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sabato, 20 dicembre 2008

ROLAND BARTHES E ETICA DI UN AMORE IMPURO, Alessandro Savona

Roland Barthes (Cherbourg 1915 – Parigi 1980) è stato uno dei maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista (approfondimenti qui e qui).
Ce ne parla Alessandro Savona nel suo articolo “L’altro Barthes”.
Savona, peraltro, è autore del romanzo “Etica di un amore impuro” (Perrone, 2008), libro che presenta connessioni con Barthes e che, di seguito, è recensito da Simona Lo Iacono e Maria Rita Pennisi.
Propongo un dibattito sulla figura di Barthes e su questo romanzo di Alessandro Savona.
Simona Lo Iacono, Maria Rita Pennisi e lo stesso Savona mi aiuteranno a coordinarlo e a moderarlo.

Partendo dal bellissimo – e ossimorico – titolo del libro di Alessandro Savona, ne approfitto per porvi una domanda: quand’è che, a vostro avviso, un amore può definirsi… impuro?

Infine vi lascio questa citazione: la letteratura non permette di camminare ma permette di respirare. (Roland Barthes: da Letteratura e significazione, in Saggi critici)

Massimo Maugeri

____________________

L’altro Barthes
di Alessandro Savona

two.jpgDue dita sfiorano la tastiera del pianoforte verticale, probabilmente un Ibach degli anni ’20 oppure uno Stein, verniciato di nero. Le prime note del Traumerei di Schumann si liberano nell’aria, nitide, indecise. L’uomo è in piedi, con indosso il paletot e la musica che viene fuori dal suo indice incerto. Sull’eco di una nota spezzata l’uomo lascia la stanza, spegne la luce ed esce. Cammina ora verso St. Sulpice, percorrendo rue Servandoni.
Parigi di notte sembra trattenere ancora le emozioni di quel lontano maggio, seppure siano trascorsi più di dieci anni. Forse accostando l’orecchio ad un muro si possono sentire le urla di protesta degli universitari, il rumore delle selci lanciate con rabbia, i colpi dei manganelli delle CRS sui corpi in fermento: voci e suoni trattenuti nelle connessure dei conci, nelle crepe sfarinate degli intonaci. Forse si sentono i passi di uno di quei giovani, che corre affannato, sudato di paura, nudo di disistima in cerca di lui. Quel giovane tanto amato e perduto per sempre.
L’uomo si accende una sigaretta. Il suo appuntamento è di trent’anni più giovane, è un sudafricano, è lì che lo aspetta, seduto sul bordo di un marciapiede di un vicolo del Quartiere Latino. Il calore di quel corpo ha un prezzo, una tariffa stabilita che segna il confine tra il desiderio e l’amore.
 - Quale sarà per me lo spettacolo del mondo? – forse una domanda viene fuori a voce bassa dalle labbra dell’uomo. Forse.

La stessa domanda la ritroviamo nelle pagine di un diario che Roland Barthes scriverà tra il 24 agosto e il 17 settembre 1979. Pagine intime, cariche di dolore che in forma di testo e col titolo Incidents, saranno pubblicate dalle Editions du Seuil nel 1987, sette anni dopo la morte dell’autore. Il 25 febbraio 1980 Roland Barthes, uscendo dal College de France, è investito dal furgoncino di una lavanderia; a seguito di complicazioni polmonari morirà un mese dopo nell’ospedale Salpetrière. Aveva 65 anni.
Fu uno dei più importanti animatori dell’avventura strutturalista francese insieme a personaggi come Foucault, Lacan, Greimas, Althusser, Lévi-Strauss. Con il suo Elementi di semiologia, pubblicato nel 1964, Roland Barthes può essere considerato erede a tutti gli effetti di una delle due “anime” della semiotica: quella strutturale elaborata da Ferdinand de Saussure a cavallo tra Ottocento e Novecento. L’altra sarà quella interpretativa, che muove dal lavoro di Charles Sanders Peirce. Merito di Roland Barthes sarà di andare oltre gli studi di de Saurrure, considerando non già la linguistica come figlia della semiotica ma viceversa comprendere che si devono studiare i sistemi di significazione solo in virtù di una traduzione linguistica. Da qui, secondo Umberto Eco, la sua grande lezione: l’interessamento per qualsiasi evento capace di produrre significato.
- Il semiologo è colui che quando va in giro, – ripeteva Barthes – fiuta e scorge significazione dove gli altri vedono fatti ed eventi -.
Amato, ma anche odiato da quei detrattori che gli rimproveravano una mancanza di rigore e di scientificità nella costruzione della semiologia, Roland Barthes applicherà le sue riflessioni argute e raffinate con la stessa spontaneità di un osservatore curioso della vita e di ogni sua manifestazione, interessandosi di letteratura, moda, teatro, musica, fotografia e tanto altro. Scriverà libri preziosi come Il grado zero della scrittura (1953), Miti d’oggi (1957), Il sistema della moda (1967), S/Z (1970), Sade, Fourier, Loyola (1971), Il piacere del testo (1973), Frammenti di un discorso amoroso (1977), La camera chiara (1980).
E Incidents, il libro che svela un Roland Barthes intimo, dove trova collocazione?
Fra le innumerevoli accuse a suo discredito una probabilmente pesa più delle altre, perché svela la più profonda fragilità della vita di R. B.: la taciuta omosessualità.
- (…) Gli ho chiesto di avvicinarsi a me, sul letto. Lo ha fatto con gentilezza, si è seduto sul bordo, ha sfogliato un libro di fotografie, il suo corpo era lontano; se allungavo il braccio verso di lui, lui non si muoveva: nessun compiacimento. E’ subito andato in un’altra stanza. Sono stato assalito da una specie di disperazione, avevo voglia di piangere. Era evidente che dovessi rinunciare ai ragazzi, perché non ero desiderato. (…) L’ho invitato ad andarsene, dicendo che avevo da lavorare, sapendo che era finita, e che al di là di lui qualcosa era finita: l’amore di un ragazzo. – Incidents, Parigi 1987, pagg. 115-116.
Queste parole sembrerebbero la descrizione, oltre l’immagine, di un quadro di Lucian Freud, Two men (vedi immagine in alto, n.d.r.): la distanza muta, l’incomunicabilità, il tocco leggero di una carezza.
La chiave di tutto sta nell’interpretazione. Durante un’intervista sui preconcetti R. B. dirà – Non possiamo pensare noi stessi in termini di aggettivi, ma anche gli aggettivi che ci vengono applicati non possiamo mai autenticarli: ci lasciano muti – Questo perché interpretare significa capire, capire significa rimandare ad altro, porsi domande, fermarsi a riflettere, ricominciare di nuovo. Quando scrisse Frammenti di un discorso amoroso affermò che l’amore, nell’ambiente intellettuale, fosse fuori moda. Ma al di fuori di esso era un sentimento universale, indipendentemente dal sesso di chi ama. Il desiderio di amare è come dragare, cercare senza sosta l’oggetto delle nostre attenzioni e instaurare un rapporto che, lo si voglia o no, resterà sempre all’orizzonte, al margine di una comprensione totale. Quindi l’emarginazione, evidente nei toni disperati di Incidents, è la realtà della “solitudine” che accomuna ogni essere umano che, quando ama, si rende fragile, esposto, cerca conferme, esita, vacilla.
 A ben guardare tutta l’opera di Roland Barthes può essere scandagliata attraverso quest’altra ottica. Nei Frammenti non si parla mai di un uomo e di una donna, ma di esseri che si amano, indipendentemente dal loro sesso, si evidenzia il ruolo dell’oggetto amato e l’incisività del soggetto che ama, siano essi eterosessuali o omosessuali. Barthes combatteva le etichette, l’impuro che la borghesia aveva instillato nella vita quotidiana con un perbenismo che spacciava come naturale. Lo ha fatto per tutta la vita, attraverso le parole che ha detto o scritto. Da acuto osservatore con un’anima pacata, di un poeta dei segni, non alzava mai il tono della voce, non prevaricava, non imponeva, ma induceva a riflettere. Così, in letteratura come nella vita quotidiana, si interessava di tutto ciò che potesse rimandare a un modello narrativo universale, ma sempre a piccoli passi, osservando un cartellone pubblicitario, le basole della strada, il gesto di un bambino, una frase di Proust, gli occhi di un ragazzo. Tutto è narrazione, e la narrazione è anche attesa, sospensione, rimando, desiderio. Come nel libro di Renaud Camus, dapprima suo discepolo e poi scrittore di Tricks (1978), libro che parla di omosessualità e che Roland Barthes ha recensito senza esitazioni.
- (…) L’omosessualità sciocca meno, ma continua a interessare; è ancora in uno stadio di eccitazione in cui provoca ciò che potremmo chiamare prodezze del discorso. Parlare di essa permette a coloro “che non lo sono” (espressione già appuntata da Proust) di mostrarsi aperti, liberali, moderni; e a coloro “che lo sono”, di testimoniare, rivendicare, militare. Ognuno si impiega, in modi diversi, a gonfiare l’argomento. Pertanto, proclamarsi qualcosa, è un parlare sotto l’istanza di un altro vendicatore, entrare nei suoi discorsi, discutere con lui, domandargli un briciolo di identità: – Lei è?… – Si, lo sono… -. In fondo poco importa l’attributo: ciò che la società non tollererebbe è che io non sia niente, o, per essere più precisi, che il qualcosa che io sono, sia dato apertamente per passare, revocabile, insignificante, inessenziale, in una parola: impertinente. Dite soltanto sono e sarete socialmente salvi. Rifiutare l’ingiunzione sociale lo si può fare attraverso questa forma di silenzio, che consiste nel dire le cose con semplicità. (…)
Di questa semplicità, da sempre cercata, Roland Barthes è stato un assoluto assertore, un infaticabile sostenitore. Avrebbe voluto scrivere un libro di narrativa, ha inseguito il sogno per tutta la vita, gli ha dato perfino un titolo, Vita nova. Non potrà mai farlo, ma della letteratura, grande amica e amante di tutta una vita, ha scritto una frase esaustiva:
La letteratura è là per donare un supplemento di gioia, non di decenza.
Alessandro Savona

