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Archivio della Categoria 'L'AUTORE STRANIERO RACCONTA IL LIBRO'

martedì, 11 maggio 2021

Matthew McConaughey racconta GREENLIGHTS. L’ARTE DI CORRERE IN DISCESA

Il nuovo ospite di L’autore straniero racconta il libro è l’attore premio Oscar Matthew McConaughey, autore di “Greenlights. L’arte di correre in discesa” (Baldini + Castoldi, traduzione di Stefano Travagli).

Ne approfittiamo per segnalare che giovedì 13 maggio, alle h. 18, Francesco Gatti (di Rainews24), presenterà “Greenlights. L’arte di correre in discesa” con la partecipazione dello stesso Matthew McConaughey sulle pagine Facebook di Letteratitudine, di Baldini + Castoldi e di PDE. (in fondo, la locandina dell’evento)

* * *

L’attore premio Oscar Matthew McConaughey è sposato, padre di tre figli, nonché figlio e fratello leale. Si considera un narratore di professione, crede che non ci sia niente di male a farsi una birra prima di andare in chiesa, apprezza il duro lavoro e sogna di diventare direttore d’orchestra.
Nel 2009, Matthew e sua moglie Camila hanno fondato la j. k. livin Foundation, che aiuta liceali a rischio a condurre una vita sana e sicura. Nel 2019, McConaughey è diventato professore presso la University of Texas, a Austin, e Minister of Culture per la stessa università e per la città di Austin. È inoltre Brand Ambassador della Lincoln Motor Company, proprietario dell’Austin F. C. e co-creatore del suo bourbon preferito in assoluto, il Wild Turkey Longbranch.

Qui di seguito Matthew McConaughey ci introduce a questo suo libro

* * *

di Matthew McConaughey

QUESTA NON È UN’AUTOBIOGRAFIA TRADIZIONALE. È vero, racconto storie del passato, ma non ho interesse per la nostalgia, il sentimentalismo e l’atteggiamento dimesso che solitamente caratterizzano le autobiografie. Non è nemmeno un libro di consigli. Non ho niente contro i predicatori, ma non sarò io a dirvi cosa fare.
Questo è un libro di metodo. Sono qui per condividere storie, idee e filosofie oggettivamente comprensibili e, se lo vorrete, soggettivamente adottabili, o modificando la vostra realtà, o cambiando il vostro modo di vederla.
Questo è un libro di strategie, basato sulle avventure che ho vissuto. Avventure significative, illuminanti e divertenti, a volte perché era destino che fossero così, ma soprattutto perché non volevano esserlo. Io sono ottimista di natura, e l’umorismo è stato uno dei miei grandi maestri. Mi ha aiutato ad affrontare il dolore, la perdita e la mancanza di fiducia. Non sono perfetto, tutt’altro, pesto merde in continuazione e ne sono consapevole. Ho semplicemente imparato a pulirmi le scarpe e andare avanti. (continua…)

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martedì, 3 novembre 2020

ALEX CONNOR racconta I COSPIRATORI DI VENEZIA

Il nuovo ospite di L’autore straniero racconta il libro è la scrittrice ALEX CONNOR, autrice diI COSPIRATORI DI VENEZIA(Newton Compton Editori – traduzione di Tessa Bernardi).

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Alex Connor è autrice di thriller e romanzi storici ambientati nel mondo dell’arte. Lei stessa è un’artista e vive in Inghilterra.

Cospirazione Caravaggio, uscito per la Newton Compton nel 2016, è diventato un bestseller ai primi posti delle classifiche italiane. Con Il dipinto maledetto ha vinto il Premio Roma per la Narrativa Straniera. La Newton Compton ha pubblicato la sua trilogia su Caravaggio, composta da Caravaggio enigma, Maledizione Caravaggio ed Eredità Caravaggio; Goya enigma e Tempesta maledetta.

I cospiratori di Venezia è il secondo libro di una serie iniziata con I Lupi di Venezia.

Per saperne di più: www.alexandra-connor.com

Qui di seguito Alex Connor ci racconta qualcosa sulla sua Venezia… la città protagonista di questo suo nuovo thriller storico…

* * *

Decadenza, malvagità e morte

di Alex Connor

Venezia. È solo un nome, eppure questa parola – con le sue sette lettere – evoca una potente magia che non ha uguali al mondo.
Non solo per la sua bellezza, ma per il fascino senza tempo, seducente – quasi soprannaturale – di questa città. (continua…)

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venerdì, 1 febbraio 2019

KAYTE NUNN racconta LA FIGLIA DEL MERCANTE DI FIORI

La figlia del mercante di fiori - Clara Nubile,Angela Ricci,Kayte Nunn - ebookIl nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice KAYTE NUNN, autrice di “LA FIGLIA DEL MERCANTE DI FIORI(Newton Compton Editori – traduzione di Clara Nubile e Angela Ricci).

* * *

Kayte Nunn lavora come editor per libri e riviste.

È autrice di romanzi di successo, di cui La figlia del mercante di fiori è il primo ambientato in un’epoca passata, ed è in corso di traduzione in cinque Paesi.

Il suo sito è: kaytenunn.com

* * *

di Kayte Nunn

La figlia del mercante di fiori è un romanzo che parla della ricerca di una rara specie di giglio (ne ho persino inventato una sottospecie, potere della letteratura). Potremmo dire che la sua genesi è cominciata quando ho letto un articolo di giornale che parlava di una pianta misteriosa e velenosissima spuntata quasi per caso in un giardino della periferia inglese.
Alla fine è venuto fuori che la pianta, la Datura stramonium, nota ai più come l’erba del diavolo, era nata per via della germinazione di un mangime per uccelli che era stato importato dall’estero, probabilmente dal Sud America. Questa storia ha risvegliato il mio interesse.
Pochi mesi dopo, sono stata a Kew Gardens, a Londra, e ho scoperto la meravigliosa Marianne North Gallery. La signora North era un’intrepida e inveterata viaggiatrice di epoca vittoriana, nonché un’artista esperta di botanica. Dopo aver visitato la galleria, mi sono appassionata alle imprese e alla tradizione dei cacciatori di piante di età vittoriana e ho letto tutto quello che sono riuscita a trovare sull’argomento.
Così sono anche venuta a conoscenza del fatto che in Cornovaglia c’è un’elevata concentrazione di giardini ricchi di specie esotiche, per via del clima temperato rispetto a tutto il resto dell’Inghilterra. Lì avevo trascorso gran parte delle mie vacanze, quand’ero piccola, quindi ho potuto fare appello ai miei ricordi per ambientare in quella zona parte della mia storia. Vi sono tornata nel 2017 e ho trascorso una intera giornata nei bellissimi Lost Gardens of Heligan, che hanno alle spalle un’affascinante storia di riscoperta e recupero. (continua…)

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lunedì, 26 giugno 2017

JACQUES THORENS racconta IL BRADY

Libro Il brady Jacques ThorensIl nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore JACQUES THORENS, autore di “IL BRADY(L’Orma editore – traduzione di Marco Lapenna).

* * *

Jacques Thorens è nato in Bulgaria nel 1973 e a tre anni si è trasferito a Parigi dove ha studiato arti grafiche e cinema. Dal 2000 è stato proiezionista, cassiere e factotum del Brady, leggendario cinema di quartiere parigino al 39 del boulevard de Strasbourg. Questo è il suo primo libro, subito diventato oggetto di culto quanto i film di cui narra: una sorta di romanzo di un luogo. Il Brady è un cinema di quartiere a Parigi, che proietta pellicole di infima qualità, attingendo al kung fu, allo splatter, agli spaghetti western girati peggio.

«Questa storia si ispira a fatti reali. Tutto ciò che potrà sembrarvi eccessivo o inverosimile è autentico.»

Jacques Thorens racconta qui di seguito il suo libro per Letteratitudine e i per i lettori italiani.

* * *

di Jacques Thorens

Situato nel cuore di un quartiere popolare, fra centinaia di parrucchieri africani, un proiezionista scopre uno strano cinema, «un anacronismo, all’inizio dell’anno 2000, relitto di una macchina del tempo». Un luogo dove venivano proposti doppi spettacoli improbabili: Il trionfo di King Kong o Le esperienze erotiche di Frankenstein, Il dottore pazzo sull’isola del sangue o Lo stupro del vampiro. I film di genere, completamente folli, o più in generale ogni tipo di eccesso, erano la norma: sesso, violenza, orrori, kitsch, truffe… Il cinema era «l’hotel meno caro di Parigi» (5 euro) dove i clochards potevano smaltire la sbornia, dormire, fornicare. Ci si passava la giornata pagando un solo biglietto grazie a pratiche ormai obsolete (il doppio spettacolo: due film al prezzo di uno, il permanente: si entra e si esce quando si vuole), un luogo di incontri omosessuali per la terza età, spesso proletaria e immigrata, un camerino per le prostitute, grazie agli impiegati che, immersi in un’atmosfera singolare, si lasciano andare alle loro inclinazioni anticonformiste. La sala era gestita da un regista di 70 anni, Jean-Pierre Mocky, un tipo assurdo, un franco tiratore autoproclamato, che metteva insieme i suoi film contemporaneamente alla gestione del cinema, sempre sull’orlo del fallimento. Questo luogo era la sua ultima possibilità di mostrare i suoi film autoprodotti, che le altre sale rifiutavano. Il Brady gli permetteva di essere indipendente, rimanendo al tempo stesso l’emblema della sua marginalità. Descrivo un cinema losco, con le sue leggende e i suoi abitanti. Django, napoletano, ex-pappone, militare, clochard e straccione che veniva a dormirci tra una birra e l’altra, un appassionato di B-movies e film horror che teme le mani sulla coscia mentre guarda il film e che constata che quei film altrove censurati diventano alla moda grazie a Tarantino (anche lui spettatore occasionale di questa sala), un cassiere depresso protettore di prostitute bulgare, Momo, il travestito che viene qui con i suoi clienti, Azzedine il concierge e un proiezionista narratore (all’occorrenza autore), che osserva un simile bazar suonando la chitarra alla cassa. E infine i film folli (spesso italiani) sono anch’essi uno dei personaggi del libro: I guerrieri del Bronx, Cannibal holocaust, Virus cannibale, Ilsa la belva delle SS, Suspiria…Si proiettavano meraviglie di poesia macabra o divertente serie Z.

All’inizio sono stati aneddoti vissuti che raccontavo agli amici per farli ridere o scandalizzare, e volevo metterli per iscritto per non dimenticare i dettagli di quelle storie folli. Il piacere che mi ha dato la scrittura mi ha spinto a lavorarci meglio e ad approfondire il soggetto. È l’origine della mia voglia di letteratura. La forma ideale per questa storia.

Quegli aneddoti riguardavano un cinema ancora attivo, persone viventi, un proprietario regista, un certo tipo di film e spettatori che avevano una storia. Bisognava al tempo stesso non tradirli, comprenderli e avere un certo tipo di sguardo su di loro. Che fosse ironico, sarcastico e amorevole insieme. Per molto tempo non  ho espresso la volontà di scrivere su di loro affinché non perdessero la spontaneità o raccontassero storie assurde o inventate. I fatti erano già sufficientemente inverosimili senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro.

