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Archivio della Categoria 'L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento)'

lunedì, 13 gennaio 2014

STRANE COPPIE 2014

strane coppie 2014STRANE COPPIE 2014

Anche nel 2014 le “Strane Coppie” (bellissima iniziativa culturale e letteraria ideata e curata, a Napoli, da Antonella Cilento) continueranno a incrociarsi con il coinvolgimento di scrittori, studiosi e artisti. Questa edizione (che è la sesta) sarà incentrata sul rapporto tra romanzi e pittura. Faccio tanti complimenti (con gli immancabili in bocca al lupo) all’amica Antonella Cilento, presenza costante in questo luogo virtuale (sin dalle origini di Letteratitudine) con la rubrica “L’ombra e la penna“… che prossimamente sarà “alimentata” proprio con nuovi contributi derivanti da “Strane coppie 2014″.  Il primo appuntamento sarà mercoledì 15 gennaio -  ore 18, via Medina 63. Amici di Napoli e dintorni… non mancate!
Forza, Antonella!

Massimo Maugeri

* * *

Strane Coppie 2014

Pictura-Poesis

quattro incontri sulla letteratura europea, a confronto tele e romanzi

dal 15 gennaio al 20 marzo

a cura de Lalineascritta, Goethe-Institut, Instituto Cervantes e con la partecipazione di Biblioteca Nazionale di Napoli, Antica Sartoria Cilento e La Feltrinelli Libri&Musica

mercoledì 15 gennaio -  ore 18, via Medina 63

Serata speciale al Salotto Cilento

Letture di Imma Villa e Gea Martire

Degustazione a cura di Salvatore De Gennaro de “La Tradizione” di Vico Equense (Napoli)

La felice formula di sfida fra romanzi europei narrati al pubblico da scrittori si allarga alla grande pittura: uno scrittore e un pittore, maestri in arti diverse eppure consonanti, saranno avvicinati per tematiche, per similitudine o per opposte scelte, talvolta anche per contemporaneità.

Il raggio d’azione di Strane Coppie si estende quest’anno, sesta edizione, ai linguaggi non verbali per esplorarne consonanze e affinità con la letteratura, stili, tecniche, risposte alle diverse esigenze di rappresentazione e verità del nostro mondo.

Grandi scrittori, critici e storici dell’arte e attori coinvolti negli incontri e, come sempre, con Lalineascritta di Antonella Cilento, Instituto Cervantes, Goethe-Institut e, per quest’anno, Biblioteca Nazionale di Napoli, La Feltrinelli Libri&Musica e, ancora, l’Antica Sartoria Cilento animeranno la fortunata manifestazione.

Serata inaugurale mercoledì’ 15 gennaio ore 18 al Salotto Cilento (via Medina, 63 – Napoli) per la presentazione dell’intera rassegna con letture di Imma Villa e Gea Martire e una degustazione a cura di Salvatore De Gennaro de “La Tradizione” di Vico Equense (Napoli).

“Strane Coppie è uno degli eventi di qualità di questa città, curato con estrema attenzione da Antonella Cilento che stimo profondamente – afferma Ugo Cilento – il mio Salotto che nasce come luogo privato di incontri e confronti culturali, è il posto ideale per inaugurare questi piacevoli pomeriggi con gli autori e ne sono lusingato. Ad Antonella Cilento vanno pertanto i miei migliori auguri e un sincero ringraziamento per aver scelto il Salotto Cilento anche quest’anno per presentare la sua felice iniziativa”.

“Quest’anno Strane Coppie punta sul rapporto fra romanzi e pittura cercando di esplorare i due diversi modi di narrare le storie e cogliere la visione del mondo – spiega Antonella Cilento, fondatrice del laboratorio di scrittura Lalineascritta e ideatrice della rassegna – grazie come sempre all’ausilio di Goethe-Institut e Instituto Cervantes e alla sensibilità delle direttrici, Maria Carmen Morese e Luisa Castro, al nuovo ingresso della Biblioteca Nazionale e alla squisita cortesia di Mauro Giancaspro, ospite di uno degli incontri, come de La Feltrinelli Libri&Musica, che pure ci ospiterà”.

La rassegna si occuperà di autori contemporanei, com’è il caso di Francisco de Quevedo e di Caravaggio raccontati da Giuseppe Montesano (Naturalismi, giovedì 30 gennaio ore 18, Instituto Cervantes in via Nazario Sauro 23 con letture di Andrea Renzi), entrambi presenti a Napoli ai primi del Seicento, entrambi considerati, forse a torto, dei realisti. Altre volte la suggestione sarà legata a un tema, com’è il caso dell’incontro dedicato a Theodor Fontane e a Tintoretto, narratori dell’adulterio e delle adultere, raccontati da Anna Maria Carpi e Melania G. Mazzucco, (Adultere, giovedì 27 febbraio ore 18, Goethe Institut e La Feltrinelli libri & musica, via Santa Caterina a Chiaia 23, con letture di Cristina Donadio) autrice de La lunga attesa dell’angelo e di un saggio ormai fondamentale su Tintoretto e la sua biografia. (continua…)

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mercoledì, 12 giugno 2013

STRANE COPPIE 2013: Giuseppe Montesano su Franz Kafka

Riprendiamo a dare spazio alla rubrica “L’ombra e la penna” di Antonella Cilento (nella foto), pubblicando il materiale video dell’iniziativa culturale e letteraria “Strane Coppie 2013“.

Qui di seguito, il video del primo incontro dedicato a Franz Kafka con intervento di Giuseppe Montesano.

Massimo Maugeri

* * *

Segui tutte le puntate di “L’ombra e la penna” (continua…)

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), LETTERATITUDINE TV   Commenti disabilitati

martedì, 9 novembre 2010

ASINO CHI LEGGE, di Antonella Cilento

asino-chi-legge-coverConosco Antonella Cilento da diversi anni. Di lei ho sempre apprezzato sia il talento letterario, sia l’impegno civile di una vita dedicata ai libri e alla letteratura. Questo impegno rimbalza dalle sue pagine ai corsi di scrittura de La linea scritta, dalle svariate iniziative culturali (come quella di Le strane coppie) alla sua attività svolta in giro per le scuole d’Italia con l’intento di trasmettere agli studenti – talvolta anche ai docenti – l’amore per la lettura e per la scrittura.
Ed è proprio da questa esperienza, dall’incontro con i ragazzi delle scuole, che nasce il volume Asino chi legge, appena pubblicato da Guanda (così come ben spiegato dalla scheda del libro).

“Asino chi legge” si scriveva una volta sui muri delle scuole, per sbeffeggiare un compagno ingenuo o gli adulti noiosi. Un tempo, neanche tanto lontano, avere libri in casa e un figlio laureato era considerato un valore aggiunto, il trionfo per una famiglia in risalita sociale. Da qualche anno, invece, leggere è considerato un errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio. Studiare e leggere, è ormai noto, non ti porterà da nessuna parte, non ti aprirà le porte del mondo del lavoro, non farà di te una persona migliore, tanto vale trovare false scorciatoie.
Questo libro racconta la sfida di portare la letteratura, scritta e letta, in luoghi dove la passione per la pagina non è mai nata o si scontra con difficoltà inenarrabili: a Napoli, in Irpinia, in Trentino, in Sicilia e in altre province d’Italia. Antonella Cilento, perennemente in viaggio fra treni e scuole pubbliche, dove da anni offre servizio come esperto esterno di scrittura creativa, raccoglie storie divertenti, assurde e tristi: dai figli dei capo-clan napoletani ai timidi ragazzi della Nusco di De Mita, ai giovani pakistani di Bolzano, fissando una fotografia disincantata delle ultime generazioni, della percezione dello scrittore nelle scuole, e di un Paese in piena crisi di idee.
I ragazzi e i loro insegnanti sono, insieme ai luoghi, i veri protagonisti, con le pagine che scrivono, le loro vicende e la domanda più grave: cosa stiamo facendo del nostro futuro? Un viaggio alla ricerca di quel che stiamo perdendo o, in certi casi, abbiamo già perso, ma che niente, salvo noi stessi, può impedirci di riconquistare.

Dalla nota, dicevo, si capisce bene il senso di questa importante testimonianza… il cui sottotitolo è “I giovani, i libri, la scrittura”.
Ed è proprio dei giovani, dei libri e della scrittura che vorrei discutere con voi, insieme ad Antonella Cilento… che parteciperà al dibattito (questo post è da considerarsi come una “costola” del forum permanente “Letteratitudine chiama scuola”).
Pongo le solite domande, volte ad avviare la discussione…

1. Nella vostra esperienza, che rapporto hanno i ragazzi con la lettura?

2. Siete d’accordo sul fatto che da qualche anno leggere è considerato una sorta di errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio?

3. Se è così… perché si è giunti a questo punto? E di chi è la colpa?

4. Viceversa, perché è importante leggere? Perché è importante saper scrivere? Come lo spieghereste a un ragazzo di oggi?

5. E con quali libri “iniziereste” alla lettura un ragazzo (o una ragazza) delle cosiddette scuole medie inferiori? E a quelli del liceo? Che letture proporreste?

6. Qual è, o quale dovrebbe essere, il ruolo della scuola e del corpo docente per incentivare gli studenti a leggere e a saper scrivere?

Vi sarei grato se poteste far “circolare” questo post, soprattutto tra i giovani e tra le scuole.
Grazie mille in anticipo.

