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domenica, 5 settembre 2021

PREMIO CAMPIELLO 2021: vince Giulia Caminito (lo speciale di Letteratitudine)

GIULIA CAMINITO VINCE LA 59^ EDIZIONE DEL PREMIO CAMPIELLO

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Giulia Caminito, con il romanzo L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani), vince la 59^ edizione del Premio Campiello, concorso di narrativa italiana contemporanea organizzato dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto. Il libro vincitore, annunciato questa sera dal palco dell’Arsenale di Venezia, ha ottenuto 99 voti sui 270 inviati dalla Giuria dei Trecento Lettori Anonimi.

Al secondo posto si è classificato Paolo Malaguti Se l’acqua ride (Einaudi) con 80 voti, al terzo Paolo Nori Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij (Mondadori) con 37 voti, al quarto Carmen Pellegrino La felicità degli altri (La nave di Teseo) con 36 voti e al quinto posto Andrea Bajani Il libro delle case (Feltrinelli), con 18 voti.

Su LetteratitudineNews una videosintesi dell’evento e tutte le informazioni sulla serata finale del Premio Campiello 2021, nonché la recensione del libro firmata da Salvo Sequenzia.

Di seguito:

-  la partecipazione di Giulia Caminito – in conversazione con Massimo Maugeri – alla trasmissione radiofonica di Letteratitudine dedicata a L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani)

- Giulia Caminito (nell’ambito di una della puntate degli “Autoracconti d’Autore” di Letteratitudine) ci racconta come è nato il romanzo L’acqua del lago non è mai dolce (continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, POST DEL MESE   Commenti disabilitati

giovedì, 8 luglio 2021

GIULIA CAMINITO con “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani) in radio a LETTERATITUDINE

GIULIA CAMINITO con “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, postproduzione e consulenza musicale: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA QUI

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Ospite della puntata: la scrittrice Giulia Caminito.
Con Giulia Caminito abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani): finalista al Premio Strega 2021 e vincitore del Premio Selezione Campiello 2021.

[Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIULIA CAMINITO racconta L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE (Bompiani)]

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La scheda del libro: “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito (Bompiani)

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti. Giulia Caminito dà vita a un romanzo ancorato nella realtà e insieme percorso da un’inquietudine radicale, che fa di una scrittura essenziale e misurata, spigolosa e poetica l’ultimo baluardo contro i fantasmi che incombono. Il lago è uno specchio magico: sul fondo, insieme al presepe sommerso, vediamo la giovinezza, la sua ostinata sfida all’infelicità.

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Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40). Questo suo nuovo romanzo, “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani), è tra i cinque finalisti dell’edizione 2021 del Premio Strega (e ha vinto lo Strega Off). Ha anche vinto il Premio Selezione Campiello e concorrerà per il cosiddetto Premio SuperCampiello di quest’anno.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia, post produzione e consulenza musicale: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA QUI

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

venerdì, 23 ottobre 2020

ANTONIO SCURATI con “M. L’uomo della provvidenza” (Bompiani) in radio a LETTERATITUDINE

ANTONIO SCURATI con “M. L’uomo della provvidenza” (Bompiani), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie).

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: lo scrittore Antonio Scurati con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “M. L’uomo della provvidenza” (Bompiani). Nella seconda parte della puntata Antonio Scurati legge le prime pagine del libro.

[La puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a "M. Il figlio del secolo" è disponibile qui]

Antonio, facciamo il punto della situazione: come commenteresti il grande successo di “M. Il figlio del secolo” (il primo libro della tetralogia)? Questo nuovo libro “M. L’uomo della provvidenza” presenta differenze rispetto al precedente dal punto di vista della struttura e della “impostazione narrativa”? Sin dalle prime pagine scopriamo un Mussolini, il più giovane presidente del Consiglio d’Italia e del mondo, afflitto da una terribile ulcera: cosa puoi dirci in proposito? E quali sono le principali differenze tra il primo Mussolini e quello che presenti ai lettori in “L’uomo della provvidenza”? Cosa puoi dirci sul ruolo esercitato dagli uomini e dalle donne di cui si attornia Mussolini (partendo, per esempio, da Margherita Sarfatti)? Troviamo il riferimento a fatti tutt’altro che edificanti: cosa è accaduto in Libia? C’è una foto importante a pag. 535: di che si tratta? E come sei riuscito a reperirla? In che modo i fatti narrati in questo libro possono trovare echi nella nostra contemporaneità? Cosa puoi dirci sulla serie televisiva che sarà tratta dalla tetralogia di “M”?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto ad  Antonio Scurati nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “M. L’uomo della provvidenza” di Antonio Scurati (Bompiani)
All’alba del 1925 il più giovane presidente del Consiglio d’Italia e del mondo, l’uomo che si è addossato la colpa dell’omicidio di Matteotti come se fosse un merito, giace riverso nel suo pulcioso appartamento-alcova. Benito Mussolini, il “figlio del secolo” che nel 1919, rovinosamente sconfitto alle elezioni, sedeva nell’ufficio del Popolo d’Italia pronto a fronteggiare i suoi nemici, adesso, vincitore su tutti i fronti, sembra in punto di morte a causa di un’ulcera che lo azzanna da dentro.
Così si apre il secondo tempo della sciagurata epopea del fascismo narrato da Scurati con la costruzione e lo stile del romanzo. M. non è più raccontato da dentro perché diventa un’entità distante, “una crisalide del potere che si trasforma nella farfalla di una solitudine assoluta”. Attorno a lui gli antichi camerati si sbranano tra loro come una muta di cani. Il Duce invece diventa ipermetrope, vuole misurarsi solo con le cose lontane, con la grande Storia. A dirimere le beghe tra i gerarchi mette Augusto Turati, tragico nel suo tentativo di rettitudine; dimentica ogni riconoscenza verso Margherita Sarfatti; cerca di placare gli ardori della figlia Edda dandola in sposa a Galeazzo Ciano; affida a Badoglio e Graziani l’impresa africana, celebrata dalla retorica dell’immensità delle dune ma combattuta nella realtà come la più sporca delle guerre, fino all’orrore dei gas e dei campi di concentramento.
Il cammino di M. Il figlio del secolo – caso letterario di assoluta originalità ma anche occasione di una inedita riaccensione dell’autocoscienza nazionale – prosegue qui in modo sorprendente, sollevando il velo dell’oblio su persone e fatti di capitale importanza e sperimentando un intreccio ancor più ardito tra narrazione e fonti dell’epoca. Fino al 1932, decennale della rivoluzione: quando M. fa innalzare l’impressionante, spettrale sacrario dei martiri fascisti, e più che onorare lutti passati sembra presagire ecatombi future.

* * *

Antonio Scurati è nato a Napoli nel 1969, è cresciuto tra Venezia e Ravello e vive a Milano. Docente di letterature comparate e di creative writing all’Università IULM, editorialista del Corriere della Sera, ha vinto i principali premi letterari italiani. Esordisce nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia, poi pubblica nel 2005 Il sopravvissuto (Premio Campiello) e negli anni seguenti Una storia romantica (Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo (2009), La seconda mezzanotte (2011), Il padre infedele (2013), Il tempo migliore della nostra vita (Premio Viareggio- Rèpaci e Premio Selezione Campiello). Del 2006 è il saggio La letteratura dell’inesperienza, seguito da altri studi. Scurati è con-direttore scientifico del Master in Arti del Racconto. Del 2018 è M. Il figlio del secolo, primo romanzo di una tetralogia dedicata al fascismo e a Benito Mussolini: in vetta alle classifiche per due anni consecutivi, vincitore del Premio Strega 2019, è in corso di traduzione in quaranta paesi e diventerà una serie televisiva.

www.antonioscurati.com

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Colonna sonora della puntata: A. Vivaldi “Concerti per Flauto Traversiere”

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

mercoledì, 15 luglio 2020

OMAGGIO A SEBASTIANO ADDAMO

In occasione del ventennale della morte di Sebastiano Addamo (Catania, 18 febbraio 1925 – Catania, 9 luglio 2000) mettiamo in primo piano questo post (con relativo dibattito online) incentrato sull’opera principale dello scrittore catanese: “Il giudizio della sera”

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IL GIUDIZIO DELLA SERA di Sebastiano Addamo

È arduo pensare di riproporre ai lettori di oggi un romanzo uscito senza alcun clamore 35 anni fa. Arduo se non altro perché le novità editoriali sono tante da creare tempeste sui banconi dei librai. Eppure la qualità letteraria di alcuni vecchi libri è tale da giustificare l’azzardo.
Con queste parole Matteo Collura inizia la recensione del romanzo “Il giudizio della sera”, di Sebastiano Addamo (nella foto), ripubblicato da Bompiani nel 2008 a cura di Sarah Zappulla Muscarà (originariamente pubblicato, nel 1974, da Garzanti).
Poi, lo stesso Collura, nella suddetta recensione (pubblicata sul Corriere della Sera del 14 ottobre 2008) conclude: Non è da credere in un successo postumo di questo narratore, che fu preside di liceo e fine intellettuale, ma in una sua giusta collocazione nell’ambito dei valori letterari del secondo Novecento italiano, sì. E va dato atto alla Bompiani di tentarci (…).

Sebastiano Addamo, mio conterraneo, è nato a Catania, nel 1925 e ivi si è spento nel 2000. Non lo so se – riprendo le parole di Collura – il successo postumo arriderà ad Addamo, ma (nel mio piccolo) avverto l’esigenza di fare quanto possibile per divulgare la conoscenza di questo autore e delle sue opere; proprio a partire da questo romanzo: “Il giudizio della sera”.

Sulla nota in quarta di copertina del libro, leggiamo quanto segue: “Narratore, poeta, saggista, Sebastiano Addamo ha percorso un cammino coerente, sostenuto sempre da rigore stilistico e morale. È l’universo siciliano a nutrire l’immaginario dello scrittore, che già pienamente si esprime in questo romanzo di formazione, toccando corde tematiche di grande intensità emotiva: il viaggio di conoscenza reale e simbolico di cinque adolescenti. La Catania di Addamo non è quella “molle e pastosa” che da l’impressione di “camminare in mezzo al sole” di Vitaliano Brancati, né quella aperta sul mare, “luccicante sotto il sole a picco” di Ercole Patti, ma quella misera, squallida, del quartiere della prostituzione, teatro della guerra e del fascismo. Un quartiere che diviene il simbolo del degrado del nostro tempo.” (continua…)

Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   190 commenti »

martedì, 30 giugno 2020

ANTONIO SCURATI racconta la copertina di “M. Il figlio del secolo” (Bompiani)

Per la serie di Letteratitudine “SCRITTORI raccontano COPERTINE“… ANTONIO SCURATI  racconta la copertina del suo romanzo “M. Il figlio del secolo” (Bompiani): romanzo vincitore dell’edizione 2019 del Premio Strega

L’elenco di tutte le puntate di “Scrittori raccontano copertine” è disponibile qui

https://66.media.tumblr.com/34a74ccca54fe34cc7f82f918ea2b53b/ac84f5cab2746cfc-4d/s1280x1920/3e16943c21ba1638a8fce5e3cc29946fdf2eb451.jpg



[clicca sull'immagine per visualizzare il video]

(continua…)

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mercoledì, 11 dicembre 2019

NADIA TERRANOVA con “Un’idea di infanzia” (Italo Svevo) “Omero è stato qui” (Bompiani) e altro ancora in radio a LETTERATITUDINE

NADIA TERRANOVA con “Un’idea di infanzia” (Italo Svevo) “Omero è stato qui” (Bompiani) e altro ancora, ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: Nadia Terranova con cui abbiamo discusso dei tre suoi nuovi libri dedicati ai ragazzi (usciti tutti e tre nel 2019): “Un’idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura” (Italo Svevo); “Omero è stato qui” (Bompiani) e “Lettera all’insegnante di mio figlio” di Abraham Lincoln (Einaudi ragazzi -  tradotto da Nadia Terranova ).

Come sta andando “Addio fantasmi” e cosa puoi raccontarci, a distanza di mesi, dell’esperienza della tua partecipazione al Premio Strega? Che relazione c’è (anche a livello di tuo personale approccio alla scrittura) tra lo scrivere un romanzo per adulti o scrivere un romanzo per ragazzi? Come nasce “Un’idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura” (Italo Svevo)? Cosa puoi dirci sui suoi contenuti? Cosa puoi dirci sulla genesi di “Omero è stato qui” (Bompiani)? Come hai scelto le storie da narrare? Perché i miti sono così importanti per noi e per il nostro immaginario? Come commenteresti le illustrazioni di Vanna Vinci? Perché è importante far leggere ai ragazzi la “Lettera all’insegnante di mio figlio” di Abraham Lincoln? Cosa puoi dirci sulla tua esperienza di traduzione? Cosa consiglieresti a chi volesse cimentarsi con la scrittura di letteratura per ragazzi?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Nadia Terranova nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “Un’ idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura” di Nadia Terranova (Italo Svevo)
Pinocchio, l’adolescenza, il male e le figure nei libri; Maurice Sendak e Suzy Lee, Vanna Vinci e Franco Matticchio: nel corso degli anni Nadia Terranova, tra le autrici più in vista delle nuove generazioni, ha fatto della letteratura per ragazzi l’oggetto principale della sua attenzione di critica, scrivendone periodicamente su «Il Foglio», «La Repubblica» e il supplemento culturale «Robinson». Ma, nel raccogliere venti di questi pezzi, il discorso finisce per andare oltre gli autori, i libri e le questioni affrontate di volta in volta, offrendoci una precisa idea di infanzia che va di pari passo a una altrettanto precisa idea di letteratura.

La scheda del libro: “Omero è stato qui” di Nadia Terranova (Bompiani – illustrazioni di Vanna Vinci)
Un’antologia che rende omaggio alle grandi raccolte del passato remoto e ne rinnova lo spirito avvicinandole ai giovani lettori di oggi.
È il lembo d’acqua che separa Messina e Reggio Calabria a unire le otto storie di questa raccolta. Scilla e Cariddi e la loro avversa fortuna, Dina e Clarenza che con coraggio hanno difeso Messina dall’attacco dei nemici, Ulisse ammaliato dalle Sirene, Cola Pesce in carne, ossa e squame: sono solo alcuni dei personaggi che da un passato lontano arrivano fino a noi, echi di racconti forse già sentiti, da custodire e raccontare ancora e ancora, perché non vengano dimenticati. L’omaggio di Nadia Terranova alla sua città, Messina, e al suo mare.

