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Archivio di novembre 2006

mercoledì, 29 novembre 2006

I RIFLETTORI DEL PLAGIO

Plagio.

Una parola che torna con una certa ricorrenza, soprattutto nel campo dell’arte. Da pochi mesi si sono spenti i riflettori del plagio su Dan Brown e sul suo Codice Da Vinci. Parlo di riflettori perché l’accusa di plagio, se da un lato crea parecchie rogne, dall’altro – diciamolo – procura un bel po’ di pubblicità (sia all’accusato che all’accusante… forse, soprattutto all’accusante).

L’ultima vittima (o beneficiario?) dei riflettori del plagio, stavolta, è il grande Ian McEwan che – ovviamente – nega con una certa decisione di meritare le ingiuriose accuse.

Ian McEwan

Vi riporto alcuni stralci di questo articolo pubblicato il 27 novembre su Repubblica, giusto per informarvi sui fatti.

"Stavolta a finire, forse sarebbe meglio dire tornare, sulla graticola è lo scrittore inglese Ian McEwan. Secondo i giornali londinesi alcune parti del suo celebre romanzo del 2001, ‘Espiazione’, sono state copiate da un libro di memorie di guerra della collega e conterranea Lucilla Andrews, morta a Edimburgo un mese fa all’età di 86 anni. Secondo l’accusa, passi di ‘Espiazione’ sarebbero sorprendentemente simili a quelli contenuti nel romanzo autobiografico della Andrews ‘No Time for Romance’, pubblicato per la prima volta nel 1977.
Le accuse ricordano le polemiche scatenate dalla pubblicazione nel 1978 della prima opera di McEwan, ‘Il Giardino di Cemento’. Già allora l’autore era stato accusato di aver tratto libera ispirazione per la trama da un libro pubblicato una quindicina di anni prima, ‘La casa di nostra madre’. Secca la replica di McEwan alle nuove accuse di plagio: "Ispirato dalla Andrews sì, copiato no".
Lo scrittore ha precisato che la lettura di ‘No Time for Romance’ lo ha aiutato a ricreare in ‘Espiazione’ l’atmosfera che si respirava in un ospedale inglese durante la seconda guerra mondiale. Del resto, ha ricordato lo scrittore, quando a metà dello scorso ottobre sono apparsi sui più autorevoli quotidiani inglesi i necrologi della Andrews, è stato ricordato con abbondanza di particolari che le memorie autobiografiche di ‘No time for romance’ hanno ispirato proprio ‘Espiazione’.
Inoltre McEwan ha citato la Andrews nei ringraziamenti alla fine del romanzo e ha affermato di averle reso omaggio in diverse interviste e apparizioni in pubblico. Ma per chi conosceva la scrittrice, McEwan avrebbe dovuto fare di più. "Non le ha chiesto il permesso di utilizzare la sua autobiografia. Credo che lei sarebbe stata molto felice di essere consultata", ha detto l’ex agente dell’autrice, Vanessa Holt.
Ma McEwan ribatte che le memorie della Andrews sono state semplicemente uno dei documenti storici che lo hanno aiutato a ricreare nel suo romanzo l’atmosfera che si respirava in un ospedale britannico durante la guerra e la scrittrice ha già ricevuto da lui il credito che meritava. "Quando si scrive un romanzo storico si dipende sempre da altri scrittori. Ho parlato pubblicamente di Lucilla Andrews innumerevoli volte. Sono sempre stato aperto su questo", ha detto.

La Andrews scoprì che McEwan si era ispirato alla sua autobiografia solo l’anno scorso, quando una studentessa di Oxford che aveva fatto una tesi sui romanzi scritti durante la Seconda guerra mondiale l’aveva contattata e le aveva illustrato le similitudini tra la sua opera e quella di McEwan. La scrittrice, ha raccontato la studentessa, era "divertita" anziché arrabbiata per la cosa.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. L’accusa di plagio, secondo la stampa britannica, potrebbe indirettamente aiutare il lancio della trasposizione cinematografica di ‘Espiazione’, che uscirà nelle sale americane nell’agosto 2007 con l’interpretazione di Keira Knightley."

Vi invito a discutere e a ragionare sui due seguenti punti:

1. A partire da quando, secondo voi, nel caso della scrittura, un testo che si rifà a un’altro testo sconfina nel plagio?

2. E fino a che punto l’accusa di plagio può effettivamente nuocere all’accusato?

Pubblicato in PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE   19 commenti »

domenica, 26 novembre 2006

LE SORPRENDENTI DICHIARAZIONI DI SALMAN RUSHDIE

È un argomento molto spinoso quello che sto per proporvi. Ve lo dico subito.

Il protagonista di questo post è Salman Rushdie, scrittore indiano autore dei noti Versetti satanici e del recente Shalimar il Clown.

Salman Rushdie

In un’intervista pubblicata su Specchio (settimanale de La Stampa) del 18 novembre 2006 (di Paolo Mastrolilli, pag. 38-40), Rushdie esprime – in maniera sorprendente, caustica e senza peli sulla lingua – la propria posizione sul caso Ratzinger (in riferimento al noto discorso di Ratisbona) e sul terrorismo internazionale.

(Propongo il post mentre Papa Ratzinger si appresta a partire per la Turchia. Se non sbaglio l’arrivo è previsto per martedì 28.)

Ecco alcuni stralci dell’intervista.

"Non ve lo sareste mai aspettato di ritrovarmi dalla parte del Papa, eh? Neppure io, però è così: chiedergli di scusarsi per il discorso di Ratisbona è stato profondamente sbagliato. Ratzinger ha il coraggio di dire ciò che pensa, e noi dovremmo difendere il suo diritto di farlo."

"Anzi, siccome gli stessi terroristi ci tengono a sottolineare che agiscono nel nome dell’Islam, tutti noi dovremmo avere il coraggio di chiamarli come vogliono loro: terroristi islamici. La chiarezza nel linguaggio ci aiuta anche a chiarire la realtà delle cose. E poi basta con questo pudore di non associarli al fascismo, perché non sta bene: non sono interessati alla libertà, alla democrazia, all’affrancamento delle donne o alla redistribuzione del reddito. Vogliono solo imporre un dominio religioso-fascista sul pianeta."

(…)

"Sono rimasto scioccato da un editoriale del New York Times, che chiedeva al Papa di scusarsi perché durante il discorso di Ratisbona aveva citato un personaggio del XV secolo, con cui tra l’altro non era d’accordo. Perché pretendere le scuse, per un testo bizantino? Non ricordo l’ultima volta che è accaduto un fatto simile, nella storia. La Chiesa ci ha messo 400 anni per scusarsi con Galileo, ma il mondo ha preteso che si scusasse con l’Islam in 8 minuti."

(…)

"Il Papa crede che la sua religione sia superiore a quella dei musulmani, e ha il coraggio di dirlo. Gli occidentali si scandalizzano perché la considerano una posizione inusuale e chiedono le scuse. I musulmani ripetono lo stesso della loro fede da secoli, senza vergogna."

(…)

"Se ti comporti così, il terrorismo ha già vinto: ti ha intimidito."

(…)

"Mi fa ridere la Bbc che ha ordinato ai suoi giornalisti di non usare il termine ‘terroristi islamici’ perché ha un sapore islamofobico."

(…)

"Se l’Islam è davvero una fede pacifica, mi spiegate dove sono i cortei di sdegno dei musulmani, per condannare i terroristi che la usurpano?"

- – - – - -

Argomento spinoso, vi dicevo in premessa.

In ogni caso… a voi la parola (come sempre… scritta). Cosa pensate delle affermazioni di Rushdie?

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI   28 commenti »

sabato, 25 novembre 2006

CLASSIFICA DAL 13 AL 19 NOVEMBRE

Ecco la classifica dei venti libri più venduti (fonte: Arianna) dal 13 al 19 novembre 2006.

Le ali della sfinge, l’ultimo libro di Camilleri permane in vetta. 

Gomorra conserva la seconda posizione; così come Augias-Pesce, con Inchiesta su Gesù, mantengono il terzo posto.