Massimo Maugeri

P.s. Di seguito, l’articolo di Bruno Quaranta pubblicato in prima pagina di Tuttolibri de La Stampa del 23 ottobre… e le prime pagine di “Asino chi legge”
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   292 commenti »

martedì, 16 giugno 2009

ISOLE SENZA MARE, di Antonella Cilento


“Isole senza mare” è il nuovo romanzo di Antonella Cilento, ma è anche la storia parallela di due donne che attraversano l’Otto e il Novecento: Aquila, nobile caduta in povertà e costretta a lasciare la Spagna, vende se stessa e tenta il riscatto diventando l’amante del marchese Campana, collezionista di arte e di vite altrui, un amore che la trascinerà in una trama di ossessioni, vendette e fantasmi. Nina, ultima erede di una catena di donne che dalla Spagna sono fuggite, ha più di ottant’anni, ha vissuto il Fascismo e una difficile intimità famigliare percorsa da molti nodi silenziosi: orfana di padre, sposa tardiva, madre mancata. Aquila e Nina amano con infelicità, entrambe sono esiliate: legate a doppio filo da rimandi, coincidenze ed eredità, le loro vicende si intrecciano con un coro di indimenticabili personaggi sullo sfondo del Mediterraneo.
Un romanzo sulla solitudine, sull’isolamento, sull’esilio. Sull’amore deluso. Un’opera letteraria che ha impegnato Antonella Cilento per ben dieci anni e che finalmente vede la luce.
Ce ne parlano Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
Vi invito a discuterne con loro e con l’autrice.
Di seguito pongo alcune domande/riflessioni – ispirate al romanzo – con l’intento di favorire la discussione.

1 -Isole senza mare. Isole senza amore.
Siamo isole quando amiamo? E quando scriviamo?

2 – Isole senza approdo, anche. Perchè se non c’è mare, non c’è riva. Se scriviamo come isole siamo, anche, viaggiatori senza ritorno?

3 – Isole senza tempo. Le generazioni che sfalsano e scombinano destini.
Il tempo che scorre è solitudine? È compimento?

4 – Isole senza viaggio.
Un viaggio, per scrivere, è necessario? E quale viaggio?

Di seguito, gli ottimi contributi di Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   137 commenti »

martedì, 2 giugno 2009

STRANE COPPIE n. 3: ANNA MARIA ORTESE, INGEBORG BACHMANN

ortese-bachmann.JPGNuova puntata de Le strane coppie di Antonella Cilento.
Stavolta vengono messe a confronto due scrittrici: Anna Maria Ortese e Ingeborg Bachmann. I due libri accoppiati sono: “Il cardillo addolorato” (della Ortese) e “Il caso Franza” (della Bachmann). Le ragioni di questo accoppiamento vengono ben spiegate da Franz Haas nella bella nota che segue.
Ne approfitto di questo post per invitarvi a ricordare e a esprimere le vostre opinioni su Anna Maria Ortese e Ingeborg Bachmann.
Conoscete queste due autrici? Le avete mai lette?
Inoltre, la relazione di Haas mi ha ispirato un paio di domande…

Haas scrive che in ambedue le opere qui considerate una voce femminile esprime il dolore del mondo.
Allora vi domando: secondo voi le voci femminili, nella scrittura, riescono a esprimere meglio il dolore del mondo?
Dalla lettura della suddetta relazione emerge la grande stima della Ortese nei confronti della Bachmann. Un stima immensa, che – al tempo stesso, come capirete leggendo – è indice di una grandissima umiltà.
Così vi domando… che relazione c’è tra arte e umiltà?
La grandezza di un artista può essere collegata alla sua umiltà?

Di seguito, l’introduzione di Antonella Cilento e la relazione di Franz Haas.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento)   116 commenti »

lunedì, 2 marzo 2009

STRANE COPPIE n. 2: GOETHE, FOGAZZARO

fogazzaro-goethe.JPGSeconda puntata de “Le strane coppie”, offerta dalla nostra Antonella Cilento.
Stavolta mettiamo a confronto Goethe e Fogazzaro. Accostiamo Le affinità elettive a Malombra grazie agli ottimi interventi di Giuseppe Montesano e Francesco Costa.
Cosa hanno in comune questi due libri in apparenza diversi?
Ce lo spiega Francesco Costa quando scrive: “In comune con le Affinità elettive c’è la decisione di Fogazzaro di mettere in scena un quartetto di personaggi che, come nel libro di Goethe, sono due donne e due uomini, e di stabilire fra loro delle interrelazioni magnetiche che porteranno tre di loro a tragica sorte. Come in Goethe, le figure sono contrapposte per età, per lignaggio e per tonalità cromatiche (…).
Di seguito avrete la possibilità di leggere l’introduzione di Antonella Cilento e gli ottimi contributi di Montesano e Costa.
Vi invito a discutere sui due classici “accoppiati” e sui loro autori prendendo spunto dai suddetti contributi.
E poi vi porgo le mie solite domandine collaterali…
In merito a Le affinità elettive Giuseppe Montesano scrive: “Secondo la chimica dell’800 le “affinità elettive” erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della natura, che disgrega le coppie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità.”
Vi chiedo…
A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?
Ritenete che questo capolavoro di Goethe sia ancora attuale?
Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?

Infine (riprendendo una frase di Montesano), esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?

Marina, protagonista di Malombra, è definita da Francesco Costa come “insoddisfatta, fremente, furiosa, (…) una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività”.
Vi propongo una domanda che troverete nel testo di Costa.
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
E poi…
Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?

A voi.

Massimo Maugeri

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Introduzione di Antonella Cilento

Cari amici de L’Ombra e la Penna,
eccovi la seconda puntata delle Strane Coppie, progetto in sei incontri dove sei coppie di autori contemporanei rileggono coppie di grandi classici italiani, francesi, spagnoli e tedeschi. Strane Coppie è un progetto di Lalineascritta Laboratori di Scrittura (www.lalineascritta.it) in collaborazione con Goethe Institut, Institut Français de Naples e Instituto Cervantes, che si tiene a Napoli con incontri aperti al pubblico da gennaio a giugno presso le sedi degli Istituti.
In questa seconda manche, tenutasi giovedì 19 febbraio, si sono confrontati Giuseppe Montesano e Francesco Costa, rispettivamente impegnati a raccontare Le affinità elettive di Goethe e Malombra di Antonio Fogazzaro.
Ringrazio Giuseppe Montesano per averci concesso l’articolo uscito su Il Mattino martedì 17 febbraio e Francesco Costa per aver voluto riassumere per noi il suo intervento.
Grazie e entrambi per la generosità e l’intensità.
(continua…)

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martedì, 3 febbraio 2009

STRANE COPPIE: MARCEL PROUST, NATALIA GINZBURG

ginzburg-proust.JPGMettiamo a confronto Marcel Proust e Natalia Ginzburg. Accostiamo la Recherche al Lessico famigliare. La possibilità ce la offre Antonella Cilento con una nuova puntata de L’ombra e la penna, nella quale illustrerà una bellissima iniziativa culturale portata avanti a Napoli.
Leggete il bel pezzo di Antonella che troverete di seguito!
Io vi invito a discutere sugli autori e sulle opere oggetto di questo post.
Cosa pensate di Marcel Proust? Avete mai letto la “Recherche”? Che effetto vi ha fatto?
E su Natalia Ginzburg e il suo “Lessico famigliare”… ?
A proposito… a vostro avviso, oggi, in Italia, esiste ancora un lessico famigliare?
A voi.
Massimo Maugeri
(continua…)

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martedì, 21 ottobre 2008

IL RISCHIO DI RACCONTARE di Antonella Cilento

Ecco una nuova puntata della rubrica “L’ombra e la penna” di Antonella Cilento.
Antonella è alle prese con un nuovo romanzo che uscirà nei prossimi mesi. Un romanzo iniziato ben dieci anni or sono e che vedrà la luce tra qualche mese.
Come si dovrebbe porre uno scrittore nei confronti della propria opera? (Soprattutto, aggiungo, in un caso come questo; quando la scrittura esige un impegno decennale).
Antonella scrive: “ogni volta si ha la sensazione di aver perso la visione d’insieme, ogni volta si crede di aver fatto il più grosso errore della propria vita, ogni volta si desidera buttare tutto e lasciar perdere. E le stesse sensazioni le raccontano tutti gli scrittori di ogni tempo, salvo quelli che preferiscono mentire e vantare un’inaffondabile sicurezza. Per contrario, ogni scrittore e ogni scrittrice si gettano nella mischia con il loro ultimo nato a dispetto di queste sensazioni e lo difendono a spada tratta, cercando di non esaltarne i difetti ma solo i pregi, come del resto fa ogni genitore con i propri figli. Ma non bisognerebbe, a volte mi chiedo, essere più cattivi con i propri libri piuttosto che con i propri figli?”
Ecco, giro a voi la domanda di Antonella.
Non bisognerebbe, a volte , essere più cattivi con i propri libri?
Oppure, lo scrittore ha l’obbligo morale – nei confronti della propria creatura letteraria - di proteggerla… sempre e comunque?
Che ne dite?
Poi, aggiunge Antonella: “un romanzo è un rischio (…). E chi non si prende rischi scrive tranquilli romanzi di mantenimento. (…) Ma se smettiamo di rischiare qual è il senso di scrivere?
Già…
Se smettessimo di rischiare quale sarebbe il senso di scrivere?