La scheda del libro: “Lettera all’insegnante di mio figlio” di Abraham Lincoln (Einaudi Ragazzi)
[Traduzione di Nadia Terranova - Illustrazioni di Giulia Rossi]
«Un appello alla “delicatezza”, che parla di amicizia. Un breve testo ricco di saggezza e spirito civico.» – Il Venerdì
Un gesto d’amore per il figlio e di fiducia verso il maestro. Un appello alla sincerità, alla sensibilità, alla gentilezza di ognuno nel guardare ai bambini come al bene più prezioso del futuro. Età di lettura: da 6 anni.

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Nadia Terranova è nata a Messina nel 1978 e vive a Roma. Ha pubblicato cinque libri per ragazzi tra cui Bruno il bambino che imparò a volare (Orecchio acerbo, 2012, illustrazioni di Ofra Amit, premio Napoli, premio Laura Orvieto), dedicato alla vita dello scrittore ebreo polacco Bruno Schulz, e Le nuvole per terra (Einaudi Ragazzi, 2015), un racconto di formazione sentimentale per preadolescenti e genitori. Ha esordito nel romanzo nel 2015 con Gli anni al contrario, storia d’amore di due ragazzi tra il 1977 e il 1989,  vincitore dei premi Bagutta Opera Prima, Brancati, Fiesole, Grotte della Gurfa. Collabora con diverse riviste. È tradotta in Francia, Spagna, Messico, Polonia e Lituania.Il suo nuovo romanzo, “Addio fantasmi” (Einaudi) è stato tra i cinque libri finalisti dell’edizione 2019 del premio Strega.
Con Nadia Terranova abbiamo discusso di tre libri dedicati ai ragazzi usciti tutti e tre nel 2019: “Un’idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura” (Italo Svevo); “Omero è stato qui” (Bompiani) e  “Lettera all’insegnante di mio figlio” di Abraham Lincoln, tradotto da Nadia Terranova (Einaudi ragazzi).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Colonna sonora della puntata: “Ulisse” di Enrico Ruggeri; “Il canto delle sirene” di Francesco De Gregori; “Narcissus” di Alanis Morissette.

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

venerdì, 5 luglio 2019

ANTONIO SCURATI VINCE IL PREMIO STREGA 2019

Premio Strega 2019

ANTONIO SCURATI con il romanzo “M. Il figlio del secolo” (Bompiani), vince la LXXIII edizione del Premio Strega



Antonio Scurati (con “M. Il figlio del secolo”, Bompiani) vince l’edizione 2019 del Premio Strega con 228 voti.

Gli altri finalisti: Elisabetta Cibrario (con “Il rumore del mondo”, Mondadori), 127 voti; Marco Missiroli (con “Fedeltà”, Einaudi), 91 voti; Claudia Durastanti (con “La straniera”, La nave di Teseo), 63 voti; Nadia Terranova (con “Addio, fantasmi”, Einaudi), 47 voti.

Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Il seggio è stato presieduto da Helena Janeczek, vincitrice della scorsa edizione del Premio Strega. I votanti sono stati 556 su 660 aventi diritto al voto. Questo risultato comprende i voti dei 400 Amici della domenica, di 200 votanti all’estero selezionati da 20 Istituti italiani di cultura, 40 lettori forti selezionati da 20 librerie associate all’ALI e 20 voti collettivi di biblioteche, università e circoli di lettura (15 i circoli coordinati dalle Biblioteche di Roma).

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Riproponiamo la conversazione con Antonio Scurati trasmessa su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Antonio Scurati, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) e delle tematiche a esso legate.

Come nasce “M. Il figlio del secolo”? Cosa puoi dirci sull’attività propedeutica alla scrittura del libro (quella di studio e ricerca, in particolare)? Con riferimento alle possibili tecniche narrative utilizzabili per raccontare la storia, hai trovato subito la “modalità”? Cosa puoi dirci sui possibili rischi legati alla scrittura di questo libro? Un romanzo dove non c’è nulla di inventato: cosa puoi dirci su questa scelta? E sulla scelta di intervallare la narrazione inserendo documenti (comunicati ufficiali, articoli, discorsi, graffiti, lettere…)? Che tipo d’uomo è il Mussolini che viene fuori dalle pagine del tuo libro? È stato più Mussolini a creare l’Italia fascista… o è stata più l’Italia di quegli anni a creare Mussolini? “M. Il figlio del secolo” diventerà una serie Tv? Sei coinvolto nel progetto della sceneggiatura? Il libro è uscito già da qualche mese: cosa diresti se dovessi fare un bilancio? Ci saranno altri romanzi legati al racconto della storia di Mussolini e del fascismo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Antonio Scurati nel corso della puntata.

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M. Il figlio del secolo - Antonio Scurati - copertinaLa scheda del libro

Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei ”puri”, i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come ”intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”.
Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l’uomo che più d’ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell’Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d’inventato non c’è nulla.
Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D’Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l’autore attinge, ma soprattutto per l’effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un’opera senza precedenti nella letteratura italiana.
Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.

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Nato a Napoli nel 1969, Antonio Scurati è docente di Letterature contemporanee presso la IULM di Milano. Ha esordito nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia (premio Kihlgren, premio Fregene, premio Chianciano). Nel 2005, con Il sopravvissuto, ha vinto il premio Campiello, nel 2008, con Una storia romantica, il Mondello, e nel 2015, con Il tempo migliore della nostra vita, il Viareggio e nuovamente il Campiello. È stato due volte finalista al premio Strega.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata:”Riverside Blues” della King Oliver’s Creole Jazz Band, con Louis Armstrong (1923); “Nobody Knows the Way I Feel This Morning” della Red Onion Jazz Babies, con Louis Armstrong (1923)

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   Commenti disabilitati

mercoledì, 20 febbraio 2019

ANTONIO SCURATI con “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) in radio a LETTERATITUDINE

ANTONIO SCURATI con “M. Il figlio del secolo” (Bompiani), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

Libro finalista all’edizione 2019  del Premio Strega


In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Antonio Scurati, con cui abbiamo discusso del suo nuovo romanzo intitolato “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) e delle tematiche a esso legate.

Come nasce “M. Il figlio del secolo”? Cosa puoi dirci sull’attività propedeutica alla scrittura del libro (quella di studio e ricerca, in particolare)? Con riferimento alle possibili tecniche narrative utilizzabili per raccontare la storia, hai trovato subito la “modalità”? Cosa puoi dirci sui possibili rischi legati alla scrittura di questo libro? Un romanzo dove non c’è nulla di inventato: cosa puoi dirci su questa scelta? E sulla scelta di intervallare la narrazione inserendo documenti (comunicati ufficiali, articoli, discorsi, graffiti, lettere…)? Che tipo d’uomo è il Mussolini che viene fuori dalle pagine del tuo libro? È stato più Mussolini a creare l’Italia fascista… o è stata più l’Italia di quegli anni a creare Mussolini? “M. Il figlio del secolo” diventerà una serie Tv? Sei coinvolto nel progetto della sceneggiatura? Il libro è uscito già da qualche mese: cosa diresti se dovessi fare un bilancio? Ci saranno altri romanzi legati al racconto della storia di Mussolini e del fascismo?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Antonio Scurati nel corso della puntata.

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M. Il figlio del secolo - Antonio Scurati - copertinaLa scheda del libro

Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei ”puri”, i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come ”intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”.
Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l’uomo che più d’ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell’Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d’inventato non c’è nulla.
Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D’Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l’autore attinge, ma soprattutto per l’effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un’opera senza precedenti nella letteratura italiana.
Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.

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Nato a Napoli nel 1969, Antonio Scurati è docente di Letterature contemporanee presso la IULM di Milano. Ha esordito nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia (premio Kihlgren, premio Fregene, premio Chianciano). Nel 2005, con Il sopravvissuto, ha vinto il premio Campiello, nel 2008, con Una storia romantica, il Mondello, e nel 2015, con Il tempo migliore della nostra vita, il Viareggio e nuovamente il Campiello. È stato due volte finalista al premio Strega.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata:”Riverside Blues” della King Oliver’s Creole Jazz Band, con Louis Armstrong (1923); “Nobody Knows the Way I Feel This Morning” della Red Onion Jazz Babies, con Louis Armstrong (1923)

(continua…)

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mercoledì, 10 ottobre 2018

FILIPPO LA PORTA con “Il bene e gli altri” (Bompiani) in radio a LETTERATITUDINE

Filippo La Porta con “Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio” (Bompiani), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: il saggista e critico letterario Filippo La Porta, con cui abbiamo discusso del suo nuovo libro intitolato “Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio” (Bompiani).

Nella seconda parte della puntata abbiamo proseguito la chiacchierata offrendo qualche anticipazione sul nuovo libro di La Porta che uscirà a novembre: “Disorganici. Una galleria novecentesca di maestri involontari” (Storia e Letteratura edizioni).

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La scheda di “Il bene e gli altri”
Copertina Il bene e gli altriCome educare oggi un giovane, immerso in una cultura che ignora l’umanesimo e i tradizionali veicoli del sapere? In che modo riformulare i dilemmi dell’etica dopo che gli dei hanno abbandonato i nostri cieli? L”’inattuale” Dante – uomo del Medioevo e abitante di un universo ancora stabile – può darci indicazioni preziose attraverso l’ausilio involontario di Simone Weil. La filosofa francese ha scritto: ”E’ bene ciò che dà maggiore realtà agli esseri e alle cose, male ciò che gliela toglie”. Alla luce di questa intuizione La Porta individua l’idea morale all’origine della ”Commedia”, dove i sette peccati capitali tolgono tutti realtà al prossimo. Così Dante può aiutarci a ridefinire un’etica che non consiste in imperativi categorici ma che ci permette di far esistere il mondo, nella sua inviolabile, corposa, mutevole alterità. E che ci chiede di ”ascoltare” gli altri proprio al fine di farli esistere, e di far esistere così anche noi.

Filippo La Porta, critico letterario 37 e saggista, collabora a quotidiani e riviste, tra cui il “Domenicale” del “Sole 24 ORE” e “Il Messaggero”. Tra i suoi libri ricordiamo La nuova narrativa italiana (1995), Non c’è problema. Divagazioni morali su modi di dire e frasi fatte (1997), Maestri irregolari. Una lezione per il nostro presente (2007), Meno letteratura, per favore (2010), Pasolini (2012), Poesia come esperienza. Una formazione nei versi (2013) e Roma è una bugia (2014). Per Bompiani ha pubblicato Dizionario della critica militante (con Giuseppe Leonelli, 2007) e Indaffarati (2016).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Take Five” di Dave Brubeck; Giant Steps” di John Coltrane; “ Freddie Freeloader” di Miles Davis.

(continua…)

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venerdì, 23 marzo 2018

NON SO PERCHÉ NON HO FATTO IL PITTORE di Alberto Moravia

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Non so perchè non ho fatto il pittore. Scritti d’arte (1934-1990)” di Alberto Moravia (Bompiani).
Il volume è stato ottimamente curato da Alessandra Grandelis, che svolge la sua attività di ricerca all’università di Pavia, e offre vari scritti che permettono di comprendere come Moravia abbia contaminato arte e letteratura, letteratura e arte… con particolare riferimento al mondo della pittura.

Ne discutiamo con Alessandra Grandelis. In coda all’intervista (per gentile concessione dell’editore e degli eredi di Moravia) pubblichiamo un estratto del libro: uno scritto intitolato Rembrandt pittore dell’inquietudine

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Non so perchè non ho fatto il pittore. Scritti d’arte (1934-1990)” di Alberto Moravia (Bompiani, a cura di Alessandra Grandelis)

di Massimo Maugeri

- Cara Alessandra, partiamo dal titolo del libro: “Non so perché non ho fatto il pittore”. È una frase dello stesso Moravia che, in effetti, colpisce. Al di là di questa considerazione, perché hai scelto (o la casa editrice ha scelto) proprio questa frase come titolo del libro?
In molte occasioni Moravia ha dichiarato di preferire la pittura alla letteratura. Lo affascinava il mistero che circonda l’artista e la sua opera d’arte, l’impossibilità di spiegare la traduzione del pensiero in immagine. E quello del pittore gli appariva un mestiere più attraente anche per la sua dimensione artigianale, diversamente negata allo scrittore, impegnato a battagliare con le parole. Con questi presupposti “Non so perché non ho fatto il pittore” è parso da subito il titolo giusto per la raccolta dei testi d’argomento artistico: nella spontaneità dell’espressione sono racchiuse queste idee  alla base della fascinazione moraviana per l’arte.

- Da dove trae origine l’amore di Moravia per la pittura?
Di certo il fascino nasce in famiglia. Il padre era un architetto che si dedicava alla pittura come dilettante; ogni anno ritornava nella città natale, Venezia, per dipingerne le vedute che solitamente copiava prima di darle in dono. Non va nemmeno dimenticato che la sorella Adriana diventerà una pittrice affermata, il cui espressionismo ricorda l’arte di Matisse. È lo stesso Moravia a ricordare che da bambino, durante le vacanze familiari, trascorreva lunghe ore davanti alle tele presenti nel villino estivo a Viareggio: fantasticare sui soggetti mitologici dei quadri ha avuto una grande ripercussione sull’immaginario moraviano.

- Lo hai accennato anche tu: in varie occasioni Moravia sostiene di preferire la pittura alla letteratura. Sembrerebbe un paradosso. Potresti approfondire questo aspetto?
Oltre a quanto detto in precedenza, aggiungerei che Moravia attribuisce all’arte una caratteristica di grande valore: l’universalità. A differenza di quanto accade per la letteratura, secondo Moravia l’arte può essere compresa da tutti, da chi possiede gli strumenti per decrittarla e da chi ne è del tutto sprovvisto. Ciò significa considerare l’arte una forma di espressione capace di interagire con l’osservatore senza alcuna mediazione.

- Rimanendo sull’argomento, in altri casi Moravia teorizza una supremazia della pittura sulla letteratura (la prima rappresenterebbe meglio la storia artistica italiana). Cosa puoi dirci da questo punto di vista? (continua…)

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lunedì, 7 agosto 2017

LOREDANA LIPPERINI con “L’arrivo di Saturno” (Bompiani) e NINO MOTTA con “La parrucchiera di Pizzuta” (Bompiani) a “Letteratitudine in Fm”

LOREDANA LIPPERINI con “L’arrivo di Saturno” (Bompiani) e NINO MOTTA con “La parrucchiera di Pizzuta” (Bompiani) ospiti del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 7 agosto 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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Nella prima parte della puntata abbiamo incontrato Loredana Lipperini per discutere del suo romanzo intitolato “L’arrivo di Saturno” (Bompiani).