Faccio notare una new entry nella top ten: Reduce di G. Lindo Ferretti, in settima posizione.

Il post è aperto per vostri (eventuali) commenti

Titolo

Autore

Editore

Prezzo

1 

Le ali della sfinge  

Andrea Camilleri  

Sellerio di Giorgianni  

12,00 

2 

Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra  

Roberto Saviano  

Mondadori  

15,50 

3 

Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo  

Corrado Augias; Mauro Pesce  

Mondadori  

17,00 

4 

Fuori da un evidente destino  

Giorgio Faletti  

Baldini Castoldi Dalai  

18,90 

5 

Il cacciatore di aquiloni  

Khaled Hosseini  

Piemme  

17,50 

6 

La grande bugia  

Giampaolo Pansa  

Sperling & Kupfer  

18,00 

7 

Reduce  

G. Lindo Ferretti  

Mondadori  

13,00 

8 

Ragionevoli dubbi  

Gianrico Carofiglio  

Sellerio di Giorgianni  

12,00 

9 

Donne informate sui fatti  

Carlo Fruttero  

Mondadori  

16,50 

10 

Inés dell’anima mia  

Isabel Allende  

Feltrinelli  

17,00 

11 

Come Dio comanda  

Niccolò Ammaniti  

Mondadori  

19,00 

12 

È la mia vita  

Al Bano; Roberto Allegri  

Mondadori  

16,00 

13 

Il dominio della Regina. Le cronache del ghiaccio e del fuoco. Vol. 8  

George R. Martin  

Mondadori  

18,60 

14 

Il baco del Corriere  

Massimo Mucchetti  

Feltrinelli  

14,00 

15 

Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco  

Giorgio Bocca  

Feltrinelli  

14,00 

16 

Il mio nome è rosso  

Orhan Pamuk  

Einaudi  

11,80 

17 

L’Italia spezzata. Un paese a metà tra Prodi e Berlusconi  

Bruno Vespa  

Mondadori  

18,00 

18 

Personaggi. Con DVD  

Antonio Albanese; A. Salerno (cur.)  

Einaudi  

23,00 

19 

Morte bianca  

Clive Cussler; Paul Kemprecos  

Longanesi  

18,60 

20 

Testimone inconsapevole  

Gianrico Carofiglio  

Sellerio di Giorgianni  

11,00 

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giovedì, 23 novembre 2006

IL NUOVO PARNASO SORRIDENTE DI VAGHENAS (di Elio Distefano)

Il poeta e docente di letteratura Elio Distefano mi invia questo ottimo intervento. Io lo ringrazio e pubblico il suo testo con immenso piacere.

In tempi di libero verso e di poesia sempre più simile alla prosa, diverse voci – e a volte anche autorevoli – si sono levate a rammentare la necessità di riferirsi comunque a uno schema metrico che dialoghi con la  tradizione. Fra queste voglio ricordare quella di Nasos Vaghenàs, poeta greco vivente nonché docente di Teoria della Letteratura all’Università di Atene il quale, proprio per la sua specifica competenza in questo campo, ha espresso pareri degni di essere proposti alla riflessione e diffusi con un mezzo capace di penetrazione capillare come la Rete telematica. Quella che Vaghenàs denuncia è la crisi del verso libero, che ha perso la sua urgenza perché bistrattato ormai da insipide creazioni di dilettanti le cui opere non dialogano più con un passato spesso non nemmeno conosciuto dai loro autori. La crisi della versificazione tradizionale, dunque, che a suo tempo ha rappresentato un aspetto dell’esigenza comunemente avvertita di innovare forme svuotate di senso da una tradizione troppo lunga e ingombrante, dopo il felice approdo al verso libero da parte di poeti che conoscevano fin troppo bene quella tradizione, è sfociata in una indegna banalizzazione anche ad opera di un’editoria di sottobosco, finta e senza scrupoli, che ha aperto le porte anche a chi non sapeva fare nulla.

Vaghenàs propone un riuso di certi accorgimenti tradizionali della poesia quale la rima che, lungi dal banalizzare il discorso poetico, gli restituiscono ciò che generi minori come la canzone leggera gli hanno rubato, e cioè la lepida grazia che gli antichi conoscevano e apprezzavano. La rima, come emerge dai testi che vi propongo in questa sede, non è lo strumento per la creazione di facili ritmi, bensì l’occasione privilegiata per accostamenti insoliti, favoriti dal formidabile uso dell’ironia. I testi che vi invito a leggere sono tratti da “Ballate oscure” (Crocetti, 2006) e qui anche il titolo fa riferimento a una forma antica di versificazione strofica, meno aulica della canzone, che si attesta su di un livello di raffinatezza senza sdegnosità, come il suo autore, il quale, pur nel rispetto di una poesia che sia quantomeno versificata, si vuole prendere la libertà di accostare, consapevolmente, contenuti legati parimenti ad esperienze quotidiane o sublimi, lessico a volte aulico e rima, nel contesto di una riflessione stupita sulla voracità del Nulla che tutto avvolge, con il risultato di ottenere una nuova grazia poetica,aristocratica ma leggera, con un recupero di tematiche legate alla tradizione greca classica che, unite alla sensibilità dell’autore, ne fanno dei gioielli la cui luce è  sospesa fra pessimismo e leggera ironia.

Nasos Vaghenàs (immagine tratta da una copertina della rivista Poesia)

V’invito a considerare, ad esempio, l’uso della rima in questa lirica (considerate che si tratta di traduzioni, per cui è tanto più lodevole l’opera del traduttore, che ha conservato lo spirito del componimento originario):

Ballata dell’amante insicuro

Scrivere il tuo nome sopra i vetri appannnati,

attendere in stazioni dove hai atteso per ore,

son cose che non danno né gioia né dolore.

Suono azzurro, ancestrale, altissimo profumo,

la tua voce scintilla come la lacrima angelica.

Ma il mio amore è l’amore degli Otelli.

E quando mi rinfocola e quando mi addormenta,

rabbrividisco e vedo innanzi Iago.

Mi dico: lega i giambi con lo spago.

Le poesie sono fiori molto esili,

nutriti dalla consona tristezza.

E l’ira, se li accumula, li spezza.

da “Ballate oscure”, traduzione di Filippomaria Pontani (Crocetti editore, 2006):

o ancora quest’altra, di carattere ironicamente programmatico:

Problemi con la Musa

La mia Musa da un po’ mi crea apprensione.

Non mi siede in braccio. Tiene il broncio.

S’annoia, mi rinfaccia ogni svarione

a me, che nella sua corporazione

ero l’amante più focoso (e sconcio).

Lei che una volta con dita odorose

mi accarezzava il capo, ora mi parla

con note non squillanti né armoniose

-vanno a ferire come frecce partiche

là dove prima lasciavano rose.

Credo le amiche l’abbiano convinta

con commenti malevoli e cattivi,

pieni d’odio per me, e l’abbiano spinta

a rendere gli incontri fra noi privi

dell’eros-ma che soluzione finta,

seguitare a vederci come cari

vecchi amici con simili interessi,

raffinati (al di sopra dei due sessi),

di spirito parlando, non di carne,

e, a volte, dell’amore e degli annessi.

Presento che mi scorderà ben presto,

che tra poco mi negherà anche questo;

già mi chiama “Thanassis”(come scrivo),

lei che aveva coniato sul mio petto

ogni più tenero vezzeggiativo.

da “Ballate oscure”, traduzione di Filippomaria Pontani (Crocetti editore, 2006):

Il resto v’invito a cercarlo nell’edizione cartacea dell’opera, sperando di avervi suscitato interesse per questo autore coltissimo, eppure brillante e leggero come sanno essere solo i grandi.

                                                                                    Elio Distefano

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mercoledì, 22 novembre 2006

LA TERRA DELLA MIA ANIMA (di Massimo Carlotto)

Davvero appassionante la lettura dell’ultima fatica letteraria di Massimo Carlotto. Si tratta di “La terra della mia anima” (edizioni E/O, Roma, pag. 208, euro 15), un romanzo molto particolare dedicato alla narrazione delle vicende di Beniamino Rossini.