___________________

Il ponte. Una recensione al libro di Alessandro Savona: “Etica di un amore impuro” (Perrone Editore, € 10,00).
di Simona Lo Iacono

Siamo ponti senza saperlo.
Annodiamo esistenze. Solitudini. Mani tese.
Siamo ponti quando sussurriamo in una notte come tante: non lasciarmi. Quando balocchiamo dal fumo di un desiderio. Quando – vivi o morti, dentro – ci ostiniamo a percorrere una strada sospesa nel vuoto.
Questo è un ponte: una speranza nella precarietà.
Un punto d’appoggio tra due rive. Un modo per allungare una mano, per trattenere qualcuno.
Non sempre ci riusciamo. Non sempre il ponte ci avvicina. A volte frappone un inciampo, un impensabile ostacolo: noi. La nostra stessa fragilità.
Tuttavia, accade.
E il ponte sfreccia tra due destini, o tra tre, o tra mille. Balza su stagioni. Miracolosamente restituisce un senso.
È una struttura, dicono alcuni. E forse lo direbbe anche Marco, aspirante architetto e protagonista di questa storia.
Ma Roland Barthes direbbe: no. Non è una struttura. È un segno.
E lo direbbe a ragione, perché anche lui è protagonista di questa storia. Anche lui è tra Marco e un libro.
E tra un libro e Olivier.
Olivier vi si imbatte per caso, in una Parigi che risuona della voce rauca di Edith Piaf. Che si snoda tra le vie del quartiere latino. Che si inerpica verso il cielo, maglia dopo maglia. Svettando dalla Tour Eiffel. Rimandando l’illusione a cui – almeno una volta, a Parigi – vogliamo credere: la vie en rose.
Ne porta addosso ancora il calore quando – dopo molti anni – incrocerà anche Marco. Quando, come Barthes, avrà finalmente appreso la lezione dei segni.
Ma nel 1982 è ancora presto.
In quegli anni Olivier ignora i codici misteriosi che trafiggono l’esistenza. Che sta a noi decifrare pur nel travolgente spettacolo del mondo. Oltre la coltre che lo spalanca ai nostri occhi.
Ignora che persino in ciò che sembra impuro si annida un senso.
È ancora presto.
Nel 1982 Barthes è appena morto, Marco è un embrione nel corpo di una donna che attraversa il ponte Alexandre e questa storia non esisteva ancora.
O forse no: le storie nascono da prima di quando riusciamo a comprenderle. Da prima di noi e dopo di noi.
Il vero ponte sono le storie.
Simona Lo Iacono

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“Etica di un amore impuro” di Alessandro Savona (Perrone Editore, € 10,00)
recensione di Maria Rita Pennisi

Prova di grande destrezza letteraria è questa seconda fatica di Alessandro Savona, “Etica di un amore impuro”, dopo “Corpi contro”. Storia di un’anima tormentata alla ricerca della redenzione.
Teatro di un amore disperato è una Parigi tutta interiore, le cui strade coincidono con i canali dell’anima e le larghe piazze con i profondi laghi del cuore. Quindi nulla di topografico, se non in apparenza, ma un getto d’inchiostro continuo, che si espande a macchia d’olio sui sentimenti fino agli anfratti più segreti di un’esistenza violata, che cerca una via d’uscita nell’amore e nel perdono. Atmosfere rarefatte che si snodano a Saint-Germain-des-Près e alimentano le vite sospese di Olivier e di Marco, protagonisti di due storie diverse, collegate da un misterioso biglietto. Olivier, appena arrivato a Parigi dalla tranquilla Provenza, si trova suo malgrado coinvolto in una guerriglia sessantottina. A salvarlo è un professore. Un uomo tranquillo che si nutre dei suoi studi e che sembra vivere ai margini della sua anima, forse per paura di se stesso. Olivier ne viene attratto, come la falena dalla luce e se ne innamora perdutamente. Il professore non si fa coinvolgere e mantiene la distanza da quell’amore disperato e inappagato. L’elemento perturbante si presenta nei panni del medico Jean Greimas, che soccorre Olivier in preda a un attacco epilettico, che sembra anticipare l’inferno che dilanierà la sua anima da lì a poco. Il medico, ben presto, svelerà il suo lato mefistofelico. Sarà lui a far precipitare Olivier in una voragine infernale. Olivier non riuscirà a confidare al professore l’abisso in cui è caduto, per la disperazione del suo muto rifiuto. Dal canto suo Marco, a distanza di anni da questi avvenimenti, vive in una Palermo marginale nella speranza che qualcosa possa cambiare.
Un destino ineluttabile lo porta a Parigi, per ripercorrere Saint-Germain-des- Près, tante volte percorsa da Olivier e dal professore. Un destino che ha origine tra le pagine di un libro di Roland Barthes, che contiene un segreto, che vuole venire alla luce.
Maria Rita Pennisi


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Scritto sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:38 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

103 commenti a “ROLAND BARTHES E ETICA DI UN AMORE IMPURO, Alessandro Savona”

Chi di voi conosce Roland Barthes?
Credo che questo post offra una buona occasione per dibattere sulla figura di questo grande intellettuale francese.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:40 da Massimo Maugeri


Chi non lo conoscesse, invece, ha la possibilità di sfruttare questo post per apprendere qualcosa di nuovo (chi era Barthes, cosa sosteneva, ecc.)

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:42 da Massimo Maugeri


Ce lo ha introdotto Alessandro Savona – che parteciperà al dibattito – e che ha scritto questo romanzo “Etica di un amore impuro” (Perrone, 2008), che sarà pure oggetto di questo dibattito.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:43 da Massimo Maugeri


Simona Lo Iacono e Maria Rita Pennisi – che hanno recensito il suddetto libro – mi daranno una mano a coordinare, moderare e animare questo post.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:44 da Massimo Maugeri


Una domanda generale per tutti, ispirata dal bel titolo del libro di Alessandro…
Quand’è che, a vostro avviso, un amore può definirsi… impuro?

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:45 da Massimo Maugeri


Credo che sia una bella domanda. Mica facile, ripondere…
O no?

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:46 da Massimo Maugeri


Infine vi lascio con questa bella citazione (che, se vi va, vi invito a commentare): la letteratura non permette di camminare ma permette di respirare.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:47 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per augurarvi buonanotte e buona domenica.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:47 da Massimo Maugeri


Ritengo che si possa tentare di definire il concetto di amore impuro cominciando col descrivere il suo opposto.
Un amore puro è un amore disinteressato, fine a se stesso, un amore per il quale si è disposti a compiere anche un gesto estremo, come il sacrificio della propria vita senza avere nulla in cambio.
E’ un amore di cui può essere oggetto una persona, una cosa, un’idea.A cui si può dedicare tutta una vita, che eleva e nobilita chi lo nutre, e che, a sua volta, si nutre di poco, talvolta di nulla.
L’amore puro non sempre infatti è ricambiato, nè chi ama spera altro se non che l’oggetto del suo amore esista, per riempire con la sua stessa esistenza la ragion d’essere del sentimento che ispira.

L’amore impuro è un amore che, per converso, è dominato dalla passione, il che implica il concetto di possesso dell’essere amato.
Non lo si potrebbe chiamare, in verità, amore, ma concupiscenza, finalizzata pertanto al proprio piacere, con scopi non sempre confessabili, o perchè ne deriva a chi ama un beneficio unilaterale , o perchè l’essere amato diviene in qualche modo oggetto di una sorta di
violenza che subisce perchè plagiato, o costretto a piegarsi ad una perversione o ad una prepotenza.
Impuro perciò è anche un amore- abbiamo già detto però che non merita di chiamarsi così- che nasce per un individuo del proprio stesso sangue,come lo è un amore che consente di trarre dei vantaggi di qualsiasi genere da un altro essere umano che viene considerato uno strumento dei propri capricci, come potrebbe essere il costringere la donna amata a prostituirsi per trarne un guadagno.
Impuro è un amore-meglio, un trasporto amoroso o passionale- che viene concepito in condizioni di impossibilità accertata di far dono di sé,come dovrebbe essere tra due individui liberi da impegni sociali, civili o religiosi che impediscano le nozze. E’ questo il caso di un amore nato tra due religiosi, tra un religioso e una laica o viceversa.
Infine, tornando all’ipotesi sopra considerata, qualora l’oggetto dell’amore sia una cosa, un esempio calzante ci pare quello di persona che ami i gioielli non per la loro bellezza e perchè siano fonte di continua meraviglia per l’imperitura creatività dell’uomo,ma per la cupidigia del possesso.
Se poi si trattasse di considerare il campo delle idee, un esempio che oggi come mai appare calzante è quello del fanatismo, in particolare religioso: nessun amore ci appare più impuro di quello che consente di scambiare un’aspirazione all’eternità con il desiderio perverso di compiere una strage e di ricoprire la terra col sangue di altri uomini.
Kate Catà.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 00:29 da Kate Catà


ciao a tutti, prima di rispondere al post non posso che rimanere colpito dalla felice coincidenza: pochi giorni fa avevo postato un racconto di bimodale che riguarda l’amore…
ritornerò sull’argomento.
volevo segnalare questo sesto senso… ;)
‘notte
grazie massimo!