Ogni filo che tiravo conduceva a piste differenti. Questo lavoro è durato dieci anni. Da una parte perché non pensavo di poterlo pubblicare mentre il regista continuava a dirigere la sala cinematografica. Alcuni fatti avrebbero potuto essere interpretati come diffamazione, se non li avesse apprezzati. I miei timori erano infondati, a lui non importava. Anzi, voleva che ne aggiungessi altri, comprese alcune storie illegali. (continua…)

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venerdì, 5 maggio 2017

YORO di Marina Perezagua (intervista all’autrice)

La nuova ospite dello spazio di Letteratitudine dedicato alla letteratura straniera (e all’inconto con gli autori) è la scrittrice spagnola Marina Perezagua, autrice del romanzo “YORO(La nave di Teseo ,traduzione di Pino Cacucci).

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YORO” di Marina Perezagua (La nave di Teseo) - intervista all’autrice

di Massimo Maugeri

* * *

Sebbene l’eco delle immani catastrofi di Hiroshima e Nagasaki – veri e propri “scandali” della storia dell’umanità – dovrebbe continuare a risuonare nelle orecchie di tutti, il rischio che l’insorgenza di una guerra nucleare possa di nuovo devastare il genere umano rimane presente e aleggia sulle nostre teste come una perenne spada di Damocle. Lo dimostrano le recenti “scaramucce” tra Donald Trump e Kim Jong-un.
È questa la riflessione che mi viene in mente mentre mi accingo a pubblicare l’intervista alla brava Marina Perezagua, scrittrice spagnola che ha pubblicato di recente il romanzo intitolato “Yoro” (La nave di Teseo, traduzione di Pino Cacucci). Un romanzo fortemente incentrato sulla bomba atomica che, sul finire della seconda guerra mondiale, devastò il Giappone.
La storia di H comincia proprio il 6 agosto del 1945, quando il lancio di Little Boy su Hiroshima la colpisce ancora bambina e la sfigura… devastandola nel profondo.
Ho deciso di chiamare me stessa H“, scrive la protagonista della storia in una lettera indirizzata dalla Repubblica Democratica del Congo, “perché mi è sempre stata negata la voce e uno spagnolo mi ha detto che nella sua lingua la h è una lettera muta. La userò come nome, considerando che è anche il nome di tanti altri muti che forse troveranno qui la propria voce“.
È l’inizio di un racconto, l’inizio della sua storia, e di un viaggio che – nel corso degli anni – la porterà dall’America al Giappone, dalla Namibia al Congo…

- Marina, raccontaci qualcosa sulle origini di questo tuo romanzo (Yoro). Quale idea, esigenza, o ispirazione ti hanno spinto a scriverlo?
Risultati immagini per Marina PerezaguaHo sempre lavorato utilizzando paradossi e mi interessano particolarmente quelli che hanno un certo grado di difficoltà. In questo caso volevo immaginare un personaggio che, tra tutte le vittime della prima bomba atomica, potrebbe sentirsi in qualche modo beneficiato dall’esplosione, una bomba che ha preso la sua città, la sua gente, parti del suo corpo, e che tuttavia ha contribuito a costruire un’identità che la nascita gli aveva negato. D’altra parte, ero interessata alla sfida di scrivere in prima persona la testimonianza di un personaggio di una cultura diversa alla mia, tutto è diverso: l’età, il contesto storico… Sarebbe stato più facile scrivere sulla Guerra Civile Spagnola, la mia famiglia è molto longeva, ho conosciuto due bisnonni e due trisnonni, anche i miei nonni mi hanno raccontato tante storie della guerra, ma trovo più interessante scrivere di un dramma che non mi ha influenzato direttamente. E infine c’è il fatto di aver vissuto in Giappone e negli Stati Uniti per un lungo tempo (abito a New York da quattordici anni), questo mi ha permesso di accedere a testimonianze dirette o indirette delle due parti: vincitori e vinti.

- Cosa puoi dirci sulla tragedia della bomba atomica su Hiroshima? Che tipo di eredità o ammonimento ci ha lasciato, oggi, a distanza di tanti anni, il ricordo di quella terribile tragedia? (continua…)

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venerdì, 30 settembre 2016

PETER HØEG racconta L’EFFETTO SUSAN

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore danese PETER HØEG, autore del romanzo “L’EFFETTO SUSAN(Mondadori).

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PETER HØEG ci introduce alla lettura del suo nuovo romanzo L’EFFETTO SUSAN (Mondadori) raccontando qualcosa sulla genesi del libro e sulle caratteristiche della protagonista della storia

[testo tratto da una conversazione di Peter Høeg con Massimo Maugeri]

* * *

di Peter Høeg

Uno scrittore è una persona che cerca sempre di scrivere. Quindi è sempre alla ricerca di motivi, quasi di scuse, di pretesti, per scrivere delle cose. Con riferimento alla genesi di questo mio libro, mi sono ispirato a due persone che conosco: la prima è una giovane donna, l’altra è un uomo più anziano. Sono due persone che inducono gli altri ad aprirsi. È di questo che volevo scrivere.
Ma c’è anche un altro motivo che mi ha indotto a scrivere questo romanzo: una voce.
Una voce che ho sentito. La voce di Susan.
Bisogna innanzitutto evidenziare che Susan, essendo il personaggio di un libro, non esiste nella realtà. Le persone vere sono fatte, per esempio, anche di suoni e odori; mentre i personaggi dei libri esistono solo grazie al linguaggio. Ed è una pura illusione, per noi, il fatto che siano veri.
Ciò premesso, Susan l’ho intesa come una persona complessa. E questo l’ho fatto intenzionalmente, partendo dal presupposto che i lettori che decideranno di leggere questo romanzo dovranno trascorrere del tempo con lei: qualche settimana, o pochi giorni (il tempo che il lettore impiega per leggere un libro). È questo il motivo per cui Susan doveva essere una persona gradevole, ma complessa. Non lineare. Proprio per dare un’esperienza di lettura piacevole al lettore. Mi piace molto la commistione tra la natura maschile e la natura femminile presenti in questo personaggio.
La complessità di Susan deriva dal fatto che è stata una bambina traumatizzata, perché ha dovuto subire l’abbandono dei suoi genitori. In un certo senso è una sopravvissuta. Se, da un certo punto di vista è debole proprio per questo motivo; dall’altro, però, è una donna fisicamente e caratterialmente forte. (continua…)

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mercoledì, 1 giugno 2016

LILIA CARLOTA LORENZO racconta IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice argentina LILIA CARLOTA LORENZO, autrice del romanzo “IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA” (Mondadori).

Lilia Carlota Lorenzo ha scritto a Letteratitudine per raccontare questo suo romanzo d’esordio (ne approfitto per salutare e ringraziare Lilia).

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre, Adam Thirlwell.

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LILIA CARLOTA LORENZO scrive a Letteratitudine per raccontare il suo romanzo IL CAPPOTTO DELLA MACELLAIA(Mondadori).

di Lilia Carlota Lorenzo

Qualcosa sulla mia vita: mi chiamo Lilia Carlota Lorenzo e sono di origini argentine. Dopo aver frequentato le facoltà di giornalismo e giurisprudenza, per poi diventare un architetto di mezza tacca, perché non ricca né figlia sorella o moglie di architetti di successo, eccomi qua, vivendo fra l’Italia e l’Argentina, col sonno sballato per i cambi di fuso orario e facendo confusione con le stagioni, perché mentre ad agosto in Argentina fa freddo, in Italia si crepa del caldo, visto che i paesi si trovano in emisferi opposti… quindi quando in uno è piena estate, nell’altro è pieno inverno.
Nella mia vita ho cambiato 34 indirizzi, vissuto in alberghi di gran lusso, topaie di infima categoria, case signorili. Ho frequentato gli indios del Chaco ma anche gli smorfiosi radical chic europei.
Ho fatto mille mestieri, dalla vendita di materassi alla assistente psicopedagogica per bambini oligofrenici acuti; anche incursioni nell’attività artistica con risultati soddisfacenti, perché l’inventiva e l’infarinatura culturale aiutano sempre.
Adesso non esco più di casa e ho solo amici virtuali. Di tutti i mestieri che ho fatto, scrivere si è rivelato il più divertente, niente male per la vecchiaia che si avvicina. (continua…)

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mercoledì, 14 ottobre 2015

ADAM THIRLWELL racconta TENERO & VIOLENTO

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore inglese ADAM THIRLWELL, autore del romanzo “TENERO & VIOLENTO” (Guanda – traduzione di Riccardo Cravero).

Adam Thirlwell è nato nel 1978. Vive a Londra. È stato segnalato fra i migliori narratori britannici delle nuove generazioni dalla rivista «Granta».

Adam Thirlwell ha scritto a Letteratitudine per raccontare il suo nuovo romanzo intitolato “Tenero & Violento”, pubblicato in Italia da Guanda con la traduzione di Riccardo Cravero.

Sul post troverete il contributo di Thirlwell tradotto in italiano e, a seguire, la versione originale in lingua inglese. Ne approfitto per ringraziare l’autore e l’ufficio stampa di Guanda per la cortese collaborazione.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre.

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ADAM THIRLWELL scrive a Letteratitudine per raccontare il suo romanzo “TENERO & VIOLENTO (Guanda – traduzione di Riccardo Cravero)

di Adam Thirlwell

Premessa: è da molto tempo che volevo scrivere un romanzo ambientato nelle periferie. Queste periferie, in origine, si sarebbero dovute basare in maniera piuttosto approssimativa sui dintorni di Londra. Poi, la Londra che ne è venuta fuori ha subito una certa tropicalizzazione – con nuova fauna e nuova flora. In un certo senso questo luogo a cui pensavo è diventato ovunque, e da nessuna parte. Del resto, se c’è una cosa davvero strana della periferia è proprio la sua non specificità: la sua orizzontale e globale vaghezza. Ovvero, come dice la voce narrante del mio romanzo, “Tenero & Violento” : “Scegli qualunque parte del globo ti piaccia, da Kabul a Santiago ti imbatterai nello stesso paesaggio. Perché in realtà la maggior parte degli abitanti di Kabul non vive all’interno della città, ma ai suoi bordi, dove Kabul si disintegra tra luci smisurate e grandi strade vuote, il genere di strade in cui persino il marciapiede è abulico e ci sono solo pochi lampioni, alimentati da generatori di fortuna riposti dentro baracche prefabbricate. Oggi la maggior parte della gente vive in posti come questi, e dunque quando ci si sposta in una città qualunque, in un modo o nell’altro, ci si ritrova a casa; basta allontanarsi un po’ dal centro: non troppo, ma quanto basta”.
Ho pensato che un’ambientazione di questo tipo si sarebbe potuta prestare meglio per approfondire la conoscenza di alcune delle principali stranezze che altrove sarebbero rimaste invisibili: problemi connessi a come trascorrere il proprio tempo, o vivere la propria vita. Le grandi questioni metafisiche.

