riporto qui l’intero racconto:
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The Dying Fall
by JG Ballard
Three years have passed since the collapse of the Tower of Pisa, but only now can I accept the crucial role that I played in the destruction of this unique landmark. Over twenty tourists died as the thousands of tons of marble lost their grasp on the air and collapsed to the ground. Among them was my wife Elaine, who had climbed to the topmost tier and was looking down at me when the first visible crack appeared in the tower’s base. Never were tragedy and triumph so intimately joined, as if Elaine’s pride in braving the worn and slippery stairs had been punished by the unseen forces that had sustained this unbalanced mass of masonry for so many centuries.
I realise now that another element – farce – was present on that day. By chance a passing tourist on the steps of the cathedral had taken a photograph of the tower as the crack reached the third floor and a tell-tale section of cornice began its fall to earth. The photograph, endlessly published throughout the world, clearly shows the four startled tourists on the uppermost deck. Three of them are leaning back on their heels, hands raised to grip the sky, aware that the ancient campanile has moved under their feet.
Elaine, alone, has already seized the rail, and is staring at the grass waiting for her nearly two hundred feet below. Using a magnifying glass, one can see that, true to her quirky and mocking character, she shows almost no alarm. Her eyes have noticed the falling cornice, and I like to think that she is already planning to sue the municipality of Pisa for neglecting the safety of its tourists, and is collecting evidence that in due course she will present to her lawyers.
The dozen or so tourists visible on the lower floors are still making their way around its canted decks, groping past the narrow columns as they climb the 300 steps to the roof. A father and his young daughter wave to the tourists below them, two Italian sailors in uniform play the fool for their girl-friends, feigning an attack of giddiness, and an elderly couple pause to rest after climbing to the first floor, determined to complete the ascent. None of them sees the falling cornice and the fine cascade of powdered mortar.
The only figure on the ground who is aware of the imminent catastrophe is a man in a white jacket and panama hat who stands at the foot of the tower, both hands raised to the marble flank. His face is hidden, but his arms are braced against the shifting stone, his back arched above his straining legs. We can see that in his desperate way he is trying to hold upright the collapsing tower that is about to obliterate him.
Or so everyone assumes. The newspaper caption writers, the commentators on TV documentaries, all commend the bravery of this solitary figure. Surprisingly, he has never been identified, and neither his hat nor his white jacket were found in the mountain of rubble that was later removed, stone by stone, from the unhappy site.
But was he trying to support the tower or, rather, helping it on its way? I, of course, can answer the question, since I am the man in the panama hat, the husband at whom Elaine, in the last moments of her life, so triumphantly stares.
* * *
Needless to say, I fled to safety, running through the dust and the shrieking tourists as the ground trembled and a cataract of masonry fell from the air. A vast cloud of pulverised marble enveloped the square, and I remember stumbling past the horror-stricken waiters and taxi-drivers who gazed at this field of devastation – not only had the tower vanished, but it had taken their livelihoods with it. Had they known that I was responsible they would have lynched me on the spot, and to this day I have kept silent, still gripped by my guilt over so many deaths, all but one of them entirely innocent.
* * *
In a sense the destruction of the tower was inscribed days beforehand in our unhappy tour of Tuscany. Our marriage, problematic from the start, had grown increasingly fraught during the previous year. Elaine had married me on the rebound, to spite an unfaithful lover, but soon decided that her husband, a classics lecturer at a minor university, was minor in all other respects. I was losing my students in a ferment of curriculum changes that would eventually lead to the descheduling of Latin and Greek and their replacement by cultural and media studies. My refusal to sue the university, Elaine decided, was a sign of my innate weakness, a frailty that soon extended to the marriage bed.
Claiming that our union was unconsummated, she consulted a solicitor with a view to divorcing me, but was persuaded to make a last effort to save the relationship. Our marriage became a series of negotiated truces, in which I would yield more and more territory. Still hoping to salvage something, and return to the few weeks of happiness we had known after the wedding, I suggested a holiday in Italy. I had arranged to give three lectures at the University of Florence, which would pay for our air fares, and then we would be free to enjoy ourselves in the Tuscan countryside.
Elaine agreed, but only grudgingly – her first husband had been a modernist architect, and she always claimed to dislike the past, the territory I had made my own, and pretended to prefer California and Texas. But soon after we landed at Pisa airport and took the train to Florence her interest in the Italian Renaissance revived in a way that I found almost mysterious. Once I had given my lectures she threw us into a hectic round of tourist activities. Tirelessly she insisted on visiting every church and baptistry, every museum and cathedral. I was puzzled by this passion for the past until I realised that our visits to these historic sites had exposed yet another of my weaknesses.
As we took the creaking lift to the dome of Florence cathedral Elaine discovered that I was afraid of heights, a fear that I had never noticed in myself but which she immediately set out to maximise. Unsettled by the looming space below the dome, I could barely force myself from the lift. My eyes seemed unwilling to focus on the curving walls, and I felt my heart-beat fall away, leaving me on the edge of a fainting fit.
Gesticulating to Elaine, I refused to follow her around the narrow gallery. Scarcely able to breathe, I waited as she proudly circled the dome, calling to me in an insistent voice that embarrassed me in front of the other tourists. Yet as we left the cathedral she became strangely solicitous, holding my arm in a concerned and reassuring way. Far from deriding me, she seemed genuinely alarmed by my moment of panic.
Despite this show of affection, I soon noticed that our tour of Tuscany had become a series of vertical ascents. No battlement existed that we did not scale, no worn steps that we did not climb. At the Palazzo Vecchio, under the pretext of showing me the spectacular view over the city, she forced me to lean through the very windows from which Lorenzo de Medici had suspended the strangled plotters against his rule. I saw Siena cathedral from the roof down, almost breathing my last in the confined bell-tower. And all the while Elaine would watch me with her affectionate and lingering smile, like an older sister observing a timid sibling. Was she trying to cure me of my fear of heights, or to rub in my sense of my own inadequacy?
A climax of sorts came at San Gimignano, that surrealist township of towers constructed during the 14th century by rival families within this independent city state. As Elaine moved tirelessly from one tower to the next, I retreated to a café beside the cathedral with its macabre images of hell. All afternoon she gazed at the towers, admiring these symbols of an erect masculinity of which her husband was incapable, then sat beaming at me as the tourist coach carried us to Florence.
Three days later, when we arrived in Pisa for our London flight, I had been routed by Elaine’s campaign. We were both eager to return to England, I to the safety of my university office, she to her solicitor. We had packed in silence, and reached Pisa airport with two hours to spare before our flight. Inevitably we found ourselves taking a taxi into the city. Reading from her guide-book, Elaine described the baptistry and cathedral in glowing terms, but I knew that our real destination was the nearby campanile, this marble phallus that seemed to excite her even more than the towers of San Gimignano.
I stepped from the taxi and stared up at the dizzying structure with its dangerously canted floors. Without a word, Elaine strode away from me towards the tower. She paid her entrance fee and began to climb the steps behind two uniformed sailors and a father with his daughter. As she reached each tier she looked down at me with her affectionate but knowing smirk, her contempt rising with each successive storey.
I stood on the cathedral steps, still surprised by the steep inclination of the tower, some 17 feet from the vertical. Despite myself, I wished that the structure, tilting each year by a few added millimetres, would decide on this exact moment for its long-predicted collapse.
Then, as Elaine reached the penultimate tier, I found myself needing to touch the tower, to feel the unforgiving marble against my skin. I left the cathedral and walked across the worn grass where the tourists sat in the sun, waving to their friends high above them. Ignoring the ticket office, I strolled around the stone well that surrounded the tower. I placed my hand on the antique marble, its surface pitted with the graffiti of centuries, its veins as marmoreal as fossilised time. The tower was both too erect and too old. I pressed against the massive flank, urging it on its way.
Eight storeys above me, Elaine had reached the roof and stood beside the panting sailors. Scarcely out of breath, she seized the iron rail and smiled down at me in her most implacable way, slowly shaking her head at my weakness.
Angered by her open contempt, I pushed again at the solid marble. The wall refused to yield, but when I lifted my hand I noticed that a small crack had appeared in the surface, running away from a discoloured node of crushed limestone. Curious, I pressed again, only to see that the crack had widened. It inched upwards at a barely visible pace, then darted forward, climbing the wall like a sudden fissure in a sheet of ice. Three feet long, it crossed a decorative moulding and rose swiftly towards the cornice of the first tier.
Laughing at this, I pressed both hands at the marble drum. Immediately the crack accelerated, and I heard a distant rumble, the dark groan of an awakening creature deep within the tower. The crack was now an open fissure through which I could see the shoes of the startled old man resting before he and his wife made their way to the second storey. A fine rain of dust and crumbling mortar showered my face. The entire tower was trembling against my hands, and a section of cornice fell through the air, followed by a scatter of fragments each larger than my fist.
The Tower of Pisa was about to fall. I gave it one last push, both arms outstretched, and felt the tortured rumbling as somewhere the spine of this great edifice began to crack. I stepped back, aware that the building was about to collapse on to me, and then looked up at the roof, where Elaine was clinging to the iron rail.
The tower buckled, its columns spilling like skittled pins at a bowling alley. In the last moments, as Elaine was pitched over the rail, I saw her face falling towards me, and an expression of anger that unmistakably changed, as she noticed me far below her, to one of triumph.
* * *
A second Tower of Pisa is now rising on the site of the first, financed by the world-wide appeal launched soon after the tragedy. The structure, this time mounted on an immovable concrete base, has reached the third storey and already reveals the modest inclination designed into it. This tower, supported by a rigid steel armature, will never fall, and within a few decades most visitors will have forgotten that it is no more than a replica.
For me, though, the original tower remains as real as ever in my mind. I often wake from terrifying dreams as the tons of marble hurtle towards me. Then I remind myself that it was Elaine who died on that day. I remember the expression on her face, the fierce pride that lit her eyes.
Did she feel that she had at last triumphed over me, and was happy to see me crushed by the cascade of tumbling columns? I remember the stones pelting my shoulders while I tried vainly to step back from the tower. At the last moment, as an amateur video-film reveals, the structure seemed to buckle, twisting itself in a desperate attempt to remain upright. It slewed away from me, sweeping Elaine, the collapsing masonry and the cartwheeling columns towards the ground by the cathedral steps.
I escaped, but that expression of triumph on Elaine’s face still puzzles me. Had she seen me pushing against the tower and assumed that I was responsible for its collapse? Was she proud of me for hating her so fiercely, and for at last stirring from my impotence to take my revenge? Perhaps only in her death did we truly come together, and the Tower of Pisa served a purpose for which it had waited for so many centuries.
Copyright © JG Ballard. All rights reserved
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Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 14:44 da Subhaga Gaetano Failla


@Gaetano
Caro Gaetano, hai fatto benissimo a inserire il racconto di JG Ballard.
Ti pregherei di inserire tu una traduzione (anche se è difficile averla, visto che l’hanno pubblicata sul Guardian). Io non ho davvero il tempo in questi giorni di tradurre l’intero racconto. Potrei farlo più avanti, però, e con l’aiuto di Fran o di altri.
Visto che lo conosci, puoi scriverci qualcosa su questo scrittore scimparso da poco?
Grazie infinite
Un caro saluto

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 15:12 da roberta


scusa: pubblicato ( riferito al racconto)

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 15:13 da roberta


scomparso.
Mah. Più degli altri giorni oggi scambio le lettere…

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 15:14 da roberta


@ Roberta
Su Ballard segnalo questo articolo di Antonio Caronia, un rappresentante importante della nostra letteratura ed anche traduttore di molti romanzi di Ballard:
http://www.unita.it/news/84112/addio_allo_scrittore_james_g_ballard
Per quel che riguarda la traduzione del racconto, per ora rimane, mi pare, un testo non presente in italiano. Quindi penso sia non disponibile, salvo accordi, per traduzioni integrali. Ho trovato qui un riferimento, con la traduzione in italiano del solo incipit:
http://www.booksblog.it/post/4748/crollo-della-torre-di-pisa-in-un-inedito-di-ballard

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 17:03 da Subhaga Gaetano Failla


Caro Gaetano,
grazie per i riferimenti a Ballard…
Nella camera accanto inserirò una biografia di questo bravo autore recentemente scomparso.

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 17:24 da Massimo Maugeri


Carissimo Gaetano, non sono riuscita a trovare la traduzione dell’incipit che mi hai indicato. Io e Francesca Giulia cercheremo di tradurre un primo pezzo in questi giorni (as soon as possible..)
Grazie ancora
R.
Se hai un altro brano di Ballard+ traduzione, puoi inserirlo, se ti fa piacere.

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 17:44 da roberta


“Sono passati tre anni dal crollo della Torre di Pisa, ma soltanto ora riesco ad accettare il ruolo cruciale che ho ricoperto nella sua distruzione”. Questo l’incipit,domani meteremo un pezzo di traduzione.
Intrigante, vero?

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 19:57 da francesca giulia


@ Roberta e Francesca Giulia,
l’incipit tradotto, e alcuni riferimenti al racconto, sono rintracciabili cliccando sul secondo indirizzo da me indicato. La traduzione che si legge lì è identica a quella effettuata da Francesca Giulia. Su Ballard si possono trovare online moltissime notizie. Una settimana fa avevo lasciato nella “Camera accanto” un link relativo al sito di Giuseppe Genna, il quale riporta, ricordando la morte di Ballard, un vecchio testo molto interessante dello scrittore.
“Adesso che anche lui è morto,” scrive Antonio Caronia, “dopo William S. Burroughs, dopo Kurt Vonnegut, dopo Philip K. Dick, possiamo ben dire che il XX secolo è morto, quel secolo dominato dal ‘matrimonio tra ragione e incubo’, secondo la pacata e terribile definizione che ne diede nel 1974, nella prefazione all’edizione francese di ‘Crash’ “.
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Vi ringrazio tanto per la gentilezza e la passione. Un abbraccio e buonanotte,
Gaetano

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 20:58 da Subhaga Gaetano Failla


@Gaetano
grazie infinite a te, caro Gaetano, per tutte le preziose indicazioni che ci fornisci. E’ importante parlare anche del Novecento e di ciò che ci scrivi sulla sua “morte” e sulla definizione data da nella prefazione di “Crash”.
Dedicheremo tutto il tempo alla traduzione del racconto di questo importante scrittore.
Un abbraccio affettuoso anche a te:)

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 21:16 da roberta


Gaetano grazie di cuore anche da parte mia per tutti gli stimoli interessanti che apporti a questa rubrica.
Scusa ma era suo anche L’Impero del sole?da cui fu tratto quel film stupendo?
saluti e baci

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 21:49 da francesca giulia


Luigi, ti ringrazio dei complimenti che mi hai espresso. Non essendo un letterato, valgono il doppio.
Simona è una grande letterata, lei sì che sa unire alle parole le sue ben conosciute doti di donna saggia e forte, ma buona e dolce.
Lorenzo

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 22:02 da lorenzetti


Francesca Giulia-Robertina
vedete come si allarga il gruppo dei partecipanti a questa interessantissima rubrica!
Merito vostro naturalmente. Di rado, s’incontrano due persone così passionalmente interessate sull’argomento e così delicate ed esperte nelle risposte.

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 22:08 da lorenzetti


Sì, Francesca Giulia, era di Ballard anche il libro autobiografico “L’impero del sole” che narra – come ricorderai dal film – della sua esperienza infantile, rinchiuso con la famiglia durante la Seconda Guerra Mondiale in un campo di prigionia giapponese.
Un abbraccio ancora,
Gaetano

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 22:36 da Subhaga Gaetano Failla


Ho letto la recensione di Antonio Caronia su Ballard+ un’altra di Roberto Arduini; ne riporto un breve brano:
«Il futuro è morto, e noi siamo sonnambuli in un incubo», diceva. E di solito aggiungeva: «Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato. E poi, di tanto in tanto, bum! Un evento di una violenza assoluta, del tutto imprevedibile: qualcosa come un pazzo che spara in un supermercato, una bomba che esplode. È pericoloso».
Sono riportati cenni biografici. Il campo di prigionia in Giappone, per esempio.
Uno scrittore da conoscere.
@Lorenzo
Grazie, sei sempre veramente molto carino e delicato anche tu.

Postato lunedì, 27 aprile 2009 alle 22:47 da roberta


L’impero del sole è un film del 1987 diretto da Steven Spielberg, basato sull’omonimo romanzo, parzialmente autobiografico, di J.G.Ballard del 1984.

In particolare ricordo la scena in cui il ragazzino sbuccia un frutto con il suo amico giapponese con un katana e accorrono gli altri scambiando il giapponese per un nemico e uccidendolo subito.Anche l’inizio mi pare molto bello quando si vede il ragazzino piccolo,che ha perso i genitori durante l’occupazione giapponese in Cina,solo in un campo gioca mentre gli aereoplani gli sfrecciano sul capo.

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 16:56 da francesca giulia


Grazie Lorenzo della tua costante e piacevole presenza,e anche agli altri che partecipano con grande interesse.

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 16:57 da francesca giulia


Mi sono permessa di aggiungere di aggiungere un altro pezzetto di traduzione del brano di Ballard,mi sembra già dalle prime battute una situazione che ha in sè un senso di tragicità dell’accaduto quasi irreale e di mistero.
…………………………………………………………………………………………….
Più di venti turisti sono morti sotto migliaia di tonnellate di marmo hanno perso la presa nell’aria e precipitando al suolo. Tra di loro vi era mia moglie Elaine, che aveva raggiunto il più alto livello e stava guardando me quando la prima crepa è apparsa visibile nella base della torre. Non sono stati mai la tragedia e il trionfo così intimamente uniti, come se l’orgoglio di Elaine sfidando le logore e scivolose scale era stato punito dalle invisibili forze che avevano sostenuto questa massa di muratura sbilanciata per tanti secoli.
Mi rendo conto ora che un altro elemento – farsa – era presente in quel giorno. Per caso, un turista di passaggio sui gradini della cattedrale aveva scattato una foto della torre quando il crack aveva raggiunto il terzo piano e una sezione significativa del cornicione aveva iniziato la sua caduta verso terra. La fotografia, infine pubblicata in tutto il mondo, dimostra chiaramente i quattro sbigottiti turisti sul ponte superiore. Tre di loro sono appoggiati indietro sui talloni, le mani sollevate aggrappate al cielo , consapevoli del fatto che l’antico campanile si è spostato sotto i loro piedi.

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 17:26 da francesca giulia


a tell-tale section è un termine strano,perchè è riferito alla porzione di cornicione che cade,ma sta ad indicare una spia,perciò ho inteso che fosse l’indentificazione di un segnale di pericolo nella parte di cornicione che sta crollando.Oddio magari sarà piena di errori la mia traduzione poichè bisognerebbe leggere tutto e lavorarci con calma,ma forse da l’idea di come racconti questo tipo di eventi lo scrittore.
un caro saluto

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 17:31 da francesca giulia


Franc, sei bravissima. Grazie:)

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 18:47 da roberta


grazie rob, baciuzzi.
domani continuo se ho tempo,voglio sapere come va a finire questa storia del crollo misterioso.

Postato martedì, 28 aprile 2009 alle 22:39 da francesca giulia


@ Robertina
allego il mio commento su: la morte a Venezia, di Thomas Mann.
Mi sembra che tu abbia espresso il desiderio di leggere qualcosa su questo grande autore.
La morte a Venezia:
È una trama tragica che mette alla luce la contestualità agente in un artista, propenso alla bellezza nelle sue creazioni, con l’erotismo, soggiogante nelle sue forme sensuali ed estetiche, rispecchianti nel giovane Tadzio.
Gioventù sta qui per bellezza originale, delicata e irraggiungibile, pari al fascino che procura una creazione artistica nel suo autore.
Entrambe, perché limitate nel tempo, attraggono ancora più intensamente i suoi ammiratori, come per raccoglierne tutto lo splendore in un lampo d’ammirazione estatica.
Un artista in declino, addirittura spento nella sua creatività, soggiace allo sguardo bramoso verso il giovane Tadzio, nel quale vede riflettersi il suo destino d’artista, ma anche quello dell’uomo che crede di poter elevarsi a magnificenza divina e deve invece costatare che essa è raggiungibile solo nella fantasia.
Una volta celebrato rappresentante del genio umano, si rifugia in quella Venezia anche lei depositaria di un’epoca di fama ed ora relegata a rifletterne solo i ricordi fugaci e ingannevoli.
Venezia e l’artista due identità spente, sagome di un’epoca gloriosa ed ora riflettente solo in ciò che hanno lasciato, l’una nei suoi palazzi senza vita, l’altro nelle sue creazioni senza flusso continuatore e forse non più ricercate e celebrate.
Fa parte del destino umano l’avvicendarsi delle epoche di creatività con quelle sterili e a prima vista insignificanti.
La vita mostra qui il suo inganno, nel farci credere di poterci elevare e rimanere elevati, mentre dovremmo comprendere che ogni elevazione è frutto di una fase di stagnazione, che assume il carattere di rifocillamento, e che, sia l’una come l’altra, devono susseguirsi per essere definiti da noi.
Lo sguardo d’ansia e desiderio verso il giovane Tadzio, nel momento in cui viene messo a terra, sia pure per gioco dal suo compagno, mostra la fugacità della bellezza, che sempre viene conquistata, ma poi distrutta dalla forza grezza e insensibile dell’uomo stesso.
È come nei primi amori, nei quali seguiamo il flusso e l’intensità dei nostri sensi e alla fine rimaniamo delusi e addoloranti nel vederli sfuggire; non capiamo che essi, per sopravvivere, abbisognano di virtù che nella tenera età non possediamo ancora. Esse sono una conquista che solo dopo e attraverso il sostenimento della perseveranza, disposizione alla rinuncia e il superamento di sacrifici diventa possibile.
Nel suo ultimo alito di vita, l’artista vede il giovane elevare il suo braccio verso il cielo, come per indicargli la via dell’assoluzione finale: è solo lassù che finiranno le tribolazioni afflitte all’uomo dal suo destino, ma anche create da lui stesso, quando non reagisce come dovrebbe e potrebbe e infine riuscire ad attenuarlo, modificarlo.
La vita rimane un enigma, e lo sarà fino a quando non la accettiamo com’è e celebriamo trovando in ogni sua fase un incentivo a comprenderla, il ché significa comprendere e assolvere i nostri compiti in essa; ma, se non riusciamo a comprendere la sua tragicità e siamo pronti ad affrontarla con coraggio e forzo d’impegno, non potremo mai sentirsi sua parte e non contribuiremo a renderla migliore.
Questa domanda, dovremmo porci continuamente e finirla con i lamenti, che mostrano la nostra incapacità di credere in noi nonostante le continue ricadute, e col lasciare il divenire al fato, rimanendogli ancora soggiogato nel ruolo di perdenti.
Gustav von Aschenbach era talmente posseduto dalla sua creatività artistica, da sentirsi troppo elevato al divino e sopperire nel perderla. Non capiva che l’arte senza il senso devoto per l’umiltà nuoce e gli impedisce di raggiungere la maturità. Era forse troppo preso dalla sua vanità e presunzione, di essere un prescelto. Un vizio sotto il quale sostano molti artisti.
La vera elevazione è quella che ci rende insignificanti, cioè piccoli e umili davanti alla magnificenza del Creato, che trova la sua migliore espressione umana nell’arte, ma ancor più nella sua disposizione a rispecchiarsi nel suo prossimo, onde riconoscere la sua vera natura, debole e cieca quando crede di poter evadere dalla sua origine e uguagliare il suo Creatore.
Cari saluti.
Lorenzo

Postato mercoledì, 29 aprile 2009 alle 15:12 da lorenzetti


Riporto un brano dal famoso monologo di Macbeth, dal MACBETH, atto V°. Lo inserisco qui perché nel video riportato sul post dedicato a Shakespeare, il video che ho segnalato dal fil di Roman Polanski del 1971, Macbeth dice esattamente queste parole subito dopo aver visto Lady Macbeth morta, caduta da una delle torri del castello.