Chi legge Carlotto conosce già Rossini. Lo conosce come personaggio letterario nel ruolo di compagno d’avventure dell’Alligatore. Ma questo Beniamino Rossini è una persona reale (che assomiglia al suo omonimo personaggio letterario proprio per il fatto di esserne stato fonte di ispirazione).

La figura di Rossini è controversa, ambigua, dunque di difficile catalogazione. Se da un lato, Rossini, è un fuorilegge che ha vissuto esperienze variegate, che vanno dal contrabbando fino alla rapina a mano armata (con arma non carica, però), dall’altro è uomo di grande sensibilità e bontà d’animo. Se per certi versi appare cinico e distaccato, per altri ci sorprende con atti di inatteso altruismo. Se in alcuni casi appare come un duro, come un uomo tutto d’un pezzo, in altri viene fuori la sua fragilità, esasperata dal decorso di una malattia logorante e letale.

Scrive Carlotto (v. pag. 9): “Ero turbato dall’idea che quel suo desiderio di raccontare fosse dovuto alla malattia e alla convinzione che non gli restasse più molto tempo. Fui però subito affascinato dalla bellezza delle sue storie, e i miei dubbi si dissolsero completamente quando mi resi conto che il vero Beniamino Rossini, il carissimo amico che avevo trasformato in uno dei protagonisti della serie dell’Alligatore, somigliava davvero a quello di carta e nella mia testa cominciò a prendere forma il progetto.”

Rossini ci racconta, attraverso la penna di Carlotto, l’evoluzione delle sue vicende: dal contrabbando di sigarette a quello del caffè; dall’aiuto gratuito a varcare il confine con la Svizzera offerto a giovani che non volevano fare il militare, allo smercio illegale di slot machine; fino a giungere al ben più terribile contrabbando di armi in Croazia nel corso della guerra (che però alla fine lo disgusterà al punto da impedirne “il traffico” anche a qualche suo collega: “Pensavo che la galera mi avesse reso cinico al punto di fottermene di tutto e badare solo agli affanni. Invece scoprii che riuscivo ancora a indignarmi di fronte all’orrore e a provare pietà per le vittime innocenti.”)

Con il variare delle merci oggetto del contrabbando cambiano pure i luoghi d’azione: dapprima la montagna, poi il mare, poi la terraferma delle gioiellerie da rapinare, infine la prigione.

E scopriamo che “La terra della mia anima” più che come luogo fisico, deve intendersi come l’emozione che quel luogo riesce a suscitare. Ecco perché, per Rossini, la terra della sua anima è così fortemente mutevole: [“(…) La frontiera era la terra della mia anima. L’unico luogo dove provavo una sensazione potente che mi faceva sentire vero e felice. (…) Io l’ho sempre chiamata anima, anche se è una parola da preti.” - “(…) ormai la terra della mia anima era la distesa infinita d’acqua dove correvo veloce con un potente motoscafo.”]

E poi la malattia. Una malattia affrontata a muso duro…

“Ho il cancro” disse.

“Lo so.”

“Tre, al fegato.”

“Fai sempre le cose in grande.”

… nonostante gli inevitabili momenti di rabbiosa depressione.

“La grande bestia mi divora il fegato e per pochi mesi ho superato il limite d’età per il trapianto. (…) bevo solo acqua e mangio le verdure del mio orto. Di testa sono a posto, mi accontenterei di un corpo che funziona al 30%, giusto per non costringere qualcuno a pulirmi il culo. Porca troia, cosa c’è di male a voler campare ancora un anno? Qualche volta, disteso sul letto, allargo i piedi e incrocio le braccia sul petto; prove generali del mio essere cadavere, ma il cuore batte e nelle vene scorre sangue caldo. Riapro gli occhi e accendo una sigaretta. Mi sembra impossibile che stia andando tutto a puttane.”

Beniamino Rossini muore il 7 maggio 2006.

Con scrittura lieve e adamantina, ma che si insinua sottopelle fino a far dimenticare la pagina e lasciar emergere la storia, e accompagnata dai versi delle canzoni di Ricky Gianco (cantante preferito di Rossini), Carlotto diviene mero strumento narrativo volto a tratteggiare la figura dell’amico (e con essa buona parte della storia recente di questo Paese). Discostandomi da quanto sostenuto altrove, credo che questo sia uno dei punti di forza del libro. Un libro sincero, a tratti duro, che presenta la realtà in maniera schietta, senza fronzoli. Un’ottima prova narrativa. L’ulteriore conferma di uno dei maestri del noir.

Massimo Maugeri

———————-

La terra della mia anima (di Massimo Carlotto)

Edizioni E/O, collana “Dal mondo”, settembre 2006

208 p., brossura – Euro 15

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domenica, 19 novembre 2006

CLASSIFICA DAL 6 AL 12 NOVEMBRE

Ecco la classifica dei venti libri più venduti (fonte: Arianna) dal 6 al 12 novembre 2006.

Le ali della sfinge, l’ultimo libro di Camilleri conquista subito la vetta (com’era prevedibile).

Gomorra (sabato sera Saviano è apparso su Rai Uno, intervistato da Gianni Riotta) scende in seconda posizione. Augias-Pesce, con Inchiesta su Gesù, sono al terzo posto.

Al sesto posto si piazza Le mie montagne di Giorgio Bocca. Faccio notare, poi, la quindicesima posizione conquistata da La verità di Annamaria Franzoni e Gennaro De Stefano.

Il post è aperto per vostri (eventuali) commenti

Titolo

Autore

Editore

Prezzo

1 

Le ali della sfinge

Andrea Camilleri

Sellerio di Giorgianni

12,00 

2 

Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra

Roberto Saviano

Mondadori

15,50 

3 

Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo

Corrado Augias; Mauro Pesce

Mondadori

17,00 

4 

Fuori da un evidente destino

Giorgio Faletti

Baldini Castoldi Dalai

18,90 

5 

La grande bugia

Giampaolo Pansa

Sperling & Kupfer

18,00 

6 

Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco

Giorgio Bocca

Feltrinelli

14,00 

7 

Ragionevoli dubbi

Gianrico Carofiglio

Sellerio di Giorgianni

12,00 

8 

Donne informate sui fatti

Carlo Fruttero

Mondadori

16,50 

9 

Il cacciatore di aquiloni

Khaled Hosseini

Piemme

17,50 

10 

Inés dell’anima mia

Isabel Allende

Feltrinelli

17,00 

11 

Come Dio comanda

Niccolò Ammaniti

Mondadori

19,00 

12 

L’Italia spezzata. Un paese a metà tra Prodi e Berlusconi

Bruno Vespa

Mondadori

18,00 

13 

Il mio nome è rosso

Orhan Pamuk

Einaudi

11,80 

14 

L’afghano

Frederick Forsyth

Mondadori

18,60 

15 

La verità

Annamaria Franzoni; Gennaro De Stefano

Piemme

12,90 

16 

Testimone inconsapevole

Gianrico Carofiglio

Sellerio di Giorgianni

11,00 

17 

Il mio cielo. La mia lotta contro il dolore

Dalila Di Lazzaro; E. Broli (cur.)