Nella seconda parte della puntata abbiamo incontrato Paolo Di Stefano per discutere del romanzo di Nino Motta intitolato “La parrucchiera di Pizzuta. Un giallo siciliano” (Bompiani)

Di seguito, informazioni sui romanzi protagonisti della puntata.

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Copertina L'arrivo di SaturnoL’arrivo di Saturno” (Bompiani) di Loredana Lipperini

Graziella De Palo è una giovane giornalista innamorata della giustizia quando il 2 settembre 1980 scompare a Beirut assieme al collega Italo Toni. Dovevano visitare dei campi profughi al confine con la Palestina, ma seguivano in realtà una pista sul traffico d’armi intrecciata con le vicende del terrorismo, delle stragi e con parecchi misteri della politica italiana e internazionale dell’epoca. Di loro non si è saputo più nulla.
Han van Meegeren è un pittore olandese di scarsa fortuna, noto e dileggiato per le sue rose grigie, quando accetta da un uomo in nero un incarico bizzarro: dipingere un Giudizio Universale in una cappella battuta dal vento sulla cima di un colle italiano. Purché sia un Giudizio di Vermeer. Suo, ma di Vermeer. Chi è l’uomo in nero che si fa chiamare semplicemente Acca? E perché gli chiede di diventare un falsario, come di fatto accadrà?
Dora, la voce narrante di questo romanzo, è cresciuta insieme a Graziella. ”Eravamo di quelle amiche che sono sempre insieme, che non riescono a stare lontane neanche per un pomeriggio. E invece ci siamo allontanate, e quando ci siamo allontanate lei è morta. E la sua storia, il modo in cui è morta, è talmente assurda che se la raccontassi non ci crederebbe nessuno. Così ho cominciato a scriverne un’altra, che è davvero assurda, ma se un romanzo è assurdo tutti ci credono. La realtà invece non interessa a nessuno”.
Due romanzi in uno, una doppia vicenda nata da un dolore mai sopito che mescola fatti reali e invenzione, memoria di un’amicizia e mito, ed elaborata con l’abilità di chi da sempre cerca e trova nella narrazione propria e altrui una profonda ragione di vita. Perché ”noi volevamo essere ingannate, tutte e due: Graziella dalla ricerca della verità, io dalla ricerca della finzione, che è parente stretta del falso anche se si chiama letteratura”.

Loredana Lipperini, giornalista e scrittrice, è una delle voci di Fahrenheit su Radiotre e scrive per le pagine culturali de “la Repubblica”. Il suo blog Lipperatura, attivo, dal 2004, è un punto di riferimento per la discussione letteraria, culturale, politica. Ha pubblicato romanzo gotici con lo pseudonimo di Lara Manni e fra l’altro i saggi Ancora dalla parte delle bambine (2007), Non è un paese per vecchie (2012), L’ho uccisa perché l’amavo con Michela Murgia (2013) e il libro per ragazzi Pupa (Rrose Sélavy, 2013).

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Copertina La parrucchiera di PizzutaLa parrucchiera di Pizzuta. Un giallo siciliano” (Bompiani) di Paolo Di Stefano

Rosa Lentini ha quarant’anni passati da un po’ (anche se nessuno lo direbbe), un matrimonio alle spalle, una figlia e una passione: è una filologa, specializzata su Petrarca, ma la sua carriera universitaria è bloccata da concorsi discutibili. L’estate si avvicina, e Rosa prende una decisione: chiede l’aspettativa e con sua madre, donna Evelina, raggiunge la casa di famiglia a Pizzuta, il suo paese, vicino a Siracusa. Non sarà la solita vacanza tranquilla di mare e spiaggia. Mentre lo scirocco soffia inebriante e stordente, prende forma una piccola ossessione: far luce sul misterioso omicidio di Nunziatina Bellofiore, avvenuto il 7 novembre 1956. Che cos’è accaduto alla bellissima ventenne che aveva aperto da poco un Salone di parrucchiera? A cosa si deve il silenzio che avvolge la sua morte da oltre cinquant’anni? A parte un ritaglio ingiallito, negli archivi non c’è quasi nulla. Per l’indagine che condurrà con sua madre, Rosa ha a disposizione la memoria lacunosa dei coetanei di Nunziatina oltre alle armi della filologia: che insegnano proprio a colmare lacune, esercitare la virtù del dubbio, seguire la ”lectio difficilior” anche a costo di mettersi nei guai.
Sulle quinte barocche di un’estate siciliana, Nino Motta dà vita a personaggi memorabili e ci regala l’emozione di un giallo che è insieme ”l’edizione critica di un delitto” e un inno alla resistenza femminile. Come quella di Nunziatina, parrucchiera, finita in un ”imbroglio” forse più grande di lei.

Nino Motta, al suo primo romanzo, è l’alter ego di Paolo Di Stefano, autore di numerosi libri tra cui Baci da non ripetere (1994), Tutti contenti (2003), Nel cuore che ti cerca (2008), La catastròfa (2011), Giallo d’Avola (2013).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “Here Today” di Paul McCartney; “Have You Ever Seen The Rain” dei Creedence; “Little Willow” di Paul McCartney.

(continua…)

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lunedì, 24 luglio 2017

PAPÀ GUGOL di Paolo Di Paolo

Nel nuovo appuntamento di “GIOVANISSIMA LETTERATURA“, lo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta “letteratura per ragazzi“, pubblichiamo questo video in cui Paolo Di Paolo racconta il suo volume per ragazzi intitolato “Papà Gugol” (Bompiani) di cui ha curato anche le illustrazioni.

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Copertina Papà GugolLa scheda del libro

Carlo detto Carl abita al numero 7 di via Spensierati. Vicino c’è una casa in costruzione e Carl è un po’ preoccupato: se i nuovi vicini non gli piacessero? se fossero rumorosi come il cantiere? antipatici? prepotenti? Invece poi arriva Emilia, che è gentile, curiosa ma un po’ bizzarra: quando vuole sapere una cosa la chiede via telefonino a un certo Papà Gugol. Anche i suoi genitori sono piuttosto telefonici, collegati, telecomandati, efficienti. Invece Carl abita con i nonni in una casa vecchiotta e polverosa, però piena di libri che sanno dare risposte. Come faranno a incontrarsi questi bambini, questi mondi? E che cosa succede quando Papà Gugol entra in sciopero e si rifiuta di rispondere alle domande di Emilia?
Dopo ”La mucca volante”, finalista al Premio Strega Ragazzi 2016, Paolo Di Paolo torna a parlare di bambini veri e interrogativi seri, e lo fa col suo tono lieve e profondo, accompagnando le parole con i disegni.

(continua…)

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lunedì, 29 febbraio 2016

BEATRICE MASINI a Letteratitudine in Fm – “I nomi che diamo alle cose” (Bompiani)

BEATRICE MASINI con “I nomi che diamo alle cose” (Bompiani) a Letteratitudine in Fm di lunedì 29 febbraio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino).


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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È stata Beatrice Masini l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 29 febbraio 2016. Con Beatrice Masini abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “I nomi che diamo alle cose” (Bompiani) e delle tematiche a esso legato.

Nella seconda parte della puntata abbiamo discusso di letteratura per ragazzi e, in particolare, dei libri della serie di “Maisie” (editi da Fabbri)

Di seguito, la scheda del libro.

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I nomi che diamo alle cose“I nomi che diamo alle cose” – di Beatrice Masini (Bompiani)
Spesso quando si desidera distrattamente qualcosa si finisce per ottenerlo senza sapere che farsene. È quello che scopre Anna, quarant’anni, un passato prossimo doloroso e irrisolto, un presente di lavoro-passione e leggerezza forzata, quando Iride Bandini, celebre autrice per ragazzi conosciuta anni prima, le lascia in eredità una piccola casa, la portineria della sua proprietà: un curioso, eccessivo gesto di gratitudine che invita Anna a cambiare vita senza rifletterci troppo. Dalla città alla campagna, passato un primo periodo in solitario nuovi legami s’impongono, si rendono necessari: un capomastro gentile e devoto, l’ex segretaria e il figlio rrequieto della scrittrice, uno sceicco che non è uno sceicco, una coppia di contadini con bambine, tutti sembrano volere qualcosa da Anna, come se la sua presenza in quel luogo non fosse quasi casuale ma richiesta. E poi c’è una raccolta di fiabe inedite ritrovate in una scatola di latta, ci sono le storie di guerra e d’amore che solo certe case sanno raccontare, e i conti da fare coi propri nodi quando continuano a stringere, a far male. Un romanzo che parla della cura degli altri e delle cose, di madri buone e figli cattivi o viceversa, di vino, cani e fantasmi, del peso da dare a ciò che si fa e alle parole che si scelgono per definirlo.

[Clicca sulle copertine per aprire le pagine con le info sui libri]

Maisie e il gemello di MozartMaisie e la tigre di CleopatraMaisie e la stella di Leonardo

Beatrice Masini nata a Milano, è editor, traduttrice, scrittrice per bambini, ragazzi, adulti. I suoi libri sono tradotti in una ventina di Paesi.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Sweetest thing” – U2; “Pink Moon” – Nick Drake; “My Favorite Things” – John Coltrane.

(continua…)

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lunedì, 1 febbraio 2016

MARIO BAUDINO ospite di “Letteratitudine in Fm” con “Lo sguardo della farfalla – “La guerra non ha un volto di donna” di SVETLANA ALEKSIEVIC

MARIO BAUDINO con “Lo sguardo della farfalla” e “La guerra non ha un volto di donna” di SVETLANA ALEKSIEVIC a “Letteratitudine in Fm” di lunedì 01 febbraio 2016 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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È stato Mario Baudino l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di lunedì 1 febbraio 2016. Con Mario Baudino abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Lo sguardo della farfalla” (Bompiani).

La seconda parte della puntata è stata dedicata al volume “La guerra non ha un volto di donna” (Bompiani) del Premio Nobel per la Letteratura 2015 Svetlana Aleksievic.

Di seguito, le schede dei due libri.

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Lo sguardo della farfalla“Lo sguardo della farfalla” di Mario Baudino (Bompiani)

La vita è piuttosto eccitante per Demi, Duccio e Matteo, librai di un paese di montagna del Piemonte. Ma lo diventa ancor di più quando ricevono l’incarico di valutare un’immensa biblioteca ereditata in modo alquanto misterioso da un professore universitario. A procurar loro un’avventura degna di un romanzo gotico – la villa sembrerebbe infestata da un fantasma – sono i misteri che affiorano durante il lavoro: la scomparsa di un libro dal titolo ambiguo, le indagini di una giornalista d’assalto, la curiosità sospetta di una imprevedibile cliente. In una caccia al tesoro che si consuma tra le pagine di libri antichi e fra le cronache del presente e del passato, Mario Baudino intreccia una trama piena di colpi di scena dove i tre improbabili investigatori verranno a capo di un lontano segreto legato agli anni di piombo. Ma come spesso accade, i segreti possono essere un po’ beffardi…

Mario Baudino (1952), giornalista della “Stampa”, ha pubblicato romanzi e saggi, tra i quali ricordiamo Voci di guerra (Ponte alle Grazie 2001), Il mito che uccide (Longanesi 2004), Per amore o per ridere (Guanda 2008) e Il gran rifiuto (Longanesi 1991, ripreso da Passigli nel 2009).

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“La guerra non ha un volto di donna” di Svetlana Aleksievic (Bompiani)

La guerra  non ha un volto  di donnapremio nobel per la letteratura 2015

Se la guerra la raccontano le donne, quando prima l’hanno raccontata solo gli uomini… se a farla raccontare è Svetlana Aleksievi?c… se le sue interlocutrici avevano in gran parte diciotto o diciannove anni quando, perlopiù volontarie, sono accorse al fronte per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza contro uno spietato aggressore… allora nasce un libro come questo. 22 giugno 1941: l’uragano di ferro e fuoco che Hitler ha scatenato verso Oriente comporta per l’urss la perdita di milioni di uomini e di vasti territori e il nemico arriva presto alle porte di Mosca. Centinaia di migliaia di donne e ragazze, anche molto giovani, vanno a integrare i vuoti di effettivi e alla fine saranno un milione: infermiere, radiotelegrafiste, cuciniere e lavandaie, ma anche soldati di fanteria, addette alla contraerea e carriste, genieri sminatori, aviatrici, tiratrici scelte. La guerra “al femminile” – dice la scrittrice – “ha i propri colori, odori, una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti e anche parole sue”. Lei si è dedicata a raccogliere queste parole, a far rivivere questi fatti e sentimenti, nel corso di alcuni anni, in centinaia di conversazioni e interviste. Cercava l’incontro sincero che si instaura tra amiche e quasi sempre l’ha trovato: le ex combattenti e ausiliarie al fronte avevano serbato troppo a lungo, in silenzio, il segreto di quella guerra che le aveva per sempre segnate. E a mano a mano che raccoglie le loro confidenze e rimorsi e afflizioni Svetlana Aleksievi?c si convince di una cosa: la guerra “femminile” è nella percezione delle donne anche più carica di sofferenza di quella “maschile”. Per colei che dona la vita dispensare la morte non può mai essere facile; e se, come ovvio, celebra con i commilitoni la Vittoria e la fine dell’incubo bellico, nella sua memoria restano incise, più sensibilmente delle eroiche imprese, vicende che parlano di abnegazione, compassione e amore negato.

