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lunedì, 21 gennaio 2008

LA KRYPTONITE NELLA BORSA di Ivan Cotroneo

Voglio presentarvi il nuovo romanzo di Ivan Cotroneo, scrittore nato a Napoli nel 1968.

Cotroneo è anche il traduttore per l’Italia delle opere di Michael Cunningham e Hanif Kureishi. Scrive per il cinema, la televisione e la radio. Con Bompiani ha già pubblicato Il piccolo libro della rabbia e i romanzi Il re del mondo e Cronaca di un disamore. La kryptonite nella borsa è il suo terzo romanzo.

Vi presenterò il romanzo e, di seguito, avrete modo di leggere un brano del libro (ne approfitto per ringraziare la Bompiani per avermi concesso l’apposita autorizzazione).

Naturalmente vi invito a discuterne e a interagire con l’autore (che spero possa partecipare alla discussione). Poi vi propongo una sorta di gioco da portare avanti insieme al dibattito.

Poiché La Kryptonite nella borsa descrive la Napoli dei primi anni Settanta, vi invito a descrivere i “vostri” luoghi così come ve li ricordate negli anni in cui è ambientato il libro di cui discuteremo.

E poi, un altro tema su cui si potrebbe discutere è quello della solitudine dei bambini.

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Davvero ottimo il nuovo romanzo di Ivan Cotroneo, La kryptonite nella borsa – (Bompiani, 2007, pagg. 205, euro 14,50).

Nella Napoli degli inizi degli anni Settanta, Peppino, un bambino di sette anni, esteticamente sgradevole (se non proprio bruttino), vede il mondo attraverso le lenti dei suoi occhialini con l’asta rotta (poi riparata con il nastro adesivo) e il filtro naturale dell’appartenenza a una famiglia molto caratteristica, una di quelle che oggi sarebbero definite con l’ausilio di un aggettivo di nuovo conio: “disfunzionale”.

Peppino è anche un bambino solitario, spesso vittima di episodi di bullismo perpetrati ai suoi danni da alcuni compagni di classe che non fanno della sensibilità il loro cavallo di battaglia. Un bambino che deve fare i conti con i risvolti di una vita difficile da interpretare. Sua madre Rosaria, per esempio, è depressa ai limiti dell’immobilismo a causa del tradimento del marito. Il padre, dal canto suo, usa come alcova la Fiat 850 blu avion di famiglia senza essere a conoscenza del fatto che la moglie sa e tace (e per questo si ammala). E proprio per via di questo male oscuro che paralizza la madre, confinandola sotto le lenzuola di un letto, Peppino si trova a vivere in una sorta di famiglia allargata con tanto di nonni e zii ventenni. Questi ultimi – Titina e Salvatore – lo portano in giro per una Napoli psichedelica e colorata, dove vanno di moda pantaloni a zampa d’elefante, feste alternative negli scantinati e collettivi femministi; e dove circolano alcol, droga e pasticche allucinogene (che persino il ragazzino – sebbene inconsapevolmente – si troverà a ingurgitare).

E poi c’è Gennaro, altro personaggio chiave del romanzo: un ragazzo dotato di immaginari superpoteri che derivano, evidentemente, da reali superproblemi. Gennaro crede di essere Superman e scorazza per la città partenopea – abbigliato con calzamaglia blu elettrico, pullover a colo alto e una mantellina rosa da parrucchiere sulle spalle – in cerca di kryptonite nelle borse delle passanti. Perché solo la kriptonite è in grado di fermare Superman. Di certo non un automezzo. Forse è questo che pensava Gennaro poco prima di finire sotto un autobus, o forse – molto più tristemente – desiderava spegnere l’interruttore di una vita solitaria e insostenibile per via di una sospetta omosessualità latente.

Gennaro muore, ma risorge nelle fantasie di Peppino; perché Peppino ha bisogno di una guida, di un punto di riferimento, di qualcuno in grado di badare a lui un po’ meglio degli zii “alternativi”, o dei nonni anziani, o dei genitori assenti. Così Gennaro gli appare nei momenti topici della sua vita di ragazzino, sempre prodigo di consigli, di esempi, di filosofia spicciola; ma soprattutto sempre pronto ad ascoltarlo nel rumore silenzioso e sordo del contesto famigliare. E in uno di questi momenti Peppino si troverà a volare sopra le spalle di SuperGennaro e a contemplare questa Napoli cotronea che è al tempo stesso stravagante e volutamente stereotipata; e che emerge dalle pagine con la forza e la peculiarità dei modi di dire, delle espressioni tipiche, dei luoghi, delle strade, persino dei nomignoli attribuiti alle persone (che finiscono con il prevalere sui nomi reali).

In definitiva, Ivan Cotroneo, usando un linguaggio parlato e credibile, ci offre un romanzo originale, ricco di racconti e aneddoti correlati, ma ricco anche di ironia, di connotazioni comiche e risvolti tragici. Un romanzo che fa pensare senza essere tedioso, che fa sorridere senza essere volgare, che fa commuovere senza essere mieloso.

Merce rara di questi tempi.

Massimo Maugeri

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Da La kryptonite nella borsa di Ivan Cotroneo

Quando Peppino aprì gli occhi e vide, nel buio della sua stanzetta, la sagoma allampanata di Gennaro seduta ai piedi del letto, che gli sorrideva tranquillo con i suoi denti sghembi, non ebbe affatto paura.

Prese gli occhiali dal comodino, se li infilò con attenzione, raddrizzò la stanghetta rotta e lo guardò bene, per essere sicuro di non sbagliare. Sì, era proprio lui.

“Ciao Gennaro. Come stai?”

“Come mi vedi. Bene.”

In effetti, agli occhi di Peppino, Gennaro non stava affatto male. La calzamaglia blu era quella di sempre, così come la sua maglia a collo alto non particolarmente pulita. La mantellina rosa era annodata stretta sotto il collo, con un bel fiocco sistemato, e Gennaro la scostò dal petto con studiata noncuranza, molto elegantemente.

Il suo sguardo era attento, e perfino allegro.

Non aveva ingessature, né segni sul volto. Non sembrava riportare nessun effetto secondario in seguito allo scontro frontale con l’autobus numero 111 barrato, a parte, forse, una nuova pettinatura: fosse stata o meno una conseguenza dell’impatto, ora teneva i capelli tutti tirati all’indietro, che non gli stavano nemmeno male. Peppino decise di porgli subito la domanda che gli premeva, senza girarci troppo intorno.

“Genna’, senti una cosa… Io non capisco… Ma tu, non eri morto?”

“Io? E chi te lo ha detto?”

“Mamma… zia Titina… tutti.”

“La gente parla solo per parlare.”

“Ma quelle dicono che il pullman ti ha investito.”

“Il pullman mi ha investito, questo è vero. Esso non si è fermato. Ma io non sono morto.”

“E allora chi hanno messo nella bara in chiesa?”

Gennaro in un vago gesto di insofferenza un po’ femminile sollevò la mano destra, nella quale, Peppino si accorse solo ora, teneva una sigaretta accesa. Voleva dire, con quel gesto: Lascia perdere queste sciocchezze.

“Bambino, non devi credere a tutto quello che dice la gente. Io sono morto, ma non sono morto.”

Peppino lo guardò in silenzio, mentre Gennaro aspirava una boccata dalla sigaretta e soffiava un po’ teatralmente il fumo nella sua stanzetta.

“Genna’, penso che non ho capito un’altra volta.”

Gennaro sospirò paziente, poi fece volare via la sigaretta, che finì sul pavimento dall’altro lato della stanza.

“Peppino, tu lo sai che ho i superpoteri. Sei l’unico che mi ha sempre creduto.”

“Sì.”

“E per questo, sei l’unico che può sapere. L’unico che mi può vedere. Io sono morto per tutti ma non per te. I miei superpoteri mi hanno salvato.”

Peppino si rimise a posto gli occhiali che gli stavano scivolando sul naso. In effetti, quadrava. Se uno aveva i superpoteri, non poteva certo bastare un autobus dell’Atan in servizio dalla stazione centrale a piazza Municipio a eliminarlo. Eppure altre cose non sembravano a posto. Perché nascondersi a tutti? E perché adesso Gennaro parlava cercando di darsi un tono da signore, evitando il dialetto e aggiustandosi il collo della maglia in continuazione? La morte sembrava avergli dato importanza, una nuova concezione di sé, più alta, più complessa, schifiltosa e perfino un po’ snob.

“Genna’, ma io ti vedo diverso…”

“E perché, prima mi vedevi uguale agli altri?”

“No, ma… Quando hai cominciato a fumare? Non mi ricordo che…”

“E infatti prima non fumavo. Ho cominciato dopo. Finché ero vivo, non mi piaceva. Ma da qua le cose sono un po’ differenti. Che vuoi capire, tu…”

Peppino lo osservava, e più lo osservava, più si convinceva che doveva credergli.

“Genna’, ma quindi a finale avevo ragione io. Tu sei veramente Superman.”

Gennaro sorrise.

“Certo che sono Superman. Però sono Superman napoletano.”

“E ci sarai sempre per me? Mi aiuterai?”

“Praticamente sono qua per questo. Ogni volta che hai bisogno di me, se non tengo troppo che fare, tipo sventare una rapina a Forcella, o impedire uno scippo alla Pignasecca, o sconfiggere Lex Luthor il genio del male a Materdei, io ti verrò a trovare per vedere come stai.”

Peppino sorrise. E pensare che proprio quella mattina, nella III A della Scuola Elementare Adelaide Ristori, in mezzo ai suoi compagni di classe che lo prendevano in giro, si era sentito solo. Sua madre, inavvicinabile, restava sempre stesa a letto, nella stanza buia dove cercava di sfuggire al mal di testa. Suo padre era in continuazione al lavoro, dove ultimamente gli orari sembravano allungarsi e dilatarsi sempre di più, senza nessuna regola precisa. E lui si era sentito abbandonato. Che stupido era stato, non ci poteva pensare! Come faceva a sapere che quella stessa notte avrebbe capito di essere il bambino più fortunato del mondo, l’unico ad avere sempre Superman a disposizione!

Vabbe’, quasi sempre. Se non c’erano rapine a Forcella o alla Pignasecca.

“Come faccio a chiamarti?” chiese Peppino.

“Col mio nome. Superman, o Gennaro de Cicco, va bene lo stesso.”

“E mo’ che facciamo?”

“E che vuoi fare? Non facciamo niente. S’è fatto tardi, perciò ci corichiamo. Tu dormi tranquillo, che ci sono qua io che veglio su di te. È la mia missione.”

Peppino si sfilò gli occhiali e li appoggiò di nuovo sul comodino. Si tirò la coperta sotto il mento.

“Buonanotte.”

“Buonanotte.”

Nel silenzio, Peppino sentiva il peso di Superman sul materasso vicino ai suoi piedi. Se li allungava, poteva toccare l’esterno delle sue gambe, il suo corpo fatto di quel materiale misterioso che resisteva a tutto, e lo avrebbe salvato da qualsiasi cosa. Chissà se gli avrebbe insegnato a passare attraverso i muri, o a sentire il respiro delle formiche, o lo avrebbe aiutato con i compiti, o gli avrebbe rivelato il significato di tutte le cose che non capiva. Era buio, ma non aveva paura.

Sapeva che Gennaro poteva vedere comunque con la sua vista speciale.

Si sentì protetto, forse per la prima volta nella sua vita. Si voltò su un fianco e riprese a dormire.


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Scritto lunedì, 21 gennaio 2008 alle 23:52 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

139 commenti a “LA KRYPTONITE NELLA BORSA di Ivan Cotroneo”

Cari amici,
articolerei questo post suddividendolo in tre parti.
1) Discussione sul libro di Ivan Cotroneo
2) Descrizione dei “vostri” luoghi negli anni Settanta (questa è una specie di sfida… vediamo chi la raccoglie)
3) Discussione sul tema della solitudine dei bambini

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 23:55 da Massimo Maugeri


Invito, naturalmente, Ivan Cotroneo a partecipare al dibattito.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 23:56 da Massimo Maugeri


Nomino la nostra Gea co-moderatrice (e co-conduttrice) di questo post.
-
@ Gea
So che hai letto il libro. Non ti tirare indietro, eh?

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 23:57 da Massimo Maugeri


@ Ivan: intervieni, dai! Così ti mando un bacio bacio virtuale – ricordi i pronto pronto???
Ho avuto la gioia di conoscere Ivan Cotroneo grazie a Luigi La Rosa e ricordo ancora la giornata catanese trascorsa insieme a loro e alle carissime Simona e Adriana…
Torna a Siracusa che ti aspettiamo a braccia aperte!
Sul libro interverrò poi… per adesso ninna e un salutone a Massimo…
Che è un po’ The Gladiator de noantri, che combatte nell’arena della cultura… E noi col pollice recto!!!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:01 da Maria Lucia Riccioli


Va’ a nanna tranquilla, Maria Lucia.
Vedrai che Ivan interverrà
:)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:08 da Massimo Maugeri


non mi tiro indietro, no.
ma è mezzanotte, baby…. :-)
molto sinteticamente, per poi riprendere domani.
è un libro delizioso. molto visivo, cinematografico, quasi.
ricco di storie collaterali, pieno di napoletanità e umanità.
la famiglia, per quanto disfunzionale (ma quale famiglia non lo è in qualche momento?) è comunque calda e avvolgente; a suo modo, certo, e peppino spesso si sente solo. ma ogni bambino non omologato agli standard fa questa esperienza. il suo problema non è più di tanto la famiglia, quanto la ancor vaga sensazione di essere diverso dagli altri.
e non a caso sceglie come nume tutelare un altro diverso, un diverso estremo: gennaro, superman napoletano, misero nella sua calzamaglia sdrucita e mantellina da parrucchiere, morto, per di più. ma con i superpoteri. quali non si sa, ma non importa.
ogni personaggio è vivo, molto umano nei suoi limiti ed eccessi (la mamma, la nonna, la maestra..) i giovani fanno i giovani come solo negli anni ‘70 si poteva, gli adulti stanno a cavallo tra due mondi e non sanno bene come gestirsi, gli anziani si chiudono, chi più chi meno, nelle loro tradizioni, rinunciando a comunicare.
io l’ho letto come un bildungsroman. un libro di costruzione del sé.
anche se peppino ha solo sette anni inizierà verso la fine a capire che essere se stessi è giusto e bello.
faticoso, magari. ma ne vale la pena.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:20 da gea