Piemme

12,50 

18 

Ascolta la mia voce

Susanna Tamaro

Rizzoli

15,50 

19 

Parlami d’amore

Silvio Muccino; Carla Vangelista

Rizzoli

16,00 

20 

Il diavolo veste Prada

Lauren Weisberger

Piemme

13,50

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giovedì, 16 novembre 2006

PUBBLICARE CON CONTRIBUTO

Ho ricevuto diverse e-mail simili a quest’ultima:

"Ho inviato a una casa editrice della mia zona un piccolo libro e l’editore dopo averlo letto ha detto che lo pubblicherà ma che devo dargli prima 1200 € che verranno restituiti in base alle copie vendute.
E’ normale? (questo è il mio primo libro) E’ un prezzo alto?
Cosa devo fare?"
In questi casi, di solito, segnalo un sito a mio giudizio molto utile: Il rifugio degli esordienti, dove c’è la possibilità di trovare informazioni davvero preziose.
Ciò premesso, racconto in estrema sintesi la mia esperienza personale: quando ho deciso di pubblicare il mio romanzo mi sono "imposto" di non accettare offerte che prevedevano forme di contributo da parte dell’autore. Io penso che se l’editore crede davvero in un libro, e decide di pubblicarlo, deve mantenere a suo carico i cosiddetti rischi d’impresa. Questa, però, è solo la mia opinione. So che ci sono in giro ottimi editori che per pubblicare sono costretti a chiedere un contributo all’autore. Nulla di male, dunque. L’importante (sempre secondo me) è che l’autore si ponga due domande fondamentali:
1) L’editore svolgerà, o ha svolto, anche un’attività di editing sul testo? Se la risposta è no, l’autore dovrebbe domandarsi… che cosa differenzia questo editore da un comune tipografo?
2) I libri verranno effettivamente distribuiti nelle librerie? (È bene che l’autore giochi a fare un po’ il detective).
Detto ciò, visto che il problema è "messo in piazza"… lascio la parola (scritta) a voi, amici di letteratitudine.
Avente esperienze da raccontare in proposito?

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lunedì, 13 novembre 2006

PIPERNO E SAVIANO, TRA ESIBIZIONISMO E INUTILITA’ DELLA LETTERATURA

Sul n. 44 del 02/11/06 del Magazine del Corriere della Sera, Alessandro Piperno ha scritto un articolo sul caso Gomorra il cui succo è: "Caro Saviano, secondo me lo scrittore impegnato è un esibizionista". Premetto che Piperno e Saviano sono amici e che entrambi fanno parte della redazione di Nuovi Argomenti.

Alessandro Piperno

Salto una serie di complimenti che Piperno rivolge a Gomorra e vi propongo questo stralcio di brano:

"Quando Saviano vinse il Premio Viareggio, una giornalista, stravolgendo un mio giudizio, chiese a Saviano: <<Ma è vero che Piperno dice che lei è un mitomane?>>. Saviano mi chiamò e mi disse che ci mancavano solo gli amici a rompergli i coglioni. anche se ben presto la sua furia si sciolse in una risata. A tutt’oggi sono pronto a sottoscrivere il giudizio di allora. L’impegno civile in letteratura è una forma di esibizionismo che non mi scalda (eppoi lo trovo così esteticamente diseducativo!). Credo che esista qualcosa di più vero della mesta e banale verità dei fatti. Ed è quella che chiamerei la verità della visione, a cui ogni scrittore aspira ma che pochi raggiugono, e solo attraverso il distorcente diaframma del mito."

Vi propongo, inoltre, la seguente frase riferita al libro Gomorra:

"Non sono un intenditore di camorra ma dubito che essa si lasci turbare da una cosa inutile e bella come la letteratura."

1) Sull’esibizionismo. Ritengo che ogni forma di scrittura resa pubblica (compresa quella che passa per questo blog) sia una forma di esibizionismo (anche dettata da esigenze di comunicazione), a prescindere dal fatto che sia più o meno impegnata. Ma che c’è di male? Se poi "l’impegno civile in letteratura è una forma di esibizionismo che non scalda"… be’, questo è solo una questione di gusto e non verità assoluta.

2) La letteratura bella ma inutile. Che significa inutile?  E se la letteratura è inutile, esiste una forma d’arte o di comunicazione utile? La pittura? La scultura? La musica? Piperno non è la prima volta che esterna questa sua opinione (peraltro già da molti anni oggetto di ampi dibattiti, un po’ come la questione della [presunta] morte del romanzo).

Vi propongo un "pezzo" che l’anno scorso pubblicai a tal proposito sulla rivista di letteratura Lunarionuovo traendo spunto, appunto, da un’esternazione di Piperno evidenziata su un articolo di Stefano Salis (pubblicato sul Domenicale de Il Sole24Ore).

Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione in merito ai due punti sopraindicati.

                                                    * * *

La letteratura serve a niente

di Massimo Maugeri

La letteratura non serve a niente. È quanto affermato, come apprendiamo da un Domenicale de Il Sole 24 Ore di settembre (2005), da Alessandro Piperno nel corso del festival della letteratura di Mantova.

Alessandro Piperno, docente di letteratura francese a Tor vergata, nonché autore esordiente di un romanzo recentemente pubblicato da Mondadori, dà chiara dimostrazione di coerenza e coraggio. Apprendere, infatti, proprio da un insegnante di letteratura e neoromanziere a caccia di premi letterari e apparizioni televisive, che la letteratura non serve a niente è una vera sorpresa.

In ogni caso supponiamo che il buon Piperno si sia lasciato andare a tale esternazione giusto per colpire a morte, una volta per tutte, l’errata convinzione che la letteratura sia dotata del potere taumaturgico di forgiare gli spiriti, formare le coscienze, orientare il pensiero.

La letteratura non serve a niente, dunque. Di certo da essa non dipende la vita o la morte. E chi pensa il contrario è un pazzo. Come quel Chapman, l’assassino di John Lennon, che – mentre si predisponeva a commettere l’omicidio – teneva in tasca una copia de “Il giovane Holden” di Salinger.

In linea di massima comprendiamo il punto di vista di Alessandro P.

Tuttavia ci sorge un dubbio.

E se Piperno intendesse dire quel che ha detto con le peggiori intenzioni? E cioè che la letteratura non serve a niente (ma proprio a niente)?

Fermiamoci qui. Solo per ora. E passiamo da Piperno a Grisham (anche quest’ultimo è intervenuto al festival della letteratura di Mantova). L’ultimo romanzo di Grisham è ambientato in Italia; a Bologna per la precisione. Il bestsellerista americano, per schermarsi dalle accuse da parte di coloro che gli hanno fatto notare innegabili sviste e ricorrenti luoghi comuni contenuti nella sua ultima opera, ha affermato che il suo “è un romanzo di intrattenimento, non un trattato di sociologia”.

Sorvoliamo, per ora, sul capolavoro di Grisham e concentriamoci su quanto segue.

Supponiamo che da un romanzo non ci si debba aspettare altro che mero intrattenimento. Se così fosse, un romanzo avrebbe quantomeno la funzione di intrattenere il lettore e, pertanto, servirebbe comunque a qualcosa. Se, dunque, tutta la letteratura avesse solo la (poco nobile?) funzione di intrattenere servirebbe comunque a qualcosa. Il problema, semmai, e che certi libri non hanno nemmeno la capacità di intrattenere (ma questo è un altro discorso).

Diamo tuttavia per buona la tesi che la letteratura non serve a niente. Una domanda sorge spontanea. Cos’è che serve? Cos’è che è inutile?

In fondo l’affermazione di Piperno potrebbe applicarsi anche ad altre forme d’arte.

Immaginiamo di essere a Louvre, Parigi. La famiglia Ponepri decide di fare la fila per entrare. In particolare i Ponepri desiderano vedere dal vivo la Monna Lisa. Sono rimasti molto incuriositi dal film “Il Codice Da Vinci” (il libro non l’hanno letto; a casa Ponepri non si legge, anche se il capofamiglia ha deciso di comprare in edicola i Meridiani Mondadori per incrementare il plusvalore della propria libreria). A fine giornata i Ponepri tirano le somme. Sono rimasti molto colpiti dalla struttura del Louvre e profondamente delusi da La Gioconda (“Quel quadro non me lo immaginavo mai mai così piccolo”, dice il capofamiglia). Arrivano alla conclusione che, tutto sommato, sarebbe stata più divertente una passeggiata per gli Shampi Elisé. Il giorno dopo, proprio a due passi dall’albergo, si imbattono nella piccola mostra di quadri di Jean Sahmgri, carneade di talento dell’arte pittorica del suo quartiere. Trascorrono quasi trenta minuti ad ammirare le tele di Jean. Una volta usciti giungono alla conclusione che osservare i quadri di Sahmgri è più meglio di perdere cinque ore cinque a guardare i quadri vecchioni del Louvre (“Poi c’è quel quadro di quella femmina nuda che… mizzica, altro che Gioconda!”)

