max-maugeri-twitter-fb

CLICCA ogni giorno su... letteratitudinenews ... per gli aggiornamenti

Più di 50.000 persone seguono

letteratitudine-fb (Seguici anche tu!)

Avvertenza

La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela. Si invitano i frequentatori del blog a prendere visione della "nota legale" indicata nella colonna di destra del sito, sotto "Categorie", alla voce "Nota legale, responsabilità, netiquette".

dibattito-sul-romanzo-storico

Immagine 30 Storia

letteratura-e-fumetti

 

dicembre: 2021
L M M G V S D
« nov    
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  
letteratitudine-fb
letteratitudine-su-rai-letteratura

Archivio della Categoria 'OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI'

lunedì, 20 aprile 2015

OMAGGIO A GÜNTER GRASS

Il 13 aprile 2015, a Lubecca, è morto Günter Grass scrittore tedesco insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1999 (motivazione: “le cui licenziose fiabe ritraggono la faccia dimenticata della storia”).

Il tamburo di lattaNoto soprattutto per il romanzo d’esordio “Il tamburo di latta” (1959), nonché primo scritto della Trilogia di Danzica (che comprende anche “Gatto e topo” del 1961 e “Anni di cani” 1963), Günter Grass è senz’altro uno dei massimi scrittori tedeschi della seconda metà del Novecento.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Günter Grass con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo grande autore di calibro internazionale a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Günter Grass?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Grass che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Grass di cui avete memoria (o in cui, magari, vi siete imbattuti in questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è l’eredità che Günter Grass ha lasciato nella letteratura mondiale?

Qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Günter Grass (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.

Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   63 commenti »

lunedì, 5 gennaio 2015

OMAGGIO A PINO DANIELE

OMAGGIO A PINO DANIELE (Napoli, 19 marzo 1955 – Roma, 4 gennaio 2015)

Quando ci lascia un artista, scompare un po’ di luce che la sua arte aveva contribuito a generare. E tuttavia rimangono vive le sue opere, stelle accese sul firmamento della bellezza.

Dedichiamo questo spazio alla memoria di Pino Daniele, invitando i frequentatori del blog a lasciare un commento volto a commemorare l’artista scomparso.
Di seguito, due video che abbiamo selezionalo da YouTube.
Tra i commenti del post, la rassegna stampa dedicata alla morte di Pino Daniele.

* * *

* * *

Il sito ufficiale di Pino Daniele. (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   52 commenti »

lunedì, 14 luglio 2014

OMAGGIO A NADINE GORDIMER

È MORTA NADINE GORDIMER.

Il 13 luglio 2014, a Johannesburg, all’età di 90 anni (a causa di un tumore al pancreas), è morta la scrittrice sudafricana vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991.

La ricordiamo proponendo questo video con traduzione in italiano (invitando i frequentatori del blog a intervenire per commemorarla)

Nadine Gordimer è nata a Johannesburg, il 20 novembre 1923. È stata una scrittrice sudafricana di grande successo. Ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti, tra cui: il Booker Prize nel 1974 e il Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Nel gennaio 2007 le è stato assegnato il Premio Grinzane Cavour.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Nadine Gordimer con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa grande scrittrice di calibro internazionale a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere, tra cui (ne cito qualcuna): Un ospite d’onore (1970), Il Conservatore (1974), Qualcosa là fuori (1984).

La Gordimer con il suo impegno e le sue opere ha avuto un ruolo importante nella lotta contro l’apartheid.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…
(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   76 commenti »

mercoledì, 11 giugno 2014

IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ANNA MARIA ORTESE

anna-maria-orteseIl 13 giugno 1914 nasceva, a Roma, Anna Maria Ortese (morì, a Rapallo, il 9 marzo 1998).
A cento anni dalla nascita, nella tradizione di Letteratitudine, vorrei ricordarla con il vostro aiuto.

Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Anna Maria Ortese con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa nostra grande  scrittrice a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere, tra cui vanno citate senz’altro (giusto per ricordarne qualcuna): Il mare non bagna Napoli (1953, premio Viareggio), L’iguana (1965), Poveri e semplici (1967, Premio Strega), Il porto di Toledo (1975), Il cardillo addolorato (1993) e Alonso e i visionari (1996)…

Su LetteratitudineNews ospiterò alcuni contributi “speciali” (che saranno online già da domani mattina), ma chiedo a tutti di partecipare all’iniziativa lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Anna Maria Ortese e la sua produzione letteraria.

Pongo, di seguito, alcune domande volte a favorire la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Anna Maria Ortese?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. E l’opera della Ortese che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra i suoi racconti, qual è quello che preferite?

5. Tra le varie “citazione” della Ortese di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

6. A cento anni dalla nascita, qual è l’eredità che Anna Maria Ortese ha lasciato nella letteratura italiana?

Come ho precisato sopra, qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Anna Maria Ortese (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.
Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

Vi ringrazio anticipatamente per la partecipazione.

Di seguito, vi propongo alcuni video relativi a un servizio della RAI dedicato alla Ortese.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, POST DEL MESE   103 commenti »

domenica, 27 aprile 2014

LETTERA AGLI ARTISTI, di Giovanni Paolo II

In occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, avvenuta oggi 27 aprile 2014, pubblichiamo la “lettera agli artisti” scritta e pubblicata dallo stesso Karol Wojtyla (San Giovanni Paolo II) il 4 aprile 1999. Ricordiamo che Papa Wojtyla era molto vicino al mondo della letteratura (essendo anch’egli un poeta)

LETTERA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II AGLI ARTISTI

1999

A quanti con appassionata dedizione

cercano nuove « epifanie » della bellezza

per farne dono al mondo

nella creazione artistica.

« Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona » (Gn 1,31).

L’artista, immagine di Dio Creatore

1. Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l’opera del vostro estro, avvertendovi quasi l’eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi.

Per questo mi è sembrato non ci fossero parole più appropriate di quelle della Genesi per iniziare questa mia Lettera a voi, ai quali mi sento legato da esperienze che risalgono molto indietro nel tempo ed hanno segnato indelebilmente la mia vita. Con questo scritto intendo mettermi sulla strada di quel fecondo colloquio della Chiesa con gli artisti che in duemila anni di storia non si è mai interrotto, e si prospetta ancora ricco di futuro alle soglie del terzo millennio.

In realtà, si tratta di un dialogo non dettato solamente da circostanze storiche o da motivi funzionali, ma radicato nell’essenza stessa sia dell’esperienza religiosa che della creazione artistica. La pagina iniziale della Bibbia ci presenta Dio quasi come il modello esemplare di ogni persona che produce un’opera: nell’uomo artefice si rispecchia la sua immagine di Creatore. Questa relazione è evocata con particolare evidenza nella lingua polacca, grazie alla vicinanza lessicale fra le parole stwórca (creatore) e twórca (artefice).

Qual è la differenza tra « creatore » ed « artefice? » Chi crea dona l’essere stesso, trae qualcosa dal nulla — ex nihilo sui et subiecti, si usa dire in latino — e questo, in senso stretto, è modo di procedere proprio soltanto dell’Onnipotente. L’artefice, invece, utilizza qualcosa di già esistente, a cui dà forma e significato. Questo modo di agire è peculiare dell’uomo in quanto immagine di Dio. Dopo aver detto, infatti, che Dio creò l’uomo e la donna « a sua immagine » (cfr Gn 1,27), la Bibbia aggiunge che affidò loro il compito di dominare la terra (cfr Gn 1,28). Fu l’ultimo giorno della creazione (cfr Gn 1,28-31). Nei giorni precedenti, quasi scandendo il ritmo dell’evoluzione cosmica, Jahvé aveva creato l’universo. Al termine creò l’uomo, il frutto più nobile del suo progetto, al quale sottomise il mondo visibile, come immenso campo in cui esprimere la sua capacità inventiva.

Dio ha, dunque, chiamato all’esistenza l’uomo trasmettendogli il compito di essere artefice. Nella « creazione artistica » l’uomo si rivela più che mai « immagine di Dio », e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda « materia » della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull’universo che lo circonda. L’Artista divino, con amorevole condiscendenza, trasmette una scintilla della sua trascendente sapienza all’artista umano, chiamandolo a condividere la sua potenza creatrice. E ovviamente una partecipazione, che lascia intatta l’infinita distanza tra il Creatore e la creatura, come sottolineava il Cardinale Nicolò Cusano: « L’arte creativa, che l’anima ha la fortuna di ospitare, non s’identifica con quell’arte per essenza che è Dio, ma di essa è soltanto una comunicazione ed una partecipazione ».(1)

Per questo l’artista, quanto più consapevole del suo « dono », tanto più è spinto a guardare a se stesso e all’intero creato con occhi capaci di contemplare e ringraziare, elevando a Dio il suo inno di lode. Solo così egli può comprendere a fondo se stesso, la propria vocazione e la propria missione.

La speciale vocazione dell’artista

(continua…)

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   Commenti disabilitati

venerdì, 18 aprile 2014

OMAGGIO A GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ

Ieri, 17 aprile 2014, è scomparso lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Gabriel García Márquez (era nato a Aracataca, 6 marzo 1927). Sapevamo che le sue condizioni di salute erano precarie: il 3 aprile scorso era stato ricoverato in un ospedale di Città del Messico a causa dell’aggravarsi di una polmonite.
Il patrimonio letterario e culturale che ci lascia García Márquez è immenso, a prescindere dal conferimento del Premio Nobel per la Letteratura (avvenuto nel 1982).
Il suo romanzo più celebre, “Cent’anni di solitudine“, è stato votato, durante il IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola, tenutosi a Cartagena nel marzo del 2007, come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solo da Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.
Vorrei ricordarle Gabriel García Márquez in questo post, con il vostro preziosissimo contributo.
Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di “Gabo”, anche con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare García Márquez e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporto avete con le opere di Gabriel García Márquez?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. Qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di García Márquez di cui avete memoria (o che magari avrete modo di leggere per questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Qual è l’eredità che García Márquez ha lasciato nella letteratura mondiale?

Di seguito, per celebrarlo, il video con una breve intervista (rilasciata qualche anno fa a Gianni Minoli).
Grazie in anticipo per la vostra partecipazione.

Massimo Maugeri


(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, POST DEL MESE   101 commenti »

mercoledì, 16 ottobre 2013

CI LASCIA LUIGI BERNARDI

Ho appreso la notizia da questo comunicato della casa editrice Perdisa. Lo ricopio di seguito…

* * *

Ozzano Emilia, 16 ottobre 2013

Questa mattina lo scrittore, drammaturgo e fondatore della casa editrice Perdisa PopLuigi Bernardi, è scomparso.

Riportiamo qui di seguito la dichiarazione dell’editore in ricordo dell’amico Luigi.

Alberto Perdisa, con tutto lo staff della casa editrice, ricorda Luigi Bernardi, fondatore di Perdisa Pop, di cui ha diretto le collane per lungo tempo.
La scomparsa del grande scrittore e intellettuale, sempre avanti di un passo nell’intuire nuove tendenze e forme letterarie, costituisce una grave perdita per tutta la cultura nazionale.
L’augurio è che, finalmente, la sua grandezza venga riconosciuta da tutti.
Ciao Luigi.

* * *

La notizia mi ha scosso tanto. Sono molto addolorato. Mi sentivo legato a Luigi Bernardi. Devo a lui la pubblicazione della mia raccolta di racconti “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa Pop).

Tra qualche giorno, con la collaborazione degli amici di Luigi, mi piacerebbe organizzare qualcosa per ricordarlo… anche qui, su questo blog.
Per il momento (con lo spazio commenti chiuso) mi limito a proporre la puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” del 4 febbraio 2010, in cui ebbi il piacere e l’onore di ospitare Luigi per discutere sulla sua raccolta di racconti “Niente da capire” (Perdisa Pop, 2011). In quell’occasione discutemmo sulla differenza tra “giallo” e “noir”… e sulle “direzioni” prese dalla letteratura italiana di oggi…

PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE

Ciao, Luigi!

Massimo Maugeri

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   Un commento »

lunedì, 9 settembre 2013

OMAGGIO A ALBERTO BEVILACQUA

Oggi, 9 settembre 2013, a Roma, è morto Alberto Bevilacqua. Artista poliedrico (scrittore, regista, sceneggiatore, poeta e giornalista), era nato a Parma, 27 giugno 1934.

Nei primi anni cinquanta aveva iniziato a pubblicare i suoi scritti su invito di Mario Colombi Guidotti, responsabile del supplemento letterario della Gazzetta di Parma. La sua prima raccolta di racconti, “La polvere sull’erba“, (1955), ebbe l’apprezzamento di Leonardo Sciascia.
Nel 1961 pubblicò la raccolta di poesie “L’amicizia perduta“.
Il successo internazionale arrivò con “La Califfa” (1964). La Califfa è una bellissima ragazza di origine popolare che diventa l’amante di Annibale Doberdò: l’industriale più potente della città, una sorta di Mastro-don Gesualdo, autorevole e spregiudicato… La protagonista di questo romanzo, Irene Corsini, inaugura la galleria dei grandi personaggi femminili di Bevilacqua.

Nel 1966 Bevilacqua vinse il Premio Campiello con il romanzo “Questa specie d’amore” (di questo romanzo ne curò la trasposizione cinematografica, vincendo il David di Donatello per il miglior film).

Con “L’occhio del gatto” (1968) vinse il Premio Strega. Si aggiudicò inoltre, per ben due volte, il Premio Bancarella: nel 1972 con “Il viaggio misterioso” e nel 1991 con “I sensi incantati“.

Hanno goduto di un buon successo anche gli ultimi libri pubblicati. Ricordiamo, tra gli altri: Anima amante (1996), Gialloparma (1997), Sorrisi dal mistero (1998), La polvere sull’erba (Einaudi 2000), Roma Califfa (2012 – segue video tratto da “Che tempo che fa”).

Nel 2010 la Mondadori gli ha dedicato un volume nella collana “I Meridiani”.

Nella tradizione di Letteratitudine, dedico questo “spazio” alla memoria di Alberto Bevilacqua. Come accaduto con altri artisti della scrittura che ci hanno lasciato, questo piccolo “tributo” vuole essere appunto un omaggio, ma anche un’occasione per far conoscere questo autore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

Come sempre chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Alberto Bevilacqua e la sua produzione letteraria.

Per favorire la discussione, vi propongo le seguenti domande…

1. Che rapporti avete con le opere di Alberto Bevilacqua?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Bevilacqua che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Qual è la principale “eredità letteraria” che Bevilacqua ci lascia?

Ringrazio tutti, in anticipo, per i contributi che riuscirete a far pervenire…

Massimo Maugeri (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   71 commenti »

lunedì, 24 giugno 2013

DIECI ANNI DALLA MORTE DI GIUSEPPE PONTIGGIA

Dieci anni fa, per l’esattezza il 27 giugno 2003, moriva a Milano (colpito da collasso circolatorio mentre era ancora in piena attività) lo scrittore e critico letterario italiano Giuseppe Pontiggia.
Era nato a Como, il 25 settembre 1934.
L’attività letteraria di Pontiggia è stata molto intensa (già a partire dalla sua collaborazione con la rivista d’avanguardia “Il Verri” diretta da Luciano Anceschi) nonostante il “vincolo” dei primi anni dovuto all’impegno assorbente del lavoro in banca. Da tale attività lavorativa (e dalla frustrazione che ne derivò), Pontiggia prese lo spunto per la scrittura del suo primo romanzo autobiografico “La morte in banca” (1959). Nel 1961 decise di lasciare l’impiego in banca e si dedicò all’insegnamento serale e alla letteratura (a partire da quell’anno curerà per la Mondadori l’Almanacco dello Specchio).

Nonostante la prematura scomparsa, la produzione letteraria di Pontiggia è molto ricca. Ricordiamo le seguenti opere di narrativa (oltre al già citato romanzo “La morte in banca”): “L’arte della fuga“, (Adelphi, 1968 – di recente riedito da Mondadori); “Il giocatore invisibile” (1978); “Il raggio d’ombra” (1983); “La grande sera” (1989 – Premio Strega); “Vite di uomini non illustri” (1994 – Premio SuperFlaiano); “Nati due volte” (2000 – Premio Campiello e Premio Società dei Lettori Lucca-Roma); “Prima persona” (Mondadori); “Il residence delle ombre cinesi” (2003, postumo). Ricordiamo altresì che le “Opere” di Pontiggia sono pubblicate nei «Meridiani» Mondadori, a cura e con introduzione di Daniela Marcheschi.
Tra i vari riconoscimenti tributati a Pontiggia, non bisogna dimenticare il conferimento del Premio Chiara alla carriera nel 1997.

A dieci anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Peppo Pontiggia, anche con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Pontiggia e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.

1. Che rapporto avete con le opere di Giuseppe Pontiggia?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. Qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Pontiggia di cui avete memoria (o che magari avrete modo di leggere per questa occasione)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A dieci dalla morte, qual è l’eredità che Pontiggia ha lasciato nella letteratura italiana?

Grazie in anticipo per la vostra partecipazione.