Svetlana Aleksievic è nata in Ucraina nel 1948, da padre bielorusso e madre ucraina, entrambi insegnanti nelle scuole rurali. Giornalista e scrittrice, è nota soprattutto per essere stata cronista, per i connazionali, dei principali eventi dell’Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo. Fortemente critica nei confronti del regime dittatoriale in Bielorussia, è stata perseguita dal regime del presidente Aleksandr Lukašenko e i suoi libri sono stati banditi dal paese. Dopo dodici anni all’estero, ora è tornata a Minsk. Ha pubblicato libri tradotti in oltre quaranta lingue. Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2015 per la “sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi”. Ha ricevuto numerosi altri riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio per la pace degli editori tedeschi alla Fiera di Francoforte (2013), il Prix Médicis essai (2013) e il Premio Masi Grosso d’Oro Veneziano (2014). Di Svetlana Aleksievi?c sono usciti in Italia: Preghiera per C?ernobyl’ (2002), Ragazzi di zinco (2003), Incantati dalla morte (2005), Tempo di seconda mano (Bompiani 2014, miglior libro del 2013 secondo la rivista “Lire”).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Beethoven Moonlight Sonata op 27” di Valentina Lisitsa; “Satyagraha – 01 Act 1” di Philip Glass;

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sabato, 26 settembre 2015

VIVI DA MORIRE (un video)

Video basato sul volume “VIVI DA MORIRE” di Piero Melati e Francesco Vitale (Bompiani)

È disponibile il podcast della puntata radiofonica del programma “Letteratitudine in Fm” (in onda su Radio Hinterland), dedicata a “Vivi da morire”, con la partecipazione di Piero Melati, cliccando sul seguente link…
(continua…)

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venerdì, 11 settembre 2015

SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015

SPECIALE PREMIO CAMPIELLO 2015

Sabato 12 settembre verrà decretato il vincitore della 53^ edizione del prestigioso premio letterario tra i seguenti cinque finalisti: Marco Balzano, Paolo Colagrande, Vittorio Giacopini, Carmen Pellegrino, Antonio Scurati. Sul post, i contributi speciali di Letteratitudine

Concorrono per la vittoria finale della 53^ edizione del Premio Campiello Marco Balzano con L’ultimo arrivato (Sellerio), Paolo Colagrande con Senti le rane (Nottetempo), Vittorio Giacopini con La Mappa (Il Saggiatore), Carmen Pellegrino con Cade la terra (Giunti) e Antonio Scurati con Il tempo migliore della nostra vita (Bompiani).

I CONTENUTI SPECIALI DI LETTERATITUDINE

(continua…)

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martedì, 21 luglio 2015

ANTONIO SCURATI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 luglio 2015

ANTONIO SCURATI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 luglio 2015 – h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

È Antonio Scurati l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 luglio 2015.

Con Antonio Scurati discutiamo del suo nuovo libro intitolato “Il tempo migliore della nostra vita” (Bompiani): tra i romanzi vincitori del Premio Selezione Campiello e finalisti per il Premio SuperCampiello.

Nella seconda parte della puntata, una lettura delle prime pagine del libro.

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Il  tempo migliore della nostra  vitaIl tempo migliore della nostra vita” (Bompiani) di Antonio Scurati
Leone Ginzburg rifiuta di giurare fedeltà al fascismo l’8 gennaio 1934. Pronunciando apertamente il suo “no”, imbocca la strada difficile che lo condurrà a diventare un eroe della Resistenza. Un combattente mite, integerrimo e irriducibile che non imbraccerà mai le armi. Mentre l’Europa è travolta dalla marcia trionfale dei fascismi, questo giovane intellettuale formidabile prende posizione contro il mondo servile che lo circonda e la follia del secolo. Fonderà la casa editrice Einaudi, organizzerà la dissidenza e creerà la sua amata famiglia a dispetto di ogni persecuzione. Questa è la sua storia vera dal giorno della sua cacciata dall’università fino a quello in cui è ucciso in carcere. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati le rievoca, accanto a quella di Leone e Natalia Ginzburg, scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni nate negli stessi anni e vissute sotto la dittatura e le bombe della Seconda guerra mondiale. Dai sobborghi rurali di Milano convertiti all’industria ai vicoli miserabili del “corpo di Napoli”, di fronte ai fucili spianati, le esistenze umili di operai e contadini, artisti mancati e madri coraggiose entrano in risonanza con le vite degli uomini illustri. Accostando i singoli ai grandi eventi, attraverso documenti, fotografie e lettere, ricordi famigliari e memoria collettiva, Antonio Scurati resuscita il nostro passato. è un racconto avvincente e insieme commovente in cui si stagliano figure esemplari con il loro lascito inestimabile e quelle di persone comuni, fino a scoprirne la profonda comunanza: le nascite e le morti, i libri e i figli, le case abitate o evacuate, la vita privata che per tutti si attiene a una medesima trama elementare, in cui risuonano fatti memorabili e trascurabili e in cui la “grande storia” incontra le storie di noi tutti.

Foto Antonio ScuratiAntonio Scurati (Napoli 1969) è ricercatore alla Iulm di Milano e membro del Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Ha scritto i saggi Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio) e Televisioni di guerra (2003). Bompiani ha pubblicato, in versione aggiornata, il suo romanzo d’esordio Il rumore sordo della battaglia (2006, Premio Fregene, Premio Chianciano), i saggi La letteratura dell’inesperienza (2006), Gli anni che non stiamo vivendo (2010), Letteratura e sopravvivenza (2012) e i romanzi Il sopravvissuto, con cui l’autore ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello, Una storia romantica (2007, Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo, finalista al Premio Strega 2009. Del 2011 il romanzo, uscito sempre per Bompiani, La seconda mezzanotte e del 2013 Il padre infedele, ancora finalista al Premio Strega. I suoi libri sono tradotti in numerosi paesi stranieri.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Bella Ciao“, nella versione live di Goran Bregovic; “Fischia il vento“, nella versione dei Modena City Ramblers; Bella ciao“, nella versione dei Modena City Ramblers.

(continua…)

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martedì, 23 giugno 2015

PIERO MELATI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 24 giugno 2015

PIERO MELATI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 24 giugno 2015 – h. 9:10 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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È Piero Melati l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 24 giugno 2015. Con Piero Melati discutiamo del suo libro (scritto a quattro mani con Francesco Vitale) intitolato “Vivi da Morire” (Bompiani) e delle tematiche a esso legate.

Nella seconda parte della puntata, una lettura del testo.

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Vivi da morireVivi da morire” di Piero Melati e Francesco Vitale (Bompiani)

Palermo, a metà degli anni ’80, è una città abitata dalla violenza, dove l’unico principio ordinante è la legge del sangue di mafia. Dall’estate dell’85, nelle strade cominciano a cadere giusti diventati scomodi, come il poliziotto Ninni Cassarà e il giornalista Mauro Rostagno, vittime ignare come il giovanissimo Gianmatteo Sole, industriali come il presidente del Palermo calcio Roberto Parisi, che coltivava il suo sogno sportivo. In una città che ride per le battute in tv di Franco e Ciccio, all’ombra dei lavori per il nuovo stadio, altri innocenti si aggiungono alla lista nera: a dare voce a tutti loro è il “cuntaru” per eccellenza, il cantastorie Colapesce. In equilibrio tra favola e inchiesta, e tra un castello e uno stadio, Vivi da morire racconta di eroi conosciuti e persone dimenticate, storie di mafia e coraggio, di lacrime e della forza di un sorriso, da leggere come un’appassionante ballata civile, che rivela ai genitori e ai figli dell’Italia di oggi come la Sicilia fu l’incubatrice e il laboratorio di tutti i mali di una nazione, e delle sue più grandi speranze.

Piero Melati è nato a Palermo. È viceredattore capo del “Venerdì di Repubblica” e si occupa di attualità e cultura. Ha seguito per il giornale “L’Ora” di Palermo la guerra di mafia e il primo Maxiprocesso a Cosa Nostra. Con “Repubblica” ha aperto le redazioni locali di Napoli e Palermo ed è stato viceredattore capo della cronaca di Roma.

Francesco Vitale è nato a Palermo. Ha cominciato la carriera giornalistica negli anni Ottanta al quotidiano “L’Ora” di Palermo. È stato corrispondente per “l’Unità” dal capoluogo siciliano. Nel 1992 è passato in Rai, al Tg2, dove ricopre il ruolo di inviato speciale dal 1993.Per uest’ultima testata ha seguito i più importanti eventi nazionali e internazionali: dai fatti di mafia alle grandi emergenze. È stato inviato in Iraq e in Afghanistan. È autore di numerose inchieste per “Tg2 Dossier”.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Esercito Silente” di Carmen Consoli; “Camarillo Brillo” di Frank Zappa; “Man in Black” di Johnny Cash; “Minchia signor tenente” di Giorgio Faletti

(continua…)

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mercoledì, 4 marzo 2015

MAURO COVACICH ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 marzo 2015

MAURO COVACICH ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 marzo 2015 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)
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In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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È Mauro Covacich l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 marzo 2015.
Con Mauro Covacich discutiamo del suo nuovo libro, “La sposa” (Bompiani), e delle tematiche da esso trattate.

Nella seconda parte della puntata Mauro Covacich legge un estratto del libro.

L’autoracconto d’autore di Mauro Covacich dedicato a “La sposa” è disponibile qui.

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La sposa“La sposa” di Mauro Covacich (Bompiani)

Due sconosciuti in attesa di sparare durante un safari umano. Un’artista vestita da sposa che attraversa l’Europa in autostop. Un giovane sacerdote, ignaro del suo futuro di papa, in un drammatico corpo a corpo con il desiderio. Gli attentati compiuti nei supermercati da un tranquillo padre di famiglia con la passione per gli esplosivi. Le peripezie di un cuore espiantato, in corsa verso la seconda vita. Un uomo deciso a condividere la casa con un branco di lupi. Fatti realmente accaduti che si fondono a invenzioni folgoranti e brevi digressioni autobiografiche, come la lezione di frisbee al nipotino, nella quale affiora la dolente sterilità di un’intera generazione che ha rinunciato ai figli per le proprie ambizioni personali. La sposa è un unico flusso di pensieri sul presente, lo stesso che da molti anni caratterizza la scrittura di Mauro Covacich e che trova in Anomalie (1998) la sua iniziale scaturigine. Diciassette storie colme di bruciante amore per la vita, scaturite dai recessi di una normalità spesso, a ben vedere, fenomenale.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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(continua…)

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mercoledì, 4 febbraio 2015

PAOLO DI PAOLO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 febbraio 2015

paolo-di-paoloPAOLO DI PAOLO ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 febbraio 2015 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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È stato Paolo Di Paolo l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 4 febbraio 2015.

La prima parte della trasmissione è stata incentrata sulla figura di Indro Montanelli e sul volume “Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era” (Rizzoli). Nella seconda parte della puntata abbiamo discusso del libro per bambini: “La mucca volante” (Bompiani)

Tra le altre cose, nella seconda parte della puntata, si è discusso del progetto legato al magazine Orlando Esplorazioni.

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Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c'eraUn ragazzino di quindici anni, di “un Midwest intorno a Roma”, tutte le mattine compra il giornale e ne conserva ogni copia con cura religiosa. Perché su quel giornale scrive qualcuno, un signore ormai ottantenne, che ammira come il suo personale Grande Gatsby. Il ragazzino ruba la macchina da scrivere del nonno e inizia a mandargli lettere firmandosi una volta Alessandro Manzoni, un’altra volta Karl Marx. E quando la penna più prestigiosa del “Corriere della Sera” gli risponde pubblicamente nella sua rubrica, il ragazzino – che si chiama Paolo Di Paolo – non crede ai propri occhi. Poi un giorno squilla il telefono di casa, e una voce profonda e imperiosa dice: “Sono Montanelli”. E soltanto uno degli episodi raccontati in questo libro che è il sentito omaggio a un maestro del Novecento. Ma cosa ci può insegnare, oggi? Che le speranze nascono dalle idee, innanzitutto. Che la libertà è solitudine, perché l’indipendenza e il successo dipendono sempre dalle proprie scelte. Che per guadagnarsi spazio nel mondo serve essere ostinati e, mentre il mondo cambia, cambiare rimanendo se stessi. Che si può sbagliare idea, accusare il colpo e ripartire da zero. Nella scrittura precisa e avvolgente di Di Paolo, la vita inimitabile di Montanelli diventa un film di cui godersi ogni scena: quelle più eroiche, quelle che strappano sorrisi, ma anche quelle che fanno discutere. Con un’unica certezza: Montanelli non ha mai voluto mettere d’accordo nessuno.

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La mucca volanteNel cortile della scuola compare un giorno una lunga striscia rossa e bianca per tenere lontani i bambini da qualcosa che non devono vedere. Dopo cena, complici il nonno e il cane Macchia, Leo indaga: e scopre una mucca gonfia come un pallone, immobile, silenziosa. Il giorno dopo la mucca non ce più. Nessuno ne parla. L’indagine sembra archiviata quando Leo si ritrova con sei alleati curiosi quanto lui (a cui si aggiunge Giulia dalla frangetta tagliata), decisi a saperne di più anche su un’altra misteriosa sparizione, quella della maestra Pompelmo, avvenuta anni prima. Non resta che mettere insieme gli indizi e andare fino in fondo, nei sotterranei della scuola. Contro le bugie dei grandi, contro i loro divieti, contro certi segreti, per sapere la verità. Età di lettura: da 10 anni.

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PAOLO DI PAOLO (Roma 1983) è autore tra l’altro dei romanzi Dove eravate tutti (2011, Premio Mondello e Premio Vittorini) e Mandami tanta vita (2013, finalista Premio Strega). Di Indro Montanelli ha curato per Rizzoli La mia eredità sono io. Pagine da un secolo (2008) e Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita (2012).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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mercoledì, 22 ottobre 2014

SANDRO VERONESI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 ottobre 2014

sandro-veronesi-terre-rareSANDRO VERONESI ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 ottobre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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Veronesi_terrerare3_300dpiÈ Sandro Veronesi l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 22 ottobre 2014.
Con Sandro Veronesi abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “TERRE RARE” (Bompiani).

Nel giro di ventiquattr’ore un uomo perde il controllo della propria vita: fa un grave errore sul lavoro, gli viene sequestrata la patente, trova l’ufficio sigillato dalla Finanza, scopre che il suo socio è fuggito lasciandolo nei guai, rompe definitivamente con la sua compagna – e nel frattempo sua figlia è scappata da casa. Credendosi braccato, fugge a sua volta, alla cieca, ma lo sfacelo cui si è di colpo ridotta la sua vita, man mano che egli lo affronta, si rivela sempre più chiaramente un approdo, fatale e familiare – secondo una mappa interiore che era stata tenacemente rimossa.

Quest’uomo è Pietro Paladini, l’eroe immobile di Caos calmo, che nove anni dopo ritroviamo nella situazione opposta, roso dall’ansia e senza più un posto dove stare, costretto a vagare alla ricerca di quella pace improvvisamente perduta, o meglio – e questa sarà la sua scoperta – mai veramente avuta. La rimozione, la fuga, la famiglia che si disgrega, il confuso declino dell’Occidente, lo sforzo tragicomico di restare onesti in un tempo che spinge continuamente verso l’illegalità – e poi, di colpo, la verità.  Alla fine di Caos Calmo Paladini rispondeva a un celebre verso di Dylan Thomas affermando che “la palla che lanciammo giocando nel parco è tornata giù da un pezzo. Dobbiamo smettere di aspettarla”. Si sbagliava, la palla era ancora per aria. Torna giù ora, in “Terre rare”.