La maggiore stranezza è stata una voce, o un modo di pensare, che ho cominciato a sentire intorno a me. Sì, così come per l’ambientazione, ho voluto usare un narratore molto particolare. D’altra parte la voce narrante che il romanziere può decidere di adottare è come un giocattolo sconosciuto, molto più imprevedibile di quanto si possa pensare. Non è qualcosa di tristemente ordinario come un personaggio. Ci sono voci narranti o tonalità espressive che meglio di altre si prestano per esplorare questa difficile relazione che si instaura nel centro più nascosto di ogni forma d’arte: quella cioè che intercorre tra lo scrittore e il lettore (o lo spettatore). Sebbene possa sembrare che queste tonalità espressive esistano solo nei romanzi, in realtà è possibile riscontrarle anche altrove, come quando ci si sforza di far comprendere il significato recondito di un monologo, o si cerca il modo giusto per rivolgersi a qualcun altro. Può essere loquace, consapevole, sovraeccitata, affascinante, e persino internazionale, ma ciò che rende la voce narrante così peculiare dipende dal fatto che i Narratori a cui mi riferisco appartengono a una sorta di confessione progettata per esonerarli da ogni responsabilità. Che cosa potrebbe essere più pericoloso di qualcuno convinto della propria bontà, o della propria innocenza? Qualcuno che crede che ciò che sente è molto più importante di ciò che realmente fa?
È una voce di questo tipo che ho cominciato a percepire intorno a me. Non so nemmeno come chiamarla. Mi sembra una categoria non ancora descritta. Quindi chiamiamola in un modo ossimorico e impossibile. Chiamiamola Innocente/Corrotta. Ha dei precursori, ovviamente – in Hamsun, o nello Zeno di Italo Svevo. Ma la versione che stavo sperimentando era forse più pericolosa, perché molto più convinta della sua bontà.
In altre parole, ho trovato un’ambientazione, e ho trovato un narratore. E questo narratore aveva uno scopo particolare nella sua vita: il piacere, o la felicità. C’è una sequenza che ritengo piuttosto struggente: “Dimmi solo questo: se stessi per morire, preferiresti che te lo dicessero, o che morissi all’improvviso? Perché io vorrei morire all’improvviso, senza che nessuno mi dica nulla. Alla fine, preferisco più felicità a più verità.” Sebbene questo atteggiamento possa sembrare volutamente disinvolto o superficiale, il motivo per ammirare questo narratore senza nome potrebbe essere determinato dalla sua capacità di indurre a domandarsi se ciò che a prima vista sembra problematico o inusuale celi, in realtà, una verità più profonda. Tutto ciò non potrebbe già fornire un motivo per svolgere questa attività silenziosa chiamata leggere? Per esplorare piccole strade pericolose, i piccoli folli dialoghi con noi stessi che non potremmo mai avere in pubblico? È come quella splendida immagine finale offerta dal romanzo di Proust: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza il libro, non avrebbe forse visto in se stesso”.
E così ho lasciato che il narratore di questo mio libro potesse scatenarsi. Certo, l’inizio è abbastanza duro – con il narratore che si sveglia accanto a una donna che non è sua moglie, una donna che è anche incosciente e sanguinante dopo una notte trascorsa a base di sostanze stupefacenti. Ma questo, cari lettori, è solo l’inizio. Ciò che succede dopo ha a che fare con inseguimenti in auto, rapine, orge – e una sanguinosa vendetta finale. Eppure, per tutto il tempo, accadrà qualcosa di molto tranquillo – perché ciò che in apparenza potrebbe sembrare come una sorta di b-movie, o un noir, o un thriller, non è altro che un giocattolino finalizzato alla corruzione del lettore. Voi penserete di leggere un romanzo, mentre in realtà tutti i valori morali che davate per scontati verranno smantellati senza che ve ne rendiate conto.

(traduzione dall’inglese di Massimo Maugeri)

[Un estratto del libro è disponibile qui]

© Riproduzione riservata

© Adam ThirlwellLetteratitudine

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On Lurid & Cute

by Adam Thirlwell (continua…)

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sabato, 9 maggio 2015

PIERRE LEMAITRE racconta CAMILLE VERHOEVEN

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore francese PIERRE LEMAITRE (vincitore del Premio Goncourt 2013 con “Ci rivediamo lassù“, Mondadori)

PIERRE LEMAITRE racconta CAMILLE VERHOEVEN

di Massimo Maugeri

In questi giorni è uscito “Camille” il terzo romanzo della trilogia noir di Pierre Lemaitre (pubblicata da Mondadori) con protagonista il commissario di polizia parigino Camille Verhoeven. Per la verità siamo in attesa di un quarto e definitivo romanzo della serie che – come ha dichiarato l’autore – uscirà a breve… anche se, dal punto di vista cronologico, si piazzerà tra il secondo e il terzo volume.
Il Verhoeven che incontriamo in “Camille” (romanzo che porta lo stesso nome di battesimo del personaggio, mentre i precedenti titoli coincidevano con i nomi di donna delle co-protagoniste delle storie) ha già dovuto fare i conti con una serie di eventi (forti e tragici) che sono capitati nei precedenti libri e che in qualche modo lo hanno segnato. Questa, la scheda del romanzo.

Camille“Un evento è considerato decisivo quando sconvolge completamente la nostra vita. Per esempio, tre scariche di fucile a pompa contro la donna che ami. Anne Forestier sta entrando in una gioielleria in pieno centro a Parigi, quando improvvisamente fanno irruzione dei rapinatori che la picchiano selvaggiamente e la sfigurano. La donna riesce miracolosamente a sfuggire alla follia assassina e viene trasportata d’urgenza in ospedale. È l’unica testimone e ha visto in faccia il suo aggressore. Anne Forestier non è una donna qualunque: è l’amante di Camille Verhoeven. Sconvolto, il commissario si getta anima e corpo in questa nuova indagine che è per lui a tutti gli effetti una questione personale. La caccia al colpevole si fa sempre più drammatica soprattutto perché Anne è in pericolo: il rapinatore, uomo di rara ferocia, è deciso a trovarla e a ucciderla per non essere arrestato. Verhoeven capisce subito di chi si tratta, conosce bene le sue abitudini e le sue malefatte, ma di Anne ignora molte cose… Ciò che segue è un faccia a faccia drammatico tra i due, e Anne è la posta in gioco. Toccato profondamente nel suo intimo, Verhoeven diventa un uomo violento e implacabile, fino a sacrificare tutti i suoi principi. Ma in realtà in questa storia chi è il cacciatore e chi la preda? Atmosfere agghiaccianti, scrittura asciutta e meccanismo narrativo implacabile: ancora una volta Pierre Lemaitre impone il suo stile unico nel panorama del noir contemporaneo”.

Ho avuto modo di discutere della figura di Verhoeven con lo stesso autore della trilogia, nell’ambito di una conversazione in cui si è parlato anche di scrittura e di generi letterari.
Vi propongo di seguito (in corsivo) alcuni estratti di questa conversazione, ringraziandovi in anticipo per l’attenzione e ringraziando Pierre Lemaitre per la sua disponibilità.

Il tratto essenziale della mia carriera poggia sul romanzo poliziesco e sulle sue caratteristiche. È per questa ragione che non mi addentro mai a scrivere un romanzo se non so già sin dall’inizio quale sarà il finale del libro. Per cui, dal punto di vista creativo, il mio punto di partenza è la piena cognizione di come comincia e di come finisce un romanzo. Una volta identificati questi due punti fermi, dò pieno spazio alla mia scrittura e alla mia creatività letteraria. Il motivo di questo approccio è ben facilmente spiegabile: il poliziesco è dotato di una particolarità che è proprio specifica di questo genere letterario. E, nei fatti, è sintetizzabile con il seguente assunto: il lettore giudica il romanzo poliziesco in base a come finisce, a come si conclude la storia. Per cui il suo è, diciamo, un giudizio in retrospettiva. Se, dunque, il Lettore è soddisfatto dal finale del romanzo allora il suo giudizio sarà positivo. Se vicevera, la fine non riesce a soddisfarlo, benché magari abbia avuto modo di godersi trecento pagine di buona lettura, il suo giudizio sarà inevitabilmente influenzato dal fatto che il finale del libro ha disatteso le sue aspettative. Ecco perché considero necessario cominciare un’avventura narrativa avendo come punto di riferimento chiaro proprio la fine del romanzo.

Il personaggio Camille Verhoeven è l’unico personaggio dei miei romanzi che trae spunto dalla realtà. E non è un caso che “Irène“, il primo romanzo della trilogia di Verhoeven, sia dedicato a mio padre. In effetti mio padre era un uomo molto piccolo di statura; ma, a parte questo, ci sono molti tratti della figura di Camille che si richiamano molto a lui.
Uno dei motivi che hanno decretato la nascita di “Irène” è stato il voler rendere omaggio alla letteratura poliziesca. Desideravo che questo romanzo fosse una storia vera, accessibile a tutti; ma, al contempo, sentivo la necessità di realizzare un omaggio alla letteratura. E poi volevo creare la figura di un criminale che potesse essere ben identificato all’interno dei meccanismi del romanzo poliziesco.
Irène è la moglie di Camille. Ed è un personaggio molto misterioso. Un personaggio che, in un certo senso, mi ha resistito. Un personaggio che io stesso ho avuto difficoltà a capire fino in fondo. Non c’è dubbio sul fatto che Irène sia una donna un po’ strana, di certo particolare. Del resto stiamo parlando di una donna che si innamora di un uomo peculiare (perché Camille è molto basso, perché è un investigatore, perché ha un cattivo carattere). Ecco, già tutto questo le conferisce un certo mistero. Ma Irène è anche una donna autentica. E per autentica intendo dire che stiamo parlando di una donna che è capace di vivere pienamente le proprie emozioni. Tutto il contrario di Camille. In tal senso, dunque, Irène, è un personaggio che è difficile comprendere se non lo si mette in relazione con Camille. Anzi, direi che entrambi, Camille e Irène, sono un uomo e una donna che riusciamo a capire solo mettendoli in rapporto l’uno con l’altra.
In questo libro Camille deve affrontare una situazione difficilissima. La stessa situazione con cui, peraltro, devono fare i conti anche gli altri agenti di polizia che lo accompagnano. Trovano questi due cadaveri di donne decapitate e fatte a pezzi. Una situazione orribile, del tutto inimmaginabile, nonostante gli anni di lunga esperienza che Camille e gli altri agenti hanno maturato.
La scena di apertura di questo romanzo si ispira molto all’”American Psycho” di Bret Easton Ellis. In “American Psycho” c’è questa situazione di grande mistero dove per il lettore diventa difficile capire se ciò che compie il personaggio corrisponde a realtà o a fantasia. E questa sensazione di sospensione, di indeterminatezza, caratterizza anche i miei personaggi nella fase iniziale della storia, giacchè si trovano di fronte a cose talmente incredibili al punto da domandarsi: è la realtà o siamo nel bel mezzo di un terribile sogno?
Camille cerca di capire questi crimini attraverso una logica che non è ordinaria… ma davvero sorprendente. Pur non essendo un lettore forte, intuisce che dovrà in qualche modo attingere ai romanzi polizieschi per risolvere il caso. Ma non rivelo altro per non rubare al lettore il piacere della scoperta.