Maledetto fu l’estratto e chi lo lesse! La solita rogna, parlare di un libro avendone soltanto assaggiato una minuscola porzione. E i pensieri si affastellano confusi tra il timore di non esprimere una certezza e la paura di sparare una cazzata.
L’estratto è fantasioso. Che altro dire? Sicuramente invoglia a laggere anche il resto. Se davvero uno riuscisse a leggere tutto quello che alcuni estratti suggeriscono. Bisogna fare delle scelte e, onestamente, non so se sceglierò di leggere questo romanzo. Ma intanto mi viene in mente una domanda banale. Come fa un autore nato nel 1968 a descrivere umori e atmosfere dei primi anni ‘70?
“E come faresti tu – potrebbe replicarmi Cotroneo – a scrivere un saggio sulle guerre puniche?”.
“Non lo scrivo”, risponderei. Ma il dialogo è surreale. Magari per far vivere agli altri qualcosa non è necessario averla vissuta in prima persona.
Per ora mi fermerei. Magari domani, a mente fresca, rileggo meglio l’estratto altrimenti il tasso di cazzate si impenna. Sui miei anni ‘70 forse parlerò. Devo comunque far mente locale. Ero sempre così strafatto che, al momento, non mi ricordo una mazza.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:20 da Enrico Gregori


@ Gea
Ottimo. Brava!
Ti ricordo che sei ufficilamente nominata co-moderatrice e co-conduttrice del post.
E ricordati – visto che parliamo di supereroi – che da un grande potere deriva una grande responsabilità.
:)
Va be’, la citazione era di Spiderman, non di Superman… ma fa lo stesso.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:27 da Massimo Maugeri


@ Enrico
Ti confermo che questo (almeno per me) è un ottimo libro.
È ambientato nel 1973 (per l’esattezza). A quel tempo Ivan aveva 5 anni, mentre Peppino (nel romanzo) ne ha sette.
Detto ciò mi sento di sottolineare che il libro ha una componente autobiografica.
Ma di questo ce ne parlerà lo stesso Ivan…
‘Notte e a domani.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:30 da Massimo Maugeri


ti ricordo, massimo, che la responsabilità principe è quella di chi delega: sapersi scegliere i collaboratori è essenziale.
fino a tempi relativamente recenti, in giappone, in caso di fallimento di un sottoposto il dirigente che lo aveva scelto era moralmente obbligato al harakiri…
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:32 da gea


@ Gea
Con te posso dormire sonni tranquilli… e godere di lunga vita.
A domani
:)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:34 da Massimo Maugeri


Non nego la possibilità di inserire in un libro elementi autobiografici anche se la storia è ambientata in un periodo nel quale avevamo 5 anni.
Non posso fare illazioni su questo romanzo in quanto non l’ho letto. Ma, in generale, una cosa è ricordare e raccontare di quando ti si è scassato il triciclo e un un’altra è riportare atmosfere, colori, costumi, hobby e vizi di una società. Comunque, Gea e Massimo, sono pronto a fidarmi di vioi a scatola chiusa. Se poi sbuca Sozi a dire che questo romanzo è una chiavica, allora esco a comprarlo. E se dimentico i soldi a casa, lo rubo.
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:40 da Enrico Gregori


Di Ivan Cotroneo avevo letto ‘Cronaca di un disamore’, libro intenso e struggente. Questo a prima vista pare profondamente diverso, molto più ironico. Lo leggerò senz’altro.
Sulla solitudine dei bambini ci sarebbe tanto da dire. Se posso ne parlerò domani.
Un saluto a Ivan Cotroneo e a tutti voi.
Smile

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 09:02 da Elektra


Dalla osservazione di Enrico potrebbe ricavarsi una domanda per Ivan.
Su quali elementi ti sei basato per ambientare la storia? Tua esperienza personale? Studi? Ricerche? Domande? Oppure altro?
Ivan scusa per la banalità delle domande, ma non mi veniva in mente nulla di più originale. Almeno per il momento.
Smile

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 09:05 da Elektra


Gentile Ivan, lei è un autore teatrale. scrive canzoni, è un bravo traduttore, è diplomato in sceneggiatura, si dedica con passione alle sceneggiature di molti film, si occupa di radio e t.v. Quindi, non solo coltiva molti interessi, ma dimostra di essere una persona poliedrica a tutto tondo.-1) Come riesce a conciliare tutte queste attività e dove compra il tempo per ben realizzarle tutte?- 2) Che differenza esiste fra lo stile scritturale di un libro e il lessico adottato per una valida architettura scenica? -3) Nella stesura dei suoi accattivanti romanzi, già predispone i dialoghi e l’ambientazione per un eventuale film da mettere in cantiere ?
3) In qualità di napoletano si sente più erede di noti autori come Domenico Rea o Michele Prisco o più affine alle commedie dello splendido teatro che hanno reso Napoli insuperabile, per la loro umanità?-4) Oltre il grande Hemingway, quale altro scrittore avrebbe voluto essere?
5) In una interessante intervista nella quale disvela ai lettori le cinque cose alle quali non rinuncerebbe mai, ossia :- il cibo, il sesso, il mare, la musica, New York, può dirci in quale ordine di priorità le metterebbe?
Ho appreso che predilige gli spaghetti al pomodoro e basilico e la pastiera napoletana, che io adoro le piace?. Ultima domanda..come amante del buon cibo, conosce il famoso super cuoco Iaccarino?
Mi spiace che le mie richieste siano generiche e non pertinenti al suo ultimo libro che ancora non ho letto.Grazie per la sua disponibilità e per le risposte che vorrà darci.
M. Teresa

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 10:18 da M. Teresa Santalucia Scibona


Non ho letto ancora nulla di Ivan Cotroneo, lo conosco meglio per il suo lavoro di sceneggiatore e autore (grande l’ Ottavo nano!) ma l’estratto che Massimo ha inserito nel post sollecita molto la mia curiosità.
Vorrei chiedere a Ivan come ha maturato l’idea di incentrare il suo romanzo sulla solitudine di un bambino, tema molto delicato da riuscire a trattare con ironia.
Per quanto riguarda gli anni ’70 non posso pronunciarmi, ci sono nata proprio in mezzo. Tutto quello che so è racconto, sono foto, ricordi passati da chi quegli anni li ha vissuti.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 10:20 da Silvia Leonardi


Maria Teresa, sei la biografa di Cotroneo? :-)
Scherzi a parte, le tue domande sono molto interessanti e sarò ben contenta di leggerne anche io le risposte!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 10:22 da Silvia Leonardi


Sì, Maria Teresa. Anch’io ora sono curiosa.
Bellissima intervista. Attendiamo le risposte ;)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 11:29 da Morena Fanti


Grazie Silvia, se vuoi una notizia in più ho saputo che il nostro bravo scrittore ha avuto gli elogi della Pivano e questo è un ottimo biglietto da visita per uno scrittore emergente. Dal mio amico Savatore Niffoi, ho saputo che la nostra grande Fernanda, non sta troppo bene e lui ogni volta che passa per Milano la va a trovare.Lei per la nostra letteratura è un vero monumento. Altre notizie sul simpatico Cotroneo? E’ del segno dei pesci come me e compie gli anni tre giorni prima di Tessy . Ancora non conosco il suo ascendente e l’ora in cui è nato, ma nel regno dei pesci o si è santi o si è matti, nel senso più geniale del termine, poiché come affermano i francesi un pizzico di follia è il “quid” indispensabile per essere dei grandi artisti!
Enrico, per forza vado avanti per conto mio, mi manca la marziale stampella gregoriana che mi sostenga. Ed io mi arrangio come posso…
Tessy

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 11:33 da M. Teresa Santalucia Scibona


Ciao a tutti.
Ho letto il brano del libro postato. I dialoghi sono incantevoli. “Sono superman napoletano”. Penso che questa frase da sola sintetizzi lo spirito del romanzo. La napoletanità è qualcosa di speciale e Cotroneo, credo, ne abbia saputo cogliere l’essenza. I napoletani che, saltando i pasti, vanno allo stadio per vedere Maradona; i napoletani non viaggiano ma emigrano, (battuta del Grande), ti rifilano patacche. Insomma la Napoli più umile e più affascinante. E poi c’è Didò che da solo vale per mille.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 11:35 da Salvo zappulla


Non ho letto il libro e` provero` a cercarlo, ma vorrei porre un piccolo quesito : perche` arrabbiarsi del fatto che molto spesso gli altri hanno dei napoletani solo alcuni scontati cliche` quando invece il romanzo, da quello che si evince dalla presentazione, sembra ricarlcarli praticamente tutti ?

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 11:54 da outworks110


@ maria teresa:
premesso che uno che ami la buona tavola non può non conoscere Iaccarino, ti consiglio (visto il recente acquisto) di usare come stampella il giovine Germano. Io, come Silvia sa benissimo, sono ormai in disfacimento e posso, al massimo, sostentare una piuma di struzzo

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 11:57 da Enrico Gregori


Ho letto il romanzo e mi è piaciuto molto.
Outworks, non vengono ricalcati soliti cliché……… vengono rielaborati in maniera nuova. La napoletanità secondo me c’è tutta, ma è proposta in maniera tutt’altro che banale. vediamo che dirà l’autore.
lisa

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 12:43 da Lisa


eccomi.
le domande che sono state poste finora le trovo tutte interessanti. menzione d’onore a tessy scibona, comunque. sempre puntuale e mirata.
a me ne viene in mente un’altra: la struttura a siparietti, simile ad un diagramma di flusso come quelli che vengono insegnati ai bambini a scuola, è voluta nel suo rendere l’idea del cespuglio estremamente diramato e caotico che è la famiglia? secondo me non è un caso che il filo conduttore siano i temini di peppino, che riconducono tutto alla realtà vista con gli occhi di un bambino di sette anni. lui le dinamiche dei grandi non le capisce. sa solo che il mondo intorno a lui gira vorticosamente, e a momenti gli dà la nausea. ama, ma non sempre percepisce di essere riamato. non giudica, mai. e, come ogni bambino, si sente vagamente in colpa.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:04 da gea


Di domande mi sembra che ne abbiamo fatte abbastanza. Secondo Ivan Cotroneo si da ammalato e non viene.
Massimo ci aveva chiesto anche di parlare dei nostri anni ‘70, anzi ci aveva sfidato a farlo.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:10 da eventounico


incominci tu?
i miei sono abbastanza tipici, sufficientemente annebbiati, e piuttosto difficili da raccontare in termini accettabili al contesto..
comunque ci proverò.
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:15 da gea


“i miei sono abbastanza tipici, sufficientemente annebbiati, e piuttosto difficili da raccontare in termini accettabili al contesto..”
ti consiglio di fare presto altimenti chissà cosa immaginano qui :-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:19 da eventounico


Io, questo libro non lo leggerò mai!
Povero bambino, brutto, sfortunato, con dei genitori così, una famiglia per caso, tanti problemi e vittima dell’assedio di adulti in cerca di affermazione e consenso. Trovo orribile il brano riportato all’inizio del post. Un bambino costretto a subire la trasfigurazione forzata di una proiezione “malata” ed egoista. Giù le mani dai bambini e da quell’occasione di purezza, che viene offerta, a noi adulti, quando la vita ci regala la responsabilità della loro crescita.
Ho seguito Cotroneo agli inizi della sua “carriera” ma ora, francamente, non lo comprendo più! Mi ripugna quel personaggio triste e grottesco che cerca poesia in un improbabile rapporto di sensibilità. E’ ora di smetterla con la nostra ambizione e, soprattutto con quella vocazione autoritaria che in nome del desiderio ammette ogni tipo di forzatura. La vita è altrove! Ne’ La strada di Cormac, l’Uomo, che è Padre retrocede lasciando al piccolo, il Figlio, gli strumenti di una propria affermazione. L’inizio di un nuovo mondo sta tutto lì: nella retrocessione.
A Gea, con tutto il mio affetto.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:23 da miriam ravasio


miriam, se leggessi il libro capiresti che non è così..
non c’è nessuna forzatura.. il bambino si crea un amico immaginario in un momento in cui la madre, che è un essere umano, entra in crisi e non è più la figura presente che è sempre stata, anche a discapito di se stessa.
io non vedo nessuna forzatura adulta, nessun autoritarismo..
anzi.
un abbraccio

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:42 da gea


Perchè in quegli anni esisteva qualche famiglia che non potesse definirsi in qualche modo “disfunzionale” ?
Rare eccezioni, credo. Quanto meno nel sud era così. Probabilmente cercando di essere aperti, finivamo per essere caratteristici.

Del ‘70 ricordo le audiocassette, allora solo le “cassette”, le feste, i pantaloni bianchi, le palline da far cozzare tra di loro, le feste con gli “svelti” ed i “lenti”.
Ricordo i primi “muretti”, forse devirtualizzazione dei blog.
Ricordo il baby boom e quindi le classi da 36 alunni, i turni.
Ricordo il “colera” e le vaccinazioni di massa, tutti in fila come piccoli soldati alla visita militare.
Ricordo i “polacchini”, le camicie colorate e con i disegni geometrici, i capi militari, le tv private, i “baracchini”.

E ricordo com’ero io. Ero quello “normale”. Ne ho scritto anche da me.

Troppo normale per suscitare l’ammirazione per la diversità, in quegli anni ho spesso frequentato coloro che hanno sempre una storia da raccontare. Quelle persone “belle e dannate” che hanno sempre qualcosa da vivere e sono appena usciti da un racconto di cronaca. Quelle persone mi hanno sempre considerato al limite del loro mondo, ma degno di ammissione. Posizionato al confine, ma visibile.

Ero sempre l’elemento di congiunzione tra il contesto dei “ben educati” e quello dei “mal educati”. Mi sembrava di poter essere ambasciatore di normalità per entrambi.
Così, forte della mia posizione, ho imparato da entrambi quali sono i comportamenti estremi, che sfuggono alle regole della società, alle convenzioni civili. Sapevo parlare, ma di volta in volta il linguaggio del gruppo. Sapevo lottare per le mie idee, ma senza lanciare una molotov o colpire con una spranga. Piuttosto le ho prese, ma come un eroe romantico che muore per le sue idee o per una donna. Questo mi faceva considerare ed accettare.