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 01:40 da gianluca


Impuro è ciò che non ha pietà umana.
Ciò che tradisce il vero senso del mistero. Del significato – alato e inabissato – di ogni esistenza.
E’ impuro l’amore che non accetta. Che non riconosce. Che si veste di ragioni e non vede. Una stella che brilla. Lacrime che scorrono. Uno sguardo che tace.
Impuri siamo noi quando non cogliamo i segni che altri disseminano per farsi compendere. Per gridare contro (verso) di noi.
Quando per fretta o per paura ci asserragliamo nelle nostre cavità e dimentichiamo. Voltiamo la testa. Giudichiamo.
Impuro è un amore solo se deliberatamente ferisce. Solo se tradisce la fragilità di cui si veste. Solo se azzera la commozione.
L’etica sta nel saper vedere, ancor prima di scegliere.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 08:07 da Simona Lo Iacono


@Al Alessandro Savona, architetto e amante del teatro, amico caro e finissimo cultore del francese, vorrei chiedere le ragioni dell’ossimorico titolo : etica di un amore impuro.
Ale…una volta, qui a casa (in una bellissima conversazione a due voci con Sandro Dieli, attore palermitano) , mi dicesti che tra le due parole c’è come discontinuità…anzi da bravo architetto sorridesti:” è come se due basole avessero un livello diverso…”
Vuoi spiegarci perchè?
un bacio

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 08:11 da Simona Lo Iacono


Innanzi tutto grazie a Massimo Maugeri per la meravigliosa opportunità che ha voluto concedermi di dibattere insieme agli amici del blog. Grazie a Simona Lo Iacono e alla sua grandissima amicizia, e a Maria Rita Pennisi che mi ha regalato parole poetiche e sentite in merito a Etica di un amore impuro.
Il titolo del libro suscita riflessioni, indubbiamente. In apparenza due parole come Etica e Impuro non sembrerebbero poter trovare un comune terreno di intesa. Come potrebbe la filosofia della condotta umana, che permette di distinguere i comportamenti in giusti o moralmente leciti, da quelli cattivi o inappropriati andare al passo con ciò che è dichiaratamente impuro? Una risposta va cercata in un libro di R.B., del 1957, Miti d’oggi. In una premessa lo stesso autore spiega la ragione dei suoi studi. In ciò che è considerato “ovvio” il suo intento era di rintracciare l’abuso ideologico che viene spesso celato dietro a quanto la società borghese tende a far passare come “storico” e “culturale”. L’ovvio al quale Barthes si riferiva sono appunto le mitologie della società piccolo-borghese di cui occorre smascherare il carattere troppo ideologizzato. Ecco che ci avviciniamo al concetto di impuro. Impuro è ciò che la quella stessa società non potrà accogliere nel giardino delle proprie mitologie, che non potrà mai essere “naturalizzato”, plasmato, storicamente accettabile. E’ chiaro quindi cosa potesse intendersi per “amore impuro”. Sono grato a Kate Catà per le sue argomentazioni, che scandagliano significati profondi riguardo all’aggettivo impuro. Tuttavia l’amore impuro per R.B. era quello sofferto, inconfessabile e fragile che egli stesso viveva nel profondo della propria solitudine. Ed era impuro perchè la società non lo avrebbe mai accettato. Ecco quindi, e con ciò spero d’aver risposto a Simona, il tentativo di rintracciare un’etica, quel significato esistenziale, che quel tipo d’amore certamente possiede. Nella parola “etica”, inoltre, mi piaceva leggervi una possibilità di autonomia, di amore di sé. Fernando Savater sostiene che l’intento della moralità non dovrebbe essere di fabbricare cittadini benpensanti ma di stimolare la formazione di liberi pensatori.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 09:15 da Alessandro Savona


Innanzitutto trovo molto ‘letteraria’ e bella la recensione di Simona Lo Iacono e altrettanto bella quella di Mari Rita Pennisi.

“Chi di voi conosce Barthes”? chiedi Massimo ed io ti rispondo che è uno degli intellettuali che preferisco e che in parte conosco (non si conosce un autore fino a quando non hai letto proprio tutto di lui).
Barthes proprio in quel testo intitolato “Saggi Critici ” dà delle definizioni della lettura che hanno qualcosa di unico ed intenso. Il suo significante non è mai privo di significato o nel momento in cui lo vorrebbe asserire in realtà si contraddice perché mai come in lui i segni sono sintomo di qualcosa di molto più profondo.

Riporto una delle sue tante citazioni:

“Quando leggo veramente, quando mi sintonizzo su un testo, qualcosa si mette in moto: avanzo, mi metto in agguato, e d’un tratto qualcosa, come un ostaocolo, arresta di netto la mia progressione. E’ forse in questo istante che alzo la testa, che lo sguardo si fissa, che abbandono il flusso: ciò che ha luogo è una specie di choc, di frattura che spezza, infrange l’uniformità del testo: è un incontro, un ‘riconoscimento’. Mi imbatto in un indizio – un’impressione, forse falsa, di già visto o già sentito, una reminiscenza – e mi orizzonto sul testo[...]. Si tratta di una punteggiatura che taglia il testo, lo frammenta in reparti, in tane che mi sono accessibili perché già ne dispongo, perché già le abito”.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 09:39 da Sabina Corsaro


Ma trovo irrestistibile questa in particolare:

“A meno che non abbia tenuto il diario di tutte le mie letture, può darsi che quella che ha contato di più per me sia proprio quella che sfugge al mio ricordo[...] l’insieme delle mie letture non costituisce la mia memoria ma piuttosto il mio sintomo, non tanto i libri che ho sottolineato, segnato col mio nome e di cui ho preso possesso, quanto quelli che mi hanno segnato e che ancora mi possiedono”.

Roland Barthes, “Scritti” in Saggi critici, Torino, Einaudi, 1998.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 09:40 da Sabina Corsaro


Faccio ovviamente i miei complimenti ad Alesandro Savona, autore di un libro che è sensa dubbio da leggere.

“Impuro” inteso in questo senso potrebbe sprigionare quella sorta di ‘primitivo collettivo’ che pur venendo poco per volta abbandonato rimane coem traccia (pur se sbiadita) in tutte le epoche?

Il primitivo di Otto Rank ad esempio?

E’ quindi un Impuro che non si fa piegare dalle convenzioni costruite dall’uomo per vivere in modo più disciplinato.

Qui allora può essere inserita anche la visuale di Foucault sulla riflessione della nascita delle istituzioni delle malattie (nonsolo a livello medico ma anche morale: la follia etc.).

E’ molto interessante questo argomento e faccio i miei più sinceri auguri all’autore.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 09:50 da Sabina Corsaro


Ormai la mia è una nevrsi.. preferisco non rileggermi… spero vi siate ormai abituati (quel “sensa” non è di natura modenese ;) ma uno dei miei soliti errori di battitura e velocità)…

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 09:52 da Sabina Corsaro


Grazie di cuore per i vostri primi commenti.
Sono lieto di avere la possibilità di ospitare un intellettuale bravo e profondo come Alessandro Savona (che saluto) e di segnalare il suo ottimo libro.
Così come sono felice di aver avviato un dibattito sulla figura di Barthes… importantissima figura della critica letteraria del Novecento.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 11:36 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per salutare Kate, Gianluca, Simona e Sabina.
Io ritornerò in serata.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 11:37 da Massimo Maugeri


Ringrazio anticipatamente tutti coloro che vorranno rispondere sulla domanda “sull’amore impuro”.
E ne approfitto (lievemente off topic) per dire che, di certo, amore puro è quello che muove la “Casa della famiglia ferita”, comunità mariana che gestisce un orfanotrofio in ex-Jugoslavia nel tentativo di ricomporre i pezzi delle famiglie devastate dalla terribile guerra. Alla “casa della famiglia ferita” saranno devoluti i diritti d’autore e i guadagni dell’editore derivanti dalla vendita di “Letteratitudine, il libro”.
Ringrazio l’amico scrittore Luciano Comida che ne ha già acquistato sei copie (pur essendo presente in un apposito capitolo a lui dedicato):
http://lucianoidefix.typepad.com/nuovo_ringhio_di_idefix_l/2008/12/il-librog-antologia-da-letteratitudine.html

E’ possibile richiedere le copie (15 euro senza spese di spedizione) direttamente alla Azimut ai seguenti indirizzi: guido.farneti@azimutlibri.com oppure guido@azimutlibri.com

Perdonate l’off topic.
Ancora buona domenica a tutti.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 11:42 da Massimo Maugeri


ho amato Barthes nell ‘Impero dei segni,letto durante il mio percorso di studi sul Giappone e la lingua giapponese,ma mi riprometto di approfondire un autore così interessante,perciò leggere questo libro che si presta ad un parallelo sarà una felice occasione. Io credo che per natura l’amore sia sempre impuro perchè nasce da una spinta viscerale indefinibile e assolutamente sensoriale,il nostro agire razionale nei ruoli in cui questo sentimento ci immette, ci spinge ad un indirizzo che lo renda più o meno puro a seconda dell’oggetto del nostro amore, ma non sempre questo è possibile. E’ meraviglioso pensare all’amore come sentimento puro universalmente madre di dolcezza, pietà e misericordia, ma quale essere umano riesce ad incarnarlo veramente se le madri, modello di amore puro per eccellenza, talvolta arrivano ad uccidere e cancellare l’essere amato?No, non credo che la purezza dell’amore faccia parte degli uomini e delle donne,si manifesta in piccoli tentativi di altruismo e di solidarietà, verso un attimo di poesia per la grandezza divina e la natura, ma gli uomini(e le donne) in genere quando amano non sanno far altro che pretendere l’amore in cambio e avvicinare quanto più possibile l’essere amato all’immagine che vogliono farne per loro stessi. Tutto la purezza è sogno,manifesto di una alta spiritualità fra di noi non raggiungibile,potrei dire per fortuna, perchè essere puro leverebbe ogni passione al sentimento che si nutre della passione stessa e perciò resta a noi secoli nei secoli misterioso e inafferabile.
scusate se mi sono dilungata,auguri sinceri all’autore.
francesca giulia

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 11:43 da francesca giulia


e io, giacchè di barthes non me ne frega nemmeno un po’, mi aggiungo all’off topic di massimo e raccomando/consiglio di acquistare “Letteratitudine, il libro”. La causa è degna e poi si tratta anche di una bella testimonianza di quanto avviene in questo blog