Di seguito, l’intero articolo della Cilento.
Massimo Maugeri

(continua…)

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domenica, 29 giugno 2008

PRESTO TI SVEGLIERAI. Incontro con Francesco Costa

In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Due domande che emergono dall’ottimo – e divertentissimo - romanzo di Francesco Costa (nella foto) “Presto ti sveglierai”, edito da da Salani.
Due domande sulle quali si potrebbe discutere a lungo.
Vi invito a interagire con l’autore, che parteciperà al dibattito.

Di seguito potrete leggere le recensioni di Maria Lucia Riccioli – che mi darà una mano a moderare il dibattito – e Antonella Cilento (il suo pezzo è già apparso sulle pagine culturali de “Il Mattino”).

Subito dopo… una bella intervista rilasciata all’inesauribile Simona Lo Iacono (che si presenta all’intervistato nei panni di… Pulcinella)

E poi, sinceramente (e magari con un pizzico di sana ironia)… provate a rispondere!
In quali circostanze potreste uccidere qualcuno?
Conoscete qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Mica facile!

Massimo Maugeri

———–

Francesco Costa, Presto ti sveglierai, Salani Editore, Milano 2008, pag. 222

recensione di Maria Lucia Riccioli

Presto ti sveglierai è uscito pochi giorni fa per Salani dalla penna oraziana di Francesco Costa.
Oraziana, sì, perché al di là, infatti, della scrittura serrata, del ritmo indiavolato, sostenutissimo della pagina – e qui si avverte il tocco del Francesco Costa sceneggiatore per la televisione e il cinema – serpeggia una malinconia disillusa, che è l’altra faccia della medaglia di quella solarità che connota – ma è proprio così? – i napoletani.
Di oraziano c’è anche il gusto per la battuta arguta, mai veramente cattiva, il dono dei ritratti indovinatissimi, tracciati in punta di penna, un senso morale fatto di sano buonsenso e di bonomia nient’affatto superciliosa.

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?» (p. 7).

La domanda dell’incipit non potrebbe più perentoria.
Suo malgrado, Laura questa domanda dovrà porsela, lei che sembra essere, proprio come il suo minuscolo amatissimo giardino con un pino centenario, un’oasi integerrima e diciamocelo pure un po’ fessa in un mondo di strafichi furbastri arrampicatori fotticompagnisti.
A partire proprio da casa sua: la figlia Gemma cambia look – bonza, dark, intellettuale… – a ritmo vertiginoso ed è convinta di poter sfondare come scrittrice con un romanzo intitolato nientepopodimeno che Rebecca la porca; il marito Stefano la ignora, la tradisce forse con la bellissima Clara e non perde occasione per rimproverarle l’attaccamento alla morale kantiana ritenuta muffosa e fuori moda.
Per non parlare di colleghi e alunni, di Regina Saporito, vicina di casa tutta invidia e falsa cortesia…
C’è persino un surreale Gesù a vegliare, a suo modo, sulle vicende di Laura.

«Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?» (p. 7).

Morale, certezze, valori vacillano di fronte all’ipotesi ventilata dal tubo catodico.

«… Allora raccontalo a Miriam!» (p. 8).

Miriam è la quintessenza dello sfasciume televisivo che ha inquinato le intelligenze e le coscienze di tutta Italia e conduce l’ennesimo reality, volto ad indagare sulle fantasie omicide che infettano anche gli animi più insospettabili, come quello di Laura.
Mite e persino goffa nella sua ingenua semplicità, la nostra sprovveduta protagonista si troverà coinvolta in un complotto che include camorristi, professori in piena crisi d’autorità, vaiasse e persino un poliziotto dall’augurale nome di Speranza.

«Per salvare la vita alla persona che ami, per eliminare un ostacolo tra te e una ricca eredità, per conquistare l’uomo o la donna dei tuoi sogni, per impadronirti di un’automobile…» (p.11).

Il marito di Laura è stato rapito ed è tenuto in ostaggio. Solo la moglie può salvarlo impegnandosi a compiere ciò che il pavido, imbolsito, distratto Stefano non è stato capace di portare a termine: l’omicidio dell’avvocato Morris, un cattivo, un vilain della peggior specie, che l’umanità tutta vorrebbe veder sparire dalla faccia della terra. Chi esiterebbe?
Laura, combattuta tra il residuo amore verso un marito che pur non apprezzandola sempre il padre di sua figlia è, il cielo stellato sopra di lei e la legge morale dentro di sé, verrà catapultata in una sarabanda esilarante di colpi di scena fino allo scoppiettante finale, che lascia anche uno spiraglio di speranza per le sorti di Napoli.
Una Napoli devastata dall’inciviltà, dal cinismo, dall’ignoranza cafona, dalla speculazione edilizia, subissata dall’onnipresente monnezza.
Francesco Costa, con profetico tempismo – o forse è Napoli ad essere tragicamente sempre uguale a se stessa? – fa muovere Laura Belmonte in un presente quanto mai attuale.
E noi ci ritroviamo a tifare per lei e per la sua città, sperando che entrambe finalmente, il più presto possibile, come Francesco Costa si augura nel titolo del libro, si sveglino e trovino la via più “giusta” per il loro riscatto.

«È notte fonda, certo, ma prima o poi si sveglierà anche lei» (p. 222).

Maria Lucia Riccioli

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recensione di Antonella Cilento

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?»: questa è la frase che lampeggia lungo le pagine di Presto ti sveglierai (Salani, pagg. 222, euro 13), brillante settimo romanzo di Francesco Costa. A pronunziare la temibile frase è un’attempata conduttrice televisiva restaurata di fresco, che si affaccia da ogni media ad inquietare una Napoli messa a ferro e a fuoco dalle emergenze: camorra, spazzatura, campi Rom (una notevole preveggenza dell’autore, considerando che questo libro è stato scritto ben prima dei recenti fatti di cronaca: ma questo, ovvero anticipare i fatti del mondo, alla buona letteratura capita). E certo il diktat televisivo in una città già così facile agli ammazzamenti, turba, o quanto meno infastidisce, la vita della quarantenne Laura Belmonte, insegnante sposata a un professore, che per conservare la sanità mentale in un mondo allo sfascio ha scelto un imperativo kantiano da ripetersi come un mantra: «Il cielo stellato sopra di me. La legge morale dentro di me». Laura vive in una piccola isola, una casetta a Fuorigrotta dove fa crescere a fatica un minuscolo giardino che la separa da una vicina invadente con un figlio che crede d’essere Gesù – le cui apparizioni esilaranti, ma anche visionarie, sono una delle punte di diamante della narrazione – fra il cimitero, che manda miasmi di morte, e un campo Rom, che di miasmi ne manda di vitali. I problemi di Laura sarebbero molto comuni: un marito che si è stancato di lei e non l’ama più con la stessa passione, una figlia adolescente assai stramba, che passa da una moda all’altra e da un’identità all’altra senza troppi imbarazzi (ora bonzo meditativo, ora autrice di Rebecca la porca, non celata satira dei romanzetti trash di giovanissimi autori analfabeti), una collega di scuola bellissima e con casa a Posillipo, amante di suo marito. Tuttavia le cose si complicano: una sera, di ritorno da una disgustosissima e trendy cena, Laura e Stefano, suo marito, vengono assaliti. Il giorno seguente Stefano scompare. Laura lo cerca invano fino a che non le viene detto che la camorra lo tiene in ostaggio e che lei lo potrà riavere solo a patto di uccidere un certo avvocato americano. Dunque, la realtà non è come appare. Cos’è finto e cos’è vero? Di più non diremo della trama, che si avvolge come una spira attorno al lettore, complice la scrittura elegantissima di Costa, fatta di composta ironia e di situazioni esilaranti, sullo sfondo di luoghi napoletani non usurati dal copione letterario ma consueti all’autore, che di Fuorigrotta e dei Campi Flegrei ha già molto narrato nei precedenti romanzi. Presto ti sveglierai è un noir pieno di comicità e di ritratti impietosi della borghesia televisiva dei nostri giorni, un libro che scorre rapido e restituisce un’aria estiva: promette e mantiene le qualità narrative già note, con in più il dono della commedia di qualità.

Antonella Cilento

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INTERVISTA A FRANCESCO COSTA

di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGEcco… Ho sempre pensato che ci siano scrittori che affondano tra le maglie di una città. Che le rotolano accanto col respiro. Con i propri sogni.
Scrittori di sogni e di città, diciamo allora. Che sfiatano gli stessi sboffi del vulcano che li domina. E che ne condividono il destino fatto di precarietà e sorrisi. Quella leggerezza che solo chi vive a contatto con una terra prossima a tremare e a spaccarsi sotto il passo, è in grado di raccontare.
E allora facciamo per un attimo finta di essere a Napoli.
Andiamo incontro a Francesco Costa, edito in questi giorni da Salani con “Presto ti sveglierai”.
Pur avendo un passato da fine sceneggiatore e da romanziere di successo ( abituato – tra l’altro – alle trasposizioni per il cinema delle sue storie), Francesco è, soprattutto, un uomo aperto alla meraviglia. Al raspo repentino di un entusiasmo. All’infallibile fiuto dei veri sognatori: lo stupore – sempre rinnovato – per la vita.
Uno stupore a cui di tanto in tanto non sfugge uno strappo di malinconia. Un sobbalzo di inquietudine. Ma non per intima adesione.
Più che altro, per lo scontro con un mondo strano, che ha perduto il senso della curiosità per il proprio mistero. Per l’assurda felicità di vivere.
A volte, sebbene i mascheramenti non siano il suo forte, me lo sono immaginato come un Pulcinella. Ma diverso dagli altri. Dai mille altri Pulcinella che ci si assiepano intorno.
Il “suo” Pulcinella lo immagino a capo di una banda di bambini moccolosi, arrangiato, con scarpe di due misure più grandi, il vestito sgualcito… e un libro in mano.
Si ferma. Lo guarda. Mi toglie le parole di bocca…
Sarà lui a condurre questa intervista…

“Francesco – gli domanda, infatti, Pulcinella – ma tu cos’hai in comune con me”

F: Perdonami, ma non credo che abbiamo qualcosa in comune. Mi ha messo sempre tristezza l’idea che la tua arguzia sia per te un modo di dimenticare che hai fame. Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto avessero fame. Io covavo un’idea di fuga, che poi ho messo in atto. Pulcinella non medita di scappare: è legato da sempre alla sua Napoli. Io per poterne parlare ho dovuto mettermi a debita distanza da lei.