“She should have died hereafter;
There would have been a time for such a word.
To-morrow, and to-morrow, and to-morrow,
Creeps in this petty pace from day to day,
To the last syllable of recorded time;
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life’s but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury
Signifying nothing.” — Macbeth (Act 5, Scene 5, lines 17-28)

Postato venerdì, 1 maggio 2009 alle 18:05 da roberta


INSERISCO UNA TRADUZIONE:
“Sarebbe dovuta morire dopo:
ci sarebbe stato tempo per la parola “morte”.
Domani, e domani, e domani,
trascina il suo lento passo di giorno in giorno
fino all’ultima sillaba del tempo registrato,
e tutti i nostri ieri hanno illuminato stupidi
la via verso una morte di polvere.
Spegniti, spegniti breve candela!
La vita è solo un’ombra che cammina: un povero attore
Che incede e si agita sul palcoscenico,
e poi non lo si sente più: è una storia
raccontata da un idiota, piena di rumori e di rabbia,
che non significa niente”.

(Traduzione di Corinzia Monforte)
Vorrei aggiungere che la parola “hereafter” del primo verso vuol dire= “prima o poi”; tradurla con “dopo” toglie il significato alle parole di Macbeth che, ormai quasi impazzito anche lui, di fronte alla morte della sua amata moglie dice a se stesso che anche lei “doveva morire, prima o poi”.

Postato venerdì, 1 maggio 2009 alle 18:24 da roberta


@Lorenzo
Caro Lorenzo, grazie per il tuo commento. In realtà, devo dirti che avrei voluto leggere in tedesco, con il testo a fronte, un brevissimo brano da “La morte a Venezia”. Ma in effetti non riuscirei ad “assaporare” il tedesco di Thomas Mann. Avevo letto questo romanzo breve quando avevo sedici anni e Thomas Mann mi piaceva molto.
Devo confessarti che non condivido la tua visione degli artisti, in generale; non per altro, ma perché non sempre ci vedo l’anelito al divino. E difficilmente mi capita di interessarmi alla vita degli scrittori. Comunque ti ringrazio moltissimo perché grazie alle tue considerazioni continuiamo a dialogare. Ci hai parlato di questo libro+ e poi, in effetti (come si vede bene anche nel film di Luchino Visconti) il ragazzo-efebo, Tadzio, prima che Gustav von Aschenbach muoia sulla spiaggia del lido, solleva il braccio verso l’alto, come ad indicare un “luogo” in cui si può tendere. Quindi magari hai ragione tu ( qualcuno pensava a Platone- ma in fondo è lo stesso).
Un saluto affettuoso

Postato venerdì, 1 maggio 2009 alle 18:35 da roberta


Chiedo scusa, mi sono sbagliata: ho cercato un’altra traduzione che smentisce ciò che ho appena scritto qui sopra circa il significato di “hereafter”. In effetti non si capirebbe il senso del secondo verso, se significasse “prima o poi”. Ho sbagliato io.
Ecco l’altra traduzione:
MACBETH: “Avrebbe dovuto morire più tardi;
Non sarebbe mancato il momento opportuno per udire una simile parola.
Domani, poi domani, poi domani:
Così, da un giorno all’altro, a piccoli passi,
Ogni domani striscia via fino all’ultima sillaba del tempo prescritto;
E tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti,
La via che conduce alla polvere della morte.
Spengiti, spengiti, breve candela!
La vita non è che un’ombra che cammina,
Un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo,
Per la sua ora, e poi non se ne parla più;
Una favola raccontata da un idiota,
Piena di rumore e di furore, che non significa nulla”.

Postato venerdì, 1 maggio 2009 alle 18:56 da roberta


@ Robertina
eccoti un brano in tedesco. Di certo il più drammatico, nel quale il giovane mostra al maestro con il braccio la via del cielo.
Am Rande der Flut verweilte er sich, gesenkten Hauptes mit einer
Fussspitze Figuren im feuchten Sande zeichnend, und ging dann in die
seichte Vorsee, die an ihrer tiefsten Stelle noch nicht seine Knie
benetzte, durchschritt sie, laessig vordringend, und gelangte zur
Sandbank. Dort stand er einen Augenblick, das Gesicht der Weite
zugekehrt, und begann hierauf, die lange und schmale Strecke
entbloessten Grundes nach links hin langsam abzuschreiten. Vom
Festlande geschieden durch breite Wasser, geschieden von den
Genossen durch stolze Laune, wandelte er, eine hoechst abgesonderte
und verbindungslose Erscheinung, mit flatterndem Haar dort draussen
im Meere, im Winde, vorm Nebelhaft-Grenzenlosen. Abermals blieb er
zur Ausschau stehen. Und ploetzlich, wie unter einer Erinnerung, einem
Impuls, wandte er den Oberkoerper, eine Hand in der Huefte, in schoener
Drehung aus seiner Grundpositur und blickte ueber die Schulter zum
Ufer. Der Schauende dort sass wie er einst gesessen, als zuerst, von
jener Schwelle zurueckgesandt, dieser daemmergraue Blick dem seinen
begegnet war. Sein Haupt war an der Lehne des Stuhles langsam der
Bewegung des draussen Schreitenden gefolgt; nun hob es sich, gleichsam
dem Blicke entgegen, und sank auf die Brust, so dass seine Augen von
unten sahen, indes sein Antlitz den schlaffen, innig versunkenen
Ausdruck tiefen Schlummers zeigte. Ihm war aber, als ob der bleiche
und liebliche Psychagog dort draussen ihm laechle, ihm winke; als ob er,
die Hand aus der Huefte loesend, hinausdeute, voranschwebe ins
Verheissungsvoll-Ungeheure. Und wie so oft machte er sich auf, ihm zu
folgen.
Se tu desiderassi la traduzione, ci proverei, con i miei limiti, naturalmente.
Lorenzo

Postato venerdì, 1 maggio 2009 alle 21:31 da lorenzetti


@Lorenzo
Caro Lorenzo, certo se tu metti la traduzione di questo brano di Thomas Mann, io ne sono felice. Immagino tu possa partecipare con più entusiasmo e cognizione di causa nel nuovo post “Babelit” della scrittrice tedesca.
Quindi grazie anticipatamente:)
R.

Postato sabato, 2 maggio 2009 alle 15:49 da roberta


Ripropongo qui il link per visualizzare il breve brano dal “Macbeth” Atto V°, scena 5- tratto dal film di Roman Polanski del 1971 e che è lo stesso che trovate qui su in inglese e in italiano. Per coloro che fossero interessati.
http://www.youtube.com/watch?v=LAi4qzNHtwY

Postato sabato, 2 maggio 2009 alle 15:52 da roberta


Ricordo che giorni fa Roberta ha chiesto un brano tratto da uno dei racconti di Thomas Mann. Lorenzo ha provveduto con “La morte a Venezia”, ora io vorrei proporre parte del dialogo tra Tonio Kroger, protagonista dell’omonimo racconto e Lisaweta Ivanovna, sua amica. Lo ritengo importante, il dialogo, perché l’autore fa dire al giovane Tonio quel che egli stesso pensa degli artisti: esseri fragili, pervasi nello spirito da una inesorabile malinconia, dotati di una mente tesa a scardinare l’involucro sgargiante delle cose per rivelarne la sostanza intima, malata e decadente. Esseri tuttavia ammaliati dai lustri della borghesia, esaltati dai capelli sempre biondi e altrettanto dagli occhi azzurri, una società che per contro dal rumore del suo benessere bandisce gli asceti, disprezza i poeti, relega nei confini dell’indifferenza gli artisti esitanti e goffi. Questo dualismo Mann lo stempera efficacemente con una ironia lunga e sottile, diffusa con generosità, che rende ancor più affascinante il racconto.
La traduzione naturalmente non è opera mia, ma di Salvatore Tito Villari, tratta dall’edizione dei tre racconti di T.Mann: Tonio Kroger, La morte a Venezia, Cane e padrone, per Aldo Grazanti Editore, 1965.

Ich bin am Ziel, Lisaweta. Hören Sie mich an. Ich liebe das Leben – dies ist ein Geständnis. Nehmen Sie es und bewahren Sie es, – ich habe es noch keinem gemacht. Man hat gesagt, man hat es sogar geschrieben und drucken lassen, daß ich das Leben hasse oder fürchte oder verachte oder verabscheue. Ich habe dies gern gehört, es hat mir geschmeichelt; aber darum ist es nicht weniger falsch. Ich liebe das Leben… Sie lächeln, Lisaweta, und ich weiß, worüber. Aber ich beschwöre Sie, halten Sie es nicht für Literatur, was ich da sage! Denken Sie nicht an Cesare Borgia oder an irgendeine trunkene Philosophie, die ihn auf den Schild erhebt! Er ist mir nichts, dieser Cesare Borgia, ich halte nicht das geringste auf ihn, und ich werde nie und nimmer begreifen, wie man das Außerordentliche und Dämonische als Ideal verehren mag. Nein, das ›Leben‹, wie es als ewiger Gegensatz dem Geiste und der Kunst gegenübersteht, – nicht als eine Vision von blutiger Größe und wilder Schönheit, nicht als das Ungewöhnliche stellt es uns Ungewöhnlichen sich dar; sondern das Normale, Wohlanständige und Liebenswürdige ist das Reich unserer Sehnsucht, ist das Leben in seiner verführerischen Banalität! Der ist noch lange kein Künstler, meine Liebe, dessen letzte und tiefste Schwärmerei das Raffinierte, Exzentrische und Satanische ist, der die Sehnsucht nicht kennt nach dem Harmlosen, Einfachen und Lebendigen, nach ein wenig Freundschaft, [40] Hingebung, Vertraulichkeit und menschlichem Glück, – die verstohlene und zehrende Sehnsucht, Lisaweta, nach den Wonnen der Gewöhnlichkeit!…
Ein menschlicher Freund! Wollen Sie glauben, daß es mich stolz und glücklich machen würde, unter Menschen einen Freund zu besitzen? Aber bislang habe ich nur unter Dämonen, Kobolden, tiefen Unholden und erkenntnisstummen Gespenstern, das heißt: unter Literaten Freunde gehabt.

Io sono alla meta, Lisaveta. Mi ascolti. Io amo la vita, questa è una confessione. La accetti e la conservi, non l’ho ancora fatta a nessuno. Si è detto, si è persino scritto e fatto anche pubblicare, che io odio o temo oppure disprezzo o anche detesto la vita. Mi è piaciuto sentirlo, mi ha lusingato; ma per altro non è meno sbagliato. Io l’amo, la vita… Lei sorride, Lisaveta, e io so di che. Ma la scongiuro di non considerare letteratura quanto vado dicendo; non pensi a Cesare Borgia o a una qualche filosofia ebbra che lo esalti; non fa per me quel Cesare Borgia, non gli do neppure la minima importanza, e non capirà mai e poi mai come si possano venerare quali ideali lo straordinario e il demoniaco. No, la quale eterno contrasto, così come sta di fronte allo spirito e all’arte, non si presenta ai non comuni come una visione di grandezza sanguinosa e di bellezza furente, non come il non comune, ma come il normale, l’ammodo, l’attraente, e l’impero della nostra malinconia è la vita nella sua trivialità seduttrice! Gli manca ancora molto per essere artista, mia cara, a colui per il quale l’ultima e più profonda esaltazione sia lo smaliziato, l’eccentrico e il satanico, a colui che non conosca la malinconia per l’ingenuo, il semplice e il vivente, per un po’ d’amicizia, di dedizione, di confidenza e di felicità umana… la malinconia furtiva e struggente, Lisaveta, per le delizie della mediocrità…
“Un amico tra gli uomini! Vuole credere lei che sarei orgoglioso e felice di possedere un amico tra gli uomini? Ma fino ad ora ho avuto amici solo tra demoni, farfarelli, mostri oscuri e fantasmi afasiaci, vale a dire: tra letterati.

Postato domenica, 3 maggio 2009 alle 00:30 da luigi


Caro Luigi,
avevo letto questi due racconti di Thomas Mann quando avevo 16 anni e in effetti ho sempre preferito Tonio Kroger alla Morte a Venezia. Mi ero talmente “innamorata” di questo personaggio, che non l’ho mai dimenticato. Certo, ora è arrivato forse il tempo che io lo riprenda in mano, spinta anche dai brani che avete riportato tu e Lorenzo e che mi hanno dato l’occasione di ripensarci. Vi ringrazio per questo. E’ molto bello anche il tuo commento prima del brano. Infatti mi è sempre rimasta questa idea dell’artista, così come la definisce Tonio. Ho trovato un altro breve brano ( sempre dialogo con Lisaweta. Prima, sempre nel loro dialogo, parlavano dell’importanza degli scrittori russi, connazionali di lei, e in effetti anche qui…. non hanno torto).
“«Non dica “mestiere”, Lisaveta Ivanovna! La letteratura non è affatto un mestiere, ma una maledizione, perché lei lo sappia. Quando prende a pesare questa maledizione? Presto, tremendamente presto. In un periodo in cui dovrebbe essere ancora facile vivere in pace con Dio e con il mondo. Si comincia a sentirsi segnati, a sentirsi in un dissidio enigmatico verso gli altri, i comuni, i normali, la voragine di ironia, miscredenza, opposizione, sapere, sentimento, che separa se stessi dagli uomini si spalanca sempre più profonda, si è soli, da quell’istante non c’è più comprensione. Che destino! Ammesso che il cuore abbia ancora tanta vita e tanto amore per sentirne l’atrocità.”
( sempre edizione GARZANTI per la traduzione).

Postato domenica, 3 maggio 2009 alle 01:00 da roberta


@ Robertina
Eccoti la mia traduzione in italiano del brano espresso sopra in tedesco.
Spero che ridia sufficientemente il vero senso poetico del grande scrittore. Buona Domenica, anche a Luigi e Francesca Giulia.
Lorenzo
Al margine dell’onda, si trattenne, il capo verso il basso, con la punta del piede tracciante figure sulla sabbia bagnata, per poi proseguire verso le acque basse, che non raggiungevano il ginocchio nel loro punto più profondo, le attraversò con disinvoltura, e raggiunse il banco di sabbia.
Là, sostò un momento, il volto rivolto verso la lontananza, e incominciò, a percorrere lentamente a sinistra la lunga e stretta striscia dal fondo chiaro.
Separato dalla terra ferma attraverso l’acqua larga, diviso dai compagni per il suo orgoglio, trasformò in vento, un’apparizione massimamente speciale e libera, coi capelli svolazzanti sul mare, ciò che prima era nebuloso e senza confine.
Rimase ancora fermo, osservante. E improvvisamente, come spinto da un ricordo, un impulso, una mano sulle anche, voltò il busto, in una girata elegante dalla sua posizione di sostegno, e guardò dietro le spalle verso la spiaggia.
Il contemplante stava seduto, come lo era prima, quando si riprese da questo sguardo d’indefinita dannazione che incontrò il suo.
La sua testa scivolò sul bracciolo della sedia seguendo lentamente l’accaduto, poi si levò, contemporaneamente allo sguardo che gli veniva incontro, e cadde sul petto, così che i suoi occhi da sotto videro, nel momento in cui il suo volto fiacco, concentrato in sé mostrò espressione di un sopore profondo.
A lui, era però, come se il pallido e grazioso Psychagog là fuori gli sorridesse, lo salutasse; come se la sua mano, levandola dall’anca, indicasse lassù, librasse verso l’aspirata mostruosità.
È come sempre decise di seguirlo.

Postato domenica, 3 maggio 2009 alle 15:57 da lorenzetti


@ Robertina
ti invio un commento del pezzo teatrale in tre atti di Ödön von Horvath:
Figaro divorzia.
La traduzione te la invierò domani. oggi sono impegnato altrove e quindi non posso.
Figaro lässt sich scheiden
Figaro lässt sich scheiden ist eine Komödie in drei Akten und neun Bildern von Ödön von Horváth. Das Theaterstück wurde am 2. April 1937 in Prag uraufgeführt. Die Hauptpersonen sind dieselben wie in Beaumarchais’ Komödie Der tolle Tag oder Figaros Hochzeit bzw. wie in Mozarts Le nozze di Figaro.
Inhaltsverzeichnis
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* 1 Inhalt
* 2 Rolleninventar
o 2.1 Figaro
o 2.2 Susanne
o 2.3 Graf Almaviva
* 3 Bedeutung und Wirkung

Inhalt [Bearbeiten]

Die Geschichte spielt zur Zeit „der Revolution“, wahrscheinlich der Französischen, doch ist die Handlung auch im Kontext des zeitgenössischen Problems des Nationalsozialismus zu sehen: Horváth beschreibt das Schicksal des Einzelmenschen und seine Anpassung an die Gesellschaft und warnt dabei vor dem Aufgeben menschlicher Werte.

Das Theaterstück beginnt mit Graf Almaviva, seiner Frau, dem Figaro und dessen Frau Susanne auf der Flucht vor der Revolution. Die Flucht gelingt ihnen; sie leben als Emigranten. Der Graf kommt damit allerdings überhaupt nicht zurecht; er will nicht auf seinen Luxus verzichten und leistet sich diesen, obwohl er keinerlei Einkünfte vorzuweisen hat. Wie vorherzusehen war, folgen finanzieller Ruin und sozialer Abstieg, denn der Graf wird zum Betrüger. Im Gegensatz zum Grafen weiß Figaro, was auf ihn zukommt und wie er sich zu helfen hat. Er hat vor, sich mit einem Friseurgeschäft selbstständig zu machen. So feiert er dann auch große Erfolge mit seinem Handwerk, allerdings basiert das weniger auf seinem Können, sondern eher darauf, dass er redet, wie es den Kunden gefällt. Für seine Frau Susanne ist er zu einem heuchlerischen Spießer geworden, der es jedem rechtmachen will außer ihr, denn er verweigert ihr das sehnlichst gewünschte Kind und gibt als Begründung nur die „unsichere“ Zukunft an. Susanne kommt mit anderen Männern ins Gespräch, und so passiert es, dass sie Figaro betrügt. Die Ehe zerbricht an diesem Seitensprung und Susanne geht zurück zu den Almavivas. Figaro muss sein Geschäft aufgeben, da er all seine Kunden auf Grund des Geredes der Leute verliert. Susanne hat inzwischen Arbeit als Kellnerin in einem „Emigrantencafé“ gefunden; als allerdings ihre Arbeitserlaubnis abläuft, geht sie, gemeinsam mit dem Grafen, dessen Frau gestorben ist, zurück in ihre Heimat und zurück zu Figaro. Der ist inzwischen Verwalter auf dem ehemaligen Besitz des Grafen, in dem nun ein Kinderheim untergebracht ist. Die beiden Eheleute finden wieder zueinander. Nicht dass die Revolution beendet wäre, nur hat sie menschenfreundlichere Züge angenommen.

Spero di trovare anche un pezzo originale della commedia, naturalmente tradotta per te.
Salutissimi
lorenzo

Postato lunedì, 4 maggio 2009 alle 13:02 da lorenzetti


@cara rob ho visto che vi siete dati molto da fare con il tedesco,complimneti a tutti e grazie davvero a luigi e lorenzo per gli interessanti contributi.Mi sono soffermata sul brano da te riportato e mi piace molto quando dice “Si comincia a sentirsi segnati, a sentirsi in un dissidio enigmatico verso gli altri, i comuni, i normali, la voragine di ironia, miscredenza, opposizione, sapere, sentimento, che separa se stessi dagli uomini si spalanca sempre più profonda, si è soli, da quell’istante non c’è più comprensione.”Credo davvero che la letteratura,la scrittura come altre arti affini,creino una forma di ossessione tale da isolarti un pò alla volta dal resto del mondo,ma è da quello stesso mondo che l’artista attinge e da cui rifugge per ritrovare il dialogo intimo che gli consentirà di creare qualcosa che lo ricongiunga agli altri.La chiusura del cerchio magico è l’attimo in cui un fruitore di un oggetto artistico,vuoi un libro vuoi un’opera d’arte,ritrova ciò che ha seminato l’artista e in parte anche qualcosa di se stesso.
grazie per questo stralcio di brano così bello.
un caro saluto a voi

Postato lunedì, 4 maggio 2009 alle 15:55 da francesca giulia


Carissimo Lorenzo!
Che regalo mi hai fatto! Sono tornata ora dal lavoro e ho visto il pezzo di “FIGARO DIVORZIA”! Che bello. Adoravo questo commediografo che ha ripreso Beaumarchais quando il Nazismo nasceva in Germania e soltanto gli intellettuali si accorgevano della gravità degli avvenimenti. Non c’è nulla da fare: la letteratura mi emoziona TUTTA, ma il teatro mi commuove e mi piace infinitamente di più, non so il perché…
Ti ringrazio veramente moltissimo, anche per il brano di Thomas Mann, il “finale” da “La morte a Venezia”. Sei davvero adoralbile::))
Un bacionissimo dalla tua affezionatissima
Robertina

Postato lunedì, 4 maggio 2009 alle 19:18 da roberta


Carissima Franci,
beh oggi, che dire? Sono tornata a casa dopo 12 ore di lavoro e trovo queste due SORPRESISSIME! Lorenzo che mi regala “Figaro divorzia” e tu che mi dici tante belle cose sul brano da “Tonio Kroger”. Certo Mann non si sbagliava sugli artisti, secondo me. E, come giustamente dici tu, quel “cerchio magico” che sembra chiuso non lo è.
bacissimi
R.
Ps: grazie infinite anche a Luigi, perché è lui che ha indicato il brano del “Tonio Kroger”, quello in cui Tonio e Lisaweta parlano dell’arte.