Contestualmente, a partire da domani (e per qualche giorno), LetteratitudineNews accoglierà contributi dedicati a Pontiggia.

Massimo Maugeri (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   88 commenti »

giovedì, 21 febbraio 2013

CINQUANT’ANNI DALLA MORTE DI BEPPE FENOGLIO

Cinquant’anni fa – per l’esattezza il 18 febbraio 1963 – , a Torino, moriva lo scrittore italiano Beppe Fenoglio.
Era nato ad Alba il 1° marzo 1922. Nel corso della seconda guerra mondiale, combatté come partigiano. Quell’esperienza segnò in maniera determinante la sua scrittura e la sua produzione artistica. La sua opera più nota “Il Partigiano Johnny” (romanzo pubblicato postumo, nel 1968), ne è un valido esempio.
A cinquant’anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Beppe Fenoglio con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Beppe Fenoglio e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?

2. Qual è quella che avete amato di più?

3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?

Propongo, di seguito, l’articolo di Gianni Riotta pubblicato su La Stampa del 17 febbraio 2013.

Massimo Maugeri

* * *

ITANGLISH: COSÌ PARLÒ IL PARTIGIANO (da La Stampa)

di Gianni Riotta

Insegnando cultura italiana all’estero si ha talvolta l’impressione che per tanti studenti la nostra sia una lingua morta, classica, ma spenta come il greco di Omero e il latino di Orazio. Che l’italiano sia invece vivo, in trasformazione continua e mai, come in questo XXI secolo, letto, parlato, studiato e innovato, si dimentica, schiacciati dalla grandezza di Dante, Machiavelli, Manzoni. A volte ho ricordato la citazione del De Mauro, meno del 2% dei cittadini parlava italiano al momento dell’Unità, 150 anni or sono, e una letteratura viva, scritta nella lingua della gente, nasce solo nel Novecento. E per interessare i ragazzi a Princeton ho citato Pavese, che scrive in inglese le sue ultime poesie, tenere e struggenti, Vittorini, a cui Hemingway dedica di pugno una prefazione all’edizione Usa di Conversazione in Sicilia, ma soprattutto Beppe Fenoglio. (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   100 commenti »

mercoledì, 16 gennaio 2013

OMAGGIO A VINCENZO CONSOLO

Il 21 gennaio 2012 è venuto a mancare Vincenzo Consolo. A un anno dalla morte, rimetto in primo piano il post dedicato alla memoria di questo nostro scrittore invitandovi a ricordarlo (con messaggi, commenti, citazioni e quant’altro riteniate opportuno).
Come sempre, grazie per la collaborazione.

Massimo Maugeri

* * *

POST del 22 gennaio 2012
Il Novecento letterario italiano sembra ancora più distante dopo la scomparsa di Vincenzo Consolo, avvenuta ieri 21 gennaio 2012, nella sua casa di Milano, dopo una lunga malattia. (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   251 commenti »

mercoledì, 9 gennaio 2013

OMAGGIO A CARLO FRUTTERO

Il 15 gennaio 2012 è venuto a mancare Carlo Fruttero. A un anno dalla morte, rimetto in primo piano il post dedicato alla memoria di questo nostro scrittore invitandovi a ricordarlo (con messaggi, commenti, citazioni e quant’altro riteniate opportuno).
Come sempre, grazie per la collaborazione.

Massimo Maugeri

* * *

Post del 15 gennaio 2012 (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   153 commenti »

giovedì, 7 giugno 2012

RICORDANDO RAY BRADBURY

Il 5 giugno 2012, a Los Angeles, all’età di 91 anni, si è spento lo scrittore statunitense Ray Bradbury.
Della scomparsa dell’autore del celeberrimo romanzo Fahrenheit 451 (da cui François Truffaut trasse un omonimo film di successo) se ne sta discutendo un po’ in tutto il mondo.
Vorrei ricordare Bradbury anche qui a Letteratitudine, nel consueto spazio dedicato ai memoriali e alle celebrazioni. E nel farlo, come sempre, chiedo la vostra collaborazione.

Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, un brano estrapolato da un romanzo, informazioni biografiche… e quant’altro possa servire a ricordare Ray Bradbury e la sua produzione narrativa.

Per facilitare la discussione, pongo alcune domande (pregandovi di fornire le vostre risposte):

1. Che rapporti avete con le opere di Ray Bradbury?

2. Avete mai letto Fahrenheit 451? Se sì, che impressioni ha suscitato in voi la lettura di questo romanzo?

3. Oltre a Fahrenheit 451 (che di certo è l’opera più rappresentativa di questo autore) qual è il romanzo di Bradbury che avete amato di più e di cui consigliereste la lettura?

4. Tra le varie “citazione” di (o su) Bradbury di cui avete memoria (o che avete avuto, o avrete, modo di leggere)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

5. Cosa pensate della conclamata avversione di Bradbury per il libro elettronico?

6. Qual è l’eredità che Bradbury ha lasciato nella letteratura mondiale?

Di seguito, un video in cui Ray Bradbury si racconta (è in lingua inglese) e la sua biografia secondo Wikipedia Italia.
Ringrazio in anticipo tutti gli amici di Letteratitudine per la collaborazione.

Massimo Maugeri


(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   161 commenti »

giovedì, 23 febbraio 2012

OMAGGIO A ENZO SELLERIO

Il 22 febbraio 2012, all’età di 88 anni, è morto Enzo Sellerio.
Dedico anche a lui una pagina di Letteratitudine. Ancora una volta, l’obiettivo è quello di “offrire un omaggio”. Come sempre, chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Enzo Sellerio.
Ecco, di seguito, la pagina di Wikipedia Italia a lui dedicata… e un video sulla sua attività fotografica tratto da YouTube.
Massimo Maugeri

Enzo Sellerio (Palermo, 25 febbraio 1924 – Palermo, 22 febbraio 2012) è stato un editore e fotografo italiano.
Figlio di Antonio, ordinario di fisica tecnica, e di Olga Andes, dopo essersi laureato in giurisprudenza nel 1944, diviene assistente di Istituzioni di Diritto Pubblico alla Facoltà di Economia e Commercio di Palermo nel 1947. Nel frattempo scopre la fotografia e dopo una breve esperienza giornalistica e spronato dal suo amico Bruno Caruso partecipa, nel 1952, ad un concorso fotografico regionale dove vince il primo premio, 50.000 lire; nello stesso anno le sue fotografie vengono pubblicate sulla rivista Sicilia, un periodico quadrimestrale di livello europeo.
Nel 1955 il primo reportage, “Borgo di Dio”, è considerato oggi uno dei capolavori della fotografia neorealista in Italia. Negli anni a seguire una serie di personali lo portano ben presto ai vertici della fotografia nazionale ed internazionale.
Nel 1969, spinto da un’idea chiacchierando con Leonardo Sciascia e Antonio Buttitta, fonda, assieme alla moglie Elvira Giorgianni la “Sellerio Editore“, casa editrice che annovera tra le sue pubblicazioni i più grandi scrittori contemporanei.

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   79 commenti »

lunedì, 6 febbraio 2012

IL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI CHARLES DICKENS

Duecento anni fa, esattamente il 7 febbraio del 1812, nasceva a Portsmouth (in Inghilterra), Charles John Huffam Dickens, meglio noto come Charles Dickens: uno dei romanzieri più noti e letti della storia della letteratura mondiale.
Non solo scrittore, ma anche giornalista e reporter di viaggio, Dickens ha dato alle stampe opere celeberrime: da Il Circolo Pickwick a Oliver Twist, da David Copperfield a Tempi difficili.

Vorrei che, nello stile di Letteratitudine, costruissimo insieme una pagina dedicata a questo grande romanziere britannico (morto a Gadshill, il 9 giugno 1870) considerato come uno dei padri (o addirittura il fondatore) del cosiddetto “romanzo sociale”.

Ancora una volta, dunque, vi invito a intervenire per “comporre” insieme un “tributo letterario”, con la speranza che questo post possa trasformarsi in occasione per meglio conoscere Charles Dickens e le sue opere (magari con l’auspicio di rileggerle o leggerle per la prima volta).
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, un brano estrapolato da un romanzo, informazioni biografiche… e quant’altro possa servire a ricordare Dickens e la sua produzione narrativa.

Per facilitare la discussione, pongo alcune domande (pregandovi di fornire le vostre risposte):

1. Che rapporti avete con le opere di Charles Dickens?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Dickens che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Ritenete che le opere di Dickens siano ancora attuali?
5. Tra le varie “citazione” di (o su) Dickens di cui avete memoria (o che avete avuto, o avrete modo di leggere)… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
6. A duecento anni dalla nascita, qual è l’eredità che Dickens ha lasciato nella letteratura mondiale?

Come sempre, vi ringrazio in anticipo per la vostra partecipazione.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   211 commenti »

giovedì, 2 febbraio 2012

RICORDANDO WISŁAWA SZYMBORSKA

Periodo di grandi commiati, questo, per il mondo letterario.
Ieri, 1° febbraio 2012, si è spenta a Cracovia la poetessa e filologa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996. Era nata a Kórnik, il 2 luglio del 1923.
Le sue poesie sono tradotte e lette in tutto il mondo. Tra le sue opere, ricordiamo “Appello allo Yeti”, “Sale”, “Gente sul Ponte”, “Uno spasso”, “Due punti”.

Apro una “pagina bianca” in onore di questa grande poetessa. Come accaduto con altri artisti della scrittura che ci hanno lasciato, questo piccolo “tributo” vuole essere appunto un omaggio, ma anche un’occasione per far conoscere Wisława Szymborska a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, un verso, una sua poesia, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare la Szymborska e la sua produzione poetica.

Di seguito, un articolo pubblicato su La Stampa e alcuni video che ho selezionato appositamente per questo post.

Ringrazio in anticipo tutti coloro che, con il loro contributo, riempiranno questo spazio di contenuti.
Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   145 commenti »

sabato, 2 luglio 2011

CINQUANT’ANNI DALLA MORTE DI HEMINGWAY E DI CÉLINE

Cinquant’anni fa, il 2 luglio 1961, moriva lo scrittore statunitense Ernest Hemingway. Poche ore prima era deceduto lo scrittore e medico francese Louis-Ferdinand Céline

hemingway-celine

Vorrei ricordare questi due colossi della letteratura mondiale nell’apposito spazio letteratitudiniano dedicato alla memoria, agli anniversari e alle ricorrenze. Chiedo, come sempre, il vostro contributo per riempire questa pagina on line. Per incentivare la discussione, come sempre, vi rivolgerò alcune domande in tema (subito dopo queste due brevi schede sugli autori citati, “estrapolate” – per par condicio – da wikipedia)… invitandovi a fornire le vostre risposte.

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961) è stato uno scrittore statunitense. Fu romanziere, autore di racconti brevi e giornalista.
Soprannominato Papa, fece parte della comunità di espatriati a Parigi durante gli anni venti, conosciuta come “la Generazione perduta”, e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie “Festa mobile”. Condusse una vita sociale turbolenta, si sposò quattro volte e gli furono attribuite varie relazioni sentimentali. Raggiunse già in vita una non comune popolarità e fama, che lo elevarono a mito delle nuove generazioni. Hemingway ricevette il Premio Pulitzer nel 1953 per “Il vecchio e il mare”, e vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1954.
Lo stile letterario di Hemingway, caratterizzato dall’essenzialità e asciuttezza del linguaggio e dall’understatement, ebbe una significativa influenza sullo sviluppo del Romanzo nel XX secolo. I suoi protagonisti sono tipicamente uomini dall’indole stoica, i quali vengono chiamati a mostrare “grazia” in situazioni di disagio. Molte delle sue opere sono considerate pietre miliari della letteratura americana.

1. Che rapporti avete con le opere di Ernest Hemingway?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Hemingway che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Preferite l’Hemingway romanziere o l’Hemingway autore di racconti?
5. Tra le varie “citazione” di (o su) Hemingway di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
6. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Hemingway ha lasciato nella letteratura mondiale?

* * *

Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis-Ferdinand Auguste Destouches (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1 luglio 1961), è stato uno scrittore e medico francese. Lo pseudonimo, con cui firmò tutte le sue opere, era il nome della nonna materna.
Céline è considerato uno dei più influenti scrittori del XX secolo, celebrato per aver dato vita a un nuovo stile letterario che modernizzò la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa, “Viaggio al termine della notte” (Voyage au bout de la nuit, 1932), è un’esplorazione cupa e nichilista della natura umana e delle sue miserie quotidiane, dove la misantropia dello scrittore è costantemente ravvivata da un acuto cinismo. Lo stile del romanzo – con il continuo mischiarsi di linguaggio popolare ed erudito e il frequente uso di iperboli ed ellissi – impose Céline come un innovatore nel panorama letterario francese.
Per le sue prese di posizione e affermazioni durante la Seconda guerra mondiale, esposte in alcuni pamphlet successivamente accusati di antisemitismo, Céline rimane oggi una figura controversa e discussa.

1. Che rapporti avete con le opere di Céline?
2. Qual è quella che avete apprezzato di più?
3. E l’opera di Céline che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di (o su) Céline di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Céline ha lasciato nella letteratura mondiale?

Di seguito un articolo pubblicato su Tuttolibri (de “La Stampa”) di sabato 25 giugno in cui si ricordano entrambe le ricorrenze.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   162 commenti »

lunedì, 14 marzo 2011

L’UNITA’ D’ITALIA E LE DONNE NEL RISORGIMENTO ITALIANO: la Mariannina Coffa di Maria Lucia Riccioli

Come tutti voi sapete, il 17 marzo 2011 si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Vorrei dedicare la pagina che state leggendo (e che spero possiate contribuire a riempire) a questa ricorrenza così importante.

maria lucia riccioliSe penso a questa nostra terra mi sovviene la figura della madre, dunque della donna. Ecco perché vi propongo di partecipare ai festeggiamenti concentrandoci soprattutto sulle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano e – più o meno indirettamente – con la loro vita e il loro operato hanno contribuito alla nascita di questo nostro Paese.
In particolare ci occuperemo di una figura meno nota di altre a livello nazionale e anche per questo maggiormente meritevole di essere messa in risalto: quella della poetessa siciliana Mariannina Coffa (1841 -1878). L’occasione ce la offre la recente uscita del romanzo d’esordio di Maria Lucia Riccioli (nella foto accanto), intitolato “Ferita all’ala un’allodola” (Perrone Lab, 2011) di cui approfondiremo la conoscenza nel corso della discussione.

A voi, amici di questo blog, rivolgo l’invito di scrivere qualcosa (un pensiero, una citazione, o quant’altro) per contribuire alla celebrazione della ricorrenza…

Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell'unità d'ItaliaSulla festa del 150°, inoltre, mi piace segnalare questo bell’articolo di Alessandro Mari pubblicato su Tuttolibri del 12 marzo, intitolato: Italia forever giovane e forte.

E a proposito delle donne del Risorgimento italiano, ci tengo pure a segnalare questo libro di Bruna Bertolo: “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” (Ananke, 2011).

Di seguito, il booktrailer del romanzo “Ferita all’ala un’allodola” di Maria Lucia Riccioli e gli approfondimenti firmati da Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.

In chiusura, l’inno di Mameli offertoci da Roberto Benigni nel corso di una serata del Festival di Sanremo di quest’anno.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   389 commenti »

martedì, 18 gennaio 2011

150 ANNI DALLA NASCITA DI FEDERICO DE ROBERTO

Centocinquanta fa, il 16 gennaio del 1861, nasceva Federico De Roberto. Lo ricordo qui, nell’ambito di questa rubrica letteratitudiniana dedicata a “ricorrenze, anniversari e celebrazioni“.
Quando si parla di De Roberto, il pensiero va subito alla sua opera principale “I Vicerè“.
Ecco… mi piacerebbe che, in questa pagina, con il vostro contributo, venisse ricordato sia l’autore, sia l’opera…

Seguono le solite domande, volte ad avviare la discussione…

1. Che rapporti avete con le opere di Federico De Roberto?

2. Avete mai letto “I Vicerè”? Pensate che leggerete, o ri-leggerete, questo libro?
(quest’ultima, più che una domanda, è un invito)

3. Ritenete che “I Vicerè” contenga ancora elementi di attualità? Se sì, quali?

4. Se doveste selezionare una citazione tratta da “I Vicerè”, o da un’altra opera di De Roberto, quale scegliereste? E perché?

5. Qual è l’eredità che De Roberto ha lasciato nella letteratura italiana?

Siete tutti invitati a intervenire sia per rispondere alle domande, ma anche semplicemente per riportare citazioni, note biografiche, considerazioni, recensioni e… quant’altro possa contribuire a ricordare la figura di questo grande autore della letteratura italiana vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Di seguito, un’articolo di Sarah Zappulla Muscarà pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “La Sicilia” del 14 gennaio 2011 (ma non è escluso che il post possa essere aggiornato con ulteriori contributi).