La passeggiata agli Shampi Elisé, la visita al Louvre e quella alla mostra di Sahmgri rappresentano tre forme di intrattenimento (intrattenimendo dicono i Ponepri). Per nessuna delle tre potremmo, correttamente, usare la formula non serve a nulla.

Il ragionamento, naturalmente, può applicarsi alle altre forme d’intrattenimento: dalla musica al cinema.

Ma torniamo alla letteratura.

Il lettore Pincopallo ha letto di recente “Furore” di Steinbeck e “Il cliente” del già citato Grisham.

Quando ha terminato di leggere “Furore” Pincopallo ha provato una sensazione differente rispetto a quella provata dopo la lettura de “Il cliente”. Entrambe le letture hanno svolto, nei suoi confronti, una funzione di intrattenimento. Nessuna delle due, dal suo punto di vista, ha rivoluzionato la verità del mondo. Tuttavia dopo “Furore” Pincopallo ha trascorso una buona ora a riflettere (ma a che serve riflettere?), mentre dopo “Il cliente” si è recato in cucina a prepararsi un panino al prosciutto. È indubbio che Pincopallo sarebbe sopravvissuto senza le riflessioni successive alla lettura di “Furore”, mentre se – dopo “Il cliente” – non avesse mangiato il panino al prosciutto avrebbe percepito un fastidio alla bocca dello stomaco. Di più… se fosse rimasto per due settimane senza riflettere sarebbe sopravvissuto; se – per due settimane – non avesse mangiato nulla sarebbe morto.

Dunque ha ragione Piperno!

In fondo gli Shampi Elisé, il Louvre, la mostra di Sahmgri, “Furore” e “Il cliente” non servono a nulla… se non a intrattenere.

Viva il panino al prosciutto, allora!

Un’ultima cosa su Grisham. Viene da pensare che, con tutta la grana (intesa non nel senso di rogna) che si ritrova, avrebbe potuto pagare dei consulenti che gli avrebbero evitato di incorrere in luoghi comuni e strafalcioni. Ma forse, in questo caso, “Il broker” sarebbe diventato un trattato di sociologia, a danno dell’intrattenimendo.

In fondo ci sentiamo molto intrattenuti da un romanzo dove – come riportato nella sezione Vespe del suddetto Domenicale de Il Sole 24 Ore – “da Palermo si vede l’Etna”.

Viene voglia di scrivere un romanzo di intrattenimento ambientato a Long Island dove “da casa degli Spencer si vede l’Empire State Building”. Conosciamo delle persone che potrebbero ospitarci lì per una settimana una per fare la location del suddetto romanzo che potrebbe intitolarsi “Il brocco”.

Con umiltà massima potremmo inserire il titolo proprio sotto il nome dell’autore (di modo che l’acquirente non abbia difficoltà alcuna ad accostare il titolo al nome). E l’autore, a sua difesa, potrebbe sempre sostenere che trattasi di romanzo d’intrattenimento.

Anzi… d’intrattenimendo.

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domenica, 12 novembre 2006

CLASSIFICA DAL 30 OTTOBRE AL 5 NOVEMBRE

Ecco la classifica dei venti libri più venduti (fonte: Arianna) dal 30 ottobre al 5 novembre 2006.

Gomorra mantiene il primo posto. Mi pare interessante la conquista della seconda posizione da parte del duo Augias-Pesce per Inchiesta su Gesù.

Mi piacerebbe leggere i vostri (eventuali) commenti.

Titolo

Autore

Editore

Prezzo

1 

Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra

Roberto Saviano

Mondadori

15,50 

2 

Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo

Corrado Augias; Mauro Pesce

Mondadori

17,00 

3 

Fuori da un evidente destino

Giorgio Faletti

Baldini Castoldi Dalai

18,90 

4 

La grande bugia

Giampaolo Pansa

Sperling & Kupfer

18,00 

5 

Donne informate sui fatti

Carlo Fruttero

Mondadori

16,50 

6 

Come Dio comanda

Niccolò Ammaniti

Mondadori

19,00 

7 

Inés dell’anima mia

Isabel Allende

Feltrinelli

17,00 

8 

Il cacciatore di aquiloni

Khaled Hosseini

Piemme

17,50 

9 

Il mio nome è rosso

Orhan Pamuk

Einaudi

11,80 

10 

Ragionevoli dubbi

Gianrico Carofiglio

Sellerio di Giorgianni

12,00 

11 

Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco

Giorgio Bocca

Feltrinelli

14,00 

12 

Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia

Edmondo Berselli

Mondadori

16,00 

13 

Ascolta la mia voce

Susanna Tamaro

Rizzoli

15,50 

14 

Il diavolo veste Prada

Lauren Weisberger

Piemme

13,50 

15 

Parlami d’amore

Silvio Muccino; Carla Vangelista

Rizzoli

16,00 

16 

Una vita da lettore

Nick Hornby

Guanda

15,50 

17 

Quello che non si doveva dire

Enzo Biagi; Loris Mazzetti

Rizzoli

18,00 

18 

Critica della ragion criminale

Michael Gregorio

Einaudi

15,00 

19 

L’origine perduta

Matilde Asensi

Sonzogno

19,00 

20 

L’ombra del vento

Carlos Ruiz Zafon

Mondadori

12,00

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mercoledì, 8 novembre 2006

CHE COSA È LETTERATURA ?

Propongo un altro dibattito attraverso un post "gemello" di quello predente (chi è poeta?).

Stavolta la domanda è: che cosa è letteratura? Traggo lo spunto da un “pezzo” di Giulio Mozzi pubblicato sulla rubrica Trovarobe della rivista STILOS del 24 ottobre (pag. 15).

Giulio Mozzi

Ringrazio Giulio Mozzi che, non solo mi ha autorizzato a riportare su Letteratitudine stralci del suo brano, ma per agevolarmi mi ha anche inviato l’intero testo via e-mail.

Facciamo così… riporto solo la prima parte del testo, poi lascio la parola (sempre e solo rigorosamente scritta) a chi vorrà intervenire. Nel corso del dibattito, tra i commenti, riporterò nuovi stralci del brano di Mozzi.

Ecco il primo:

<<(…) La questione di fondo è: non si può pretendere di decidere che cosa è e che cosa non è letteratura sulla base di criteri qualitativi. E il mio interlocutore diceva: “Anche la lista della spesa?”. Io: sì, anche la lista della spesa. “Quindi qualunque cosa sia scritta è, per te, letteratura?”. Sì.>>

A voi la parola… cosa è letteratura?

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lunedì, 6 novembre 2006

CHI È POETA ?

Propongo quanto scritto da Nico Orengo sulla rubrica “Fulmini” di Tuttolibri del 4 novembre 2006 (celebre settimanale allegato a La Stampa del sabato) in merito a una leggera querelle che ha coinvolto Maurizio Cucchi.

Nico Orengo

Credo possano trarsi gli spunti per avviare un interessante dibattito.

“Ma i cantautori son poeti o no? E se non lo sono, possono diventarlo? Questo è il gran rovello di Maurizio Cucchi, che sul Corriere dice che la vera poesia, quella di Milo De Angelis, può interessare poche migliaia di persone mentre <<quella>> di un Guccini o di un Ligabue molte centinaia e migliaia di persone. E dunque in un’epoca di <<succedanei e aperitivi>>, più <<utile>>. Spero che in Cucchi prevalga un sentimento di nostalgica amarezza e non di risentimento. Da sempre Cucchi ha dichiarato che quella dei cantautori non è poesia. Se uno pensa a De André, a Dylan, a Conte a Jannacci è difficile dargli ragione. Anzi: è impossibile. Ma non perché i tempi sono cambiati ma semplicemente perché quelli sono <<poesia>>. E da vero poeta qual è, legga nel merito i testi dei cantautori.”

Siete d’accordo con Nico Orengo?

A voi la parola.