La mia diversità, di volta in volta, poteva essere politica nei collettivi, classista nello sport, ideologica quando si trattava di spendere soldi che non avevo o morale quando, tranne rari casi, rifiutavo il fumo perchè mi avevano insegnato che era pericoloso.

Eppure riuscivo a prendere la parola nelle riunioni ed essere “atteso” fuori dall’altra fazione, schifavo il calcio per quello che gli girava e gli gira intorno, lo sci ed il tennis perchè non avevo l’”attrezzatura”. Andavo a cena fuori con quelli “a soldi” quando ero andato a raccogliere i pomodori nei campi o avevo costruito le cabine al mare d’estate. Sono stato anche, con orgoglio, amico di un ragazzo che ho visto morire d’overdose. “Sei la parte onesta di me, per questo voglio che mi accompagni sempre” mi diceva.

Mai, per un solo istante, ho dubitato della mia condizione. Ero me. Quello normale, ma un pò strano. Ero quello di mezzo. Ero quello con il quale tutti parlavano.

Tante storie sono passate attraverso di me. Ho vissuto le loro non avendo i mezzi o il fisico per le mie. Il coraggio si. Quello sempre, ma serve solo a farti dire che non hai bisogno di nessuno.

Oggi mi porto dentro tutte quelle parole ed ogni tanto provo a scriverle, ma sono diventato più normale di un tempo.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 14:43 da eventounico


essere categorici come miriam non è un delitto. o comunque si può esser categorici in un particolare momento, salvo a cambiare opinione. del resto solo i morti e i cretini non cambiano idea.
il problema fondamentale è riuscire a leggere tutti i libri che uno presume gli possano piacere, figuriamoci quanto diventa quindi difficile fare anche degli “esperimenti”.
ribadisco che l’estratto è accattivante e, se di ricordi in qualche modo si parla, credo sia giusto che i ricordi non siano solo un passato cristallizzato ma anche un bagaglio utile al presente e al futuro.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 15:13 da Enrico Gregori


per il mio racconto, evento, aspetterai stasera, che adesso devo andare a lavorare.
e nel frattempo che ognuno immagini quello che vuole. tanto, chi c’era sa.
e chi non c’era non ha la minima idea di quanto dura, coinvolgente, difficile, divertente, viva e contemporaneamente vicinissima alla morte, morale e fisica, potesse essere.
mi sento una sopravvissuta, a volte. ma sono comunque felice di esserci stata, e non rimpiango niente.
a dopo, con affetto e condivisione
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 15:14 da gea


Un libro ambientato a Napoli che non parla di camorra o di monnezza?
Non ci posso credere!!!
Applausi a Ivan Cotroneo. Ogni tanto un po’ d’aria ci vuole.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 15:26 da Mauro


@evento:
C’è qualcosa che non mi sfugge di te, come la mia immagine riflessa nello “Specchio” della Leonardi che ho appena finito, l’assonanza con “molto di me”, forse per questo all’inizio mi irritavi, leggevo nei tuoi discorsi echi che sembravano miei.
Nel ragionamento di sopra hai detto tutto quello che avrei voluto raccontare di me, virgole comprese e questo m’inquieta o, viceversa dovrebbe far capire, un po’ a tutti, che la nostra generazione (troppo piccoli nel ‘68/troppo grandi nel ‘77) è una porzione di universo da incorniciare in un romanzo complessivo e storicamente pesante e spero che Enrico Gregori sia d’accordo (fuor di satira), belli o brutti che siamo stati ci sarebbe da raccontarne tante.

Sfogo melanconico concluso dico: non conosco Cotroneo.
Dallo stralcio deduco che è un ottimo scrittore e che può parlare di Napoli perchè standone fuori ha anestesizzato il dolore di questa città, il dolore che ognuno di noi (napoletani) porta dentro; riesce ad esorcizzare le radici marce della pianta rigogliosa che si vedeva negli anni ‘70 con la “memoria storica”, che spesso è più lucida e attenta della memoria viva (ha torto Enrico, la giovane Leonardi ha parlato, seppur lievemente, degli anni ‘60 nel suo tomo riuscendoci egregiamente).
Il settantesimo decennio del ‘900 è stato diverso da regione a regione.
A Napoli era sereno e allegro (come dicevo sopra, cominciavano a marcire le radici, il fogliame era lucido); nasceva il “Neapolitan sound”, la musica che avrebbe irradiato il nord, grigio di terrorismo, con i Bennato, i Pino Daniele, la musica etnica (che allora si chiamava come si deve:”musica popolare”) con la Nuova Compagnia di Canto Popolare.
Tutti andavano alle feste dell’Unità, anche i democristiani e, proprio nel ‘76 ci fu la più ridondante di quelle feste, quando alla Mostra D’Oltremare uno smagliante Enrico Berlinguer parlo ad un milione di persone, dopo un “Natale in Casa Cupiello” recitato per la prima volta all’aperto da Eduardo (fu evitato un fallimento in extremis dell’opera perchè un recalcitrante De Filippo si rifiutava di recitare senza “Lo Scialle” e un militante eroico corse in 5 minuti nel suo “basso” di Santa Lucia” per strapparlo dalle spalle della nonna e portarlo in scena).
A Napoli c’era Andy Warhol; a Napoli vennero Julien Beck e Judith Malina, i fondatori del “Living Teather” e Didò, che ha attraversato pezzi di storia come Forrest Gump, si trovò a cena quella sera con loro, a bere vino e mangiare salsicce e dopo tanto vino e abbracci con la storia (Judith mi strinse forte ma era vecchia e ossuta, preferivo una mia amica del Vomero) dissi che “quei due erano più divertenti quando raccontavano barzellette sporche”.
Questi erano i miei anni settanta, ed erano gli anni ‘70 di Napoli, che è morta con essi.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 16:15 da francesco di domenico


Per Ivan: la Kryptonite mi ha molto divertito! Come ti scrissi a Natale, faticavo a metterla nella borsa perchè a napoli era andato esaurito (buono!!) e adesso non solo l’ho in borsa ma l’ho anche finito.
Un bel libro, teneri i ricordi e alcune scene davvero memorabili. Non mi dispiacerebbe affatto vederne un film, ma ci vorrebbe un regista davvero bravo… Un augurio e un saluto affettuoso in quest’intervento super volante (scusa Ivan, scusate tutti:-) giustamente sollecitato da Massimo. A presto!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 16:18 da antonella cilento


Sommo Sozi cerca di rientrare, il blog è sbilanciato senza di te!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 17:03 da francesco di domenico


Il libro mi attrae – moderatamente. Non so concettualizzare il perchè di moderatamente. Deve essere la kryptonite.

Gli anni settanta miei non vi saprei dire – sono nata nel settantatrè – è la mia bisnonna, e poi la tivvù in bianco e nero e l’attentato a moro. questa cosa reale che entra nella casa con la tivvù, e non capisci cos’è ma è la gravità degli adulti, le cose di cui si occupano gli adulti. E se fossi nata prima, sarei stata una disadattatissima come sono stata poi da adolescente. Non disadattata ma a la page, ma proprio disadattata punto.
Massimo facce sapè quanno fai un post sull’anni ‘80.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 17:07 da zauberei


Grazie molte per i vostri commenti.
Un ringraziamento particolare alla mia co-conduttrice (e co-moderatrice) Gea, che se la sta cavando più che egreGEAmente.
:)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:38 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno partecipato al gioco (che poi, in fondo, è una sorta di esercizio di scrittura… qualcuno potrebbe dire “un tema”).
Il titolo potrebbe essere: “racconta i tuoi anni Settanta”.
- Svolgimento -
Come uno dei temi in classe di Peppino…
Bravi! Non è affatto facile scrivere qualcosa del genere senza rischiare di essere banali.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:39 da Massimo Maugeri


E un ringraziamento a parte alla sorprendente Maria Teresa che ha (ottimamente) tempestato di domande il buon Ivan.
Risponderà, vedrai!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:40 da Massimo Maugeri


@ Miriam
Cara Miri, dà retta a Gea
:)
Però devo dire che questo tuo intervento mi ha un po’ sorpreso anche in considerazione del fatto che, se non ricordo male, ti piace la brava Simona Vinci. Dico questo perché la Vinci ha raccontato di bambini in contesti tutt’altro che fiabeschi (A proposito, spero prima o poi di riuscire a portare qui Simona, strappandola alla sua proverbiale ritrosia a “esporsi”… chi la dura la Vinci!).

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:41 da Massimo Maugeri


@ Zauberei
Prima o poi parleremo degli anni Ottanta (e inviteremo il cantante Raf).
-
@ Tutti
A più tardi!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:41 da Massimo Maugeri


Un altro libro che parla di bambini (seguono a breve in questo Blog “La Strada”, “Picciridda”, il fenomeno Potter, la letteratura dalla parte delle bambine, …), e che mi attrae molto, e che quindi presto leggerò.
L’estratto pubblicato è surreale, ma fino a un certo punto; è anche in qualche modo tenero e divertente (miriam: forse potrai avere ragione, ma forse la stai facendo fuori dal vaso).
Mi interessa rivedere l’epoca degli anni ’70, che ho vissuto quasi al pari di quella di evento che a sua volta è quasi al pari di quella di didò e forse (aspettiamo stasera) anche di gea. Amici periti di overdose inclusi: forse erano i più sensibili, forse i più indifesi, forse i più stupidi (col senno di poi), ma non sta a noi giudicarli.
Mi interessa rivederla trasfigurata attraverso gli occhi di un bambino, operazione che anche nel cinema ha portato ottimi risultati (mi vengono subito in mente “Jona che visse nel ventre della balena” e “La notte di san Lorenzo” dei Taviani).
Mi chiedo perché, cos’è quello che mi attrae in questo genere di operazione, e provo a rispondere d’istinto: forse è il non attenderci una ricostruzione storica o semplicemente logica di un’epoca, ma semplicemente una serie di impressioni semplici, nette, non mediate da giudizi o pregiudizi di valore, da calcoli politici, da dietrologie cui noi adulti ci siamo abituati, ma solo dalla fantasia e dalla libertà che solo i bambini posseggono, anche di fronte a tragedie immani quali la guerra, la Shoah, la morte. Ci penserò ancora e forse tornerò sul tema.
Mi chiedo anche come mio figlio oggi settenne ricorderà da grande questi anni duemila che per lui sono il primo decennio di vita. E non so rispondermi.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:46 da Carlo S.


@ Zauberèlla
Ti avviso già: io sugli anni 80 dirò solo peste e corna.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:49 da Carlo S.


Grazie Gea per la menzione d’onore che per così poco non mi si addice,comunque ho apprezzato molto la tua solidarietà. In questi giorni ho il morale sotto i tacchi, volevo aggiungere sul Benvento del mio sito, nella Sez. “Freschi di stampa” il nuovo volume di una mia cara amica. Maldestra come sono, ho pigiato un tasto sbagliato ed è saltata tutta la prima pagina intoduttiva che non sono riuscita a ripristinare. Mi scuso molto con Morena Fanti che spero abbia fatto a tempo a vedere che avevo segnalato il suo struggente libro e così con Sergio Sozi, Enrico Gregori e con tutti coloro che sono stati involontariamente azzerati.Spero di trovare presto un tecnico per risistemare come prima. A francesco di domenico voglio dire che sono ammirata per il suo squarcio nostalgico e romantico di una Napoli che amo,che un tempo conoscevo molto bene e dove abitano ancora diversi amici.L’ultima volta, sono venuta al Galassia Guttemberg a ritirare un primo premio letterario assegnatomi dall’Associazione Culturale, diretta dal prof. Roberto Pasanisi. A Enrico ormai in disfacimento… vorrei precisare che non rientra nel mio stile, propormi al giovane Germano con il quale non ho scambiato nemmeno un rigo.Vorrei invece chiederti scusa ,se ho detto o fatto qualcosa che ha urtato la tua suscettibilità ,perché tengo molto alla tua amicizia e la mia regola ferrea e di non impormi in nessun caso, se capisco che non è il caso….
Tessy

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:52 da M. Teresa Santalucia Scibona


@ Carlo,
il vaso è a posto!
@Massimo
non capisco perchè non dovrei esprimere quello che penso e soprattutto non capisco perché quel richiamo a Simona Vinci.
Giù le mani dai bambini, nel senso che è facile, sempre troppo facile , trasfigurare su di loro. A meno che non si tratti di autobiografia, in quel caso, potrei anche rivedere quello che ho scritto.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 18:56 da miriam ravasio


@ maria teresa:
ma di cosa ti vuoi scusare? lo vedi che devi smetterla con le canne?
dai, una bella tisana al gelsomino e a nanna presto!
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 19:00 da Enrico Gregori


da ivan…

Allora, ciao a tutti, scusate il ritardo ma rientro solo ora a casa…. e ho molta voglia di rispondere e di parlare… anche se poi tra un’ora dovrò uscire per cena. Ma se volete continuerò di notte, molto, molto volentieri.
Prima di tutto, grazie. Grazie a Massimo per avermi ospitato, e grazie per le bellissime parole che ha speso sul libro. Sono felice di essere qui.
Adesso comincio a rispondere nell’ordine in cui sono arrivati i post.
Quindi
@ Maria Lucia, che bello risentirti! Anche io ho un ricordo bellissimo della nostra giornata catanese con Luigi, e non vedo l’ora di tornare, spero prestissimo… salutami tanto Simona e Adriana, se puoi, e fatemi sapere come state.