Postato lunedì, 4 maggio 2009 alle 19:23 da roberta


cara rob e caro lorenzo,non ho capito bene chi è questo commediografo di cui avete riportato il brano,mi potreste dire qualcosa di più?
buona giornata a voi

Postato martedì, 5 maggio 2009 alle 09:22 da francesca giulia


@ Robertina-Francesca Giulia
ci ho provato con la traduzione. Di certo è più facile di quelle di Rilke, Heine, Thomas Mann.
La storia ci riferisce al tempo della rivoluzione, probabilmente quella francese, tratta, però, anche nel suo contesto, il problema del tempo relativo al nazismo.
Horvath descrive la sorte del singolo individuo e il suo adattamento alla società e ammonisce di non abbandonare le virtù umane.
Il pezzo incomincia con la fuga del conte Almaviva, sua moglie, del barbiere con sua moglie Susanne, dalla rivoluzione.
Ci riescono e vivono da emigranti. Il conte, però, non si trova per niente a suo agio in questo ruolo, non vuole rinunciare al suo lusso e se lo concede, nonostante non usufruisca di alcuna forma di guadagno. Com’era prevedibile, segue la rovina finanziaria e il declino sociale, così che il conte diventa un truffatore.
Al contrario del conte, Figaro sa cosa lo aspetta e come può aiutarsi. Progetta di esercitare una professione autonoma aprendo una bottega da barbiere. Festeggia così anche grandi successi con il suo mestiere, meno sulla sua abilità professionale e più sul suo trattenersi con i clienti come desiderano. Per sua moglie Susanne è diventato un ipocrita che vuole dare ragione a tutti, ma non a lei, nel suo ostinarsi di assecondare il suo più vivo desiderio di generarle un figlio, esponendo come ragione l’incertezza del tempo. Susanne incontra altri uomini, e così accade che tradisce suo marito. Il matrimonio fallisce in seguito a questa scappatella e Susanne ritorna dagli Almaviva. Figaro deve chiudere la bottega, in seguito alla perdita di tutti i suoi clienti a causa dei pettegolezzi della gente sull’accaduto.
Nel frattempo, Susanne ha trovato un lavoro come cameriera in un caffè per emigranti; nel momento della scaduta del suo permesso di lavoro, ritorna, insieme al conte la cui moglie è morta, in patria e da Figaro.
Figaro è nel frattempo l’amministratore della proprietà di una volta del conte, nella quale è collocato ora un orfanatrofio. I coniugi si riconciliano. Non perché la rivoluzione fosse finita, ha assunto soltanto aspetti più umani.
Proseguirò ancora con il riportare l’identità di questo commediografo: Ödön von Horvath.
Salutoni
Lorenzo

Postato martedì, 5 maggio 2009 alle 19:01 da lorenzetti


continuazione:
Edmund (ungarisch „Ödön“) Josef von Horváth wird am 9. Dezember 1901 als erster Sohn des österreichisch-ungarischen Diplomaten Dr. Ödön Josef von Horváth und der Maria Lulu Hermine, geb. Prehnal, in Fiume (heute Rijeka, in Kroatien) geboren. Der Vater stammt aus Slavonien und gehört dem Kleinadel an (das Adelsprädikat ist im Ungarischen durch das ‚H‘ am Ende des Nachnamens gekennzeichnet), die Mutter kommt aus einer ungarisch-deutschen k.u.k. Militärarztfamilie.
1902 zieht die Familie nach Belgrad um, 1908 nach Budapest, wo Ödön von einem Hauslehrer in ungarischer Sprache unterrichtet wird. Als sein Vater 1909 nach München versetzt wird, bleibt Ödön zunächst in Budapest und besucht dort das erzbischöfliche Internat, das „Rákóczianum“. 1913 zieht er zu seinen Eltern und lernt erstmals die deutsche Sprache. Er siedelt dann mit der Familie nach Pressburg, später nach Budapest um und kommt schließlich, als die Eltern wieder nach München ziehen, nach Wien in die Obhut seines Onkels Josef Prehnal. Dort legte er 1919 an einem Privatgymnasium seine Matura ab und schreibt sich noch im selben Jahr an der Universität München ein, wo er bis zum Wintersemester 1921/22 psychologische, literatur-, theater- und kunstwissenschaftliche Seminare besucht.
Edmondo (nella lingua ungherese Ödön) Giuseppe di Horvath nacque il nove di Dicembre del 1901, come primogenito del diplomatico austriaco-ungherese Dr. Ödön di Horvath e Maria Lulu Erminia nata Prehnal, a Fiume. L’acca alla fine del nome “Horvath” testimonia l’appartenenza della famiglia al ceto nobile.
Il padre proviene dalla Slavonia e appartiene al ceto medio dei nobili, la mamma invece da una famiglia ungherese-tedesca di medici dell’esercito regio imperiale.
Nel 1902 la famiglia si trasferisce a Belgrado, poi nel 1908 a Budapest, dove Ödön viene introdotto nello studio della lingua ungherese da un insegnante privato.
Quando suo padre fu trasferito a Monaco di Baviera nel 1909, rimane Ödön a Budapest dove frequenta la scuola-collegio arcivescovile, chiamata “Rákóczianum”.
Nel 1913 si congiunge con i suoi genitori e impara per la prima volta la lingua tedesca.
Con la famiglia, si trasferisce a Bratislava, più tardi a Budapest e infine, quando i genitori si trasferiscono di nuovo a Monaco, a Vienna sotto la cura dello zio Giuseppe Prehnal. A Vienna termina lo studio, frequentando un liceo privato e sostenendo l’esame di maturità nel 1919. Nello stesso anno s’iscrive all’Università di Monaco, dove rimane fino agli anni 1921-22, nelle facoltà della psicologia, letteratura, teatro e scienze dell’arte.
Horváth beginnt 1920 zu schreiben. Ab 1923 lebt er vor allem in Berlin, Salzburg und bei seinen Eltern im oberbayrischen Murnau; er widmet sich immer intensiver der Schriftstellerei, vernichtet jedoch viele Texte aus dieser Zeit. Der junge Dichter bindet sich an keine Partei, sympathisiert aber mit der Linken; er sagt als Zeuge in einem NS-Prozess aus und warnt in seinen Stücken, z.B. in Sladek, der schwarze Reichswehrmann (1929), zunehmend vor den Gefahren des Faschismus. 1929 tritt er aus der katholischen Kirche aus.
Horváths Ruhm als Dichter erlebt im Jahr 1931 einen ersten Höhepunkt, als er auf Anregung Carl Zuckmayers gemeinsam mit Erik Reger mit dem Kleist-Preis ausgezeichnet wird und sein bisher erfolgreichstes Bühnenstück Geschichten aus dem Wiener Wald aufgeführt wird. Als die SA nach Hitlers Machtergreifung 1933 die Villa seiner Eltern in Murnau durchsucht, verlässt Horváth Deutschland und lebt in den folgenden Jahren in Wien und in Henndorf bei Salzburg als eines der wichtigsten Mitglieder des Henndorfer Kreises um Carl Zuckmayer. Um zu überleben, versucht er noch 1934, trotz seiner Gegnerschaft zum Nationalsozialismus, dem Reichsverband deutscher Schriftsteller beizutreten und wird Mitglied der Union nationaler Schriftsteller.[1]
Horvath incomincia a scrivere nel 1921. Dal 1923 vive soprattutto a Berlino, Salisburgo e dai suoi genitori a Murnau, nella Baviera alta, s’interessa con sempre più intensità della scrittura, distrugge però molte sue composizioni di quel tempo. Il giovane autore non s’iscrive in nessun partito, simpatizza però per la sinistra, si presenta come testimone in Processo contro nazisti e avverte nei suoi scritti con sempre maggiore veemenza dei pericoli del fascismo. Nel 1929 si dimette dalla sua appartenenza alla chiesa cattolica.
Raggiunge la sua fama come scrittore nel 1931 quando, insieme a Erik Reger, viene premiato con il premio Kleist su consiglio di Carl Zuckmayer e quando viene presentata la sua opera teatrale che ha raggiunto il massimo successo: leggende dal bosco viennese.
Quando la polizia segreta di Hitler, già al potere, perlustrano nel 1933 la villa dei suoi genitori a Murnau, Horvath lascia la Germania e si rifugia a Vienna e a Henndorf vicino a Salisburgo, dove diventa uno dei membri più importanti del locale circolo presieduto da Zuckmayer.
Per sopravvivere, cerca ancora nel 1934, nonostante sia contrario al nazionalsocialismo, di iscriversi al circolo degli scrittori tedeschi e diventa membro dell’Unione degli scrittori nazionali.
Salutissimi
Lorenzo
PS) Non trovo il testo dello scritto: Figaro si lascia divorziare, in Internet e neanche nella biblioteca della mia cittadina.

Postato martedì, 5 maggio 2009 alle 20:23 da lorenzetti


Si comincia a sentirsi segnati, a sentirsi in un dissidio enigmatico verso gli altri, i comuni, i normali, la voragine di ironia, miscredenza, opposizione, sapere, sentimento, che separa se stessi dagli uomini si spalanca sempre più profonda, si è soli, da quell’istante non c’è più comprensione.”Credo davvero che la letteratura,la scrittura come altre arti affini,creino una forma di ossessione tale da isolarti un pò alla volta dal resto del mondo,ma è da quello stesso mondo che l’artista attinge e da cui rifugge per ritrovare il dialogo intimo che gli consentirà di creare qualcosa che lo ricongiunga agli altri.La chiusura del cerchio magico è l’attimo in cui un fruitore di un oggetto artistico,vuoi un libro vuoi un’opera d’arte,ritrova ciò che ha seminato l’artista e in parte anche qualcosa di se stesso.

@ Francesca Giulia
Permettimi di riprendere dal tuo riportato sopra, perché molto veritiero:
Come hai ragione! Guai, a esporsi troppo verso l’Alto, sia con i concetti, sia con i sentimenti; si viene addirittura frainteso anche da chi si sentisse lui stesso elevato.
Che cos’è, se non il timore di perdere il contatto con la misura terrena, non soddisfacente ma necessaria, quando si sia già stato provato amaramente.
Allora, si rimane solo e si diventa narcisista, non essendoci altro scampo che soddisfi e ripaghi.
Emerge, che riportare un dialogo intimo in questo mondo è un’impresa ardua, addirittura impossibile e che il mondo che lo crea assumi solo il ruolo di trampolino per distaccarsi e tentare l’avventura.
La mediocrità che si tenta di lasciare è l’impulso per la propria elevazione, senza garanzia di raggiungere armonia e serenità, perché esse non esistono senza l’unione con i simili.
Cari saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 6 maggio 2009 alle 19:08 da lorenzetti


@Lorenzo+ Fran
Caro Lorenzo, avevamo letto in tedesco “Figaro divorzia” col nostro prof di letteratura tedesca nel lontano 1984. Neppure io, dopo tanti traslochi da allora, ritrovo più quel testo a casa e su internet. Ricordo che mi era piaciuto molto e che il riferimento a Beaumarchais aveva molto a che fare con la Germania nazista nel 1933. Non ricordo la trama della commedia ( l’hai inserita tu, grazie infinite), ma, esattamente come in Beaumarchais, la trama “ufficiale” è un PRETESTO per parlare di ALTRE questioni. Nel “Mariage de Figaro”, del 1785 ( se non mi sbaglio), di Beaumarchais, è il MONOLOGO di Figaro che è importante, quello sulla “nobiltà” a cui il SERVO Figaro si ribella ( perché il Conte d’Almaviva vuole esercitare sulla moglie di Figaro, Susanna, l’antico diritto dello “ius primae noctis”= il diritto di “dormire” con Susanna prima di suo marito); in Mozart il monologo è tradotto nel famoso “Se vuol ballar, signor Contino…. il chitarrino le suonerò…”.
In “Figaro divorzia”= dobbiamo “scoprire” COSA esattamente faceva in modo che la rappresentazione di questa commedia fosse vietata nel periodo dell’avvento del Nazismo. Ricordo che da qualche parte, nel testo di Von Horvath, erano presenti “truppe che marciavano” in giro per la città e che SEMBRAVANO innocue a tutti, tranne che agli intellettuali, i quali ne percepivano anticipatamente, ahimé, l’oscuro significato.
@Fran
Ho scritto tutto ciò che ricordavo su Von Horvath: né io né Lorenzo riusciamo a trovare il testo. Proveremo a trovarne un brano. Peccato: é una commedia importante, per il suo significato. Se non troviamo Von Horvath, inserirò un brano dal “Mariage de Figaro” di Beaumarchais. Tutta la letteratura “antica” ha sempre a che fare con la letteratura e l’epoca contemporanee; solo che anziché parlarne “espicitamente”, ne parla “implicitamente”. Infatti Von Horvath ha ripreso il “Figaro” non per caso; non gli interessava parlare della Rivoluzione Francese ( quella interessava a Beaumarchais), ma gli interessava far capire agli spettatori ( che non erano “lettori”, ma “spettatori” a teatro) che i Nazisti stavano prendendo il potere ed erano pericolosi.
Baci a entrambi::))

Postato mercoledì, 6 maggio 2009 alle 23:03 da roberta


“Se vuol ballare”… non “ballar”…

Postato mercoledì, 6 maggio 2009 alle 23:07 da roberta


@Gaetano
A causa del tempo materiale (che mi manca)+ di un dizionario più completo ( che non ho con me), ho lasciato di tradurre il brano di Ballard che avevi riportato giorni fa. Riporto qui un altro breve pezzetto tradotto, quello immediatamente successivo al brano tradotto da Francesca Giulia ( chiedo scusa, ma non ho trovato alcuni vocaboli e se la traduzione lascia a desiderare). Ti chiedo, però: Ma cosa significa tutta questa vicenda della Torre di Pisa che cade? Un racconto “surreale”?
” Eleine, sola, ha appena afferrato il parapetto e sta fissando l’erba aspettando di poter raggiungere i suoi quasi 200 piedi più sotto. Usando una lente di ingrandimento si può vedere che, secondo il suo carattere spensierato, lei non mostra alcuna preoccupazione. I suoi occhi hanno notato il cornicione che cade, e mi piace pensare che lei sta ancora programmando di far causa al Comune di Pisa per aver trascurato la sicurezza dei suoi turisti, e sta collezionando testimonianze che presenterà agli avvocati. I più o meno dodici turisti visibili nel piano più basso stanno ancora andando in giro procedendo a tentoni davanti alle colonne strette, mentre salgono i 300 scalini fino al tetto. Un padre e la sua giovane figlia salutano con la mano i turisti sotto di loro, due marinai italiani in uniforme fanno i cretini per le loro fidanzate, fingendo uno svenimento, e una coppia di anziani si ferma a riposare dopo essere salita fino al primo piano, determinata a completare la salita. Nessuno di essi vede il cornicione che cade e la sottile cascata di malta polverosa”.
N.B.
Non ho trovato=1) QUIRKY+ 2)CANTED DECKS

Postato giovedì, 7 maggio 2009 alle 17:08 da roberta


Cara Roberta, grazie per il tuo ulteriore brano tradotto. E grazie per questo tuo impegno appassionato e appassionante. Ballard è un autore che amo perchè colgo in lui un aspetto “visionario”, e tale aspetto trova in me una forte risonanza. Forse anche questo suo ultimo racconto ha a che fare con la stessa qualità “visionaria”.
Un abbraccio,
Gaetano

Postato giovedì, 7 maggio 2009 alle 17:25 da Subhaga Gaetano Failla


Sì, anche a me piace il suo stile. Non ho letto nulla scritto da Ballard, ma quel piccolo brano del suo ultimo racconto “visionario” è affascinante. Solo in inglese, però:)
Piano piano cercheremo di tradurre l’intero racconto, io e Francesca Giulia. ( come se fosse “a puntate”… del resto siamo all’inizio ed Eleine, la moglie del narratore, e tutti gli altri sono ancora in cima alla Torre di Pisa…)
Un abbraccio anche a te:)

Postato giovedì, 7 maggio 2009 alle 17:43 da roberta


@ Robertina
il tuo grande interesse per Ödön von Horvath mi spinge a cercare il libretto in una libreria del centro di Vienna.
Non solo, ti tradurrò anche il pezzo che ti ha impressionato maggiormente.
Mi sembra, che sia quello indicatomi da te sopra e che riguarda la rivolta di Figaro contro il conte per il diritto d’abuso che quest’ultimo voleva esercitare sulla sua tanto amata Susanna.
Il brano non appartiene a nessun tempo preciso, è quindi sempre attuale, quando le vicende esterne annullano diritti acquisiti di generazione in generazione, e i loro possessori non riescono ad adattarsi al mutamento e a ritrovarsi in una nuova vita.
Solo Figaro ci riesce, dimostrando di possedere le giuste qualità, impiegabili in ogni circostanza.
Lui sa cosa dover offrire alla gente per guadagnarsi il suo appoggio.
È noto che i personaggi principali sono gli stessi come nella commedia di Beaumarchais e Mozart.
Cari saluti e spero di fare presto.
Lorenzo
PS) ti prego di confermami il pezzo da tradurre, o indicami un altro di tuo interesse e piacere.

Postato giovedì, 7 maggio 2009 alle 22:43 da lorenzetti


@Lorenzo, sei un tesoro, non so come ringraziarti. Lascio a te la scelta del brano: sono certa che saprai scegliere meglio di me.
Tanti baci:)
Ps: sì, mi è sempre piaciuto il teatro del XVIII° secolo ein particolare le vicende di Figaro:):)
Grazie.

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 06:35 da roberta


cari rob e lorenzo,ho cercato anch’io freneticamente il pezzo della commedia di cui parlate ,ma con insuccesso,però ho letto molte notizie su von horvath scoprendo nuove cose che non conoscevo,perciò vi ringrazio enormemente del vostro dono.
buona giornata

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 09:27 da francesca giulia


Cara rob e gaetano,riguardo al testo di ballard:quirky riferito al carattere di elene dovrebbe significare “stravagante”,infatti lei ci viene presentata dall’inizio dello strano racconto per lo meno come un tipo particolarmente curioso,che ha sfidato quei polverosi scalini per raggiungere l’alto.Inoltre canted desk dovrebbe essere “il piano,il ponte inclinato”,poichè cant in termin i di costruzione significa anche sopraelevata,desk=piano,tavola,ponte,ma canted come aggettivo ha il significato di obliquo,inclinato,quindi mi fa pensare ad uno dei piani inferiori in cui stavano gli altri turisti descritti,inclinato,da cui riflettevano su come proseguire la salita.
magari più tardi continuiamo la traduzione,comunque grazie a rob,e a gaetano perchè ballard è veramente intrigante!

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 09:39 da francesca giulia


scusate amici io ho il difetto di scrivere tutto minuscolo!!

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 09:42 da francesca giulia


@rob e gaetano carissimi,la storia si fa interessante,aggiungo un altro pezzetto di traduzione di ballard:
L’unica figura sul terreno che è consapevole della imminente catastrofe è un uomo in giacca bianca e cappello panama, che sta ai piedi della torre, entrambe le mani sollevate verso il fianco di marmo. Il suo volto è nascosto, ma le braccia sono irrigidite contro la pietra instabile, la schiena ad arco sopra le sue gambe tese. Possiamo vedere che in questo suo disperato modo sta cercando di tenere in posizione verticale la torre che sta per collassare dimenticandosi di lui stesso..
Oppure così ognuno riassume. I giornalisti dei quotidiani,i commentatori dei reportage in TV, tutti parlano del coraggio di questa figura solitaria. Sorprendentemente, egli non è mai stato identificato, e né il suo cappello, né la sua giacca bianca sono stati trovati sotto la montagna di macerie che è stata successivamente rimossa, pietra dopo pietra, dal luogo infelice.
Ma lui stava cercando di sostenere la torre o, piuttosto, aiutandola nel suo cammino? Io, naturalmente, posso rispondere alla domanda, dato che io sono l’uomo in cappello di Panama, il marito al quale Elaine, negli ultimi momenti della sua vita, così trionfalmente fissa negli occhi.

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 10:24 da francesca giulia


@Fran
Ti ringrazio anch’io per le tue traduzioni. Io non ho con me se non un dizionarietto per bambini (perché i miei dizionari ce li ho a casa dei miei, che sono lontani), quindi è per questo che non trovo alcuni vocaboli. Comunque questa Eleine , sì mi sembra “stravagante”.
Grazie baci:)
@Gaetano
Il racconto mi sembra con una certa “suspence” e con “colpi di scena”. Sarà forse perché noi lo stiamo traducendo ” a puntate”…….
C’è qualcosa di molto “romanzesco” nei suoi personaggi, perché Eleine, per esempio, con due “pennellate” eccola dipinta. Mi fa pensare ad Agatha Christie, non so perché.
Ciao:)

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 15:39 da roberta


@rob,è un lavoro di squadra a cui cerco di dare quello che posso,tu sei bravissima.Comunque anche a me la storia sembra con un piede nel giallo più classico ma anche nel paradossale,la traduzione in alcuni punti sembra un pò forzata,ma credo che il senso io sia riuscita a trasmetterlo,tu non sei curiosa di sapere cosa succederà e che ci faceva lui ai piedi della torre?se fosse lui il responsabile del crollo?e perchè?
bene,interessante davvero questo scrittore.
un bacione a te e a gaetano

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 17:04 da francesca giulia


@ Robertina-Francesca Giulia
ho già ordinato il libretto di Horvath. Arriverà il prossimo Martedì.
Salutissimi e buon fine di settimana.
lorenzo

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 17:10 da lorenzetti


@lorenzo grazie sei gentilissimo!
buon w.e. anche a te e salutami le vigne.

Postato venerdì, 8 maggio 2009 alle 17:14 da francesca giulia


@ Francesca-Giulia
te le ho salutate le vigne e mi sembra che mi abbiano risposto di aspettare una tua visita.
Perché no, Nel periodo della vendemmia, quando sono stracariche dei frutti più dolci e afrodisiaci esistenti?
Pensaci su e prenditi anche Robertina con te.
Saluti
Lorenzo

Postato lunedì, 11 maggio 2009 alle 12:00 da lorenzetti


Carissimo Lorenzo,
ti ringrazio per il tuo invito: sarebbe molto bello, benché mi sembri un pò impossibile. Apprezzo il pensiero.
Grazie anche perché hai cercato la commedia di Figaro. Io sono oberata in questi giorni, ma cecherò di seguire tutto sul Nostro.
Un bacione:)
@Fran
ho tradotto un altro pezzetto, ma in questi giorni I really have no time.
Baci

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 19:25 da roberta


caro lorenzo anch’io ti ringrazio ma per ora accontentiamoci delle belle chiacchierate qui,sarebbe difficile davvero!Magari poi si vedrà di organizzare un incontro con vari letteratitudiniani a…metà strada!

rob cara non ti preoccupare,inserisci quello che puoi,poi magari continuo io.
un abbraccio

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 19:36 da francesca giulia


@ Robertina-Francesca Giulia
come promessovi, eccomi, con una breve traduzione, alla quale seguiranno altre di vostro gusto.
Dritter Akt
Drittes Bild
Wieder auf dem ehemaligen ländlichen Herrensitz des Grafen Almaviva. Fanchette sitzt vor dem Portal und flickt di Hose ihres Gatten. Es ist ein warmer Herbstmorgen.
Fanchette singt vor sich hin:
Der Frühling gibt mirs kund,
Susanne, mein Herz ist wund,
Mein Blut ruft nach dir
Drinnen in mir-
Figaro erscheint im Portal, hält und lauscht.
Fanchette bemerkt ihn nicht und singt weiter:
Susanne, ich habe dich lieb,
Susanne, der Maientrieb
Treibt mich hin zu dir.
Weit weg von mir-
Sie bemerkt erst jetzt Figaro und verstummt plötzlich.
Figaro Was singst denn da für ein Lied von einer Susanne?
Fanchette Kennst das nicht? Der neue Weltschlager, hat sich in paar Tage den ganzen Erdkreis erobert.
Figaro So? Mir scheint, Gassenhauer sind ansteckender als revolutionäre Lyrik. Ist die Post schon gekommen?
Fanchette Ja. Hier- Sie gibt ihm einige Briefe.
Figaro betrachte die Briefe: Ist das alles?
Fanchette fixiert ihn: Auf was wartest du eigentlich?
Figaro Auf einen Brief. Etwas Privates.
Fanchette mit leise Ironie, während sie die Hosen ihres Gatten ausbreitet: Dass du auch etwas Privates hast, soll man nicht für möglich halten, du lebst doch nur für das Schloss und die Kinder-
Figaro fällt ihr ins Wort: Sag: glaubst du, dass die Kinder mich gern haben?
Fanchette Wie blöd du immer wieder fragst! Du bist doch den Kindern ihr oberster Herrgott, für dich würden sie stehlen und rauben und morden-
Figaro lächelt: Meinst du? Er sieht sich um. Wann kommt denn die nächste Post?
Fanchette Morgen ist Freitag.
Figaro hm- Er will ab ins Schloss.
Terzo Atto
Terzo quadro
Le scene si svolgono nuovamente nella residenza campestre di una volta del conte Almaviva.
Fanchette siede davanti al portone e rattoppa i pantaloni di suo marito. È una mattina tiepida autunnale.
Flanchette canticchia:
La primavera me lo annuncia:
Susanne, il mio cuore è ferito
Il mio sangue ti chiama
Dentro di me-
Figaro appare nel portone, si ferma e origlia.
Flanchette non si accorge di lui e continua a cantare:
Susanne, ti amo
Susanne, il desiderio primaverile
Mi spinge da te.
Molto lontana da me-
Si accorge solo ora di Figaro e tace di colpo.
Figaro che canzone canti ebbene di una Susanne?
Flanchette: non la conosci? La nuovissima canzone di fama mondiale, ha conquistato tutto il mondo in un paio giorni.
Figaro ah sì? mi sembra che le canzonette siano più contagiose della lirica rivoluzionaria. È già arrivata la posta?
Flanchette sì qui, gli dà alcune lettere.
Figaro osserva le lettere: è tutto?
Flanchette lo scruta: che cosa ti aspetti veramente?
Figaro aspetto una lettera. Qualcosa di privato.
Flanchette con sottile ironia, mentre spiega i pantaloni di suo marito: che anche tu abbia qualcosa di privato, non si può considerare possibile, tu esisti solo per il palazzo e i bambini-
Figaro la interrompe: dimmi: credi che i bambini mi vogliano bene?
Flanchette come sei sciocco a chiederlo sempre di nuovo! Tu sei per loro il Dio Supremo, per te ruberebbero e rapinerebbero e ucciderebbero.
Figaro sorride: la pensi così? Si guarda in giro. Quando arriva allora la prossima posta?
Flanchette domani è Venerdì.
Figaro hm – decide di entrare nel palazzo.
Salutissimi.
Lorenzo

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 20:19 da lorenzetti


@Lorenzo
Grazie! Non mi ricordo chi è questa Flanchette. Forse una rivale di Susanne? Ah, sì, già: divorziano! Dimenticavo…..
Un bacionissimo.
Ps. se hai il testo con te e puoi, c’è qualcosa in questa commedia che ha fatto sì che Von Horvath venisse “censurato”? Forse qulche riferimento al “regime nazista?” Riferimenti impliciti alla Repubblica di Weimar?
@Fran
Grazie infinite. Un altro pezzo di Ballard cercherò di inserirlo anch’io (l’ immediatamnete successivo a quello inserito da te) in questi giorni. Ma nel frattempo lascio a te, se puoi.
Un bacio

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 20:47 da roberta


Scusa, Lorenzo: in effetti la commedia di Von Horvath è del 1936 e la Repubblica di Weimar ( ho controllato perché avevo il dubbio) va dal 1919 al 1933, anno che coincide con l’avvento di Hitler. Quindi il riferimento alle truppe “squadriste” che marciano per la città è il presentimento del commediografo per ciò che sta per succedere in Germania. Ma non ricordo se ci sia qualche eco proprio in questa commedia; oppure i riferimenti ( quindi la censura) siano presenti in eltre opere ( in comune con Mozart c’è che ha scritto, quindi “rivisitato”, anche il DON GIOVANNI).