Bompiani – Collana Narratori italiani – Pag. 416 – 19 euro

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SANDRO VERONESI è nato a Firenze nel 1959.  È laureato in architettura. Ha pubblicato: Per dove parte questo treno allegro (1988); Live (1996); Gli sfiorati (1990); Occhio per occhio. La pena di morte in quattro storie (1992); Venite venite B-52 (1995), vincitore del Premio Fiesole nel 1996; La forza del passato (2000), con cui vince il Premio Viareggio L. Repaci e il Premio Campiello; Ring City (2001), Premio Fregene 2001; Superalbo (2002); No Man’s Land (2003); Caos calmo (2005); Brucia Troia (2007). Vincitore nel 2006 del Premio Strega, Caos calmo è stato tradotto in 20 paesi. Nel 2010 ha pubblicato XY, vincitore del Premio Flaiano 2011 e del Premio Superflaiano 2011. Sandro Veronesi ha collaborato con numerosi quotidiani e quasi tutte le riviste letterarie. Attualmente collabora con il “Corriere della Sera” e con “La Gazzetta dello Sport”.  Ha cinque figli e vive tra Prato e Roma.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

È possibile ascoltare le puntate precedenti, cliccando qui.

© Letteratitudine

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mercoledì, 15 ottobre 2014

SALVATORE SILVANO NIGRO e GUGLIELMO PISPISA ospiti di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014

SALVATORE SILVANO NIGRO e GUGLIELMO PISPISA ospiti di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)


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SALVATORE SILVANO NIGRO è stato l’ospite della prima parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014.
Con Silvano Nigro abbiamo discusso del suo nuovo libro “Il portinaio del diavolo. Occhiali e altre inquietudini” (Bompiani) e delle temativhe da esso trattate.

Il portinaio del diavolo. Occhiali e altre inquietudini“Cominciai ad avvertire l’inquietudine che quegli occhiali mi avevano seminato nel momento in cui, nella mia camera, mi ritrovai a disegnarli. Più volte, sullo stesso foglio; sicché ne venne un campo di occhiali come di meloni: grandi, piccoli, appena accennati, vuoti di lenti, con le lenti [...]. Uno strano disegno, tra quelli che faccio di solito: e chi lo vedesse senza conoscere queste pagine, forse penserebbe sia venuto fuori in margine a una lettura di Spinoza, che fabbricava occhiali di quel tipo; o che fossi rimasto impressionato degli occhiali di don Antonio de Solis, in quel ritratto che adorna il frontespizio della edizione settecentesca della sua ‘Istoria della conquista del Messico’; o che avessi studiato di illustrare i versi di quel poeta arabo-siculo sulle lenti. Ed ecco che in questo momento, mentre scrivo, il fatto di ricordare queste immagini (immagini vere e proprie e immagini di parole) mi sorprende e aggiunge inquietudine all’inquietudine. Com’è che così nitidamente vedo Spinoza nella sua bottega di ottico, l’ombra della sera, le lenti come piccoli laghi in un paesaggio di manoscritti, tra le selve delle parole scritte [...]; che così nitidamente ricordo il ritratto di don Antonio, e i versi di Ibn Hamdis? Non c’è qualcosa, nelle lenti, negli occhiali, che mi suscita, remoto, imprecisabile, un senso di stupore e insieme di apprensione?”

(Leonardo Sciascia, “Todo modo”, 1974)

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GUGLIELMO PISPISA è stato l’ospite della seconda parte della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 15 ottobre 2014
Con Guglielmo Pispisa abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Voi non siete qui” (Il Saggiatore)


Voi non siete quiWalter Chiari, avvocato messinese, non è parente di Walter Chiari, attore di origini pugliesi. Non gli assomiglia neppure; d’altronde, dovrebbe? Walter Chiari – l’avvocato, s’intende – aveva una passione per la letteratura, ma ha ciso di studiare giurisprudenza perché, bravo figlio degli anni ottanta, è stato allevato nel culto del denaro. Oggi Walter Chiari ha un impiego noioso una moglie frustrata, un figlio incline ai silenzi risentiti: una vita piatta. Un giorno, però, tutto cambia. Walter torna dalle vacanze, perde il lavoro, conosce una donna sensuale e misteriosa, erede di una famiglia altolocata, e la sua esistenza si trasforma; o meglio si deforma, e Walter si trova invischiato prima in un’irrequieta relazione extraconiugale – nata letteralmente ai bordi di una strada – e poi in un piano losco e intricatissimo in cui, fra polticanti corrotti e compiacenti frammassoni, rischia di essere l’unico con una coscienza. Che è subito pronto a mettere a tacere. Eppure qualcosa non quadra. Chi è il criptico seccatore che mette in guardia Walter atttraverso Facebook? E che cosa c’entrano i massoni con un delicato sistema di comunicazioni satellitari messo a punto dall’esercito americano? le date si confondono, si aggrovigliano, si scambiano e nella Russia degli oligarchi, degli alberghi di lusso, delle prostitute in limousine Walter Chiari si trova a camminare sull’orlo dell’abisso.

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il mercoledì mattina (h. 9 circa). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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domenica, 1 dicembre 2013

È online la puntata con ANTONIO SCURATI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 novembre 2013

antonio-scurati-il-padre-infedeleÈ online la puntata con ANTONIO SCURATI, ospite di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 novembre 2013

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Antonio Scurati è stato l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì 29 novembre 2013.
Con Antonio Scurati abbiamo discusso del suo nuovo romanzo (uscito in questi giorni): “Il padre infedele” (Bompiani). Ne abbiamo approfittato per chiedergli di raccontarci qualcosa su di lui e sulla sua attività di scrittore e, ovviamente, abbiamo avuto modo di discutere delle molteplici e interessanti tematiche trattate dal romanzo.

Nella seconda parte della puntata, Antonio Scurati ha letto qualche pagina del libro.

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Letteratitudine in Fm va in onda su Radio Hinterland il venerdì mattina (h.13 circa) e – in replica – il martedì sera (h. 20,30) e il mercoledì mattina (h. 11,00). Per dettagli, consulta il palinsesto della radio.

Puoi ascoltare Radio Hinterland in Fm su 94.600 nelle province di Milano e Pavia, oppure in streaming via Internet cliccando qui.

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lunedì, 24 ottobre 2011

ESSERE FIGLI D’ARTE: PRIGIONE O OPPORTUNITÀ? IL “TIMOR SACRO” DI STEFANO PIRANDELLO

padri-e-figli-d-arteL’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
È più una prigione o un’opportunità?
Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?
Per esempio, se Sophie Auster, figlia dello scrittore Paul, anziché fare la cantante e l’attrice avesse deciso di darsi alla letteratura, avrebbe più o meno successo di adesso?
E se Stella McCartney, figlia dell’ex beatle Paul, avesse deciso di dedicarsi alla musica piuttosto che alla moda, sarebbe riuscita a sfondare?
E Julian Lennon? Se non fosse stato figlio di John, sarebbe più o meno noto di quanto in effetti oggi è?

Non è facile rispondere: è presumibile che dipenda dall’importanza del nome. È improbabile, cioè, che il figlio di un gigante dell’arte possa raggiungere i risultati del genitore. Anche se è bene non generalizzare in maniera assoluta. Per esempio, prendiamo questi due big di Hollywood: meglio Kirk Douglas o Michael Douglas?

Insomma, vi invito a dire la vostra sul tema “padri e figli d’arte… e relative ripercussioni” (magari potreste proporre altri esempi). Nel contempo, vi presento un caso e un libro che rientrano in maniera perfetta nella tematica proposta.

Qualcuno lo indica già come uno dei nuovi possibili casi letterari. Un romanzo postumo, firmato da un autore che porta uno dei cognomi più celebri della storia della letteratura. Un cognome che, probabilmente, lo ha penalizzato. Non è facile, infatti, essere figli di Luigi Pirandello e portare avanti il sogno, o meglio, la “necessità” della scrittura cercando di sfuggire al fastidioso e inevitabile peso del confronto. È quello che è successo a Stefano Pirandello, primogenito di Luigi, scrittore raffinato, schivo, costretto a ricorrere a uno pseudonimo (Stefano Landi) per pubblicare i suoi lavori senza incorrere, appunto, nel rischio di rimanere oscurato dall’ombra paterna.
pirandello_timor-sacroIl lavoro di tutta una vita di Stefano Pirandello, cominciato negli anni Venti e riveduto più volte fino alla scomparsa dell’autore (avvenuta a Roma il 5 febbraio 1972), è un romanzo che vede la luce per la prima volta in questi giorni grazie all’impegno editoriale della Bompiani e alla cura dell’ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Catania Sarah Zappulla Muscarà (che ha già avuto il merito di dare nuovo lustro alle opere di Bonaviri, Patti e Addamo). Si intitola “Timor sacro” (Bompiani, pagg. 336, € 14,00) ed ha caratteristiche metanarrative giacché il protagonista, lo scrittore Simone Gei (alter ego dell’autore), è alle prese con la stesura di un’opera di esaltazione del fascismo. Nella narrazione, la storia di Gei si alterna a quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe.

Sono molteplici gli elementi di interesse di questo romanzo. Tra questi, come già accennato, l’aspetto metaletterario (“Timor sacro” è un romanzo sulla genesi del romanzo, dunque un metaromanzo), ma anche la natura autobiografica e i riferimenti – sebbene mascherati e trasfigurati – ai componenti della tormentata famiglia Pirandello (il padre Luigi, la madre Maria Antonietta Potulano, i fratelli Fausto e Lietta), agli amici più intimi di Luigi e di Stefano e a varie personalità di quegli anni. Non è difficile riconoscere tra le righe del libro letterati del calibro di Corrado Alvaro, Corrado Pavolini, Massimo Bontempelli, o politici come Ciano e Bottai, o scrittori come D’Annunzio, Malaparte, Alberto Savinio, Silvio D’Amico. Ma da “Timor sacro” emergono anche i risvolti inevitabili di un’epoca: la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Su tutto, si erge il forte legame con il padre. Un legame che è totale, ma al tempo stesso tormentato. Amoroso, eppure tirannico.
«Romanzo pericoloso e di tutta una vita, l’inedito Timor sacro», – scrive nella prefazione Sarah Zappulla Muscarà – «erudito, alchemico, cui compete la dimensione dell’immaginario, come vuole Milan Kundera, ma pure della realtà, talora tragica, inesorabilmente violentata e compassionevolmente stravolta». Romanzo che «dell’itinerario esistenziale di Stefano ripercorre le tappe fondamentali. L’entusiasmo irredentista, la partenza per il fronte, la dura cattività, la beffa risorgimentale, il non facile reinserimento del reduce, la vicenda amorosa, l’emancipazione dal padre, la scelta definitiva dell’arte».
Diversi, dunque, i motivi per leggere “Timor sacro”. E il fatto che questo romanzo raggiunga per la prima volta gli scaffali delle librerie, dopo quasi quarant’anni dalla morte del suo autore, conferma la veridicità del titolo dell’ultimo intenso capitolo dell’opera: “Il libro traversa la vita e va oltre”.

Oltre che della tematica in generale, avremo modo di discutere anche di questo libro di Stefano Pirandello. L’amica Laura Marullo, docente presso facoltà di lettere dell’Università di Catania, mi darà una mano a moderare e ad animare la discussione.

Ma aspetto, ovviamente, i contributi da parte di tutti gli amici di Letteratitudine!
Come sempre, grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

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lunedì, 10 maggio 2010

PADRI (SCRITTORI) e LIBRI: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Rosa Matteucci, Raul Montanari, Amedeo Romeo

padri-e-figliÈ un post a cui tengo particolarmente, questo… finalizzato ad avviare una discussione sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare.
Per farlo ho invitato sei scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta (li elenco in ordine alfabetico di cognome) di: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Raul Montanari, Amedeo Romeo.
Avrò modo di presentarli nel corso della discussione.

Vi anticipo i tratti in comune che hanno i protagonisti di queste storie (in fondo al post troverete le schede dei rispettivi libri).

- Il protagonista del libro di Valter Binaghi si chiama Fausto Blangé: è uno scrittore che ha perso la moglie (morta suicida) e ha ucciso il suo ex analista.

- Luca, personaggio del libro di Gianni Biondillo, è un padre separato che deve fare i conti con la moglie che gli impedisce di vedere la figlia.

- Anche il protagonista del libro di Vito Bruno – un uomo che scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie – deve affrontare la terribile esperienza della separazione dal figlio.

- Il personaggio principale del romanzo di Franz Krauspenhaar è un anziano scrittore italiano di origine tedesca alla ricerca della moglie scomparsa. L’uomo teme che sia stata uccisa dal figlio.

- Danio è il protagonista del libro di Raul Montanari: fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e un tremendo segreto: è un assassino… un assassino per caso.

- Andrea Morini, invece, personaggio del romanzo di Amedeo Romeo, è affascinato dalla maternità ma… ha il terrore di diventare padre.

Discuteremo, approfittando della presenza degli scrittori/ospiti, dei libri (introdotti di seguito), ma anche dei temi del post.

Pongo alcune domande volte a favorire la discussione (e ispirate dai romanzi oggetto di questa discussione).

1. Come è cambiato, oggi, l’essere padre?

2. In cosa, il padre di oggi, si differenzia nettamente da quello delle generazioni precedenti? Quali i pro e i contro di tali differenze?

3. Che cosa significa, oggi, “volere” un figlio?

4. Premesso che le principali vittime delle separazioni tra i coniugi sono quasi sempre i figli, tra il padre e la madre chi è che subisce – in genere – il trauma maggiore? E chi, in genere, tra i due presenta maggiori fragilità?

5. L’uomo contemporaneo rischia di rimanere vittima della corruzione del successo di più o di meno rispetto a qualche decennio fa? E il successo che corrompe colpisce di più l’uomo, il marito, il padre, lo scrittore (o – in maniera analoga – la donna, la moglie, la madre, la scrittrice)?

Contestualmente coglieremo l’occasione per discutere sulla legge relativa all’affidamento dei minori.