@gea. E’ vero, almeno nelle mie intenzioni la kryptonite è un romanzo di formazione, una formazione un po’ strampalata se vuoi, come sono tutte, o almeno tutte quelle che conosco (la mia inclusa). Mi piaceva l’idea di trattare un materiale di per sé drammatico (che include depressione, morte, qualche vessazione, molti interrogativi e tanti destini che non vanno nella direzione sperata) ma di usare allo stesso tempo un tono leggero. Mi piace l’idea che Peppino ce la faccia nonostante tutto, o forse proprio a ragione di tutto. I problemi restano, ma lui se la cava con la fantasia e con l’immaginazione. E’ un materiale quasi dickensiano (Peppino viene pure legato a una sedia per farlo stare tranquillo) ma trattato con una distanza ironica e – spero con affetto. Manganelli diceva: Dickens ci prende a bambini morti in faccia. Io volevo fare l’esatto contrario.
Adesso stacco da questo post e scrivo il prossimo per ripondere a Enrico Gregori…
a tra poco, e grazie ancora

Ivan

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 19:28 da ivan


(carlo essìbbravo, poi sta sereno che andremo d’accordo. )

Un saluto al signor Ivan che è molto gentile – rosico un bel po’ per non aver letto il suo libro. e quindi non posso dire niente. salvo- leggeròllo.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 19:41 da zauberei


continuo…
@ Enrico Gregori
Io sono nato nel 1968, e nel ‘73 avevo cinque anni. Molti dei ricordi del libro sono miei, di quell’anno o del paio di anni successivi. Devo dire che pochissimo è frutto di ricerca nel senso classico del termine… Mi sono limitato a controllare che un po’ di cose che ricordavo di quel periodo non fossero successive (per esempio i cioccolatini Sette sere Perugina, poi banditi perché cancerogeni). Per il resto, per esempio per quanto riguarda il rapporto di Peppino con gli zii fricchettoni è quasi tutto vero… I miei zii giovani mi portavano sempre in giro a fare esperienze strane… Se lo si chiede a loro, però, giurano che cercavano a tutti i costi di evitarmi e che io invece mi attaccavo come una cozza…

@ Elektra. Forse ho già risposto. Molti sono ricordi. Soprattutto, però, al di là dei fatti raccontati, quello che volevo ricostruire e raccontare è il modo che hanno i bambini di creare una propria visione del mondo, in cui i rapporti causa effetto non sono così rigorosi come quelli degli adulti. Peppino si costruisce spiegazioni alternative, fa rivivere un morto, e a suo modo crea un’altra realtà. Io credo che i bambini capiscano le cose a loro modo, non più o meno di quanto si creda, ma proprio diversamente. E questa diversità di sguardo volevo raccontare. C’è un libro che ho amato moltissimo, di Romain Gary, che si chiama la vita davanti a sé, il cui protagonista è un bambino che viene adottato e cresciuto dalla ex tenutaria di un bordello, a Parigi. E’ un libro che amo molto, e che mi ha ispirato tanto.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 19:49 da ivan


@ ivan:
intanto grazie. alle osservazioni di chi non ha letto il libro si potrebbe rispondere anche con un lapidario “vai a cacare” e invece mi hai fornito delle spiegazioni. se le ho capite, evinco che i ricordi sono molto personali e legati a rapporti familiari. in questo senso allora tutto si giustifica, perchè (sembra) che i ricordi costruiti nell’infanzia siano tra i più indelebili.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 19:54 da Enrico Gregori


Per un Didò riemerso dalle sue cantine e quindi felicemente ritrovato ci siam perduti un Sommo Sozi, finora latitante da questo post.
Anche Gregò mi pare ammosciato rispetto al solito. sarà la sua mancanza ?
Un’anticipazione sugli anni 80 (cazzo c’entra direte voi, ma è per contrapporli ai 70 sui quali dovremmo discernere): l’orrore dovrebbe calare su quell’epoca solo per una cosa (prima di tutte le altre): l’introduzione della batteria elettronica, che tanto ci sconquassò la minchia (ed ancora in parte ci sconquassa) coi suoi ritmi fissi, artificialmente sempre esatti, privi di variazioni, di fantasia di “tocco”. In una parola: inesorabili ! Ah come rimpiansi le magiche bacchette di Keith Moon, di Jon Hiseman, anche quelle più rozze di Ringo Starr erano elisir per le mie orecchie di fronte ai ritmi beceri sparati a 100 Kwatt dai woofer delle autoradio nelle auto di passaggio alle 2 di notte.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:04 da Carlo S.


@ M. Teresa Santalucia Scibona
Quante domande e tutte interessanti, grazie. Provo a rispondere (certo sei preparata forte!)

1. E’ vero faccio tante cose, tutte legate alla scrittura. Penso di trovare il tempo di farle perché mi divertono tutte molto, e perché scrivere è la cosa che mi piace di più fare al mondo. Spero non suoni retorico, però è così: io mi diverto proprio, e se sto scrivendo (un racconto, una sceneggiatura, un testo per la televisione) quasi sempre vado avanti senza sentire sonno o fame, o telefonate… la cosa getta nello sconforto chi mi sta vicino e ovviamente mina le mie relazioni sociali e soprattutto sentimentali.
2. In una sceneggiatura, generalmente si riversa molta attenzione sull’elemento visivo e sul ritmo. la parola, nel senso in cui la intende un narratore, la si riserva ai dialoghi. Per esempio scrivere le didascalie di una sceneggiatura, che sono spesso asciutte e qualche volta addirittura tecniche, può risultare frustrante. Invece quando scrivo di narrativa sono libero di fare quello che mi pare… il che poi si traduce spesso in una asciuttezza, ma è, come dire, scelta…
3. No… proprio per quello che ho scritto sopra quando ho scritto i miei tre romanzi mi sono sentito libero di non pensare a una eventuale trasposizione cinematografica.
3. (c’erano due 3) Non so veramente… per parafrasare Woody Allen non mi sento erede nemmeno di me stesso. Prisco, Rea mi piacciono molto. Eduardo e Viviani, pure. Ferito a morte di La Capria mi ha cambiato la vita. E la Ortese non ne parliamo proprio…
4. Oltre a Hemingway, mi sarebbe piaciuto essere un sacco di altri scrittori. Ne cito cinque. Carver, Simenon, Fitzgerald, la Morante e vorrei essere bravo come la Munro.
5. Le priorità delle cinque cose preferite sono quelle riportate : prima il cibo, poi il sesso, il mare, la musica e New York. Vorrei precisare che non ho messo l’amore perché non mi piace catalogarlo come cosa, ma è decisamente il sentimento più importante della mia vita. Sono banale, ma sincero.
6. la pastiera mi piace, ma preferisco il babà (in partidolare quello della pasticceria Scaturchio, a Napoli.
7. Il super cuoco Iaccarino lo conosco di nome, ma ahimè, non ho mai assaggiato i suoi piatti.

Mi sono sentito un po’ strano a rispondere a queste domande… ma devo ammettere che mi sono anche divertito… grazie

Ivan

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:08 da ivan


@Sivia Leonardi
Era da un po’ che volevo scrivere di un mondo visto da un bambino, o meglio di un mondo visto dal me bambino (apro una parentesi, io credo che ogni scrittura sia autobiografica, e che si scrive sempre di sé, mascherandosi, a volte più pesantemente, altre meno. Io per scrivere per esempio il personaggio di un film lontanissimo da me, che so, una donna settantenne vedova che vive a Gorizia e non ha mai lasciato la sua città devo necessariamente metterci dei tratti miei, altrimenti non ne sono capace)
I libri con bambini protagonisti mi piacciono molto: penso a Gary che ho già citato, ma anche al protagonista di Mark Haddon, all’adolescente del Budda delle Periferie, alla Masie di Henry James, e per stare a James ai bambini del Giro di vite. A Kim, anche. All’Arturo che non capisce – o capisce troppo – della Morante. Alla bambina de Il mare non bagna Napoli. Ai piccoli uomini della Vinci. E i film: La mia vita a quattro zampe, anni ‘40, La mia vita in rosa, Radio Days, fino a Little Miss Sunshine…
E’ un mondo che da lettore e spettatore mi commuove. E in particolare la solitudine di un bambino, il modo in cui la vive, la tollera, la combatte o ne è sopraffatto… beh, anche adesso che scrivo questa risposta mi chiedo perché ho aspettato tanto prima di provare a parlare anche io di quel mondo incantato. La citazione di Barrie ‘Ogni volta che un bambino dice: non credo alle fate, da qualche parte una fata muore.” Ecco, io volevo provare a raccontare proprio un mondo così.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:18 da ivan


Ciao Ivan!
Che bello seguirti da qui! Ti avevo già scrutato in libreria dove occhieggiavi col tuo libro. Intenso e molto vero, diversissimo dalla nota lirica di “cronaca di un disamore”che , come già sai, ho amato moltissimo.
Eppure già lì c’era un richiamo a Peter Pan che evocava solitudini, che faceva presagire quest’infanzia abbacinata dalla fantasia e dall’esigenza di colmare coi sogni certe mancanze.
Trovo poi che il linguaggio sia freschissimo e molto tuo, lambito da ricordi ancora vicini, sebbene la stagione di quegli anni sia tramontata.
Anch’io sono stata bambina negli anni”70 e ci accomuna quel pensare a Superman come eroe ultrapotente e leggendario che allora faceva registrare il tutto esaurito.
Sei stato bravissimo a rievocare quelle atmosfere e quell’esigenza, ancora così intensa, di trovare eroi che gravitino tra le stelle!
Ti ho letto con gioia e con immutato affetto e come sempre ti dico ti aspetto a Siracusa per un’altra memorabile giornata. Bacio bacio

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:19 da Simona


Sono proprio contento di stare qui… sarei anche spinto ad annullare la cena, ma se non vado un gruppo di amici viene a farmi fuori fino a casa…
Provo a farmi vivo più tardi. Grazie ancora per l’ospitalità.
Ivan

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:19 da ivan


ciao Simona,
grazie!!!! Voglio tornare in Sicilia!!!
Ti mollo un bacio volante e scappo
Ivan

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:21 da ivan


Estremista “dalla parte sbagliata” e antitetico persino al mio estremismo. inesorabilmente e inevitabilmente fiero che nessuna etichetta mi restasse appesa al petto come una medaglia di latta.
Inginocchiarsi di fronte a Jimi Hendrix e sputare su Mao Tze Tung; impugnare di giorno il cric e di sera la Gibson “diavoletto”; prarticare loschi traffici per non chiedere soldi a chi, peraltro, ne possedeva a iosa. Tentare di conservare lucidità pur nell’assumere tutto ciò che fa sballare e vaneggiare. Forse anche per conciliare in qualche modo i Cressida e gli High Tide con i tomi di Diritto.
Sul marciapiede sangue e vomito miei. Sui miei vestiti quelli degli altri. Poi, lavare tutto, con colate di birra o di fica.
Studiare per il futuro e non perdere il contatto con la realtà. Almeno nel tempo residuo tra un salto al pronto soccorso e uno al commissariato.
Fare a bottigliate per un volantino e sbattersi per un mese per comprare l’ultimo dei Greenslade.
Un viaggio senza regole e senza rimpianti. Rimorsi a valanga e tanti, troppi funerali. Come quello di Tonino, il bassista che all’ennesimo ricovero per cancro, strappò coi denti i tubi che lo tenevano in vita e andò a suonare il basso con Janis Joplin che in qualche angolo d’inferno lo attendeva.
Anni ‘70. Più che mai un’opinione

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 20:21 da Enrico Gregori


son qui.
ringrazio molto ivan per l’attenzione con cui ha letto tutto e le risposte personalizzate e dettagliate.
spero torni più tardi per riprendere il filo della conversazione.
ci sono ancora tante cose che mi piacerebbe chiedergli..

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 21:31 da gea


@M.T.Santalucia Scibona.
mi creda, già scrivere il suo nome mi fa sudare le mani sulla tastiera, il sapere poi che lei mi ha citato e l’aver creduto di esserle passata accanto a “Galassia”, forse anche sfiorandola, mi ha fatto levitare il cervello. Ero al “Gutenberg”, indegnamente, per presentare un trentesimo di un simpatico libercolo noir (Sangennoir-trenta storie noir su Napoli- Kairòs Editore), il mio racconto era l’unico umoristico, erano restate tre pagine vuote e l’editore mi ha pubblicato un brano (ma ho dovuto lavare i piatti alla suocera albanese che cucina ancora l’abbacchio nei pentoloni dei Rom da 40 litri).
@CarloS:
Grazie, e grazie di aver detto ” …più rozze di Ringo Starr …”, Ringo è stato il più fortunato paraculo che abbia attraversato la storia.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 21:37 da francesco di domenico


se mi date il tempo di buttare giù qualcosa tenterò di allietarvi con la descrizione dei miei anni settanta.
io ero ancora al liceo, e verso la fine avevo appena iniziato l’università..
ero un po’ più piccola, quindi. ma non abbastanza, evidentemente, per passarli indenne.
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 21:38 da gea


Dai, stasera sono logorroico, @Gea, mi consenti un altro ricordo degli anni ‘70?

A Stigliano, quei pomeriggi d’estate il tempo non passava mai, ma non era un tempo sospeso come ora, non era uno spazio cattivo. Avere quattordici anni nel ’72 era una bella cosa. Ricordo che aspettavamo le olimpiadi di Monaco; quel 26 agosto finalmente la fiaccola accesa, una fiamma in bianco e nero, come la televisione di allora; come la delusione che ci prese improvvisa, noi ragazzi, per la strage degli atleti israeliani.