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lunedì, 6 novembre 2006

TURI FERRO, IL MAGISTERO DELL’ARTE (di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla)

Ho il piacere di segnalarvi un ottimo libro dedicato alla figura del compianto Turi Ferro. Il volume, curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, zeppo di bellissime fotografie che riproducono l’attore in vari momenti significativi della sua carriera, si intitola "Turi Ferro, il magistero dell’arte", edizioni La Cantinella, Catania 2006.

Turi_ferro_volume

Ringrazio la casa editrice che ha messo a disposizione di Letteratitudine il testo introduttivo (riportato di seguito).

                                            * * * * * *

Maturata a ridosso delle esperienze storiche più significative del primo Novecento, la stagione aurea del teatro siciliano aveva rinverdito le scene nazionali e internazionali esibendo le straor­dinarie doti interpretative di Giovanni Grasso e Angelo Musco che avevano alimentato un intenso dibattito sull’azione educati­va del teatro, sul ruolo dell’attore, sulle ragioni del mercato, sui condizionamenti del pubblico, sull’inviolabilità del testo lettera­rio, sulla trasgressione interpretativa, sui diritti d’autore, sulla necessità di una mes­sa in scena più dinamica, inquieta, polisemica. Sul tronco del naturalismo i grandi attori-mattatori siciliani, che affondavano le radici, attingendone nutrimento vitale, in un humus teatrale antichissimo, avevano innestato il loro istintivo talento, rinsan­guato da generazioni dì pupari, da pratiche di commedia dell’arte, da retaggi di cul­tura orale, da elementi temperamentali ‘forti’.

            Informato al medesimo spirito dionisiaco, di tale multiforme patrimonio Turi Ferro è stato naturale erede. I suoi esordi risalgono ai verdi anni, a fianco del padre Guglielmo, appassionato componente della «Brigata d’Arte filodrammatica», al Teatro Coppola di Catania, prima, nei teatrini parrocchiali della città etnea, poi, dove individua e matura una vocazione che non verrà mai meno. Nel 1946 partecipa alla rubrica di Radio Catania Tutta la città ne parla dando vita a popolari personaggi e conquistando simpatia e notorietà. Durante la stagione 1948-’49 è a Roma, nella Compagnia di Rosso di San Secondo e Rocco D’Assunta, dove incontra Ida Carrara, discendente da un’antica famiglia di comici, destinata a divenire sua splendida compagna d’arte e di vita, che sposerà il 14 febbraio 1951. Dopo l’esperienza della «Compagnia Anselmi-Abruzzo», nel 1953 riprende la collaborazione con Radio Catania in Contropiede, rubrica satirico-sportiva del lunedì, e nel 1955 in Il ficodin­dia, settimanale umoristico di cronaca e attualità. Negli stessi anni si ricostituisce la «Brigata d’Arte» del risorto Circolo Artistico, diretta da Silio Ali, scenografo il pit­tore Francesco Contrafatto, dove ha modo di misurarsi anche con testi del teatro nazionale ed europeo. La compagnia annovera, con Turi Ferro che ne è l’animato­re, alcuni dei protagonisti ‘storici’ del teatro siciliano, Rosina Anselmi, gustosa partner di Angelo Musco, il marito Lindoro e il cognato Eugenio Colombo, Iole e Vittorina Campagna, esponenti come Franca Manetti e Maria Tolu, sorelle di Ida Carrara, di una delle tante illustri famiglie di teatranti.

            Non l’Accademia è stata la scuola di Turi Ferro, piuttosto la realtà della sua terra, per sua natura ‘teatrale’, e il magistero del geniale eclettismo di comici, nel cui DNA personale e ambientale è racchiuso un faticante e seducente destino, che gli hanno trasmesso il loro stipato bagaglio di bizzarre virtualità istrioniche, di fantasticherie perturbanti, di esperienze frutto di mestiere ed arte: il trovarobato di trucchi e magie appresi fin dalle quinte, la memoria cromosomica di famiglia attorica all’italiana antica.

            Il 20 ottobre del 1958, consumato un felice momento capocomicale, dando vita ad un sogno lungamente accarezzato, in una Catania ancora laboratorio lette­rario sebbene non più operoso e fervido come un tempo, con Mario Giusti, Gaetano Musumeci, Piero Corigliano, Nunzio Sciavarrello, Pietro Platania ed altri, Turi Ferro fonda l’Ente Teatro di Sicilia. Con loro due capocomici della statura di Mi­chele Abruzzo e Umberto Spadaro che, con Rosina Anselmi, Turi Pandolfìni, Jole e Vittorina Campagna, Virginia Balistrieri, Eugenio Colombo, Rosolino Bua, ap­partenevano al ‘vecchio’ ceppo dell’eroico teatro siciliano. Il futuro Teatro Stabile di Catania (il cui settore organizzativo verrà affidato a Giuseppe Meli), luogo di di­vertenti evasioni, di rigorose verifiche, di esaltanti approdi, s’imporrà via via nel pa­norama non soltanto italiano, ripercorrendo con identico successo nelle numerose tournées estere le tappe delle gloriose compagnie dei primi decenni del secolo.

            Pièce inaugurale Malia di Luigi Capuana, messa in scena il 3 dicembre dello stesso anno, regia di Accursio Di Leo, scene e costumi di Renato Guttuso, musiche di Angelo Musco junior. E non a caso. Con Malia, suo cavallo di battaglia, soleva esordire Giovanni Grasso, «il più grande attore tragico del mondo», come è stato unanimemente definito. Un ulteriore filo rosso che lega attori tanto genuini e veri nei toni, nella gestualità, nei costumi, nella lingua. Dal capolavoro drammaturgico di Luigi Capuana prende abbrivio un nuovo itinerario teatrale di Turi Ferro, votato a raggiungere traguardi sempre più prestigiosi per l’abilità di acquisire ed elaborare in modo personale e creativo codici multipli dell’attore di razza: voce, mimica, prossemica, fisiognomica.

            Da allora, attore di singolare duttilità, proteiforme, capace d’inasprire il co­mico fino al tragico, di trascorrere con inusitata repentinità da uno stato d’animo al­l’altro, Turi Ferro ha assiduamente attraversato il variegato, prismatico, intrigato territorio del teatro siciliano ora giocoso, ilare, grottesco, ora melanconico, severo, drammatico: I civitoti in pretura, L’aria del continente, San Giovanni Decollato, Annata ricca massaru cuntentu, Sua Eccellenza, Il marchese di Ruvolito, L’altalena di Nino Martoglio, Lu cavaleri Pidagna, Il Paraninfo di Luigi Capuana, La Lupa, Ca­valleria rusticana, Caccia al lupo, Dal tuo al mio di Giovanni Verga, La bella addor­mentata di Pier Maria Rosso di San Secondo, L’eredità dello zio Canonico, II cittadino Nofrio di Antonino Russo Giusti, I Don di Pippo Marchese, Domini di Saverio Fiducia, Faidda di Francesco De Felice, Questo matrimonio si deve fare, La go­vernante, II Gallo di Vitaliano Brancati, L’avventura di Ernesto di Ercole Patti, Le notti dell’anima, Gli abusivi di Turi Vasile. Ma pure Giacomino Re nel grano di Gio­vanni Guaita, La grande speranza di Carlo Marcello Rietmann, Fumo negli occhi, Né di Venere né di Marte di Faele e Romano, I Carabinieri di Beniamino Joppolo, Antigone Lo Cascio di Giulio Gatti, Mariana Pineda di Federico García Lorca, La dote di Mario Brancacci, L’uomo e la sua morte di Giuseppe Berto, Un’abitudine a che serve? di Aldo Formosa, Inquisizione di Diego Fabbri, Il Riscatto di Vittorio Metz, Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. In ‘anni difficili’, in cui la denuncia della mafia, delle perverse logiche del potere, del malessere di una democrazia e di una politica corrotte e corruttrici, della violenza e delle imposture della storia, non era usuale, lo Stabile di Catania metteva in scena testi di forte impegno sociale, di generosa tensione morale, di vigile coscienza critica. In particolare quelli di Leonar­do Sciascia (il rifacimento de I Mafiosi di Gaspare Mosca e Giuseppe Rizzotto, Il giorno della civetta, Il Consiglio d’Egitto, A ciascuno il suo) e di Giuseppe Fava (La violenza, Il Proboviro, Ultima violenza). Una grande lezione civile cui Turi Ferro ha offerto il lievito e il carisma di una sanguigna interpretazione. Al contempo si misu­rava con gli immortali personaggi della grande narrativa siciliana ridotta per il tea­tro, contribuendo così alla sua divulgazione presso un vasto pubblico. Da antologia le interpretazioni di “padron ‘Ntoni” de I Malavoglia e di “Gesualdo Motta” del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga, di “don Blasco” de I Viceré di Federico De Roberto, di “don Fabrizio Gerbera principe di Salina” di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