E un po’ più facile parlare di “Alex“.
Alex (continua…)

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sabato, 21 marzo 2015

MAYLIS DE KERANGAL racconta RIPARARE I VIVENTI

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice francese MAYLIS DE KERANGAL

Sono davvero molto felice di poter ospitare questo intervento della scrittrice francese Maylis de Kerangal nell’ambito dello spazio di Letteratitudine riservato agli autori stranieri tradottI in Italia. Maylis è nata a Le Havre nel 1967 ed è autrice di numerosi romanzi. In Italia Feltrinelli ha pubblicato Nascita di un ponte (2013; Premio Médicis 2010,  Premio von Rezzori 2014) e quest’ultimo (protagonista di questo nuovo post della rubrica “L’autore straniero racconta il libro“) intitolato Riparare i viventi (2015) che in Francia si è aggiudicato diversi premi letterari, tra cui il Grand Prix RTL-Lire 2014.

Si tratta di un romanzo importante (ben scritto e ottimamente tradotto da Maria Baiocchi e Alessia Piovanello) che tratta un tema forte e delicato: quello dell’espianto e del trapianto di organi.

Riporto, qui di seguito, la scheda del libro.

Tre adolescenti di ritorno da una sessione di surf su un pullmino tappezzato di sticker, tre big wave rider, esausti, stralunati ma felici, vanno incontro a un destino che sarà fatale per uno di loro. Incidente stradale, trauma cranico, coma irreversibile, e Simon Limbres entra nel limbo macabramente preannunciato dal suo cognome.
Da quel momento, una macchina inesorabile si mette in moto: bisogna salvare almeno il cuore. La scelta disperata dell’espianto, straziante, è rimessa nelle mani dei genitori. Intorno a loro, come in un coro greco, si muovono le vite degli addetti ai lavori che faranno sì che il cuore di Simon continui a battere in un altro corpo.
Tra accelerazioni e pause, ventiquattr’ore di suspense, popolate dalle voci e le azioni di quanti ruotano attorno a Simon: genitori, dottori, infermieri, équipe mediche, fidanzata, tutti protagonisti dell’avventura, privatissima e al tempo stesso collettiva, di salvare un cuore, non solo organo ma sede e simbolo della vita.

Anticipo che Maylis de Kerangal sarà mia prossima ospite della trasmissione radiofonica di libri e letteratura (”Letteratitudine in Fm“) che curo e conduco su Radio Hinterland (nella fattispecie mi avvarrò del preziosissimo servizio di interpretariato di Sonia Folin).

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz

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MAYLIS DE KERANGAL racconta RIPARARE I VIVENTI

di Maylis de Kerangal

Questo libro è un romanzo corale. È una storia collettiva nata nel solco di un’esperienza di lutto e di perdita. L’ho scritto proprio per dare forma, attraverso il linguaggio, a questa esperienza di morte di persone a me care che nel 2012 mi ha colpito a più riprese. Avevo dunque l’esigenza di scriverne. E tuttavia, anziché raccontare le cose per come sono accadute realmente, ho cercato di metabolizzarle e di trasformare il dolore in un canto che ha dato vita a “Riparare i viventi”. (continua…)

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martedì, 25 novembre 2014

AMOS OZ racconta GIUDA (il suo nuovo romanzo)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore israeliano AMOS OZ

Sono molto felice di poter ospitare, all’interno di questo spazio di Letteratitudine dedicato all’incontro con autori non italiani, uno dei più grandi scrittori in circolazione (notissimo a livello internazionale). Mi riferisco ad Amos Oz, che – di recente – è tornato in libreria con un nuovo romanzo intitolato “GIUDA” (pubblicato in Italia da Feltrinelli con l’ottima traduzione di Elena Loewenthal).
Ho chiesto ad Amos di raccontarci qualcosa su come nascono i suoi romanzi, sui personaggi di che popolano questo nuovo libro e sulle tematiche più importanti che affronta. Peraltro Amos Oz sarà il protagonista della mia trasmissione radiofonica di libri e letteratura (“Letteratitudine in Fm“) che andrà in onda domani su Radio Hinterland (ore 9 circa) con il preziosissimo servizio di interpretariato di Sonia Folin (che ringrazio).
Di seguito, la scheda del romanzo…

Gerusalemme, l’inverno tra la fine del 1959 e l’inizio del 1960. Shemuel Asch decide di rinunciare agli studi universitari – e in particolare alla sua ricerca intitolata Gesù visto dagli ebrei – a causa dell’improvviso dissesto economico che colpisce la sua famiglia e del contemporaneo abbandono da parte della sua ragazza, Yardena. Shemuel è sul punto di lasciare Gerusalemme quando vede un annuncio nella caffetteria dell’università. Vengono offerti alloggio gratis e un modesto stipendio a uno studente di materie umanistiche che sia disposto a tenere compagnia, il pomeriggio, a un anziano disabile di grande cultura. Quando si reca all’indirizzo riportato nell’annuncio, Shemuel trova una grande casa abitata da un colto settantenne, Gershom Wald, e da una giovane donna misteriosa e attraente, Atalia Abravanel. Si trasferisce nella mansarda e inizia a condurre una vita solitaria e ritirata, intervallata dai pomeriggi trascorsi nello studio di Gershom Wald. Amos Oz tiene mirabilmente i suoi personaggi e il lettore sul filo del mistero: chi è veramente Atalia? Cosa la lega a Gershom? Di chi è la casa dove vivono? Quali storie sono racchiuse tra quelle mura? Shemuel Asch troverà la risposta nel concetto di tradimento, non inteso in senso tradizionale, bensì ancorato all’idea che si ritrova nei Vangeli gnostici, dove emerge che il tradimento di Giuda – aver consegnato Gesù alle autorità e a Ponzio Pilato – non fu altro che l’esecuzione di un ordine di Gesù stesso per portare a termine il suo disegno.

Ringrazio di vero cuore Amos Oz per la sua disponibilità e generosità e ringrazio con altrettanto trasporto gli amici dell’ufficio stampa della Feltrinelli (Chiara Codeluppi, in primis) per il loro indispensabile aiuto e supporto.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi.

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amos-ozA proposito di GIUDA

di Amos Oz

Questo romanzo non è partito né da un’idea centrale, né da un’esigenza di veicolare messaggi. Così come è accaduto per quelli precedenti (peraltro i miei non sono mai romanzi “a tesi”), anche “Giuda” è nato dai personaggi. In particolare questo romanzo è popolato sia da “personaggi vivi” sia da “personaggi morti”, giunti fino a me da chissà dove.
Sono stato “gravido” di questi personaggi per moltissimi anni, prima di iniziare a scrivere questa storia ambientata nell’inverno di Gerusalemme a cavallo tra il 1959 e il 1960.

Come tutti i personaggi dei miei libri, anche quelli che appaiono in “Giuda” sono piuttosto complessi ed è arduo descriverli in poche righe.
Schemuel Asch è un sognatore, un giovane uomo che cerca l’amore, che non ama suo padre e sua madre e che nell’arco di tre mesi, si trova – in un certo senso – a dover adottare nuovi genitori.
Gershom Wald è un vecchio saggio, un padre molto addolorato, pieno di sospetti e di dubbi sulla fede, sulle religioni, sulle ideologie. Pensa, dunque, che ogni tentativo di redenzione sia destinato a fallire nel sangue e nella crudeltà.
Poi c’è Atalia, una donna molto sensuale e sicura di sé; ma è anche una donna profondamente ferita e arrabbiata con il genere maschile a causa del male che gli uomini, i maschi, hanno fatto nel corso della storia. Al tempo stesso, però, Atalia è capace di compassione e di sentimenti materni.

Tra i personaggi “assenti” figura Shaltiel Abrabanel. Sebbene sia già morto nel periodo in cui la storia si svolge, la sua è una presenza molto forte. Così come è molto rilevante, nel romanzo, il peso di altri “personaggi assenti”, come lo stesso Gesù o Giuda. Abrabanel è al contempo un visionario e un fanatico. Crede nell’amore universale e ha questa visione di un mondo senza Stato/Nazione. Rinnega la violenza e crede nella fraternità (come Gesù), ma al tempo stesso è visto come un traditore (e in questo assomiglia a Giuda). Infine, Abrabanel, è anche un uomo che risulta essere un pessimo padre e un pessimo marito.

Il concetto di tradimento è centrale nell’economia di questo romanzo. E qui veniamo a Giuda…
Quando, all’età di quindici anni, lessi il Nuovo Testamento amai immediatamente la figura di Gesù, ma – al tempo stesso – non credetti al tradimento di Giuda così come è comunemente inteso. Non mi ha mai convinto la storia dei trenta denari, soprattutto dopo aver scoperto che si trattava di una somma davvero esigua e che Giuda – a differenza di altri discepoli – non era un povero pescatore bisognoso di soldi. Inoltre, se anche fosse stato un uomo così avido al punto da vendere il suo Maestro per pochi denari… perché, subito dopo, si sarebbe impiccato? E poi c’è la questione del bacio: perché pagare anche una sola moneta d’argento, se tutti conoscevano Gesù – che predicava a Gerusalemme – e dunque era facile individuarlo? Del resto lo stesso Gesù non ha mai negato la sua identità, né si è opposto all’arresto. Perché, quindi, il bacio?
È una questione che mi ha sempre intrigato… ed è molto importante, perché il tradimento di Giuda, in questi duemila anni di storia è stata un po’ la Chernobyl dell’antisemitismo.
Sono stati così tanti gli antisemiti che, nel tempo, hanno identificato gli ebrei con la figura di Giuda. Basti pensare a come Giuda è raffigurato nel famoso dipinto dell’Ultima Cena: sembra uno di quegli ebrei rappresentati nelle vignette naziste antisemitiche.
Ecco. Sono convinto che fosse necessario raccontare questa storia in una maniera diversa. E Shemuel l’ha fatto al posto mio.

(Riproduzione riservata)

© Amos Oz

© Feltrinelli editore (continua…)

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sabato, 1 novembre 2014

JOHN SCALZI scrive a Letteratitudine (per “L’ultima colonia”)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è  lo scrittore e giornalista americano John Scalzi.

Molti di voi, lettrici e lettori di Letteratitudine, mi avete chiesto più volte di dare spazio ai romanzi di fantascienza. Eccovi accontentati, dunque. John Scalzi, infatti, tra le altre cose, ha vinto il John W. Camp­bell Award (importante premio letterario dedicato, appunto, ai romanzi di fantascienza).

In occasione della pubblicazione di questo post, John Scalzi ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul suo nuovo romanzo “L’ultima colonia“  (edito da Gargoyle Books, traduzione di Benedetta Tavani). E ne ha anche approfittato per ragionare sulla fantascienza come genere letterario e sulla relazione tra personaggi e lettore. Questa è la scheda di presentazione del libro…

Dopo anni passati a combattere per le Forze di Difesa Coloniale come soldato artificialmente potenziato, John Perry ha infine trovato un’oasi di pace in un universo violento. Un piccolo pianeta periferico dove vive con moglie e figlia servendo l’Unione Coloniale come semplice difensore civico.
Un giorno però il passato bussa alla porta della sua fattoria: John e Jane, anche lei ex soldato delle FDC, sono stati scelti per guidare la colonizzazione di un nuovo pianeta in un’operazione che si prospetta da subito di grande importanza strategica per il futuro dell’Unione.
I due non ci impiegheranno molto a capire che nulla è come sembra e che la nuova colonia è solo una pedina in un gioco di potere interstellare fra la razza umana e gli alieni, in bilico fra diplomazia e azioni di rappresaglia militare. John Perry dovrà districare una fitta rete di menzogne per salvare se stesso e la gente di cui è responsabile, impedendo che la loro finisca per essere l’ultima colonia del genere umano.