“E con Napoli cos’hai in comune?”

F: Napoli la rivedo ogni mese per visitare la mia famiglia. Che dire? La ami e la maledici, e questo è quanto. Ho l’impressione che non ricambi mai l’amore che le porti. Perfino i recensori napoletani se la prendono comoda nel recensire i tuoi libri quando dovrebbero quantomeno meravigliarsi ed esser grati a chi, da lontano, abbia ancora la voglia di scrivere di questa stranissima, meravigliosa e tremenda città. Inseguono il potere, pure loro, e non si rendono conto che, osservati a distanza, annaspano in una situazione emergenziale che ha dell’incredibile.

“E allora, quanta parte ha la napoletanità nei tuoi libri?”

F: Credo che se fossi nato a Nairobi, parlerei di Nairobi. Parlo di Napoli perché la conosco meglio ed è un fondale adatto alle storie che mi vengono in mente. Il fatto, anzi, che il fondale sia sempre lo stesso dovrebbe a mio avviso mettere in risalto l’inesauribilità dei registri stilistici con cui posso narrare la tragicommedia umana.

“E questa amarezza che affiora tra una risata e l’altra? Questa ricerca della salvezza in una leggerezza apparente, sempre velata da meraviglia? Forse non è della sola Napoli. Forse è oggi – non credi? – l’unica via d’uscita per sopravvivere al mondo senza rinunciare alla fantasia”.

F: L’amarezza non mi appartiene, perché ho un temperamento naturalmente gioioso. Se la si sente venir fuori dai miei libri è perché i miei personaggi devono confrontarsi con qualcosa che ha dell’incredibile. Una città pazzesca, priva di alberi, seppellita sotto la spazzatura. Dominata da gente senza scrupoli. Il contesto in cui vivono metterebbe ansia pure al serafico Oblomov.

“La fantasia. Questa nemica che ti fa credere possibile l’impossibile. Che ti precede, ti perseguita e ti condanna a barricarti tra parole a cui non puoi rinunciare. Che rapporto hai con lei?”

F: La fantasia è tutto. La vita non può essere semplicemente vissuta. Va anche raccontata, per capirci qualcosa, altrimenti l’uomo impazzirebbe.

“E il tuo ultimo libro? Perchè questo titolo?”

F: E’ il mio romanzo più dichiaratamente umoristico. Volevo far ridere. Riuscirci è per uno scrittore un dono divino. Sapere che un lettore ha riso sulle tue pagine è il massimo. Mi arrivano sms ed email di lettori (anche colleghi) che mi ringraziano per le risate che si stanno facendo. Ne sono fiero. Il titolo attiene al sonno e ai sogni. E’ musicale. Ho una ricca scorta di titoli, ai quali devo appioppare un romanzo dotato di intreccio e sensi riposti. Uno scrittore parte generalmente da una storia a cui poi dare un titolo, io parto da un bel titolo e poi vi aggiungo una storia: esattamente il percorso inverso. “Presto ti sveglierai” è un titolo che mi piace, che è piaciuto all’editore, che piace a molti lettori.

“Da quale esigenza interiore è nato?”

F: Dalla voglia di far conoscere ai miei lettori la mia abilità nel registro comico. Tutti i miei libri sono percorsi da una vena ironica, ma questa black comedy, questa commedia con delitto ha costituito per me uno sforzo ulteriore nella direzione dell’umorismo più diretto, più schietto. Presto mi misurerò invece con l’horror e con il noir: dimensioni narrative che non ho ancora affrontato. Lo sfondo sarà sempre Napoli.

“E se anche da questa tua ultima fatica fosse tratto un film, com’è accaduto per altre tue opere (ultimamente rappresentate dal meraviglioso viso di Maria Grazia Cucinotta), che volti sovrapporresti a quelli dei tuoi personaggi?”

F: Ho sempre pensato a Laura, la protagonista di “Presto ti sveglierai”, come a una donna bionda e smarrita, fragile eppur energica, con occhi azzurri stupefatti, e ogni volta mi è venuta in mente Margherita Buy: sarebbe una magnifica Laura!

“Un’ultima cosa, Francè… se ti prestassi il mio vestito, lo indosseresti?”…

F: Non mi piace travestirmi. Ho già il mio bel daffare a entrare e a uscire dalle menti dei miei personaggi. E’ sufficientemente faticoso (e spesso doloroso) inventarli e poi abbandonarli, visto che quando scrivo io divento esattamente loro, al punto che entrano nei miei sogni e mi procurano a volte perfino dei terribili incubi. Quando non scrivo, preferisco il silenzio, e dispormi all’ascolto di quella specie di mood che mi fa arrivare l’eco delle prossime storie…

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Francesco Costa è nato a Napoli. Già sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha esordito con il romanzo La volpe a tre zampe, cui s’ispira l’omonimo film di Sandro Dionisio con Miranda Otto e Angela Luce.
Sono seguiti L’imbroglio nel lenzuolo (1997), da cui è tratto un film con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin – attualmente in produzione, di cui Costa ha firmato anche la sceneggiatura – Non vedrò mai Calcutta, Se piango picchiami, e Il dovere dell’ospitalità.
I suoi libri sono tradotti in Germania, Giappone, Spagna e Grecia.

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   160 commenti »

domenica, 9 dicembre 2007

MI DISPIACE, NON SONO UN PERSONAGGIO di Antonella Cilento

Quello che vi propongo di seguito è un intervento caustico e sentito che Antonella Cilento (nella foto sotto) mi ha inviato per la sua rubrica “L’ombra e la penna“.

Già il titolo, “Mi dispiace, non sono un personaggio”, anticipa in maniera chiara il contenuto del testo.

Ringrazio Antonella perché mi pare che ci abbia fornito un’ottima occasione per dibattere di un argomento attuale e coinvolgente; soprattutto per coloro che, per un  motivo o per l’altro, sono vicini all’ambiente letterario/editoriale. Vi chiedo di discuterne assieme con passione, ma senza tradire i toni e lo stile che caratterizzano questo blog.

Vi ringrazio.

(Massimo Maugeri)

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Ormai per essere pubblicati bisogna passare un casting. Sei interessante? Sai parlare in pubblico? Sei un attore/attrice? Sei strano/a? Trasgredisci, porti le giarrettiere, sei sexy? Hai la faccia giusta, incuriosisci, puoi andare in tv, hai i denti a posto? Manca poco al Grande Fratello degli scrittori, in questo spaventoso vuoto pneumatico della progettualità editoriale. Da tempo non si leggono i libri ma si guardano le facce degli scrittori, li si chiama, nelle riunioni editoriali o nelle cene fra addetti, per cognome: ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Siamo figurine dei calciatori. E poiché non tutti vendiamo le cifre che agli editori fanno comodo, siamo spesso calciatori di serie B. Quello non lo voglio perché c’ha troppa storia (cioè ha segnato poco, un’intera stagione in panchina), quella la tengo come fiore all’occhiello anche se mi va sempre in fuori gioco. Ovviamente nell’editoria (italiana) non ci sono in gioco le cifre del calcio, ma hai voglia a star lì a scrivere davvero, a lavorare tutti i giorni, a non fare la velina della letteratura: hai perso. C’è una schiera di bellocci, furbastri e manovratori che ti passa avanti.

Li avrei voluti vedere i nostri tecnici dell’editoria risolvere il problema fino a qualche decennio fa, o magari cento anni fa: dove lo mandavano Giovanni Verga? Dalla De Filippi? E anche Pavese dalla Dandini non avrebbe funzionato granché. Ma oggi, in fondo, che importa? Viviamo in un paese in cui per la stragrande maggioranza delle persone la letteratura italiana del Novecento manco esiste, figuriamoci quella di altre epoche. Siamo precisi: non esiste per quasi nessuno la letteratura in generale. E non come negli anni Sessanta quando il romanzo impegnato lo leggeva una fascia elitaria ma una fascia più ampia leggeva il romanzo popolare e poi la maggioranza doveva essere ancora alfabetizzata. No, adesso il romanzo impegnato è scomparso, scrivere bene è un disvalore, il romanzo popolare lo fa la televisione e il grande romanzo, se siamo fortunati, ce lo riduce il cinema. Serve una fiction per tornare a leggere Tolstoj, magari il film di Faenza per ributtare un’occhiata al dimenticato De Roberto e nei prossimi mesi, chissà (mica è detto) il film di Martone per riparlare di Noi credevamo di Anna Banti.