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 21:21 da roberta


Robertina
cercherò e ti riferirò
ciao
lorenzo

Postato martedì, 12 maggio 2009 alle 22:33 da lorenzetti


ÖDÖN VON HORVÁTH
BIOGRAFIE / BIOGRAPHY

Ödön von Horváth, geboren am 9. 12. 1901 in Fiume/Rijeka (ehemals Österreich-Ungarn), gestorben am 1. 6. 1938 in Paris.
Horváth absolvierte nach Aufenthalten in Belgrad, Budapest und München 1919 die Matura in Wien. Ab 1923 lebte er hauptsächlich in Berlin und in Murnau am Staffelsee. Die Verleihung des Kleist-Preises (1931) führte zu heftigen Protesten rechter und nationalsozialistischer Kritiker, die für 1933 geplante Uraufführung des Stücks “Glaube Liebe Hoffnung” konnte nicht mehr stattfinden. Von 1933 bis 1938 lebte Horváth vorwiegend in Salzburg und Wien, nach dem Anschluß Österreichs an Nazi-Deutschland emigrierte er nach Paris, wo er 1938 auf den Champs-Élysées von einem herabstürzenden Ast getötet wurde. Zu einem Klassiker des modernen Theaters und einer aufgrund ihres Realismus geschätzten Prosa avancierte Horváth zu Beginn der 70er Jahre. Seine Theaterstücke und Romane erleben seither einen anhaltenden Boom.
Traduco qui le frasi più imprtanti:
Horvath conseguì il diploma di maturità classica nel 1919 a Vienna dopo diversi periodi di residenza a Belgrado, Budapest e Monaco di Baviera. L’assegnazione del premio Kleist provocò forti proteste da parte dei critici della destra e dei socialisti nazionali. La prima rappresentazione del suo pezzo “Credo Amore Speranza” non poté essere più eseguito. Dopo l’annessione politica dell’Austria con la Germania nazista emigrò a Parigi, dove morì nel 1938 colpito da un ramo d’albero spezzato.
Horvath fu riconosciuto come un classico del teatro moderno, anche grazie al realismo che tramane dalla sua prosa, all’inizio degli anni settanta.
Da qui, i suoi pezzi teatrali e romanzi riscontrano una richiesta crescente.
Berühmt wurde Horváth nicht nur mit Titeln wie “Jugend ohne Gott” oder “Geschichten aus dem Wiener Wald”, sondern auch für beinahe schon klassische Sätze wie diesen: “Nichts gibt so sehr das Gefühl der Unendlichkeit als wie die Dummheit.”
Horvath divenne famoso non solo con i titoli come: “Gioventù senza Dio” o “Storie dal bosco viennese”, ma anche attraverso i suoi citati diventati quasi classici, come questo: “Niente esprime così tanto il senso dell’infinità come la stupidità”.
“Wie in allen meinen Stücken versuchte ich auch diesmal, möglichst rücksichtslos gegen Dummheit und Lüge zu sein, denn diese Rücksichtslosigkeit dürfte wohl die vornehmste Aufgabe eines schöngeistigen Schriftstellers darstellen.”
Ödön von Horváth zu “Der jüngste Tag”
“Come in ogni mio pezzo, cerco anche questa volta di esprimermi in modo spietatissimo contro la stupidità e la menzogna, perché esso dovrebbe ebbene essere il compito più nobile di uno scrittore amante della cultura”.
Ödön von Horvath nel “Il giorno del giudizio universale”.
Adesso puoi immaginarti quanto sia stato bloccato dal regima nazista.
Non trovo alcun riferimento a truppe marcianti nel pezzo inviatoti ieri.
Cercherò ancora di trovarlo in altre opere.
Salutoni
Lorenzo

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 16:22 da lorenzetti


@lorenzo e rob, ho trovato un articolo molto interessante su von horvath e su quanto sia attuale il messaggio da lui mandato nell’opera “Gioventù senza Dio”,ve lo posto,poi se vi fa piacere ne parliamo un pò.
baci

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 16:47 da francesca giulia


CONFRONTI Un dramma di von Horvath racconta l’adolescenza prenazista e i suoi gesti “estremi”. Che ricordano alcune tragedie d’oggi Quelle “teste vuote” del ‘37? Sembrano lanciatori di sassi “Che cosa diventera’, questa generazione? Dura o solamente brutale?”. Oltre mezzo secolo prima dei lanciatori di sassi o dei “cacciatori” di extracomunitari, se lo chiedeva lo scrittore austriaco Odon von Horvath sugli adolescenti alle soglie del nazismo. E scriveva di “teste vuote”, anzi svuotate: “La disgrazia della gioventu’ di oggi e’ che non ha una vera e propria puberta’. L’amore, la politica, la morale, sono stati mescolati. Troppe sconfitte celebrate come vittorie; troppo spesso i piu’ intimi sentimenti sono stati sfruttati da stregoni; d’altra parte, tutto e’ diventato piu’ facile. Vivono in un paradiso di stupidita”. E “credono che non esistano altri uomini all’infuori di loro”, loro che “dell’uomo se ne infischiano”. E’ il 1937 quando von Horvath fa parlare cosi’ il professore protagonista del suo romanzo Gioventu’ senza Dio. Un anno dopo il drammaturgo moriva, nel trionfo del nazismo che aveva lucidamente presentito. Dal romanzo e’ stato tratto in Italia un dramma, in scena a Milano da alcuni giorni, con la regia di Marco Baliani, un lavoro che fa discutere perche’ ambientato in una classe liceale di “bravi” ragazzi violenti fino all’omicidio, con famiglie condizionate dai diktat della radio e un professore in crisi di coscienza: contesta in un tema la frase “i negri sono vili e pigri”, si ribella ai richiami del preside aizzato dalle famiglie, poi si adegua. Partendo dal dramma, domani al Teatro dell’Arte di Milano si fara’ un confronto con l’oggi in una tavola rotonda dal titolo “Gioventu’ senza Dio. I giovani e il gesto inaudito”. Prevista la partecipazione dello psichiatra Vittorino Andreoli, del teologo Enzo Bianchi, dei registi Marco Baliani e Gabriele Salvatores. “Odo continuamente la radio: sussurra, urla, geme, minaccia. E i giornali riportano le sue parole, e i ragazzi le copiano”, scriveva von Horvath nel ‘37. Non c’era tv, ma gia’ parlava di “occhi tondi, vuoti, senza vita, senza luce” e profetizzava: “Andiamo verso tempi freddi, l’anima dell’uomo diventera’ impassibile, come il muso di un pesce”. E venne il nazismo. Ma, precisa Baliani, “non tentiamo equazioni tra quegli anni e la cronaca di oggi. Il teatro puo’ mostrare, non dimostrare. E’ in quegli anni, pero’, dentro la cultura dell’inflazione, con masse medio – piccolo borghesi pronte a sposare tesi autoritarie pur di mantenere privilegi economici, che si impara a guardare senza intervenire. Era urgente mettere in scena questo testo: i giovani oggi cercano l’omologazione, perche’ non hanno piu’ capacita’ di giudizio. Praticano l’indifferenza, ignorano valori come la vita, l’amore, la morte: conoscono solo quella sullo schermo”. Il parallelo tra il “gesto estremo” di quella gioventu’ “senza Dio” e i tratti dei giovanissimi di oggi, e’ inquietante. “Il gesto estremo ha sempre a che fare con la morte, omicidio o suicidio che sia – osserva Andreoli -, ma il problema che pone Horvath e’ ancora piu’ forte: quei ragazzi si stavano preparando alla morte, ma non lo sapevano, il gesto diventa piu’ estremo perche’ inconsapevole. Allora come oggi. “Vi e’ pero’ una differenza – continua lo psichiatra -. Nel dramma c’e’ questa battuta, “non si puo’ contestare quel che dice la radio”, e non ci vuol molto a sostituire radio con televisione. Ma allora erano guidati da una radio di regime che li portava in fila a morire in Russia; oggi non c’e’ un regime, anzi c’e', ma e’ stupido, perche’ non sa dove andare. Mentre allora c’era il binomio morte – regime, oggi c’e’ il binomio morte – stupidita’. Questo non sapere, questa stupidita’ e’ uno stupore che non permette di capire: perche’ muoiono, perche’ ammazzano? Non lo sanno. Un gesto che esula dalle categorie della Storia, nella quale invece anche il dramma di von Horvath si inserisce. “Finora nella Storia – prosegue Andreoli – i gesti estremi si sono ordinati: le Rivoluzioni per dire “no” e ribaltare le cose; le Guerre per mantenere lo status quo; i gesti romantici per uccidere Dio, l’impossibile. Quello cui ci troviamo di fronte oggi non appartiene ad alcuna categoria perche’ indirizzato al nulla, tantomeno a Dio, anche perche’ prima di uccidere Dio bisognerebbe conoscerlo. Mentre, scriveva von Horvath, “grave e’ il modo come lo rinnegano senza conoscerlo, ma piu’ grave e’ che non vogliono conoscerlo”. Dunque e’ un gesto cinico, attuato con fredda disperazione. Muoiono o uccidono, ma non sanno perche”. Nel dramma teatrale c’e', pero’, una speranza. Ma e’ per il professore: gli viene soprattutto dal fatto che i suoi ex ragazzi gli svelano di continuare a leggere i libri “proibiti” da lui consigliati. Gli ideali in cui crede “passano” ai giovani, la liberta’ comporta la rinuncia a qualcosa (l’insegnante perde il posto), ma non a se stesso. Come parlare di rinuncia ai ragazzi cresciuti nella cultura dell’Euromercato? “Horvath assolverebbe i tiratori di sassi – risponde Baliani -. La sua tesi e’ che non sono loro i colpevoli, ma la generazione che dovrebbe trasmettere valori e invece rinuncia alle responsabilita’, arretra di fronte all’arroganza, per pigrizia, per paura, come all’inizio l’insegnante di “Gioventu’ senza Dio”, 34 anni, posto fisso”.*

Provvedini Claudia

dal corriere della sera

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 16:49 da francesca giulia


sembrano una triste profezia per il vuoto dei tempi di oggi le parole di von horvath non è vero?

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 16:51 da francesca giulia


@ Francesca Giulia-Robertina
Eigentlich bin ich ganz anders, nur komm ich so selten dazu.
Wenn nur noch Gehorsam gefragt ist und nicht mehr Charakter, dann geht die Wahrheit, und die Lüge kommt.
Sono due citati di Horvath che traduco qui:
A dire il vero, sono del tutto diverso, soltanto che riesco solo raramente ad esserlo.
Quando viene richiesta solo l’ubbidienza e non più il carattere, allora se ne va la verità e arriva la menzogna.
La storia si ripete continuamente. La gioventù d’oggi non è colpevole dello stato attuale di declino.
Siamo noi adulti a dover sostenere la colpa. Lo abbiamo fatto nel credo che il progresso materiale potesse sopprimere alle mancanze del passato.
Non abbiamo capito che esso è sano e giusto solo quando sappiamo regolarlo e questo significa limitarlo e impedirgli di sostituire il credo in una verità superiore trascedentale, l’unica a mantenerci semplici e umili e salvarci dall’arroganza, vanità, avidità, presuntuosità ed egoismo, tutti mali che ci rendono ciechi e ignoranti.
Crediamo di poter conquistare questa vita, farla propria, metterla al nostro servizio; invece è e sarà sempre lei a dominarci e ristabilire l’ordine iniziale con i suoi mezzi che purtroppo ben conosciamo attraverso la storia, ma preferiamo ignorare sempre di nuovo.
Nell’era nazista, dove tutto era prefissato e organizzato per la conquista finale, il cittadino ebbe una sola scelta: quella di cooperare o morire. In verità, i coraggiosi che hanno scelto la morte si sono salvati, perché hanno dato dimostrazione di essere fedeli a se stessi. Meglio morire, che diventare servi in un sistema dove regge solo la prepotenza e volontà despotica altrui.
Dalla nascita fino alla fine, ogni cittadino ebbe un ruolo da ricoprire ed eseguire rigidamente, onde creare quella forza unitaria nella quale credere di poter dominare sul resto del mondo.
Milioni d’individui, si trovarono finalmente riuniti in un unico ideale identificatore, da renderli ognuno per sé forte, coraggioso, invincibile.
La patria, finalmente riconosciuta madre di tutti, avrebbe provveduto alla realizzazione e benessere di ogni suo figlio. Oggi, ognuno sa come finì, eppure continuamo ancora con la menzogna del progresso senza limite.
Cari saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 20:08 da lorenzetti


Cari Lorenzo e Francesca Giulia,
sono molto contenta che abbiamo “riscoperto” insieme Von Horvath. Noi avevamo studiato questa commedia all’università con un professore di letteratura tedesca che era un pò “anziano” ed era “affascinato”, come me, dal filo conduttore del personaggio di FIGARO. Non ci siamo concentrati su altre sue opere.
All’epoca Von Horvath aveva presentito, come altri intellettuali tedeschi ( penso al DOCTOR FAUSTUS di Thomas Mann, ancora una volta) l’avvento del Nazismo. La “rivisitazione” degli personaggi- archetipo ( Figaro+ Don Giovanni) è servita al drammaturgo per parlare delle sue preoccupazioni e perché da sempre il teatro ha questo ruolo di risvegliare le coscienze.
Non so, però, se il riferimento ai nostri giovani o alla nostra epoca sia proprio “azzeccato” ( mi riferisco all’articolo del Corriere della Sera). Mi pare che siamo molto lontani dagli avvenimenti rappresentati nel dramma di Von Horvath. Non condivido molto chi persevera nelle “forzature” e che vede nella nostra epoca la mancanza di libertà. Forse la mancanza di una coscienza collettiva, quella sì.
Beh, grazie a voi, ho ritrovato molte notizie su un autore di cui ricordavo pochissimo. Siete stati bravissimi:) Grazie.
Lorenzo, non importa se non trovi il riferimento alle “truppe” naziste. Ho un ricordo troppo vago, chissà in quale file del mio cervello…
Bacioni a tuttie due:)

Postato mercoledì, 13 maggio 2009 alle 23:10 da roberta


@ Robertina-Francesca Giulia
non sarò in rete per qualche settimana. Spero poi di ritrovare argomenti interessanti così da poter essere d’utilità.
Mi ha fatto piacere di leggere qualcosa di Horvath. Me lo sento vicino, con la sua sensibilità che gli permette di presagire i pericoli prima del loro sorgere, mentre la massa vive la sua vita nell’indifferenza. Sono, però, sempre ottimista, perché credo che tutto ciò che è accaduto e ancora accadrà sia necessario per il nostro progredire.
Robertina, aggiungo una precisazione alla tua domanda su chi fosse Fanchette – non Flanchette, errore mio di riporto. Era la moglie di Pedrillo, lo staffiere del conte.
Un saluto a entrambe.
Lorenzo

Postato giovedì, 14 maggio 2009 alle 20:55 da lorenzetti


Caro Lorenzo,
il tuo aiuto è stato preziosissimo. Grazie. Un bacione. Ti aspetto qui.
Robertina

Postato venerdì, 15 maggio 2009 alle 15:07 da roberta


Beh, nell’attesa che ritorni Lorenzo+ che Fran inserisca un brano che ha per protagonista un topo, io inserisco l’incipit di MOBY DICK. Mi sembra un bell’omaggio alla balena più famosa, una balena bianca che si è portata la baleniera, il Pequod+ il capitano Achab+i marinai tutti, tranne Ishmael, dentro gli abissi dell’oceano. La traduzione è di Cesare Pavese ( quanto di meglio esiste nella letteratura?)
cap I:
“Call me Ishmael. Some years ago- never mind how long precisely- having little or no money in my purse, and nothing particular to interest me on shore, I thought I would sail about a little and see the watery part of the world. It is a way to I have of driving off the spleen, and regulating the circulation. Whenever I find myself growing grim about the mouth; whenever it is a damp, drizzly November in my soul; whenever I find myself involuntarily pausing before coffin warehouses, and bringing up the rear of very funeral I meet; and especially whenever my hypos get such an upper hand of me, that it requires a strong moral principle to prevent me from deliberately stepping into the street, and methodically knocking people’s hats off – then, I account it high time to get to sea as soon as I can. This is my substitute for pistol and ball. With a philosophical flourish Cato throws himself upon his sword; I quietly take to the ship. There is nothing surprising in this. If they but knew it, almost all men in their degree, some time or other, cherish very nearly the same feelings towards the ocean with me.”

Postato giovedì, 21 maggio 2009 alle 20:29 da roberta


Ecco la mirabile traduzione di Cesare Pavese, a cui dobbiamo l’aver fatto conoscere la letteratura nord-americana in Italia ( e non gli dobbiamo solo quello):
MOBY DICK – Herman Melville
“Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. E’ un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano. ”

(Traduzione di Cesare Pavese)

Postato giovedì, 21 maggio 2009 alle 20:31 da roberta


@rob ho solo un minuto,ma io e te pensiamo all’unisono e poi tu agisci!!avevo pensato di mettere l’incipit di moby dick,brava!
stanotte penserò al topino,ma ora mangio perchè sono rientrata dall’incontro “strane coppie” con Starnone e Mazzucco,stupendo!!
baciuzzi

Postato giovedì, 21 maggio 2009 alle 21:44 da francesca giulia


Sì, va bene. Sono contenta che pensiamo all’unisono:)
Beh, devo dire che io per Melville ho proprio un’adorazione e mi è sempre rimasto il dispiacere che MOBY DICK, quando è stato pubblicato, nel 1840 circa, non sia stato capito e Melville morto con questa sensazione. E’ un grande scrittore. Anche solo leggere questo incipit dà il senso della sua grandezza.
Baci:)

Postato venerdì, 22 maggio 2009 alle 22:35 da roberta


Cara Rob inserisco qualche rigo di un piccolo omaggio per te:….a proposito di topi.
I HAD ALWAYS IMAGINED that my life story, if and when I wrote it, would have a
great first line: something lyric like Nabokov’s “Lolita, light of my life, fire
of my loins”; or if I could not do lyric, then something sweeping like Tolstoy’s
“All happy families are alike, but every unhappy family is unhappy in its own
way.”
Sono le prime parole dell’autobiografia del tuo e da tanti altri amato Firmino.
baci e buona giornata

Postato venerdì, 29 maggio 2009 alle 10:54 da francesca giulia


Cara Fran, vedo solo ora! Grazie, ma che carine queste parole di Sam Savage… eh devo proprio leggerlo questo Firmino… ( lo votavo senza conoscerlo…)
Grazie::))

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 20:48 da roberta


Torno al caro Melville…. perché in questi giorni escono in edicola dei piccoli volumetti col testo a fronte: “SHORT STORIES” ( inglese- italiano).
Di Hermann Melville: ” THE APPLE-TREE TABLE” (1856).
Prima di riportare un breve brano ( con la traduzione di Elisabetta Querci), riporto qualche notizia dall’introduzione. ( il brano domani).
” (…) Lo si potrebbe definire una falsa GHOST STORY, costruita con tutti gli ingredienti cari al genere, ma condotta ad esiti a esso totalmente estranei. Tutto comincia quando l’io narrante , tranquillo sposo e padre di due figlie, trova in un angolo del giardino della casa acquistata da alcuni anni una grossa e strana chiave, che scopre essere quella di un solaio nel quale egli non si era mai dato cura di entrare. Incuriosito dal rinvenimento, apre la porta e si ritrova in un ambiente raccapricciante, invaso dalle ragnatele e infestato da miriadi di insetti, con mobili e vecchi oggetti accatastati l’uno sull’altro. La sua attenzione viene attratta da un tavolino rotondo sostenuto da tre gambe terminanti in piedi caprini, sul quale è poggiato un vecchio libro che racconta casi di stregoneria. (…)
Dai toni gotici dell’inizio, Melville passa a poco a poco a un registro ironico talora confinante col comico, e lo fa con mano leggera e sapienza costruttiva, non tralasciando alcune brucianti notazioni psicologiche sui caratteri dei personaggi, sulle loro reali insoddisfazioni, le loro assurde paure, i loro malcontenuti isterismi(…).

Postato martedì, 2 giugno 2009 alle 21:57 da roberta


Inserisco un brano dal racconto :”The apple-tree” di Melville.
Lo strano rumore che proviene dal tavolo ritrovato nella soffitta, prima terrorizza tutta la famiglia, comprese le figlie; poi saranno loro stesse ad essere estasiate dalla visione. Infatti il tichettio è quello di un insetto che assomiglia a una bellissima farfalla. Tutti avevano pensato che si trattasse di “spiriti”.
PAG 64:” In truth, it was a beautiful bug – a Jew jeweller’s bug – a bug like a sparkle of a glorious sunset.
Julia and Anna had never dreamed of such a bug. To them, bug had been a word synonymous with hideousness. But this was a seraphical bug; or rather, all it had of the bug was the B, for it was beautiful as a butterfly. Juilia and Anna gazed and gazed. They were no more alarmed. They were delighted.
“But how got this strange, pretty creature into the table?”cried Julia.
“Spirits can get anywhere,” replied Anna. (…)
PAG 69: ” Say what you will, if this beauteous creature be not a spirit, it yes teaches a spiritual lesson. For it, after one hundred and fifty years’ entombment, a mere insect comes forth at last into light, itself an effulgence, shall there be no glorified resurrection for the spirit of man?(…)”
TRADUZIONE ( di Elisabetta Querci)
“In verità era uno splendido insetto – un insetto degno di un gioielliere ebreo – un insetto che assomigliava allo scintillio di un tramonto meraviglioso.
Julia e Anna non avevano mai pensato esistesse un insetto del genere. Per loro, insetto era solo una parola sininimo di orrore. Ma questo era un insetto sublime; o meglio, dell’insetto aveva solo il nome, perché era bello come una farfalla.
Julia e Anna continuavano a fissarlo. Non erano più turbate. Erano estasiate.
” Ma come ci è arrivata questa strana e graziosa creatura nel tavolo?”
esclamò Julia.
“Gli spiriti arrivano ovunque” rispose Anna.
(…)
“Dite quello che volete; anche se questa creatura non è uno spirito, insegna tuttavia una lezione spirituale. Perché, se dopo centocinquant’anni di sepoltura, un piccolo insetto viene infine alla luce, egli stesso splendente, non ci sarà una gloriosa resurrezione per lo spirito dell’uomo?”