Mi daranno una mano a moderare la discussione: Simona Lo Iacono (che, nella veste di scrittrice e giurista, metterà a nostra disposizione le sue competenze per fornirci informazioni e chiarimenti sulla vigente normativa sull’affidamento dei minori nei casi di separazione dei genitori; in fondo al post troverete un suo articolo), Francesca Giulia Marone (nel ruolo di scrittrice, madre e figlia: mercoledì 12, h. 8.00, trovere un suo racconto pubblicato su La poesia e lo spirito) e Ausilio Bertoli (che – nel duplice ruolo di scrittore e psicosociologo della comunicazione e della devianza – ci fornirà spunti e chiarimenti di natura, appunto, psicologica; ne approfitto per segnalare questo libro). Ad affiancare Ausilio Bertoli, anch’egli nel duplice ruolo di scrittore e psicanalista: Salvo Montalbano (nulla a che vedere con Camilleri, come si evince da questa recensione al suo romanzo).

Di seguito, le schede dei sei romanzi.
Massimo Maugeri
(continua…)

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mercoledì, 13 maggio 2009

OMAGGIO A GIUSEPPE BONAVIRI

POST DEL 22 MARZO 2009

Ho appena appreso la notizia. Giuseppe Bonaviri, uno dei più grandi scrittori del Novecento, è morto ieri sera (21 marzo 2009) all’età di 84 anni. L’avevo incontrato di recente – nel mese di maggio dell’anno scorso – presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Giorno 19 marzo l’aspettavamo al Palazzo della Cultura in Via Museo Biscari 5, a Catania, per un pubblico omaggio organizzato da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla in occasione della ri-edizione de «La ragazza di Casalmonferrato», (romanzo del 1954) – La Cantinella. Le condizioni di salute non gli hanno consentito di essere presente.
A lui il mio e il nostro pensiero…
Non aggiungo altro. Ripropongo il post pubblicato martedì, 4 novembre 2008: Omaggio a Bonaviri.
In coda potrete leggere una lunga intervista esclusiva che Giuseppe Bonaviri ha rilasciato a Massimiliano Perrotta (che ringrazio per avermela concessa).
Grazie, Giuseppe, per le grandi opere letterarie e i bellissimi scritti che ci hai lasciato.
Massimo Maugeri

P.s. In data 15 settembre 2011, questo post è stato tradotto in lingua estone e pubblicato qui.

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Post di martedì, 4 Novembre 2008
giuseppe-bonaviri.jpgÈ con molto piacere che dedico uno spazio “speciale” a uno dei grandi autori del Novecento letterario italiano: il più volte candidato alla vittoria del Premio Nobel, Giuseppe Bonaviri.
Sarah Zappulla Muscarà, nella sua prefazione alla nuova edizione de “L’infinito Lunare” (Bompiani, 2008, € 9,20, p. 264), lo presenta così: “Giuseppe Bonaviri è nato l’11 luglio 1924, “al canto delle cicale”, a Mineo, paesino alto su un monte, in provincia di Catania, fondato da Ducezio, re dei Siculi. Lì erano nati nel Seicento il padre gesuita Ludovico Buglio che, nel corso della sua lunga vita missionaria in Cina, pubblicò ben ottanta volumi, fra cui la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino, in elegante lingua cinese; sempre nel Seicento il poeta Paolo Maura, autore del poemetto autobiografico in dialetto siciliano La pigghiata (La cattura); e nell’Ottocento Luigi Capuana, uno dei maggiori esponenti del Verismo, i cui interessi spaziarono dal giornalismo alla narrativa, alla critica, alla poesia, alla favolistica, al teatro, allo spiritismo. Da queste radici geografiche e antropologiche – “A Miniu li pueti a ccientu a ccientu / pirchì è lu mastru di lu puitari”, come suona il detto popolare – scaturisce il canto, sorretto dalle più variegate letture, di Bonaviri. Il suo esordio risale al 1954, con “Il sarto della stradalunga”, apparso nella collana einaudiana “I gettoni”. Da quel lontano romanzo che, come ben intuirono Vittorini, Calvino e la Ginzburg, rivelava nel giovane sottotenente medico lo scrittore di razza, Bonaviri non finisce di stupirci. “Le sue cortesie sono come i frutti del giardino di Armida, che ‘E mentre spunta l’un l’altro matura’”: così da Mineo il 24 giugno 1884 il conterraneo Luigi Capuana a Federico De Roberto. Lo stesso potrebbe dirsi dei dolci frutti di Bonaviri. Di quelle “possibilità infinite di conoscenza” che gli riconosce Sebastiano Addamo. Gli è che dalla mitica pietra della poesia dell’altipiano di Camuti, contrada di Mineo, odorante “di fior di nepitella e di iris”, “Parnaso siculo”, “Elicona dei rustici poeti”, l’omphalos dei greci, di cui narra anche il medico palermitano studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè, lamento doloroso e nostalgico, specola dell’anima, patria incorrotta della memoria, dalla madre donna Papè Casaccio, “decameron vivente”, dal padre don Nanè, l’ingenuo poeta de “L’arcano”, per misteriose, labirintiche vie ctonie e cromosomiche, Giuseppe Bonaviri ha ereditato il “potere di fare miracoli” che possiede il vecchio “Gesù a Frosinone”. Il potere incantatorio del narratore in grado di dar vita a quella suspension of disbelief di cui parla Samuel Coleridge.”

Mi piacerebbe organizzare un grande dibattito sulla figura di Bonaviri. E per farlo mi avvarrò del supporto della già citata Sarah Zappulla Muscarà (ordinaria di Letteratura Italiana nell’Università di Catania), e della sua prefazione a “L’infinito Lunare”, di cui avete già letto uno stralcio qui sopra; del critico e scrittore Subhaga Gaetano Failla (il quale, tra l’altro, mi darà una mano a coordinare e a animare la discussione), che ci offre un’intervista al celebre autore di Mineo (l’intervista, realizzata insieme alla sorella Valeria Failla, è apparsa sulla rivista cartacea “Orizzonti” n. 26, aprile-luglio 2005); e di Rawdha Zaouchi-Razgallah (italianista e docente di letteratura italiana presso l’Università del «7 Novembre a Carthage» di Tunisi), che ci offre un duplice spunto (e punto di vista) sulla scrittura di Bonaviri.

Nei prossimi giorni aggiornerò il post introducendo alcune immagini e un video da me realizzati nel mese di maggio di quest’anno presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Catania, in occasione di un pubblico incontro con Bonaviri.

Il dibattito è incentrato sulla figura di Giuseppe Bonaviri e sulle sue opere (cercherò di coinvolgere gli amici della Fondazione Bonaviri); ma ne approfitto per proporre un argomento di discussione collaterale che, in parte, abbiamo già avuto modo di affrontare in altre occasioni. Nella prefazione della Zappulla Muscarà a “L’Infinito Lunare” leggiamo il seguente stralcio virgolettato: “Credo che per colui che scrive non per mestiere ogni libro rappresenti come un immergersi in un labirinto di se stesso per entrare dentro, per mezzo delle parole, in un disagio vitale che soltanto con la pagina scritta si può curare”.
Esiste davvero un potere salvifico della scrittura? E fino a che punto la scrittura è in grado di curare il disagio vitale?

Non credo che Bonaviri avrà modo di partecipare al dibattito, ma di certo ne sarà informato in maniera dettagliata.

Massimo Maugeri
(continua…)

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lunedì, 11 febbraio 2008

LA LETTERATURA DELLA FOLLIA

Il tema della follia è uno di quelli più ricorrenti in letteratura.

Di seguito troverete un pezzo di Flaviana Zaccaria (pubblicato su letterariamente) e due recensioni. La prima è firmata da Ruggero Bianchi (pubblicata su Tuttolibri del 29 dicembre 2007) e riguarda il nuovo romanzo di Patrick McGrath che – dopo Follia (1998), Il morbo di Haggard (2002) e Port Mungo (2004), torna in libreria con Trauma (edito da Bompiani).

La seconda recensione è firmata, invece, da Silvia Leonardi e riguarda il libro di Pasquale Esposito (nome in codice: Eventounico), intitolato Come pagina bianca (edito da Aletti).

Due libri che, in un modo o nell’altro, rientrano nel tema.

Vi invito a discutere sia sul tema, prendendo come spunto il pezzo della Zaccaria, sia sui due libri recensiti.

A proposito… c’è un “romanzo folle” a cui siete particolarmente legati?

Chiudo con la domanda finale posta dalla Zaccaria.

Chi non ha mai lottato contro i mulini a vento?

(Massimo Maugeri)

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Da sempre la follia ha imperversato nella letteratura mondiale assumendo forme e valenze diverse; dagli antichi saltimbanchi ai romanzi di Dostoevskij e Pirandello, la follia non ha fatto altro che puntare il dito, focalizzando l’attenzione del pubblico su qualcosa di fondamentalmente universale: l’Io, i desideri e le espressioni più pure di se stessi. Cos’è infatti l’atto o le parole di un folle se non una espressione limpida, senza mediazioni raziocinanti, della propria mente, del proprio sentire?

L’arte ha adottato questa libertà per mostrare l’Altro, l’esistenza di qualcosa al di là della norma convenzionale sociale, alzando la sua polemica contro la “conformità-a-tutti-i-costi” e il rifiuto per il diverso: basta leggere qualche pagina del Sosia o delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, o l’ancor più famoso Uno, nessuno, centomila di Pirandello, per rendersi conto della profondità in cui scende l’analisi umana nella sincerità della follia.

La “Follia seria” ha così accolto su di sé il difficile compito di esprimere l’angoscia, le ansie e il male di vivere dell’uomo; ma esiste anche un’altra faccia della follia: quella “che ride”, la follia giocosa dei saltimbanchi che nasconde dietro il suo riso le stesse inquietudini, che esorcizza i “mostri” e l’Altro mostrandone le contraddizioni e le irrazionalità. Ma ciò non significa che la sua sia un’opera di distruzione, al contrario, come scrive anche Bergson, la follia in tal modo dà consistenza e valore ad un modello, ad una determinata forma; che un personaggio, un avvenimento sia bersaglio del riso, non è che il riconoscimento della forza e dell’importanza di questo stesso.

Ariosto nell’Orlando Furioso mette in pratica proprio ciò: nella follia d’Orlando, che vaga seminudo nel bosco vaneggiando parole senza molto senso, che usa uomini a mo’ di mazza per colpirne altri e scorrazza per la foresta simile ad un animale, c’è l’affermazione di quell’uomo e del suo amore tanto grande da togliere il senno….. costringendo Astolfo ad arrivare fin sulla luna per riportarlo in sé!

Così nel “Don Quijote” di Cervantes, dove tra le risate davanti agli improbabili cavalieri e giganti sfidati, le gentildonne travestite da contadine e popolane e le locande trasformate in castelli, non si può far a meno di ammirare la forza d’animo e il coraggio con cui egli porta avanti il suo ideale cavalleresco e i suoi sogni di una gloria d’altri tempi, ove il cuore e la nobiltà d’animo erano i capisaldi di un grande uomo. Ciò ovviamente non lo esonera dagli scherzi del suo scudiero, il quale anzi, quando non è malconcio per le conseguenze delle avventure del cavaliere suo padrone, lo incalza nella sua follia arricchendola di nuovi personaggi e vicissitudini; ma la costanza e l’ammirazione con cui egli segue comunque il cavaliere errante al suo fianco, mostrano tutta la stima e l’elogio per un animo tanto grande.

Senza alcun dubbio ci sono delle differenze, e notevoli, tra i due componimenti, mentre infatti la follia ariostesca investe solo un aspetto ben preciso dell’opera e del carattere del suo protagonista, in Cervantes questa sembra investire tutti, traendo nella sua ridente tela tutti i personaggi, trasformando l’intera opera in una miscellanea di rocambolesche e divertenti circostanze; la follia sembra diventare la normalità e tanta è la partecipazione del lettore che non si può far a meno di fare il tifo per Don Quijote, sperando nella buona riuscita di almeno una delle diverse imprese, e proprio qui c’è l’affermazione del modello, del carattere del personaggio.

Il senso della follia che ride forse è proprio qui, nella partecipazione emotiva e nella leggerezza d’animo che suscita nei lettori, rendendoli con la magia del sorriso un po’ più consapevoli e più vicini all’Altro, chi mai infatti, se non altro durante la lettura, non si è sentito un po’ Don Quijote, senza sogni ad occhi aperti? Chi non ha mai lottato contro i mulini a vento?

Flaviana Zaccaria

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Trauma di Patrick McGrath, Bompiani, 2007, trad. di Alberto Cristofori, pp. 252, euro 17

Torna a volare alto Patrick McGrath in Trauma, un romanzo serrato e avvolgente pubblicato in anteprima mondiale da Bompiani (trad. di Alberto Cristofori, pp. 252, e 17), che ruota attorno alla figura di Charlie Weir, psichiatra newyorchese d’assalto che vive e opera nel cuore della Big Apple, tra la Ventitreesima strada, e dunque a Chelsea e ai margini del Village, e l’alta Park Avenue, e dunque ai bordi della Columbia e di Harlem. E’ lui a narrare e a interpretare la propria storia. O meglio, a cercare di interpretarla, come conviene a ogni seguace di Freud convinto che la vita quotidiana è una forma di continuo e inconsapevole mascheramento ruotante attorno a transfert e rimozioni e quindi – per dirla con le sue parole – lo psichiatra è il «fantasma» di un «assente» del quale il paziente va a caccia. Queste, per Charlie, le basi teoriche e metodologiche sulle quali fonda la sua professione. Ma la pratica è tutt’altra cosa. Un po’ perche’ indulge a contaminare Freud con le nuove dottrine eterodosse alla Laing; un po’ perche’ a volte e’ precipitoso e pasticcione; ma soprattutto perche’, prima di risolvere i traumi e gli shock post traumatici dei suoi clienti, dovrebbe riuscire a risolvere i propri. E di se’ questo anomalo «strizzacervelli» (lui pero’ mal sopporta tale definizione) ne sa meno di Agnes, l’ex moglie sociologa, di Cassie, l’affettuosa figlioletta, di Walt, il rozzo fratello artista e benestante. E forse anche di Nora Chiara, l’amante fascinosa e candidamente perversa, di Fred, il padre eternamente perdente, e persino di Leon, il pompiere secondo marito di Agnes. Nel tentativo di venire a patti con se stesso, Charlie scivola disinvoltamente e dolorosamente tra presente e passato, tra un oggi del quale solo eventi traumatici sanno spezzare il monotono flusso, e uno ieri che risale agli anni di Nixon, dei reduci dal Vietnam e del Movement, delle Twin Towers ancora in costruzione, dei primi successi dei Doors e della moda dello Zippo. Ormai prossimo ai quaranta, psichicamente ed emotivamente ingrigito come certi personaggi di T.S. Eliot, e’ costretto ad ammettere che quanto vale per i suoi pazienti vale anche per se’: lui pure ha il problema del «gemello», fratello o doppio che sia. Lui pure ha un Edipo non risolto che gli fa vivere moglie e amante come surrogati materni e anelare alla «casa» come a un ritorno all’utero. E, soprattutto, lui pure vede lo psicanalista come un ficcanaso che vuole aiutare, spesso con disastrose conseguenze, persone che non vogliono essere aiutate ma solo farsi confessare ed essere assolte: un ruolo a mezza via tra il medico e l’amante che offre compassione a chi invece ha urgenza di amore. Non e’ facile d’altronde applicare nei propri confronti regole e metodi usati con gli altri, convincersi che anche la propria esistenza e’ il tentativo di dar corpo a un «modello drammaturgico di vita sociale» e che dunque la propria memoria non e’ un «deposito» di fatti e dati oggettivi bensi’ un «imprinting somatico dinamico», cioe’ una falsificazione e una reinvenzione delle esperienze passate. La psicanalisi, insomma, sembra essere un modo di apprendere piu’ che di insegnare. E Charlie dovra’ rendersi conto che certe scelte finali dei suoi pazienti – magari spararsi in bocca o buttarsi dal cornicione di un edificio – potrebbero essere anche le sue. Ma la chiusa del romanzo – con il colpo di scena d’obbligo, peraltro lievemente forzato e smorzato – lascia scorgere una soluzione pacificatoria, in linea con l’andamento cullante e pacatamente attutito di tutto il romanzo.