E non è detto perché questo romanzo non si trova: per comperarlo mi ha aiutato la bravissima Francesca Branca, che cura un documentatissimo e appassionato blog dedicato a questa grande scrittrice morta da nemmeno vent’anni e caduta nel peggiore degli oblii (www.annabanti.splinder.com), dove per altro (vera novità!) presta sulla fiducia le sue copie personali dell’autrice, altrimenti acquistabili con difficoltà in librerie antiquarie, in prime edizioni costosissime. Un giorno Francesca mi scrive, mi cerca e poi ci incontriamo e fra le tante cose che ci raccontiamo c’è anche la storia di questo libro, uscito nel 1964, che Mario Martone ha scelto per girare un film di ambito risorgimentale (i diktat della nostra cultura ufficiale ci sollecitano: prego, signori, Dante e il Risorgimento. Niente di male in questo se non diventassero scelte obbligate, specie Dante…). Ma il libro si trova a fatica su E-bay, gli editori non ci provano nemmeno a ristamparlo. Certo, la Banti, che qualcuno ricorderà per il suo romanzo più celebre, Artemisia, dedicato alla vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, ma che ha scritto decine di libri e racconti spettacolari (Lavinia fuggita, magnifico, I porci, Tela e cenere e moltissimi altri, la raccolta più completa s’intitola Campi Elisi), non doveva essere un personaggio facilissimo (vedi l’autobiografia romanzata Un grido lacerante, uscita pochi anni prima della morte). Ah, proprio non ce l’avrebbe fatta la nostra editoria a portarla in tv. Una signora delle lettere, una vera maestra. Dirigeva una rivista fondamentale nella nostra storia letteraria, Paragone, con piglio feroce, bacchettando tutti, aspettandosi il meglio da tutti (vedi la raccolta di lettere di Alberto Arbasino pubblicata di recente da Archinto). Ah, come mi piacerebbe oggi dover litigare con una Banti, con un Vittorini, beccarmi una lettera di rifiuto da Calvino! Ci sarebbe gusto, almeno. Non dovrei passare il tempo a spiegare a qualche giovanissimo correttore di bozze a contratto cocoprò le regole della lingua italiana (perché ci sono regole?) e aiutarlo a distinguere l’errore dall’invenzione. Povera creatura, fra due mesi sarà di nuovo in strada, ne sa meno di chiunque altro, che deve fare? Ma niente, questo destino ci è negato, dobbiamo rassegnarci a litigare con l’aria, spesso a scusarci con gli editori per aver scritto cose appena più complesse del libro di barzellette. Torniamo perciò a Noi credevamo e spendiamoci due parole: il romanzo racconta l’epopea del repubblicano Domenico Lopresti, avo calabrese della Banti. Domenico, ormai vecchio e trapiantato contro voglia nella Torino che ha fatto a suo dispetto l’Italia, circondato dall’affetto dei figli cui non lascerà niente salvo le sue memorie, critico verso di sé e il mondo, si decide, suo malgrado, a scrivere le sue memorie. Le lunghe prigionie toccategli per la spiata dell’ipocrita Cassieri lo vedono, dopo una giovinezza da filadelfo entusiasta e speranzoso, recluso a Montefusco, a Procida e a Montesarchio insieme a Carlo Poerio. E’ il 1883 mentre scrive e gli anni da cospiratore trascorsi facendo il corriere e visitando a Lugano Cattaneo gli sembrano davvero distanti. Anche la spettacolare fuga da Livorno, anche il nuovo tentativo garibaldino in Aspromonte gli appaiono velati dall’occhio dell’età. Il paese, che pure ha contribuito a formare, non lo riconosce, lo ha condannato, le relega a una vita da diseredato nella città dei tanto detestati Savoia. La storia di una delusione, quindi, di un fallimento che fonda la contemporaneità. La vicenda di Domenico è dentro la linea del grande romanzo italiano che va dal Diavolo a Pontelungo di Bacchelli a Noi credevamo a Il resto di niente di Striano. Una linea che si interseca con L’isola di Arturo (Noi credevamo è del ’64, il romanzo della Morante di poco precedente) non solo per la vicinanza degli scorci procidani, ma per la potenza dell’io narrante che poco ha da invidiare all’Adriano della Yourcenar. La vicinanza con Striano, edito molti anni dopo, poi è straordinaria: i ritratti dei camorristi e dei contadini incontrati in carcere che Domenico compie, lui nei panni del galantuomo povero in canna ma animato dal fuoco della libertà, ricordano in forma speculare il celebre dialogo fra i rivoluzionari e i capipopolo della Napoli di Maria Carolina. Scrive Domenico: “Non mi piacciono le favole e diffido dei romanzieri. Per chi scrivono costoro? Come possono giocare la loro vita componendo storie inventate? Le donne le leggono avidamente (…) Va bene, anche le donne sono un pubblico. E tuttavia scrivere per un pubblico cosiffatto non mi piacerebbe. Sono intelligenti, le donne? (…) Fino a un certo segno penso che la loro condizione coincida con quella del romanziere, il quale più che viverla, costruisce la vita.” Molta amarezza, in trasparenza. Un destino letterario già vinto che passa da queste pagine.

Vedremo se il film di Martone aiuterà a far ripartire il dibattito e magari a riportare sui banchi dei librai questo romanzo come in questi giorni capita ai Viceré, ristampati in edizioni supereconomiche.

Chissà se qualcuno ha davvero voglia di discutere il lato non eroico, non illuso del nostro Risorgimento. E chissà se si potrà parlare di un libro senza un’autrice che vada a chiacchierare in fascia pomeridiana su Rai 2 del destino dei figli, degli spinelli e dei casi di cronaca.

Antonella Cilento

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domenica, 17 giugno 2007

78 RAGIONI PER CUI IL VOSTRO LIBRO NON SARA’ MAI PUBBLICATO (di Antonella Cilento)

Oggi in Italia è forse fin troppo facile per gli esordienti arrivare alla pubblicazione e questa facilità, legata soprattutto alla sete di scritture giovani, è in crescita, piuttosto che in calo: può capitare di esordire dopo molti anni di rifiuti, e non è detto che sia un male, così come può risultare facilissimo trovare un piccolo editore disposto a rischiare su un testo anche di modesta qualità. Lo spazio ufficiale per gli esordi, considerando anche le grandi case editrici, è nel nostro paese percentualmente basso, tuttavia la selezione di quanto viene pubblicato sposta sempre più i criteri dalla qualità letteraria alla stretta vendibilità.

Così, se la massa di esordienti è in continuo aumento e preme su agenzie, scuole di scrittura e scrittori, cercando canali di lettura, il panorama che si offre in risposta è sempre più blindato e commerciale: bisogna che un editore faccia i numeri, e gli editor ne sono i primi responsabili, così potranno in seconda battuta puntare su autori che vendono meno ma sono di maggiore qualità. 

E pur di fare i numeri, si pubblica davvero di tutto.

Ma se è molto facile scagliarsi contro il mondo dell’editoria, non bisogna dimenticare che è anche la folla di aspiranti, molti dei quali senza qualità e vocazione, a rendere difficile la selezione. Scrive a questo proposito Pat Walsh:

“La ragione principale per cui il vostro libro, una volta che avrete finito di scriverlo, non sarà pubblicato è che non è abbastanza bello… forse fa addirittura un po’ schifo”. Walsh, editor e co-fondatore della casa editrice McAdam/Cage, ha le idee chiare su cosa deve fare un esordiente per confrontarsi con la sua aspirazione alla scrittura e le espone con sistema in 78 ragioni per cui il vostro libro non sarà mai pubblicato e 14 motivi per cui invece potrebbe anche esserlo (Tea, 9 euro).

L’elenco è secco e semplice: non si viene pubblicati negli Stati Uniti – ma il parallelo con l’Italia è abbastanza stringente – perché non si è mai scritto il libro di cui tanto si parla (e cioè si dice sempre che lo si scriverà, ma che non si è ancora trovato il tempo per farlo, oppure che servono buone conoscenze nell’ambiente prima ancora di mettersi a scrivere); perché il libro è brutto, perché si pensa che scrivere sia facile, perché non si cura la lingua o la storia, perché si plagia o si è troppo affezionati ai propri errori, perché ci si innamora del primo prodotto senza rilavorarlo, perché non si prende sul serio la fatica di scrivere. In fine, per tutta una lunga serie di ragioni che riguardano la scarsa conoscenza delle regole del mondo dell’editoria. Ed è evidente che, se esistono ben 78 motivi per fallire e appena 14, secondo Walsh, per avere qualche probabilità di riuscita, l’imbuto in cui cade l’esordiente è ben stretto: fra le qualità necessarie ci sono le ovvie (aver scritto un bel libro), ma anche essere onesti con se stessi, coltivare speranze e aspettative ragionevoli, essere pazienti, tenaci e buoni gestori del proprio tempo, saper accettare i no e le critiche, prendersi sul serio ma divertirsi.

Una delle questioni su cui Walsh punta è la fretta: se un manoscritto viene inviato state pur sicuri che sarà difficilmente letto una seconda volta, è inutile mandare capitoli di prova che poi si cambieranno. Bisogna stare molto attenti alle lettere di presentazione e ai modi con cui contattate gli editori e gli agenti: potreste presentarvi nel modo peggiore. 

A volte, però, si sanno scrivere splendide lettere di presentazione e pessimi libri, e anche questo è un notevole handicap. In sostanza, l’antimanuale di Walsh, scrittore fallito e editor felice, sia pur nella manichea  e pragmatica modalità americana, dà suggerimenti autentici, che chiunque conosca un po’ il mondo dell’editoria non potrà che sottoscrivere. Il ritratto di questo mondo affollatissimo di aspiranti inconsapevoli che bussano alle porte degli editori sbagliati, che tartassano gli agenti e che inviano qualsiasi cosa abbiano buttato giù in quattro e quattr’otto, non può che somigliare, in piccolo, alla nostra realtà. Certo, è difficile non ricordarsi di un piccolo ma perfetto racconto di Giuseppe Pontiggia (Lettore  di casa editrice) in cui un editor, un po’ affaticato e afflitto dalle molte storie quasi buone ma tutte senza obiettivi che gli tocca leggere, finisce con il cestinare per sbaglio anche un libro destinato al reparto traduzioni e firmato Dostojevski.