Postato giovedì, 4 giugno 2009 alle 20:55 da roberta


N.B. Mi scuso con coloro che avrebbero voluto forse mantenere la “suspence” della narrazione..( se attratti da questo racconto).

Postato giovedì, 4 giugno 2009 alle 20:57 da roberta


Nel post sui racconti di Elvira Seminara ho inserito il pensiero di Henry James,perciò di comune accordo con Rob inserisco un piccolo brano dalla sua opera Il Carteggio Aspern – The Aspern papers (1888) che fa parte dei romanzi della seconda fase dello scrittore. “Il carteggio Aspern” è un racconto lungo, diviso in nove capitoli. Il tema è la letteratura. Un giovane studioso di Jeffrey Aspern, poeta americano vissuto in età romantica, per poter mettere le mani sul materiale che presume abbia lasciato a una ex amante ormai vecchissima, non esita ad andare ad abitare in una camera presso due donne, Miss Bordereau e Miss Tina ( la nipote della vecchia). La vicenda si svolge a Venezia. Si tratta di un testo sviluppato in maniera lineare, ma ricco di espedienti tradizionali, complesso e pieno di implicazioni.

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:02 da francesca giulia


…………….. “Do you think it’s right to rake up the past?”
“I don’t know that I know what you mean by raking it up; but how can we get at it unless we dig a little? The present has such a rough way of treading it down.”
“Oh, I like the past, but I don’t like critics,” the old woman declared with her fine tranquility.
“Neither do I, but I like their discoveries.”
“Aren’t they mostly lies?”
“The lies are what they sometimes discover,” I said, smiling at the quiet impertinence of this. “They often lay bare the truth.”
“The truth is God’s, it isn’t man’s; we had better leave it alone. Who can judge of it — who can say?”
“We are terribly in the dark, I know,” I admitted; “but if we give up trying what becomes of all the fine things? What becomes of the work I just mentioned, that of the great philosophers and poets? It is all vain words if there is nothing to measure it by.”
“You talk as if you were a tailor,” said Miss Bordereau whimsically;
……………………………………………………………………………….

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:03 da francesca giulia


Motivo centrale è quello letterario: possiamo definirlo un racconto sulla letteratura e sull’arte.
Esemplare il dialogo che avviene tra il ricercatore e Miss Tina. Chiede miss Tina Bordereau (cap. VII):

«- Le pare giusto rinvangare il passato?
- Temo di non capire ciò che lei intende per ‘rinvangare’. Come possiamo penetrarlo se non scavando un pochino? Il presente lo calpesta in così malo modo…
- Oh, io amo il passato, ma non altrettanto i critici – dichiarò la mia ospite con quel suo aspro compiacimento.
- I critici non piacciono nemmeno a me, ma apprezzo le loro scoperte.
- Non sono per lo più menzogne?
- Menzogne sono ciò che talvolta essi scoprono, – dissi, sorridendo della mia bonaria impertinenza. – Spesso mettono a nudo la verità.
- La verità è di Dio, non dell’uomo; faremmo meglio a lasciarla stare. Come si può giudicare? Chi può dire?
- Brancoliamo terribilmente nel buio, lo so, – ammisi, – ma se si rinuncia a tentare, che avverrà di tutte le cose belle? Che ne sarà delle opere di cui parlavo prima, quelle dei grandi filosofi, dei sommi poeti? Restano tutte parole vane se non si ha un certo metro con cui misurarle.
- Parla come un sarto, – commentò sprezzante Miss Bordereau [...]».

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:05 da francesca giulia


Io penso che tutto il proliferare di scrittori improvvisati attualmente qualche buon sarto in giro non sarebbe un male!

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:07 da francesca giulia


Cara Fran… sono ESTASIATA… Che bello rientrare a casa e trovare questo brano di Henry James! Hai fatto una scelta PERFETTA!
Mi sembra azzeccatissima la scelta del dialogo.
Grazie anche per l’introduzione, perché in effetti senza l’introduzione non si capirebbe il significato del brano.
Baci:)

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:35 da roberta


Che bello far felice un’amica con così poco!!Tu sicuramente potrai aggiungere qualche interessante considerazione sulla scelta del linguaggio e dei termini.Tornerò più tardi.grandi baci

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 16:42 da francesca giulia


Bel brano!
Si attaglia benissimo a me che sto scrivendo un romanzo storico…
beautiful!!!

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 19:28 da Maria Lucia Riccioli


Francesca,
HAI VISTO LA MAZZUCCO?!
Che belloooooooooooooooooooo!
Io conosco Antonella Cilento, ma la Mazzucco rimane per me irraggiungibile – tanti appuntamenti mancati ed è così difficile vederla in pubblico!
C’erano anche i miei carissimi amici Luigi La Rosa e Alessio Grillo…

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 19:33 da Maria Lucia Riccioli


Cara Marialucia,io per Melania Mazzucco ho una vera adorazione e glielo ho anche confessato.Avevo da poco terminato il suo ultimo La lunga attesa dell’angelo,le ho detto che per me è la nostra Yourcenar.Ho avuto il piacere e l’onore di ascoltarla altre due volte agli incontri organizzati da Antonella,perciò devo a lei questa opportunità felice.
Ho conosciuto Luigi la Rosa e Alessio,simpaticisimi.Spero presto di conoscere te e gli altri del gruppo siciliano,magari a Napoli con cena sul lungomare. :-)

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 20:49 da francesca giulia


@ Robi e Fran
Ottimo lavoro! Bravissime! :)

Postato martedì, 9 giugno 2009 alle 22:52 da Massimo Maugeri


Inserisco un brevissimo brano da : “A STUDY IN SCARLET”- 1887- primo romanzo di Conan Doyle in cui si incontrano Sherlock Holmes e il dottor Watson. Nel cap. II ( THE ART OF DEDUCTION) Watson dà un’accurata descrizione del detective:
“His eyes were sharp and piercing, save during those intervals of torpor to which I have alluded; and his thin, hawk-like nose gave his whole expression an air of alertness and decision. His chin, too, had the prominence and squareness which mark the man of determination. His hands were invariably blotted with ink and stained with chemicals, yet he was possessed of extraordinary delicacy of touch, as I frequently had occasion to observe when I watched him manipulating his fragile philosophical instruments”.

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 17:53 da roberta


TRADUZIONE: ( trovata su internet)
“(…) il suo sguardo era acuto e penetrante, salvo durante quegli intervalli di torpore a cui ho alluso; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia”

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 17:58 da roberta


N.B. Naturalmente e come sempre si può notare che:
la frase
“which mark the man of determination”
NON è tradotta secondo il testo… perché
in realtà dovrebbe significare:
” che segna l’uomo determinato” oppure “che segna la determinazione in un uomo”; che non significa necessariamente “uomo d’azione”.

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 18:02 da roberta


Visto l”oscuramento” per 48 ore a partire da domani…. inserisco anche un brano di Simenon tratto da “LE FOU DE BERGERAC” il sedicesimo romanzo con il commissario Maigret protagonista.
Cara Fran, conosco lolte persone che amano moltissimo Simenon ( una mia amica ha letto TUTTO e anche a mia madre piace molto); mi chiedo: sarà ora che legga anch’io un romanzo?? Eh, sì..
Ecco il brano:
Le fou de Bergerac (M) :
“Maigret se rend en Dordogne avec l’intention d’y prendre quelque repos, lorsque, dans l’express de Bordeaux, en pleine nuit, il est intrigué par le comportement d’un voyageur. Lors d’un ralentissement, ce dernier saute du train. Le commissaire le suit et est aussitôt blessé d’une balle que le fuyard tire dans sa direction. Hospitalisé à Bergerac, il apprend que plusieurs crimes sadiques viennet de s’y commettre et qu’il a été la victime de celui qu’on appelle le “fou de Bergerac”. Mais qui est ce dernier ? Le taciturne dorcteur Rivaud qui soigne Maigret ? Le procureur Duhourceau ? le maître d’hôtel ? son ami Leduc ? Entre-temps, on retrouve dans un bois le cadavre du “fou” : il s’agit de Samuel Meyer, faussaire international. Certains émettent, contre l’avis de Maigret, l’hypothèse qu’il s’est suicidé après avoir commis ses forfaits. Depuis sa chambre d’hôtel, le commissaire, en interrogeant des témoins, prend ses renseignements : Françoise, belle-sœur et maîtresse de Rivaud, est aussi la mère de son enfant, mais par une machination, le couple a fait passer le procureur pour le véritable père, afin d’obtenir son silence sur une autre affaire. Il s’avère en effet que Rivaud est le fils de Meyer, le fou de Bergerac, qu’il a aidé à s’enfuir d’Alger où il avait été condamné à mort. Finalement, en interrogeant Mme Beausoleil, belle-mère du docteur, Maigret parvient à établir l’identité de celui-ci, et à prouver en outre que c’est Rivaud qui a tué le fou de Bergerac. Sur le point d’être arrêtés, Rivaud et sa maîtresse se suicident après avoir essayé vainement de s’enfuir.”

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 18:55 da roberta


Ps= ho scritto “lolte” per “molte”.
TRADUZIONE:
” Maigret si reca in Dordogna con l’intenzione di riposarsi un pò, quando, sul treno-espresso di Bordeaux, in piena notte, è attratto dal comportamento di un viaggiatore. Non appena il treno rallenta, quest’ultimo salta dal treno. Il commissario lo segue ed è subito ferito da un colpo che il fuggitivo spara verso la sua direzione. Ricoverato a Bergerac, egli apprende che numerosi crimini sadici sono appena stati commessi e che è stato vittima di colui che chiamano “il matto di Bergerac”. Ma chi è quest’ultimo? Il taciturno dottor Rivaud che cura Maigret? Il procuratore Duhourceau? Il capocameriere? il suo amico Leduc? Nel frattempo ritrovano nel bosco il cadavere del “matto”: si tratta di Samuel Meyer, falsario internazionale. Alcuni ipotizzano, contrariamente a Maigret, che si sia suicidato dopo aver commesso i suoi misfatti. Dalla sua camera d’hotel, il commissario, interrogando dei testimoni, prende informazioni: Françoise, cognata e amante di Rivaud, è anche la madre di suo figlio, ma attraverso un macchinoso espediente, la coppia ha fatto passare il procuratore come il vero padre, al fine di ottenere il suo silenzio su un’altra questione. Risulta infatti che Rivaud è il figlio di Mayer, il matto di Bergerac, ch’egli ha aiutato a fuggire da Algeri, dov’era stato condannato a morte. Alla fine, interrogando la signora Beausoleil, suocera del dottore, Maigret arriva a stabilire l’identità di costiu, e a provare inoltre che è Rivaud che ha ucciso il matto di Bergerac. Sul punto di essere arrestati, Rivaud e la sua amante si suicidano dopo aver cercato invano di scappare”.
SCUSATE: NEL TRADURRE MI SONO ACCORTA CHE SI TRATTA DELLA “trama” DEL ROMANZO, E NON DI UN BRANO ( CHE NON SONO RIUSCITA A TROVARE… cercherò ancora… anche perché vorrei trovarne uno in cui appare “l’analisi psicologica ” di Maigret.

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 19:15 da roberta


n.b. Comunque: @Fran
Preferisco sempre “l’arte della deduzione” di Holmes alla “psicologia” di Maigret, ma non so il perché…. così: questione di gusti.
I “GIALLI” inglesi mi hanno sempre affascinato più di quelli francesi e di quelli italiani. Credo che la tradizione anglosassone sia più “antica”, in questo campo; che cioè la dimensione del romanzo “gotico”, delle storie di “fantasmi”+ quelle “dark” appartengano più alla letteratura anglosassone che a quella romanza.
La letteratura romanza ( italiana e francese – non conosco quella spagnola) si concentra da sempre di più sulla “psicologia” umana (penso a Madame de La Fayette – LA PRINCESSE DE CLèVES- e a molta altra letteratura che “sonda” l’animo umano).
L’arte dell’investigazione, invece, mi pare più prettamente britannica (benché piuttosto “psicologica” anch’essa). L’intelligenza acuta e la capacità di osservazione sia di Poirot che di Holmes non sono lontane dall’osservazione del comportamento umano, ma lo “scopo” del libro non è l’analisi della psiche umana; lo scopo è la risoluzione del giallo. Quindi questa mi sembra una fondamentale differenza di intenti tra Simenon, la Christie e Conan Doyle.
Sei d’accordo?

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 19:25 da roberta


Ho trovato qualcosa sul “metodo” di Migret:
(FR)
« Dans presque toutes ses enquêtes, Maigret connaissait cette période plus ou moins longue de flottement pendant laquelle, comme disaient tout bas ses collaborateurs, il avait l’air de ruminer. Durant la première étape, c’est-à-dire quand il se trouvait soudain face à face avec un milieu nouveau, avec des gens dont il ne savait rien, on aurait dit qu’il aspirait machinalement la vie qui l’entourait et s’en gonflait comme une éponge.{…}Il attendait aussi longtemps que possible avant de se former une opinion. Et encore ne se la formait-il pas. Il gardait l’esprit libre jusqu’au moment où une évidence s’imposait à lui ou bien jusqu’à ce que son interlocuteur craque. » (IT)
« In quasi tutte le sue inchieste, Maigret attraversava questo periodo più o meno lungo di incertezza durante il quale, come dicevano sottovoce i suoi collaboratori, sembrava ruminare. Nella prima tappa, quando cioè si trovava di fronte ad un ambiente nuovo, con delle persone di cui non sapeva nulla, si sarebbe detto che egli aspirasse macchinalmente la vita che l’attorniava e se ne gonfiasse come una spugna (…) Egli aspettava il più a lungo possibile prima di formarsi un’opinione. Oppure non se la formava affatto. Conservava il suo giudizio libero fino al momento in cui un’evidenza non gli si imponesse o piuttosto che il suo intelocutore non cominciasse a cedere. »
(Georges Simenon, Le voleur de Maigret, Livre de Poche, pagine 113 e 114.)

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 19:33 da roberta


Cara Rob,non ho molto tempo,però volevo ringraziarti per i bei brani inseriti.Certamente come hai detto è una questione di gusti,io adoro Simenon come autore,forse più dei romanzi,perciò ho trasferito anche su Maigret.Ma non posso credere che la tua amica abbia letto tutto,hai presente di cosa stiamo parlando??Circa duecento romanzi senza contare la produzione non tradotta e quella sotto pseudonimo.Io ne ho letti una trentina,ma di tanto in tanto ne compro uno e vado avanti,me tapina,non mi basterà una vita a leggere tutto ciò che lui è riuscito a scrivere!

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 20:52 da francesca giulia


Egli aspettava il più a lungo possibile prima di formarsi un’opinione. Oppure non se la formava affatto. Conservava il suo giudizio libero fino al momento in cui un’evidenza non gli si imponesse o piuttosto che il suo intelocutore non cominciasse a cedere. »
Questa mi piace moltissimo!
un bacione

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 20:52 da francesca giulia


Rob anch’io vi metto una chicca!!Un pezzetto di Trois chambers à Manhattan tratto dal romanzo meraviglioso di Simenon.
http://www.youtube.com/watch?v=8uz_taW_mfI

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 21:08 da francesca giulia


Trama

François Comte, famoso attore francese, è stato piantato in asso dalla moglie. Trasferitosi negli Stati Uniti, una sera conosce in un bar una donna, Kay, separata da suo marito, un diplomatico italiano in Messico. I due, senza accorgersene, finiscono in una squallida stanza d’albergo e tra loro quasi d’incanto nasce l’amore, con tutti i suoi entusiasmi, le incertezze e le gelosie. Quando il marito di lei la avvisa, tramite un telegramma, che la loro unica figlia è malata, Kay vola in Messico. Durante un colloquio di lavoro con un produttore, François viene a sapere che il motivo della separazione fra Kay e il marito sono state le numerose infedeltà della donna e, attanagliato dalla gelosia e dal dubbio, l’attore ha uno sbandamento. Ma al ritorno di Kay, entrambi capiscono di non poter fare a meno l’uno dell’altra.

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 21:13 da francesca giulia


Director Credit
Marcel Carne Director
Cast Credit
Annie Girardot Kay
Maurice Ronet Francois
Otto Hasse Hourvitch
Rolande Lesaffre Pierre
Gabriele Ferzetti Larzi
Genevieve Page Yolande
Robert De Niro Bit

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 21:16 da francesca giulia


Purtroppo non ho a portata di mano un estratto dal libro in lingua originale,ma lo procurerò presto.Vi dico che la Girardot ebbe la Coppa Volpi a Venezia come migliore attrice per questo film del 1965.
baci Rob,a…dopodomani??sigh…..:-((((((((((

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 21:27 da francesca giulia


Rosella, Francesca Giulia…
un abbraccio:-)

Postato domenica, 14 giugno 2009 alle 23:30 da Massimo Maugeri


Francesca Giulia: ci conto!
Roberta: sono d’accordissimo sulla tua analisi dei gialli…

Postato martedì, 16 giugno 2009 alle 20:41 da Maria Lucia Riccioli


Nel mio commento del 14 giugno 2009 alle h. 11:30 pm, in realtà volevo scrivere:
Roberta, Francesca Giulia…
un abbraccio:-)
[L'età che avanza. Non ci fate caso. (Temo che mi si stia celestizzando il cervello)].

e non chiedetemi perchè ho usato tutte quelle parentesi:-))

Postato martedì, 16 giugno 2009 alle 21:19 da Massimo Maugeri


Comunicato stampa

Edito per la prima volta in lingua italiana, un romanzo incisivo ed essenziale di
Charlotte Brontë

Henry Hastings

A cura e traduzione di Maddalena De Leo

“Le sue passioni erano forti di natura e l’immaginazione era in lui come una febbre…”

Per la prima volta in traduzione italiana, il romanzo redatto nel 1839 rappresenta, per quel che concerne la prosa di Charlotte Brontë, l’acme del processo creativo preparatorio che dovette poi confluire nella sua successiva brillante attività di scrittrice.
Il racconto appartiene al ciclo di Angria, grande saga immaginaria inventata nell’Ottocento dalla giovane autrice inglese in collaborazione con il fratello Branwell negli anni dell’adolescenza e nella quale i giovani autori riversarono molto del proprio vissuto e del loro forte legame.
Bellissimo è proprio nel capitolo undicesimo questo passo, in realtà amaramente riferito al carattere di Branwell: …come un bambino, aveva inseguito per tutta la vita l’arcobaleno, e in quali abissi profondi questa ricerca l’aveva precipitato! Quanto spesso lo aveva distolto dai più seri propositi!
In maniera speculare Elizabeth Hastings, poco appariscente e preoccupata del proprio modesto aspetto fisico contrapposto alla bellezza delle precedenti eroine di Angria, anche insofferente all’insegnamento, riflette la personalità stessa di Charlotte autrice e donna. Molto bello il modo in cui la voce narrante cerca di entrare nei pensieri della protagonista descrivendola in un momento nel racconto in cui è sola con se stessa: Non saprei dire se in quel momento i suoi pensieri fossero tristi o gai; ma sicuramente erano molto assorti perché ella aveva dimenticato cielo e terra e ogni cosa che le era intorno, grazie al fascino in cui essi l’avvolgevano.

Il lungo racconto, anche se ambientato nel XIX secolo, affronta temi e conflitti morali di grande attualità e attraverso la caratterizzazione attenta dei suoi tre personaggi principali contribuisce ad aggiungere nuova luce alla fama ormai immortale della Brontë, scrittrice appassionata, capace di esprimere una tensione emotiva che non conosce cedimenti nel corso della narrazione.

Corredato da un’esauriente introduzione, il libro cerca di rendere al meglio nella nostra lingua, attraverso una traduzione puntuale e pedissequa dall’inglese, il pensiero creativo che è alla base del testo.

Charlotte Brontë nacque il 21 aprile 1816 a Thornton, nello Yorkshire, ma visse quasi sempre a Haworth. Condivise con le due sorelle Emily ed Anne e il fratello Branwell un’infanzia spensierata e ricca di ‘sperimentazioni letterarie’. La fama le arrise nel 1847 con Jane Eyre, romanzo che ebbe ed ha ancora oggi un successo incredibile. Scrisse altri famosi romanzi (Shirley, Villette) e nel 1854 sposò il reverendo Arthur Bell Nicholls, curato del padre. Morì però meno di un anno dopo, il 31 marzo 1855, nei primi mesi di gravidanza. Il suo romanzo The Professor fu pubblicato postumo.

Maddalena De Leo, docente di inglese nella scuola secondaria di primo grado e socia della Brontë Society sin dal 1975, fa parte della sezione italiana della predetta società letteraria ed è consulente editoriale per l’Italia della rivista letteraria Brontë Studies. Ha pubblicato per le edizioni Ripostes: nel 2002 Componimenti in francese di Emily Brontë e nel 2004 il volume All’Hotel Stancliffe e altri racconti giovanili, anch’essi una novità editoriale nella nostra lingua. La risposta di Afşin Mediart – BIMED, Salerno, 2005 e Un’@ mica dal passato – Simone per la Scuola, Napoli, 2006, sono entrambi narrativa per ragazzi, con romanzi ispirati sia al mondo mediterraneo che anglosassone.

Postato mercoledì, 17 giugno 2009 alle 14:08 da Giuseppe


Caro Giuseppe,
ti ringrazio infinitamente per questo omaggio a Charlotte Brontë e ai suoi fratelli. Un famiglia veramente EXTRA-ORDINARY. Non mancherò di procurarmi il testo ( non credo di poterlo trovare in inglese- visto che è appena uscito, ma lo cercherò- magari era solo la versione italiana che mancava). Sarebbe bello riportare qui in inglese ( con la traduzione di Maddalena De Leo) proprio quel brano dall’undicesimo capitolo di cui parli tu. La traduzione “puntuale e pedissequa” della De Leo mi trova d’accordo, poiché qui, in questo spazio, molti hanno scritto le loro opinioni e la mia sulle traduzioni è che il testo originale dabba essere “tramutato” il meno possibile ( in pratica una “nuova versione” del testo, anche se da parte di un bravo traduttore, non mi sembra “giusta”- MA : esistono debite “eccezioni”, di cui abbiamo parlato sempre qui: per esempio la versione del Brilli de: “LO STRANO CASO DEL DOTTOR JEKYLL E MR HYDE”- ma è cosa rara… Anche il brano riportato da MOBY DICK tradotto da Pavese, era un esempio di “testo tradotto nel massimo rispetto”).
Infine: certo che i testi della Brontë sono sempre attuali: si tratta di menti geniali che colgono gli aspetti “universali” del genere umano e dei meccanismi della società umana- che in realtà non cambiano mai….
Grazie:) Scrivi ancora, sempre di Charlotte o di altri autori:)

Postato mercoledì, 17 giugno 2009 alle 21:29 da roberta


Ps: grazie anche per averci segnalato questa brava traduttrice e la rivista letteraria dedicata alla Brontë:)

Postato mercoledì, 17 giugno 2009 alle 21:33 da roberta


@Fran
Sì, aspettiamo un estratto da questo romanzo:)
anche perché non conosco lo stile di Simenon e ne sono curiosa ( tanto che andrò a comprare un romanzo- non necessariamente Maigret – ma non in italiano)
@Massimo
La “R” iniziale c’era…….. ( però preferisco Roberta a Rosella…non so perché..)
Baci a entrambi::))

Postato mercoledì, 17 giugno 2009 alle 23:06 da roberta


Come da impegno inserisco qualche brano da un testo di G.Simenon. Ho scelto “Ceux de la soif”edizioni Gallimard 1938. In italiano “Hotel del ritorno alla natura” edito da Adelphi nel 1989.
La storia è tratta da un caso criminale che avvenne a Floreana,isola delle Galàpagos,nel 1934 con i protagonisti del romanzo molto simili a quelli della vicenda reale.