Nell’edicola di Alfredo in piazza potevi vedere da lontano le copie de “L’Europeo” esposte, la copertina rosso sangue con la scritta “Strage di Monaco – Abbiamo visto tutto!” .
Quella scia di sangue si trascina ancora ora. Ma perché uccidere gli sportivi? Noi ragazzi non capivamo, era la prima volta che sapevamo che c’era una “Nazionale Israeliana” – “Pedrìn”, che aveva la zeppa in bocca non riusciva neanche a pronunciarlo, “Isvvrael” diceva – , ma poi i nostri vecchi ci avevano sempre detto che si chiamavano ebrei.
Chi fa sport – almeno allora lo era – è persona di pace. Rimanemmo delusi, oltrechè dagli arabi, che per noi erano ancora quelli dei film oleografici, dove venivano rappresentati come atroci sgozzatori dai coltelli ricurvi come i baffi, dagli uomini in generale, dai grandi: tutto era semplificato, tutto bianco o nero, o stavi coi palestinesi cattivi o con gli ex-oppressi ebrei, che erano considerati i buoni, a prescindere. Poi,
“ dai facciamo tre contro tre, una partita Israele-Palestina? ”
“ no io Palestina non la faccio ”
“ no Pedrìn, tu stai in porta a Palestina, perché non sai dire Israele ”
“ e va bene, ma ci date due gol di vantaggio perché i palestinesi sono scarsi ”.
Conobbi il mondo arabo allora. E’ da “quel” tempo e anche da prima, che il mondo politico nasconde la testa sotto la sabbia del problema mediorientale.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 21:42 da francesco di domenico


@ didò:
nella tua logorrea hai sparato una cazzata su Ringo Starr, ma ti perdono…forse
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 21:49 da Enrico Gregori


Io negli anni “70 ci sono nata.
Ricordo che il Carosello era l’ultimo baluardo della giornata, quello che segnava l’ora di andare a letto.
Ricordo un giorno in cui mio padre mi venne a prendere a scuola prima e mi disse frettolosamente che non saremmo più partiti col treno per andare dai nonni perchè a Bologna era saltata una stazione.
Ricordo che sentii parlare di un tale trovato morto in un’auto, un certo Aldo Moro.
Ricordo la 500 e matte risate per farla partire, e Siracusa senza centri commerciali, solo con la Standa e le signorine della cassa che mi ragalavano le caramelle.
Ricordo il telefono grigio con la rotella per fare i numeri e il grembiule bianco col fiocco blu.
Ricordo le giostre al centro della città come in una fiera e i giri gratis se acchiappavi una bandierina svolazzante.
Ricordo che se pensavo al futuro lo vedevo come me. Piccolo piccolo.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:11 da Simona


@ Ivan
Caro Ivan, grazie per essere intervenuto. Belle ed esaurienti le tue risposte!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:34 da Massimo Maugeri


A tutti i nuovi “settantisti” che sono intervenuti donando i loro ricordi.
Che bravi!
Grazie per aver accolto la mia richiesta. Davvero bello leggervi.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:35 da Massimo Maugeri


l’odore è quello del fumo. di tabacco economico rollato con le cartine per risparmiare, e quello acre e aromatico delle canne. grandi stanze polverose piene di gente che discute litiga si bacia si imbosca.
voglia di cambiare il mondo: a quell’età credi di essere invincibile.
e invulnerabile.
e invece non lo sei.
e te ne accorgi sanguinando per le botte (prese da tutti: dagli altri, dalla polizia, anche dai più scatenati e imbecilli dei tuoi. la stupidità è trasversale) e vomitando per gli esperimenti di chimica varia che ti sembra naturale fare.
e finendo a fare sesso negli angoli più impensati con le persone più impensate. per amicizia, per allegria, per disperazione, per medicare ferite, per amore persino. e anche di questo il ricordo è dell’odore.
odore di corpi giovani, puliti. dentro e fuori.
e la puzza di quello che ha tentato di violentarti, il sentore metallico della paura dei poliziotti che ti puntano il mitra alla nuca pensando che tu sia un terrorista, e della tua di paura, che questi sono ragazzi come te, e se gli scappa uno starnuto?
e le vecchie osterie, coi vecchietti che scuotono la testa e ti raccontano dei tempi loro, e il vino acido e pessimo che è l’unico che ti puoi permettere..
e poi i cortei, le corse per scappare, i concerti..
basaglia e l’ospedale psichiatrico aperto, i matti che raccontano con la loro presenza l’inferno, glu area e i soft machine, de gregori e dylan, guccini e neil young. e springsteen e coltrane, janis, jimi, jim. e a cena con dario fo, e cantare contessa e sea song, e sempre fatti di vita e di morte.
molti sono caduti per strada. overdose, malattie, incidenti. ma soprattutto suicidi, tanti.
qualcuno ha fatto scelte estreme ed è finito in galera o all’estero, qualcuno è finito dall’altra parte della barricata, tra quelli che guardano giudicano e sentenziano.
e poi ci sono i sopravvissuti.
le ferite sono guarite. c’è ancora qualche cicatrice, ma ormai è parte di te. hai figli che stanno passando un adolescenza diversa e simile allo stesso tempo, e speri che ne escano sani e salvi come più o meno è successo a te.
sei cresciuto. e hai imparato a vivere senza farti del male.
almeno, non troppo.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:36 da gea


@ Miriam
Miriam, tutto bene?
Ma certo che puoi esprimere quello che pensi! Come sempre e come tutti. Mica ho detto il contrario.
Il riferimento alla Vinci era più che altro finalizzato a farti presente che mi piacerebbe invitarla sebbene credo abbia un po’ di timore a intervenire in Internet (e va be’, lo ammetto… volevo anche cogliere l’occasione per fare la battuta scemotta a fine commento).

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:40 da Massimo Maugeri


@ Gea
Cavolo!
(in senso positivo, eh?)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:42 da Massimo Maugeri


Continuando così potremmo mettere su una sorta di silloge “anni Settanta”.
Mica male!

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 22:44 da Massimo Maugeri


e se io imparassi a rileggere, forse glu sarebbe gli, ci sarebbe una virgola dopo ‘fatti’ e un apostrofo in un’adolescenza.
ma tant’è.
li vedete i danni delle droghe?
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:01 da gea


Che bello quando parlate dei vostri seventies! Zauberei, visto che abbiamo una cosa in comune? Anche io sono del 1973 e anch’io parlerei più volentieri dei miei eighties…
Ivan, c’è in te una “leggerezza” da folletto, da Peter Pan tenero e malinconico che ho ammirato e ammiro moltissimo, ha ragione la cara Simo.
CIAO ANTONELLA!!! Un bacio a te e a Paolo… Tutto ok? A quando a Siracusa? Vi ricordiamo sempre con tanta simpatia… Giorni indimenticabili, tra pietre, teatro e scrittura.
I settanta. Io ero piccolina. Ma ricordo i polacchini, quegli orribili occhi di bue estate e inverno, l’Upim, la Standa dove lavorava mio padre, Corrado alla tv, io in lacrime quando finiva un programma, Lassie, la scuola con le feste di carnevale, le calzettine di filo, i maglioni fatti a mano, i lupetti – quanto li ho odiati! – . 1978. Moro. Non so chi è ma quella macchina mi fa impressione. Papa Wojtyla. Quell’uomo sorridente che viene dalla Polonia di Solidarnosc – e telegiornali con gli scioperi e Walesa, io e mia sorella sul divano con le coperte, il nostro treno per un lungo freddo viaggio verso quello sconosciuto familiare paese – e io so solo che mi fa simpatia e che gli ho voluto bene da subito e non so che lo piangerò come mio nonno.
Ivan, grazie. Hai scongelato questi ricordi.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:23 da Maria Lucia Riccioli


@Greg:
non farmi ricredere, fino a poco fa credevo che capissi di musica, Ringo Starr è un simpatico stronzo che ha incontrato tre dei, non sapevano chi c…portarsi appresso per spingere la Bentley. Dio è stato generoso con voi due, perchè la musica è tante altre cose, oltre le certezze che tu hai.
La musica è “You are the sunshine of my life” nel live concert di Central Park-1972 (sono in tema)!
Cotroneo aveva quattro anni, ma se ha avuto un genitore come me, che per far addormentare il cucciolo gli metteva “Picture at an exibition” di Mussorsky ( o come diavolo si chiamava quel russo modernista del cavolo) in versione Emerson/Lake&Palmer, bhe allora altro che memoria storica: è stato programmato per sopravvivere anche a Gigi D’Alessio.
Figliolo, le prime volte che “Pinotto” (la più bella mano che abbia toccato una Gibson Les Paul custom in italia), ha cominciato ad accarezzare una chitarra io ero li, il posto era Soccavo (sai vicino Pianura, il mitico stoccaggio della monnezza) e il suo nome era e resta Pino Daniele.
Chiedi a lui, di che ti manda “Il Pilota”, lui Pinotto capirà, prima dei pacemaker fumava un sacco di Ms, ma il suo fornitore di Marlboro soft-pack ero io, “Il Pilota”.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:24 da francesco di domenico


@ didò:
oggi ho tre certezze
1-rifarei tutto quello che ho fatto negli anni ‘70
2- non me ne frega una ceppa se la Bruni sposa Sarkozy
3-tu non capisci un cazzo di musica
Diventò moda, a un certo punto, dire che il batterista dei Rolling Stones (Charlie Watts) e quello dei Beatles (Ringo Starr) fossero due pipponi.
Il rock “nuovo” e poi progressive vide a seder dietro i tamburi gente come Ginger Baker, Jon Hiseman, Mike Giles, Robert Wyatt, John Bonham….vado avanti con alcuni “mostri” che manco sai chi cacchio sono?…Keith Webb, Bobby Colombi, Malcolm Mortimer….vado avanti o ti sei rotto le palle? vebbè, me le sono rotte io.
Bravissimi, tecnica micidiale e grande personalità. MA….c’è un ma.
Tu prendi un qualunque batterista e mettilo al posto di Ringo Starr e di Charlie Watts e tu non avrai più ne’ il “cuore” dei Beatles nè quello dei Rolling.
Quando hai tempo, metti le cuffie (almeno la testa ti serve a qualcosa) e ascolta attentantente “Ticket to ride”. Quella combinazione ritmica creata ed eseguita da Ringo, un batterista che non sia almeno molto bravo non la fa e comunque non la crea.
Ciao Pilota, pilotami questa fava
:-)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:43 da Enrico Gregori


Caro Massimo, un saluto veloce a te, a Ivan e a tutti gli amici scrittori di sempre. Adesso sono solo di passaggio, scrivo da una camera d’albergo della splendida Catania, e attraverso le ultime faticose giornate di chiusura bozze, tra una lezione di scrittura e l’altra. Sto leggendo con gioia il romanzo di Ivan, cui vanno la mia stima e la mia amicizia, e mi riservo di scrivere più a lungo e più degnamente, appena finito. Ho solo bisogno di alcuni giorni ancora per portare a termine le pagine che già promettono sogno, emozione, e l’intensità di un bambino alla ricerca del proprio Paradiso perduto. Vi saprò dire presto. Grazie Ivan di averci regalato un altro momento del tuo mondo interiore. Credo sia uno dei tuoi libri più riusciti e più intensi. A presto, un caro saluto a tutti e a Massimo,

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:57 da Luigi La Rosa


Mi piacciono i romanzi che fanno guardare il mondo dal punto di vista dei bambini, soprattutto quando sfatano il mito dell’infanzia felice. Non importa se il contesto, i tempi o i luoghi sono quanto di più lontano dal proprio vissuto personale, ciò che accomuna è la consapevolezza del dolore ed il senso di solitudine latente. Di solito stentiamo ad attribuire questa consapevolezza a bambini ancora molto piccoli che invece sono perfettamente in grado di assorbire la sofferenza, pur senza avere gli strumenti per elaborarla.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 00:27 da Francesca Panzacchi


Un saluto a te, Luigi. E grazie.
E buona giornata a tutti.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 07:27 da Massimo Maugeri


@ Ivan
Nel romanzo – tra i tanti – c’è questo aneddotto: nel corso di una festa a un giovane pianista viene chiesto di farla finita e di alzarsi perché “qualcuno” vuole musica per ballare. Il giovane pianista si chiama Riccardo Muti.
Che ci dici di questo aneddoto?

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 07:32 da Massimo Maugeri


La solitudine dei bambini
La terza parte di questo post, ricordate?
Vi lascio con questa domanda:
secondo voi i bambini di oggi sono (o rischiano di essere) più o meno soli dei bambini degli anni Settanta?

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 07:36 da Massimo Maugeri


Enrico, con grande affetto per Didò, non riconoscere Ringo Star è come portare una donna in un prato e nel culmine della passione dirle che il suo profumo ricorda quello dell’erba.
Anche Nick Mason non è male. Alla fine dei 70, quante serate sulla spiaggia con il falò e le ragazze ! Dal momento che non suonavo la chitarra (con quella si che si rimorchiava…) mi accontentavo dei miei bongos, negli ultimi tempi anche di un tamburo di Bali. Nessuna si è mai lamentata.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 07:55 da eventounico


@ Massimo: credo che ogni infanzia abba le sue solitudini e che sia un’astrazione pensare a questa epoca della vita come a un incantevole spazio incontaminato e irraggiungibile dal graffio del dolore.
Con diversa intensità e in rapporto alle singole circostanze, il bimbo è perfettamente in grado, anche da piccolissimo, di cogliere un disagio, di afferrare un’assenza, di percepire – oltre alla felicità della propria condizione – anche la sua fragilità, il suo essere esposta alla ferita.
Credo invece che siano diversi gli strumenti che consentono – oggi – a un piccolo di superare la solitudine.
Forse noi “settantini” avendo meno strumenti a disposizione, potevamo rintanarci nella fantasia (i libri, il cinema, poca televisione). I bimbi di oggi hanno molti più mezzi meccanici ( Play station, computer, sky…) , tutti “marchingegni” che – però – possedendo un potere virtuale travolgente, rischiano di sostituire alla capacità di volare di ciascun bambino ali artificiali, fin troppo semplici da “azionare”.
E, invece, la fantasia richiede anche un po’ di sana fatica.
Il libro di Ivan è esemplare in questo: che il bimbo si rifugi in un super eroe ( mescolato a un’assenza) è tipico dello sforzo (costruttivo ) di superare i propri vuoti.
Oggi il rischio è quello di accendere subito la TV, di assordare i propri singhiozzi con tanto rumore, di non fare alcuno sforzo personale per assimilarli come eventi dell’esistenza che richiedono la capacità di far fronte alle frustrazioni.
Per noi genitori la responsabilità è quindi ancor più grande: offrire alternative ad essi, puntare tutto sul gioco e sulla creatività. Sforzarci di ricordare che offrire oggi a nostro figlio un mezzo per superare con estro e coraggio un problema vuol dire accompagnarlo nelle asperità del futuro con la speranza di avergli donato un piccolo rimedio.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 08:32 da Simona


Gentile Ivan, la ringrazio molto per la sua cortese pazienza nel rispondere alla raffica delle mie domande e spero che non spari sul pianista se continuo a chiedere….E’ noto che le donne siano molto curiose e petulanti…Nella mia famiglia siamo molto appassionati di cinema. Un film superbamente realizzato, è come un’appagante favola per grandi che induce a sognare, obliando almeno per due ore, la cruda realtà. Se però , come spesso accade, una pellicola è tratta da un noto romanzo, talvolta si rimane delusi. In una pellicola non può emergere lo splendore della parte squisitamente psicologica del personaggio, analizzato e descritto in maniera sublime come nelle opere di Elsa Morante.-1) Partendo dal presupposto che lo scrittore nella tessitura della trama , descrive luoghi ed esperienze vissute per renderle più reali
ed appetibili le proprie pagine, quanta parte di lei c’è invece nelle sceneggiature dei personaggi ? -2) Il regista che domina il suo lavoro, quanto limita e mortifica con eventuali tagli ed ingerenze i dialoghi da lei
intessuti e quanto si modifica ciò che lei ha elaborato dopo il montaggio del film? -3) Rispetto alla normale scrittura, si avvale di una tecnica speciale per la sceneggiatura? -4) Lei giustamente, mette l’amore al primo posto, del resto è il motore del mondo ed è l’unico sentimento che favorisce l’ottimismo riescendo spesso a renderci migliori. Allora sarà molto lieto ed orgoglioso di poter ideare con la sua spiccata sensibilità, la tenera storia dei due giovani adolescenti, per il film, sulla mitica canzone i “Questo piccolo grande amore” di Baglioni. Non teme il confronto con la pellicola che sarà curata da Moccia? Le auguro il successo che merita e mi scuso per la mia ripetuta invadenza.
M. Teresa