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 12:05 da enrico.gregori


un amore impuro è un amore malsano. un amore che ‘ruba’ spacciandosi per ciò che non è. non è neanche amore secondo me. e non dico di un amore che ‘chiede’. questo ha già in sè delle infiltrazioni ma potrebbe ancora essere amore.
l’amore impuro è proprio una forma di “possessione del possesso” se mi si concede l’allitterazione. è comunque, un amore che si spaccia per tale pur non essendolo.
ma è domenica mattina, e non sono molto lucida.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 12:14 da Morena Fanti


cara morena secondo me parli di qualcosa di impossibile a meno che non si nasca santi e madonne,l’amore è sempre puro e impuro allo stesso tempo è parte della sua natura desiderare di “rubare” ciò che si ama,poi noi cerchiamo di indirizzarlo verso strade più o meno pure,socialmente accettabili o spiritualmente più alte,ma se parliamo di amore dentro c’è tutto proprio tutto il bene e il male della natura dell’essere umano,nessuna frattura o divisione fra l’amore buono e quello catttivo, se si ama si entra in un sentimento indomabile che si tenta di addomesticare per comodità. convenzioni sociali,paura e solitudine.
anche per me è domenica,sono meno lucida che mai,perciò lascio perdere e ci tornerò poi.
cari saluti a tutti,francesca giulia

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 12:54 da francesca giulia


Carissimi Amici, salve a tutti, e un abbraccio grande all’amico Alessandro Savona, compagno prezioso di percorsi, scrittore raffinatissimo che stimo e amico con cui mi confronto e che ho già ospitato ai miei laboratori di scrittura siciliani. Grazie alle parole di Simona e di Rita sarà più facile penetrare nell’essenza e nella magia del romanzo di Alessandro. Libro indimenticabile, che bisognerebbe davvero rileggere più volte e regalare agli amici cari. Un testo di rarefatta bellezza, libro in cui la riflessione sulla “parola” e quella sulla “forma” si fondono e si confondono mirabilmente, lasciando un segno profondo, autentico, che lo scrittore – e Roland Barthes con lui – carica di significati intimi, nel quale trasfonde l’ampio spettro del suo sentire poetico, la sua splendida riflessione sull’amore. Un pò per deformazione professionale, un pò per gusto personale, Barthes rappresenta davvero un riferimento prezioso per il mio lavoro e per i libri “pillola” che ho realizzato nel corso degli anni. Questo leggere la frammentarietà del quotidiano, questo indagare la complessità del vivere attraverso “segni”. Credo non ci sia niente di più alto e di più profondo. Rappresenta davvero uno dei vertici filosofici e intellettuali del suo secolo. Apprezzo pertanto il tentativo compiuto da Alessandro Savona di farci riflettere attraverso il titolo del suo romanzo. Manifesta il coraggio di un artista vero, di uno scrittore meravigliosamente “spudorato”, come tutti i grandi scrittori dovrebbero sempre essere. La purezza è solo l’adesione a dei modelli di verità e di
bellezza. La bellezza è contingenza e insieme trascendenza. E’ impuro tutto ciò che tradisce questa profonda esigenza di verità. Impuro tutto ciò che condanna, che contrasta, che umilia, che si pone contro l’esigenza e la manifestazione della libertà. Impuro è il pregiudizio, l’ignoranza proclamata a manifesto esistenziale, la mancanza di pietà e di comprensione. Impuro tutto ciò che non ascolta, che non ammette, che presuppone dall’alto di qualche pulpito e pontifica dettando leggi e categorie etiche ed estetiche. Viviamo quotidianamente in mezzo a siffatta impurità. L’arte, per miracolo, ci strappa da tutto questo e ci rende “altro” da tutto e da tutti. L’arte ci condanna al vero, che Alessandro ha saputo ricreare magnificamente nelle sue pagine. Trovo splendido anche il dipinto inserito a commento del testo. Trovo in quei due uomini, nella loro quiete amorosa, nel loro silenzio, una sorta di intimità e di magia che sono probabilmente l’essenza del romanzo di Alessandro Savona. C’è forse anche incomunicabilità, dolore, ma mai rifiuto dell’altro. Mai incapacità di toccarsi. La tenerezza è la corda che l’artista suona con la sua maturità espressiva. Questo bisogno di verità, di comunicazione, questo bisogno di eleggere il simbolo (e con esso la letteratura, l’arte, la scrittura) a messaggero di un dialogo profondo, non superficiale. Auguro davvero a “Etica di un amore impuro” un grande successo di pubblico, perché è di romanzi come questo che abbiamo assolutamente bisogno. Solo così la società civile potrà cominciare a crescere nella sua capacità di apertura e di rispetto dell’altro. Solo attraverso il libero pensiero l’arte può indicarci la strada per un domani migliore. Grazie di cuore, Alessandro.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 13:14 da Anonimo


Scusate ho dimenticato di firmare. L’anonimo sono io. Un abbraccio a tutti

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 13:15 da Luigi La Rosa


Ma cosa c’entra l’amore poi con le categorie di puro ed impuro? sono gli altri che etic..hettano i nostri amori come impuri o puri. Ciò che è viscerale, e l’amore quello vero lo è, è esente da ogni collocazione etica. Sono gli altri che non vivendo personalmente quell’amore, lo sistemano in qualche “cassetto” etico dissacrandolo con giudizi morali.
L’amore, dal punto di vista dell’amante, è aldilà del bene e del male
e rifugge ogni categorizzazione, è soltanto sacro e necessario, inevitabile come l’atto del respirare, come una malattia.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 13:53 da giovanni


Condivido perfettamente l’annotazione di Giovanni, soprattutto quando sottolinea che sono gli “altri” a catalogare i nostri amori. A noi tocca soltanto viverli, e ignorare le inutili semplificazioni del contesto. Mi piace anche questo definirli inevitabili, come l’atto del respirare, o come una malattia. Un saluto

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 16:42 da Luigi La Rosa


@Morena. Santo cielo, non spiattellare le nostre vicende private!

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 16:56 da Salvo zappulla


Ancora grazie a tutti coloro che sono intervenuti fino ad ora. Grazie in particolare a Luigi La Rosa e al suo prezioso sostegno. Riporto un’altra citazione di R.B.: la “buona” letteratura è quella che lotta apertamente contro la tentazione del senso. E a questo credo tendano gli interventi di tutti noi. E’ vero che l’amore non accetta d’essere etichettato, che proprio per tale ragione è difficile darne una definizione, come giustamente ha sottolineato Giovanni. E’ pure vero che l’oggetto dei nostri discorsi è e resta la letteratura, e l’amore trattato come tema. Il pericolo quindi di cadere nella trappola di definire l’amore è forte perfino per colui che è sicuro di non volerlo fare. Tutto ciò è sempre argomento arduo per uno scrittore. Proprio perché “la letteratura non permette di camminare, ma permette di respirare” (come ha sottolineato Massimo Maugeri, citando ancora Barthes) offre essa stessa occasioni importanti di confronto a partire non dall’azione ma dalla pre-azione, quel respirare che è comune a tutti noi, e che pure spesso appare come qualcosa di scontato. Ma nulla è scontato nella scrittura perché (dice ancora Barthes) essa è un rimettersi agli altri affinché chiudano essi stessi la nostra parola.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 17:15 da alessandro savona


Noto con piacere che Barthes e’ uno di quei critici e teorici che non passano mai di moda. Abbiamo buone speranze che i giovani riprendano in mano anche Croce e De Sanctis, allora.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 17:53 da Sergio Sozi


Che cos’è amore? Amore, in assoluto, dovrebbe essere apertura di sé verso tutto ciò che ci attira e ci impegna ad agire. Con esso, intendo che ogni nostro intento ed azione intrapresa o da intraprendere dovrebbe sorgere dal desiderio di ricerca dell’amore.
Le sue sfaccettature sono così vaste, sia nella forma come nell’intensità, da essere difficile farne una distinzione precisa, ed ancor più ad accettarle senza cadere nei pregiudizi.
Amore è un sentimento così profondo che, se non scoperto nella sua reale identità e non sostenuto da una preparazione personale culturale e caratteriale adeguata, può creare conflitti gravi e tragici.
Nella natura, è quasi tutto permesso e lecito, quando serva alla propria formazione, di essere propenso a raggiungere armonia e serenità, veggenza e giustizia, per sé e il prossimo di turno.
Assunto in questo senso, sono quindi contrario a ogni pregiudizio personale o imposto da un’educazione o imposizione dietro le quali si nasconda una visione limitata, e per questo timorosa della vita, o la volontà esterna di un’istituzione o gruppo per garantire l’esercizio della loro volontà di potere.
L’amore, quello vero, riflette la formazione del Creato, che io intendo un’entità energetica indissolubile e indivisibile, la cui apparenza varia, nella sua forma e molteplicità, secondo delle capacità d’assimilazione dell’analizzatore.
Qui risiede l’inganno concettuale e visivo che determina la nostra limitatezza personale di percezione, creando i tanti timori ed invidie, nella forma di pregiudizi e prescrizioni forzate, fino all’uso della violenza.
Saluti.
Lorenzo

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 18:52 da lorenzerrimo


caro Massimo grazie della segnalazione…credo che l’amore sia sempre un mix di puro ed impuro, perchè è tentazione, passione, desiderio, abbandono che in sè sono sentimenti puri ed impuri. E’ altruisticamente egoista l’amore…s’identifica nel soggetto d’amare per soddisfare il soggetto che ama, si lascia andare nei sensi, osando sempre, superando il “confine”. E’ una zona grigia l’amore per questo ci appassiona!!!