Ringraziamo John per averci inviato questo suo contributo, che pubblichiamo di seguito (anche in lingua originale). E ringraziamo Costanza Ciminelli per la traduzione in italiano.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle.

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john-scalziL’UMANITÀ DELLA FANTASCIENZA

di John Scalzi

I miei non possono dirsi dei romanzi completamente o soltanto di fantascienza; il tema centrale che affronto è piuttosto l’evoluzione dell’individuo e le scelte che compie. L’evoluzione individuale e le scelte conseguenti sono la risposta agli eventi che caratterizzano la vita di ognuno di noi e hanno lo scopo di lasciare la nostra personale impronta nel mondo che abitiamo. Ciò potrebbe essere percepito sia come una sorpresa sia come una delusione per coloro che guardano alla fantascienza fondamentalmente come il luogo per antonomasia dove impazzano laser, alieni e astronavi – tutti elementi che comunque non mancano nella serie dei miei romanzi “Old Man’s War”, di cui L’ultima colonia costituisce il terzo volume.

Cominciamo con l’osservare un semplice fatto, ovvero che mentre la fantascienza ha luogo in un futuro lontano, i lettori che la leggono stanno vivendo qui e ora, e gli esseri umani che popolano la Storia sono gli stessi animali – gli stessi umani – che esistono da centinaia di migliaia di anni. Questo per dire che non importa quanto diventerà ancora più incredibile la nostra tecnologia, non importa se arriveremo al punto di conficcarci il computer nel cervello e viaggeremo tra i pianeti, saremo comunque le stesse persone che siamo ora, e che eravamo nell’età della pietra, quando guardavamo le stelle chiedendoci cosa fossero e come fossero arrivate sin là.

Eravamo, siamo e saremo esseri umani. Questo significa che le preoccupazioni che ci rendono umani continueranno a esistere. Ciò che ci rende umani è dato principalmente dalle le scelte che facciamo per noi stessi, per i nostri cari e per le nostre comunità. Ne L’ultima colonia, John Perry, l’eroe della serie “Old Man’s War”, prende le distanze dall’azione militare che è, invece, al centro di Morire per vivere, primo libro del ciclo, per ricoprire il ruolo di Amministratore di una delle tante colonie umane che ho immaginato popolino lo spazio. Ma, così come in guerra, le scelte compiute da Perry condizioneranno lui e avranno un contraccolpo sulla colonia che lui e sua moglie, Jane Sagan, sono stati invitati ad amministrare. Alcune scelte di Perry si riveleranno buone, altre no. Buone o cattive, tutte le scelte avranno un peso nella storia.

Quello che la fantascienza ci permette di fare è di mettere gli esseri umani in situazioni in cui diversamente non potrebbero trovarsi, mettendo anche i lettori in quelle medesime situazioni. Nel caso de L’ultima colonia, al centro di tutto c’è la brama di colonizzare un mondo nuovo di zecca. Ciò avviene, da un lato, attraverso alcune sfide che sono familiari alla storia individuale di ognuno di noi, se non al nostro mondo attuale, dall’altro, attraverso parecchie sfide che, invece, non ci sono affatto consone, perché non appartengono al mondo umano.

Che cosa vogliamo, come lettori, da queste situazioni? Vogliamo che i personaggi siano umani perché vogliamo vedere noi stessi in loro, identificarci con loro. Conoscere il percorso compiuto dai personaggi nella risoluzione dei loro conflitti è un aspetto che comprendiamo, pure quando non concordiamo con le loro azioni.

Anche se L’ultima colonia è il terzo titolo del ciclo “Old Man’s War”, ciascun romanzo è narrativamente autonomo, da un lato perché l’obiettivo di realizzare una serie di storie compiute c’è stato sin dall’inizio, dall’altro perché non è detto che tutti i libri del ciclo si trovino in circolazione (così vanno le cose nel mercato editoriale). In ogni romanzo c’è una crisi e i personaggi agiscono per fronteggiarla. Non importa a che punto si comincia a leggere la serie, il lettore familiarizzerà subito con l’umanità dei personaggi. L’umanità dei personaggi è la costante di tutti i romanzi dell’intero ciclo: a volte si tratta di esseri ingenui, altre di esseri frustrati e suscettibili di errore, in ogni caso si tratta sempre di qualcuno che potrebbe essere uno di noi.

Penso che avvicinare i personaggi delle storie di fantascienza a noi umani sia il modo migliore per scriverla e divulgarla e spero che, leggendo L’ultima colonia, arriverete anche voi a questa conclusione.

[traduzione dall'inglese di Costanza Ciminelli]

(Riproduzione riservata)

© John Scalzi

© Gargoyle Books

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John Scalzi (1969) è un giornalista e scrittore americano. Con il suo primo romanzo Morire per vivere (Gargoyle 2012) ha vinto il John W. Camp­bell Award 2006 come miglior scrittore esordiente e lo stesso libro è stato anche finalista al Hugo Award come miglior romanzo dell’anno. Ha pubblicato inoltre Le Brigate Fantasma (Gargoyle 2013), Zoe’s Tale e The Human Division. Con Redshirts ha vinto il Hugo Award per il miglior romanzo e il Locus Award per il miglior romanzo di fantascienza. È autore inoltre di saggi e racconti. È stato consulente creativo per la popolare serie televisiva di fantascienza Stargate Universe e fino al 2013 è stato presidente della Science Fiction and Fantasy Writers of America.

(continua…)

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lunedì, 13 ottobre 2014

CAROLINE VERMALLE scrive a Letteratitudine (per “La felicità delle piccole cose”)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice francese Caroline Vermalle.

Caroline ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo romanzo “La felicità delle piccole cose” (pubblicato da Feltrinelli e tradotto da Monica Pesetti). Questa è la scheda di presentazione del libro…

“È iniziato tutto nel giardino di Monet a Giverny. Lo ricordo come se fosse ieri. Era il dicembre del 1979. Da più di trent’anni, ogni sera mi domando come sarebbe stata la mia vita se non fossi entrato in quel giardino.”

Parigi. La neve cade dolcemente sulla città, ammantando di bianco la Tour Eiffel, Notre-Dame e il Panthéon, come in una cartolina. Un uomo passeggia lungo la Senna diretto verso casa, un elegante palazzo sull’Île Saint-Louis. È Frédéric Solis, avvocato di successo con la passione per i quadri impressionisti. Affascinante, ricco e talentuoso, Frédéric sembra avere tutto quello che si può desiderare dalla vita. Gli manca una famiglia, ma dopo essere stato abbandonato dal padre molti anni prima, ha preferito circondarsi di oggetti lussuosi e belle donne piuttosto che mettere ancora in gioco il suo cuore ferito. Fino a quando, un giorno, scopre di aver ricevuto una strana eredità, che consiste in una manciata di misteriosi biglietti e in un disegno che ha tutta l’aria di essere una mappa. Cosa nasconderanno quegli indizi? Convinto di essere sulle tracce di un quadro dimenticato di Monet, Frédéric decide di tentare di decifrare la mappa. Grazie all’aiuto della giovane e stralunata assistente Pétronille, inizia così un viaggio lungo i paesaggi innevati del Nord della Francia, tra i luoghi prediletti dai suoi amati impressionisti: Éragny, Vétheuil, il giardino di Monet, con una tappa d’obbligo al Musée d’Orsay. Di incontro in incontro, di sorpresa in sorpresa, torneranno a galla ricordi che Frédéric credeva di aver dimenticato, e un tesoro ben più prezioso di qualsiasi ricchezza.

Ringraziamo Caroline per averci inviato questo suo contributo, che pubblichiamo di seguito (nella traduzione in italiano e in lingua originale).

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin.

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LA FELICITÀ DELLE PICCOLE COSE

Ricordi di scrittura

caroline-vermalledi Caroline Vermalle

LA FELICITÀ DELLE PICCOLE COSE: il luccichio di una Parigi innevata, il fascino della Normandia impressionista, il gusto di bignè e la magia di un Natale così francese… chi avrebbe potuto credere che avrei scritto questa storia nella soleggiata Bali, contemplando le sue risaie verdi!
Era la primavera del 2012 e abbiamo lasciato le nostre valigie a Ubud (Bali, Indonesia). Per oltre due mesi, ho trascorso (quasi) tutte le mie mattine allo Yellow Flower Café (vedi foto in basso, ndr). Un piccolo luogo fatto di bambù, senza porta, solo un muro, un percorso casuale attraverso la profumata giungla di Penestanan. Ho passato lunghe giornate scrivendo, cullata dal chiacchiericcio sempre allegro di giovani cuochi, che si mescolava con il ronzio lontano degli scooter della città, in basso.
Se avevo bisogno di isolarmi di più, mi bastava applicare le cuffie alle orecchie e ascoltare l’album « 21 » di Adele; e per immergermi subito in una Parigi nostalgica, ascoltavo ripetutamente questa canzone di Bourvil «Il Ballo Perduto (È stato bello)
caroline-vermalle-yellow-flower-cafeChe cosa ci facevo a Bali? È stata la tappa più lunga di un tour mondiale che abbiamo intrapreso, senza fretta, mio marito, mio figlio e io. Dall’Argentina al Cile, dall’Australia a Hong Kong, ho sempre trovato un angolino per scrivere LA FELICITÀ DELLE PICCOLE COSE.
Ho immaginato la «mappa del tesoro» di Jamel nell’angolo di una società high-tech neozelandese in mezzo a 15.000 pecore, ho sognato il giardino d’inverno di Claude Monet a Giverny in una estancia argentina del XVIII secolo sotto gli occhi indifferenti di alcuni lama… e ho costruito l’intero universo di Frédéric, quest’uomo che insegue le nostre gioie più grandi per scoprire quelle piccole, in migliaia di altri improbabili posti.
Se la Rete è la miglior amica degli scrittori-nomadi, niente batte un libro, soprattutto se c’è la necessità di approfondire le minuzie dei paesaggi innevati dei pittori Impressionisti che illuminano con il loro pallido bagliore tutta la storia di LA FELICITÀ DELLE PICCOLE COSE. La fonte principale della mia ricerca è stato il catalogo di una mostra intitolata IMPRESSIONISTI IN INVERNO, Effetto neve (C. Moffett, E. Rathbone). Un libro incredibile… ma che prende un sacco di spazio nello zaino dei viaggiatori a lungo termine. I miei genitori, che ci hanno raggiunto all’Isola di Pasqua, l’hanno portato con loro dalla Francia. Ho studiato tutti i giorni dal piccolo giardino esotico del  Te’ora Guest House (Hanga Roa), che si affaccia sul mare, sotto gli occhi del (falso) vicino di casa Moai. Quando siamo partiti, la nostra ospite ci ha donato una collana di piume Rapa Nui, per augurarci buona fortuna. E io le ho regalato questo bel libro. Mi piace immaginare i visitatori della sua pensione che scoprono la Senna sotto la neve, dal balcone di legno che si affaccia sul Pacifico infinito…

Ho tanti aneddoti di scrittura divenuti inestricabilmente legati a luoghi che probabilmente non rivedrò mai più. Come quell’enorme ufficio in un bellissimo appartamento moderno di Sydney… e quello, minuscolo, in un Bed and Breakfast invaso dalle mosche nel deserto di Atacama.
LA FELICITÀ DELLE PICCOLE COSE è un libro molto francese; eppure, fino alla fine dei miei giorni vedrò nelle sue pagine il mio viaggio più bello.