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 10:43 da M. Teresa Santalucia Scibona


Ciao a tutti!
-Sono curiosissima di leggere il nuovo libro di Cotroneo perchè ho da poco finito cronaca di un disamore e l’ho trovato diverso da come lo immaginavo, l’ho trovato sorprendentemente razionale e spietato, l’ho trovato asciutto ed essenziale e vero. Sicuramente anche parlando di un tema complicato come quello dei bambini saprà sorprendermi.
- Gli anni 70 per me sono il rimorso di non esserci stata, perchè sono del ‘77, perchè anche gli 80 e poi i 90 e via via tutti gli anni a seguire sono anni del rimpianto di non avere vissuto i Settanta. Sono i ricordi dei miei che ancora si amavano, sono i pantaloni assurdi e le basette di mio padre, che ho visto solo vestito di grigio; sono i capelli lunghissimi di mia madre e gli occhiali enormi sul suo viso da diciottenne smunta e un tantino snob. Sono tutte le cose che ho perso ancor prima di capirle davvero, e tutte le foto ingiallite dal tempo che danno alla mia Sicilia una luce ancora più accecante, un sole posticcio e impietoso accentuato dai colori assurdi dei vestiti, e lì giù in fondo un puntino piccolo piccolo ad occhi stretti, che guarda il mondo senza capirci nulla, ma va bene così.
- I bambini di oggi mascherano la solitudine davanti alla play-station senza nemmero capire cos’è questa benedetta solitudine. Mi ricordo la voglia di sperimentare e di riempire il tempo della mia infanzia con giochi e scoperte, un tempo infinito che non passava mai, e giochi improvvisati anche parlando agli alberi, all’auto che sfrecciava dal balcone, al bambino della casa di fronte che ti guardava di nascosto. Io vedo bambini che non chiedono perchè hanno già tutto, che non sperimentano perchè è troppo faticoso, che sono sopraffatti dall’ansia di genitori assenti che però invadono e aggrediscono tutti gli ambiti in cui non dovrebbero stare – la maestra che a scuola è severa, il bambino che ha rubato la merendina e le figurine del figlio, lo sport in cui si affermerà il loro piccolo campione – i bambini di oggi, così fortunati, così curati, così autonomi stanno perdendo la paura della solitudine, il gusto della ricerca, la forza di combattere, perciò credo che siano più soli che mai. E non ce ne accorgiamo nemmeno.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 11:05 da sam


@ Sam
Mi hai praticamente tolto le parole di bocca… infanzia molto simile, nella stessa tua Sicilia, quando per chiamare l’amichetta del palazzo di fronte usavo il fischietto e non il telefonino, quando con mio fratello si giocava alla “bancarella”, o in estate, a casa dei nonni, ad arrampicarci sui tetti, a rincorrere le galline, ad esplorare spazi invasi da erbacce e case diroccate. Con uno zaino pieno di tegolini e trancini del mulino bianco, e l’acqua no, che tanto non serviva. Si spariva giornate intere, e i miei genitori erano tranquilli dei bambini che eravamo. Non mi sono mai sentita sola. Oggi, hai ragione tu, i bambini hanno tutto (e continuano a chiedere) e forse non sanno bene cosa desiderare.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 12:39 da Anonimo


Ohhpsss…non sono Anonimo, sono Silvia, in missione speciale a Milano!

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 12:41 da Silvia Leonardi


@ Ivan
grazie per la tua risposta. Il mondo dei bambini colpisce e commuove molto anche me, per questo credo di poter capire perfettamente quello che scrivi e perchè lo scrivi. Ti leggerò.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 12:44 da Silvia Leonardi


@Evento,
rispondo a te perchè sono riuscito a far andare fuori di testa Greg, lo so che non è difficile, ma come s’incacchia con me…
A provocazioni sono terrific, ciò detto devo dargli ragione (prima che piombi a Napoli e mi sfasci il pc) ma per la seconda affermazione dove condivide che “Beatles” fu un fenomeno magico ad incastri e nessuno avrebbe potuto sostituire Ringo, come per magia nacque “Casablanca” con Bogart/Bergman; come per magia nacque “Magnifici sette”, musica/attori (se qualcuno tira fuori Kurosawa…).
Puoi dirgli che tutta quella gente la conosco ma che la vita è un caleidoscopio variopinto e non la fettuccia di Terracina, poi da qualche parte nei paradisi della storia musicale c’è la west-coast dei Jefferson, Pfm & Osanna, Benedetti Michelangeli, la Band di Bobby Dylan, Arlo Guthrie, Morricone, Burt Bacharach, e perchè no, visto che siamo negli anni ‘70 la immaginifica poesia rock dei concerti De Andre/Pfm
(e buttiamolo Franz Di Cioccio).
Dai, diglielo, può svoltare non c’è il vigile, e forse non è neanche senso unico.
Ah, se lo vedi dagli un bacio a Gregori, mi raccomando, niente lingua!

p.s. s’è dimenticato (è senile) un certo Carl Palmer, gli dici che quest’estate ad Afragola abbiamo preso un caffé insieme?

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 13:46 da Anonimo


L’anonimo ero io, o lo sono ancora?

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 13:52 da francesco di domenico


@Silvia, ma comunque a tutti:
ma allora, se una guagliona come Silvia o Sam fanno questi ragionamenti la solitudine nei bambini ha una data d’inizio precisa?
Quindi sono gli anni ‘90? Si perchè, seppur “modernizzati” con loro questi giochi li facevo anchio nei ‘60, non avevamo i “tegolini”, ma per il resto è tutto uguale, costruivamo i giocattoli e facevamo le bancarelle.
La televisione la si vedeva tutti insieme…la televisione in ogni stanza è stato forse il primo problema, il video-registratore, noi a vedere film, loro in silenzio, da soli, i cartoni.
Lasciare un bambino solo con “Bambi” di Walt Disney è una carognata nazista: è un film da bollino rosso per la sua violenza…poi il pc e la globalizzazione stanno facendo il resto.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 14:07 da francesco di domenico


I bambini sono sempre soli, così come siamo soli in ogni momento della vita. Una collana di rapporti ci sostiene nei vari passaggi, ma quando a ritroso rivediamo i nostri momenti importanti possiamo solo constatare, con assoluta certezza, che la vita è un percorso solitario irripetibile e che muta per le diversi convenzioni sociali: ma siamo sempre soli. Ed è questo che una buona educazone dovrebbe saper trasmettere: capacità di distinzione e capacità d’amore. Per questo ho trovato grande il messaggio di Cormac McCarthy: di fronte ad una maturazione del sé, l’adulto deve retrocedere con i suoi bagagli e le proprie convinzioni e lasciare ai giovani, non più bambini, la possibilità di crescere. Una possibilità libera da invasioni, credenze e pregiudizi. Gli adulti devono solo sorvegliare perché tutto avvenga nel migliore dei modi.
Sugli anni settanta: rivivrei tutto, ma non auspico ad altri la durezza di certi momenti, e, soprattutto certe conseguenze.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 14:37 da miriam ravasio


a didò:
vorrai mica l’elenco di tutti i ragguardevoli batteristi rock?
Va bene Carl Palmer col quale hai preso il caffè.
Io i caffè li prendo con la Leonardi. Non suona la batteria come Palmer ma c’ha un bel paio di tette. Quindi ci guadagno io.
ps: qualche mese fa è piovuto al Messaggero Keith Emerson, siccome la sua visita mi era stata annunciata, mi sono portato da casa la mia copia di “Ars longa vita brevis” dei Nice che lui mi ha autografato.
ps: continua a parlare con me attraverso Eventounico. Per adesso ancora non ti sopporto

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 14:46 da Enrico Gregori


@Maugeri:
Maledetto Didò. Lo vedi come sono riuscito a tenere il blog rusticamente in tema anni ‘70?
Ho fatto la corsa con Gregori a chi arrivava prima al muretto o chi la “faceva” più lunga, lui ha vinto, la fa sempre più lunga, ma io sono un gran provocatore, ti avevo già detto a suo tempo che mi rifacevo a Giancarlo Fusco (Notizie su Wikipedia).

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:16 da francesco di domenico


Ma non lo so, se i bambini a 5 anni fanno già a tempo a essere diversi, ad avere addosso il segno dei tempi.
Boh, mi pare che qui si ricade ne post precedente. E mi pare che a un certo punto, arriva qualcuno – la silvia, e dice, ah quanno ero piccolo io che bei tempi!
com’eravamo felici coppoco!
com’erano più educati li pargoli!
e i treni, immarcescibili – arrivavano in orario.
-
Ci sono bambini soli, bambini insieme, bambini silenziosi, bambini chiacchieroni, bambini fortunati, bambini eccheppalle. Non c’è la solitudine dei bambini. Ma di un certo bambino, di certi bambini, di certe storie di certe strade.
scusate ho ricominciato la dieta.
-
Massimo so dipolamtica come un diplomatico è pieno di gatti riccioli. diplomatico, quello che se magna.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:19 da zauberei


gli interventi di zauberei sono come una scoreggia durante l’eucarestia. non c’entrano niente, ma fanno rumore

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:25 da Enrico Gregori


essere bambini è sempre un casino, soprattutto bambini pensanti.
io lo sono stata nei ‘60. figlia unica, famiglia di intellettuali d’avanguardia.
ed è dura, fidatevi.
imparato a leggere a due anni e mezzo, per disperazione, credo.
ogni ricordo che ho è legato ad un libro. tanti libri. tutti forse troppo presto. moby dick a dieci, rabelais e baudelaire a dodici, apollinaire martin eden pavese havelock ellis huizinga e marx a 14 e a valanga il resto.
gli altri bambini giocavano in strada, io no: le bambine di famiglia no.
al parco guardavo timida gli altri e non osavo partecipare a giochi di cui non conoscevo le regole. io sapevo di scacchi, lego, trenini (penso mio padre avesse nostalgia del maschio) ma di comunicazione con gli altri zero.
tanti film: nel ‘68 per il mio decimo compleanno ho ricevuto in regalo la tessera di un cineclub, e se gli altri ascoltavano gianni morandi io ascoltavo miles davis e coltrane. il primo 45 coi miei soldi fu girl dei beatles. che anno era?
e poi ci si stupisce se uno è strano…

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:32 da gea


tz!
enrico gregori ci ha sei occhi tutti guerci e inutili.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:33 da zauberei


@ gea:
grande!!!! hai imparato a leggere a due anni e mezzo.
e a scrivere quando impari?

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:49 da Enrico Gregori


gea:)))))
come te capisco nell’intimo:))
io nun potevo vedere i cartoni animati giapponesi
non poitevo giocare
però ah er teatro
ah l’arte rinascimentale.

Cazzate.
Ho un amico cresciuto a videogiochi e cartoni.
Infanzia banale.
Oggi è PhD, storico della letteratura e sta finendo un romanzo meraviglioso.
Basta cor qualunquismo de noantri.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:49 da zauberei


@ enrico
mai, caro.
appunto.
:-)

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:51 da gea


@ zaub:
ecco, appunto. taci

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 15:51 da Enrico Gregori


@ zaub
Io non so se i bambini oggi siano più o meno felici, più o meno soli. Sicuramente hanno di più, più scelte da fare, più cose da avere. In generale. E questo forse è qualunquismo se parliamo dei bambini estendendo il concetto all’infanzia nel mondo. Sappiamo bene che non è così per tutti e che ci sono casi e casi.
Come ricordi tu, certi bambini, certe storie, ognuno è un mondo a sè.
Io sono cresciuta con le cazzate e con le cose serie, cartoni giapponesi e teatro, parco giochi, strada e museo.
E salvo smentita imminente di Gregori -che mi aspetto a breve- sono cresciuta felice di me e di quello che ho.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 16:48 da Silvia Leonardi


In effetti potevo tagliare corto. Grazie all’amico Piero, un reperto storico girato a Londra nel luglio del 1972 è diventata una realtà su youtube con tanto di montaggio di colonna sonora dell’epoca. il titolo potrebbe essere “caccia a gregori”

http://it.youtube.com/watch?v=sMOSHUJ0VnU

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 16:51 da Enrico Gregori


Allora… eccomi di nuovo qui, cerco di rispondere alle altre domande. Intanto però grazie davvero… siete tanti e avete dei racconti sugli anni ‘70 bellissimi. Davvero.
Volevo salutare chi conosco, il caro amico Luigi (Pronto? quando mi riporti giù in Sicilia? E poi: finisci il libro, ho capito che ne hai letto poche pagine!) e Antonella per le bellissime parole…
Insomma grazie a tutti, io mi emoziono a stare qui…

@ Salvo Zappulla, e in generale sulla questione della napoletanità. Grazie dei complimenti. Il pezzetto di dialogo che hai riportato però non è completo. Gennaro dice ‘Sono Superman. Però sono Superman napoletano.” E quell’avversativa per me è importante. So che volevo evitare tutti gli sterotipi su Napoli scrivendo. So anche che però la volevo raccontare per come la conosco, anzi per come la ricordavo da bambino. Non so se ci sono riuscito. Però ecco, avevo paura. Scrivere di Napoli, per chi è napoletano è difficile. io ammiro molti miei colleghi che lo fanno benissimo: Valeria Parrella, Diego de Silva, Andrej Longo, Antonella Cilento, Giuseppe Montesano. Penso che cerchiamo tutti una strada per raccontare questo peso, questo amore, questa felicità e un po’ questa condanna. La Ferrante nell’Amore molesto e ne la frantumaglia ha scritto pagine bellissime su questo.