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   147 commenti »

martedì, 21 settembre 2010

LA CAMERA ACCANTO 18° appuntamento (Elvira Sellerio, Luciano Erba e Michele Perriera)

Il titolo di questo post non si riferisce a un romanzo erotico o a un film spinto. La camera accanto è la stanza, per l’appunto, posta di fianco a quella ufficiale (letteratitudine). Se letteratitudine è una sorta di caffè letterario virtuale, la camera accanto è un luogo dove si possono affrontare argomenti di diverso genere. Si può parlare di letteratura – certo -, di libri; ma anche di cinema, sport, televisione, politica, gossip, ecc. Insomma, si può parlare di tutto ciò che volete. Ciascuno di voi può sentirsi libero di avviare un dibattito o, più semplicemente, scambiare quattro chiacchiere. Anche qui, però, vige la nota avvertenza (colonna di sinistra del blog); per cui vi chiedo di rispettare persone e opinioni. Vi chiedo, inoltre, la cortesia di evitare litigi e toni eccessivamente scurrili. Aggiungo che la camera accanto è anche un luogo “integrato” con altri spazi di Letteratitudine, ovvero… il programma radiofonico Letteratitudine in Fm e la pagina Libri segnalati speciali. Di conseguenza potete lasciare qui i commenti riferiti ai suddetti spazi. (Massimo Maugeri)

———————–

AGGIORNAMENTO DEL 1° novembre 2010
Questo appuntamento de “La camera accanto” si è trasformato in un post/tributo dedicato alla memoria di Elvira Sellerio, Luciano Erba e Michele Perriera. Qualche giorno fa mi ha scritto l’autrice della foto di Elvira Sellerio che trovate qui sotto. Si tratta di Donatella Polizzi.
La foto si trova all’interno di un volume pubblicato dall’editore Bonanno e intitolato “Sicilia singolare femminile“.
Ho chiesto a Donatella Polizzi di scrivermi due parole su questo volume. Eccole…
“E’ un libro di fotografie in bianco e nero di donne, realizzate tutte in Sicilia che rappresentano la donna con un’iconografia diversa a quella dell’immaginario fatta di nero e sguardi bassi. Il libro si articola in varie sezioni tutte accompagnate da brevi testi di Giovanna Bongiorno. Questo e’ il mio testo sul risvolto di copertina che spiega un po’ il senso del libro: “Sono scorsi, i miei occhi, su troppe immagini cariche del nero di scialli e fazzoletti a incorniciare sguardi sfuggenti, occhi che si muovono veloci in cerca di una via di fuga. Ho ascoltato, parole insensate che parlano di gelosia e fedelta’, di intensita’ di sentimenti e di mancate risposte, di violenza, sangue e passivita’. E allora e’ sorto in me il desiderio di mostrare delle immagini che parlino dell’armonia e della storia, della sensualita’ e dell’energia, della gioia di vivere e del legame con la propria terra. Cosi’ questo libro che si e’ potuto realizzare grazie alla complicita’ di tutte coloro che mi hanno aperto la loro casa, vuole solo essere una voce in prima persona, un invito a un viaggio fra le donne di Sicilia che quando tacciono e’ perche’ lo vogliono”.

————

(Post del 21 settembre 2010)

ADDIO A ELVIRA SELLERIO

Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice con il marito Enzo dell’omonima casa editrice, è morta oggi – 3 agosto – a Palermo. Vorrei ricordarla qui, invitandovi a fare altrettanto. Forse, uno dei modi per ricordarla meglio è ringraziarla per il contributo che ha dato (con la sua casa editrice) al popolo dei lettori. Vi invito dunque (se volete) a dare un’occhiata nella vostra libreria (o a “spulciare” il catalogo della Sellerio) per scegliere – tra i vari libri pubblicati – quello che per voi è stato più importante… Grazie, Elvira. Riporto, di seguito, la notizia diramata dall’Ansa.

Massimo Maugeri

—-

PALERMO

- Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice con il marito Enzo dell’omonima casa editrice, è morta oggi a Palermo. La Sellerio, che in passato era stata anche componente del Cda della Rai, scoprì e incoraggio’ a pubblicare per la sua casa editrice numerosi autori di successo, da Leonardo Sciascia a Gesualdo Bufalino fino ad Andrea Camilleri.

UNA STORIA COMINCIATA CON SCIASCIA

- Elvira Giorgianni Sellerio era nata a Palermo il 18 maggio 1936 ed aveva 74 anni. Figlia di un prefetto, era laureata in giurisprudenza, cavaliere del lavoro, nel 1991 è stata insignita di una laurea honoris causa in Lettere dalla facoltà di magistero di Palermo. Ha cominciato a lavorare nell’ editoria nel 1970, fondando la casa editrice Sellerio ( dal nome del marito, il fotografo Enzo, dal quale si era separata) che ha avuto tra i suoi autori Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino. Al forte rapporto con lo scomparso scrittore di Racalmuto si deve il successo di una “scommessa”: così la Sellerio ha più volte definito la sua “pretesa” di lanciare da Palermo una casa editrice, che si propone come “nazionale”, scontando tutte le conseguenze di una localizzazione periferica. Attraverso Bufalino la Sellerio è stata premiata con il Spercampiello nel 1981 per ‘Diceria dell’ untoré, il romanzo che ha fatto conoscere al grande pubblico lo scrittore di Comiso. Nel 1991 alla Sellerio è stato attribuito il premio ‘Marisa Belisario’. La casa editrice ‘Sellerio’ si è segnalata per la sua collana di “libretti” dalla caratteristica copertina in blu scuro che ripropongono testi apparentemente “minori”, che spaziano tra classico e moderno, ma di grande spessore culturale. La Sellerio ha pubblicato tutti i libri di Andrea Camilleri che ha assicurato alla casa editrice un grandissimo successo. E’ stata anche membro del Cda della Rai nel 1993-1994 all’epoca dei “professori”.

—-

UN SALUTO ANCHE A LUCIANO ERBA


poesie di Luciano Erba

Lo stesso giorno in cui ci ha lasciato Elvira Sellerio è scomparso Luciano Erba: (Milano, 18 settembre 1922 – Milano, 3 agosto 2010) poeta e critico letterario italiano del secondo Novecento, appartenente alla cosiddetta “quarta generazione”. È stato docente universitario di letteratura francese all’Università Cattolica di Milano. Poeta innovativo nel seno della tradizione “lombarda”, esordì con Linea K nel 1951; sono seguite poi le raccolte Il bel paese (1955), Il prete di Ratanà (1959), Il male minore (1960), Il prato più verde (1977), Il nastro di Moebius (1980), Il cerchio aperto (1984), Il tranviere metafisico (1987), L’ippopotamo (1989), Variar del verde (1993), L’ipotesi circense (1995), Nella terra di mezzo (2000). Stilisticamente, Erba si può dire che abbia ripreso la lezione di Jacques Prévert, tenendosi ad equa distanza da neorealismo ed ermetismo. Di conseguenza mantenne uno stile apparente semplice, leggibile, ma al tempo stesso raffinato e sottile. Fu autore d’una antologia di poesia contemporanea in collaborazione con Piero Chiara Quarta generazione (1954). Scompare il 3 agosto 2010 a Milano, all’età di 88 anni (Fonte: Wikipedia Italia) Segnalo gli articoli pubblicati su Il Corriere della Sera a su La poesia e lo spirito.

———-

AGGIORNAMENTO DEL 21 settembre 2010

Aggiorno questa pagina ricordando lo scrittore e regista Michele Perriera (in basso, nella foto di Palazzotto) scomparso a 73 anni, nell’ospedale Giglio di Cefalù, l’11 settembre scorso.
Perriera ha fondato e diretto la scuola di teatro Teate’s di Palermo. Era stato tra i fondatori del gruppo ‘63. Dal 1994 ha diretto la collana di teatro della casa editrice Sellerio. Lo scrittore, considerato il drammaturgo dell’anima, se n’e’ andato dopo una lunga malattia che lo aveva allontanato dal teatro.
Segnalo questo articolo pubblicato su la Repubblica (Palermo).
Di seguito, un bell’articolo scritto da Domenico Calcaterra (che ringrazio).
Massimo Maugeri

P.s. Si consiglia anche la lettura del minisaggio di Domenico Calcaterra, dedicato a “Romanzo d’amore” di Michele Perriera, disponibile su La poesia e lo spirito.

* * *

MICHELE PERRIERA: LA MORTE NON VINCE LA MEMORIA

di Domenico Calcaterra

Teatro, addio a Michele Perriera  drammaturgo dell'anima palermitana«Ho sempre desiderato che qui, a Palermo, mi fosse ricambiato, almeno in parte, l’immenso amore chi mi ha sempre animato verso questa città crudele e meravigliosa», così scriveva in un angolo del suo sterminato Romanzo d’amore Michele Perriera. E ha dovuto attendere la fine, perché le istituzioni cittadine si producessero in un “estremo saluto” degno della sua levatura e che ci sforziamo di credere sincero. Ma il congedo senz’altro più sentito è venuto dalla schiera fedele e numerosa di amici, artisti, attori, scrittori, ex allievi della scuola di teatro Teatès (da lui fondata e diretta dal 1979), semplici ammiratori, giovani, che hanno saputo rendergli un genuino e commosso omaggio.
Del resto, Michele Perriera la conosceva assai bene la sua Palermo, il deserto che non ha mai rinunciato di vivere (ma da «separato in casa»), il paradiso ottuso dove si è ostinato con coerenza a contrabbandare da periferico (per oltre quarant’anni) le sue visionarie provocazioni: legato alla sua città da un destino di coriacea resistenza, reagendo alle tentazioni del successo e alla comoda fuga dal caos, ha finito per eleggerla a centro della propria vicenda umana e intellettuale, spelonca dalla quale affinare il suo particolare sguardo sulle ferite e le cose del mondo. Alla “distanza fisica”, alla parola pronunciata dal distacco rassicurante dell’esilio, ha preferito la via più coraggiosa di una letteratura della “distanza logica”, vittorioso sull’enorme rischio dell’abbaglio, sulle infide seduzioni connesse al nido. M’imbatto non a caso in tale digressione, con l’intento preciso di smentire l’idea diffusa che la fuga, l’emigrare verso lidi di presupposto progresso, sia l’unico viatico d’emancipazione possibile per chi abbia avuto la ventura di nascere in una terra di particolare e tormentata storia come la Sicilia.
A voler ripercorrere la parabola intellettuale di Michele Perriera, emerge il basso continuo d’uno sperimentalismo mai pago che progressivamente si va depurando sul piano formale e i cui esiti possono essere letti come inesausta perorazione (senza soluzione di continuità alcuna) sulla condizione umana e sulla melliflua seduzione del potere: dall’isterismo linguistico e dalla verve contestataria delle prime eretiche prove, già all’interno del novero dei decostruttori-sperimentatori del Gruppo ‘63 (Principessa Montalbo e Lo scivolo, 1963), con quella “tridimensionalità” di scrittura ricreata sulla pagina che sembra esserne la nota più caratteristica (paradigmatica in tal senso la prima edizione de Il Romboide, 1968), alle scritture e riscritture teatrali, alle regie, degli anni Settanta e Ottanta, da Morte per vanto (1970) a Macbeth (1973), da I pavoni (1983) a Il Gabbiano (1981); al graduale e definitivo affrancarsi dal duplice capestro di ideologia e impegno, inaugurando una vera e propria inversione rispetto ai primi furori sperimentali e alla schizofrenia linguistica degli esordi, alla ricerca della parola creativa, della rarefazione visionaria, della limpidità della voce, con la particolare tessitura romanzesca tra nera favola tecnologica e stilizzato fumetto di A presto (1990, primo movimento e avvio di una trilogia fanta-gialla poi proseguita e culminata con Delirium cordis e Finirà questa malìa) o con l’analogo riverberarsi di una ricalibrata più luminosa visionarietà nei coevi testi teatrali di Ogni giorno può essere buono (1984), Qui è quasi giorno (1991), Anticamera (1994); fino alla singolare teologia per sottrazione espressa con la straordinaria invenzione di un Dio che stanco e impotente, seguendo le orme del Figlio, facendosi a sua volta figlio del Figlio, decide di ricominciare di nuovo tornando sulla terra, in uno dei vertici del suo teatro, vera e propria resurrezione a rebours, nella fiaba in tre giornate di Ritorno (1995).
«La letteratura e il teatro sono per me due diversi modi per articolare la stessa passione della scrittura e della scena», diceva – a rimarcare come fisicità e parola si compenetrassero con infinita ostinazione in ogni sua scrittura, per cui il suo teatro risulta anche fortemente narrativo e la sua narrativa concepita per frammenti, retabli, scene giustapposte, veri e propri monologhi o spiazzanti scambi di battute (talvolta al limite del non senso); volontari sconfinamenti e contaminazioni che uniscono a refe doppio, in una continua virtuosa osmosi, il teatro e il racconto, e tale da rendere l’intera sua opera un unico poliedrico sistema. Ma per chi voglia addentrarsi con cognizione e pazienza nell’universo poetico perrieriano non può che abbandonarsi alla cesellata fluvialità di Romanzo d’amore (2002): monumentale autobiografia in tre libri, singolare neospecie di ‘opera mondo’, variante aggiornata di romanzo assoluto che salda Bildung e Weltanschauung, apprendistato e conseguente idea del mondo (colta nel suo farsi, nel gorgo di un dinamico sviluppo). Immensa cattedrale di scrittura, costruita per innesti, esponenziale contaminazione di generi: ripasso di memoria, autobiografia intellettuale, diario intimo ed epistolario, reperto saggistico e di passione civile; effusione lirica, visionaria ricognizione d’un tempo e tuffo nei suoi miti ingannevoli… Praticati tutti con un peculiare tocco che rende omogeneo, assimilabile ad un’unica voce, il dettato dello scrittore. Perriera (in un tour de force di oltre 1200 pagine), generoso, mette in scena sé stesso, declina il suo discorso amoroso per le ragioni stesse della vita e della morte: il teatro è quello della memoria, la scena quella del suo cervello, perennemente assediato da tragiche e magnifiche ossessioni. L’ultramondo (per dirla con Ortega y Gasset) del teatro perrieriano, scaturisce dall’innaturale e coatta frizione tra «ciò che sta al di qua con ciò che sta al di là delle grate»: è un’ultravita che esibisce e lascia coesistere la prigione e l’eversione fantastica e tremenda della fuga, la falla che allenta le maglie di un sistema di vita che si agghinda col vanto dell’essere il migliore, il più desiderabile, l’unico possibile; che scruta, mettendo a fuoco colpa e innocenza, l’incubo e il grido disperato, l’SOS lanciato per la vita. Condizione sintomatica che si avvita su di un paradigma scenico non di rado giocato su di un personaggio-prototipo che agisce (o si prova ad agire), sempre più ingolfato, colto al limite tra claustrofobia e claustrolalia: ridotto a pura cifra di un sé stesso che si offre hic et nunc nella sola possibilità d’esistenza concessagli sulla scena, marchiato da quella «speciale rigidità» cui Perriera affida al massimo grado il segno forte di una così tragica concezione. Costretti ad abitare sul limitare dell’estinguersi dell’umano, schiacciati nella speciale condizione di una precaria resistenza, i personaggi perrieriani condividono tutti più o meno uno stato di docile allerta, nonostante si viva ormai nel “troppo tardi”. E solo di qui, a partire da simili anguste latitudini di letargica utopia che ci si può attendere di acciuffare quell’«elemento di salvezza» di cui era irrimediabilmente e assurdamente orfano il claustrofobico universo kafkiano. L’aver introiettato e rimeditato, ribaltandola, la duplice lezione di Beckett e di Kafka, la dice lunga sulla dimensione pienamente europea della sua letteratura. Nel sapore della resistente agnizione di una eticità del limite che sia alternativa al marasma, consiste la ineguagliabile qualità politica del suo essere scrittore altrimenti ingaggiato, ma della specie più lucida e rara: lo straordinario interprete dell’impegno con la scrittura, oltre le catene e le aride ingessature dell’ideologia, convinto che esso (l’impegno) debba contemplare in sé pure la sua stessa «distrazione»; atteggiamento che spesso, soprattutto in passato, gli costò il macroscopico fraintendimento d’una critica gretta e ideologizzata (perlopiù miope e immiserita da griglie interpretative obsolete), che finì per tacciarlo di conservatorismo borghese.
Magistero che ha pure saputo sintetizzare in pagine di estrema lucidità (si leggano i saggi di La spola infinita, 1995 o le «note ai margini in forma di diario» di Con quelle idee da canguro, 1997), mettendone a nudo quelle stesse coordinate strabiche (all’esatto incrocio tra immaginazione e realtà) che sarebbero poi sfociate nell’inconfondibile marca d’uno stile sempre giocato sulla drammatica coesistenza di rarefatta armonia e incandescente urgenza espressiva, portando il mondo sulla pagina per esorcizzarne mostruosità, rivelarne inattese epifanie, fintanto che lo scrittore (novello sciamano) sia in grado di ricrearlo, renderlo accettabile, con il coraggio e la forza della parola. Un’intenzione di scrittura che, prendendo in prestito le parole di Freud, si potrebbe dire: ‹‹mira […] a destare in noi lo stesso atteggiamento emotivo, la stessa costellazione mentale che ha prodotto in lui [nello scrittore] l’impeto creativo››.