Ruggero Bianchi

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Come pagina bianca di Pasquale Esposito, Aletti, pag. 104, euro 14

In un mondo dove il normale altro non è che il valore che ognuno vuole dare a questo termine, i ruoli sembrano ribaltarsi. Chi è sano è il vero malato, e viceversa. Resta sospeso nell’aria questo dubbio, aleggia furtivo tra le parole del protagonista, internato in un manicomio con la sola “colpa”- se di colpa si possa parlare – di non essersi omologato al mondo, alle convenzioni, alle abitudini che negli altri determinano la normalità. Nessun riferimento a date, a luoghi che non siano la stanza da cui il protagonista scrive le sue lettere, il romanzo resta volutamente su un piano astratto, quello di uno spazio e di un tempo da immaginare liberamente. L’uomo, nella sua esistenza in solitudine, non può far altro che affidarsi alla penna, immaginando un amore ideale a cui scrivere, come a raccogliere i pensieri, concentrarli e fissarli per evitare – questa volta davvero – di impazzire, di restare “come pagina bianca”. Inespressiva e inascoltata. Inquietante la lucidità di pensiero del protagonista, azzeccata l’idea di non usare nomi se non uno, che comunque non è reale, quello di Girolamo, l’unico personaggio che infine sembra comprenderlo senza parole e senza giudizio.

Le lettere sono il contorno, la cornice perfetta di quelle piccole perle in versi che Pasquale Esposito incastona. Tra le rime c’è tutto quello che in altro modo è difficile spiegare e comprendere. Un caleidoscopio emotivo in cui prosa e poesia si alternano e si integrano. E se anche il protagonista dichiara fin dall’inizio di non essere avvezzo all’uso delle parole, mirabilmente le giostra, le plasma, in un linguaggio dal sapore vagamente retrò. Di certo non c’è ansia nel libro, tutto scorre come acqua sotto i ponti, e il lettore intuisce che di sorprese non deve aspettarsene. E’ la vita, quella vita, che va come deve.

Silvia Leonardi

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lunedì, 21 gennaio 2008

LA KRYPTONITE NELLA BORSA di Ivan Cotroneo

Voglio presentarvi il nuovo romanzo di Ivan Cotroneo, scrittore nato a Napoli nel 1968.

Cotroneo è anche il traduttore per l’Italia delle opere di Michael Cunningham e Hanif Kureishi. Scrive per il cinema, la televisione e la radio. Con Bompiani ha già pubblicato Il piccolo libro della rabbia e i romanzi Il re del mondo e Cronaca di un disamore. La kryptonite nella borsa è il suo terzo romanzo.

Vi presenterò il romanzo e, di seguito, avrete modo di leggere un brano del libro (ne approfitto per ringraziare la Bompiani per avermi concesso l’apposita autorizzazione).

Naturalmente vi invito a discuterne e a interagire con l’autore (che spero possa partecipare alla discussione). Poi vi propongo una sorta di gioco da portare avanti insieme al dibattito.

Poiché La Kryptonite nella borsa descrive la Napoli dei primi anni Settanta, vi invito a descrivere i “vostri” luoghi così come ve li ricordate negli anni in cui è ambientato il libro di cui discuteremo.

E poi, un altro tema su cui si potrebbe discutere è quello della solitudine dei bambini.

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Davvero ottimo il nuovo romanzo di Ivan Cotroneo, La kryptonite nella borsa – (Bompiani, 2007, pagg. 205, euro 14,50).

Nella Napoli degli inizi degli anni Settanta, Peppino, un bambino di sette anni, esteticamente sgradevole (se non proprio bruttino), vede il mondo attraverso le lenti dei suoi occhialini con l’asta rotta (poi riparata con il nastro adesivo) e il filtro naturale dell’appartenenza a una famiglia molto caratteristica, una di quelle che oggi sarebbero definite con l’ausilio di un aggettivo di nuovo conio: “disfunzionale”.

Peppino è anche un bambino solitario, spesso vittima di episodi di bullismo perpetrati ai suoi danni da alcuni compagni di classe che non fanno della sensibilità il loro cavallo di battaglia. Un bambino che deve fare i conti con i risvolti di una vita difficile da interpretare. Sua madre Rosaria, per esempio, è depressa ai limiti dell’immobilismo a causa del tradimento del marito. Il padre, dal canto suo, usa come alcova la Fiat 850 blu avion di famiglia senza essere a conoscenza del fatto che la moglie sa e tace (e per questo si ammala). E proprio per via di questo male oscuro che paralizza la madre, confinandola sotto le lenzuola di un letto, Peppino si trova a vivere in una sorta di famiglia allargata con tanto di nonni e zii ventenni. Questi ultimi – Titina e Salvatore – lo portano in giro per una Napoli psichedelica e colorata, dove vanno di moda pantaloni a zampa d’elefante, feste alternative negli scantinati e collettivi femministi; e dove circolano alcol, droga e pasticche allucinogene (che persino il ragazzino – sebbene inconsapevolmente – si troverà a ingurgitare).

E poi c’è Gennaro, altro personaggio chiave del romanzo: un ragazzo dotato di immaginari superpoteri che derivano, evidentemente, da reali superproblemi. Gennaro crede di essere Superman e scorazza per la città partenopea – abbigliato con calzamaglia blu elettrico, pullover a colo alto e una mantellina rosa da parrucchiere sulle spalle – in cerca di kryptonite nelle borse delle passanti. Perché solo la kriptonite è in grado di fermare Superman. Di certo non un automezzo. Forse è questo che pensava Gennaro poco prima di finire sotto un autobus, o forse – molto più tristemente – desiderava spegnere l’interruttore di una vita solitaria e insostenibile per via di una sospetta omosessualità latente.

Gennaro muore, ma risorge nelle fantasie di Peppino; perché Peppino ha bisogno di una guida, di un punto di riferimento, di qualcuno in grado di badare a lui un po’ meglio degli zii “alternativi”, o dei nonni anziani, o dei genitori assenti. Così Gennaro gli appare nei momenti topici della sua vita di ragazzino, sempre prodigo di consigli, di esempi, di filosofia spicciola; ma soprattutto sempre pronto ad ascoltarlo nel rumore silenzioso e sordo del contesto famigliare. E in uno di questi momenti Peppino si troverà a volare sopra le spalle di SuperGennaro e a contemplare questa Napoli cotronea che è al tempo stesso stravagante e volutamente stereotipata; e che emerge dalle pagine con la forza e la peculiarità dei modi di dire, delle espressioni tipiche, dei luoghi, delle strade, persino dei nomignoli attribuiti alle persone (che finiscono con il prevalere sui nomi reali).

In definitiva, Ivan Cotroneo, usando un linguaggio parlato e credibile, ci offre un romanzo originale, ricco di racconti e aneddoti correlati, ma ricco anche di ironia, di connotazioni comiche e risvolti tragici. Un romanzo che fa pensare senza essere tedioso, che fa sorridere senza essere volgare, che fa commuovere senza essere mieloso.

Merce rara di questi tempi.

Massimo Maugeri

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Da La kryptonite nella borsa di Ivan Cotroneo

Quando Peppino aprì gli occhi e vide, nel buio della sua stanzetta, la sagoma allampanata di Gennaro seduta ai piedi del letto, che gli sorrideva tranquillo con i suoi denti sghembi, non ebbe affatto paura.

Prese gli occhiali dal comodino, se li infilò con attenzione, raddrizzò la stanghetta rotta e lo guardò bene, per essere sicuro di non sbagliare. Sì, era proprio lui.

“Ciao Gennaro. Come stai?”

“Come mi vedi. Bene.”

In effetti, agli occhi di Peppino, Gennaro non stava affatto male. La calzamaglia blu era quella di sempre, così come la sua maglia a collo alto non particolarmente pulita. La mantellina rosa era annodata stretta sotto il collo, con un bel fiocco sistemato, e Gennaro la scostò dal petto con studiata noncuranza, molto elegantemente.

Il suo sguardo era attento, e perfino allegro.

Non aveva ingessature, né segni sul volto. Non sembrava riportare nessun effetto secondario in seguito allo scontro frontale con l’autobus numero 111 barrato, a parte, forse, una nuova pettinatura: fosse stata o meno una conseguenza dell’impatto, ora teneva i capelli tutti tirati all’indietro, che non gli stavano nemmeno male. Peppino decise di porgli subito la domanda che gli premeva, senza girarci troppo intorno.

“Genna’, senti una cosa… Io non capisco… Ma tu, non eri morto?”

“Io? E chi te lo ha detto?”

“Mamma… zia Titina… tutti.”

“La gente parla solo per parlare.”

“Ma quelle dicono che il pullman ti ha investito.”

“Il pullman mi ha investito, questo è vero. Esso non si è fermato. Ma io non sono morto.”

“E allora chi hanno messo nella bara in chiesa?”

Gennaro in un vago gesto di insofferenza un po’ femminile sollevò la mano destra, nella quale, Peppino si accorse solo ora, teneva una sigaretta accesa. Voleva dire, con quel gesto: Lascia perdere queste sciocchezze.

“Bambino, non devi credere a tutto quello che dice la gente. Io sono morto, ma non sono morto.”

Peppino lo guardò in silenzio, mentre Gennaro aspirava una boccata dalla sigaretta e soffiava un po’ teatralmente il fumo nella sua stanzetta.

“Genna’, penso che non ho capito un’altra volta.”

Gennaro sospirò paziente, poi fece volare via la sigaretta, che finì sul pavimento dall’altro lato della stanza.

“Peppino, tu lo sai che ho i superpoteri. Sei l’unico che mi ha sempre creduto.”

“Sì.”

“E per questo, sei l’unico che può sapere. L’unico che mi può vedere. Io sono morto per tutti ma non per te. I miei superpoteri mi hanno salvato.”

Peppino si rimise a posto gli occhiali che gli stavano scivolando sul naso. In effetti, quadrava. Se uno aveva i superpoteri, non poteva certo bastare un autobus dell’Atan in servizio dalla stazione centrale a piazza Municipio a eliminarlo. Eppure altre cose non sembravano a posto. Perché nascondersi a tutti? E perché adesso Gennaro parlava cercando di darsi un tono da signore, evitando il dialetto e aggiustandosi il collo della maglia in continuazione? La morte sembrava avergli dato importanza, una nuova concezione di sé, più alta, più complessa, schifiltosa e perfino un po’ snob.

“Genna’, ma io ti vedo diverso…”

“E perché, prima mi vedevi uguale agli altri?”

“No, ma… Quando hai cominciato a fumare? Non mi ricordo che…”

“E infatti prima non fumavo. Ho cominciato dopo. Finché ero vivo, non mi piaceva. Ma da qua le cose sono un po’ differenti. Che vuoi capire, tu…”

Peppino lo osservava, e più lo osservava, più si convinceva che doveva credergli.

“Genna’, ma quindi a finale avevo ragione io. Tu sei veramente Superman.”

Gennaro sorrise.

“Certo che sono Superman. Però sono Superman napoletano.”

“E ci sarai sempre per me? Mi aiuterai?”

“Praticamente sono qua per questo. Ogni volta che hai bisogno di me, se non tengo troppo che fare, tipo sventare una rapina a Forcella, o impedire uno scippo alla Pignasecca, o sconfiggere Lex Luthor il genio del male a Materdei, io ti verrò a trovare per vedere come stai.”

Peppino sorrise. E pensare che proprio quella mattina, nella III A della Scuola Elementare Adelaide Ristori, in mezzo ai suoi compagni di classe che lo prendevano in giro, si era sentito solo. Sua madre, inavvicinabile, restava sempre stesa a letto, nella stanza buia dove cercava di sfuggire al mal di testa. Suo padre era in continuazione al lavoro, dove ultimamente gli orari sembravano allungarsi e dilatarsi sempre di più, senza nessuna regola precisa. E lui si era sentito abbandonato. Che stupido era stato, non ci poteva pensare! Come faceva a sapere che quella stessa notte avrebbe capito di essere il bambino più fortunato del mondo, l’unico ad avere sempre Superman a disposizione!

Vabbe’, quasi sempre. Se non c’erano rapine a Forcella o alla Pignasecca.

“Come faccio a chiamarti?” chiese Peppino.

“Col mio nome. Superman, o Gennaro de Cicco, va bene lo stesso.”

“E mo’ che facciamo?”

“E che vuoi fare? Non facciamo niente. S’è fatto tardi, perciò ci corichiamo. Tu dormi tranquillo, che ci sono qua io che veglio su di te. È la mia missione.”

Peppino si sfilò gli occhiali e li appoggiò di nuovo sul comodino. Si tirò la coperta sotto il mento.

“Buonanotte.”

“Buonanotte.”

Nel silenzio, Peppino sentiva il peso di Superman sul materasso vicino ai suoi piedi. Se li allungava, poteva toccare l’esterno delle sue gambe, il suo corpo fatto di quel materiale misterioso che resisteva a tutto, e lo avrebbe salvato da qualsiasi cosa. Chissà se gli avrebbe insegnato a passare attraverso i muri, o a sentire il respiro delle formiche, o lo avrebbe aiutato con i compiti, o gli avrebbe rivelato il significato di tutte le cose che non capiva. Era buio, ma non aveva paura.