E in effetti Walsh di questi possibili errori non se ne duole, anche perché sostiene in un capitolo che gli editori cercano storie credibili e forti, in un altro che occorre avere un perfetto tempismo e, in un successivo, che certo si può essere sfortunati e c’è poco da fare.

A completare questa complicata quadratura del cerchio c’è la notizia che l’editoria è un’industria, che i libri sono numeri, in senso matematico e in senso economico, e che quando gli autori non possono sentire li si chiama per codici o per unità: “Ah, come staremmo meglio senza di voi! Potessimo fare il nostro lavoro senza autori!”, mi disse in uno slancio di sincerità una mia vecchia editor. E non si può non confrontare questa realtà, fatta spesso di lettere prestampate e, raramente, di brevi messaggi di apprezzamento, quando capita, con le accurate  lettere che Calvino scriveva per i suoi rifiuti quaranta e più anni fa: l’editoria italiana sembra non saper più trovare il tempo, a dispetto di editor spesso molto competenti e a loro volta autori, di costruire alcuna idea di letteratura. Colpa, allora dell’assenza di sogni imprenditoriali? Di una progettualità finalizzata solo al denaro? Fatto sta che in risposta a questi vuoti di qualità proliferano editori a pagamento, che appiattiscono ancora di più la selezione, pubblicando dietro compenso i libri che altri rifiutano o che nemmeno leggerebbero, tanto sono improponibili. Insomma, chi ne fa le spese in Italia molto più che in America, considerando il mercato asfittico e l’assenza di lettori, sono gli autori che, come Walsh spiega, meriterebbero più rispetto  per il loro mestiere, per l’enorme fatica mai ripagata e in nessun modo compensata: perché se, a volte, negli Stati Uniti possono capitare anticipi faraonici e royalties spettacolari, in Italia vivere di libri, specie di quelli scritti bene, è impossibile.   

Antonella Cilento

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

“Una lunga notte” ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. “L’amore, quello vero” ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito “Ora d’aria”. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno" (supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista".

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giovedì, 3 maggio 2007

DOVE SONO I CRITICI LETTERARI CON CUI CONFRONTARSI ? (articolo di Antonella Cilento)

A chiedersi per primo dove fossero finiti i critici con cui gli scrittori potessero confrontarsi era stato, sul finire degli anni Ottanta, Pier Vittorio Tondelli. Se ne lamentava in un bel libro-intervista curato da Generoso Picone e Fulvio Panzeri, all’epoca giovani critici come giovane era il compianto Tondelli, di lì a poco scomparso. Dov’erano finiti, si chiedeva Tondelli, i critici con cui dibattere e confrontarsi sul proprio percorso creativo?

A distanza di oltre vent’anni la questione sembra irrisolta.

E un convegno di studi tenutosi a Venezia presso l’Università Ca’ Foscari, coordinato da Anna Maria Carpi, scrittrice, con l’intervento imprevisto di uno scrittore della generazione di Tondelli, Enrico Palandri, e con il contributo (previsto) di Alfonso Berardinelli, Giorgio Ficara, Roberto Galaverni, Franz Haas e Emanuele Zinato, ha cercato di fare il punto.

Ci finisco un po’ per caso, in vacanza a Venezia per una lezione di scrittura presso il laboratorio tenuto da Annalisa Bruni e Lucia De Michieli, invitata da una delle organizzatrici, docente, poeta e amica, Anna Toscano.

E’ una magnifica giornata di sole, sembra luglio e sulle Fondamenta delle Zattere si mangiano gelati. Dall’afa esterna entro nella saletta universitaria a convegno già avviato. Il pubblico interno, studentesse volenterose, in piccola parte resisterà fino alla fine. Il grosso, lettrici di varia età, curiosi, forse altri docenti, pian piano svanirà, come l’orizzonte del discorso critico sviluppato dai critici.

Mi armo di succo di frutta e resisto, anche per il piacere di ascoltare e conoscere per la prima volta Franz Haas, che ha prestato le sue foto azzurrine scattate per l’Ortese in occasione della scrittura del Cardillo addolorato, a me e a Sandro Dionisio per scrivere un corto metraggio dedicato alla grande scrittrice (a un certo punto evocata: dice Haas che anche il Porto di Toledo uscì nel 1975 nel silenzio assoluto della critica italiana, vedendo qualche centinaio di copie e ora vive invece la grande riscoperta dell’Adelphi). Haas ha scritto un articolo, riportato anche su Nazione Indiana non so da chi, dove si accusa la critica italiana di omertà. Si dice che questa critica non veglia, non legge e non discrimina. Perché?

Dice anche, ma questo dal vivo, che a lui spesso tocca di fare il poliziotto e che un suo articolo assai deciso ha impedito che in Germania uscisse con clamore la Fallaci della Rabbia e l’orgoglio, o meglio, è uscito il libro ma con un battage ridotto e per un editore minore. Dunque, negli altri paesi se il critico parla, poiché si assume delle responsabilità, viene anche ascoltato e ha un effetto.

La discussione viene portata avanti da Berardinelli che segna alcuni punti intorno a cui si ruota: il primo è che, a suo avviso, i critici sono scrittori come gli altri. E cioè fanno un lavoro creativo come gli scrittori ma di un genere differente. Sono insomma autori di uno specifico genere letterario. E sono anche, sostiene sorridendo (ma convinto) scrittori più generosi degli altri perché si preoccupano di leggere gli altri autori.

Secondo punto: oggi i giornali sono invasi da recensori, cioè da persone prezzolate che obbediscono alla legge di mercato imposta dall’editoria e che lanciano scrittori come patatine, senza alcuna competenza critica ma limitandosi a fare rumore. Questi signori sono pagati dai giornali e tolgono spazio ai critici. L’editoria è senz’altro imputata principale perché tesa solo a fare numeri e per niente impegnata a stabilire meriti o valori. E infatti il convegno s’intitolava: “I critici: solo intrusi, o il sale della terra?”.

Berardinelli chiedeva, in conclusione, un vero spazio, cartaceo, dove i critici potessero confrontarsi e fare il punto di quel che vale e di quel che non vale (annualmente, bimestralmente, ecc..).

Palandri diceva invece: ma voi, signori critici, li leggete gli autori che accusate di non valer nulla? Come si fa a discriminare l’esistente senza conoscerlo? Leggete e cercate.

Giorgio Ficara commentava i “giovani scrittori”, non meglio identificati, sostenendo che sono colpevoli di non desiderare il confronto, di scrivere ignorando la tradizione cui appartengono e insomma di non valere granché.

Il dibattito con la sala è stato limitato: un signore chiedeva ragione della comprensione, di cosa significhi oggi comprendere; una lettrice incaricata di rappresentare tutti i lettori dichiarava di guardare smarrita in libreria l’enormità e la confusività dell’offerta e di non saper scegliere; la signora Zanzotto, comparsa in tarda mattinata, lamentava vari disservizi, fra cui l’inutilità e la pericolosità delle scuole di scrittura (!).

Ora, per descrivere i convegni universitari ci vogliono penne acuminate e rimando perciò alla lettura di David Lodge, ad esempio. In breve, ci si è scagliati contro i troppo famosi, da Umberto Eco a Niccolò Ammaniti, si è fatta un’operazione “non ti curar di loro  ma guarda e passa” rispetto a  nomi ancora più venduti, ma, di fatto, non si è stilata alcuna graduatoria o fornito alcun parere circa la produzione contemporanea, quale essa sia.

Peggio: si è detto che gli autori vogliono essere riconosciuti dai critici e chiedono le loro recensioni, ma disprezzano la categoria. Inoltre, si è anche detto che forse oggi nessuno scrive niente di degno (e in passato, proprio a una lezione di scrittura tenuta presso il mio laboratorio, Berardinelli aveva dichiarato che dopo la Morante aveva scelto di non leggere più nulla e che i nuovi autori gli sembravano un trucco).

Poiché autori in sala che potessero dibattere, difendersi, dire qualcosa oltre l’equanime Anna Maria Carpi e il già citato Enrico Palandri non ce n’erano, io e il mio succo di frutta ce ne siamo stati zitti, un po’ arrabbiati, in verità e ce ne siamo andati.

Perché il nostro parere contava (e ha sempre contato) poco, ma la fatica di scrivere e la consapevolezza, pesante, di appartenere a una tradizione invece esistono. Ed esiste anche la coscienza e la fatica di portare avanti, almeno per quanto mi riguarda, con onestà una scuola di scrittura.

Io e il mio succo di frutta rispettiamo moltissimo il lavoro critico e la saggezza di Alfonso Berardinelli e di Franz Haas, sia pure nella loro enorme diversità, e rispettiamo il fatto che non siano recensori ma critici, però ci chiediamo anche come mai una folla di autori di buona qualità quando vengono editi – e non sono soggetti al lancio hollywoodiano riservato a quei due o tre titoli all’anno che fanno il fatturato dei molossi editoriali italiani (cagnetti, in verità, rispetto all’editoria tedesca o inglese per non parlare di quella americana) – debbano chiedere la carità ai recensori per essere letti e spesso malamente riassunti sui quotidiani.