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 20:01 da elena varriale


L’amore e’ divino anche per una semplice considerazione d’ordine sensuale-scientifico: e’ l’unica cosa invisibile, impalpabile, inodore ed insapore ed anche immisurabile – l’aria si puo’ misurare coi sistemi scientifici, il pensiero anche non sfugge all’encefalogramma, ma l’amore… eh no: l’amore e’ puro spirito ed anche piu’ inafferrabile dello spirito stesso. Le definizioni ne sono solo una parziale ipotesi, sempre. Sempre. Ecco perche’ l’amore e’ divino e soggetto solo alla fede. Trovatemi un’altra cosa altrettanto inverificabile e al contempo fortissima e vera, reale.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 20:16 da Sergio Sozi


Da “Frammenti di un discorso amoroso ” (Einaudi)
“….L’amore accieca: questo proverbio è falso. L’amore spalanca gli occhi, rende chiaroveggenti: “Di te, su te, io posseggo tutto il sapere”. Dice il sottoposto al padrone: tu hai ogni potere su di me, ma io so tutto di te…”
Ale, non credi che la chiaroveggenza dell’amore,sia una metafora della sua dimensione soprannaturale? E che Barthes nell’indagarlo scandagli il mistero dell’esistenza?

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 22:08 da Simona Lo Iacono


@sergio
forse, purtroppo, l’odio :-) )

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 22:40 da giovanni


secondo me, l’amore non è mai impuro, quando è amore. se è impuro è qualcos’altro, non amore. credo, inoltre, sia l’unica lucida follia che l’arida razionalità occidentale, non potrà ingabbiare dentro schemi rassicuranti, almeno negli effetti. sì, l’amore è l’unica dolce follia che ancora ci si possa permettere. l’amore e l’amore dell’amore.
di barthes lessi “Miti d’oggi” e mi colpì l’articolo in cui, parlando del pugilato, evidenziava la forte carica subliamata omosessuale di questa pratica sportiva. e l’ho sempre condivisa l’idea che alla base delle lotte tra maschi, sia in ambito agonistico e non, ci sia spesso una componente omosessuale repressa. per non parlare del calcio…
non voglio dire che due maschi che litigano e si azzuffano siano dei gay repressi, non sempre.
:)
l’immagine è struggente, almeno per chi ha provato l’atroce sensazione di morte che ti coglie quando stai male per quell’amore ‘che non puoi dire’ e non puoi né comunicarlo né nasconderlo. quando si è ragazzi poi, negli ambienti proletari del meridione…. meglio il suicidio… o l’omicidio :) ))
scherzi a parte… è una strana sofferenza, ma ti fa crecere un casino. non solo, ma ti acuisce la sensibilità in maniera pazzesca. ed è vero che l’amore rende chiaroveggenti, lo so per esperienza personale.
grazie per questo post e per la bella atmosfera!
ciao a tutti!

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 23:30 da gianluca


Si, cara Simona, credo tu abbia ragione. Come pure l’amico Sergio, che parla di amore come qualcosa di divino. Ciò perché, secondo me, l’Amore è Dio, e non viceversa. L’amore spalanca gli occhi! Annulla la cecità! E, aggiungo, dovrebbe spargersi come il profumo di un fiore: dappertutto, senza distinzioni, senza barriere. E’ chiaroveggente, quindi, nella misura in cui tutto coglie, tutto abbraccia, anche oltre il tempo. Ma l’uomo ciò che chiama “amore” tende troppo spesso a circoscriverlo, a frantumarlo, a inaridirlo. Così, troppe volte, due innamorati finiscono con l’essere come mendicanti: che chiedono l’elemosina l’uno all’altro, cercano conferme e vivono di aspettative. Se ognuno riuscisse a preoccuparsi soltanto di offrirlo, questo amore, certamente ne comprenderebbe la grandezza. E, come ponti, le esistenze tenderebbero l’una all’altra come mani strette.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 23:34 da alessandro savona


secondo Lacan, e non solo, l’amore dell’altro e sempre amore dell’Altro. così quando amo cerco di colmare quello che mi manca. ma quello che mi manca, mi mancherà sempre. quindi due amanti cercano di completarsi l’un l’altro, ma ciò è impossibile. l’essere umano è costretto ad adeguarsi,
dentro di noi c’è un vuoto costituzionale all’essere, che non sarà mai colmato. quando si capisce questo smettiamo di cercare nell’altro il nostro completamento, l’altro è l’altro, non potrà mai colmare la nostra mancanza che resterà sempre tale.
l’amore è sì divino ma anche una questione neurochimica. o forse un mistero. a volte anche una condanna. dipende se lo viviamo nella sua accezione ‘normale’ o in quella ‘taciuta’ di barthes.

Postato domenica, 21 dicembre 2008 alle 23:59 da gianluca


Perdonate l’assenza. Sono stato fuori e posso connettermi solo adesso.
Grazie per i nuovi commenti. Credo che il tema proposto sia interessante.
E poi la figura di Barthes merita di essere “approfondita” (così come il libro di Alessandro merita davvero di essere letto).

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:16 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Savona
Su Barthes…
Tra le altre cose Barthes ha additato nel cosiddetto “grado zero” della scrittura (cioè nel modo parlato) una delle sue più significative peculiarità.
Ti chiedo, se puoi, di approfondire questo concetto…

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:18 da Massimo Maugeri


Maria Rita Pennisi non è potuta ancora intervenire per problemi di connessione (dovuti a un guasto alla linea telefonica), ma lo farà senz’altro appena li avrà risolti.
Intanto vi saluta.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:20 da Massimo Maugeri


Buon inizio settimana a tutti.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:20 da Massimo Maugeri


@alessandro
scusa, tutto bello, ma mi lascia perplessa quell’affermazione sui mendicanti innamorati,o meglio gli innamorati mendicanti. Cosa c’è di brutto nel mendicare amore se si ama qualcuno?ci sono mendicanti più dignitosi di compratori in giacca e cravatta,l’amore non ha paura di chiedere, si nutre del suo coraggio d’essere a prescindere se ciò che gli viene dato sia una briciola o di più, l’offerta d’amore si realizza perchè sia raccolta e più che ponti vedrei anelli in cui come cerchi concentrici all’amore dato ritorni altro amore in un cammino che ci incatena nel mistero inscindibile dell’innamoramento e dell’amore.
credo che ti leggerò.
auguri

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:30 da francesca giulia


Gia’, Giovanni… l’odio… non lo avevo nemmeno preso in considerazione ma e’ vero.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:38 da Sergio Sozi


Pero’, Giovanni, l’odio non fa vivere gli esseri.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:39 da Sergio Sozi


L’Amore. Chiunque sia il destinatario di questo sentimento, esso non è mai impuro quando nasce dalla mente per giungere al cuore.
E’, a mio avviso, impuro quando viene concesso al miglior offerente, quando prendono piede fenomeni di mercificazione che lo lanciano quasi come si farebbe per un sapone o un capo di vestiario.
In quest’ultima ipotesi, ciò che ci si ostina a chiamare Amore è in realtà soltanto calcolo.

Maria Luisa Papini Pedroni

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:45 da Maria Luisa Papini


altro che se li fa vivere, male ma li fa vivere,li tiene svegli la notte, popola i sogni di ombre e i giorni di fantasmi,li fa camminare in una folla di pensieri oscuri e gli fa progettare mille cattive intenzioni,per le anime condannate all’odio,è molto più forte del suo opposto e tiene compagnia a chi è molto solo.
Non è bello come l’amore,ma è altrettanto potente e misterioso.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:52 da francesca giulia


Penso che sarebbe ora di darci un taglio…si sta andando fuori dal seminato, l’assunto è perso di vista, comincia la fase in cui chi argomenta fa dire agli autori quel che non avevano mai avuto intenzione di dire.
Questo è quel che capita quando si citano passi di scrittori famosi estrapolati occasionalmente, che fuori dal contesto assumono tutt’altro significato.Ciò accade peraltro anche in politica, quando si citano gli oratori che fanno lunghi e oscuri discorsi in Parlamento..
Credo comunque che Massimo intendesse parlare dell’amore impuro in generale, e non di quello cui si riferiva Barthes.
L’aggettivo “impuro”, poi, è un modificante del sostantivo “amore”, tanto quanto può esserlo qualsiasi altro aggettivo. Il sostantivo ha ben diritto di essere qualificato e di non perdere la sua primigenia natura, che è stabile più diquella di qualsiasi altra parte del discorso.
Et de hoc satis…-
Kate Catà.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:54 da Kate Catà


giustissimo. Io perciò vado a dormire,però certe volte è tanto bello andare fuori dal seminato,si perderà di vista l’assunto ma ci si apre a tante nuove domande.
buonanotte

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 01:03 da francesca giulia


Penso che la sig.ra Cala’ abbia ragione. Mi ritiro e continuero’ eventualmente cercando di esser piu’ aderente all’argomento nella sua interezza.
Per ora Buonanotte a tutti
Sozi

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 01:11 da Sergio Sozi


che significa amore impuro in generale e non quello a cui si riferiva barthes se il post è dedicato a barthes?
:)

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 01:12 da gianluca


Ma mi chiedo invece, cosa significa tout court la purezza.
A proposito dell’amore esattamente come a proposito del lindore dei tavolini. Qual’è il sacro crisma epistemologico che ci fa decretare cosa nella composizione della nostra esperienza è terreno volgare e villano e cosa invece garantirebbe la celestialità.
No non amo la retorica della purezza e dell’impurezza – ho stima dell’autocoscienza, dell’onestà intellettuale e sentimentale: quando si ha questo ordine di onestà ci si arrende ai sentimenti, e tuttalpiù li si osserva – ogni tanto respinti e vergognosi per certi certi loro connaturali odori, perchè sono sentimenti e puzzano di storia, la purezza non è faccenda della storia.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 07:47 da zaub