@ gea. Sì, la struttura disordinata del libro deriva anche dal tentativo di riprodurre un mondo che Peppino non capisce bene, dove tutte le cose hanno un doppio nome (zii e strade) e dove episodi lontani nel tempo vengono continuamente ricordati come fossero attuali. Da parte mia, poi, c’era la voglia di sganciarmi dalla costruzione rigorosamente lineare e procedere per detour. Da qui, poi viene anche l’idea di dare un titolo ai capitoli che non riguardano la struttura portante della storia, che sono divagazioni in senso orizzontale (su momenti fuori dalla famiglia o dallo sguardo di Peppino) o in senso per osì dire verticale (perché antecedenti al 1973)

Ivan

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 17:50 da ivan


@ miriam ravasio
Credo di non avere capito bene, e ti chiederei se ti va di spiegarmi un po’ meglio cosa significa tenere le mani giù dai bambini (non raccontarli?) Ho letto in un post successivo che l’annotazione non varrebbe se il materiale fosse autobiografico, e ho detto che in realtà per molti versi i sentimenti di Peppino sono i miei. Ma, sempre se ho capito bene, vorrei rivendicare la libertà di uno scrittore di raccontare anche un bambino ‘altro’ da sé, così come qualunque altro personaggio, e se fossi bravo come Patricia Highsmith (non lo sono) anche un’orca impazzita che si abbatte sulla spiaggia (in Catastrofi più o meno naturali). Ma forse non ho capito. Però mi sono dispiaciuto, e non posso trattenermi dal dirlo, dall’uso del sostantivo carriera, sebbene virgolettato, a proposito della mia scrittura, e vorrei dire che per me quello che faccio tutto è, tranne che una carriera. E la ambizione e la vocazione autoritaria, sarebbero le mie?
Ma forse non ho capito bene. Parliamone ancora, se ti va.
Ivan

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 17:55 da ivan


@ eventounico
Che bel post! Mi sono emozionato a leggerlo, e sono fiero se in qualche modo è originato dalla discussione intorno al mio romanzo. grazie, che bravo!

I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 17:57 da ivan


@ Mauro
confesso, anche io avevo voglia di un libro su Napoli senza camorra o monnezza.
Lo so, è campanilismo… ma lo devo confessare. Ho pure scelto di non raccontare il colera del ‘73…
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 17:59 da ivan


Vicinissima a Silvia nel non voler banalizzare e generalizzare esperienze di vita che ci accomunano e che rendono anche me felice di quella che sono e di quello che non ho, direi.

Per rispondere a Francesco Di Domenico : si, probabilmente la solitudine dei bambini ha un momento di inizio. I ‘90 perchè sono gli anni in cui si è avuta la presa di coscienza delle giovani generazioni come generazioni “mature” nel rapporto padri-figli rispetto a padri-padroni; per cui all’inizio dei Novanta eccoli tutti lì a voler fare i genitori-amici; adesso sono tutti affetti dalla crisi da “inadeguatezza genitoriale” e non permettono più che i bambini diventano adulti consapevoli, proprio quello che Miriam Ravasio ricordava citando McCarthy. E non è qualunquismo, ma un dato di fatto.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:01 da sam


…che i bambini diventino…volevo dire ops , questo perchè non rileggo.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:03 da sam


@francesco di domenico
Che bello leggere anche i tuoi ricordi. Nel ‘76 anche mio papà mi aveva portato a sentire Berlinguer alla mostra d’Oltremare. Stavo sulle sue spalle, e a un certo punto hanno cominciato a distribuire dei libri lanciandoli sulla folla. Mio papà con uno scatto ne prese uno, e io caddi. Ma sono sopravvissuto e me lo ricordo come un momento di felicità.
Penso sia vero quello che scrivi, ho dovuto mettere un po’ di distanza tra me e Napoli, e venire a vivere a Roma per avere il coraggio di raccontarla. Io poi credo alla ‘giusta distanza’, anche nella vita, e quella giusta distanza che ci permette di guardare le nostre cose (specie miserie e fallimenti) con un po’ di distacco è la base dell’autoironia. E forse aiuta a trovare anche un po’ di felicità.
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:04 da ivan


confessione sugli anni ‘80

A me la musica anni ottanta piace, ogni tanto faccio anche il deejay e suono quella (e un po’ di anni ‘70). Ma forse mi piace solo perché nel 1986 ho compiuto diciotto anni e ballavo i Depeche Mode e i new order…

I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:06 da ivan


@Ivan – credo che nei tuoi libri ci sia molto poco da stereotipare, al di là dei luoghi comuni su Napoli, perchè hai un approccio schietto e asciutto che mi piace molto, non c’è niente di ampolloso nemmeno nel trattare un tema amoroso come quello del tuo romanzo cronaca di un disamore, quindi immagino che non ci sarà niente di ovvio nemmeno in questo romanzo. Bella e condivisa in pieno la volontà di raccontare un bambino “altro da sé”, perchè se uno scrittore non si cimenta non è scrittore, perchè gli anni Settanta sono comunque dentro di noi al di là di ciò che abbiamo vissuto realmente in quegli anni e perchè è vero che siamo stati tutti bambini, ma non tutti siamo in grado di raccontarci vedendoci con gli occhi di un bambino – io nei pochi dialoghi letti trovo anche la tipica inflessione naoletana e mi fa impazzire! “Però sono Superman napoletano” è da mettere nel sottonick del mio msn! Grandioso

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:14 da sam


@ Enrico Gregori
Certo che si risponde anche a chi non ha letto il libro. Sempre. Non è mica un dovere, leggerlo. La cosa curiosa è che spesso, nelle presentazioni in libreria, per non parlare delle trasmissioni televisivive, il giornalista che ti presenta non sa neanche di cosa si sta parlando… e tu lì a correggere il tiro. Ci scherzo, ma questa delle librerie o delle trasmissioni tv è davvero un po’ frustrante. Penso al bell’intervento di Antonella sulla dittatura televisiva e dell’immagine in generale a cui siamo sottoposti.
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:16 da ivan


mi ripeto se sottolneo quanto siano belli e importanti nella struttura del libro i temini di peppino?
il punto della situazione fatto dalla parte di un bimbo, cui la realtà arriva filtrata dalle narrazioni adulte, ma viene elaborata da un cuore settenne.
che capisce più di quanto credano/vorrebbero gli adulti.
ma capisce diversamente.
e non sempre sbaglia.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:17 da gea


@ Simona
Quando citi Peter Pan mi fai felice. E’ un libro che amo e che rileggo spesso. All’inizio, si parla della felicità dei bambini che Barrie dice durare solo in tenera età. A due anni è già andata. ‘Due è l’inizio della fine’, dice.
Mi ha sempre impressionato molto.
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:18 da ivan


Si, Francesco il nome è impegnativo, in genere le scrittrici si firmano
col nome da ragazza, il mio è Santalucia di origine lucana, ma per amore dei miei figli desidero aggiungere anche Scibona, cognome di mio marito, siculo verace. Così nelle mie multiple origini, aggiungo quel pizzico di Sicilia che mi affascina sempre. Ho visitato il suo sito e ho ammirato
l’ originale pittura di sua figlia Maria Chiara. E ho constatato come è piccolo il mondo, poiché la presentazione della mostra è stata fatta dal poeta Michele Sovente, che ben conosco. Anch’io mi sono occupata per anni di cronache d’ Arte, proprio nel 73, scrivevo per l’Avvenire e seguivo i pittori che venivano alle Gallerie Aminta, La Balzana e altre che non esistono più. Spesso andavo a Bologna da mio cugino Emanuele ,che insieme ad altri amici gestiva la Galleria “il Coritile”. Molti degli autori conosciuti allora, sono divenuti dei famosi Maestri come Antonio Possenti e lo scultore Antonio di Tommaso. Quell’ intenso, dinamico periodo appartiene all’altra mia vita e preferisco non ricordarla, perché la
malinconia non voglio che mi sommerga….Buon fine di serata
M. Teresa

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:22 da M. Teresa Santalucia Scibona


@ Francesca Panzacchi

E’ vero, i bambini soffrono terribilmente. Ed è vero quello che dice gea, capiscono diversamente, spesso più di quanto li si creda capaci. Io ricordo il dolore di avere scoperto una bugia dei miei genitori. E’ stato il primo tradimento che ricordo di avere subìto, e per quanto fosse legato a un episodio leggero, io sono sicuro di quanto mi ha ferito. E per rispondere anche io a Massimo, credo che la solitudine dei bambini sia una solitudine speciale, e che non cambi con gli anni. Nel senso che quella degli anni settanta, cambiate le variabii esterne, è uguale a quella dei bambini di oggi. Forse perché la scoperta del mondo si fa assolutamente e inevitabilmente in solitudine, anche quando si è accompagnati.
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:22 da ivan


@gea
era il 64 o giù di lì (lo comprai anch’io, ma il primo per me fu “misery”, che non era neanche di Lennon-McCartney). La mia educazione musicale precedente era comunque fatta di Buscaglione, Rascel (quello surreale di Napoleòn, Corazziere, ecc.), Bindi e Paoli (la gatta), + Platters e Belafonte. Molto presto arrivò anche De Andrè: allora circolavano credo solo a Genova e zone limitrofe i 45 “Carosello” (o forse addirittura un’altra marca, ancora più sconosciuta) con “guerra di Piero”, “Via del Campo”, ecc., ed io vivevo a Genova.
Ma quando sentii i Beatles fu vera folgorazione, al primo ascolto (che fu appunto “misery”). Doveva essere il 63 ed avevo 10 anni.
Io a Miles e Coltrane sono passato solo nei primi anni 80. Esauritosi il rock dei 70, così creativo e fantasioso, mi rifugiai nel jazz. Elvin Jones, Tony Williams, Paul Motian erano la sola risposta possibile all’imperversare dei ritmi elettronici. Ma di questo ho già detto (scatenando una rissa su Ringo Starr, che non fu mai batterista eccelso, ma neanche una pippa, e comunque essenziale nella musica dei fabfour).
Libri non leggevo una mazza. Fumetti molti. Superman si chiamava ancora Nembo Kid ed io continuavo a leggere nella mia mente i nomi storpiati anche dopo che imparai (grazie ai Beatles, e poi a Bob Dylan – che era un pò più tosto da tradurre-) l’inglese: “perrivite, luisalane, ecc.”.
Intorno al 65 mi capitò uno dei primissimi numeri di linus. Fu la seconda folgorazione.
Ma erano ancora gli anni 60, comunque necessario imprescindibile preambolo a tutto ciò che accadde nei 70.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:25 da Carlo S.


@Ivan
Credo, forse, di averti confuso con un altro Cotroneo, che fa il giornalista, è probabile?
Per quanto riguarda il “giù le mani dai bambini” intendo, che non c’è niente di male a scrivere su di loro; io, per esempio su di loro e il loro mondo, ho disegnato tantissimo… (però poi ho smesso per le ragioni che seguono)
Trovo ingiusto creare storie attorno ai bambini, alla loro solitudine e ai loro problemi, che poi vogliono parlare d’altro. O meglio, che poi cercano di soddisfare altri bisogni: i nostri. Ti scrivo queste cose, per esserci passata prima di te.
A me non piace il brano riportato dal tuo libro, non mi piace Gennaro e la poetica che cerchi di creare su di lui. Trovo l’idea molto violenta; ma questa è una mia impressione, una come le altre, solo che esce dal coro.
Non volermene.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:26 da miriam ravasio


@ ivan
posso approfittare ancora della tua presenza per chiederti qualcosa sui personaggi collaterali?
il boxér, la maestra lina e sua sorella..
sono inventati? se sì sono assolutamente fantastici, se sono ispirati anche vagamente da persone reali incrociate in qualche momento è ancora meglio.
credo di aver raramente riso tanto come leggendo del pellegrinaggio.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:32 da gea


@ Massimo
il capitolo del libro intitolato Riccardo Muti e Saint Tropez Twist nasce da una storia famigliare. Negli anni sessanta il futuro maestro studiava a Napoli, contemporaneamente al Conservatorio e al Liceo Classico Vittorio Emanuele II, dove era nella stessa classe di mio zio. Tutti lo chiamavano – pare – il Musichiere. Insomma una volta il Musichiere venne a una festa a casa di mia madre e mio zio, e si mise al pianoforte a suonare meravigliosamente. Mia madre, che voleva ballare, gli andò vicino, lo interruppe e lo prego – nemmeno troppo gentilmente – di cedere il posto a un suo amico che sapeva fare i ballabili. Da allora nella mia famiglia mia madre è – come si dice a Napoli – priva di poter esprimere un parere su qualsiasi manifestazione artistica (non solo musica, ma pittura, arti visive in genere e perfino trama di un parato) perché per tutti è rimasta ‘la cretina che ha fatto alzare dal pianoforte Riccardo Muti’.
Era un aneddoto per me irresistibile. L’ho preso, ci ho lavorato su e l’ho infilato nel libro.
Aggiungo anche che ai miei ricordo sempre una frase di Singer: “In una famiglia nasce uno scrittore e quella famiglia è rovinata.” Ma scherzo, ovviamente.