Abbandonando il giudizio di valore, vorrei concludere con un ricordo privato, raccontare dell’ultimo mio incontro avuto con Michele Perriera nella sua casa di Palermo, al numero 40 di via Tasso, pochi mesi prima dell’ultimo prolungato suo ricovero: non mi venne incontro quella volta con il suo passo strascicato e allargando le braccia come era solito fare; mi aprì Lisa, la moglie, invitandomi ad entrare. Lo trovai, i segni della malattia fattisi ancora più evidenti, adagiato su una sedia a rotelle che mi attendeva nel salottino vicino all’ingresso, voglioso di sapere come procedesse il lavoro su quel libro tanto atteso. Il contrasto (ancor più accentuato) tra il suo corpo, provato fino all’inverosimile dalla malattia, e il vigore trasparente e combattivo del suo spirito, mi parve aver raggiunto una soglia estrema, insopportabile. Squarciò il disagio, invitandomi a interloquire indicando il registratore che stringevo perplesso tra le mani. Gli chiesi titubante della sua idea di romanzo, di cosa intendesse precisamente quando scriveva del dilagare della “peste del tragico” o della fiaba moderna del mito del desiderio di morire e rinascere… Dopo un silenzio di qualche secondo che a me sembrò lunghissimo, iniziò a parlare quasi balbettando, la cadenza del suo dire funambolico appena rallentato, fino quasi a tornare privo di sforzo. E mentre parlava, con lentezza ma pacificato come il Pippo Badalamenti di Romboide in carrozzella, assai spesso diceva noi, ricorreva al plurale, per cercare di spiegare la sua “visione d’amore; le ultime parole che adesso con commozione (mentre scrivo) riascolto sul nastro sono state queste: «L’amore è la cultura del romanzo: è grazie all’amore che il romanzo prende l’aspetto della volontà di cogliere la complessità della vita. Noi vogliamo condurre la visione del mondo verso la scommessa della volontà di vincere il destino della vita. Il destino della vita è il destino della morte. E il destino della morte è il destino della vita. E noi vogliamo scommettere su questo per condurre la nostra esistenza verso l’amore. L’amore è la chiarezza raggiunta: e la chiarezza raggiunta permette di ottenere una chiarezza in sovrappiù… Vogliamo scommettere sull’amore».
Il prezioso luminescente romboide di Michele Perriera continua a parlare, inestinguibile, a chi ha avuto la fortuna di averlo conosciuto, avuto come amico e involontario maestro.

Pubblicato in LA CAMERA ACCANTO, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   173 commenti »

venerdì, 18 giugno 2010

RICORDANDO JOSÉ SARAMAGO

Oggi, 18 giugno 2010, è morto José Saramago. È spirato nella sua casa di Lanzarote, a causa di una leucemia cronica. L’orologio segnava all’incirca le ore 13, quando se n’è andato. Accanto a lui, la moglie Pilar del Rio.

Del trapasso del grande scrittore portoghese, premio Nobel per la Letteratura, se ne sta discutendo un po’ ovunque.

Vorrei ricordarlo anche qui, a Letteratitudine. E vorrei farlo insieme a voi, con il vostro supporto.

Il lascito letterario di Saramago è enorme: una grandissima eredità, quella incastonata nei suoi testi.

Fra i tanti, quello che ho amato di più è Cecità (il suo romanzo più celebre).

Un libro su come sarebbe il mondo se non vi fosse luce nei nostri occhi e nei nostri cuori. Un libro metaforico, che – nel buio – fa luce su noi stessi, sulle nostre meschinità, sulla nostra difficoltà a essere solidali.

Vorrei che ricordaste Saramago, lasciando un vostro pensiero… magari con riferimento alle sue opere o alla sua vita (o inserendo citazioni che vi hanno colpito).

Anche questo è condividere, per noi che amiamo i libri e la letteratura.

Vi ringrazio in anticipo.
Massimo Maugeri

P.s. di seguito, un articolo preso in prestito da La Stampa. Il post sarà aggiornato con eventuali interventi di scrittori e addetti ai lavori che invieranno i loro contributi per posta elettronica.
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   219 commenti »

venerdì, 16 aprile 2010

LA MARSIGLIA DI JEAN-CLAUDE IZZO, incontro con Stefania Nardini

Dieci anni fa – il 26 gennaio del 2000 – moriva Jean-Claude Izzo: noto scrittore e sceneggiatore francese.
Parlare di Izzo equivale – per certi versi – a parlare di Marsiglia, la sua città natale (dove vide la luce il 20 giugno 1945).

Ed è questo l’obiettivo della discussione che vi propongo: aprire una finestra su uno scrittore e sulla sua città (tutto il contrario di una città per turisti, perché la sua bellezza non si fotografa, si condivide). Lo spunto ce lo offre la nuova opera di Stefania Nardini, intitolata ”Jean Claude Izzo. Storia di un marsigliese” ed edita da Perdisa Pop nell’ambito della nuova collana diretta da Luigi Bernardi: Rumore Bianco.

Avremo senz’altro modo di discutere della trilogia che ha come protagonista il più noto personaggio letterario creato da Izzo: Fabio Montale (Casino totale, Chourmo, Solea); ma anche dei romanzi Marinai Perduti e Il sole dei morenti. “Cinque libri” – leggiamo nella scheda del saggio della Nardini – “che hanno conquistato migliaia di lettori in Francia e in molti paesi europei. Solo cinque libri perché Jean-Claude Izzo a 55 anni se ne è andato, lasciando un segno, non solo nella città a lui cara, Marsiglia, ma in tutti coloro che nei suoi testi hanno ritrovato sensazioni, emozioni, verità“.

Per narrare di Izzo, l’autrice di questo saggio ha trascorso un po’ di tempo a Marsiglia. Ecco cosa scrive nella nota finale al libro: “Andai a Marsiglia. Dovevo restarci due settimane. Ci sono rimasta quattro anni“. Ed è così che Marsiglia è diventata una delle “città elettive” di Stefania Nardini (l’altra è Napoli).

Alcune domande per favorire la discussione…

Conoscete Jean-Claude Izzo? Avete mai letto qualcosa di suo?

Qual è l’eredità principale che ha lasciato Izzo?

Che tipo di contributo ha dato, nell’ambito della narrativa europea e mondiale, la trilogia marsigliese che ha per protagonista Fabio Montale?

Avete mai avuto modo di visitare Marsiglia? Che ricordo ne conservate?

E quale città (diversa da quella dove siete nati) eleggereste a vostra “città elettiva”? E per quale ragione?

Vorrei approfittarne anche per invitare Luigi Bernardi a raccontarci del progetto editoriale Perdisa Pop (e delle varie collane che dirige).

Di seguito, la recensione firmata da Gordiano Lupi e l’articolo che Sandra Petrignani ha pubblicato sul quotidiano L’Unità.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA DEI LUOGHI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   131 commenti »

mercoledì, 13 maggio 2009

OMAGGIO A GIUSEPPE BONAVIRI

POST DEL 22 MARZO 2009

Ho appena appreso la notizia. Giuseppe Bonaviri, uno dei più grandi scrittori del Novecento, è morto ieri sera (21 marzo 2009) all’età di 84 anni. L’avevo incontrato di recente – nel mese di maggio dell’anno scorso – presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Giorno 19 marzo l’aspettavamo al Palazzo della Cultura in Via Museo Biscari 5, a Catania, per un pubblico omaggio organizzato da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla in occasione della ri-edizione de «La ragazza di Casalmonferrato», (romanzo del 1954) – La Cantinella. Le condizioni di salute non gli hanno consentito di essere presente.
A lui il mio e il nostro pensiero…
Non aggiungo altro. Ripropongo il post pubblicato martedì, 4 novembre 2008: Omaggio a Bonaviri.
In coda potrete leggere una lunga intervista esclusiva che Giuseppe Bonaviri ha rilasciato a Massimiliano Perrotta (che ringrazio per avermela concessa).
Grazie, Giuseppe, per le grandi opere letterarie e i bellissimi scritti che ci hai lasciato.
Massimo Maugeri

P.s. In data 15 settembre 2011, questo post è stato tradotto in lingua estone e pubblicato qui.

————–

Post di martedì, 4 Novembre 2008
giuseppe-bonaviri.jpgÈ con molto piacere che dedico uno spazio “speciale” a uno dei grandi autori del Novecento letterario italiano: il più volte candidato alla vittoria del Premio Nobel, Giuseppe Bonaviri.
Sarah Zappulla Muscarà, nella sua prefazione alla nuova edizione de “L’infinito Lunare” (Bompiani, 2008, € 9,20, p. 264), lo presenta così: “Giuseppe Bonaviri è nato l’11 luglio 1924, “al canto delle cicale”, a Mineo, paesino alto su un monte, in provincia di Catania, fondato da Ducezio, re dei Siculi. Lì erano nati nel Seicento il padre gesuita Ludovico Buglio che, nel corso della sua lunga vita missionaria in Cina, pubblicò ben ottanta volumi, fra cui la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino, in elegante lingua cinese; sempre nel Seicento il poeta Paolo Maura, autore del poemetto autobiografico in dialetto siciliano La pigghiata (La cattura); e nell’Ottocento Luigi Capuana, uno dei maggiori esponenti del Verismo, i cui interessi spaziarono dal giornalismo alla narrativa, alla critica, alla poesia, alla favolistica, al teatro, allo spiritismo. Da queste radici geografiche e antropologiche – “A Miniu li pueti a ccientu a ccientu / pirchì è lu mastru di lu puitari”, come suona il detto popolare – scaturisce il canto, sorretto dalle più variegate letture, di Bonaviri. Il suo esordio risale al 1954, con “Il sarto della stradalunga”, apparso nella collana einaudiana “I gettoni”. Da quel lontano romanzo che, come ben intuirono Vittorini, Calvino e la Ginzburg, rivelava nel giovane sottotenente medico lo scrittore di razza, Bonaviri non finisce di stupirci. “Le sue cortesie sono come i frutti del giardino di Armida, che ‘E mentre spunta l’un l’altro matura’”: così da Mineo il 24 giugno 1884 il conterraneo Luigi Capuana a Federico De Roberto. Lo stesso potrebbe dirsi dei dolci frutti di Bonaviri. Di quelle “possibilità infinite di conoscenza” che gli riconosce Sebastiano Addamo. Gli è che dalla mitica pietra della poesia dell’altipiano di Camuti, contrada di Mineo, odorante “di fior di nepitella e di iris”, “Parnaso siculo”, “Elicona dei rustici poeti”, l’omphalos dei greci, di cui narra anche il medico palermitano studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè, lamento doloroso e nostalgico, specola dell’anima, patria incorrotta della memoria, dalla madre donna Papè Casaccio, “decameron vivente”, dal padre don Nanè, l’ingenuo poeta de “L’arcano”, per misteriose, labirintiche vie ctonie e cromosomiche, Giuseppe Bonaviri ha ereditato il “potere di fare miracoli” che possiede il vecchio “Gesù a Frosinone”. Il potere incantatorio del narratore in grado di dar vita a quella suspension of disbelief di cui parla Samuel Coleridge.”

Mi piacerebbe organizzare un grande dibattito sulla figura di Bonaviri. E per farlo mi avvarrò del supporto della già citata Sarah Zappulla Muscarà (ordinaria di Letteratura Italiana nell’Università di Catania), e della sua prefazione a “L’infinito Lunare”, di cui avete già letto uno stralcio qui sopra; del critico e scrittore Subhaga Gaetano Failla (il quale, tra l’altro, mi darà una mano a coordinare e a animare la discussione), che ci offre un’intervista al celebre autore di Mineo (l’intervista, realizzata insieme alla sorella Valeria Failla, è apparsa sulla rivista cartacea “Orizzonti” n. 26, aprile-luglio 2005); e di Rawdha Zaouchi-Razgallah (italianista e docente di letteratura italiana presso l’Università del «7 Novembre a Carthage» di Tunisi), che ci offre un duplice spunto (e punto di vista) sulla scrittura di Bonaviri.

Nei prossimi giorni aggiornerò il post introducendo alcune immagini e un video da me realizzati nel mese di maggio di quest’anno presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Catania, in occasione di un pubblico incontro con Bonaviri.

Il dibattito è incentrato sulla figura di Giuseppe Bonaviri e sulle sue opere (cercherò di coinvolgere gli amici della Fondazione Bonaviri); ma ne approfitto per proporre un argomento di discussione collaterale che, in parte, abbiamo già avuto modo di affrontare in altre occasioni. Nella prefazione della Zappulla Muscarà a “L’Infinito Lunare” leggiamo il seguente stralcio virgolettato: “Credo che per colui che scrive non per mestiere ogni libro rappresenti come un immergersi in un labirinto di se stesso per entrare dentro, per mezzo delle parole, in un disagio vitale che soltanto con la pagina scritta si può curare”.
Esiste davvero un potere salvifico della scrittura? E fino a che punto la scrittura è in grado di curare il disagio vitale?

Non credo che Bonaviri avrà modo di partecipare al dibattito, ma di certo ne sarà informato in maniera dettagliata.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   251 commenti »

venerdì, 3 aprile 2009

TOPOLINO COMPIE SESSANT’ANNI

Il celebre Mickey Mouse ideato da Walt Disney debuttò il 18 novembre 1928 al Colony Theatre di New York, nel cortometraggio Steamboat Willie: opera vagamente ispirata allo Steamboat Bill di Buster Keaton, celebre attore del cinema muto.
Da noi in Italia, il topo più famoso del mondo è stato ribattezzato con il nome di Topolino; e proprio in questi giorni ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno. Il primo vero italico fumetto del simpatico topo dalle grandi orecchie nere uscì proprio nell’aprile del 1949 (pubblicato da Mondadori). Ho pensato di dedicare un post (extraletterario… ma fino a un certo punto) a questo personaggio che un po’ tutti amiamo e abbiamo amato.
Intanto vi chiedo di fargli gli auguri, magari dedicandogli un pensiero. E poi mi piacerebbe allargare la discussione al fumetto in generale.
Così vi domando:
- che rapporti avete (o avete avuto) con il celebre Topolino ideato da Walt Disney?
- che rapporti avete (o avete avuto) con i fumetti in generale?
- quali sono (o sono stati) i vostri preferiti?
- qual è, a vostro giudizio, la valenza culturale dei fumetti?
- li considerate “cultura” o “sottocultura”?

Di seguito avrete la possibilità di leggere due articoli pubblicati su Il Giornale (a firma di Marco Lombardo) e su La Stampa (a firma di Guido Tiberga).
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, EXTRALETTERE E VARIE, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   96 commenti »

sabato, 10 gennaio 2009

RICORDANDO FABRIZIO DE ANDRÉ

Sono passati dieci anni da quel 10 gennaio 1999, data che segna la morte di Fabrizio De André: cantautore e poeta italiano.
Non è per caso che ho scritto la parola “poeta” in corsivo. Lo stesso De André ebbe modo di affermare (nell’ambito del programma televisivo “La storia siamo noi”) quanto segue: “Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d’arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l’esuberanza creativa“.
Be’, non so se sarete d’accordo, ma a mio modo di vedere Fabrizio De André – oltre a essere stato un grande cantautore – è stato anche un poeta. E di quelli da ricordare.

Sul quotidiano “La Stampa“, Marinella Venegoni ne scrive così:
“Felicemente sommersi dal ricordo di De André, nel decimo anniversario della sua scomparsa che ricorre domenica, scopriamo che è uno dei pochi, Fabrizio, che l’Italia senza memoria non abbia dimenticato. La tv generalista, così ritrosa sempre quando si tratta di affrontare la musica d’autore, si è in qualche modo buttata sul decennale con alcuni dei suoi campioni più attenti e sensibili. (…)
E mentre Dori Ghezzi sgobba fra una telecamera e l’altra, fra un microfono e una mostra, a portare a galla il suo amore e a rinnovare il suo dolore, mentre il figlio Cristiano rumorosamente tace, viene in mente che a Fabrizio piacerebbe pochissimo questo mondo che in dieci anni è così tanto cambiato da non riuscire più a cogliere il respiro dell’arte nella musica popolare. La musica popolare è stata venduta alle dinamiche dell’imitazione e del riciclo, destinata a modalità che regalano assonanze di deja vu, basate sull’indagine di gradimento nel mondo dei consumatori. Prodotti seriali vagano sul web, e nessuno è più capace a raccontare come lui faceva la storia altra degli uomini, delle loro sofferenze, delle diversità. In questo senso Fabrizio De André (e con lui alcuni autori di razza viventi ma in difficoltà oggi, rispetto alla logica del consumo di massa) continua anche ora che da dieci anni non c’è più, a riempire un vuoto che si farà sempre più grande.
Forse è proprio nell’inconsapevole coscienza di questo vuoto che l’anniversario di De André si è riempito al di là di ogni logica contemporanea. E’ un’autentica esplosione di celebrazioni non si sa quanto meditate, anarchicamente lievitate, dischi e libri e mostre, che fanno pure sperare a chi ha lavorato con lui di poter ritornare nel cono di luce tristemente abbassato. Il logico e l’illogico convivono con disinvoltura, gomito a gomito: un po’ l’opposto di quanto accade per Lucio Battisti, il cui ricordo viene perennemente ostacolato dalla vedova per ragioni che restano misteriose”.
(…)
Purtroppo, celebrare Fabrizio serve anche a lavarsi la coscienza. Vediamo il caso delle radio: il mezzo che più avrebbe potuto contribuire a mantenere viva la sensibilità musicale e a coltivare il gusto popolare, sempre più sprofonda sotto le logiche del motivetto accattivante e del ritornello chewing-gum, e da anni ignora i nomi di qualità con le scuse più bieche. Però ora mille testate stanno in fila orgogliose a proclamare il loro affetto per quest’artista del quale forse – se vivesse – non trasmetterebbero nuovi pezzi se non assai eccezionalmente.”