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 11:18 da francesca giulia


Incipit:
Lequel des deux hommes était arrivé le premier en cet endroit ? Et pourquoi choisir cet endroit-là plutôt qu’un autre ? En quoi était-il différent du terrain, la brousse y était moins dense qu’alentour et on sentait que c’était la qu’il fallait faire halte, et non ailleurs.
Le deux hommes, qui ignoraient mutuellement leur présence en ce moment, regardaient du même coté , vers la mer baignée de soleil où semblaient engluées les voiles d’une goélette. Puis il y eut ce frémissement ,cessèrent de fixer la mer et tournèrent la tête.
………………………………………………………………………….

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 11:19 da francesca giulia


Chi dei due era arrivato lì per primo?E perché scegliere proprio quel posto,anziché un altro?che cosa aveva di diverso dal terreno circostante?Difficile dirlo;eppure la sterpaglia era meno folta,per quanto riguarda il terreno, e si capiva che era là, e non altrove, che bisognava fermarsi. I due uomini, che in quel momento ignoravano l’uno la presenza dell’altro,guardavano nella stessa direzione, verso il mare inondato di sole su cui sembravano invischiate le vele di una goletta. Poi ci fu quel fremito che annuncia il risveglio di un dormiente, o il pigro stirarsi di un animale, ed entrambi smisero nello stesso istante di fissare il mare e si voltarono.

……………………………………………

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 11:20 da francesca giulia


La maestria di Simenon è di poiettarci fin dalle prime righe già in una atmosfera di mistero.Si affacciano nella mente del lettore le prime domande- che non è detto trovino sempre risposte- “chi saranno questi due uomini? E perchè sono in questo luogo? E senon si conoscono si incroceranno mai i loro destini?
Più tardi vorrei mettere una parte che mi piace molto dove da piccoli dettagli come una fotografia ci viene suggerito l’esatto stato d’animo della protagonista della storia.

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 11:24 da francesca giulia


Proiettarci, scusate.

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 11:24 da francesca giulia


Mi sono accorta che nella versione francese ho saltato qualche rigo:
Puis il y eut ce frémissement ….qui annonce qu’un dormeur va se reveille, ou qu’un animal va s’étirer, et le deux hommes, en même temps,……….cessèrent de fixer la mer et tournèrent la tête.

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 16:25 da francesca giulia


Brave, continuate a postare frammenti da commentare…
Giuseppe, grazie anche da parte mia. Amo le sorelle Bronte. JANE EYRE fu per me una fascinazione assoluta, anche grazie ai film da esso tratti…

Postato venerdì, 26 giugno 2009 alle 19:09 da Maria Lucia Riccioli


Grazie a te Maria Lucia di venire qui a trovarci,ti è piaciuto l’incipit di Simenon che ho messo?La parte che preferisco è:Puis il y eut ce frémissement qui annonce qu’un dormeur va se reveille, ou qu’un animal va s’étirer, et le deux hommes, en même temps,cessèrent de fixer la mer et tournèrent la tête.
La bravura di Simenon è, tra le altre cose, che riesce a calare il lettore immediatamente nell’atmosfera della storia,il tutto con un linguaggio fatto di pochi vocaboli e di uso comune,ma che sanno dare descrizioni fortissime.

Postato lunedì, 29 giugno 2009 alle 14:18 da francesca giulia


Come omaggio a Massimo e ai lettori di letteratitudine lascio una piccola poesia in tema estivo di Arthur Rimbaud:
SENSATION
Par les soirs bleus d’été, j’irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l’herbe menue:
Rêveur, j’en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.
Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l’amour infini me montera dans l’âme,
Et j’irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, – heureux comme avec une femme.
(Mars 1870)
SENSAZIONE
Nelle azzurre sere d’estate, io andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a pestare l’erba minuta:
Sognatore, io ne sentirò la frescura ai piedi.
Io lascerò che il vento bagni il mio capo nudo.
Io non parlerò, io non penserò a nulla:
Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
E io andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, – felice come se fossi con una donna.
(Marzo 1870)

Postato lunedì, 20 luglio 2009 alle 10:53 da francesca giulia


Per tutti gli appassionati che lo stanno votando nel LBA, l’incipit di The Professor of Desire,che ho finito di leggere mesi fa e sto ora tentando di leggere in originale per gustarne il ritmo e la scelta eccezionale dei termini utilizzati dall’autore nelle descrizioni dei personaggi come questo sopra descritto.

Postato martedì, 8 settembre 2009 alle 17:40 da francesca giulia


Temptation comes to me first in the conspicuous personage of Herbie Bratasky, social director, bandleader, crooner, comic, and m.c. of my family’s mountainside resort hotel. When he is not trussed up in the elasticized muscleman’s swim trunks which he dons to conduct rumba lessons by the side of the pool, he dressed to kill, generally in his two-tone crimson and cream-colored “loafer” jacket and the wide canary-yellow trousers that taper down to enchain him just above his white, perforated, sharpie’s shoes.

Postato martedì, 8 settembre 2009 alle 17:41 da francesca giulia


Carissima Francesca Giulia,
grazie per essere tornata qui ad “alimentare” questo spazio!:-)

Postato martedì, 8 settembre 2009 alle 20:40 da Massimo Maugeri


Inserisco la traduzione del brano riportato sopra tratto da Il professore di desiderio di P.Roth.(ed.Einaudi trad.N.Gobetti).
La tentazione viene a me per la prima volta nelle sgargianti vesti di Herbie Bratasky, intrattenitore, direttore d’orchestra, cantante sentimentale, comico e maestro di cerimonie nell’albergo dei miei genitori in una località turistica montana.Quando non è fasciato dai calzoncini elasticizzati da nuotatore professionista che sfoggia per condurre le lezioni di rumba sul bordo della piscina, si veste in pompa magna, cioè in giacca casual bicolore crema e cremisi, e pantaloni flosci giallo canarino che si stringono progressivamente fino a incatenarlo appena sopra le scarpe bianche traforate del baro di mestiere.

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 16:42 da francesca giulia


A parte che la trova una descrizione scoppiettante mi ha colpito il termine “dress to kill” che significa vestirsi per far colpo,( e non per uccidere…quello era Brian de Palma!),tradotto in maniera sublime con “si veste in pompa magna”. Che bella lingua l’inglese!Che ricchezza di termini pur nella semplicità di una frase come la costruisce Roth.

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 16:45 da francesca giulia


to tape down= assottigliarsi,ben tradotto con “che si stringono progressivamente”…praticamente i pantaloni affusolati fino alla cavilgia sopra alle scarpe bianche.Bisognerebbe sempre descrivere con questi particolari i propri personaggi,no?Fantastico questo H.Bratasky!!

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 16:53 da francesca giulia


Vorrei indugiare ancora su un piccolo brano di P.Roth.Si tratta del punto della storia in cui il protagonista Dave scambia confidenze sulla vita privata con l’amico Baumgarten, questo gli racconta di una volta in cui ha conosciuto una ragazza mentre curiosava tra i libri scontati (Tess dei d’Urbeville) e poi sono finiti a letto insieme nella casa di lei nell’East Side. Lei gli chiede di essere legata al letto e lui lo fa con del filo interdentale,poi và in bagno a cercare anfetamine, non trovandone scende a comprarne. Soltanto in quel momento,in strada e con lei nell’appartamento legata al letto mani e piedi,lui si accorge di non conoscere né il nome della ragazza né tantomeno l’indirizzo. Prova a rintracciarla in diversi palazzi della zona,bussando al citofono dove compare una J,poiché si ricorda vagamente che lei si chiama Jane,ma poi esausto rinuncia alla ricerca. Penserà per diversi giorni di aprire il giornale e trovare la notizia di una ragazza cadavere legata mani e piedi con del filo interdentale in un appartamento nell’East Side,ma poi stupefatto e incredulo la incontrerà all’ingresso di un cinema. Lei gli sorriderà dicendogli:”Che esperienza, amico!”.A questo punto il nostro protagonista chiede all’amico:
… dal testo :
“E’ successo davvero?”
“Dave, basta che esci in strada e rivolgi la parola alla gente. Succede di tutto.”
…………………………………………………………………….
“That all happened, huh?”
“Dave, just walk the streets and say hello to the folks. Everything happens.”
Vi salute con questa frase che mi piace tanto,sperando che non perdiamo noi tutti la capacità di parlare per la strada e scoprire ciò che potrebbe accadere.

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 17:20 da francesca giulia


I pantaloni di cui parlate sono quelli “a sigaretta”. Ci starebbe nella traduzione?
To tape down è bellissimo: con parole comuni ben combinate i significati sfumano… tape è nastro, vero? Quindi to tape down è fasciare, avvolgere come in un nastro fino ai piedi.

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 19:47 da Maria Lucia Riccioli


Cara Maria Lucia,che piacere leggerti qui!Sì praticamente è come se i pantaloni si avvolgessero letteralmente attorno alla gamba,credo che in gergo modaiolo si dica pure “skinny”,riguardo ai jeans ad esempio.Skinny, in realtà “simile alla pelle”.
un bacione a te!
carino Bratasky vero?

Postato sabato, 31 ottobre 2009 alle 19:55 da francesca giulia


Un piccolo omaggio al post sui corpi in letteratura,una delle più belle poesie di tutti i tempi,del grande poeta cileno Pablo Neruda.

Postato lunedì, 23 novembre 2009 alle 20:02 da francesca giulia


Cuerpo de mujer
Cuerpo de mujer, blancas colinas, muslos blancos,
Te pareces al mundo en tu actitud de entrega.
Mi cuerpo de labriego salvaje te socava
Y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.

Fui solo como un tùnel.De mi’ huìan los pàjaros,
y en mì la noche entraba su invasiòn poderosa.
Para sobrevivirme te forjé como un arma,
como una flecha en mi arco, como una piedra en mi honda.

Pero cae la hora de la venganza y te amo.
Cuerpo de piel, de musgo, de leche àvida y firme.
Ah los vasos del pecho !Ah los ojos de ausencia!
Ah las rosas del pubis ! Ah tu voz lenta y triste !

Cuerpo de mujer mìa, persistiré en tu gracia.
Mi sed, mi ansia sin lìmite, mi camino indeciso !
Oscuros cauces donde la sed eterna sigue,
y la fatiga sigue, y el dolor infinito.

Pablo Neruda “Veinte poemas de amor y una canciòn desesperada.”

Postato lunedì, 23 novembre 2009 alle 20:03 da francesca giulia


Corpo di donna

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo
nel tuo atteggiamento d’abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Sono stato solo come una galleria.
Da me fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava,
con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi tì ho forgiata come un’arma,
come una freccia al mio arco,
come una pietra nella mia fionda.

Ma cade l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell’assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo dì donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.

Postato lunedì, 23 novembre 2009 alle 20:03 da francesca giulia


Grazie, Fran… dobbiamo assolutamente ridare spazio a questo spazio :-) )

Postato lunedì, 23 novembre 2009 alle 23:43 da Massimo Maugeri


Oh mio dio, ma sono tutte quante la storia della mia vita!!!
Ci metterò secoli a leggervi tutti, ma so già che vi capisco PROFONDAMENTE.

Non so se è stato già scritto riguardo la “comune prassi” di tanti piccoli curatori editoriali e/o clienti…che dopo averti fatto lavorare, dopo avetti sfruttato fino al midollo, dopo essersi vantati del TUO lavoro con altri, alla fine per non pagarti ti informano che “la tua traduzione in fondo non è piaciuta gran che”.
E tu ci resti di m*** e non capisci come ciò sia possibile….salvo poi scoprire che alla fine ti pubblicano lo stesso (alla faccia del cattivo lavoro!) con tanti complimenti all’editore ma senza il becco di un quattrino per te.

A me è successo 2 volte. E mò basta!!!!

Postato lunedì, 7 dicembre 2009 alle 12:15 da GRAZIA


Ti sono riconoscente per questa tua testimonianza, cara Grazia.
Torna a intervenire anche qui, se puoi. Magari Francesca Giulia (se mi legge) ti spiegherà come questo post si è trasformato in una sorta di laboratorio aperto sulle traduzioni.

Postato lunedì, 7 dicembre 2009 alle 13:06 da Massimo Maugeri


@Grazia è bello che proprio tu,una vera traduttrice sia passata da questo spazio,grazie e spero che tu abbia il tempo e il piacere di tornare a scrivere e leggere,questo “laboratorio di traduzioni” nato dalla generosità di Massimo e dalla passione per la letteratura che ha spinto me e Roberta a dare impulso al post sull’importanza del ruolo del traduttore e sul libro Il mestiere di riflettere di Azimut.E’ nato tutto molto spontaneamente e con semplicità,a seguito della bella discussione improntata da Massimo, cui hanno partecipato-se leggi più dietro nei mesi- molti traduttori e appassionati del mestiere.Non c’è pretesa di un fare professionale nè presunzione di insegnare,soltanto la gioia di condividere riflessioni su pagine della letteratura in diverse lingue europee,(marginalmente anche sul giapponese) e ragionare insieme sulla scelta dei termini,sulla musicalità di versi e parole,sul bellissimo e assolutamente necessario “mestiere di riflettere” di voi traduttori.Spesso si sono aggiunte considerazioni di semplici lettori del blog,come del resto sono io, ed ognuno ha apportato qualcosa della propria esperienza di lettore.
ho visitato il tuo blog,mi è piaciuto,ho visto che è neonato,ma ho provato gioia incontrando una bella poesia di Neruda,poeta più volte inserito anche su questo post delle traduzioni,spero vorrai dialogare qualche volta con me e con chi vorrà leggerci.
@Massimo un abbraccio a te!

Postato lunedì, 7 dicembre 2009 alle 22:32 da francesca giulia


@Grazia non ultimo un grande in bocca al lupo per il tuo lavoro,importantissimo e NECESSARIO per noi tutti,non farlo mettere in dubbio da nulla e da nessuno,mai.
Un abbraccio!

Postato lunedì, 7 dicembre 2009 alle 22:34 da francesca giulia


Cara Francesca Giulia,
quando mi hai definita “una vera traduttrice” quasi quasi piangevo.
E’ vero, mi reputo una “vera” traduttrice perchè:
1) adoro questo lavoro
2) è l’unica cosa che so fare
3) traduco da dieci anni

Però molto spesso fatico a riconoscere in questo un vero lavoro perchè molte volte non ti pagano, oppure gettano fango sul tuo nome e sulla tua fatica per beccarsi loro tutti i meriti, perchè anche quando ti pagano è sempre troppo poco per vivere e se non arrotondi con altri lavori non campi…Infine perchè tradurre manuali tecnici non dà soddisfazione come tradurre letteratura. E diventare traduttore letterario è così difficile che spesso mi viene di mollare tutto.

Però l’esperienza della fiera di Roma mi ha incoraggiata. E in ogni caso, non so resistere più di 4 giorni senza tradurre qualcosa…
Forse in questo senso sì, mi sento una vera traduttrice.
^_^

baciotto

Postato martedì, 8 dicembre 2009 alle 14:36 da GRAZIA


Cara Grazia,
thank you very much per il tuo commento.
Rimani da queste parti, se puoi e hai piacere…
Magari, se ti va, insieme a Francesca Giulia potremmo provare a rilanciare questo spazio/laboratorio dedicato alle traduzioni.

Postato martedì, 8 dicembre 2009 alle 20:33 da Massimo Maugeri


@ Francesca Giulia
Cara Fran, da’ un’occhiata su…
Ho aggiornato l’incipit del post. :-) )

Postato martedì, 8 dicembre 2009 alle 20:43 da Massimo Maugeri


@Massimo carissimo grazie,sono felice di contribuire ad uno stimolo prezioso di condivisione e spero che Grazia voglia intervenire con le sue competenze appena ci sarà l’occasione giusta.
Sto già pensando a cosa inserire domani e nei prossimi giorni…
baci

Postato martedì, 8 dicembre 2009 alle 23:31 da francesca giulia


Sì, sì, certo che rimango attaccata qui ^_^

Intanto, avendo appena terminato due lavori di traduzione lunghi mesi, mi sono già messa alla ricerca di altre opportunità traduttive (e purtroppo anche di altri lavori part-time, per fare un po’ di guadagno…)

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 11:15 da GRAZIA


Si parla di bambini, nell’altro post un dibattito delicato e doloroso,ma necessario come hanno sottolineato gli amici Simona e Massimo,qui vorrei fare omaggio agli adulti, che cercano di sondare il misterioso mondo dell’infanzia, di una piccola intensa storia.

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 16:29 da francesca giulia


Nel 1963 l’autore e illustratore americano Maurice Sendak pubblica “Nel paese dei mostri selvaggi”. E’ la storia di Max, che una sera in casa combina una birichinata. Per punizione, la mamma lo spedisce a letto senza cena. Nella sua camera, , il bambino Max vola con l’immaginazione e crea una specie di giungla,poi intraprende un viaggio avventuroso verso il Paese delle creature selvagge. Max domina queste orrende creature e ne diventa il Re. Alla fine però decide di tornare a casa,dove vedrete, troverà la sua cena ad aspettarlo.
Questo libro divenne un classico per l’infanzia di tutto il mondo. Qualche anno fa, il regista di culto Spike Jonze ha deciso di trasformare quella storia in un film e ha chiesto a Dave Eggers di lavorare alla sceneggiatura. Dal suo lavoro con Jonze è nato un romanzo: “Le creature selvagge” : una favola per lettori di tutte le età piena di magia e di avventura.
Vi riporto l’inizio della storia originale scritta e illustrata dalla penna magica e ricca di fantasia di Sendak,mi piacerebbe mostrarvi anche le illustrazioni che trovo meravigliose,ma non so come inserirle. Sono disegni meravigliosi,ma è interessante secondo me, anche il linguaggio usato per raccontare una storia breve e che a prima vista appare più semplice di quanto in profondità non sia.

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 16:29 da francesca giulia


The night Max wore his wolf suit and made mischief of one kind
And other
His mother called him “wild thing!” and Max said “I’ll eat you up”
So he was sent to bed without eating anything.
That very night in Max’s room a forest grew.
And grew.
And grew until his ceiling hung with vines and the walls became the world all around
And an ocean tumbled by with a private boat for Max and he sailed off trough night and day.
And in and out of weeks and almost over a year
To where the wild things are.
And when he came to the place where the wild things are they roared their terrible roars and gnashed their terrible teeth and rolled their terrible eyes and showed their terrible claws.

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 16:30 da francesca giulia


mischif=birichinata,monelleria.
E’ un termine che non ho incontrato spesso.
Wild thing è tradotto con “creatura selvaggia” anche nel titolo del film in Italia. Pensiamo a quante possibilità ha il termine “thing” che normalmente riferiamo a cose,in questo caso “bestiola,animale”.Più liberamente creatura.
Eat up=finire di mangiare,ma anche inteso come “consumare” “to consume”.Io in questo caso interpreterei anche come “divorare”.
a più tardi …un altro pezzetto di storia.

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 16:39 da francesca giulia


Altro termine bellissimo anche da pronunciare: Gnash= digrignare.
claws=artigli. ma anche chela,pinza (e tecnicamente parlando “branca” “dispositivo”,ma non in questo caso dove è chiaramente riferito agli artigli delle creature selvagge).

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 16:43 da francesca giulia


La parola esatta è “mischief” e come giustamente hai scritto tu indica monelleria, birichinata ma anche furbizia…nel senso cattivello del termine

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 19:43 da GRAZIA


@Grazia oh sì nella foga ho mancato la e, grazie di essere passata!Per fortuna nel testo è esatta! :-)
Ti piace “gnash”?

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 22:12 da francesca giulia


Cara Francesca Giulia,
grazie per i tuoi nuovi spunti…
Non so se hai visto: nella colonna di sinistra del blog – sotto il pulsante della rubrica dedicata a “letteratura e fumetti” – ce n’è uno nuovo…
L’avevi notato?

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 23:54 da Massimo Maugeri


Un saluto a Grazia.

Postato mercoledì, 9 dicembre 2009 alle 23:55 da Massimo Maugeri


@Massimo ho notato soltanto stamattina…Grazie davvero,è una gioia per me e una grande opportunità per imparare in compagnia tante cose nuove.
Apprezzo moltissimo-non solo perchè sia rivolta a me è inteso!-la tua grande generosità la tua voglia di condividere spazi e tempo,trovo che sia sinceramente cosa rara nel mondo letterario,in cui per lo più si cerca una luce che illumini il proprio spazio personale,per non parlare della vita di ogni giorno dove il semplice ascolto altrui è fuori uso da un bel pezzo fra gli esseri umani.(Che fossimo entrati senza accorgercene nel “paese delle creature selvagge”?!)
un abbraccio forte

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 09:55 da francesca giulia


Sì, gnash mi piace un sacco…rende proprio l’idea del rumorino che fanno i denti quando si digrignano (brrrr…impressioooone!^,^)

Mi piaciono le parole inglesi quando richiamano un suono che esiste davvero nella realtà, come “cough” (tossire), “chomp” (masticare), “burp” (ruttare)

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 11:18 da GRAZIA


@Grazia sarebbe interessante comparare varie voci onomatopeiche dell’italiano con quelle inglesi.
Es. a chicchirichì corrisponde l’inglese cock-a-doo-dle-doo; Ti risulta corretto?Ne conosci altre?
p.s.”burp” è fantastico,poi alcune voci onomatopeiche verbali richiamano immediatamnete alla mente il linguaggio fumettistico, n’est pas?

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 11:34 da francesca giulia


@Grazia
sempre il gallo in giapponese “ko-ke-kok-ko-o”……
:-)

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 11:39 da francesca giulia


Francesca…. a me piace tantissimo anche la parola tedesca TSCHUSS. Significa “ciao” anche se a me ricorda di più uno starnuto!!!
ahahhaahha

E poi adoro la parola italiana SCIABORDIO …(=splash, in inglese) , mi ricorda perfettamente il rumore del mare quando striscia sulla riva di una spiaggia.