            Un repertorio ubertoso che registra anche Fedor Dostoevskij  (Il villaggio Stepančikovo), Anton Čechov (Zio Vanja), Molière (Il malato immaginario, L’avaro, La scuola delle mogli), William Shakespeare (La bisbetica domata, ridotta in sicilia­no col titolo Castigamatti, Tifo Andronico, La Tempesta), Sofocle (Antigone), Plauto (Miles gloriosus, ridotto in siciliano col titolo Lu surdatu vantaloru), Euripide (Ele­na), Ronald Harwood (Servo di scena), Eric Emmanuel Schmitt (Il visitatore). Auto­re di riduzioni teatrali e regista, Turi Ferro è stato interprete pure di vari sceneggiati televisivi (L’accusatore pubblico, La locanda dei misteri, Merluzzo, Mastro-don Ge­sualdo, Ma non è una cosa seria, L’insuccesso, Il mondo di Pirandello, Boris Gudonov, I racconti del maresciallo, Il segreto di Luca, Il candidato, I Nicotera, La quinta donna, La famiglia Ceravolo, E non se ne vogliono andare, E se poi se ne vanno?) e film (Un uomo da bruciare, Io la conoscevo bene, Rita la zanzara, 7 volte 7, Un caso di coscien­za, Scipione, detto anche l’Africano, L’istruttoria è chiusa: dimentichi, Imputazione di omicidio per uno studente, La violenza: quinto potere, Mimi metallurgico ferito nell’’onore, Malizia, Virilità, La governante, Il lumacone, Malia, Vergine e di nome Maria, I Baroni, Stato interessante, Che notte, quella notte, Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, Ernesto, La posta in gioco, Malizia 2000, Novella siciliana).

            Innumerevoli segni, tutti questi, di una vocazione che si rivela senza prece­denti e senza confronti quando investe un autore quale Luigi Pirandello, ampia­mente ed insistentemente frequentato.

            Del 1957 è la prima rappresentazione della commedia Liolà (ripresa nel 1959 e tenuta in repertorio fino al 1973), che affascina per la ricchezza coreografica, l’esplosione di suoni, canti, luci, colori, movimenti, l’esuberanza con cui è condotto il giunco dell’intreccio, lo spessore antropologico, sociologico, psicologico, l’energia interpretativa di Turi Ferro. Alla gioiosa vitalità di Liolà l’attore affiancherà via via, in un crescendo di registri, nel segno di una corrosiva ed inesorabile dialettica, per­corsa da vibranti tensioni esistenziali, i testi più emblematici dell’agrigentino: La giara, Così è (se vi pare), L’uomo, la bestia e la virtù, Ciascuno a suo modo, Vestire gli ignudi, Il berretto a sonagli, Lumìe di Sicilia, Questa sera si recita a soggetto, Il giuoco delle parti, Ma non è una cosa seria, Sei personaggi in cerca d’autore, I Giganti della Montagna, ‘U Ciclopu (da Euripide), Pensaci, Giacomino!, La cattura (ultimo suo spettacolo, che sigla una lunga fedeltà pirandelliana); e per il cinema: Il turno, Tu ridi. Votatamente elusi, in omaggio a Salvo Randone, quelli che sono stati i cavalli di battaglia del conterraneo siracusano, Il piacere dell’onestà, Tutto per bene e, in particolare, Enrico IV.

            Ma a restare consegnate alla ‘storia’ del teatro sono le magistrali interpretazioni di “Liolà” e di “Ciampa”. E di quel “mago Cotrone”, visionario, onirico, surreale e insieme terragno, che lascia intravedere le speculari immagini dell’autore e del regista, primi maghi evocatori, nella memorabile edizione del 1966, al Teatro Lirico di Milano, de I Giganti della Montagna di Giorgio Strehler. Sua la definizione di Turi Ferro quale «uno degli attori più epici. Forse Brecht è nato con lui».

            E se la festevole interpretazione del giovane contadino-poeta, «ebbro di sole», della commedia campestre Liolà è divenuta con gli anni irripetibile, ormai mitica nella memoria collettiva, quella dolente ed esacerbala dello scrivano-filosofo “Ciampa” di Il berretto a sonagli, sussiegoso raisonneur, ammantato di callida suasività, d’intellettuale abilità loica, di furori ragionativi, di manie teorizzatoci, si è av­valsa della complicità del tempo, di cui il corpo non è più illustrazione ma clessidra, fino all’identificazione totale. Quel corpo che è «oggetto della mente» per Spinoza, come il volto è «anima del corpo» per Wittgenstein. Giacché, per far ricorso stavol­ta a Simmel, «nella forma del volto l’anima si esprime nel modo più chiaro». Seducente strumento di teatralità, il volto, di cui l’età è nemico ma pure certosino scultore. Del paesaggio interiore l’ortografia del volto, cui è consegnato il racconto di una vita, rappresentando il punto di emersione. Così come la facies della terra è il punto di emersione del paesaggio naturale. Entrambi testimoniando stagioni, ru­ghe, nervature, ingrottamenti, depressioni, fratture, cedimenti, squarci. Il faticoso incedere, i lenti gesti, gli eloquenti sguardi, le meditate pause, i dolorosi silenzi, l’ar­rochirsi della voce, l’emozione dissugata dell’attore, che vieppiù guadagnava in in­tensità quanto perdeva in baldanza, scavavano, per lungo studio e acquisita sapienza, nelle piaghe dell’uomo per estrarne, distillandone gli affanni, l’antico ma­lessere, il dolore del ‘mondo offeso’. Autore anch’egli del suo personaggio, l’attore, al pari dello scrittore. Fabulatore e poeta. Ammaliante alchimista. Conformemente al dettato pirandelliano, la sua esecuzione balzava «viva dalla concezione, e soltan­to per virtù di essa, per movimenti cioè promossi dall’immagine stessa, viva e attiva, non solo dentro di lui, ma divenuta con lui e in lui anima e corpo». Erano proprio il tono epico-lirico, la pregnante gestualità mediterranea, la naturale accensione sici­liana della lingua, la musicalità segretamente vibrante di slanci e di tribolazioni, le intense sospensioni brulicanti di senso, l’essenzialità ma pure l’enigma del silenzio a restituirci, penetrando negli strati più incandescenti del testo, con il prodigio e il po­tere evocativo della parola pirandelliana, il sentimento dell’impotenza, della solitu­dine, dell’angoscia del vivere. Nel magistero dell’arte il proscenio si tramutava in ‘stanza della tortura’, in impietoso tribunale di coscienze ed insieme in strumento per cauterizzare le inquietudini, le ansie, le pene esistenziali. Ridando all’attore quel ruolo di «epitaffio e cronaca del proprio tempo» che gli assegnava Shakespeare, Turi Ferro faceva del teatro l’onnipotente luogo della vraisemblance.

            Il luogo senza frontiere dove, per una sorta di complicità tra attore e pubblico, ogni alchimia si consumava. Sapientemente celando in un’aura di poesia l’inganno della menzogna che è dell’attore, il suo incomparabile privilegio di essere, con Baudelaire, «se stesso e altrui a suo piacimento», negli esiti più felici Turi Ferro è figura dell’attore-santo di cui parla Grotowski che, in un’ascesi mistica alla ricerca della verità, liberava da ogni istrionismo l’actio oratoria. L’illusion comique si sublimava in illusione trascendentale. Ed è la fictio, vale a dire la capacità di evocare fantasmi, che nell’ambiguità eticamente e poeticamente si definiscono, mediante cui il teatro celebra il suo magico rito, ad eternare personaggio ed interprete.