È probabile che Marinella Venegoni abbia ragione. In ogni caso, Fabrizio De André mi piace ricordarlo anche qui… sebbene in questi giorni non manchino – appunto – articoli sui giornali e puntate televisive a lui dedicate.

Vi invito a scrivere un pensiero per celebrare questo decennale (se ne avete voglia).
E poi…
Qual è, per voi, la canzone più bella di De André?
Qual è quella che ricordate con maggior nostalgia e affetto?

Infine vi invito a commentare la citazione di De André di origine “crociana” che ho riportato all’inizio del post. Sarà vero che “fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini”?

Massimo Maugeri

P.s. Qui sotto ho inserito tre video: scoprite quali sono…
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   147 commenti »

lunedì, 8 settembre 2008

IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI CESARE PAVESE

Il 9 settembre decorre il centenario della nascita di Cesare Pavese. Mi piace ricordarlo qui, sulle pagine di questo blog, proponendovi gli interventi di Raffaele Manica e Raffaele La Capria – pubblicati sulla pagina cultura del quotidiano Il Mattino del 7 settembre – e quello di Raffaele Liucci – pubblicato sul Domenicale de Il Sole 24Ore del 31 agosto.
(Questo post potrebbe anche intitolarsi: “un triplo Raffaele per Pavese”).
Vi invito a leggere i suddetti interventi e a dire la vostra per ricordare la figura di questo grande intellettuale: scrittore, poeta, traduttore, editore (per Einaudi).
E a proposito del rapporto di collaborazione di Pavese con la Einaudi, vi segnalo l’uscita di un’antologia delle sue «lettere editoriali» fra il 1940 e il 1950 (Officina Einaudi, a cura di Silvia Savioli, con introduzione di Franco Contorbia, pp. 433, euro 22). Il libro è stato presentato domenica a Santo Stefano Belbo in un convegno organizzato dal premio Grinzane Cavour. Su Tuttolibri di sabato, per gentile concessione di Einaudi e degli eredi, sono stati anticipati alcuni brani tratti dalle lettere.
Riporto qui questo stralcio di lettera (“Meno imprese sceme”) che Pavese scrisse a Giulio Einaudi, da Roma, il 28 febbraio 1946

Caro Giulio,
sono costretto a ricordarti che la repubblica sociale di Mussolini cominciò a perdere veramente il credito e a essere condannata da tutti i benpensanti il giorno che i suoi impiegati non ricevettero più regolarmente gli stipendi, e un po’ alla volta li si ridusse a contentarsi di acconti. Per una volta passi, ma quando di mese in mese lo stesso fatto tornò a ripetersi, allora fu finita. Devo dirti che dal mese di ottobre u.s. io non ho più ricevuto regolarmente tutto in una volta lo stipendio; e passi. Ora mi accorgo che la stessa cosa si minaccia agli altri impiegati, specialmente quelli d’ordine, e allora dico basta, per me e per tutti. (…)
Se i soldi non ci sono, si facciano meno imprese sceme – si spediscano meno lampi; si aboliscano sedi – ma insomma si provveda. E soprattutto smettetela coi giornali che in altri tempi servivano a mandarci in prigione, e adesso tutt’al più a mandarci in fallimento. Ho pazientato tutto l’inverno perché la situazione era tale che nessuno pareva averci colpa; ora le cose cambiano. Se come primo risultato della tua politica di risanamento e ripresa, gli impiegati romani – compreso io – devono rimandare a domani il pranzo e la cena, allora ti consiglio di cambiare mestiere e lasciare il campo a gente dalla testa sul collo.(…)
Pavese

E ora, vi invito a dire la vostra.
Massimo Maugeri (continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   118 commenti »

lunedì, 4 agosto 2008

IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ELIO VITTORINI

elio-vittorini-ritratto.JPGCent’anni fa – per esattezza il 23 luglio 1908 – nasceva Elio Vittorini.
Dedichiamo uno spazio (e un dibattito) a questo grande intellettuale e scrittore siracusano.
Di seguito avrete la possibilità di leggere quattro interventi.
Il primo è firmato da Ernesto Ferrero ed è stato pubblicato su Tuttolibri del 26 luglio.
Gli altri sono stati realizzati, dietro mia richiesta, dagli amici scrittori siracusani che frequentano questo blog: Maria Lucia Riccioli, Salvo Zappulla, Simona Lo Iacono (Maria Lucia, Salvo e Simona mi daranno una mano per moderare e animare il post).

Vi pongo alcune domande, estrapolate dagli articoli che leggerete di seguito.
Le prime sono di Ferrero (pensate con riferimento a Vittorini):
Chi è, cosa deve fare uno scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società? Cosa può fare per la collettività?
E poi (pescando dal pezzo della Riccioli)…
Cosa rimane di Elio Vittorini?
Quali sono stati i frutti della sua opera? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?

Insomma… Vittorini.
Un’occasione per ricordarlo. E per parlarne.
Massimo Maugeri

————–

Il centenario della nascita di Elio Vittorini
di Ernesto Ferrero (da Tuttolibri del 26 luglio 2008)

Non c’era davvero miglior modo di ricordare il centenario della nascita di Elio Vittorini (23 luglio 1908) che evitare la melassa buonista di simili occasioni e stare ai testi: come questo secondo e ultimo tomo che raccoglie i suoi articoli e interventi 1938-1965 (il primo copriva gli anni 1926-37, in cui ebbe tanta parte il soggiorno a Firenze e la furiosa attività traduttoria).
Sono oltre mille pagine, curate come meglio non si potrebbe da Raffaella Rodondi, degna allieva di Dante Isella. Dico subito che le sue note sono così approfondite ed esaustive che chi vuole occuparsi della cultura italiana del periodo dovrà passare di lì. Vi troverà una miniera di notizie e documenti.
Lo si frequenta poco, Vittorini, a parte Conversazione in Sicilia, che tiene ancora benissimo.
Da tempo è sparita dal nostro orizzonte la sua fervida progettualità utopistica a 360 gradi. Non parliamo poi della sua pretesa di concorrere attraverso la letteratura a una rigenerazione collettiva, addirittura alla nascita di un uomo nuovo. La tensione appassionata e sciamanica con
cui il Gran Siracusano insegue il moderno, inventandoselo anche quando non se ne vedono tracce, ripercorsa adesso risulta commovente.
Uscito da un arcaico mondo contadino, lo conosce troppo bene per abbandonarsi a idilli e nostalgie, che anzi non si stanca di deprecare. Gli interessa l’incontro-scontro con le metropoli, con l’industria, il nuovo mondo che dovrebbe nascere da una sorta di palingenesi collettiva. Ha la bulimia del futuro prossimo. Se le domande sono sempre le stesse (chi è, cosa deve fare uno
scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società, cosa può fare per la collettività?), ricorrenti sono anche le risposte, pur nel variare di quell’«irta vegetazione di metafore» di cui parla Italo Calvino (ma forse più avvolgente che irta): scoprire qualcosa che ancora non si conosce, aggiungere qualcosa di nuovo all’umana coscienza, fuori dai lacci delle ideologie e dei concetti astratti. Certo non «suonare il piffero per la rivoluzione», come scrisse a Togliatti nel corso della famosa polemica su «Politecnico». Vittorini sognava una letteratura che sapesse interagire al livello più alto con tutte le attività umane, che ne fosse il lievito, lo stimolo permanente.
Era (dice ancora Calvino) totalmente immune dalla negatività esistenziale, dalle voluttà del nichilismo, dalle scissioni dell’Io che connotano il Novecento degli sconfitti contenti di esserlo. Anteponeva l’urgenza di un rinnovamento vero alla sua stessa creatività personale, esempio unico di disinteresse.
Nel volume c’è di tutto: saggi, articoli di varia occasione, recensioni, i risvolti per i «Gettoni» einaudiani (sempre imprevedibili, spesso a contropelo), schede di lettura, interviste autobiografiche (tenerissime), risposte a inchieste e dibattiti, elzeviri, corsivi, scritti sull’arte (Dosso Dossi ma anche Cassinari e Guttuso), dibatti sul fumetto (con Eco), abbozzi di storie letterarie, lucidi ripensamenti dei propri libri, ma si possono comunque identificare alcuni nuclei forti. Il gran lavoro sugli americani, anche in vista dell’antologia poi pubblicata da Bompiani (Saroyan, James Cain, Caldwell, Faulkner, Steinbeck, Wright, John Fante); gli interventi febbrili su Politecnico (1945-47), poi sul Menabò (1959-65), principalmente centrati sul solito dolente nodo dei rapporti tra cultura e politica e sull’impegno.
Non c’è campo in cui l’autodidatta non scateni le sue curiosità, creando collegamenti fulminei,
sorprendendo il lettore laddove meno se lo aspetta.
Parla schietto, trasferendo nello scritto la vivacità orale. Gran comunicatore, incantatore nato,
immune da rigidezze accademiche e specialistiche, mercuriale sempre. Così pronto ad ammettere i propri errori che anche un nemico non può che rassegnarsi ad amarlo. Dichiara
odi e amori con il candore degli innocenti. Dice (negli Anni 30) di detestare Voltaire e Balzac,
Kipling, Rilke e Kafka, D’Annunzio e Dostoevskij e idolatra Hemingway al di là del ragionevole,
ma è capace di mandare a Montale, dalle colonne di un periodico giovanile, un saluto di ringraziamento per le Occasioni appena uscite («il fatto più importante, oltreché il più felice, dei nostri ultimi mesi di storia umana»).
Perché nel cuore di Vittorini, felice perché sempre in movimento, lanciato verso il prossimo
ostacolo, non c’è la letteratura, c’è l’uomo. La letteratura è uno strumento da usare bene, come tanti altri. Per questo si sdegna perché nel primo governo repubblicano non è stata chiamata una sola donna, nemmeno come sottosegretario.
Ripete che il più umile dei problemi di una città ha un significato per la cultura in assoluto. Richiesto di autodefinirsi, si iscrive nella categoria dei «poeti civili», lui che non ha scritto un verso. E nel 1964 arriva a dire che la letteratura è ormai destituita d’importanza, si è fatta semplice mediatrice di cose scoperte da altri.
Che la nostra fantasia è vecchia, governata da una concezione del mondo che risale a Tolomeo. Negli ultimi anni, per coerenza, si butta a leggere di scienza, matematica, biologia,
astrofisica. Dice che bisogna continuare a scrivere senza la presunzione di credere che sia importante.
Come sarebbe bello che il calore delle indomite passioni di questo «indiano delle riserve» (come si definiva autoironicamente, ma senza indietreggiare di un pollice) arrivasse fino a noi, al nostro deserto di cenere governato dal marketing.

————–

Cosa rimane di Vittorini?
di Maria Lucia Riccioli

maria_lucia-riccioli.JPG23 luglio 1908 – 23 luglio 2008.
Vittorini cent’anni dopo la sua nascita.
Cosa rimane di uno scrittore? Ce lo chiediamo spesso, in particolare quando si verificano ricorrenze come quelle dei cinquantenari o in questo caso dei centenari.
La figura e l’opera di Vittorini sono state fondamentali per la cultura italiana tra le due guerre e oltre. Ma quali ne sono stati i frutti? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Siracusa dedica da anni un premio letterario ad Elio Vittorini e quest’anno è stata curata la pubblicazione di un volumetto che raccoglie estratti dalle sue opere più note, dei disegni realizzati da Guttuso per un’edizione di “Conversazione in Sicilia” che però vide la luce solo nel 1986. Speriamo che si realizzi il sogno di Siracusa di fare di più – magari una casa museo, una biblioteca – per onorarlo degnamente.
La Sicilia è stata sempre mater poco materna con i suoi figli più illustri e con Vittorini non ha fatto eccezione. Il figlio del ferroviere, cognato di Salvatore Quasimodo, che vide la luce nell’isola di Ortigia, alla Mastrarua, poi Via Vittorio Veneto, dopo i primi studi, il formarsi di una precoce coscienza politica e le febbrili entusiastiche letture, ha fatto la sua fortuna “in continente”.
Cosa resta, dicevamo, di Vittorini? Le istanze della denuncia civile? L’ideale riscatto degli umiliati e offesi? Vittorini patì anche l’ottusità ideologica degli stessi compagni di partito (Togliatti e il suo becero “Vittorini se n’è gliuto e soli ci ha lasciato”), oltre alla sostanziale incomprensione e indifferenza dei conterranei.
La sprovincializzazione della nostra letteratura? Grazie all’antologia “Americana”, grazie ad uno stile che risente della lezione degli autori statunitensi. L’esperienza neoilluministica de “Il Politecnico” fu fondamentale, come la sua opera di “talent scout”.
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Certo rimane memorabile il lirismo dell’incipit di “Conversazione in Sicilia”:

Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica che ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, i qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero a capo chino.vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo.
Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

Rimangono la passione per i libri e la letteratura, scoperta e passione giovanile:

È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. È doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le Mille e una notte in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia.

Vorrei che iniziassimo un dibattito innescato dalle mie domande e da quelle che ci verranno in mente. Sono onorata di scrivere su Vittorini per orgoglio di comune siracusanità e spero che i miei concittadini prima o poi si sveglino dall’apatica quiete della non speranza.

————–

Vittorini editore e il suo rapporto con il cinema
di Salvo Zappulla

salvo_zappulla.JPGVittorini è stato uno degli intellettuali più poliedrici del ventesimo secolo, autodidatta, letterato per vocazione, aveva una visione pessimistica della vita, una costante tristezza che esprimeva attraverso la scrittura. E’ stato sempre dalla parte degli ultimi, i lavoratori, gli oppressi. Loro sapevano che di lui potevano fidarsi, e lo amavano. Si definiva un solariano e questo termine ne racchiude altri che intendono antifascista, europeista, antitradizionalista. In poche parole: illuminista. Se consideriamo che egli dichiarava con forza le proprie idee, in un momento storico in cui un sistema autarchico consigliava una certa “prudenza”, ci possiamo rendere conto della grandezza di quest’uomo. E’ nota la sua collaborazione con la Einaudi per la quale curò la collana I gettoni che servì a lanciare autori come Calvino, Fenoglio, Romano, Rigoni Stern, Ottieri, Testori, Bonaviri ed altri. Altrettanto famoso – una macchia sulla sua coscienza di intellettuale – fu il suo rifiuto al romanzo di Tomasi di Lampedusa. Va precisato però che il romanzo subì prima un rifiuto da parte della Mondadori alla quale Tomasi di Lampedusa aveva inviato quattro capitoli tramite il cugino Lucio Piccolo. Il testo letto dai redattori (Ricci, Antonielli e Romanò) pur non ricevendo un giudizio del tutto negativo, non fu ritenuto idoneo alla pubblicazione. Vittorini in quel caso si limitò a dare il suo parere conclusivo senza leggere il dattiloscritto personalmente. Successivamente egli ricevette ancora parte del dattiloscritto affinché il romanzo venisse pubblicato su I gettoni, ma lo ritenne lontano per la sua idea della collana in quanto Il Gattopardo, emblema dell’inettitudine sociale e politica della nobiltà siciliana, era un tema ritenuto da lui piuttosto stantìo. Come sappiamo il romanzo verrà pubblicato da Feltrinelli nel 1958 a cura di Giorgio Bassani. Forse il suo rapporto con il cinema è il meno conosciuto rispetto alle molteplici attività di intellettuale. Alla fine degli anni Trenta non esisteva in Italia una vera e propria critica cinematografica e Solaria fu una delle prime riviste a dare ampio spazio a questo settore. Gli anni fiorentini (1930-1938) sono quelli in cui Elio Vittorini si avvicina alla critica cinematografica, anche se costituisce sempre un’attività marginale rispetto alla sua corposa produzione letteraria. Sono anni di difficoltà economica per la famiglia Vittorini, ed egli si presta persino a interpretare una parte nel film Romeo e Giulietta di Castellani. L’attività dello scrittore è frenetica ma l’impegno dedicato al cinema è autentico ed estremamente competente. Egli afferma: “L’essenza artistica del cinematografo è nel movimento”. E ad esso occorre, se necessario, sacrificare le bellezze accessorie. Quando si riferisce al movimento, di successioni, di immagini, di ritmo, si riferisce al montaggio così come è inteso dai grandi maestri dell’avanguardia russa. Aveva una grande passione per Charlie Chaplin, la cui arte – a suo parere – apparteneva alla storia. Era tale la stima per il grande comico, che nel numero 10 del Politecnico gli dedica un articolo, anche se non firmato, ma la cui impronta stilistica è inconfondibilmente sua. Vittorini attribuiva al cinema un ruolo fondamentale per l’educazione del popolo italiano e già, sempre nel Politecnico, secondo numero, pubblica un breve articolo dal titolo ”Il cinematografo dell’avvenire”, a cui fa seguito nel numero successivo un altro scritto a firma di Carlo Luzzari. Il cinema come specchio dei tempi e dei problemi sociali. Tutta l’attività di Vittorini si sviluppa all’insegna dell’impegno civile e ideologico, un neorealismo che non va inteso nel suo senso più ristretto ma che lascia spazio alla poesia, al lirismo, permeato da grande valenza etica. Sicuramente ha lasciato un segno tangibile sulla storia degli uomini.