[traduzione di Massimo Maugeri]

(Riproduzione riservata)

© Caroline Vermalle

© Feltrinelli editore

Links:

Yellow Flower Café (Ubud, Bali)

Te’Ora Guest House (Hanga Roa, Ile de Pâques)

Bourvil interprétant « Un Bal Perdu »


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Caroline Vermalle (Piccardia, 1973) è figlia di un pilota di caccia e di una bibliofila. Appassionata di viaggi, cinema e avventura, ha studiato scienze cinematografiche e ha prodotto documentari per la Bbc a Londra. Nel 2007 è tornata in Francia e, dopo aver girato il mondo per quasi un anno insieme alla famiglia, si è stabilita a Vendée, di fronte all’oceano Atlantico, per dedicarsi interamente alla scrittura. I suoi romanzi sono stati tradotti con successo in Germania e in Spagna. Feltrinelli ha pubblicato La felicità delle piccole cose (2014).

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Souvenirs d’écriture
(continua…)

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mercoledì, 23 luglio 2014

GABRIELLE ZEVIN scrive a Letteratitudine (per “La misura della felicità”)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice americana Gabrielle Zevin.

Gabrielle ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo romanzo “La misura della felicità” (pubblicato da Editrice Nord e tradotto da M. Dompè). Questa è la scheda di presentazione del libro…

Dalla tragica morte della moglie, A.J. Fikry è diventato un uomo scontroso e irascibile, insofferente verso gli abitanti della piccola isola dove vive e stufo del suo lavoro di libraio. Disprezza i libri che vende (mentre quelli che non vende gli ricordano quanto il mondo stia cambiando in peggio) e ne ha fin sopra i capelli dei pochi clienti che gli sono rimasti, capaci solo di lamentarsi e di suggerirgli di “abbassare i prezzi”. Una sera, però, tutto cambia: rientrando in libreria, A.J. trova una bambina che gironzola nel reparto dedicato all’infanzia; ha in mano un biglietto, scritto dalla madre: “Questa è Maya. Ha due anni. È molto intelligente ed è eccezionalmente loquace per la sua età. Voglio che diventi una lettrice e che cresca in mezzo ai libri. Io non posso più occuparmi di lei. Sono disperata.” Seppur riluttante (e spiazzando tutti i suoi conoscenti), A.J. decide di adottarla, lasciando così che quella bambina gli sconvolga l’esistenza. Perché Maya è animata da un’insaziabile curiosità e da un’attrazione istintiva per i libri – per il loro odore, per le copertine vivaci, per quell’affascinante mosaico di parole che riempie le pagine – e, grazie a lei, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, trovando infine il coraggio di aprirsi a un nuovo, inatteso amore…

Ringraziamo Gabrielle per averci inviato questo suo contributo.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez.

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gabrielle-zevinGABRIELLE ZEVIN racconta “La misura della felicità

di Gabrielle Zevin

Gli spunti per scrivere un libro possono arrivare da ogni parte: da notizie di attualità, dalle preoccupazioni del momento, dai libri che sto leggendo, dai film e dalla televisione, dalle persone che incontro per strada e dalle storie che mi raccontano. Ci sono davvero moltissimi fattori che possono stimolare le idee e l’immaginazione, basta essere sempre ricettivi, pronti a vedere, ascoltare e imparare. Nel caso de La misura della felicità è stata una vita fatta di letture e libri a ispirarmi, le tante storie lette, i cambiamenti nel mondo dei libri in quest’epoca di trasformazione, tra carta e e-book.
La scrittura di questo romanzo è scaturita da due domande fondamentali e potenti: le librerie sono importanti nella nostra vita? Le storie che leggiamo possono influenzarci e definirci come individui?
Ed ecco che il protagonista non poteva essere che il libraio A.J. Fikry, un uomo circondato dai libri, quegli stessi libri che lo avevano ormai allontanato dal mondo. Ambientare la storia su un’isola è stata una scelta naturale, un simbolo di questo dilemma in cui il protagonista,  all’inizio del romanzo,  risulta intellettualmente e fisicamente isolato. La storia racconta il percorso intrapreso da  A.J. Fikry per riconnettersi al mondo, alle persone, a se stesso, alla vita. Leggere è spesso un’attività solitaria, ma una delle cose più belle della lettura è la capacità di un libro di avvicinarci alle altre persone.
Così nel cuore e nella vita di A.J. Fikry piano piano trova spazio la piccola Maya, una bambina da lui adottata dopo essere stata abbandonata nella sua libreria. Grazie a lei e al suo innato amore per i libri, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, aprendosi pian piano alla vita e all’amore.
Ho scritto e pubblicato sette libri prima di questo, ma coltivavo dentro di me l’idea per La misura della felicità da oltre 8 anni: mi interessava scrivere un romanzo in cui i personaggi fossero definiti e caratterizzati non tanto da descrizioni fisiche, ma dai loro gusti letterari. La stesura del romanzo vero e proprio mi ha preso quindi non più di sei mesi, ma si tratta di un progetto ideato e rielaborato per anni.
È stato facile per me parlare di libri: (continua…)

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lunedì, 31 marzo 2014

CLARA SÁNCHEZ scrive a Letteratitudine (per “Le cose che sai di me”)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice spagnola Clara Sánchez.
Clara ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo romanzo “Le cose che sai di me” (pubblicato da Garzanti e tradotto da Enrica Budetta). Questa è la scheda di presentazione del volume…

Il piccolo pezzo di cielo che si intravede dal finestrino è di un azzurro intenso. Patricia è sull’aereo che la sta riportando a casa, a Madrid. All’improvviso la sconosciuta che le è seduta accanto le dice una cosa che la sconvolge: “Qualcuno vuole la tua morte”. Patricia è colpita da quella rivelazione, ma poi ripensa alla sua vita e si tranquillizza: a ventisei anni è realizzata, felicemente sposata e con un lavoro che la porta a girare il mondo. Niente può turbare la sua serenità. È sicura che quella donna, che dice di riconoscere le vibrazioni emanate dalle persone, si sbaglia. Eppure a Patricia, tornata alla routine di sempre, iniziano a succedere banali imprevisti che giorno dopo giorno si trasformano in piccoli incidenti. Incidenti che stravolgono le sue abitudini e il suo lavoro. Non può fare a meno di ripensare alla donna dell’aereo e alle sue parole. Parole che a poco a poco minano le sue certezze. Vuole sapere se è davvero in pericolo. Vuole scoprire chi desidera farle del male, e quando il sospetto cresce dentro di lei, inizia a guardarsi intorno con occhi diversi, dubitando delle persone che ha vicino. Sente che tutto il suo mondo sta crollando pezzo dopo pezzo, ma deve trovare il coraggio di resistere: la minaccia è più vicina di quanto immaginasse. Però deve essere pronta a mettere in discussione tutta la sua vita, a leggere dentro sé stessa. Perché anche la felicità ha le sue ombre…

Ringraziamo Clara per il testo che ci ha inviato e ringraziamo la Garzanti per l’assistenza nella traduzione dallo spagnolo affidata, nella fattispecie, a Rossana Ottolini (grazie anche a te, Rossana!).

Di seguito, il contributo di Clara Sánchez (nella duplice versione: tradotto in italiano e in lingua originale)

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale Amélie Nothomb.


* * *

clara-sanchezCLARA SÁNCHEZ ci racconta Le cose che sai di me

di Clara Sánchez

La paura dello sguardo dell’altro, la paura di non piacere, quella di essere respinti in amore o dalla nostra cerchia di amicizie, così come nel mondo del lavoro ci obbliga a mascherarci dietro a un’immagine e a essere come agli altri piacerebbe che fossimo. Da questa sensazione dominante mi sentivo spinta a scrivere un nuovo romanzo.
Scegliamo i vestiti che ci stanno meglio e mostriamo sempre il nostro profilo migliore, sorridiamo senza ragione e cerchiamo di non dire nulla che possa trasformarci in persone antipatiche. I politici sanno a memoria queste regole, conoscono bene il valore che può avere un gesto. Ma non volevo un politico per protagonista, volevo piuttosto qualcuno di più ingenuo, più vulnerabile, qualcuno incapace di ingannare in modo deliberato. Una persona con contraddizioni e insicurezze in compagnia della quale imparare qualcosa della vita.
E un giorno, all’improvviso, quando meno me lo aspettavo, sfogliando una rivista di moda nella sala d’attesa di uno studio medico, ho trovato la mia protagonista. Lei era una modella giovane e bella, di successo, con ogni probabilità anche ricca e amata e che nonostante tutto questo non sembrava essere proprio felice. Mi ha colpito il suo sguardo, che sembrava gridare “Aiutami!!”. Cosa poteva star succedendo di terribile a una persona così? Forse l’avere tutto non ti mette al sicuro dall’angoscia e dai demoni? In quell’istante l’ho chiamata Patricia ed è uscita dalle pagine della rivista per installarsi in quelle del mio romanzo. Così comincia l’avventura di una ragazza che all’inizio si sente come Anna Karenina, fin quando dovrà decidere se morire o non morire per amore. È una ragazza che non si accorge di essere vittima di una vampirizzazione da parte delle persone che la circondano, perché a volte le persone che più amiamo sono proprio quelle che possono farci più male. Una ragazza sola, che non vede la propria solitudine.
Flaubert direbbe: “Io sono Patricia”, forse siamo tutti un po’ Patricia, perché: qual è l’essere umano che non ha mai sentito il bisogno di fuggire e andare alla ricerca della libertà? Chi non ha mai sentito che il lavoro lo stava indurendo o trasformando in un’altra persona, in qualcuno in cui non si riconosceva più? Patricia inizia a slegarsi dai propri vincoli emotivi grazie al provvidenziale aiuto di Viviana. Tutti i personaggi di “Le cose che sai di me” sono scaturiti direttamente dal mio cuore, tutti sono ispirati a persone che ho conosciuto, persino Viviana, la cui vera casa è davvero come un bosco pieno di aromi.
Quando Viviana entra nella vita di Patricia reca con sé un intero mondo, non è solo un personaggio, ma qualcuno che si porta dietro il mondo delle fate e delle streghe della propria infanzia, la magia. È un personaggio creato dalla natura stessa come un albero o una montagna ed è così che mi piacerebbe che restasse nella mente del lettore una volta chiuso il libro, come un’evocazione della nostra fantasia.
Da qui in poi preferisco che i lettori stessi continuino a raccontare le vicissitudini di Patricia, Viviana, Elías, Carolina… perché sono i lettori a dar loro vita.
Infinite grazie a tutti.
(Riproduzione riservata)

© Clara Sánchez
© Garzanti libri

* * *

CLARA SÁNCHEZ ci raccontaLe cose che sai di me” (versione in lingua spagnola)

(continua…)

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mercoledì, 26 febbraio 2014

AMÉLIE NOTHOMB scrive a Letteratitudine (per “La nostalgia felice”)

Il nuovo ospite diL’autore straniero racconta il libroè la scrittrice belga Amélie Nothomb.