Sarah Zappulla Muscarà

Enzo Zappulla

————————

"Turi Ferro, il magistero dell’arte",

di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla

edizioni La Cantinella, Catania 2006

tel./fax +39 095 536552

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lunedì, 6 novembre 2006

VOCE DI LIBRAIO

Inauguro un nuovo spazio dedicato ai librai.
Si chiama: “Voce di libraio”. L’obiettivo è quello di dare voce proprio a coloro che nell’ambito della divulgazione del libro giocano un ruolo fondamentale.

libreria.JPG

Gli amici librai potranno utilizzare questo spazio (tempo libero permettendo… so che è poco) segnalando le proprie iniziative, scambiando impressioni e pareri, raccontando aneddoti (sono sicuro che se ne vedono e se sentono delle belle in libreria), parlando delle problematiche del mondo/libro dal loro punto di vista (che non sono poche), fornendo semplici consigli di lettura.

Vi ringrazio in anticipo per l’adesione…

Massimo Maugeri

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domenica, 5 novembre 2006

SAVIANO IN TESTA

Vi segnalo la classifica dei dieci libri più venduti (fonte: Arianna) dal 23 al 29 ottobre 2006.

Ci tenevo a farlo soprattutto perché compare in testa Roberto Saviano che qui a Letteratitudine abbiamo sostenuto (e continuiamo a sostenere). Gomorra è divenuto un grande caso letterario e questa classifica dimostra come i casi letterari che interessano a torto o a ragione i mass media che contano si trasformano automaticamente in bestseller. In ogni caso, complimenti a Saviano. E onore al merito (anche se immagino che l’arrivo in vetta possa essere una magra consolazione… considerato che i suoi problemi non credo siano stati risolti).

Titolo

Autore

Editore

Prezzo

1

Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra

Roberto Saviano

Mondadori

15,50

2

Fuori da un evidente destino

Giorgio Faletti

Baldini Castoldi Dalai

18,90

3

La grande bugia

Giampaolo Pansa

Sperling & Kupfer

18,00

4

Come Dio comanda

Niccolò Ammaniti

Mondadori

19,00

5

Donne informate sui fatti

Carlo Fruttero

Mondadori

16,50

6

Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo

Corrado Augias; Mauro Pesce

Mondadori

17,00

7

Inés dell’anima mia

Isabel Allende

Feltrinelli

17,00

8

Il mio nome è rosso

Orhan Pamuk

Einaudi

11,80

9

Ragionevoli dubbi

Gianrico Carofiglio

Sellerio di Giorgianni

12,00

10

Il cacciatore di aquiloni

Khaled Hosseini

Piemme

17,50

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sabato, 4 novembre 2006

SENSI VIETATI (di Massimo Onofri)

Il primo libro che ho il piacere di segnalarvi si intitola “Sensi vietati” (246 pag., euro 12), ed è pubblicato dall’editore romano Alberto Gaffi. Il suo autore, Massimo Onofri, è un noto saggista e critico letterario.

Sensi vietati. Diario pubblico e contromano 2003-2006

Ho letto “Sensi vietati” con molta curiosità e ho trovato degli spunti davvero interessanti che, credo, (previa richiesta di autorizzazione ad autore ed editore) utilizzerò anche per tentare di “lanciare” dei dibattiti qui a Letteratitudine.

Potrei definire “Sensi vietati”, rifacendomi all’epigrafe, e dunque senza rischiare, come un libro di scaramucce italiane ilare e disperato, ma non rassegnato.

Sono tanti i personaggi cerchiati dalla penna pungente di Onofri. Ne cito solo alcuni (in rigoroso ordine alfabetico): Arbasino, Berlusconi, Biagi, Bossi, Buttafuoco, De Gregori, Elkann, Sabrina Ferilli, Montanelli, Fernanda Pivano, Platinette, Moana Pozzi, Pupo, Sacchi, Sanguineti, Savinio, Tabucchi, Totti, Zecchi.

E mi fermo qui. Piuttosto che perdermi in ulteriori chiacchiere sterili, infatti, ritengo sia meglio lasciare la parola all’autore riportando uno stralcio della sua postfazione.

“(…) Se tre anni fa Costantino Cossu, responsabile delle pagine culturali de La Nuova Sardegna, non avesse voluto affidarmi una rubrica settimanale, Contromano, che oggi ancora felicemente continua, questo libro non sarebbe mai nato. Molte di quelle note sono così trapassate qui, alle quali altre se ne sono aggiunte, e sempre su sollecitazione altrui: innanzi tutto Pier Vittorio Buffa dei quotidiani regionali del gruppo Espresso, poi Pietro Cheli di Diario e Alberto Papuzzi de La Stampa, che tutti ringrazio, se non altro per l’incauta generosità dimostrata nei miei confronti.

Aggiungo solo che se per Sensi vietati possono indicarsi modelli, si tratta solo – almeno questi – di modelli alti: diciamo il Barthes di Miti d’oggi e lo Sciascia di Nero su nero, tra antropologia della cultura e critica del linguaggio (e dell’ideologia), ma sempre attraverso la mediazione della letteratura, intesa come una delle forme possibili della verità. Insieme ai tanti saggisti che hanno contribuito a rendere oltremodo interessante (più di quanto non si sia disposti a concedere) la letteratura italiana del secolo appena trascorso.”

Un’ultima considerazione. Credo che a volte occorra percorrerli, i sensi vietati. E farlo è sempre rischioso. Ma il rischio tende ad affievolirsi, fino a scomparire, se chi è al volante ha una guida sicura (leggasi determinazione) e conosce bene le strade (leggasi cultura e capacità d’argomentazione). Ritengo sia così per Massimo Onofri.

Massimo Maugeri

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Sensi vietati. Diario pubblico e contromano 2003-2006 (di Massimo Onofri)

€ 12,00 – 246 p., brossura – anno 2006

Gaffi Editore

Collana Sassi

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sabato, 4 novembre 2006

SEGNALAZIONI E RECENSIONI

Apro la rubrica “Segnalazioni e recensioni” partendo da  una doverosa precisazione: non mi considero (perché non lo sono) un critico letterario. Quelle che leggerete su questa rubrica, dunque, saranno solo le impressioni (chiamatele, se volete recensioni) di un lettore. Peraltro, faccio mie le parole di Oriana Fallaci (cfr. La Stampa del 16/9/06, pag. 2): “Non insulto mai i libri degli altri. Se sono brutti, non dico mai che sono brutti. Non dico nemmeno: non mi piace. Non lo dico perché conosco la fatica tremenda che ogni libro, bello o brutto che sia, costa. E mi riconosco in quella fatica, rispetto quella fatica."

Di conseguenza mi permetterò di commentare soltanto le opere che mi hanno colpito favorevolmente, tralasciando le altre.

Ai veri critici letterari il compito di "bacchettare" – fino al limite della stroncatura – i cattivi libri.

Massimo Maugeri

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giovedì, 2 novembre 2006

IPERSPAZIO CREATIVO

“Letteratitudine” apre a una nuova iniziativa attraverso la creazione di un long-post, dove potrete inserire commenti e contributi a volontà. Si chiama “Iperspazio creativo”: un nuovo luogo virtuale. Un luogo nel luogo, si potrebbe dire.

iperspazio-creativo

Avete voglia di parlar delle vostre opere, edite o inedite che siano?

Volete presentarle?

Volete presentare il lavoro creativo di un vostro amico?

Avete idee, o iniziative nuove da proporre o da segnalare?

Brevi testi da condividere? Magari un racconto che tenevate nel cassetto?

Cercate occasioni di confronto creativo?

Volete avviare processi di lettura incrociata?

Bene! “Iperspazio creativo” è il luogo adatto per voi.

“Letteratitudine” lo ospita volentieri.

Buon iperspazio creativo a tutti!

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