————–

Vittorini e l’Isola
di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGSi dice che l’uomo sia una scaglia di terra. Che sia nato da fango misto a saliva. Si dice che è questo a suggerirgli i passi. Che è la forma di quella terra a dar corpo al suo corpo. Parola alla sua parola. Sguardo al suo sguardo.
Si dice.
Ma non si dice soltanto.
Si sente.
Si sente se è grumo di montagna, goccia di lago, o sale di mare.
Si sente se è uomo di isola o di continente.
Ecco. Elio Vittorini fu uomo di isola. E lo fu due volte.
Perché non fu solo siciliano. Ma Siracusano. E di quella parte di Siracusa che è isola dell’isola: Ortigia.
Il nome pare venga da “quaglia”, perché Ortigia è un isolotto arpionato alla città e che dall’alto richiama la fisionomia di questo uccello.
Ma io che ci abito, io che ne respiro l’accroccato divincolarsi tra strade dai nomi ebrei, arabi, greci, io che saluto lo scudo della dea Atena che svetta dal Duomo sol che apra le mie finestre – io so che Ortigia non è nome di quaglia.
E che – anzi – non è neanche nome.
Piuttosto modalità dell’essere. Del vivere.
Del morire.
Tanto che non se ne può prescindere per comprendere l’opera di Vittorini. Né si può ignorare il suo essere contemporaneamente dentro la Sicilia e fuori di essa, quasi su un battello pencolante, che con uno sboffo di corrente potrebbe mollare gli ormeggi.
Doppia isola, dunque. E doppia solitudine. Doppio errare.
Doppio esilio.
Perché l’isolano è esule. E’ straniero.
Ma l’isolano che dall’isola passa ad un’altra isola è quasi un pellegrino di mare. Un eterno viandante. Un Ulisse meno precario che deve fare i conti con una stabilità sempre da rincorrere.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.
A tal punto un duplice rimando ci costringe ad allungare lo sguardo – avanti e ancora avanti – a tal punto ci impone di sognare due volte.
E poi, allontanarsi due volte. Tornare due volte. Intascarsi non una, ma due manciate di nostalgia.
Credo che in questa somma di ostacoli sia da cercare anche il senso del viaggio. Della navigata che in “Conversazione in Sicilia” non solca solo lo stretto di Messina, non Scilla e Cariddi, non una fetta di mare.
Ma un portale. Un ingresso in una dimensione e poi in un’altra. Un varco tagliato da uno Stige.
Quando questo confine viene oltrepassato la memoria di ciò che ci precede vacilla. Perché rientrando in Sicilia e poi ancora in Ortigia, il passo si abitua all’ondeggio del mare.
Lo vedi che ti assale ovunque, se vai avanti, se guardi indietro, se torni a casa.
Ovunque, ovunque. L’acqua a frastagliarti addosso come un dolore. Di non poter che essere questo. Questo oscillare e questo complicato rientro che non si accontenta di compiersi come per gli altri.
Che per te si raddoppierà sempre.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   132 commenti »

martedì, 17 giugno 2008

ADDIO, SERGENTE DELLA NEVE

Mario Rigoni Stern.jpgMario Rigoni Stern ci lascia.
È morto ad Asiago, all’età di 86 anni. È accaduto ieri, ma i familiari hanno reso noto l’evento luttuoso soltanto oggi.

L’agenzia di stampa Reuters ha divulgato la notizia così:
“Lo scrittore Mario Rigoni Stern – divenuto famoso per la sua opera autobiografica “Il sergente nella neve” – è morto ieri sera ad Asiago, sua città natale. I suoi funerali sono stati celebrati oggi.
Ne danno notizia i media.
Rigoni Stern era divenuto famoso grazie alla sua opera prima, l’autobiografico “Il sergente nella neve”, pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 1953, che raccontava la sua esperienza come soldato durante la ritirata di Russia, nella seconda guerra mondiale.
Lo scrittore era molto amato da ogni parte politica. Lo testimoniano i commenti diffusi in seguito alla notizia della sua morte.
“Se ne va con Mario Rigoni Stern uno dei grandi vecchi della letteratura italiana”, afferma in una nota il segretario del partito democratico Walter Veltroni, che lo definisce “un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate”.
“Divenuto famoso per i suoi racconti sulle tragedie della guerra amava raccontare che la cosa più importante che aveva fatto non era stato scrivere, ma portare vivi al di là delle linee di guerra in Russia i settanta alpini la cui sorte gli era stata affidata”, ricorda Veltroni, che aggiunge: “Ecco, in questa confessione c’era la sua umana grandezza, il segno del suo impegno civile mai interrotto e insieme il segreto della sua scrittura nitida e affascinante”.
Come si apprende da un altro comunicato, il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini ha inviato un telegramma alla famiglia di Rigoni Stern, nel quale esprime il cordoglio per la “scomparsa dello scrittore che ha raccontato con realismo, verità e grande umanità la drammatica pagina della ritirata dei nostri soldati in Russia durante la seconda guerra mondiale”.
“Quella di Rigoni Stern – si legge ancora nel telegramma – è una generazione di narratori che ha lasciato opere di grande forza letteraria e di intensa passione civile vivendo in presa diretta le tragedie del nostro popolo”.
“Lo scrittore scomparso – conclude Fini – è stato uno dei testimoni della storia nazionale del `900 e dei valori di solidarietà di cui la gente italiana ha sempre dato prova anche nei momenti più difficili della sua vicenda passata”.

Avevamo incontrato Rigoni Stern anche qui a Letteratitudine tramite questa intervista rilasciata al “nostro” Andrea Di Consoli (che vi consiglio di rileggere).
Ecco cosa scrive Di Consoli in merito all’incontro con questo grande vecchio della nostra letteratura: «penso allo strano destino critico di Mario Rigoni Stern, uno scrittore che è sempre rimasto schiacciato tra due categorie abbastanza anguste (“scrittore di guerra”, o “di testimonianza”, e “scrittore della natura”; eppure “guerra” e “natura” non sono sempre topoi logori e prevedibili); penso, invece, alla durezza della sua narrativa poetica, al suo guardare sempre in faccia il dolore e, direi, il controdolore – non c’è niente di “naif” nella sua scrittura, anche perché la natura non dà mai davvero risposte consolatorie, anzi, è più “muro” del “muro” del pensiero filosofico – anche la guerra è un “muro” nel pensiero.»
Quando Andrea gli domanda della guerra, Rigoni Stern ricorda: “fumavo le ‘Makorka’, le sigarette dei kulaki. Ho fumato tantissimo, ma poi ho smesso, perché ho avuto problemi di cuore. Ho avuto un arresto cardiaco. Quel giorno sentivo i medici che dicevano che ero morto. Non è stata una brutta sensazione. La morte non è brutta. E’ la sofferenza che fa paura”

E quando, infine, Di Consoli gli domanda della morte… lui risponde lapidario: “I giovani muoiono meglio dei vecchi, perché i giovani hanno tanta vita. I vecchi, invece, sono attaccati fino alla fine all’unico barlume di vita che rimane”.
Addio, sergente della neve.
Vi chiedo, se vi va, di lasciargli un saluto.

Massimo Maugeri

________

AGGIORNAMENTO DEL 18 giugno 2008

Aggiorno il post inserendo due video.

Il primo (qui sotto) si riferisce a un’intervista che Mario Rigoni Stern ha rilasciato a Fabio Fazio (programma “Che tempo che fa”, Rai Tre) in occasione dell’uscita di “Stagioni”.

… il secondo (qui sotto) “incrocia” la figura di Rigoni Stern con quella di Primo Levi

Vi invito a guardarli e a commentarli.

Massimo Maugeri

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   86 commenti »

mercoledì, 30 aprile 2008

GIOVANNINO GUARESCHI E IL GIORNALISMO UMORISTICO

È con molto piacere che ospito un intervento di Daniela Marcheschi sul “giornalismo umoristico” e sulla figura di Giovannino Guareschi (padre letterario di Don Camillo).
Si tratta del pezzo introduttivo al Catalogo della mostra Giovannino Guareschi: nascita di un umorista. “Bazar” e la satira a Parma dal 1908 al 1937, a cura di Giorgio Casamatti e Guido Conti, Parma, MUP, 2008, pp.16-23. La mostra, curata da Casamatti e Conti, è a Parma dal 19 aprile al 1 giugno 2008 (assolutamente da vedere, perché molto bella).
Ne approfitto per ringraziare la professoressa Marcheschi e la MUP per la gentile concessione del testo.
Vi invito a leggerlo con attenzione e a dire la vostra.

Inoltre ricordo che proprio il 1° maggio decorre il centenario della nascita di Guareschi (venuto alla luce, appunto, a Roccabianca il 1° maggio del 1908).

Vi consiglio di collegarvi al sito del Comitato Nazionale per le celebrazioni della nascita di Giovannino Guareschi: www.guareschi2008.com

Seguono alcune domande che mi pongo (e vi pongo), come al solito, per favorire il dibattito.

Il giornalismo umoristico, oggi, può avere una funzione? E fino a che punto?

Il giornalismo umoristico può essere considerato letteratura dell’umorismo?

Quello di Beppe Grillo, anche con il suo blog, può essere considerato giornalismo umoristico?

Parliamone (se vi va).

Buon 1° maggio a tutti.

Massimo Maugeri

- – -
Daniela Marcheschi, nota italianista e critica letteraria, è autrice di saggi tradotti in varie lingue, curatrice dei Meridiani Mondadori delle opere di Carlo Collodi e Giuseppe Pontiggia, vincitrice, per il suo lavoro di traduzione e critica in campo scandinavistico, del Tolkningspris dell’Accademia di Svezia
- – -

Tradizione e innovazione del «giornalismo umoristico»: Giovanni Guareschi
di Daniela Marcheschi

Giornalista e scrittore, vignettista e autore di testi satirici, Giovanni Guareschi è uno degli umoristi più completi del nostro Novecento, capace di ridare vita e forma nuova alla tradizione comico-umoristica, così come essa si era codificata in Europa, prima, e in Italia, poi, nell’esaltazione delle passioni risorgimentali.
Guareschi, che era nato nel 1908, aveva avuto modo di conoscere la comicità sia di Sergio Tofano o STO, che si esplicò in svagati toni palazzeschiani ed anche in un segno dai tratti sinuosi e morbidi, sia di Ettore Petrolini, le cui celebri canzonette erano costruite sui non-sense, le cui farse e macchiette giocavano di continuo su esilaranti situazioni surreali. Leggerezza e cinismo, humour e paradosso, satira e ironia si incontrano così da subito nella produzione umoristica di Guareschi, che di scritti e vignette, a partire dal 1929, inondò giornali e numeri unici di Parma: «La Voce di Parma», «La Fiamma. Corriere del Lunedì» ecc.. Nello sfogliare le pagine di simili giornali e periodici – così come quelle del più tardo «Bertoldo» (fondato nel 1936) o del suo celebre almanacco a cui Guareschi collaborò – possiamo scoprire e constatare la capacità di azione nel tempo di modelli umoristici o satirici che vantavano almeno ottanta anni circa di storia: quelli del «giornalismo umoristico» ottocentesco, che il nostro Carlo Lorenzini (1826-1890), alias Collodi – ma già alias L., alias Lampione, alias Scaramuccia, alias ZZTZZ, alias Diavoletto, solo per citare alcuni dei suoi più celebri pseudonimi – aveva contribuito ad inventare e re-inventare gomito a gomito con i caricaturisti Cabrion (Niccola Senesi), Angiolo Tricca o Mata (Adolfo Matarelli) e in una sorta di dialogo a distanza con Honoré de Balzac, la cui opera gli era arcinota.
Intorno al 1830 e nei decenni successivi in Francia erano fioriti periodici che, facendo perno su una scrittura briosa ed ironica, sulle vignette e caricature di Daumier, Grandville, Gavarni ecc., offrivano notizie dei teatri e degli spettacoli, articoli vari, racconti e romanzi spesso a puntate. Da «La Caricature» a «Le Charivari», da «La Mode» a «La Silhouette», a «Le Corsaire Satan» e via discorrendo, una generazione intera di autori, come Balzac, Nodier o la Sand, aveva dato vita a una letteratura pronta ad assumere forti connotazioni critiche, specialmente grazie a Balzac, nei confronti della cultura romantica e della Modernità in genere. Lo stesso Giacomo Leopardi – con un senso vivo della complessità delle tradizioni presenti e passate – nel maggio del 1832 avrebbe voluto pubblicare a Firenze un «Giornale di ogni settimana» con il titolo «Lo Spettatore Fiorentino»: una sede «per ispeculare», con il proponimento di «ridere molto», e per contenere «pareri intorno a libri nuovi», ma anche notizie «di teatri e spettacoli», «traduzioni di cose recenti e poco note da diverse lingue», nonché «articoli nuovi da valenti ingegni italiani o stranieri». Leopardi si proponeva di creare un “anti-giornale” a cui demandare un’esigenza di letteratura e critica militante, e attraverso cui continuare, alla luce del suo totale disincanto, la battaglia contro le verità scoperte dal suo secolo e per una filosofia materialistica contro certo sentimentalismo o mondo ideale romantico, che falsificava il senso stesso del destino dell’essere umano1. Non per nulla, nel preciso intento di fare una satira senza sconti della realtà politica e culturale del proprio tempo, Collodi – dalla «Nazione» al «Fanfulla» – non farà che ironizzare sul cattivo gusto di una borghesia che continua a preferire la poesia di Metastasio a quella di Leopardi2; e nel Novecento, Marcello Marchesi e Alberto Savinio si divertiranno a raccontare la biografia di Leopardi in modo dissacrante e paradossale, mentre Giovanni Guareschi, ispirato dal carattere dello Zibaldone, eterogeneo ed originale, nel 1948 pubblicherà presso la casa editrice milanese Rizzoli lo Zibaldino. Storie assortite vecchie e nuove: un modello di libro aperto, né romanzo né raccolta, dove trovano posto racconti, pezzi stravaganti, riflessioni, pagine di diario all’insegna dell’eteroclito.