Barthes ha spesso ammesso, nel corso di vent’anni, di essere “molto cambiato” dai tempi di Il grado zero della scrittura. Malgrado il passare del tempo si ritrovava ad analizzare, amare, gli stessi oggetti e valori nel 1974 come nel 1953: il linguaggio, la letteratura, la nozione di “grado zero” che rimanda all’utopia di un’abolizione di segni, di un’esenzione del senso, di una trasparenza di rapporti sociali. Allora cosa è cambiato nel corso degli anni? Ci si potrebbe domandare. E questa, amici, è una domanda che potremmo rivolgere a noi stessi quando proviamo a rintracciare le cause dei nostri cambiamenti, delle nostre “evoluzioni” di pensiero.
Dice Barthes “Quello che in me, fortunatamente, è cambiato, sono gli altri, perché io sono anche l’altro che mi parla, che io ascolto e che mi trascina. Quanto sarei felice se potessi attribuirmi l’espressione di Brecht: – Pensava in altre teste; e nella sua pensavano altri. E’ il vero pensiero – ”
Con quanto scritto spero di essere riuscito a rispondere all’invito di Massimo. Credo, ad ogni modo, che non sia possibile rintracciare un “grado zero” nel modo di amare. Lì sono convinto che lo strutturalismo e il post-strutturalismo servano a ben poco. Si ama come si vive, secondo me: sbagliando, provando a imparare dagli errori.
L’amore ragionato è sempre frutto di calcolo. Però l’uomo vive anche di ragione. Non a caso si dice spesso “folle d’amore”. E’ tutta una questione di confini, quindi, che noi stessi diamo, volontariamente o no, alla nostra libertà personale.
Rispondo a Francesca Giulia. Hai ragione, il mendicante può vivere di una propria, rispettabile, dignità. Ma non è di lui come figura sociale che intendevo parlare, quanto della condizione interiore che spesso rende noi bisognosi di attenzioni e cure. Non credo che l’innamorato-mendicante riesca facilmente a nutrirsi di una briciola di elemosina. Ne soffre, si accontenta, ne cerca ancora, è condannato a chiederne in futuro. E questa è la verità di larga parte delle relazioni sentimentali. C’è un momento per l’altruismo come c’è un momento per l’egoismo. Cosa posso darti se non possiedo nulla? Sarò, invece, nella condizione di dare se già ho qualcosa. Ecco perché ami davvero quando sei già colmo d’amore. Non posso amarti se non scoppio d’amore, non posso dare ciò che non no. Mai.
Forse è vero, come ha detto Gianluca, che Barthes vivesse l’amore come una condanna. Tuttavia è sempre riuscito a essere grato alla società che contestava lui e la propria omosessualità.
“Io sono anche l’altro che mi parla”

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 08:48 da alessandro savona


Intervengo molto rapidamente perche’ mi ha colpito la domanda: quando l’amore puo’ definirsi impuro? A mio parere, semplicemente MAI. L’amore non e’ puro e non e’ impuro. L’amore E’. Una sorta di energia, uno stato di grazia, una maledizione. Possiamo definirlo come vogliamo. Ma costringerlo nell’ambito di una definizione, di un aggettivo, no. Significa togliergli significato.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 09:06 da Laura Costantini


Caro Ale,
credo che l’amore in Barthes non sia soltanto un sentimento. Ma una poetica. Una metafora dell’approccio conoscitivo della realtà umana.
I segni, le incisioni che lasciano trapelare un significato sono tipici del linguaggio tra innamorati. Ma al tempo stesso rivelano le dinamiche della società. Delle relazioni tra uomini. Non a caso Barthes si è dedicato allo studio delle relazioni esistenti tra i miti e i feticci della realtà contemporanea e le istituzioni sociali, ha studiato il rapporto di incontro-scontro tra la lingua intesa come patrimonio collettivo e il linguaggio individuale e ha sviluppato una teoria semiologica che prende in considerazione le grandi unità di significato.
L’amore, in questa visione, è anche uno strumento di indagine. Non credi?

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 09:13 da Simona Lo Iacono


Cara Simona,
è esattamente ciò che intendevo quando ho scritto che Barthes era grato alla società e anche alla critica che la stessa società faceva, e fa, all’omosessualità che, pure, la riguarda. Era un uomo che viveva “ad occhi aperti”, volendo citare la Yourcenar. Che non dava nulla per scontato e che, al contrario, imparava da tutto, perché tutto era oggetto di indagine. In tal senso, se vogliamo dare un nome a questo suo desiderio perenne, credo si possa parlare d’amore. Amore non facile, amore come sguardo, amore totale. Amore come strumento di indagine. Certo.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 09:28 da alessandro savona


Caro Ale
credo che sia proprio l’amore ad insegnarci tutto, ad aprirci a tutto, ad accettare tutto.
Non solo perchè è come dici tu (con espressione dolcissima) “desiderio perenne”, ma perchè è l’unico approccio conoscitivo in cui l’uomo è – veramente – disposto a perdere una parte di se stesso. E a ritrovarsi attraverso la perdita.
La conoscenza degli altri e di sè deve passare attraverso un’interpretazione. Ma nessuna interpretazione è tale se è dominata solo dall’io.
L’altro che ci richiama, che ci impone di essere due e uno, che ci assorbe e si fa assorbire , è il necessario e indispensabile corollario di ogni processo di conoscenza che possa dirsi autentico.
Imparare a non escludere, a includere.
E’ la grande lezione dei segni….
Ci parli di questi segni? Qui a casa mi hai incantata con la poetica del significante e del significato….Vorresti riproporla a noi tutti?
Un bacio e grazie

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 10:05 da Simona Lo Iacono


Be’, il mio approccio a Barthes avviene da scrittore e, per deformazione professionale, da architetto. Non mi occupo di semiologia ma ho imparato ad accostarmi ai segni con spirito critico e incuriosito. I segni che l’architetto osserva sono quelli che definiscono i luoghi. Per Christian Norberg Schulz luogo e identità sono fortemente connessi. L’identità dell’uomo presuppone l’identità del luogo. L’architettura quindi può essere vista come una forma di scrittura, non soltanto poetica ma fortemente strutturata. La scrittura, come l’architettura, tocca l’anima ma è comunque un artificio. Imparando a “osservare”, con l’umiltà di colui che ha sempre da apprendere, si impara a “fare”. Diventi consapevole delle ostilità, sfidi territori nuovi, non sottovaluti mai quelli che a una prima occhiata sembrerebbero elementi “secondari”. Barthes ha fatto questo per tutto il corso della sua vita. A me non interessa giudicarlo come uomo, ma sono grato ai tantissimi elementi “secondari” sui quali si è posato il suo sguardo critico. Mi interessa il suo approccio, la sonorità delle sue osservazioni, il tocco gentile e l’attenzione acuta.
Tutto significa qualcosa, perché tutto è significante. Perfino il testo, come lui stesso ha osservato, in cui la letteralità dell’enunciato basta in qualche modo a esaurire il suo senso. Leggere letteralmente è già il senso di ciò che apparentemente non ne possiede nessuno.
Imparare a osservare è ciò che amo fare giorno per giorno. Osservare “l’altro che mi parla” significa capire un po’ se stessi. Esattamente come cogliere il carattere di un paesaggio, del nostro paesaggio, nel quale certamente c’è tanto di noi.
Un bacio a te, Simona, e grazie per i tuoi bellissimi interventi.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 10:42 da alessandro savona


grazie alessandro,io anche mi riferivo agli innamorati e intendevo dare dignità all’atto del chiedere,perchè in amore non esiste vergogna.Per quanto riguarda la lezione dei segni di Barthes è molto attinente a ciò di cui parli l’immagine del giappone come paese ricco di significanti che eccedono la parola stessa in cui lo scambio dei segni è intenso,mobile a dispetto del linguaggio che non lascia trasparire e opacizza. Il corpo in ogni sua parte comunica con noi si dispiega raccontandosi al posto di un messaggio verbale che avrebbe risolto brevemente la ricchezza dei significanti.Se si avvicina a noi questo modo di colloquiare con l’altro al di là del significato della parola che usiamo a ogni istante vissuto dall’altro rendiamo un significato a noi stessi. In ciò l’altro mi parla e mi restituisce me stesso,il parallelo che fai con il paesaggio è bello,sono certa che guardandolo più volte e da diverse prospettive ci darebbe sempre nuove risposte,anche nuovi riflessi di noi stessi.
un saluto

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 11:27 da francesca giulia


Finalmente riesco a collegarmi. Saluto Alessandro Savona, Simona Lo Iacono, Luigi La Rosa e tutti gli amici. Saluto e ringrazio Massimo Maugeri.
Cosa dirvi sul tema dell’amore? Chi può stabilire se un amore è impuro?
Io penso che l’amore sia alito primordiale, che investe tutto; suono che fa vibrare ogni cosa; sonno che tiene sveglio lo spirito; carezza sul cuore di ognuno. Così è per Roland Barthes che conosceva il segreto delle parole e sapeva svelarlo.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 12:10 da Maria Rita Pennisi


Un caro saluto ad Alessandro Savona che insieme a Sandro Dieli ha animato uno dei salotti letterari siracusani…
Ciao Simona, Maria Rita, Luigi!
Alessandro Savona ha scritto del Sessantotto francese con scrupolo, andando a rivedere filmati, studiando la figura di Barthes, ricostruendo tutto – metafora da architetto – a suo modo però, poeticamente, con una delicatezza, questa sì davvero pura, che scandaglia l’inferno di Olivier tentando di ricostruirne il senso e facendo delle parole un ponte per tentare un futuro possibile.
Scrivere è come respirare, perché se la respirazione porta ossigeno e permette di far fuoriuscire gli scarti, leggere ossigena il nostro cervello, dilata percezione e riflessione, scrivere permettere di fare catarsi di ciò che ribolle e fermenta in noi.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 15:45 da Maria Lucia Riccioli


Un caro saluto a voi, Maria Rita e Maria Lucia. Grazie ancora a Maria Rita per la sua recensione e a Maria Lucia per il suo intervento. Anche queste riflessioni sono un ponte tra di noi.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 16:31 da alessandro savona