Perché debbano anche essere disprezzati dai critici che si mettono la maiuscola davanti, con ragione vista la loro storia, sfruttati da editori che danno anticipi ridicoli (Berardinelli sostiene che gli anticipi ai narratori siano epici: a me non è successo e a molti altri che conosco).

Perché debbano, in definitiva, scrivere per essere numeri di poco conto in case editrici i cui uffici stampa e editori e addetti ai premi li guardano come accattoni e, contemporaneamente, liquidati come ignoranti da critici che non li leggono.

Io e il mio succo di frutta ce ne siamo andati a prendere il sole sulle Fondamenta delle Zattere, portando sempre rispetto anche a chi il rispetto non ce lo porta e spesso viene ospite delle scuole di scrittura, ospite pagato e venerato, e poi si dimentica di considerare almeno l’umanità, se non l’impegno onesto,  del nostro lavoro.

I critici ci servono: servono ai lettori e servono agli scrittori. Ma non critici che s’illudano di essere artisti. Critici che leggano e facciano il loro mestiere (da sempre, per secoli, considerato parassitario della letteratura, ma che definisce il gusto, la storia, il tempo e, ahimè, ciò che resterà e ciò che passerà).

Critici che non si lamentino di essere degli esclusi, che innalzino l’attesa che il pubblico ha e che gli editori appiattiscono. Critici che smettano di puntare il dito contro gli altri e lo puntino verso se stessi. Perché ogni errore che facciamo parte prima da noi e la responsabilità della nostra vita e del nostro lavoro è personale.

Ci piacerebbe tanto, e so che parlo per molti autori amici, che qualcuno ci dicesse cosa va e cosa non va nel nostro lavoro, senza paura di offenderci e senza essere mossi da interessi personali o millantati, non per scambio di cortesie personali ma per autentica volontà di capire.

Agli scrittori, e parlo di me per prima, capita di essere in questa repubblica troppo lasca delle lettere nostrane, recensori. A volte anche di libri di persone che conosciamo e che cerchiamo di aiutare o a volte stronchiamo anche se sono amici, a rischio di perdere quell’amicizia.

In un corso di scrittura chi ha aspirazioni viene da me e mi chiede un parere onesto. Ha pagato per questo e io lo do, a costo di essere crudele. Lo do proprio perché conosco la mia fatica di essere autrice e il mio essere legata a una tradizione, perché so i miei limiti e ho piacere se altri me li mostrano, perché desidero superarli o accettarli, se non posso.

Così, è vero ed è avvilente che ormai farci un’intervista è la scappatoia per non leggere un libro in redazione, che mettere grandi foto significa non dover dire che schifezza sia questo libro oppure: magari è buono, ma non l’ho letto.

E’ vero che se leggo una recensione fatta bene mi faccio un’idea precisa di quel libro e che da lettore ho bisogno della critica. E mi sa che oggi gli scrittori leggono i loro colleghi assai più dei critici, per tante diverse ragioni: per spiarli, come qualcuno mi disse una volta, per vedere se fanno meglio di loro, oppure per il semplice piacere di leggere, che è ancora, caso mai si fosse dimenticato, la base di questi mestieri, lo scrittore e il critico.

Antonella Cilento

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

“Una lunga notte” ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. “L’amore, quello vero” ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito “Ora d’aria”. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno" (supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista".

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venerdì, 30 marzo 2007

UN PO’ DI PAZIENZA. E GLI OCCHI BASSI (di Antonella Cilento)

Antonella Cilento

Gli estremi di ogni paese si toccano. Torno da una lunga settimana di laboratori di scrittura nelle scuole di Bolzano e li metto a confronto con i laboratori campani. Le realtà delle due regioni sono lontanissime: una provincia autonoma, dove ogni corso è superfinanziato, tutto è regolamentato fino all’eccesso; una regione dove tutto è anarchia allo stato puro.

A Napoli, dentro la Stazione Marittima, nella manifestazione intitolata La civiltà delle donne la sede è incantevole ma disorganizzata: le hostess con i programmi alla mano ignorano le collocazioni degli eventi; le scuole, scandalizzate, chiamavano gli organizzatori perché non possono far partire gli autobus con le scolaresche fino a quando gli spazi non sono pronti; gli orari di inizio dei laboratori saltano; l’attrezzatura delle sale è inesistente o da allestire a nostra diretta cura (mentre gli inservienti spazzolano le poltroncine di velluto con scacciamosche, come in una colonia levantina, io metto da parte le pagine della Mansafield che avrei dovuto leggere ai fanciulli delle medie per cercare di organizzare loro le sedie). Facciamo laboratorio mentre “quelli di Un posto al sole”, unico interesse dei ragazzini, si esibiscono poco distante e un concerto ci strombazza nelle orecchie.

A Bolzano, la scuola Scuola Dante sembra uscita dalla favola di Biancaneve: banchi di legno e sedie in stile, mi accoglie in perfetto silenzio fra pakistani di prima generazione, tedeschi, italiani di varia provenienza, tanti meridionali. Gli insegnanti sono forse stanchi e demotivati come in ogni altra scuola d’Italia, ma hanno autorità, desiderio di scoprire cose nuove e di farle sperimentare ai ragazzi. Desideri non frustrati. Le ore iniziano puntuali, non si spreca un secondo, nessuno chiacchiera nei corridoi, tutti lavorano.

A Napoli, come a Bolzano, i ragazzini “difficili” ci sono: in una classe della Dante un caratteriale passa il tempo a insultarmi. E’ bello, intelligente, campione di nuoto, ma non ha alcuna direttiva in casa, dove, per altro, i soldi non mancano. Nella Stazione Marittima, una guappetella provoca i suoi compagni e anche la professoressa: non è campionessa di niente, parla dialetto e ha la faccia rammaricata di un popolo soggetto. Ha più cuore del caratteriale di Bolzano? E il ragazzo di Bolzano non è poco meno che un guappo di cartone? L’umanità si somiglia, da Nord a Sud. I bambini si somigliano. Ma la rassegnazione non si è ancora impadronita del Trentino, merito delle regole, forse, mentre a Napoli, ci ripetono le belle signore ingioiellate che ci accolgono, bisogna avere pazienza.

“Un po’ di pazienza…”. E gli occhi bassi.

Antonella Cilento

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

Una lunga notte ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. L’amore, quello vero ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno" (supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista".

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martedì, 20 febbraio 2007

SCRIVERE, NON FARE LO SCRITTORE (di Antonella Cilento)

Antonella Cilento
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“So benissimo che, tra le persone apparentemente interessate a scrivere, ben poche sono interessate a scrivere bene. A loro interessa pubblicare qualcosa, e se possibile fare un colpaccio. Essere uno scrittore, non scrivere”.

Quando Flannery ‘O Connor scriveva nei lontani anni Cinquanta queste righe per una lezione sulla natura e lo scopo della narrativa non immaginava quanta attualità avrebbero avuto ai giorni nostri. Anche se insegno scrittura da quattordici anni, non c’è giorno in cui le parole della ‘O Connor non mi accompagnino. Almeno tre volte per settimana mi tocca ripetere ai neofiti dei corsi napoletani de Lalineascritta, o nei corsi dell’Upad di Bolzano, ai ragazzi nelle scuole e ai visitatori del sito (www.lalineascritta.it) che hanno un libro nel cassetto e cui un editore ha chiesto soldi per pubblicarlo, che scrivere è un’arte.

E che davvero non è il ruolo sociale, la cui aura è da troppo tempo scomparsa come diceva Benjamin, dal momento che né un narratore né un poeta vengono ritenuti, di questi tempi, opinion leaders, a contare, ma la fatica, la vocazione, il vero desiderio di far bene quel che si è chiamati a fare.

Ieri sera spiegavo che ho un romanzo in fabbrica da sette anni. Un corsista nuovo alla questione ha sgranato gli occhi: sette anni? E’ terribile! Gli ho detto che non so se questo libro poi, alla fine, funzionerà. Non ho la garanzia, non è una lavastoviglie. Sette anni, ha ripetuto disperato: e io che scrivo solo quando ho voglia! Servissero i corsi di scrittura a far capire che scrivere un libro, un libro vero – non le barzellette dei calciatori o il romanzetto dell’attore o il giallino del magistrato – è una questione di fatica fisica e che, come diceva la ‘O Connor, i denti marciscono e i capelli cadono mentre un romanzo prende forma, sarebbe già un primo risultato.

Di questi tempi di sola immagine, dove la scrittura è finita su Internet e nei blog, in cui gli editori hanno dimenticato il senso delle parole “progetto culturale”, mi sa che bisogna ripetere ad alta voce che scrivere non è fare lo scrittore. Che non c’è un tappeto rosso, che non ci sono guadagni facili né comparsate tv che vi renderanno autori. Che si scrive, come dice Rosa Montero nel suo bellissimo La pazza di casa, contro la morte, perché quel mondo inventato sia davvero simile a come lo avevamo immaginato. Che non si scrive per vedere il proprio nome in calce, ma perché si cerca la verità, per porre domande che non siano oziose, che non si ascoltino nei programmi pomeridiani sui canali nazionali.

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

Una lunga notte ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. L’amore, quello vero ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno"(supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista". Si è laureata nel 1995 in Lettere Moderne con una tesi intitolata La scrittura di Pier Vittorio Tondelli vincitrice presso la Biblioteca Comunale di Correggio del Premio Tondelli 1999.