Nonostante divergenze politiche ed economiche, le élites più accorte dell’Italia ottocentesca guardavano con attenzione alla Francia, seguendone la letteratura e la stampa periodica. La comparsa in quel paese di una letteratura militante, in posizione “agonistica” verso la società industriale e (per usare un termine caro a Balzac) verso le sue «patologie» culturali, artistiche, letterarie, non poteva non interessare generazioni che avrebbero vissuto il Risorgimento con slancio generoso, nell’amore smisurato verso la nazione e nella volontà di darle una struttura unitaria in grado di rinnovarne profondamente e sistematicamente la società ed ogni aspetto della cultura. Così, quando a causa della crescente protesta popolare, negli anni 1847 e 1848, i diversi regnanti degli stati italiani – da Ferdinando II di Borbone a Carlo Alberto – furono uno dopo l’altro costretti a concedere una Costituzione, in genere ispirata a quella francese orleanista, anche in Italia poté esservi la libera espressione della stampa. Un po’ ovunque fiorirono numerosi giornali umoristici, d’ispirazione liberale e democratica (ma non solo) e di netta satira politica e sociale. Il più importante fu com’è noto «Il Lampione» (13 luglio 1848-11 aprile 1849), animato a Firenze da Carlo Lorenzini che, nel 1860, ne riprese la pubblicazione per sostenere la campagna di annessione al Piemonte. Per rimanere nell’ambito dei giornali liberali e democratici, si ricordino ad esempio, in una Toscana brulicante di tali imprese, periodici quali «Il Birichino», «La Lanterna Magica», «La Voce del Popolo», «Lo Charivari del Popolano», «Belfagor Arcidiavolo», «Calambrone» e «L’Inferno»; ma anche «L’Arlecchino» di Napoli, «Il Fischietto» di Torino, «Lo Spirito Folletto» di Milano. Qualche anno più tardi troviamo «L’Arte», «Lo Scaramuccia», ancora diretto e fondato da Collodi, «La Lente», «La Chiacchiera» ecc., a cui si uniscono ad esempio il napoletano «Verità e Bugie», il torinese «Pasquino», il milanese «Il Pungolo». Gli schemi editoriali imitavano i petits journaux francesi, il cui influsso è evidente nel titolo «Lo Charivari»: a fianco delle caricature, realizzate con la litografia (la cui tecnica non consentiva tirature elevate), i collaboratori facevano satira politica e, con una prosa brillante ed ironica, tratteggiavano «fisiologie» dei tipi sociali più reazionari, pubblicavano romanzi a puntate ecc. Negli anni seguenti la repressione, quando di politica sarà invece impossibile parlare, i collaboratori commenteranno con la solita prosa scherzosa eventi di attualità in campo teatrale, letterario, artistico, poetico, oppure pubblicheranno «divagazioni» e bizzarrie, testi umoristici vari, fra cui buffi aforismi, dialoghetti satirici o parodie in versi. Il punto sarà in breve quello di mantenere un atteggiamento attivo nei confronti della società, di non disgiungere l’esercizio della moralità dal gioco dell’invenzione, mantenendo vivo il ruolo civile della critica. Il «Fanfulla», fondato a Firenze nel 1870, poi trasferito a Roma non appena questa divenne capitale del Regno d’Italia, sarà proprio l’ultimo grande giornale di tale tradizione umoristica.
La definizione «giornalismo umoristico» non deve però sviare: si trattò infatti di letteratura vera e propria (non sempre raccolta in volume), ironica e comica, ricca di notazioni bizzarre e curiosità letterarie, che si alimentavano della cronaca politica, teatrale o musicale, per dar vita a testi e vignette all’insegna della satira, della divagazione scherzosa e della complicità con i lettori. L’uso degli pseudonimi – che era frequentissimo se non costante su quelle pagine e che oggi complica talvolta la ricostruzione del contesto culturale dell’epoca – non era un tentativo di sfuggire ai rigori della censura: la struttura della redazione del giornale umoristico era infatti in genere assai esile ed i gerenti e i pochi compilatori erano facilmente identificabili dalle autorità di polizia. Piuttosto, bisogna pensare che gli pseudonimi consentivano allo scrittore umorista una grande libertà espressiva, la possibilità di saltare senza remore da un argomento all’altro, da un registro all’altro, dall’ironia alla parodia ecc.; e gli permettevano una dilatazione a piacere delle potenzialità stilistiche, in sintonia con la programmatica pluralità dei toni e delle forme che caratterizzavano un simile umorismo. In maniera analoga, come autentico semenzaio dell’immaginazione, andrà considerata la frequenza degli pseudonimi nel giornalismo e nella letteratura satirica del Novecento: Cesare Zavattini, che si firmava Za, insegna!

Proprio con il «Fanfulla» iniziò il declino del «giornalismo umoristico», e ciò avvenne per diverse ragioni di carattere socio-economico e culturale. Da un lato, l’industria della carta stampata cambiò strutturazione, finanziamenti e distribuzione, ed i giornali umoristici, diffusi principalmente per abbonamento, non riuscirono più a fronteggiare la concorrenza dei fogli d’informazione varia, meglio accolti sul mercato. Dall’altro, la vittoria del Naturalismo sancì un mutamento radicale del gusto del pubblico, ora tutto teso ad avere una “copia” della realtà. Nella estetica o poetica naturalistica si affermava l’idea misticheggiante dell’oggettività assoluta dello sguardo o, con un altro a priori, dell’oggettività assoluta delle cose: precisamente l’opposto della libertà inventiva propria delle poetiche dell’Umorismo. Così il genere comico-umoristico confluì o fu relegato fra i generi ritenuti a torto minori: la letteratura per l’infanzia, il teatro comico – appunto Petrolini e, più avanti, Totò o Fo…
I giornali umoristici resteranno comunque senza essere più i protagonisti principali della scena culturale: si pensi alla notevole fortuna di fogli come il «Guerin Meschino», fondato nel 1882 a Milano (chiuderà i battenti nel 1943), e il «Capitan Fracassa», nato nel 1886 a Roma. Gli spazi dell’umorismo e della satira, da allora in poi, potranno però subire una modificazione profonda, nel senso di una presenza – talora una prevalenza, in quei periodici – dell’intrattenimento leggero e amabilmente sorridente, dunque anche un po’ casuale e dispersivo. Più spesso vi saranno oscillazioni continue fra divertissement e scherzo ironico: non per nulla l’accostamento fra vignette e versi in rima baciata tipico del «Corriere dei Piccoli», dove furoreggiava dal 1917 il Signor Bonaventura creato da STO, varrà anche per il «Guerin Meschino». In altri casi, o momenti, potrà esservi da subito, oppure tornare attiva, una volontà critica e pugnace nei confronti di una società e una cultura spesso autoritaria, gretta, se non retriva: basta pensare alla carica dirompente di un settimanale socialista come «L’Asino», fondato a Roma nel 1892 e soppresso nel 1925 all’affermarsi del Fascismo, oggetto di tanti suoi strali; ai fogli satirici diffusi sul nostro fronte durante le fasi finali della I Guerra Mondiale; e, in Francia, anche soltanto a «La Feuille» o a «Le Rire», la cui presenza è risaputa nella Biblioteca dell’Archivio Guareschi (Roncole Verdi)3. In quest’ultimo giornale – e in altri periodici satirici francesi della grande tradizione comico-umoristica e parodica dell’Ottocento, ispirata principalmente, ma non solo, alla maniera di Laurence Sterne – Marcel Duchamp (1887-1968) aveva avuto modo di affinare la propria ironia come disegnatore umoristico. Anche questo gli avrebbe permesso di diventare uno degli artisti più capaci d’influire sull’arte del XX secolo, grazie alla forza dell’estro inventivo e alla spregiudicatezza dell’intelligenza. In breve, lo spirito dissacrante, il gioco del rovesciamento paradossale fino all’assurdo, messo in atto dall’artista e caro al movimento Dada, erano non solo una generica disposizione psicologica dell’uomo, ma anche e soprattutto una scelta culturale. Si trattava di un elemento di poetica suggerito dalle teorie estetiche, caratteristiche proprio di quella vasta e ricchissima tradizione europea, nel cui ambito, nell’Ottocento e nel Novecento, transitavano in vario modo, è bene ripeterlo, Daumier e Gavarni, Balzac e il giovane Baudelaire, Collodi e Palazzeschi, Pirandello e Zavattini, Tofano e Novello.
I giornali satirici o numeri unici – da «Straparma» a «Bazar» e su fino al «Bertoldo» e al «Candido», nato nel 1945 – che Guareschi fondò, o che ne ebbero in vario modo la brillante collaborazione di umorista e di vignettista satirico, sono costruiti sui medesimi schemi strutturali messi a punto dalla letteratura umoristica dell’Ottocento. Vignette varie e numerose, dialoghi e «sillogismi» scherzosi, buffi monologhetti e storie o articoli brevi, parodie in versi e via discorrendo, risuonano così allo stesso tempo vecchi e nuovi, ma sempre in maniera vitale: infatti vicende, personaggi, problemi del Novecento, sono messi alla berlina grazie a modelli o contenitori comico-satirici di derivazione ottocentesca. Insieme a tutto questo sono, ancora una volta, un analogo gusto del paradosso e dell’invenzione burlesca, lo stile scorrevole, il gioco linguistico a partire dalle valenze letterali della parola. Tuttavia, come le linee del disegno satirico risentono per essenzialità e tratteggio degli apporti formali delle avanguardie novecentesche o della pittura degli anni Venti-Trenta (non si dimentichi «Il Selvaggio» di Mino Maccari), così i modi del paradosso e del surreale sembrano scaturire da certo Futurismo o dagli esiti formali di Palazzeschi e Pirandello.
Lo statuto della stampa umoristica realizzata da Guareschi o supportata dal suo lavoro è talvolta misto, come lo fu ad esempio anche quello di un «settimanale-umoristico-illustrato» quale «Numero» fondato nel 1913, a cui collaborò STO. Intendiamo «misto» nel senso che vi possiamo trovare sia il puro intrattenimento, che mira a suscitare il sorriso – come l’innocua caricatura di un personaggio conosciuto (magari anche solo nella città di Parma) -, sia la pungente satira politica e sociale in grado di coinvolgere problematiche più ampie e profonde. Da questo punto di vista, nel godimento di una libertà di stampa e di espressione impensabile nell’età fascista, il «Candido» – con la sua caricatura, la parodia, l’ironia finalizzate ad una serrata critica degli eccessi degli ideologismi nel secondo dopoguerra – appare al di là delle contingenze uno degli esempi di «giornalismo umoristico» novecentesco più coerenti ed efficaci nella rappresentazione disincantata di tanti aspetti della società italiana contemporanea.
Daniela Marcheschi

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   158 commenti »

mercoledì, 5 marzo 2008

I CENT’ANNI DI ANNA MAGNANI

Se fosse ancora viva, tra un paio di giorni (il 7 marzo) Anna Magnani compirebbe cent’anni. Dedichiamo questo post a lei: una delle più grandi attrici italiane di tutti i tempi, un’icona del nostro cinema.

Nel post vi presenterò un libro edito da Minimum Fax e scritto da Giancarlo Governi, che uscirà per l’appunto giorno 7 marzo in occasione del centenario.

Giancarlo Governi, scrittore e giornalista (tra i fondatori del secondo canale Rai), è autore e presentatore di trasmissioni di successo come Supergulp!, Il pianeta Totò, Ritratti, Laurel & Hardy: due teste senza cervello, e ha pubblicato una ventina di libri tra biografie e romanzi.

Il titolo del libro è “Nannarella”(pag. 250, euro 16), il sottotitolo è “Il romanzo di Anna Magnani”.

Seguirà un scheda del libro, un brano estratto dal capitolo dedicato alla realizzazione del film “Roma città aperta” e un articolo sulla figura della Magnani pubblicato su La Stampa e firmato da Masolino D’Amico.

Troverete inoltre un paio di video: il primo offre alcune scene del film citato sopra, il secondo è un omaggio musicale per la Magnani che vede come protagonisti Celentano e la mia concittadina Carmen Consoli.

Giancarlo Governi parteciperà al dibattito e sarà a vostra disposizione per rispondere a domande e curiosità su Nannarella (libro e attrice).

Lancio un paio di domande per avviare il dibattito.

La Magnani ha avuto mai una vera erede?

A vostro avviso che cos’è che ha reso (e rende) questa attrice così speciale?

Ritenete che tra le attrici italiane di oggi ce ne sia qualcuna che, in un modo o nell’altro, faccia pensare alla Magnani?

(Massimo Maugeri)

_____________________

Perché dopo tanti anni si parla ancora di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto, e una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Di lei gli italiani, da più di cinquant’anni, hanno nella mente, negli occhi e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che metteva la parola fine al suo più grande personaggio, ma anche la sua risata ora irridente, ora canzonatoria, ora gioiosa: la risata di Nannarella.

Questa biografia – uscita con grande successo nel 1981, ora riveduta e integrata da nuovi documenti e testimonianze – narra i suoi amori drammatici, esclusivi, travolgenti; i suoi dolori laceranti, le sue gioie sfrenate, le sue improvvise voglie di giocare e il suo drammatico disincanto.

____________________

Brano estratto dal cap. 5 : UN FILM PARTORITO CON DOLORE (Roma città aperta, n.d.r.)

(…)

Mancano i generi alimentari, mancano i trasporti (i romani viaggiano aggrappati a sgangherate camionette) e manca anche la pellicola. La gente della troupe viene sguinzagliata per Roma alla ricerca di qualche spezzone. Rossellini è costretto a risparmiare, molte scene vengono girate una sola volta e non vengono stampati i «giornalieri», non c’è possibilità di controllare ciò che è stato girato giorno per giorno. Il rischio è molto grosso, perché se una scena non è venuta bene non può essere più girata, anche perché non c’è la possibilità di ricostruire la situazione su cui si basa.A un certo punto cominciano a scarseggiare anche i soldi. Rossellini ha iniziato a girare perché sa, per esperienza, che spesso nel cinema l’importante è dare inizio alle riprese e poi, quasi sempre, tutto si aggiusta. Jone Tuzzi, che di Roma città aperta fu la segretaria di produzione, racconta: «Roberto era sempre attaccato al telefono della latteria vicina a cercare soldi. Ogni tanto finivano i soldi e si smetteva, poi ne arrivavano un po’ e si girava qualcosa… Una volta aveva cinquantamila lire e le aveva messe in banca, e poi aveva fatto quasi duecentomila lire di assegni… C’era ancora il coprifuoco.

Giravamo a via Rasella, dov’era successo quello che era successo, e dove eravamo vicinissimi a un casino, quello degli Avignonesi. Al primo piano di dove lavoravamo c’erano delle ragazze, delle ragazze un po’ passate, delle “segnorine” che andavano coi negri. Quando giravamo, anche la notte, veniva sempre gente, venivano questi militari che vedevano le luci, e venivano lì, perché volevano scopare, ci avevano presi per il casino! Allora gli indicavamo il casino vero e li mandavamo da queste ragazze. Bisogna dirlo, fino a quel momento Rossellini era considerato uno di serie b, per cui facendo il film io non l’ho fatto neanche con la stessa passione con cui lavoravo di solito, l’ho fatto perché non ci avevo altro da fare, ero convinta che il film non sarebbe mai finito. Tant’è vero che, prima che finisse, io lasciai la lavorazione per tornarmene con Soldati, che stava preparando un’altra cosa. Chi avrebbe immaginato il film che ne è venuto fuori?»

Lo scetticismo nei confronti del film di cui parla Jone Tuzzi lentamente comincia a serpeggiare in tutta la troupe, un po’ perché il film è fatto veramente in condizioni miserevoli e frammentarie che non permettono di prevedere il risultato finale; ma anche perché è veramente un film diverso, molto lontano da quelli che il cinema italiano ha prodotto prima e durante la guerra.

Molte scene, talvolta le più importanti, quelle che rimarranno impresse nella mente degli spettatori di tutto il mondo, nascono per caso. Come la scena dell’uccisione del personaggio interpretato da Anna Magnani: la donna che viene falciata dai mitra tedeschi mentre si getta all’inseguimento del camion che porta via il suo promesso sposo.

Sergio Amidei racconta che la scena, non prevista dal copione con questa dinamica, gli fu suggerita da un’ennesima lite – una delle ultime – fra Anna e Massimo Serato, che era andato a trovarla sul set.

«Una volta che avevamo girato una scena», racconta Amidei, «con la Magnani, Fabrizi e un tedesco, grazie a un prete trafficone che ci aveva fatto girare di notte, dietro la caserma dei carabinieri a Trastevere, la Magnani aveva litigato con Serato, che era il suo uomo di allora, e Serato era scappato di corsa, saltando su una camionetta della produzione che aveva fatto mettere subito in moto. La Magnani corse appresso a questa camionetta, gridando i peggiori insulti di cui era capace, frocio, magnaccio, roba del genere! È stato questo il complemento del primo episodio: la Magnani dietro il camion dei tedeschi che le portano via il suo uomo». È, comunque, una scena che Anna vive con una passione e una verità inedite nel cinema di tutti i tempi.

Anna, nonostante le difficoltà, si appassiona al film, lo capisce e sente che la farà uscire dal bozzettismo popolaresco e farà scoprire agli spettatori e al cinema che, sotto quella potentissima maschera comica, c’è una maschera drammatica altrettanto potente. E poi laguerra, perlomeno l’ultima parte, quella terribile dell’occupazione nazista, Anna l’ha vissuta con rabbioso orrore.