Caro Alessandro, colgo l’occasione di queste parole lievi e profonde di Maria Lucia per parlare anch’io della scrittura. La scrittura è indubbiamente vita, perché ci permette di manifestare emozioni, pensieri e angosce. Pensare ad un dolore muto, ad un dolore che non può lanciare il suo grido mi sgomenta. E’ come pensare a una gioia che non può esplodere in una risata, nello schiocco affettuoso di un bacio, nel rivolo silenzioso di una lacrima. Le parole sono voce che si espande, che invade, che affratella. Le parole creano ponti, che a volte si è pronti a superare e a volte no, ma quei ponti sono là ad aspettarci.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 16:45 da Maria Rita Pennisi


“Impuro è ciò che non ha pietà umana.” Questa sintetica definizione di Simona mi ha colpito, perchè mi sembra che esprima in modo chiaro il significato. In effetti ho sempre pensato che la pietà sia un atto d’amore, forse il più alto, perchè il comprendere senza condannare, l’accogliere senza respingere, non sono frutto di un ragionamento, ma di un impulso naturale nella misura in cui l’individuo abbia un concetto di amore non esclusivamente materialistico. Oggi, purtroppo, la società è caratterizzata dall’assenza della pietà, ma si parla continuamente di amore, lo si invoca, lo si mitizza, lo si interpreta, proprio perchè manca.
Oppure, se c’è, è nella sua forma impura, con quel pretendere o con il ridurre il tutto a un do ut des.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 17:07 da Renzo Montagnoli


@…
di Barthes ho letto “Frammenti di un discorso amoroso”. Soltanto quello, per cui posso dare un’opinione relativa. Mi è piaciuto quasi tutto, però, se ricordo bene, poco ’sanguigno’, poco passionale nel parlar d’amore.
Ricordo bene, Simona?

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 18:29 da Gianni Parlato


-
L’amore impuro.
L’amore è impuro quando segue regole. quando si sottomette ai “doveri”. quando persegue strade conformistiche.
E’ impuro quando fa distinzione di pelle. di razze. di sesso.
E’ impuro quando qualcuno pretende d’insegnarlo.
E’ impuro l’amore delle religioni : dietro cui, infimi esseri, nascondono il loro odio verso gli altri.
E’ impuro l’amore “buono” di alcuni : che dietro le loro pietose lacrime cercano di affibbiarti un ‘laccio’.
E’ puro l’amore che parla col silenzio. che trema. che ti sente nella mente. che ha poche parole e sa poco di quel che dice. e tu non sai capirlo.
Perchè l’amore è un “sapido ignorante”, ma ha sempre un senso quel che fa.
-
-
Un caro saluto a tutti

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 18:46 da Gianni Parlato


Gianni Parlato: ”E’ impuro l’amore delle religioni : dietro cui, infimi esseri, nascondono il loro odio verso gli altri.”
-
Be’… mica sempre e’ cosi’. Ti sembra cosa facile l’amore dei cattolici? A me no: e’ una vita che cerco di diventarlo senza riuscirci.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 20:41 da Sergio Sozi


Francesca Giulia dice, a proposito dell’odio:
”altro che se li fa vivere, male ma li fa vivere,li tiene svegli la notte, popola i sogni di ombre e i giorni di fantasmi,li fa camminare in una folla di pensieri oscuri e gli fa progettare mille cattive intenzioni,per le anime condannate all’odio,è molto più forte del suo opposto e tiene compagnia a chi è molto solo.
Non è bello come l’amore,ma è altrettanto potente e misterioso.”
-
Si’, ma COME fa vivere la gente l’odio? In un inferno in terra. Non e’ vita, quella. In un attimo di amore, invece, e’ racchiuso tutto il Paradiso.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 20:46 da Sergio Sozi


@Sergio: l’inferno, il paradiso e il purgatorio sono un’invenzione esclusivamente umana e hanno come corrispondenza la sofferenza per l’espiazione di colpe, l’attesa per il paradiso e infine lo stato inebriante di felicità, senza remore e senza problemi.
L’amore, per un suo simile, non è egualmente intenso per tutta la vita e a volte è anche corrosivo, mentre l’AMORE per l’assoluto, vero solo se accompagnato dalla pietà, è quello che porta alla serena consapevolezza di ciò che è la vita.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 21:10 da Renzo Montagnoli


Renzo: a questo punto e’ solo questione di fede.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 21:45 da Sergio Sozi


scusate ma siamo così terreni che questa serena consapevolezza legata all’amore per l’assoluto può essere percepita in rari momenti,tutto il resto è una montagna russa di paradiso inferno e purgatorio altrimenti ci chiameremmo santi e madonne,altro non siamo che umani e fatti di passioni e sofferenze e gioie che ci fanno sentire la vita. L’assoluto è una certezza che possiamo solo intuire ma mai afferrare, così come l’amore possiamo lasciare che ci viva in tutte le sue sfaccettature e pervada ogni sforzo di essere migliori,ma se la perfezione appartenesse a questo mondo tutto sarebbe già detto, che noia mortale.La fede è tutto per vivere, ma non è univoca,è un credo che ci guida e non tutti nella stessa direzione.Che belle parole che dite,però.
abbracci

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 22:47 da francesca giulia


buonasera a tutti.
ma non saprei se l’amore e l’agape cristiana siano paragonabili, dico l’amore dell’uomo e l’amore dell’Uomo. il pasticcio è proprio questo, quello che ti spinge (in parte anche questo mi spinge) a trovare qualcosa che non esiste, amare e Amare, è come un ragazzino che voglia fare una ‘ragazzata’ e già si sente in colpa per il giudizio del padre, e non il proibito lo spinge, ma l’osceno, nel senso della nudità dietro il corpo. quando sei più adulto non senti la colpa ma un strazio interiore come una corda sfilacciata e rotta tra l’asfalto e l’Infinito… per questo scrivere è come mettersi i mattoncini sotto i piedi per camminare sopra un baratro che divide due occhi che si cercano. secondo me.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 22:55 da gianluca


@ Gianni..”Frammenti di un discorso amoroso ” può in effetti sembrare una sorta di “vocabolario” diviso per voci.
Eppure.
Scandaglia paure. Gelosia. Insicureza.
Penetra nel cuore del rapporto d’amore percependolo fragile. Delicato. Sempre in ricerca.
Tenta di razionalizzare ciò che in realtà è inafferrabile e segreto come l’anima. Perchè di anima – e stelle – si nutre.
Non è una guida. E’ piuttosto un atto d’amore esso stesso.
Come quegli amanti che si appartengono. E non fanno che tentare di spiegarsi le ragioni di quell’appartenenza.
Non ci sono ragioni , in realtà, se non nel fatto che alcuni destini devono incrociarsi. Se non nel fatto che individuarsi è una necessità.
Eppure nel dirselo, nello spiegarselo, sollevano per un attimo la coltre di un mistero. Lo sfiorano. Lo contemplano.
Ne ricavano l’illusione di dominarlo. Sia pure per poco.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 23:02 da Simona Lo Iacono


Ciao Rita! E ciao Mari, Luigi, Renzo…
Un abbraccio a tutti nel chiudere questa giornata con un famoso frammento di Barthes che definisce l’unione totale come “l’unico e semplice piacere, la gioia senza neo e senza mescolanza, la perfezione dei sogni, il fine ultimo di ogni speranza, la magnificenza divina…. il riposo indiviso”.
-
Ecco: il riposo indiviso. Mi è parso bellissimo.
Buona notte a tutti.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 23:17 da Simona Lo Iacono


Vorrei rispondere a Gianni Parlato a proposito di Frammenti di un discorso amoroso come testo poco “sanguigno”. Questo libro-culto per molti giovani degli anni settanta nasce al termine di un seminario che Roland Barthes ha tenuto all’Ecole des hautes études nel 1975. Sua intenzione era (riporto le parole di R.B.) “di studiare il discorso amoroso, essendo inteso che si trattava sin dal principio di soggetti amorosi connessi con quello che si chiama l’amore-passione, l’amore romantico”.
Fu quindi scelto un testo guida e analizzato il discorso amoroso in quest’opera. Il testo era il Werther di Goethe. La decisione di scrivere per “frammenti” per Barthes si era resa necessaria poiché egli stesso trovava che scrivere un trattato sul discorso amoroso avrebbe costituito una sorta di menzogna. Considerando quindi insopportabile la dissertazione su un soggetto, Barthes ha simulato un discorso. Il discorso di un soggetto amoroso. Non si tratta quindi di un libro sul discorso amoroso, ma semplicemente di una voce. Di più voci di un medesimo “io”, nel quale convergono appunti, frasi rubate, citazioni, letture culturali, frammenti.
La ragione di tutto questo, per Barthes, era piuttosto esplicita. Secondo lui l’espressione “io ti amo”, nell’essere troppe volte pronunciata, ha finito col perdere significato.
I frammenti sono quindi i tanti “episodi di linguaggio” che vorticano nella testa del soggetto innamorato. Episodi che possono interrompersi bruscamente “a causa di una determinata circostanza, di una data gelosia, un appuntamento mancato, un’attesa insopportabile”. Episodi che amerebbero convergere in quell’unione totale di cui parla Simona, la magnificenza divina e il riposo totale.
Barthes, per finire, ha perciò rispettato “la radicale discontinuità di questa tormenta di linguaggio” che infuria nella testa di un innamorato e ha preferito, per i sui Frammenti, un semplice ordine alfabetico.