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 15:30 da GRAZIA


Grazie a te, cara Fran.
Un abbraccio forte a te e a Grazia… che si è unita alla band. ;-)

Postato giovedì, 10 dicembre 2009 alle 21:00 da Massimo Maugeri


Big hug to Massimo and Fran!
Don’t need any translation…hahahah :)

Postato sabato, 12 dicembre 2009 alle 16:31 da GRAZIA


@Grazia e Massimo
che dirvi?con tutti questi abbracci mi commuovo!!
veniamo al verbo “to Hug”=abbracciare,stringere fra le braccia,ma anche a livello figurato- e mi piace molto- rimanere fedeli a …,rimanere attaccati a ….
To hugh to oneself= congratularsi con se stessi.
per concludere, ma se Grazia ci aggiunge qualche altro significato non può che farci piacere,”to hugh the curve”= prendere la curva stretta!!
Ve li vedete quelli della formula uno che “abbracciano” le curve?
Carino l’inglese eh?!
p.s.Cara Grazia purtroppo il tedesco non lo conosco,ma forse rimedierò presto:mi iscrivo ad un corso,così potrò leggere le poesie di Rilke in originale e assaporarne meglio il gusto del ritmo!E’ da tanto tempo che volgio studiarlo…ah, averle nove vite come i gatti che tanto amo…sai quante cose si potrebbero fare ??
kisses

Postato sabato, 12 dicembre 2009 alle 18:58 da francesca giulia


A Francesca un grande Hug con Grazia… Augh! :-)

Postato domenica, 13 dicembre 2009 alle 18:57 da Massimo Maugeri


Subito fatto!!!
To hug the wind = serrare il vento

Io di tedesco so pochissimo. L’ho studiato 3 anni all’università e quasi del tutto rimosso per stress, subito dopo!!! XD

Postato lunedì, 14 dicembre 2009 alle 15:28 da Grazia


Questa canzone è stata scritta nel 1971 da John Lennon e la moglie Yoko Ono, Happy Xmas (War Is Over) è una canzone di protesta contro la guerra in Vietnam,ciò che è impressionante è che un testo di 38 anni fa sia ancora così attuale, oltre che meraviglioso naturalmente dal punto di vista musicale. Pensiamo che ancora oggi,abbiamo tanti Vietnam in molte parti del mondo,mentre noi paesi opulenti festeggiamo il Natale,in tanti angoli della terra si fanno le guerre. Una minuscola riflessione da condividere con voi. Un grande abbraccio a tutti,anche a chi non ha nell’animo la festa.
Testo:
So this is Christmas
And what have you done
Another year over
And a new one just begun
And so this is Christmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear

And so this is Christmas
For weak and for strong
For rich and the poor ones
The world is so wrong
And so happy Christmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let’s stop all the fight
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear
And so this is Christmas
And what have we done
Another year over
And a new one just begun
And so this is Christmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear
War is over
If you want it
War is over
Now…

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 17:43 da francesca giulia


Traduzione:
E così è arrivato il Natale,
e tu cosa hai fatto?
Un altro anno se n’è andato
e uno nuovo è appena iniziato.
E così è Natale,
auguro a tutti di essere felici
alle persone vicine e a quelle care
ai vecchi ed ai giovani.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
E così è Natale,
per i deboli ed i forti,
per i ricchi ed i poveri,
il mondo è così sbagliato.
E così è Natale,
per i neri ed i bianchi,
per i gialli ed i rossi,
smettiamola di combattere.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
E così è Natale,
con tutto quello che è successo.
Un altro anno se n’è andato
e uno nuovo è appena iniziato.
E così è Natale,
auguro a tutti di essere felici
alle persone vicine e a quelle care
ai vecchi ed ai giovani.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
La guerra è finita
Se tu lo vuoi
La guerra è finita
La guerra è finita, adesso.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 17:44 da francesca giulia


Ho scelto, fra i tanti,anche fra quelli molto duri da sostenere, il filmato che con il volto dei ragazzi che cantano mi pare più un segno di speranza.
http://www.youtube.com/watch?v=hb2YSAVHmIE&feature=related

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 17:45 da francesca giulia


Let’s hope it’s a good one without any fear…
Quei ragazzi che cantano mi mettono addosso tanta commozione e speranza.
I giovani, i bambini, i deboli, i fragili… la bellezza salverà il mondo. Non con squilli di tromba, forza e potenza, ma con il vagito di un bambino. Come quello che nascerà stanotte.

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 18:02 da Maria Lucia Riccioli


Sì, Maria Lucia,la speranza non deve mai morire come il sogno non ci deve mai abbandonare.
A te un grande bacione!!!

Postato giovedì, 24 dicembre 2009 alle 18:04 da francesca giulia


Come giustamente ha sottolineato Dacia Maraini in uno dei suoi gentili interventi sul post dedicato al suo ultimo libro,il cinema ha sempre molto assorbito dalla letteratura,spesso dall’ottima letteratura e, a mio parere, non sempre creando altre opere di pari bellezza. Circa un mesetto fa sono andata al cinema a vedere l’ennesimo remake di uno dei capolavori della letteratura mondiale “Il Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. Lo sapevo che mi avrebbe delusa,però mi sono lasciata l’opportunità di valutare apertamente,anche perché c’era nel cast Colin Firth che non mi dispiace affatto come attore. Dunque tralasciando le parti in cui la pellicola appare più come un film horror e assume tratti addirittura grotteschi perdendo tutto il fascino del racconto,mi è venuta di nuovo la voglia di rileggere il libro. Vi propongo uno dei brani più belli,il finale in cui Dorian ormai distrutto dagli interrogativi sulla vita dissoluta che conduce,spera di iniziare una vita nuova distruggendo il ritratto da cui tutto è cominciato.

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 16:07 da francesca giulia


……………………..He would destroy it. Why had he kept it so long? Once it had given him pleasure to watch it changing and growing old.Of late he had felt no such pleasure.It had kept him awake at night.When he had been away, he had been filled with terror lest other eyes should look upon it. It had brought melancholy across his passions. Its mere memory had marred many moments of joy. It had been like conscience to him. Yes, it had been conscience. He would destroy it.
He looked round and saw the knife that had stabbed Basil Hallward. He had cleaned it many times, till there was no stain left upon it. It was bright and glistened. As it had killed the painter, so it would kill the painter’s work, and all that that meant.It would kill the past, and when that was dead, he would be free. It would kill this monstrous soul-life, and without its hideous warnings, he would be at peace. He sezeid the thing, and stabbed the picture with it. There was a cry heard, and a crash. The cry was so horrible in its agony that the frightened servants woke and crept out of their rooms…
……………………..

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 16:08 da francesca giulia


……………………..
L’avrebbe distrutto.Perchè mai l’aveva conservato così a lungo?Un tempo gli dava piacere contemplarne la trasformazione e l’invecchiamento. Ultimamente non provava più tanto piacere. Lo teneva sveglio durante la notte. Quando era stato lontano era stato invaso dal terrore che altri occhi l’avessero potuto osservare. Aveva gettato una malinconia sulle sue passioni.Il suo mero ricordo aveva rovinato molti momenti di gioia.Sì, era stato la sua coscienza. Doveva distruggerlo.
Si guardò intorno e vide il coltello che aveva accoltellato Basil Hallward.Lo aveva pulito molte volte, fino ad eliminarne ogni macchia da sopra.Era lucido e splendente.Così come aveva ucciso il pittore, ora avrebbe ucciso il lavoro del pittore,e tutto ciò che questo rappresentava.Avrebbe ucciso il passato, e morto questo, lui sarebbe diventato libero.Avrebbe ucciso questa orrenda vita dell’anima, e privo dei suoi esecrabili ammonimenti, avrebbe trovato la pace.
Afferrò il coltello, e con esso colpì il ritratto. Si udì un urlo, e poi uno schianto.L’urlo di agonia fu tanto terribile, che i servitori spaventati si svegliarono e sgusciarono fuori dalle loro stanze………………………………….
……………………………………………
Trad. di Francesca G.Marone

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 16:10 da francesca giulia


Secondo voi è possibile cancellare,in qualche modo, il nostro passato?Oppure da qualche parte esiste per tutti noi un “ritratto” che è lì proprio per ricordarcene i segni?E poi, mi chiedo,cosa saremmo senza il passato,brutto o bello che sia?
Perciò,banalità del pomeriggio, secondo me, vanno tenute anche le rughe,ci parlano di noi e di quanto abbiamo riso e pianto nella vita passata.
:-)
un caro saluto a chi da qui passerà.

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 16:14 da francesca giulia


“Riguardo a questa frase:the knife that had stabbed Basil Hallward
In realtà sarebbe più corretto in italiano dire “il coltello con cui aveva accoltellato…” oppure come in molte traduzioni “il coltello che aveva ucciso…”, ma to stab = pugnalare,accoltare,dare delle fitte,trafiggere,perciò “uccidere” lo trovo un pochino generico in questo caso.(In senso figurato anche “rimordere,pungere”.)
N.B.He sezeid the thing, and stabbed the picture with it=Afferrò “la cosa” inteso come coltello,forse il fatto di denominarlo thing lo rende più mistrioso e violento come strumento utilizzato per uccidere.

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 17:49 da francesca giulia


Cara Francesca Giulia, grazie per i tuoi splendidi contributi…
Interessanti le domande che poni. Le metto in evidenza:
è possibile cancellare,in qualche modo, il nostro passato? Oppure da qualche parte esiste per tutti noi un “ritratto” che è lì proprio per ricordarcene i segni? E poi, mi chiedo, cosa saremmo senza il passato, brutto o bello che sia?

Postato mercoledì, 20 gennaio 2010 alle 23:40 da Massimo Maugeri


Ciao Francesca,
scusa la lunga assenza….è che, tanto per cominciare, è difficile ogni volta andare a ripescare questo spazio in mezzo ai mille compresi in Letteratitudine e mi confondo sempre!!! ^_^
Secondo, sono sempre alla fresca ricerca di lavori, vecchi e nuovi, perchè come ti dicevo la traduzione RARAMENTE paga…e uno si deve dare da fare in mille modi.

Per quel “returning birds” che mi dicevi, sì, ho tradotto UCCELLI MIGRATORI per cercare di rispettare la “cortezza” di un Haiku.

Postato mercoledì, 27 gennaio 2010 alle 10:03 da GRAZIA


PS – MA STAI TRADUCENDO DORIAN GRAY??? °__°
Io l’ho fatto due anni fa.
Se mi scrivi in privato di dico un paio di cose, spero tu non sia caduta nella mia stessa trappola con una certa persona….

marzouno at libero.it)

Postato mercoledì, 27 gennaio 2010 alle 10:05 da GRAZIA


un piccolo omaggio per gli appassionati del genere, visto che nel post attuale si parla di vampiri,il trailer originale di Twilight:
http://www.youtube.com/watch?v=P90WZbNGuDw&feature=related

Postato martedì, 2 marzo 2010 alle 10:06 da francesca giulia


trovo che la Meyers abbia colto nel segno:parlare d’amore e morte,tema mitico della letteratura mondiale,ai giovani facendoli appassionare con originalità.Di seguito alcuni brani tratti da Twilight e la traduzione.
Siamo nei primi capitoli,quando Bella incontra Edward e ne resta affascinata incomprensibilmente.
“I felt a surge of pity, and relief. Pity because, as beautiful as they were, they were outsiders, clearly not accepted. Relief that I wasn’t the only newcomer here, and certainly not the most interesting by any standard.”
Bella Swan, Twilight, Chapter 1, p.22Provai compassione e sollievo.Compassione perchè, belli com’erano restavano degli emarginati,chiaramente non accettati.Sollievo perché io non ero l’unica nuova arrivata qui,e sotto nessun punto di vista nemmeno la più interessante.
“I’d noticed that his eyes were black – coal black.”
Bella Swan, Twilight, Chapter 1, p.23
Mi ero accorta che i suoi occhi erano neri- di un nero come il carbone.

“I peeked up at him one more time, and regretted it. He was glaring down at me again, his black eyes full of revulsion. As I flinched away from him, shrinking against my chair, the phrase if looks could kill suddenly ran through my mind.”
Bella Swan, Twilight, Chapter 1, p.24
Sbirciai ancora verso di lui,e me ne pentii. Lui mi stava squadrando di nuovo,i suoi occhi neri colmi di disprezzo.Mentre mi tiravo indietro, schiacciandomi contro la sedia, la frase che improvvisamente mi venne alla mente fu:se gli sguardi potessero uccidere.
la traduz. è mia.

Postato martedì, 2 marzo 2010 alle 10:11 da francesca giulia


Salve a tutti!
Sono una ragazza laureata in Lettere che, di fronte alla difficile scelta della laurea specialistica, ha deciso un anno fa di abbandonare con immenso dispiacere i suoi studi di letteratura comparata per scegliere la traduzione letteraria. In realtà la traduzione è forse l’apoteosi della comparatistica, e forse anche per questo mi piace. La traduzione è una sfida continua, logorante, un lavorio della mente che raramente ci lascia soddisfatti… soprattutto quando si è perfezionisti. E i traduttori sono tutti perfezionisti, necessariamente.
Si parla raramente di traduzione, ed è un piacere leggere i vostri commenti. Vorrei dire a Francesca Giulia che quella poesia di Rimbaud è la mia preferita, e che io ho tradotto questa:

Ma bohème
(Faintasie)
Je m’en allais, les poings dans mes poches crevées;
Mon paletot aussi devenait idéal;
J’allais sous le ciel, Muse! et j’étais ton féal;
Oh! là là! que d’amours splendides j’ai rêvées!
Mon unique culotte avait un large trou.
Petit-Poucet rêveur, j’égrenais dans ma course
Des rimes. Mon auberge était à la Grande-Ourse.
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou
Et je les écoutais, assis au bord des routes,
Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes
De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;
Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,
Comme des lyres, je tirais les élastiques
De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!

La mia bohème
(Fantasia)
Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;
Persino il mio paltò diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! e ti ero fedele;
Oh! quanti splendidi amori ho sognato!

I miei unici calzoni avevano un gran buco.
Pollicino sognante, nella corsa sgranavo
Rime. L’Orsa Maggiore era il mio rifugio.
Nel cielo le mie stelle avevano un dolce fruscio

E io le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade,
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte come vino vigoroso;

In cui, rimando tra fantastiche ombre,
come fossero lire tiravo gli elastici
delle mie scarpe ferite, un piede accanto al cuore!

Postato mercoledì, 17 marzo 2010 alle 19:06 da Diletta


Carsissima Diletta,mi fa molto piacere che tu abbia letto qualcosa del mio spazio,sono lieta che la poesia che ho scelto di Rimbaud sia la tua preferita,se hai qualche altro brano da suggerire sei la benvenuta!Anzi,ora che sei passata da qui spero che vorrai tornare più spesso a trovarci e a proporre le cose che più ti piacciono.Per i tuoi studi hai fatto una scelta ma nulla esclude che alle proprie passioni ci si possa dedicare al di là delle scelte e gli indirizzi professionali o di studio.Io personalmente,in passato ho fatto tante scelte che mi hanno portata lontano da ciò che mi indicava il cuore e i sogni, ma l’età mi ha fatto capire che esiste sempre tempo per dedicarsi a ciò che si ama.Grazie mille per la bella poesia che hai inserito.
“un doux frou-frou” è delicatissimo!
un abbraccio

Postato mercoledì, 17 marzo 2010 alle 20:47 da francesca giulia


Cara Diletta, benvenuta tra noi!
Mi unisco all’invito di Francesca… torna a intervenire (sia qui che negli altri post).

Postato mercoledì, 17 marzo 2010 alle 22:29 da Massimo Maugeri


Grazie di cuore del vostro benvenuto!
Trovo questo blog molto interessante, pian piano sto leggendo i post, anche non recenti, ed è una ventata di ossigeno leggere le parole di tanti appassionati di letteratura tutti insieme! Per me non è mai stato facile trovare interlocutori del genere, anche in facoltà, lì dove si crede di trovare gente che abbia fatto una scelta consapevole, voluta, desiderata, la gran parte degli studenti che ho incontrato sul mio percorso hanno poco di consapevole, e soprattutto sono tutt’altro che animati da quella passione che vedo in me e in voi.
Francesca Giulia hai ragione a dire che si possono coltivare le proprie passioni al di là delle scelte accademiche! Spero davvero di averne il tempo prima o poi… o chissà magari un giorno deciderò di conseguire una seconda laurea specialistica! ;)
Complimenti Massimo per il blog, le idee, gli stimoli!
Un caloroso saluto a tutti

Postato lunedì, 22 marzo 2010 alle 10:06 da Diletta


Si parla di padri e figli sul post “principale”.
Dedico a tutti gli amici di Letteratitudine una meravigliosa canzone di Cat Stevens che ci racconta di un dialogo in cui il padre dice al figlio che non comprende perchè questo desidera una nuova vita e il figlio non sa trovare le parole giuste per spiegare al padre i suoi intimi desideri.Fa parte del suo album del 1970 Tea for the Tillerman.Stevens è talmente bravo che cambia registro di voce qando impersonifica il padre e poi il figlio.Ne hanno fatto cover e versioni diverse, Sandie Shaw,Johnny Cash,e persino Rod Stewart.Io lo ricordo nell’età della prima adolescenza,e caso strano,se lo canto mi tornano in mente tutte le parole perfettamente.Spero di farvi cosa gradita.

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 20:42 da francesca giulia marone


Father And Son

Father:
It’s not time to make a change
Just relax, take it easy
You’re still young, that’s your fault
There’s so much you have to know
Find a girl, settle down
If you want, you can marry
Look at me, I am old
But I’m happy

I was once like you are now
And I know that it’s not easy
To be calm when you’ve found
Something going on
But take your time, think a lot
I think of everything you’ve got
For you will still be here tomorrow
But your dreams may not

Son:
How can I try to explain
When I do he turns away again
And it’s always been the same
Same old story
From the moment I could talk
I was ordered to listen
Now there’s a way and I know
That I have to go away
I know I have to go

Father:
It’s not time to make a change
Just sit down and take it slowly
You’re still young that’s your fault
There’s so much you have to go through
Find a girl, settle down
If you want, you can marry
Look at me, I am old
But I’m happy

Son:
All the times that I’ve cried
Keeping all the things I knew inside
And it’s hard, but it’s harder
To ignore it
If they were right I’d agree
But it’s them they know, not me
Now there’s a way and I know
That i have to go away
I know I have to go

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 20:43 da francesca giulia marone


Padre e figlio

Padre:
Non è tempo di cambiare
Rilassati, prendila con calma
sei ancora giovane, questa è la tua colpa
Hai ancora molte cose da conoscere
trovare una ragazza, sistemarti,
se vuoi puoi sposarti
Guarda me, sono vecchio,
ma sono felice

una volta ero come sei tu ora,
e so che non è facile
Rimanere calmi quando hai trovato
qualcosa che va
ma prendi il tuo tempo, pensa a lungo
Perché, pensa a tutto quello che hai avuto.
Per te sarà ancora qui il domani,
ma forse non i tuoi sogni.

Figlio:
Come posso provare a spiegare,
quando lo faccio, si volge altrove di nuovo
È sempre la stessa vecchia storia
Dal momento in cui potevo parlare,
mi fu ordinato di ascoltare
Ora c’è una strada e so
che devo andarmene
So che devo andare

Padre:
non è tempo di cambiare
Siediti, prendila con calma
sei ancora giovane, questa è la tua colpa
Ci sono ancora molte cose da affrontare
trovare una ragazza, sistemarti,
Se vuoi puoi sposarti
Guarda me sono vecchio,
ma sono felice

Figlio:
tutte le volte che piansi,
tenendo tutto dentro di me
È dura, ma è anche dura
ignorare tutto
Se avevano ragione, ero d’accordo,
ma sono loro che tu conosci, non me
Ora c’è una strada e io so
che devo andarmene
So che devo andare

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 20:44 da francesca giulia marone


http://www.youtube.com/watch?v=Jek6iP6AuAQ

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 20:45 da francesca giulia marone


Questa è la versione originale, a me piace molto anche quella più intima che ho messo su.
http://www.youtube.com/watch?v=Q29YR5-t3gg&feature=related

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 21:01 da francesca giulia marone


Grazie, Fran. Stupenda!

Postato lunedì, 17 maggio 2010 alle 21:38 da Massimo Maugeri


Ecco una piccola, forse banale definizione, anche se è riduttivo concentrare cosa significa essere un uo traduttore:

Il traduttore ideale deve amare leggere e scrivere.
Tradurre, infatti, consente di compiere con cura e dedizione entrambe le attività.
Quando si legge, si cerca di capire e sentire il mondo dell’autore, di farvene parte.
Tradurre significa ricreare quel mondo per offrirlo a chi non è in grado di accedervi mediante la lingua originale.

Postato venerdì, 10 settembre 2010 alle 16:07 da elisabetta bertinotti


Cara Elisabetta, grazie per il tuo commento e per l’amore che hai per i libri e per le traduzioni (come traspare da quello che scrivi).

Postato venerdì, 10 settembre 2010 alle 21:58 da Massimo Maugeri


Sì, Elisabetta, in effetti è così come dici tu. Infatti è difficilissimo rendere in una lingua diversa un testo originale. Quest’anno ho visto due film su due poeti diversi, anzi DIVERSISSIMI: John Keats e Allen Ginsberg. In entrambi i film (quello su Keats è un film di Jane Campion, bellissimo; quello su Ginsberg non è così bello, però “serve” perché ci parla della Beat Generation, così ce la ricordiamo) si sentivano i versi in italiano, ma non erano così belli come gli originali. Anche se Ginsberg può non piacere, comunque in americano il suo “Urlo” è diverso.
Tu sei un’appassionata di traduzione? O sei una traduttrice?

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 00:33 da roberta


Cara Elisabetta è vero ed è bello ciò che dici, ma spesso la domanda che mi pongo e che tanti prima di me si sono posti è: in questo atto di leggere e scrivere il traduttore deve scomparire per incarnare altro da sè- cioè il pensiero e la volontà espressiva dell’autore- o può comparire con il suo essere e interpretare mentre legge e scrive? Se così fosse il traduttore stesso non sarebbe un mezzo o un tramite per conoscere ma egli stesso un autore che a tutti gli effetti crea. Grazie di essere passata da qui, intervieni quando vuoi anche con qualche proposta di traduzione.
un abbraccio

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 00:37 da francesca giulia marone


@Roberta? la “nostra” storica Roberta?
un bacione grande grande

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 00:39 da francesca giulia marone


Da “Ode to a Nightingale” di John Keats:
“Darkling I listen; and, for many a time
I have been half in love with easeful Death,
Call’d him soft names in many a mused rhyme,
To take into the air my quiet breath;
Now more than ever seems it rich to die,
To cease upon the midnight with no pain,
While thou art pouring forth thy soul abroad
In such an ecstasy! “

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 00:51 da roberta


Ecco la traduzione (non mia, naturalmente. L’ho trovata su Wikipedia):

“All’oscuro io ascolto; e ben molte volte
son io stato a mezzo innamorato della confortevole Morte
e l’ho chiamata con soavi nomi in molte mediate rime
perché si portasse nell’aria il mio tranquillo fiato;
ora più che mai sembra delizioso morire,
aver fine sulla mezzanotte, senza alcun dolore,
mentre tu versi fuori la tua anima intorno
in una tale estasi!”

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 00:56 da roberta


@sì, sono io. Ciao Franci, un bacione anche a te. Stasera ho visto il film su Allen Ginsberg (URLO) e, spinta dalle considerazioni di Elisabetta, mi è venuto in mente l’assurdo paragone tra Keats e Ginsberg (ma non per altro: perché hanno fatto due film sui due poeti..)
@Elisabetta
Vedi il terzo verso di questa strofa (che è la VI) anche se in italiano c’è la ripetizione della lettera “m” ( “molte mediate rime”) non rende la musica del verso inglese ( “many a mused rhyme”) se lo leggi ad alta voce.
Ma questa che ho scritto è una cosa scontata.. mi pare.

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:01 da roberta


@Francesca
é proprio questo il nocciolo della questione.. lo abbiamo affronato l’anno scorso anche con numerose citazioni ( guarda quelle di Attilio Brilli). L’ideale sarebbe non re-interpretare ed essere il più possibile fedeli al testo. Se diventa qualcos’altro, allora si è “tradito” lo scrittore che si traduce. Infatti sono due “mestieri” diversi il traduttore e lo scrittore; e, mentre lo scrittore può essere ANCHE un traduttore, il contrario (forse) non è possibile… (oppure sì.. Boh??)

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:07 da roberta


“Nelle tenebre ascolto, e per tante volte
ho quasi amato la Morte indolore,
chiamandola con nomi delicati in tanti versi ispirati
perché nell’aria portasse il mio lieve respiro;
Ora più che mai, sembra dolce morire
a mezzanotte cessare senza alcuna sofferenza,
mentre tu la tua anima riversi attorno,
in una tale estasi!”
Io avrei tradotto così…..
Rob cara c’è anche l’assonanza fra “time” e “rhyme” come una rima alternata che in italiano non rende. Ma certo la musicalità è fondamentale nei versi.