Amélie ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo libro “La nostalgia felice” (pubblicato da Voland e tradotto da Monica Capuani). Questa è la scheda di presentazione del volume…

Un bizzarro e coinvolgente viaggio sentimentale: sedici anni dopo le tragicomiche peripezie raccontate in “Stupore e tremori” e in “Né di Eva né di Adamo“, Amélie Nothomb torna in Giappone. È l’occasione per rivedere i luoghi e le persone amati dopo lo spaventoso terremoto di Fukushima del 2011.

Ringraziamo  Amélie per il contributo che ci ha inviato e ringraziamo la casa editrice Voland per averci concesso la possibilità di pubblicare un estratto del libro (che potrete leggere di seguito).

Grazie mille!

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso Falcones e Joe R. Lansdale

* * *

Amélie Nothomb ci racconta “La nostalgia felice”

di Amélie Nothomb

Quando mi hanno proposto di fare un documentario sul mio ritorno in Giappone, nella primavera del 2012, sedici anni dopo averlo lasciato, ho accettato perché ero convinta che non avrebbe interessato nessuno. E invece Laureline Amanieux e Luca Chiari sono riusciti a trovare i finanziamenti per realizzarlo: così è nato Amélie Nothomb: une vie entre deux eaux.

Tornata da questo viaggio ho deciso di scriverne un libro.

Ho tentato di raccontare nel modo più preciso quello che era successo. Non ho mai raccontato fatti realmente accaduti con così poco intervallo di tempo tra la realtà e la scrittura, in questo era passato solo un mese di distanza. Nulla era ancora stato digerito, e per questo i ricordi sono così esatti.

Nell’urgenza della scrittura non dovevo però farmi prendere dal pathos. Ho constatato, visto che conosco bene la scrittura autobiografica, che più l’intervallo di tempo tra i fatti raccontati e il momento della scrittura è lungo, più si ha la tendenza a rendere tragici gli eventi, alla fine ci si fa sommergere dall’emozione e si finisce nel mito.

In questo libro ho descritto l’incontro con la mia tata Nishio-san, la mia madre giapponese, e quello con Rinri, il mio primo amore.

Il titolo, Nostalgia felice, è emblematico. “Natsukachii”, la nostalgia in giapponese, designa una nostalgia felice. In Giappone non è un ossimoro ma un’evidenza. Se la nostalgia non vi rende felice, vuol dire che non avete capito niente. In Giappone si servono di bei ricordi per raccogliere nuove energie…

(Riproduzione riservata)

© Amélie Nothomb

* * *

Un estratto del volume “La nostalgia felice” (Voland - traduzione di Monica Capuani)

Lasciamo Shukugawa in taxi: Nishio-san abita in un angolo di periferia privo di collegamenti. Lungo il tragitto, ci fermiamo per una pausa-pranzo. Incapace di inghiottire alcunché, parto alla ricerca di un fioraio dove compro un mazzo di rose.

– È un regalo? – domanda la negoziante.

Faccio segno di sì con la testa. Lei mi allestisce una confezione molto più notevole del povero mazzo di rose che contiene. Esco di lì con un cesto degno del funerale di una diva.

Il taxi ci accompagna fino a un condominio di case popolari alla periferia di Kobe. L’edificio è un po’ squallido. Siamo in anticipo di dieci minuti, passeggio nel cortile dove un gruppetto di bambini di quattro anni sta giocando a pallone. All’ora convenuta, salgo al sesto piano. Agli appartamenti si accede tramite un ballatoio esterno. Le porte sono misere. Accanto a una di loro, riconosco gli ideogrammi di Nishio. Con il cuore stretto, suono il campanello.

La porta si apre, e vedo apparire una signora molto anziana alta un metro e cinquanta. All’inizio ci guardiamo terrorizzate. Ritrovarsi è un fenomeno così complesso che andrebbe affrontato soltanto dopo un lungo apprendistato, oppure bisognerebbe semplicemente proibirli.

Lei pronuncia il mio nome, io pronuncio il suo. (continua…)

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lunedì, 10 febbraio 2014

JOE R. LANSDALE scrive a Letteratitudine (per “La foresta”)

La forestaIl nuovo ospite diL’autore straniero racconta il libroè lo scrittore americano Joe. R. Landsdale, molto noto anche per i romanzi del ciclo di Hap & Leonard.

Joe R. Landsdale ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa di se stesso, della sua infanzia e di ciò che lo ha portato alla scrittura di “La foresta”: romanzo western appena edito da Einaudi Stile Libero (tradotto da Luca Brioschi).

Ringraziamo Joe per il contributo che ci ha inviato e per la nota di chiusura specificamente dedicata alle lettrici e ai lettori italiani. Di seguito, il pezzo tradotto in italiano e la versione in lingua originale.

Thanks a lot, Joe!

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper e Ildefonso Falcones

* * *

Joe Lansdale racconta di se stesso e delle storie che hanno ispirato il suo romanzo “La foresta”

di Joe R. Lansdale

Sono cresciuto con i film western. Negli anni Cinquanta e Sessanta ce n’erano a bizzeffe nelle sale  e in televisione. Gunsmoke, Have Gun Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick e tanti altri. Anche i racconti sul west narrati da mio padre e mia madre, esercitarono su di me una grande influenza. I miei erano già piuttosto anziani quando nacqui, e le loro esperienze erano diverse da quelle vissute dai genitori dei miei amici.

Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi cento anni, quand’era bambina aveva visto Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. Aveva viaggiato lungo il Texas sopra un carro. Se la memoria non mi inganna, era in un gruppo coinvolto nella corsa per l’accaparramento delle terre in Oklahoma, ma che poi si diresse in Texas. Mia nonna ha visto accampamenti indiani, ha assistito a scontri con animali selvatici e, come mio padre e mia madre, aveva parenti che avevano combattuto nella guerra civile. Mio nonno era un commerciante di cavalli e aveva due famiglie, una su ciascun lato dell’Ozarks. Nessuna di esse fu a conoscenza dell’esistenza dell’altra fino al 1970, quando conoscemmo la sorellastra di mia madre, che era quasi spiccicata a mia madre. Be’, questa è già una storia.

La mia era una famiglia di narratori. Tra i miei ricordi più belli, c’è questo: sono tutti seduti sotto un albero a raccontare storie, e io lì ad ascoltare, a godermi quei racconti che mi entravano dentro come buona pioggia su un terreno morbido. E continuano a scavarmi dentro ancora oggi.

Ricordo storie riguardanti famosi fuorilegge che i miei familiari avevano ascoltato da qualche parte e poi condiviso con me; e ancora, storie di vita di campagna e di vicende quotidiane. Mentre gli altri bambini andavano a caccia di lucciole, io tornavo sempre lì, a sedermi sotto l’albero, per ascoltare. Mi piaceva molto di più dei tipici giochi d’infanzia e… ragazzi, sono felice di averlo fatto. Ci ho costruito la mia vita, su quelle storie.

Più tardi, negli anni Settanta, cominciai a interessarmi alla letteratura western (non più solo film e storie orali). Prima di allora avevo letto ogni tipo di romanzi, ma poca narrativa western. Oggi non è cambiato granché. Quando trovo qualcosa che mi piace, ci esco pazzo; altrimenti rimango del tutto indifferente. Ho letto “The Shootist” di Glendon Swarthout, “True Grit” di Charles Portis, “Little Big Man” di Thomas Berger, “Last Reveille” di David Morrell, e un romanzo molto sottovalutato: “The White Buffalo” di Richard Sayles. Ho letto anche “Wild Times” di Brian Garfield, “Lonesome Dove” di Larry McMurtry , e certamente il romanzo di Alan Le May  “The Searchers”. C’è un po’ di Twain, lì dentro. Del resto Twain perseguita anche me, come un buon fantasma, nelle tante cose che scrivo.

Con riferimento a questo mio nuovo romanzo, posso dirvi che desideravo raccontare una storia nello stesso modo in cui la raccontavano i miei: con ritmo, dettagli e divagazioni interessanti. C’è un miscuglio di avventura e azione, alla base di “La foresta”.

Scrivere questo romanzo è stato come dare sfogo a un urlo primordiale. Spero che vi piacerà leggerlo.

Vorrei soffermarmi un attimo per dedicare un pensiero a tutti i miei lettori italiani e ringraziarli per il loro interesse. Lo apprezzo tanto. Avete dimostrato di essere lettori forti e di seguire con passione il mio lavoro. E di amare i libri in generale. So per certo che siete lettori di gran lunga più attenti di quelli del mio paese. È una cosa che ammiro molto. Spero che possiate continuare ad amare i libri in siffatto modo. Un buon libro è un’esperienza meravigliosa, e io sono davvero felice che tanti di voi abbiano apprezzato le esperienze vissute leggendo i miei romanzi. Spero possa essere così anche nel futuro.

(traduzione di Massimo Maugeri)

(Riproduzione riservata)

* * *

Joe R. Lansdale tells about himself and the Stories that Inspired The Thicket

I grew up on Western movies and films. In the fifties and sixties they were as thick at the theater and on television as fleas on a stray dog. Gunsmoke, Have Gun Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick, and so many others. Another big influence were the stories my father and mother told about the Western era; they were older parents when I was born, so their experiences were different than the parents of my friends.

(continua…)

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giovedì, 19 dicembre 2013

ILDEFONSO FALCONES scrive a Letteratitudine (per “La regina scalza”)

Il secondo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, autore del celebre bestseller “La cattedrale del mare“, edito da Longanesi.
Sempre per Longanesi è uscito di recente il nuovo romanzo intitolato “La regina scalza” (anche questo ha scalato la classifica dei libri più venduti).

Ildefonso Falcones ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sulla sua scrittura, sul suo rapporto con le storie che scrive e sui passi che hanno portato alla stesura de “La regina scalza”. Noi, ovviamente, lo ringraziamo… e insieme a lui ringraziamo Tommaso Gobbi, dell’ufficio stampa della Longanesi, per l’indispensabile supporto fornitoci soprattutto per la traduzione del testo.