(…)

_____________________

Anna Magnani non ritirò l’Oscar per “La rosa tatuata”

Articolo di Masolino D’Amico, pubblicato su La Stampa del 23 febbraio 2008

-
L’Oscar che Hollywood assegnò ad Anna Magnani nel 1955 per La rosa tatuata non fu solo l’omaggio a un’icona del neorealismo italiano, la cui rivelazione, subito dopo la guerra, era ancora recente, ma anche e soprattutto il tributo a un modo di recitare che solo allora il cinema americano si stava attrezzando per accogliere. Non che i seguaci della spontaneità fossero sconosciuti, ma gli attori del cosiddetto «Metodo» erano ancora confinati in teatro – il clamoroso esordio di Marlon Brando a Broadway è della fine degli Anni 40 – e il grande schermo fu lento a dar loro spazio. Questo, anche per ragioni tecniche. La presa diretta imponeva agli attori movimenti molto rigidi per non allontanarsi dai microfoni piazzati in alto (nel suo primo film Orson Welles inquadrò provocatoriamente i soffitti delle stanze, cosa che non si faceva mai), il che dava alle loro prestazioni, quasi sempre, un carattere freddo, solido, manierato. In Italia invece si doppiava, cosa allora enormemente meno costosa, quindi l’attore era libero di muoversi e anche di improvvisare: la voce veniva aggiunta in un secondo tempo, da lui o se necessario da un altro più bravo di lui. Questo era particolarmente congeniale ad Anna Magnani (di cui ricorre il 7 marzo il centenario della nascita, celebrato in questi giorni a Hollywood in occasione dell’Oscar), attrice nata per il cinema se mai altra ve ne fu, e non soltanto per ragioni di fotogenia – occhi enormi, carnagione pallida che la luce accarezzava – ma anche di temperamento. Artisticamente era una tigre o una leonessa, animali che dormono tutto il tempo ma poi di colpo si svegliano e sfoggiano riflessi micidiali; e l’attore di cinema passa tutto il tempo aspettando sul set quei 30, 40 secondi in cui è chiamato a dare il massimo. Sto parlando di indole, beninteso, non di mestiere (esistono anche i grandi attori solo di cinema), perché naturalmente
la Magnani veniva dal teatro, dove aveva fatto tutto, accademia e gavetta, e quindi la sua preparazione tecnica era impeccabile. È solo che non amava la routine, la monotonia del teatro: non a caso sulle scene diede il meglio di sé nelle esplosioni della rivista, dove negli «ad libitum» tenne testa perfino a un mostro come Totò. Spinta da Tennessee Williams, che venerava Anna e scrisse tre o quattro commedie pensando a lei senza mai riuscire a convincerla a recitarle dal vivo, Hollywood importò la diva ma non riuscì a annettersela, proprio per le ragioni caratteriali di cui sopra. Diventare una star del cinema americano avrebbe comportato una disciplina che Anna non si sentiva di affrontare: studiare l’inglese come si deve, prendere molti aerei, adeguarsi alle scelte della casa di produzione, e via dicendo. Non andò nemmeno a ritirare l’Oscar. Per fare simili violenze al suo carattere ci voleva un’ambizione che Anna non possedeva, a differenza di colei che avrebbe raccolto il testimone di ambasciatrice del nostro cinema negli Usa e alla quale proprio lei idealmente lo consegnò. Quando Carlo Ponti, che aveva comprato La ciociara di Moravia, la incalzava perché voleva produrlo per gli americani con lei come la madre e Sophia Loren nella parte della figlia, Anna finalmente (d’accordo, giocò anche il fatto che si sentiva ancora troppo giovane, perlomeno sullo schermo, per una figliolona grande e grossa come quella) gli disse: «Ma perché non fai fare la madre a Sophia, e le prendi una bambina vera?». Il resto, come si dice, è storia. Non che gli americani rinunciassero mai del tutto all’attrice. Due anni dopo l’Oscar, Anna ebbe un’altra nomination con Selvaggio è il vento di George Cukor, e in seguito ci fu un secondo Tennessee Williams, diretto da Sidney Lumet, e proprio con Marlon Brando: Pelle di serpente, in cui le due star ormai viziatissime e in cagnesco reciproco fecero a gara di capricci e manierismi, dando vita a un’antologia di imitazioni di loro stessi che fu vinta da quello che giocava in casa e che, finito il film, poco cavallerescamente dichiarò: «Ne farei un altro con lei solo a condizione di avere in mano un sasso e poterglielo dare in testa ogni tanto». Finirono così i faticosi spostamenti in piroscafo e treno per guadagnare i set di Los Angeles. Ma il cinema statunitense le affidò ancora almeno una parte di popolana italiana in un kolossal, Il mistero di Santa Vittoria, un film post-post neorealista all’americana su un immaginario paesino che si coalizza per impedire ai tedeschi occupanti di mettere le mani sul suo prezioso vino. Quando l’Oscar arrivò, Anna era ancora un grande e rispettato nome nel cinema italiano, ma in patria non aveva più molte occasioni – Bellissima di Visconti non era stato un successo, Rossellini era passato alla Bergman, il pubblico chiedeva intrattenimento e non drammi, e molta comicità, monopolio (ancora) degli interpreti maschili. E voleva le maggiorate. Alla notizia io e un mio amico quindicenne e cinéphile come me le mandammo un telegramma di congratulazioni che diceva tra l’altro: «Abbasso le bone». Lei ci rispose con un altro: «Grazie ragazzi, ma alla vostra età ci vogliono anche quelle».

Il video qui sopra (tratto dalla trasmissione di Rai Uno "La situazione di mia sorella non è buona") ha come protagonisti Carmen Consoli e Adriano Celentano. Insieme cantano "Anna Magnani", scritta dalla "cantantessa" per il nuovo disco del "molleggiato" su testo di Vincenzo Cerami.

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   130 commenti »

martedì, 6 novembre 2007

LETTERA A ENZO BIAGI

Enzo BiagiLo sapete tutti. Enzo Biagi è morto stamani a 87 anni. Si è spenta la voce del decano dei giornalisti italiani, “una grande voce di libertà”, come ha commentato a caldo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Un po’ tutte le personalità, dal mondo della politica a quello del giornalismo, hanno speso parole di cordoglio e riconoscenza (vi segnalo qui sotto i commenti più rilevanti).

Vi dico la verità. Ero indeciso se scrivere questo post. Non mancano certo contributi, commenti, editoriali sparsi per la rete. Qualcuno di voi, però, mi ha incitato a farlo. E io, come sapete, ascolto il più possibile le vostre “indicazioni”.

Di conseguenza considerate questo come il “vostro post”, non il mio.

Vi invito a scrivere una lettera (ma vanno bene anche brevi commenti).

Scrivetela come se Biagi potesse davvero leggerla.

Insomma, considerate questo spazio come una pagina bianca.

A voi il compito di riempirla. Se volete.

Vi ringrazio.

(Massimo Maugeri)

_____________________________________________________________

_____________________________________________________________
Eugenio Scalari: “Una frase non basta per ricordare un giornalista della grandezza di Biagi. Domani affiderò alle colonne del giornale un lungo ricordo dell’amico scomparso”.

Romano Prodi: “Viene a mancare un grande maestro dell’informazione” e una “figura storica del giornalismo”, che “si è battuto sempre per la salvaguardia della libertà dell’informazione e del paese”.

Silvio Berlusconi: “Al di là delle vicende che ci hanno qualche volta diviso omaggio ad uno dei protagonisti del giornalismo italiano cui sono stato per lungo tempo legato da un rapporto di cordialità che nasceva dalla stima”.

Ferruccio De Bortoli: “È andato via un maestro che ci ha insegnato molto. (…) Con lui muore uno dei testimoni del 900″.

Paolo Mieli: “Dall’inizio degli anni ‘90, da quando cioè per la prima volta sono diventato direttore del Corriere della Sera mi ha sempre tenuto una mano sulla spalla, gli devo moltissimo, e quella mano mai, neanche una volta, me l’ha fatta pesare”.

Sergio Zavoli: “Molte cose della fine di Enzo assomigliano alla morte di Federico Fellini”.

Walter Veltroni: “Tutti gli italiani ricorderanno la sua voglia di libertà, la sua passione e il suo rigore nel raccontare la storia e i personaggi del nostro tempo recente. Enzo Biagi mancherà a tutti noi, anche perché insieme a lui siamo cresciuti, abbiamo capito fatti e storie, ci siamo emozionati e appassionati al nostro tempo”.

Gianni Riotta: “E’ stato il maestro della mia generazione di giornalisti, scriveva e andava in onda sempre per il pubblico. Diceva sempre no ai tromboni e ai titoli incomprensibili”.

Bruno Vespa: “Enzo Biagi è stato un grandissimo cronista, nel senso che mentre Montanelli ci ha insegnato la grande ritrattistica, Biagi è stato l’uomo dei particolari minuti, scavava forse meglio nell’animo, raccontava bene le piccole cose che riusciva a far diventare grandi”.

Dario Fo: “Quando uno come Enzo Biagi che amava tantissimo il proprio lavoro viene tolto di mezzo in quel modo così brutale che conosciamo, lo si ammazza a metà”. È un lutto nazionale. (…) Ho provato situazioni di cacciata diretta e so cosa significa essere di colpo senza un lavoro che, come nel caso di Biagi, è la tua vita. E non voglio aggiungere altro”.

Emanuele Filiberto di Savoia: “Biagi è stato un vero baluardo di civiltà e un difensore della libertà nella sua più pura essenza, nel costante rispetto di ogni opinione”.

Monsignor Ravasi: “Aveva un’anima spontaneamente cristiana (…). Nei suoi libri non mancava mai una dimensione spirituale”.

Daniele Luttazzi: “L’ho conosciuto qualche mese fa, in occasione dell’intervista che mi fece per il suo programma ‘RT’ e mi colpì moltissimo per un dato evidente del suo carattere: era un galantuomo, una persona integra”.

Pippo Baudo: “Enzo Biagi, una volta mi raccontò che suo padre, che era ferroviere, lo chiamava ’sovversivo’, perché si rendeva conto che suo figlio era molto avanti con le idee”.

Pier Ferdinando Casini: “Enzo Biagi è stato un grande opinion leader dei nostri tempi, interprete di un giornalismo libero e proprio per questo scomodo. Anche chi non lo ha amato deve oggi apprezzarlo e rendergli omaggio, come si deve a un grande che esce di scena”.

Massimo D’Alema: ”Perdiamo un grande giornalista, che, con il suo stile e il suo lavoro, ha segnato un’epoca di giornalismo sulla carta stampata e in televisione”.

Rosy Bindi: ”Con lui scompare un italiano perbene e un grande giornalista, testimone dei profondi cambiamenti dell’Italia contemporanea, che non è mai venuto meno alla ricerca della verità”.

Claudio Cappon: “Con la scomparsa di Enzo Biagi la Rai perde un grandissimo giornalista che ha dato lustro negli anni all’azienda e a tutto il giornalismo italiano”.

Claudio Petruccioli: “Enzo Biagi era straordinario, ma mentre per la carta stampata ci sono altri, pochi, pochissimi, che possono essere paragonati a Biagi, credo che per la televisione non ci sia nessuno come lui”.

Fausto Bertinotti: “Un protagonista della vita civile e culturale”, uno “dei più importanti giornalisti” del dopoguerra”.

Franco Marini: “Testimone prezioso e insieme protagonista di molti decenni di storia italiana, ha saputo osservare, raccontare e spiegare come forse nessun altro la realtà di un paese in continuo cambiamento”.

Giorgio Bocca: “Polemizzavamo spesso perché io prendevo in giro la sua retorica bolognese. Lui si arrabbiava. In politica però andavamo d’accordo, tutti e due di sinistra, siamo sempre stati dell’area socialisti e antiberlusconiani”.

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   69 commenti »

sabato, 6 ottobre 2007

CENT’ANNI DI VITALIANO BRANCATI

Cent’anni fa nasceva Vitaliano Brancati (per l’esattezza il 24 luglio del 1907). C’è da dire che la ricorrenza non è passata inosservata. Se ne è parlato molto, quest’estate, sulle pagine culturali di quasi tutti quotidiani.
Vi propongo due video relativi alla bella mostra organizzata a Catania in occasione del centenario presso il centro fieristico “Le Ciminiere” (sponsorizzato dal Ministero dei Beni Culturali e dall’Assessorato alla Cultura della Provincia Regionale di Catania). Ne approfitto per ringraziare la professoressa Sarah Zappulla Muscarà per la sua disponibilità.

(Qualora non riusciste a visualizzare i video cliccate sui rispettivi titoli per poterli visionare direttamente su YouTube).

Di seguito vi riporto un mio articolo pubblicato sulla pagina Cultura de Il Mattino del 23 luglio 2007.

________________


Mostra centenario nascita Vitaliano Brancati (parte I)

Mostra centenario nascita Vitaliano Brancati (parte II)

___________

Cent’anni son passati da quel 24 luglio del 1907 che segnò la nascita di Vitaliano Brancati, autore siciliano che si è conquistato con merito un posto di rilevo nella storia della letteratura italiana del Novecento. Conquista avvenuta nonostante la prematura scomparsa, avvenuta a Torino il 25 settembre del 1954 quando aveva 47 anni: età – di norma – in cui uno scrittore comincia a dare il meglio di sé. Una ricorrenza da ben celebrare, dunque. La moglie Anna Proclemer – che al marito ha voluto dedicare un pensiero in cui esprime ammirazione e amore ancora vivi: «Darei quel che mi resta da vivere per avere la possibilità di leggere una tua pagina sulla realtà italiana di oggi» -, insieme alla figlia Antonia, domani sera a Catania presenterà alle «Ciminiere» il recital «Viaggio intorno a Brancati» e nello stesso giorno si aprirà la mostra «Dalla Sicilia all’Europa, attraverso Brancati», curata da Enzo Zappulla e Sarah Zappulla Muscarà, Annamaria Andreoli e Franca De Leo, nell’ambito di Etnafestival. Perché è bene ricordare il Brancati scrittore, ma gli onori della ricorrenza vanno tributati anche allo sceneggiatore di cinema, all’autore di opere teatrali, al saggista e giornalista. Sono tanti i meriti dell’autore nato a Pachino e cresciuto a Catania, ma tra tutti primeggia la capacità di aver saputo conferire alla propria opera una forte connotazione umoristica. Forse è proprio questa l’eredità principale che lascia. Del resto Brancati non ha mai nascosto l’importanza che egli stesso attribuiva al comico, come è dimostrabile da questo stralcio tratto dal volumetto I piaceri: «Si ha paura del comico come di un potere diabolico. (…) Il male di non sopportare l’ironia non è vecchio in Italia. Comincia col Seicento. Nel Cinquecento, invece, il popolo italiano possedeva, insieme col più alto senso della realtà (Machiavelli), la più intelligente e poetica ironia (Ariosto). Dopo quel secolo, l’ironia abbandona l’Italia, lasciando al suo posto una forma pigra, passiva, rozza come la vignetta o la barzelletta. Eppure in nessuna parte del mondo essa è necessaria come da noi». Sciascia individuò in Brancati lo scrittore nazionale che meglio aveva saputo rappresentare le due tragicommedie italiane: quella del fascismo e quella dell’erotismo, intrecciandole in un contesto in cui il rispetto della vita privata e delle idee dei singoli erano ignoti o dimenticati, e tratteggiandone – al tempo stesso – le manifestazioni comiche in guisa tale da inglobare nel comico anche le situazioni tragiche. Il comico, il grottesco, l’ironia beffarda, veicolati attraverso l’erotismo, esplodono in Don Giovanni in Sicilia e rimbalzano con intensità variabile nelle altre opere dell’autore siciliano, fino a cedere il passo al sorriso amaro che si trasmuta in ossessione tragica nelle pagine di Paolo il caldo. Nel corso delle celebrazioni le tematiche saranno approfondite e riproposte. Sperando che non venga riproposto con altrettanto zelo il termine «gallismo», anacronistico e usurato. Forse sarebbe meglio far riferimento al – più generico, ma efficace – «umorismo brancatiano». Come ha scritto Enzo Siciliano a proposito del Don Giovanni in Sicilia: «Non è lo straordinario caratteriale di una piccola comunità che Brancati racconta, ma l’ordinario della comunità nazionale. (…) Pensare che egli fosse semplicemente uno scrittore siciliano o catanese significa fargli torto: fare torto non solo alla vitalità della sua immaginazione, ma alla luciferina forza conoscitiva che la possedeva e che esprimeva». Ha ragione. Per questo comprimere, oggi, l’opera di Brancati nei confini angusti del «gallismo» potrebbe tradursi, implicitamente, in un’involontaria accusa di effimero e datato provincialismo.

Massimo Maugeri

Vorrei invitarvi a ricordare Brancati e le sue opere. Ci state?

Un suo libro che avete amato. Un film da lui sceneggiato, o tratto dalle sue opere, che ricordate con piacere. Una sua opera teatrale, o altro. Fate voi.

Grazie.

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATITUDINE TV, OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   66 commenti »

Letteratitudine: da oltre 15 anni al servizio dei Libri e della Lettura

*********************
Regolamento Generale europeo per la protezione dei Dati personali (clicca qui per accedere all'informativa)

*********************

"Cetti Curfino" di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) ===> La rassegna stampa del romanzo è disponibile cliccando qui

*********************

*********************

*********************

*********************

OMAGGIO A ZYGMUNT BAUMAN

*********************

OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

*********************

RATPUS va in scena ratpus

*********************

Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

*********************

"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

LETTERATITUDINE su RaiEdu (clicca sull’immagine)

letteratitudine-su-rai-letteratura

letteratitudinelibroii richiedilo con lo sconto di 4 euro a historicamateriale@libero.it o su ibs.it - qui, il dibattito sul libro

letteratitudine-chiama-mondo

letteratitudine-chiama-scuola

Categorie

contro-la-pedofilia-bis1

Archivi

window.dataLayer = window.dataLayer || []; function gtag(){dataLayer.push(arguments);} gtag('js', new Date()); gtag('config', 'UA-118983338-1');
 
 

Copyright © 1999-2007 Elemedia S.p.A. Tutti i diritti riservati
Gruppo Editoriale L’Espresso Spa - P.Iva 05703731009