Ha scritto la sceneggiatura del corto "Il martirio di Sant’Orsola" per la regia di Mario Martone e Sandro Dionisio (Banca Intesa, 2005). E’ presidente dell’ass. cult. Aldebaran Park con la quale organizza convegni, rassegne autoriali, spettacoli.
Ha organizzato vari convegni, conferenze e seminari culturali e letterari.

Per il teatro, scrive:

"Isole senza mare: omaggio ad A.M. Ortese ed Elsa Morante", 1999 in scena al Teatro Leopardi, Napoli, regia di Cristiana Liguori, interpreti Cristiana Liguori e Giorgia Palombi; "Bambini nel tempo" da I. Mc Ewan, 2000 in scena al Mezzoteatro di Napoli, al Teatro Nuovo di Salerno, regia di Paolo Oliveri e Giorgia Palombi, interpreti Paolo Oliveri e Luana Di Sarno; "Il funambolo" omaggio a J. Genet, 2001, Teatro Garage Genova, Galleria Toledo Napoli, Teatro Colosseo Roma, in tournée attualmente, realizzato con la regia di Laura Sicignano da un’idea di Iole Cilento, interpreti Marco Pasquinucci e Massimiliano Caretta). "Frankenstesin Barausz" di Laura Sicignano e A. Cilento, 2002, Teatro Cargo, Genova. "Ho visto Don Chisciotte", regia e ideazione di Giancarlo Cosentino, in scena al Teatro Diana, Napoli, 2003.

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lunedì, 22 gennaio 2007

INSEGNARE SCRITTURA CREATIVA (di Antonella Cilento)

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Si può imparare a scrivere un racconto? Come si costruisce un romanzo? Queste sono alcune delle domande chiave che in quattordici anni di insegnamento continuano ad essermi rivolte, ad ogni inizio di corso: è davvero possibile insegnare a scrivere? La risposta è semplice: certo, si può insegnare ad inventare, anche se nessuna seria scuola di creative writing potrà mai promettervi che “diventerete” scrittori. Una cosa è andare in palestra, un’altra è vincere le olimpiadi: ma nessuno di noi rinuncia a tenersi in esercizio perché non può competere con Yuri Chechi. E non c’è allievo di corso che non possa testimoniare un serio miglioramento delle proprie capacità al termine dell’esperienza.

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Antonella Cilento

Se è vero che il talento, quello che porta Yuri Chechi a vincere, non può essere insegnato, è però un fatto concreto che l’allenamento, i trucchi e gli strumenti della narrativa, come quelli della poesia, non solo possono ma sono da sempre stati trasmessi nel mondo occidentale, dagli antichi corsi di retorica fino ai corsi di creative writing, che si tengono con sistema, da oltre un secolo, in Stati Uniti, Europa e Giappone.

Esiste, tuttavia, nel nostro paese un diffuso e antico pregiudizio di ascendenza crociana, o più latamente romantica, che consiste nel considerare le arti del racconto e quelle della poesia come frutto di alata ispirazione e fulminante genio e dunque svalutando le funzioni dell’apprendimento, della crescita e della bottega della scrittura. In un paese di santi, poeti e navigatori com’è l’Italia è poi assai facile che la maggior parte delle persone, avendo una media competenza di lettura e scrittura, si ritenga invece automaticamente in grado di narrare o versificare.

Bisogna invece ricordare, e segnalare, che, spesso al di là dei gravi vuoti o delle approssimazione della formazione scolastica pubblica, scrivere è un’arte. E che, dunque, come tale, è, prima di diventare letteratura, una forma di artigianato sofisticatissimo: non ci sogneremmo di suonare uno strumento senza conoscere la musica, di danzare senza training, di dipingere senza studi. Allo stesso modo la scrittura d’invenzione prevede una pratica di bottega fatta di confronto, riscrittura, letture e prove.

Ovviamente, non basta saper scrivere libri per insegnare a scrivere. Esistono numerose didattiche della narrazione in Italia, variamente praticate, e se chi partecipa a un corso di scrittura può non essere in possesso del famoso talento, ma arrivare a stimolare immaginazione e creazione con metodi opportuni, chi, invece, possiede una potenzialità se non si allena e non apprende rischia di perdere ai punti qualsiasi incontro, se consideriamo un racconto come un match.

Non c’è scrittore americano che non abbia avuto un maestro nelle università, a sua volta scrittore, da James Gardner a Raymond Carver, da Paul Auster a Jay McInerney, e si può ormai dire questo, senza imbarazzanti paragoni, anche di molti autori italiani di recente generazione, nonostante l’insegnamento della scrittura sia praticato in larga parte dagli scrittori al di fuori delle strutture pubbliche, in scuole private o in corsi di formazione scolastici extracurricolari. Adesso, bisognerebbe convincere le università italiane ad assumere gli scrittori: accadrà? Staremo a vedere…

Antonella Cilento

http://www.lalineascritta.it/

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte( Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

Una lunga notte ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno"(supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista". Si è laureata nel 1995 in Lettere Moderne con una tesi intitolata La scrittura di Pier Vittorio Tondelli vincitrice presso la Biblioteca Comunale di Correggio del Premio Tondelli 1999.

Ha scritto la sceneggiatura del corto "Il martirio di Sant’Orsola" per la regia di Mario Martone e Sandro Dionisio (Banca Intesa, 2005). E’ presidente dell’ass. cult. Aldebaran Park con la quale organizza convegni, rassegne autoriali, spettacoli.
Ha organizzato vari convegni, conferenze e seminari culturali e letterari.

Per il teatro, scrive:

"Isole senza mare: omaggio ad A.M. Ortese ed Elsa Morante", 1999 in scena al Teatro Leopardi, Napoli, regia di Cristiana Liguori, interpreti Cristiana Liguori e Giorgia Palombi; "Bambini nel tempo" da I. Mc Ewan, 2000 in scena al Mezzoteatro di Napoli, al Teatro Nuovo di Salerno, regia di Paolo Oliveri e Giorgia Palombi, interpreti Paolo Oliveri e Luana Di Sarno; "Il funambolo" omaggio a J. Genet, 2001, Teatro Garage Genova, Galleria Toledo Napoli, Teatro Colosseo Roma, in tournée attualmente, realizzato con la regia di Laura Sicignano da un’idea di Iole Cilento, interpreti Marco Pasquinucci e Massimiliano Caretta). "Frankenstesin Barausz" di Laura Sicignano e A. Cilento, 2002, Teatro Cargo, Genova. "Ho visto Don Chisciotte", regia e ideazione di Giancarlo Cosentino, in scena al Teatro Diana, Napoli, 2003.

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domenica, 21 gennaio 2007

L’OMBRA E LA PENNA (di Antonella Cilento)

Ho il piacere di presentarvi una nuova rubrica che sarà gestita da Antonella Cilento: scrittrice, critica letteraria e insegnante di scrittura creativa. Vi dico subito che sono molto onorato di poter ospitare Antonella che considero, tra le scrittrici delle ultime generazioni, una delle più brave. (Massimo Maugeri)

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Antonella Cilento
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Si scrive per inseguire la propria ombra, come racconta Margaret Atwood. Si scrive contro la morte, come dice Rosa Montero.

Scrivere è la più misteriosa delle sorti, ma come ogni destino prevede una pratica e un allenamento. Senza preghiera non c’è devozione. Senza palestra non si arriva al ring. Questo che state per leggere è un piccolo spazio dedicato alla scrittura, che è il mio scopo di vita, e al suo insegnamento, che da quattordici anni pratico come mestiere soprattutto a Napoli, nei corsi de Lalineascritta (www.lalineascritta.it), occasionalmente a Bolzano (www.upad.it Scuola di scrittura Le Scimmie) e poi in scuole, laboratori, librerie di mezz’Italia.

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte( Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero(Guanda, 2005).

Una lunga notte ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno"(supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista". Si è laureata nel 1995 in Lettere Moderne con una tesi intitolata La scrittura di Pier Vittorio Tondelli vincitrice presso la Biblioteca Comunale di Correggio del Premio Tondelli 1999.

Ha scritto la sceneggiatura del corto "Il martirio di Sant’Orsola" per la regia di Mario Martone e Sandro Dionisio (Banca Intesa, 2005). E’ presidente dell’ass. cult. Aldebaran Park con la quale organizza convegni, rassegne autoriali, spettacoli.
Ha organizzato vari convegni, conferenze e seminari culturali e letterari.

Per il teatro, scrive:

"Isole senza mare: omaggio ad A.M. Ortese ed Elsa Morante", 1999 in scena al Teatro Leopardi, Napoli, regia di Cristiana Liguori, interpreti Cristiana Liguori e Giorgia Palombi; "Bambini nel tempo" da I. Mc Ewan, 2000 in scena al Mezzoteatro di Napoli, al Teatro Nuovo di Salerno, regia di Paolo Oliveri e Giorgia Palombi, interpreti Paolo Oliveri e Luana Di Sarno; "Il funambolo" omaggio a J. Genet, 2001, Teatro Garage Genova, Galleria Toledo Napoli, Teatro Colosseo Roma, in tournée attualmente, realizzato con la regia di Laura Sicignano da un’idea di Iole Cilento, interpreti Marco Pasquinucci e Massimiliano Caretta). "Frankenstesin Barausz" di Laura Sicignano e A. Cilento, 2002, Teatro Cargo, Genova. "Ho visto Don Chisciotte", regia e ideazione di Giancarlo Cosentino, in scena al Teatro Diana, Napoli, 2003.

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