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:09 da francesca giulia marone


@Roberta sì, però io non parlerei “tradimento”,l’ideale sarebbe -soprattutto nella poesia- rendere nel modo migliore nella propria lingua ciò che è stato dall’autore nella sua lingua, se questo obiettivo di rendere al meglio comporti una percentuale di cosiddetto tradimento secondo me è secondario.L’altro rischio è essere assolutamente fedeli all’originale ma donare a chi legge la versione tradotta una bruttura perchè non ci si è avventurati a cercare migliorie nella propria lingua.Rispettando la natura intrinseca dell’espressione dell’autore, Mangiarlo, ruminarlo, digerirlo e restituirlo . Facciamo finta che il traduttore sia un medium che cade in trance e fa passare attraverso il suo corpo lo spirito dell’autore per farlo parlare agli altri.E’ fedele?Non so ma credo che sia l’immagine migliore che io abbia nella testa per un traduttore.

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:25 da francesca giulia marone


Non ho letto tutto il testo di Ginsberg, ma anche per questo long poem so che esiste una mirabile traduzione di Fernanda Pivano (che ha fatto conoscere in Italia gli scrittori della Beat Generation). Certo è così lontano da Keats nello stile; e anche nelle tematiche. Ma è sufficiente un verso, anche qui, per capire cosa stiamo dicendo!
HOWL- parte II
“What sfinx of cement and aluminium bashed opened their skulls and ate up their brains and imagination?”
=”Che sfinge di cemento e alluminio sbattuto il cranio aperto e mangiato il cervello e la fantasia?”
Il termine “imagination”= si traduce con “fantasia?”
Mah. Ribadisco la mia idea. Bisogna essere proprio bravi, per essere dei bravi traduttori!
Buona notte!

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:30 da roberta


Eh, sì la Pivano, bravissima è a dir poco. A presto Roberta, buonanotte a te!

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 01:34 da Francesca Giulia Marone


@ Francesca e Roberta
Grazie per i vostri nuovi interventi.

Postato sabato, 11 settembre 2010 alle 21:37 da Massimo Maugeri


Mi è capitato sotto il naso questo breve brano tratto da “Dubliners” di Joyce (stavo parlando con una mia amica del bellissimo film che John Huston ha tratto dall’ultimo racconto, I MORTI). Metto DUE traduzioni diverse: 1)La prima è quella che si sente nel film (e secondo me è la migliore)
2)l’altra è quella dell’edizione Einaudi.
1:”One by one they were all becoming shades. Better pass boldly into that other world, in the full glory of some passion, than fade and wither dismally with age”
“Uno ad uno tutti diventeremo ombre. Meglio passare all’altro mondo baldanzosamente nella piena gloria di qualche passione, piuttosto che appassire e spegnersi lentamente di vecchiaia”
2: “Uno ad uno tutti si sarebbero mutati in ombre. Meglio, del resto, trapassare baldanzosi nell’altra vita nel pieno della passione, che appassire e svanire a poco a poco nello squallore degli anni.”

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 00:05 da roberta


Perché, infatti, tradurre “nel pieno della passione” = “in the full glory of some passion”? Secondo me è più giusto tradurre secondo il testo di Joyce, che NON DICE “nel pieno della passione”, ma (come nella prima traduzione) “nella piena gloria di qualche passione”. Eppure l’edizione Einaudi traduce così, quindi “interpreta”= quindi per me si allontana troppo dal testo e lo “storpia”, o perlomeno ne cambia il significato.
Anche “fade and wither dismally with age” = è tradotto meglio nella prima versione, perché “appassire e svanire a poco a poco nello squallore degli anni” nel testo di Joyce non c’è! il termine DISMALLY= significa tristemente; non c’è il senso dello “squallore”, che è un’interpretazione del traduttore.
@Francesca: qui non c’è poesia, ma prosa. Quindi l’allontanamento dal testo che senso ha?

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 00:13 da roberta


@Caro Massimo, approfitto di questi giorni meno pesanti di altri per scrivere qualcosa qui in questa rubrica che, nonostante la mia lunga assenza, mi è sempre stata molto cara sin da quando me l’avevi affidata all’inizio e che si è arricchita moltissimo con la partecipazione di Francesca Giulia. Volevo dirti che poche sono, forse, le persone a cui interessano queste questioni di “stile”, diciamo così; che però sono importanti se vogliamo avvicinarci ai testi originali, visto che per la maggior parte li leggiamo in traduzione. E anche ai nostri autori italiani (quelli viventi almeno) credo piacerebbe essere letti in traduzioni fedeli al loro stile e testo. Cosa ne pensi?

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 00:21 da roberta


Penso che sono assolutamente d’accordo, cara Roberta.
E ti ringrazio per questi tuoi nuovi interventi…

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 00:25 da Massimo Maugeri


Grazie a te:) Davvero.
Ora la rubrica è animata da Francesca Giulia+ alcuni volontari.. e a me piace molto questo tipo di “volontariato”!
Buona notte
@Notte cara Francesca

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 00:39 da roberta


@Roberta cara Il mio modesto pensiero è che certamente non bisogna tradire il testo originale, ma non credo che questa possa essere una regola da applicare sempre fermamente.Il bravo traduttore dovrebbe impossesarsi del senso che l’autore ha espresso nel testo originale ma pur sempre renderlo al lettore, soprattutto a coloro che non hanno l’opportunità di leggere l’originale perchè non conoscono la lingua, e renderlo nella più alta forma letteraria che egli stesso può trovare. Dunque fedeli sì ma non a discapito della bellezza del testo, della letterarietà del testo che deve essere colta anche nella lingua tradotta. Altrimenti tradurre letteratura e tradurre bugiardini di medicinali sarebbe la stessa identica cosa. Perciò è tanto difficile farlo e farlo bene.Un bravo traduttore deve conoscere bene la propria lingua,avere la capacità di carpire il senso più profondo dell’espressione originale e restituirla a chi legge con dignità letteraria.Nel caso specifico che hai gentilmente proposto non saprei dirti però:per “dismally” il mio dizionario traduce “tristemente,tetramente e squallidamente”.La lingua inglese spesso e volentieri non ha una sola scelta e questa rimane al traduttore che dovrebbe, secondo me, trovare la migliore per quel contesto, ma anche intuire quale in lingua tradotta renda maggiormente ciò che l’autore voleva dire. Ecco, questo per dirti che sono d’accordo con ciò che dici ma solo in parte, fedeltà sì ma non deve essere una gabbia.
Se vuoi potresti inserire domani altri piccoli brani da Dubliners di Joyce?
ti saluto con affetto

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 23:25 da Francesca Giulia Marone


@cara Francesca, sì sono d’accordo con te, certo. Ho messo due traduzioni diverse dello stesso brano di Joyce per dirti quale preferivo io. A proposito di quel “nella piena gloria di qualche passione” mi sembra bello lasciarlo così, fedele a quello che ha scritto Joyce. Certo che poi in italiano dev’essere bello, se no, come dici tu, si traducono i bugiardini di medicinali. Mi è capitato, però, di leggere cose totalmente stravolte ed è allora che non mi piace. Mi sembra che chi non può leggerle in originale perda molto. Comunque hai ragione, sono d’accordo con te.
se trovo il tempo domani sì, volentieri mi piacerebbe mettere altri brani da “Dubliners”, così poi commentiamo..
Un abbraccio
Conosci le “Short Stories” che stanno uscendo in edicola con l’Espresso ogni sabato? Sono piccoli libri con il testo a fronte con traduzioni molto belle e in cui le scelte del traduttore sono “giustificate” con splendide note a piè di pagina.

Postato lunedì, 13 settembre 2010 alle 23:39 da roberta


Cara non ho avuto l’opportunità di comprare le short stories ma ne ho seguito l’uscita, se c’è qualcosa di interessante per sabato prossimo vedrò di prenderle.
grazie davvero di essere tornata ad alimentare questo nostro spazio amato! A domani.

Postato martedì, 14 settembre 2010 alle 00:11 da Francesca Giulia Marone


Purtroppo non ho molto tempo. Ho un orario sempre più pesante e lavoro sempre lontano. Ma cercherò di tornare qui perché mi piace.
Le SHORT STORIES sono veramnete piccoli capolavori, anche proprio per la qualità della traduzione. Sabato scorso sono usciti due brevi racconti di D.H. Lawrence: “Pavone invernale”(=Wintry Peacock) e “Il cavallo a dondolo vincente”(=The Rocking- Horse Winner). Non li ho letti. Cercherò di mettere un brano da ogni Short Story.

Postato mercoledì, 15 settembre 2010 alle 22:00 da roberta


Per ora inserisco un altro breve brano da “The Dead”, come mi hai chiesto.
” His curious eyes rested long upon her face and on her hair: and, as he thought of what she must have been then, in that time of her first girlish beauty, a strange friendly pity for her entered his soul. He did not like to say even to himself that her face was no longer beautiful but he knew that it was no longer the face for which Michael Furey had braved death”
Traduzione dell’edizione Einaudi:
” Incuriositi gli occhi s’attardarono a lungo sul suo viso, sui suoi capelli e pensando a quella che doveva essere stata allora, all’epoca della prima bellezza di fanciulla, una strana, dolce pietà per lei gli penetrò l’anima. Non voleva confessarlo nemmeno a se stesso che quel viso non era più bello; ma certo non era più il viso per il quale Michael Furey aveva sfidato la morte”

Postato mercoledì, 15 settembre 2010 alle 22:09 da roberta


I died for Beauty – but was scarce
Adjusted in the Tomb
When One who died for Truth, was lain
In an adjoining Room -

He questioned softly “Why I failed”?
“For Beauty”, I replied -
“And I – for Truth – Themself are One -
We Bretheren, are”, He said -

And so, as Kinsmen, met a Night -
We talked between the Rooms -
Until the Moss had reached our lips -
And covered up – our names -
Emily Dickinson

Postato giovedì, 7 ottobre 2010 alle 10:17 da Francesca Giulia Marone


Quando parla di Bellezza e Verità fa un richiamo preciso a Keats “Beauty is truth, truth beauty” (“Bellezza è verità, verità bellezza”), in Ode su un’urna greca. Trovo fortissimi gli ultimi due versi in cui il muschio serra le labbra e copre per sempre i nomi, è proprio il velo della morte adesso.

Postato giovedì, 7 ottobre 2010 alle 10:24 da Francesca Giulia Marone


@Francesca
Cara Francesca, vedo solo ora la poesia di Emily Dickinson. Vedo che ha a che fare col brano di Joyce… Metti la traduzione della poesia? Trovassimo anche quella di Keats a cui fai riferimento, sarebbe bello. Sì, sono d’accordo quei due versi sono fortissimi e rendono bene la morte.
Abbracci:)

Postato venerdì, 15 ottobre 2010 alle 23:17 da roberta


Eccola, cara Roberta, per quella di Keats potrei inserirla la prossima settimana.
Morii per la Bellezza – ma ero appena
Accomodata nella Tomba
Quando Uno che morì per la Verità, fu adagiato
In una Stanza adiacente -
Egli domandò silenziosamente “Perché sei mancata?”
“Per la Bellezza”, risposi -
“Ed io – per la Verità – Esse sono Una cosa sola -
Noi siamo Fratelli”, disse -

E così, come Congiunti, incontratisi una Notte -
Conversammo fra le Stanze -
Finché il Muschio raggiunse le nostre labbra -
E ricoprì – i nostri nomi -

N.B.Il termine “adjusted” è sovente tradotto con “sistemata” ma a me piace anche “accomodata”.”Bretheren” è il corrispettivo di “brothers” in forma arcaica. “Kinsem” è proprio “congiunto, consanguineo”.
Ora ti saluto, buonanotte e a presto carissima!

Postato sabato, 16 ottobre 2010 alle 00:03 da Francesca Giulia Marone


Un caro saluto a Roberta e a Francesca Giulia.

Postato sabato, 16 ottobre 2010 alle 00:24 da Massimo Maugeri


Cara Francesca, bellissima traduzione. Grazie. Ricordo sempre che il mio prof di letteratura inglese diceva della Dickinson: ” Con la Dickinson servono poco le “classificazioni” dei critici letterari! Lei sfugge a qualsiasi “classificazione”". Splendidi gli ultimi due versi
“Until the Moss had reached our lips-
And covered up our names”. E’ abbastanza “tremenda” lìimmagine, secondo me, perchè si tratta di un incontro “post mortem”; però la bellezza dei versi è innegabile.
Aspetto Keats?
Baci

Postato sabato, 13 novembre 2010 alle 18:06 da roberta


@Roberta carissima che piacere leggerti!
Inserisco subito la poesia di Keats.

ODE ON A GRECIAN URN.

1.
Thou still unravish’d bride of quietness,
Thou foster-child of silence and slow time,
Sylvan historian, who canst thus express
A flowery tale more sweetly than our rhyme:
What leaf-fring’d legend haunts about thy shape
Of deities or mortals, or of both,
In Tempe or the dales of Arcady?
What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
What pipes and timbrels? What wild ecstasy? 10

2.
Heard melodies are sweet, but those unheard
Are sweeter; therefore, ye soft pipes, play on;
Not to the sensual ear, but, more endear’d,
Pipe to the spirit ditties of no tone:
Fair youth, beneath the trees, thou canst not leave
Thy song, nor ever can those trees be bare;
Bold Lover, never, never canst thou kiss,
Though winning near the goal—yet, do not grieve;
She cannot fade, though thou hast not thy bliss,
For ever wilt thou love; and she be fair! 20

3.
Ah, happy, happy boughs! that cannot shed
Your leaves, nor ever bid the Spring adieu;
And, happy melodist, unwearied,
For ever piping songs for ever new;
More happy love! more happy, happy love!
For ever warm and still to be enjoy’d,
For ever panting, and for ever young;
All breathing human passion far above,
That leaves a heart high-sorrowful and cloy’d,
A burning forehead, and a parching tongue. 30

4.
Who are these coming to the sacrifice?
To what green altar, O mysterious priest,
Lead’st thou that heifer lowing at the skies,
And all her silken flanks with garlands drest?
What little town by river or sea shore,
Or mountain-built with peaceful citadel,
Is emptied of this folk, this pious morn?
And, little town, thy streets for evermore
Will silent be; and not a soul to tell
Why thou art desolate, can e’er return.

5.
O Attic shape! Fair attitude! with brede
Of marble men and maidens overwrought,
With forest branches and the trodden weed;
Thou, silent form, dost tease us out of thought
As doth eternity: Cold Pastoral!
When old age shall this generation waste,
Thou shalt remain, in midst of other woe
Than ours, a friend to man, to whom thou say’st,
“Beauty is truth, truth beauty,”—that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.

Postato sabato, 13 novembre 2010 alle 19:47 da Francesca Giulia Marone


Come puoi notare sono cinque Stanze=strofe di dieci versi ognuna ma lo schema della rima è variabile. E’ una poesia bellissima che in comune con quella della Dickinson oltre al richiamo alla bellezza ha anche quello all’eternità.
Sebbene sia terribile l’ultima immagine della Dickinson come dici tu perchè è un incontro post mortem è allo stesso tempo un incontro eterno quindi indissolubile.

Postato sabato, 13 novembre 2010 alle 19:53 da Francesca Giulia Marone


Ti metto solo una prima parte di traduzione in cui ho elaborato qualche personale variante su traduzioni classiche, esclusivamente per mio piacere e gusto, ricercando una forma che sentivo di più. mi piacerebbe poi parlarne con maggior calma. Baci

Tu, ancora inviolata sposa della quiete!
Figlia adottiva del silenzio e del tempo lento,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale leggenda orlata di foglie abita
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempe o in Arcadia?
Quali uomini sono? Quali dei? E le fanciulle ritrose?
Quale folle ricerca? E lotta per fuggire?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?

II

Le melodie ascoltate sono dolci, ma quelle inascoltate
più dolci ancora. Su, flauti lievi,
suonate ancora, ma non per l’udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
Tu, giovane bello,sotto gli alberi, non potrai mai lasciare
Il tuo canto ne mai quegli alberi saranno spogli;
E tu, amante audace,mai, non potrai mai baciarla
sebbene tu sia così vicino alla meta; ma non affliggerti
Lei non potrà mai svanire pur non avendo tu la tua gioia,
E tu l’amerai per sempre, e lei sarà bella.

III
Ah felici felici rami! Non saranno mai disperse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla Primavera;
E felice musico, instancabile,
Che sempre eternamente nuovi canti avrai;
amore più felice, più felice felice amore!
Per sempre ardente e ancora da godere
Per sempre agognante, per sempre giovane.
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che lascia un cuore addolorato e sazio,
Una fronte in fiamme, una lingua inaridita.

Postato sabato, 13 novembre 2010 alle 21:00 da Francesca Giulia Marone


Grazie, Francesca. E’ un testo difficile, secondo me. Per il linguaggio così “alto” (l’uso di THY+ THOU ecc= invece di YOU e YOUR..ma non solo..) e per il suo “significato”, se ce l’ha (nelle intenzioni del poeta). I poeti così “estetici” io li trovo difficili, perché così “lontani” dal descrivere la vita reale (non che la poesia debba descrivere la vita reale, anzi!) Certo non comincerei un approccio alla Poesia per eventuali studenti.. facendo leggere questo testo di Keats! Che ne dici? In genere Baudelaire ha più successo. Perché, secondo te? Secondo me perché, pur essendo Charles Baudelaire un ESTETA per eccellenza, eppure riesce a “parlare” alla sensibilità di tutti (secondo me).
Un abbraccio

Postato domenica, 14 novembre 2010 alle 15:54 da roberta


L’atmosfera natalizia e già svanita, perché dura solo una sera (ammesso che tutti la sentano, di questi aridi tempi). Comunque, Massimo, mi piaceva riportare qui due brevi barni dal celebre racconto di Dickens “A CHRISTMAS CAROL”. Ho letto solo la prima parte, ma direi che è un testo adatto in questi giorni, almeno perché le canzoni inglesi+ il freddo suggeriscono meglio l’atmosfera…
” The owner of one scant young nose, gnawed and mimbled by tha hungry cold as bones are gnawed by dogs, stopped down at Scrooge’s keyhole to regale him with a Christmas carol; but, at the first sound of
“God bless you, merry gentleman,
May nothing you dismay!”
Scrooge seized the ruler with such energy of action that the singer fled in terror, leaving the keyhole to the fog, and even more congenial frost.”

Postato lunedì, 27 dicembre 2010 alle 18:34 da roberta


Riporto la mirabile traduzione dell’edizione delle SHORT STORIES che L’Espresso pubblica ogni sabato:
” Il proprietario di un giovane naso lungo e scarno, rosicchiato e masticato dal freddo famelico, come le ossa rosicchiate dai cani, si chinò verso il buco della serratura di Scrooge per fargli dono di una canto di Natale: ma non appena risuonò il primo.
“Che Dio vi benedica, allegro signore!
Che nulla vi sgomenti!”
Scrooge afferrò il regolo con un moto talmente energico che il cantante scappò terrorizzato, lasciando il buco della serratura alla nebbia e all’ancor più consono gelo.”

Ps= ho scritto “mimbled” anziché “mumbled”

Postato lunedì, 27 dicembre 2010 alle 18:39 da roberta


“The ancient tower of a church, whose gruff old bell was always peeping slily down at Scrooge out of a Gothic window in the wall, became invisible, and struck the hours and quarters in the clouds, with tremulous vibrations afterwards, as if its teeth were chattering in its frozen head up there”.

“L’antica torre di una chiesa, la cui campana vecchia e rauca sbirciava sempre furtiva verso Scrooge da una finestra gotica nel muro, divenne invisibile e rintoccava le ore e i quarti nelle nuvole; e ne seguivano delle vibrazioni tremule come se lassù, nella testa congelata, le battessero i denti”
Da: “A Christmas Carol”- I: MARLEY’S GHOST= IL FANTASMA DI MARLEY- di Charles Dickens (traduzione di Alessandra Osti per SHORT STORIES )

Postato lunedì, 27 dicembre 2010 alle 18:49 da roberta


Ritengo che il buon traduttore debba sparire dietro la propria traduzione.
Apparire all’inizio, certamente, magari più in evidenza di quanto oggigiorno si suole.

Opere eccelse potrebbero essere traduziuoni libere, molto libere, parafrasi, parodie, riesposizioni, e opere ispirate ad altre opere, e opere che usano le stesse parole — lo stesso lessico — o le stesse lettere di altre opere.
Ma come traduzioni non sono necessariamente buone.

Ritengo che il problema della fedeltà dipenda molto dall’intenzione di apparire personalmente. Anche perciò sarebbe bene gratificare i traduttori evidenziandone l’opere! Menzionandoli in evidenza!
La traduzione dev’essere fedele e come adesiva.
Uno potrebbe essere fedele a più di una cosa, ovviamente, ed essere traditore dell’unica cosa che tratta.

► Traduttori! Siate quanto più potete aderenti al testo originario, usando però la lingua in cui traducete: cioè lessico e grammatica.
Lo stile risultante sarebbe strano: evvabbe’, è NORMALE CHE SIA STRANO un testo STRANIERO!
Farebbe schifo? schifo a chi? perché?
Lessico e grammatica sono le cose che differenziano le lingue obbiettivamente.
Lo stile un lettore intenzionato a leggere ce la fa da solo a comprendere, a sopportarlo, o a ripudiarlo.
Altrimenti a ogni decennio e per ogni provincia bisognerebbe ritradurre, anche opere scritte nella stessa lingua; e se possibile bisognerebbe tradurre ogni opera nel linguaggio personale di ogni lettore.
Incoraggiare la pigrizia (ossimoro?) intellettiva, la rigidità mentale, è un rischio dell’imminente telepatia artificiale (trasduzioni dei pensieri in segnali trasmissibili e viceversa tramite dispositivi artificiali materiali).

Chiedo che gli editori (includi gli autoeditori) evidenzino i traduttori,
e che specifichino lo spirito di ogni traduzione.

Postato lunedì, 5 settembre 2011 alle 00:23 da Pianetavivo


@Pianetavivo
Sono d’accordo con te: essere quanto più si può aderenti al testo originario. Ne abbiamo discusso moltissimo qui, se hai voglia di leggere… Ci sono mirabili autorevoli traduzioni che si “discostano” dal testo (Vedi Attilio Brilli e altri)

Postato martedì, 6 marzo 2012 alle 17:35 da roberta


Riporto un brano dalla CHARTREUSE DE PARME di Stendhal (segue traduzione):
” Eh bien! dit la marquise , où tend tout ce discours qui m’effraye?”
“A ravoir mon fils; je veux qu’il habite avec moi; je veux le voir tous les jours, je veux qu’il s’accoutume à m’aimer; je veux l’aimer moi-meme à loisir. Puisqu’une fatalité unique au monde veut que je sois privé de ce bonheur dont jouissent tant d’ames tendres, et que je ne passe pas ma vie avec tout ce que j’adore, je veux du moins avoir auprès de moi un etre qui te rappelle à mon coeur, qui te remplace en quelque sorte.” (…)
On peut comprendre la vive douleur dont le chagrin de son ami remplit l’ame del la pauvre Clélia; sa tristesse fut d’autant plus profonde qu’elle sentait que Fabrice avait une sorte de raison.”

Postato martedì, 6 marzo 2012 alle 17:46 da roberta


N.B:= mancano gli accenti circonflessi su =ame , meme, etre,

Postato martedì, 6 marzo 2012 alle 17:48 da roberta


Ringrazio Roberta per questi suoi nuovi interventi…

Postato domenica, 11 marzo 2012 alle 19:02 da Massimo Maugeri


tunnel freezer…

Kataweb.it – Blog – LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » IL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI (laboratorio di traduzioni)…

Postato martedì, 6 maggio 2014 alle 03:09 da tunnel freezer



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