Buona notte a tutti anche da parte mia.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 00:13 da alessandro savona


Gianluca,
il corpo e’, di per se’, puro e santo. A noi spetta mantenerlo tale fino alla morte. Ovviamente l’impurita’, capiamoci, qui non e’ da intendersi come l’unione del corpo con altri corpi ma l’unione del corpo con altri corpi senza l’unione dell’anima e senza la voglia finale di creare qualcosa insieme – non sempre e non per forza un figlio, ma anche un amore eterno, che e’ comunque qualcosa di santo e divino. Secondo me la procreazione di un nuovo essere umano e’ il massimo, ma questo non lo pongo come limite per gli altri ne’ come ”regola” morale. Lo e’ per me e basta e qui lo dico parlando di me stesso. Chi condivide l’amore non si sporca se non lo fa in modo strumentale e materialistico, sento, credo e penso.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 02:18 da Sergio Sozi


E fra amore puro e impuro (interessante discussione) colgo l’occasione per augurare a tutti buon Natale e sereno anno nuovo.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 08:41 da Renzo Montagnoli


Perdonate l’assenza.
Rieccomi…

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:38 da Massimo Maugeri


Vi ringrazio tutti per i nuovi commenti: Renzo, Sergio, Gianluca, Francesca Giulia, Gianni, Maria Lucia, Laura, Zaub, Maria Luisa.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:40 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento e un saluto a Maria Rita Pennisi (noto con piacere che sei riuscita a risolvere i problemi di connessione).

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:40 da Massimo Maugeri


E naturalmente grazie a Alessandro Savona (per i preziosi interventi) e a Simona per la co-moderazione.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:41 da Massimo Maugeri


Qualcuno di voi ha scritto, di fatto, che il concetto di amore – di per sé – non può includere quello di impurità.
Ne siete davvero convinti?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:44 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Savona
Parlaci un po’ dei tuoi progetti letterari futuri…
A cosa stai lavorando attualmente?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:45 da Massimo Maugeri


Per tutti voi auguro che si avveri la frase di Barthes citata da Simona… e che possiate esere protagonisti di un’unione totale considerata come “l’unico e semplice piacere, la gioia senza neo e senza mescolanza, la perfezione dei sogni, il fine ultimo di ogni speranza, la magnificenza divina… il riposo indiviso”.
È qualcosa di umanamente realizzabile o è una chimera?

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 13:47 da Massimo Maugeri


Sono io che ringrazio te, caro Massimo.
Grazie per lo spazio che hai voluto dedicare a Barthes e grazie a tutti coloro che sono intervenuti con viva partecipazione.

Sono convinto che l’unione totale non sia una chimera. L’amore infonde sacralità e completezza. In cuor mio non si tratta soltanto di parole.

I miei progetti letterari futuri?
Nel prossimo “bimbo di carta” al quale mi sto dedicando adesso c’è una ragazza che si muove in una Palermo degli anni ‘30, ci sono domande che cercano risposte, c’è la ricerca del significato dell’amore, c’è la brutalità del fascismo, ci sono considerazioni sui tanti dubbi che fanno vacillare le integrità morali e c’è un diario, ritrovato ai giorni nostri, che fiuta le tracce del suo autore misterioso.

Vorrei provare ad abbracciarvi tutti tenendo larghe le braccia, in una stretta che è un’apertura nel rispetto della libertà di ognuno di voi.
Ancora grazie

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 14:36 da alessandro savona


Grazie a te, caro Alessandro. E in bocca al lupo per il tuo prossimo “bimbo di carta”.
Ma qui il dibattito continua, eh (se volete).

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 15:46 da Massimo Maugeri


@Massi: l’amore totale esiste. Ed è quando le perdite si sovrappongono.Quando i doni combaciano. Quando si confluisce a dispetto di sfasamenti temporali, fisici, locali.
Quando si disegna una storia fatta di somiglianze e coincidenze, e ci si annusa trovando tracce dell’altro in te. O quando non c’è identità. Ma armonia.
E’ come dev’essere e come dovrebbe essere sempre.
Un’attesa che non si stanca. E non si compie.
-
Un bacio a te, ad Alessandro e a tutti.
Buone feste!

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 17:47 da Simona Lo Iacono


Grazie mille, Simo.
Che l’amore totale possa riempire le nostre vite, allora!
E che valga come augurio per tutti noi. Sempre.
Buone feste e un bacio a te, mia cara.

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 20:23 da Massimo Maugeri


Maugger,
se ti riferivi al mio intervento rivolto a Gianluca ti rispondo con un monosillabo: si’.
Ciao
Sergio

Postato martedì, 23 dicembre 2008 alle 21:24 da Sergio Sozi


Sant’Agostino, che se ne intendeva d’amore perché nella sua inesausta ricerca di verità, su se stesso e su Dio, amò tantissimo, riassunse questa ricerca con la frase “Ama, e fa’ quel che vuoi”.
Perché se c’è amore vero, se c’è scoperta reciproca, attenzione al bene dell’altro, ricerca di verità, allora c’è purezza.
Omnia munda mundis. Tutto è puro per i puri, citazione manzoniana… Non c’è nulla di puro o impuro in sé. Come disse Gesù, a chi molto ha amato molto sarà perdonato. E non è impuro ciò che entra nell’uomo ma ciò che esce dal suo cuore. Nulla può contaminarci se il nostro animo, la nostra disposizione sono buoni. Se non lo è, riusciremo a contaminare tutto ciò che toccheremo.
Tanti auguri, Alessandro… a presto!

Postato venerdì, 26 dicembre 2008 alle 19:15 da Maria Lucia Riccioli


@ Sergio
Mi ero perso il tuo commento del 23 Dicembre 2008, h. 9:24 pm.
No, non mi riferivo al tuo commento… dicevo in generale.

Postato sabato, 27 dicembre 2008 alle 15:00 da Massimo Maugeri


@ Alessandro Savona…
so bene che Barthes ha semplicemente disposto tutto in un semplice ordine alfabetico, senza pretese(lo sottolinea nella prefazione). Quindi credo di aver capito bene cosa ho letto. Ed avevo anche precisato, che la mia era un’opinone all’unico, suo libro, letto da me, quindi non una critica allo scrittore(non me lo potrei comunque permettere).
Ho detto anche che mi è piaciuto abbastanza : ha dato molte delucidazioni(specifico).
Ma sovente, ho l’impressione che eviti di andare nel “profondo”.

Un caro saluto

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 19:58 da Gianni Parlato


@ Sergio Sozi…
non riesco a capire se il tuo è un tono ironico(io apprezzo molto l’ironia).
In ogno modo, io riconosco “l’amore laico”.
Quello che non pretende di essere il “bene”; che non esclude, scinde, o mira alla ‘dinività’ del corpo e dell’anima.
Credo negli amori “ignoranti”(mi ripeto).

-
” Quel che viene fatto per amore accade sempre al di là del bene e del male”(Nietzsche).
-
Mi scuso se vi ho risposto in ritardo, anzi, ne approfitto per rifare gli Auguri a tutti.

Postato lunedì, 29 dicembre 2008 alle 20:06 da Gianni Parlato


Per Alessandro Savona.
Ma le lezioni di Barthes sono valide ancora oggi? E se sì, con quali limiti?

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 18:42 da Antonella Maggio


Gianni Parlato,
se ti riferivi a questo mio rivolto a te, dicevo sul serio: ”Be’… mica sempre e’ cosi’. Ti sembra cosa facile l’amore dei cattolici? A me no: e’ una vita che cerco di diventarlo senza riuscirci.”
Su queste cose non scherzo ne’ ironizzo, piuttosto ammetto le mie debolezze, che sono tante.
Ciao ad Auguri – anche di Buona Epifania!
Sergio

Postato lunedì, 5 gennaio 2009 alle 20:05 da Sergio Sozi


Cara Antonella,
ritengo che l’attualità di Barthes sia dimostrata dalla viva partecipazione a questo post. Ogni argomento, a mio avviso, è attuale nella misura in cui è reso tale da riflessioni speculative che suscitano curiosità e interrogativi. Tuttavia, non distanziandoci troppo dal Barthes semiologo, oggi lo si ritiene superato, perché superato sembrerebbe quel post-strutturalismo a lui caro. D’altra parte dalla sua morte sono trascorsi quasi trenta anni e molte cose sono intanto accadute. Sta a noi, quindi, “attualizzare” Barthes, laddove crediamo di ravvisare suggerimenti e stimoli al nostro vivere quotidiano.
Un cordiale saluto

Postato martedì, 6 gennaio 2009 alle 17:56 da alessandro savona


Caro Alessandro, penso che l’attualità di Barthes sia dimostrata anche dal fatto che abbia in parte ispirato questo tuo romanzo, no?

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 09:59 da Martina


Cara Martina,
il mio approccio all’opera di Barthes è stato emotivo e casuale. Risale a parecchi anni fa e subito ho riconosciuto in lui il mentore col quale avrei voluto condividere il tempo di lunghe discussioni. La sua scrittura mi ha corteggiato e conquistato. Oggi sento vivo un certo debito di riconoscenza nei confronti di R. B.. Per ciò ho provato a dargli voce attraverso questo mio piccolo romanzo.
Un caro saluto

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 11:46 da alessandrosavona@yahoo.it


Caro Alessandro Savona,
hai perfettamente ragione: lo stesso si deve fare per Virgilio, Tasso, Pindemonte o Cecco Angiolieri… cio’ che e’ valido, comunque, lo resta anche se i moderni non lo capiscono. La modernita’ e’ un fenomeno passeggero, sai.
Sozi

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 20:32 da Sergio Sozi


P.S per Savona
precisiamo: la modernita’ e’ un fenomeno passeggero all’interno della Storia antica.

Postato mercoledì, 7 gennaio 2009 alle 20:34 da Sergio Sozi


La penso come te, caro Sergio. La Storia antica è come un grande contenitore che guarda al moderno con compiacimento e forse una velata ironia. Nel moderno si nasconde l’antico potenziale, che il tempo filtra a dovere.
Un saluto cordiale

Postato giovedì, 8 gennaio 2009 alle 11:09 da alessandro savona


[...] Michail Solochov, emblema della politica culturale socialista. ************ Su Letteratitudine un dibattito su Roland Barthes nessun [...]

Postato venerdì, 9 gennaio 2009 alle 13:00 da Kataweb.it - Blog - TERZAPAGINA, articoli selezionati dalle pagine culturali dei quotidiani » Blog Archive » Pasternak soffiò il Nobel a Moravia grazie alla Cia



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