Massimo Maugeri

P.s. Il precedente ospite di questa rubrica è stato Glenn Cooper

* * *


File:Ildefonso Falcones en la Iglesia de Santa Maria del Mar.jpgIl coraggio delle donne e “La regina scalza”
: riflessioni sulla scrittura e sulle storie

di Ildefonso Falcones

“Signor Falcones vuole spiegarci cosa intende quando dice che il coraggio delle donne è il modo migliore che conosce per raccontare la Storia?”
Guardo il giornalista che mi ha fatto la domanda.
“Lei crede che mi avrebbe chiesto la stessa cosa se avessi parlato di uomini anziché di donne? Mi avrebbe fatto la stessa domanda se avessi detto che è il coraggio degli uomini a cambiare la Storia?”
Nei giorni scorsi in Italia mi hanno posto molte volte questa domanda ma solo dopo un po’ ho capito che era proprio il fatto che mettessi le donne al centro che incuriosiva e faceva scattare l’interrogativo. Credo che gli stessi giornalisti non ne fossero consapevoli, quindi ho iniziato a rispondere rigirando la domanda. La Storia purtroppo è sempre stata fatta dagli uomini, e dagli uomini ancora oggi sono fatti i governi, è per questa ragione che sentirsi dire che il coraggio delle donne può cambiare la Storia è destabilizzante. E in questo concetto c’è quello – più ampio – dell’ingiustizia, concetto che torna sempre nei miei romanzi.
Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare nessuno. L’unico scopo che ho quando scrivo è quello di procurare al lettore lo stesso piacere che anche io cerco nei libri: sarebbe a dire l’evasione, il divertimento. Se non cercassi questo, non prenderei in mano un romanzo ma un saggio. Io scrivo letteratura popolare, punto a raggiungere il maggior numero di persone possibile per divertirle e non mi interessa in alcun modo l’entrare a far parte di una cerchia intellettuale ristretta. Se scrivo di ingiustizie è perché credo che sia il tema più affascinante e coinvolgente di cui si possa parlare e voler leggere. L’eterna lotta dell’oppresso contro l’oppressore, del giusto contro l’ingiusto. Chi non vorrebbe essere un combattente che si batte contro le ingiustizie? Come ve lo spiegate il successo di Zorro altrimenti? Il lettore deve identificarsi ed emozionarsi, ecco come la vedo io.
Questo non significa che prima di iniziare a scrivere non mi documenti a fondo. Tutt’altro. La Storia è al centro di ogni mio libro ed è il faro che mi guida. Invento dei personaggi, certo, ma ognuno di essi è profondamente legato al periodo storico che sto raccontando. È una sorta di patto che ho fatto con me stesso ma che ho sempre considerato come naturale. La Storia è un vincolo per me, un limite invalicabile. Non invento dei fatti, piuttosto cerco di ricreare delle situazioni che siano assolutamente verosimili e per farlo è chiaro che devo documentarmi, leggere e studiare moltissimo. Se non si è rigorosi, se non si riescono a fornire dettagli fisici, particolari dell’epoca o persino odori, il lettore avvertirà un senso di estraneità, un qualcosa che non torna.

Per scrivere “La regina scalza” ho impiegato tre anni e ho letto centinaia di testi. La maggior parte dei volumi di cui ho bisogno li acquisto da un sito internet spagnolo che si chiama Iberlibro e che dispone di un catalogo vastissimo, anche di testi antichi o introvabili in qualsiasi libreria. Poi ovviamente mi documento molto anche su internet e ogni tanto ricorro alla biblioteca e solo dopo aver studiato ed essermi completamente immerso nell’epoca che voglio raccontare, comincio a scrivere.
Non credo ci sia un unico metodo o regole ben precise per scrivere un buon romanzo, ma se dovessi proprio individuare una norma per me sempre valida, è il partire dalla fine. Quando inizio un nuovo romanzo devo avere bene in testa quale sarà la conclusione, dove voglio andare a parare. Tutto il resto della storia viene dopo, ma il finale è il punto verso il quale mi sto dirigendo e deve essere chiaro fin da subito. Nel corso della storia cambierò idea, alcune storie si intrecceranno tra loro in modi che magari stupiranno anche me, ma so che tutto deve portarmi in un punto ben preciso. E a proposito delle storie che si intrecciano mi viene in mente un’altra piccola confidenza. Mi hanno chiesto tante volte, vista la mole dei miei libri, come faccio a tenere a mente tutto dall’inizio alla fine e se per caso ho una grande lavagna in cui disegno degli schemi o una parete su cui attacco post-it, come si vede in qualche film. Ma perché – rispondo io – dovrei fare cose di questo tipo quando abbiamo uno strumento come excel? Con excel ho sempre tutto sotto controllo, qual è il retroterra dei vari personaggi, come questi sono legati tra loro, in che momento sono accaduti alcuni fatti e tutto ciò che è necessario. E così è stato anche per “La regina scalza”.

Dopo aver ambientato il primo libro, “La cattedrale del mare”, nel XIV secolo, e il secondo, “La mano di Fatima”, nella seconda metà del ‘500, con “La regina scalza” siamo nel XVIII secolo, in pieno illuminismo. Il racconto è ambientato in Spagna anche se sono partito da una mia grande curiosità per il periodo della schiavitù a Cuba. Si è trattato di un periodo durissimo per gli schiavi delle piantagioni: lo zucchero veniva ancora raffinato a mano e gli uomini e le donne che lavoravano nei campi erano sottoposti a ritmi e trattamenti disumani, soprattutto nelle settimane della raccolta. Quando sento dire che oggi la nostra libertà subisce delle privazioni mi viene quasi da ridere. Non abbiamo idea di cosa significhi davvero essere privati della libertà e della dignità…
Se avessi scelto di ambientare il romanzo a Cuba, però, mi sarei dovuto trasferire là per un lungo periodo per potermi documentare a fondo e non credo che mia moglie avrebbe preso bene la cosa…! Allora ho pensato a questa donna (continua…)

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mercoledì, 13 novembre 2013

GLENN COOPER scrive a Letteratitudine (per “Il calice della vita”)

calice-della-vitaIl primo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore statunitense Glenn Cooper che è tornato in libreria con un nuovo thriller intitolato “Il calice della vita” (editrice Nord). Si tratta di un romanzo che, per certi versi, presenta alcuni elementi di rischio giacché (come ci ha raccontato l’autore) è incentrato su un tema che è stato ampiamente sfruttato dalla letteratura di genere: la ricerca del Graal.

Glenn Cooper ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa su se stesso, sul suo personale laboratorio di scrittura e su questo nuovo romanzo che, a pochi giorni dall’uscita, ha già scalato le classifiche di vendita. E noi, ovviamente, lo ringraziamo.

Massimo Maugeri

P.s. Di seguito, l’articolo tradotto in italiano (e in lingua originale).

* * *

IL CALICE DELLA VITA

di Glenn Cooper

Non comincio mai un nuovo romanzo senza essere abbastanza certo che possa raggiungere tre obiettivi: 1) Scrivo thriller, quindi l’idea su cui si basa la storia deve assicurare emozione, drammaticità e suspense. Inoltre, non mi piace scrivere libri banali, quindi devo essere personalmente convinto della originalità della storia, 2) Poiché devo convivere con i miei eroi e con i miei personaggi negativi per almeno un anno, devono essere persone interessanti, e 3) devo avere “qualcosa da dire” che vada oltre la semplice narrazione. Per me è fondamentale usare il popolare genere thriller per esplorare alcune tematiche universali di natura filosofica e religiosa che a volte non appaiono nella narrativa popolare.

L’idea di un libro sul Graal è stata stimolata da un mio amico che mi ha donato una bella edizione illustrata del capolavoro di Thomas Malory del XV secolo, Le Morte d’Arthur; un libro che avevo letto all’età di tredici anni. Mi ricordai subito dell’emozione che, tanti anni fa, quella lettura aveva suscitato in me. La storia era così ricca di avventura e di immagini. Era come L’isola del tesoro di Stevenson e il Robinson Crusoe di Defoe, i libri alla Harry Potter della mia infanzia. Quel dono mi spinse a creare una mia storia sul Graal. Certo, non è possibile impegnarsi nella scrittura di un romanzo sul Graal con leggerezza, dato che la ricerca del Graal ha stimolato centinaia di opere per oltre 700 anni di storia letteraria. Quindi, prima di scrivere la prima parola di questo nuovo romanzo dovevo essere certo che la storia osservasse tutte e tre le mie regole personali indicate sopra, in particolare quella relativa all’originalità.

Molti dei miei libri sono ambientati in epoche diverse e sono popolati da personaggi storici realmente esistiti, quindi è importante svolgere una ricerca approfondita prima di scrivere. Questo nuovo libro, pur affondando le sue radici in una storia contemporanea, coinvolge anche la Cornovaglia del V secolo di Re Artù e dei suoi cavalieri, l’Inghilterra del XV secolo di Thomas Malory, la Gerusalemme del I secolo di Cristo, e la Catalogna del XX secolo di Antoni Gaudí. Comincio sempre un nuovo progetto acquistando libri (la parte migliore del lavoro!). Per la scrittura di questo nuovo romanzo, ne ho acquistati più di 200. Diciamo che ne ho letto una ventina da cima a fondo e gli altri solo in parte. In genere preferisco comprare il libro di carta, ma a volte, quando non posso aspettare i tempi di consegna, lo acquisto in formato e-book. Se lo trovo utile, mi procuro anche la copia cartacea; successivamente, se mi interessa davvero e ho preso appunti sulle pagine, acquisto una terza copia “pulita” per la mia libreria. Ecco perché gli editori mi amano tanto.

Dopo aver svolto la mia ricerca e aver preso i miei appunti, butto giù una traccia piuttosto dettagliata del romanzo, ma non così dettagliata da inibire creatività e possibilità di cambiamenti in corso d’opera. Dopo che questo lavoro di contorno è compiuto, comincio il libro. Mi piace scrivere in maniera costante, sette giorni alla settimana, e di solito pianifico circa un anno per completare la prima stesura. Poi comincia la fase di riscrittura, che considero sempre la più difficile giacché comporta la parziale distruzione di una parte del lavoro che ho comunque portato avanti con fatica.

La storia di questo libro è incentrata sull’idea di una moderna ricerca del Graal. Arthur Malory è un giovane inglese che ha una gran passione per la mitologia del Graal, un uomo che – in un certo senso – incarna la versione moderna di un cavaliere medievale vincolato dal codice cavalleresco. Arthur si trova coinvolto in una questione di vita o di morte legata alla ricerca del Graal e nel corso della storia scoprirà cose di notevole importanza sulle sue origini e sul suo personale legame con la sacra reliquia (continua…)

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mercoledì, 13 novembre 2013

L’AUTORE STRANIERO RACCONTA IL LIBRO

babelit.jpgCare amiche e cari amici,
sono molto felice di poter aprire questo nuovo spazio di Letteratitudine dedicato alla letteratura straniera pubblicata in Italia, in collegamento con l’ormai storica rubrica “Babelit” (che ospita dibattiti “bilingue” con il coinvolgimento di autori non italiani).

All’interno di questo spazio, intitolato “L’autore straniero racconta il libro”, si avvicenderanno alcuni tra i più noti scrittori non italiani pubblicati nel nostro paese, con l’intento di raccontarci qualcosa sul loro libro più recente e sul loro “laboratorio di scrittura”.

In coerenza con gli obiettivi di “Babelit”, ove possibile i contributi ospitati su “L’autore straniero racconta il libro” saranno bilingue (nella lingua madre dell’autore/autrice ospite e nella traduzione in italiano).

Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che vorrete riservare a questa iniziativa.

Massimo Maugeri

© Letteratitudine

(continua…)

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OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

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RATPUS va in scena ratpus

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Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

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"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

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