I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:35 da ivan


nel 1970 avevo dodici anni, ma ero una bambina. Più piccola e più grassoccia delle altre. Senza petto, senza fianchi. Quando guardavo le mie coetanee volevo morire e mi sentivo “unica”, ma nel peggiore dei sensi.
Leggevo > e pensavo che anch’io avrei voluto un luogo dove vivere nascosta agli occhi di tutti, da dove uscire solo per andare a chiudere la mia inutile esistenza.
Poi arrivò il ciclo mestruale tanto desiderato e il liceo. E il corpo che vedevo cambiare. Ma i pensieri, no. Che strano. Mi sentivo sempre un passo indietro, sempre diversa. Pronta a scusarmi con il mondo per il fatto stesso di esistere.
Avevo il giradischi e il mio più grande amore erano quei grandi dischi di celluloide, i 33 giri, a parte le cose che scrivevo.
Guccini, Battisti, De Gregori…
Le radio libere che accettavano “le dediche”, la voce di amici insignificanti che alla radio sembravano flauti magici.
Le prime elezioni al liceo nel ‘72, o era il ‘73?, per diventare “rappresentante” di classe o di istituto. L’ondata di ribellione del ‘68 che arrivava con ritardo nella mia piccola città, Siracusa, all’estremo sud della penisola. Il collettivo studentesco. I cineforum e i discoforum. I compagni con l’eskimo, i capelli lunghi e la barba incolta.
La sensazione che il mondo sarebbe cambiato e che noi saremmo stati, con i nostri maglioni lunghi e le nostre zampe d’elefante, gli artefici del grande cambiamento.
E poi film come Hair, o Jesus Christ Superstar, che si mescolavano con polpettoni come Love story.
L’enorme abisso tra ciò che desideravamo (l’amore romantico in prima linea) e ciò che predicavamo (la famiglia spacciata, l’orrore per le ambizioni personali e per ciò che non fosse “comune”)
…. e poi e poi
a dopo

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:36 da adriana


E’ saltato un rigo. Avevo scritto: leggevo il diario di Anna Frank e pensavo…ecc

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:37 da adriana


@ carlo
il primo de andrè lo portò a casa mio padre, che da amante di brassens aveva fiutato subito il talento.
e il jazz, con il blues e mozart, era la colonna sonora, a casa mia. un rumore di fondo che mi ha comunque dato un imprinting dal quale non mi sono mai liberata.
non che me ne lamenti..
:-)

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:38 da gea


ah, e per inciso: ricordo ancora la copertina del primo linus, ottobre ‘65.
mi schiuse un mondo…
avevo sette anni da compiere, e ci crebbi sopra.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:46 da gea


@ M.Teresa
Scrivo questo post con il capo cosparso di cenere pe averle dato del tu alla prima risposta. Me ne vergogno un po’.
Grazie delle domande, che sono molto belle anche questa volta. Cerco di risponderle.
1. la parte di me che metto nelle sceneggiature varia da storia a storia: a volte è nello stesso soggetto, nell’idea che si racconta (per esempio è stato così per la sceneggiatura di Cosa c’entra con l’amore, con cui ho vinto il Solinas, in cui ho riversato la mia idea di sofferenza metropolitana, e tanto per cambiare, di solitudine). Altre volte è in un personaggio che ha qualcosa che mi appartiene, per esempio la sofferenza per amore del protagonista del prossimo film di Maria Sole Tognazzi è abbastanza simile a quella che mi capita di provare. Altre volte, come nella commedia che ho scritto per Luchetti, ci sono alcune mie idee sugli anni ‘80 e un po’ del mio senso dell’umorismo. Tutte queste componenti mie si mischiano con le componenti degli altri autori, perché scrivere una sceneggiatura e in generale fare un film significa partecipare a un’opera collettiva. E qui vengo alla risposta numero…
2. Quando si realizza un film, intervengono tantissimi fattori che modificano la sceneggiatura, non solo le scelte registiche, tutti i reparti, dalla scenografia ai costumi, perfino il trucco, le luci, per non palare degli attori, intervengono creativamente. Al montaggio, poi, il film si trasforma ancora. E perfino dopo, al missaggio delle musiche, quello che hai scritto cambia. A me piace. A volte sono stato deluso. Più spesso ho trovato che quello che avevo scritto acquistasse una magia. Una sceneggiatura è un materiale inerte, finché non si trasforma in un film, perché è nata per diventare quello. Diverso è il caso delle opere letterarie che diventano film. Anche io spesso ne sono deluso, perché trovo la trasposizione riduttiva rispetto al film personale che avevo creato nella mia testa, per così dire da lettore libero.
3. La sceneggiatura viene scritta formalmente e tecnicamente in un modo specifico e particolare. Ci sono sempre indicazioni del passaggio di ambiente, di luce, di tempo. A volte ci sono indicazioni dei movimenti di macchina, esplicite o suggerite. Sempre c’è una netta divisione, proprio di formato, sulla pagina, tra le battute degli attori e le didascalie che illustrano la scena, tra il parlato e il visivo. E’ una scrittura molto tecnica, accettata per convenzione, che deve servire soprattutto a che tutti i reparti sappiano cosa devono preparare per quella scena.
4. Non conosco Moccia, purtroppo. Non ho letto i suoi libri, né ho visto i film che sono stati tratti dalle sue opere. Il progetto di Questo Piccolo Grande Amore è però quello di un film musicale, qualcosa che somiglia un po’ al recente film di Julie Taymor costruito sui brani dei Beatles, che si chiama Across The Universe. Questo dovrebbe credo renderlo diverso. Insomma, non sarà tanto una storia d’amore, o non solo una storia d’amore, ma un film musicale.

Gentile Maria Teresa, spero di avere risposto esaurientemente alle sue belle domande. Grazie davvero di tanta attenzione.
Ivan

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:55 da ivan


@sam

Grazie di avere letto Cronaca, e grazie di quello che hai scritto. Spero che leggerai la Kryptonite, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
Grazie ancora.
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:56 da ivan


@ Ivan: Peter Pan è tutto ciò che dell’infanzia vorremmo conservare.
La capacità di volare per un pensiero felice. Di perderci in isole irraggiungibili, accessibili solo da strade lastricate di stelle.
Peppino gli somiglia in qualche modo, perchè è incantato da tutto ciò che sostituisce al mondo reale un po’ di polvere di fata.
Infondo lo scrittore fa come Peter Pan…usa molta polvere di fata e imbastisce storie.
A te che hai questa miracolosa polvere nella penna, bacio bacio
tua simo

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 18:59 da Simona


@ miriam

Gentile Miriam,
non te ne voglio affatto, ma continuo a non capire. Non credo affatto di avere riversato sul mio personaggio bambino i miei bisogni da adulto. Capisco che ti rifai a un tuo percorso e a una tua esperienza, ma non conoscendola mi riesce difficile comprendere. Mi piacerebbe davvero molto che leggessi il romanzo, e non solo l’estratto. Ma non per spingerti a cambiare idea, semmai per rafforzarla e cercare così io di capire meglio quello che intendi. Anche quando parli di violenza. Potrei dirti che da bambino avevo anche io un amico immaginario (morto) ma questo non sposterebbe la questione, come sappiamo, o almeno non per me. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del romanzo in sé e del modo in cui viene raccontato Peppino. Tutto qui. Però davvero, e insisto, io rispetto molto le voci fuori dal coro, e credo per giunta che il libro sia di chi lo legge quanto di chi lo scrive. Quindi non mi muovo per convincerti del contrario di quello che pensi, solo ti chiedo un aiuto per comprendere meglio.
Ivan
ps: sì credo tu intenda il giornalista e scrittore Roberto Cotroneo, spesso mi scambiano per lui, con esiti anche imbarazzanti o esilaranti. Specie quando lo fa qualche giornalista.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 19:03 da ivan


@ gea
grazie ancora dei complimenti, gea. Dunque, molti dei personaggi secondari nascono da spunti autobiografici: Esisteva davvero un Tonino o’ Boxer nel mio quartiere, ma non ha avuto una carriera così folgorantemente ridotta come nel mio libro, pur non essendo diventato un campione. Alla presentazione a Napoli si sono fatti avanti i tre fratelli del Boxér per puntualizzarlo e io ho dovuto imbastire tutto un discorso sulla finzione letteraria.
La maestra Lina somiglia un po’ (per inciso: nelle bacchettate) alla mia maestra delle elementari. L’episodio mistico è quasi totalmente inventato e attribuito a lei. Altri personaggi sono a cavallo tra realtà e finzione, così Assunta Cozzolino, ricalcato su una collega di lavoro di mia madre che davvero andò a dormire con il tubetto di maionese per il terrore di dividerlo con i parenti…
Però mi sento un po’ come un cuoco che rivela gli ingredienti dei suoi piatti… quindi mi fermi qui.
Bacio
I.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 19:07 da ivan


@ tutti
adesso stacco.
grazie davvero dell’attenzione, delle domande, dei complimenti, delle promesse di lettura, degli inviti in Sicilia, di avere condiviso i vostri ricordi, delle critiche, delle osservazioni, delle curiosità, dei dubbi, dell’ospitalità, dell’affetto e dell’attenzione, che ho già detto ma volevo ripetere.
Spero di avere risposto a tutti, se ho saltato qualcuno è stato per incapacità manuale e se me lo fate notare risponderò.
Ritornerò più tardi a rileggervi, e se c’è altro a rispondervi.

Grazie grazie grazie
Ivan

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 19:11 da ivan


Ivan,
grazie a te. Già la sola attenzione è regalo gradito. In genere chi ha qualche pubblicazione minimamente di successo non rivolge più lo sguardo al sottobosco della scrittura nel quale tutti noi altri grottescamente ci agitiamo scrivendo ed anche leggendo e commentando.
Che poi quello che ho scritto ti sia anche piaciuto mi rende orgoglioso. Più di quanto non lo fossi già per il fatto che uno scrittore della città dove sono nato possa essere tanto apprezzato, oltre gli stereotipi come è stato detto.
Mi piace pensare che in quello che ho scritto tu abbia potuto sentire un ormai fioco barlume delle mie origini “O mantuà son Sordello, son della tua terra”.
Io, in quello che scrivi tu, invece, trovo tutte le note della Napoli migliore e che sono ben più di sette.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 20:23 da eventounico


per quanto riguarda il nuovo libro di ivan. Il poco che ho letto qui è molto bello e nello stesso tempo molto semplice. Chi l’ha letto dice che è molto diverso da cronaca di un disamore. Io cronaca l’ho letto un paio d’anni fa e da allora sta sul mio comodino ( io leggo circa tre libri al mese… ). Perchè è la cronaca di un dolore che abbiamo provato tutti e che tutti ci portiamo dentro spesso incapaci di farlo diventare parole. Ivan invece l’ha espresso in modo diretto e forte e semplice. Voglio dire senza troppe metafore e costruzioni. Profondo, forte importante.
Ecco, adesso leggendo la pagina del nuovo libro che Massimo ci ha presentato, ho pensato alla stessa cosa. In una pagina ci sono mille possibilità di sviluppo, tanti punti su cui riflettere… e tutto con una semplicità che trovo magnifica. Bravo ivan.
Quando ti ho conosciuto a catania, per poche ore, la cosa che più mi ha colpito di te è stata l’aria di ragazzo normale, bello e normale. E normale non sta per qualunque. Leggerò il nuovo libro appena lo troverò.
ciao

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 20:27 da adriana


sara’ che nel 70 avevo ott anni,sara’ perche’ dove vivevo non erano neppure gli anni 70,ma uno scampolo di secolo imprecisato,800 o 900, pensando a quello che facevo io a quell’epoca mi sembrate marziani.ora capisco perche’ ho ancora tanto piu’ senno di voi.E perche’ siete cosi’ sospettosi e malfidati.perche’ siamo tropo diversi.
baci a tutti.

Postato mercoledì, 23 gennaio 2008 alle 20:43 da m.g.


@ Ivan
Grazie davvero per la tua disponibilità e per la generosità delle risposte. Sei stato bravissimo!
Conoscevo bene l’aneddoto relativo al maestro Muti, ma avevo poacere a fartelo raccontare. Thanks
:)
-
@ Tutti
Grazie per i vostri interventi.
Il dibattito rimane aperto…

Postato giovedì, 24 gennaio 2008 alle 00:31 da Massimo Maugeri


Ivan, ti ringrazio per la tua gentilezza, per le esaurenti spiegazioni, come vedi ti dò del tu, devi scusarmi, sono una matusa di vecchio stampo …però cerco di adeguarmi. Per giovani come voi, beati voi…, oggi è tutto meno formale. Il mio tecnico mi sta assestando il sito che avevo massacrato, per rimettere nella parte alta, ossia nel benvenuto sez. “Freschi di stampa”, la segnalazione dei libri degli amici, è stato inserito anche il tuo, ma avvertimi se c’è stato qualche errore. Sei al corrente del Festival cinematografico -” Terra di Siena”, che è collegato al Festival di Venezia? A Siena, vicino al duomo c’è la casa natale di Mario Verdone, babbo di Carlo, Luca e Sivia e in provincia ha comprato una casale Luca Zingaretti, anche lui ha già istituito un laboratorio di documentari. Se ti interessa, potresti informarti e magari venire a trovarmi. Fra qualche giorno inserirò sul sito i premiati del “Santa Caterina d’oro” 2008( faccio parte del Comitato per la Letteratura), l’evento internazionale ci sarà a metà febbraio e aspettiamo ospiti molto famosi in tutti i campi sociali, dalla medicina alla televisione.Ti rinnovo la mia simpatia e l’augurio di un luminoso avvenire.Grazie per l’attenzione.
M. Teresa

Postato giovedì, 24 gennaio 2008 alle 10:31 da M. Teresa Santalucia Scibona


Ciao Adriana! Leggerti qui è una gioia…
Ci manchi tantissimo, lo sai? A quando un tè letterario?
Baci da Maria Lucia, Simona e tutta la compagnia della scrittura…

Postato sabato, 26 gennaio 2008 alle 00:14 da Maria Lucia Riccioli


[...] LA KRYPTONITE NELLA BORSA di Ivan Cotroneo [...]

Postato lunedì, 28 gennaio 2008 alle 22:31 da Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » LA VITA INCAGLIATA di Attilio Del Giudice


salve a tutti…Sono entrata in questo sito in cerca di spunti perchè in questo giorni devo scrivere una recensione sul libro “La Kryptonite Nella Borsa” e onestamente non ho la minima idea di come si faccia.
Infatti il 27 febbraio andrò alla fondazione Bellonci a parlare con Ivan riguardo il suo libro, Però non so bene come strutturare il discorso.Dopo aver letto i post di alcuni di voi mi è venuta qualche idea; tranquilli non farò un copia-incolla. Sicuramente però parlerò di Peter Pan( ma quello lo avrei scritto anche senza il vostro aiuto) infatti la sua storia mi è sempre piaciuta e all’esame di terza media avevo portato una tesina su James M. Barrie e sul libro “Peter Pan nei giardini di Kensington”. Anche io da piccola spesso rimanevo sola perchè i miei genitori lavoravano fino a tardi e io mi sono creata degli amici immaginari (erano dei simpatici lupetti che erano gli unici che mi potessero convincere a mangiare la frutta e la verdura). mi sarebbe piaciuto parlare con voi dei miei anni 70, ma in quel periodo non stavo neanche nei pensieri dei miei genitori.. se mai vorrete parlare degli anni 90 sono a vostra dispozione…
bè dopo aver detto questo penso di poter continuare a scrivere la mia recensione grazie mille a tutti dell’aiuto… ciao Ivan, ci si vede il 27!! :-)

Postato domenica, 17 febbraio 2008 alle 12:32 da mara


ciao…ho letto qst bllissimo libro a scuoladove abbiamo incontrato ivan…mi è piaciuto un sacco,è un libro davvero interessante.complimenti.

Postato giovedì, 28 febbraio 2008 alle 15:00 da antonella



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