Sapeva che Gennaro poteva vedere comunque con la sua vista speciale.

Si sentì protetto, forse per la prima volta nella sua vita. Si voltò su un fianco e riprese a dormire.

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martedì, 23 ottobre 2007

STORIA DELLA BRUTTEZZA di Umberto Eco

Dopo il successo della Storia della bellezza (oltre 500.000 copie in 27 edizioni nel mondo), Umberto Eco riflette su un tema ben più rimosso e trascurato dalla nostra cultura: quello della bruttezza.

Vi dico la verità. Io questo libro non l’ho ancora esaminato, ma mi ha colpito questa considerazione: le varie manifestazioni del brutto attraverso i secoli sono più ricche e imprevedibili di quanto comunemente si pensi.

Il concetto di ricchezza del brutto mi pare una sorta di ossimoro.

Il brutto attrae. Diciamo la verità. Affascina. Un po’ come il male.

Dicono che questo libro conduca a un “itinerario sorprendente tra incubi, terrori e amori di quasi tremila anni, dove gli atti di ripulsa vanno di pari passo con toccanti moti di compassione, e al rifiuto della deformità si accompagnano estasi decadenti per le più seducenti violazioni di ogni canone classico”.

E poi che: “tra demoni, folli, orribili nemici e presenze perturbanti, tra abissi rivoltanti e difformità che sfiorano il sublime, freaks e morti viventi, si scopre una vena iconografica vastissima e spesso insospettata. Così che, incontrando via via su queste pagine brutto di natura, brutto spirituale, asimmetria, disarmonia, sfiguramento, in un succedersi di meschino, debole, vile, banale, casuale, arbitrario, rozzo, ripugnante, goffo, orrendo, insulso, nauseante, criminoso, spettrale, stregonesco, satanico, repellente, schifoso, sgradevole, grottesco, abominevole, odioso, indecente, immondo, sporco, osceno, spaventoso, abbietto, mostruoso, orripilante, laido, terribile, terrificante, tremendo, rivoltante, ripulsivo, disgustoso, nauseabondo, fetido, ignobile, sgraziato, spiacevole e indecente, il primo editore straniero che ha visto quest’opera ha esclamato: “Come è bella la bruttezza!”

Sopra sono riportati solo alcuni degli aggettivi con cui si parla e si rappresenta la bruttezza. Di ognuno di questi, il libro ci fornisce, con humour e profondità, più di un esempio – letterario e artistico.

“In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze è così possibile ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente è accaduto col brutto. Il più delle volte si è definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi mai dedicate trattazioni distese, bensì accenni parentetici e marginali.”

Umberto Eco

Nato ad Alessandria nel 1932, Umberto Eco è Presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici presso l’Università di Bologna. Tra le sue opere di saggistica si ricordano: Opera aperta (1962), La struttura assente (1968), Trattato di semiotica generale (1975), Lector in fabula (1979), Semiotica e filosofia del linguaggio (1984), I limiti dell’interpretazione (1990), La ricerca della lingua perfetta (1993), Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994), Kant e l’ornitorinco (1997), Sulla letteratura (2002), Dire quasi la stessa cosa (2003). Nel 1980 ha esordito nella narrativa con Il nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito nel 1988 da Il pendolo di Foucault, nel 1994 da L’isola del giorno prima, nel 2000 da Baudolino e nel 2004 da La misteriosa fiamma della regina Loana. Nel 2004 ha curato Storia della bellezza.

Storia della bruttezza (a cura di Umberto Eco)

Bompiani, 2007, pagg. 456, euro 35

Vi propongo, di seguito, un particolare articolo di Sergio Sozi scritto sulla base di una videointervista che Eco ha rilasciato a Gianni Riotta (direttore del TG1) qualche giorno fa.

E poi vi pongo un po’ di domande.

Come è stato rappresentato il brutto nella storia dell’arte? Con quali testi? Con che immagini? Con quali differenze nei secoli?

Se non sapete rispondere leggete il libro (anzi, leggiamo il libro).

Questa domanda è più facile: Il brutto di ieri equivale al brutto di oggi?

È corretto (o può aver senso) dire che il brutto di oggi è più brutto del brutto di ieri?

Massimo Maugeri

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Il politeismo della bellezza. Umberto Eco esce dieci minuti dalla tana

di Sergio Sozi

Umberto Eco, il giorno 12 ottobre dell’Anno Domini 2007, ha concesso un’intervista a Gianni Riotta di TV7 (Rai Uno, verso mezzanotte: l’ora delle streghe e dei… guru intellettuali). Il fatto fa notizia, conoscendo la riservatezza del geniale poligrafo alessandrino, dunque abbiamo trascritto per Letteratitudine qualche passo del colloquio, premettendo che la sua Storia della bruttezza esce ora in ventisette edizioni in tutto il mondo e quindi Riotta ne ha evidentemente approfittato – gatto col topo – per intrappolare il semiologo alla Fiera del Libro (Buchmesse) di Francoforte, dove lo studioso ha appena presentato al pubblico la sua nuova opera. Evidentemente il direttore della popolare trasmissione aveva attratto l’illustre ex Novissimo col formaggio di un dialogo stimolante. Ma ora, scherzi bonari a parte, veniamo all’incontro.

La polemica sui ”bamboccioni” del Ministro Padoa Schioppa apre il colloquio, ed Eco qui precisa che, sebbene molti giovani italiani siano effettivamente tali, ciò non è vero per tutti, dunque la definizione non è generalizzabile. Poi si passa ai problemi della ricerca umanistica, dove, precisa Eco ”Anche con pochi soldi si riesce a andare avanti”. Il problema dunque resta anche per Eco la sottofinanziata ricerca scientifica. Di seguito si affronta il libro: ”Una fenomenologia del brutto è estremamente più ricca e varia di una fenomenologia del bello.” Dal bello-brutto, si passa alla classica analogia bello-bene e brutto-male, un concetto risalente ai Greci, nonostante la bruttezza estetica di un buono come Socrate. Con il Romanticismo comunque, precisa Eco, si arriva a proporre il brutto-buono (Hugo) e viceversa il cattivo-bello. Oggi, infine, ”Ci troviamo di fronte ad un politeismo della bellezza: non c’è una bellezza unica e lo stesso avviene per la bruttezza. In questo politeismo, abbiamo delle bellezze che divengono bruttezze e delle bruttezze che diventano bellezze.” Esempi di belli attuali: Marilyn Manson e George Clooney ”Opposti ma entrambi validi per certi gruppi umani.”

E tocca alla televisione; Riotta, alludendo alla quotidiana attenzione televisiva per i drammi della violenza (Garlasco, Cogne, ma anche gli ammazzamenti terroristici e a sfondo politico), chiede ad Eco: ”Perché abbiamo bisogno oggi di questa riproduzione quotidiana in tv del brutto, di questa notte dei morti viventi televisiva?”. Qui la risposta dello scrittore è interessante, seppur discutibile: ”Non bisogna mai pensare che noi siamo peggiori dei nostri padri: i nostri padri erano sempre peggiori di noi: tu comincia a pensare ai Romani che andavano a vedere i cristiani divorati dai leoni, o alle code che nei secoli passati si facevano per poter andare a assistere alle impiccagioni o alle decapitazioni. Le tricoteuse in Francia, durante la Rivoluzione, facevano lì la maglia tutto il giorno, durante le esecuzioni. Quindi, per la folla bruta, per la gente di basso livello intellettuale, c’è sempre stato il bisogno di dare sangue e crudeltà. La televisione dà questo stesso materiale alla gente di basso livello intellettuale, solo che fa finta di darlo a quella di alto livello intellettuale.”

A questo punto Riotta obietta che, però, lui ha ”L’impressione che anche gli intellettuali siano attratti dalla cronaca nera”. La risposta di Eco è la seguente: ”Chiunque ogni tanto prova il piacere d’incanaglirsi; in più c’è una differenza tra il trash sanguinolento e la cronaca nera, cioè: vedere una testa che esplode e il sangue che sprizza, questo fa parte dello stesso gusto degli Antichi Romani che andavano a vedere i leoni e i cristiani; la cronaca nera… be’ lì interviene anche il gusto del poliziesco, dell’enigma: chiedersi ma il ragazzo è davvero colpevole o no?… e questo è anche un gusto intellettuale, c’è poco da fare. I maggiori consumatori di romanzi polizieschi sono gli intellettuali, solo che non lo dicono.”

Dunque, si chiede Riotta: tale diffusa bruttura televisiva genererà in noi un’educazione maggiormente democratica o una semplice assuefazione ai servizi che ci mostrano le immagini di stragi e orrori vari?

”Oggi siamo obbligati a vedere l’orrore là dove c’è nel mondo. Io non so”, tituba Eco, ”capiremo solo tra un secolo quale dei due elementi pesi di più, se la possibilità di rappresentare l’orrore ci ha resi più sensibili o più insensibili; e può anche darsi che la risposta sia che per certe persone sia stata un elemento di sensibilizzazione e quindi di risveglio morale, per altre invece sia stato un elemento narcotico. Forse la verità sta proprio in mezzo.”

Riotta, poi, passa alla Letteratura, citando la tremenda Giornata di uno scrutatore di Italo Calvino, narrazione-testimonianza ambientata negli orrori del Cottolengo di Torino. Con una citazione da quel romanzo, infatti, Eco conclude la sua ultima opera storico-antologica. E dice: ”Questa pagina è pervasa da una immensa pietà. L’ho voluta come pagina finale proprio perché, dopo una lunga rassegna del brutto attraverso i secoli che può provocare anche qualche compiacimento nel lettore, questo richiamo alla pietà, al rispetto dell’orribile, quando l’orribile è sofferenza e condanna, mi è parso un modo molto giusto per concludere il libro.” Poi si va a finire.

Be’, secondo me l’intervista forse avrebbe potuto dare frutti migliori, ma Riotta, avendo inserito l’intervento di Eco nell’ambito di un successivo dibattito sul nuovo Partito Democratico, ha comunque cercato di conciliare le esigenze dell’attualità politico-sociologica – concernenti le tematiche di TV7 – con quelle inerenti lo specifico ruolo dell’illustre invitato. Certo, potremmo magari chiedere a Gianni Riotta di dedicare un giorno una puntata intera ad Umberto Eco, il cui pensiero complesso variegato e affascinante ha faticato in questa occasione ad emergere dal ruolo di opinionista – vestito che gli sta stretto, direi.

Tuttavia, grazie ad entrambi i colloquianti, di stimoli da dibattere penso che qui ne siano emersi molti. Per esempio la crudeltà nostra che è inferiore a quella dei nostri antenati Romani; la sovraesposizione al macabro televisivo giornaliero, che potrebbe anche migliorare la nostra moralità; il trash che è diverso dalla cronaca nera attuale; l’attrazione-repulsione per la morte che diviene per gli intellettuali un gioco giallistico; i plurisecolari canoni estetici oggi andati a briglie sciolte. Sarà proprio così?

Inoltre personalmente aggiungerei questa domanda collaterale: ma la nuova Letteratura italiana proprio non può fare a meno, oggi, di seguire, imitare, agganciare troppo strettamente il nostro reale incanaglimento collettivo? Romanzi come Il nome della rosa ci mostrano le infinite possibilità per la (buona) Letteratura di affrontare temi e interrogativi sempre attuali, pur senza parlare di angosce metropolitane, psicofarmaci, pistolettate, borghesia decaduta e stragi politiche. Cose, queste, che alla lunga annoiano, visto che stanno su tutti i giornali e su tutti gli schermi – oltretutto vestite di una onnicomprensiva trascuratezza linguistica grigia, lugubre e ammorbante.

Sergio Sozi

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AGGIORNAMENTO del 5 dicembre 2007 

Ieri, 4 dicembre 2007, il mondo della cultura lubianese era in fermento – ma in verita’ la cosa nei nostri ambienti si risapeva da una decina di giorni – per via del conferimento ad Umberto Eco della Laurea Honoris Causa in Lettere presso l’ateneo della capitale slovena.
Va detto che qui Eco fa molta eco soprattutto da quando il principale quotidiano ”Delo” (circa 60-70.000 copie in media: gli sloveni sono in tutto due milioni di cristiani, quasi tutti Cattolici), da quando quel giornale, dicevo, allego’ in omaggio la traduzione del ”Nome della rosa” (accadde qualche anno fa).
Dunque, ieri, alle ore diciotto, mi sono recato nella capiente sala conferenze ”Linhartova dvorana”, sita nel grandissimo complesso ad usum incontri culturali, conferenze, fiere dell’editoria e fiere varie (una specie di Lingotto torinese) che si chiama ”Cankariev dom” (”La casa di Cankar”, Ivan Cankar e’ uno dei maggiori narratori sloveni a cavallo fra Ottocento e Novecento). Avevo il biglietto per via di un mio caro amico e connazionale che insegna italiano all’Universita’ di Lubiana.
Trovo almeno 6-700 persone nell’anfiteatro della sala (una sorta di teatro, con tanto di sipario, galleria, platea e boccascena), il solito assedio di fotoreporter e telecamere; dunque mi sorbisco l’intera ”conferenza” dell’Eco (corroborata da immagini in diapositiva) in inglese. Solo in inglese! Domande alla fine della ”conferenza”: in inglese. Spiegazione delle virgolette: Eco, furbacchione, ha detto in inglese quel che tutti sappiamo come introduzione della sua ultima ”Storia della bruttezza”, niente piu’: citazioni di poeti, scrittori e pittori con Italo Calvino a concludere. La mattina stessa aveva ricevuto l’onorificenza e la sera ”allentava” ’sta boiata agli sloveni come se fossero cretini (mio suocero filologo classico, che c’era, ha detto, giustamente, che era una boiata).
Insomma, finisce la cosa (circa un’ora comprese le cinque sei domande del pubblico, in gran parte studenti, accademici e uomini di cultura interessati alla Letteratura italiana) ed io vado da Eco, il quale stava firmando su di un tavolinetto le copie ai ragazzotti. Gli dico, in italiano ovviamente: ”Mi scusi professore, io non ho libri da autografare, ma vorrei un giorno, magari, parlare con lei a proposito del ”romanzo”, per conto del blog Letteratitudine.”
Lui risponde: ”E cos’e?”’
”Un blog di letteratura molto visitato. Io sono un critico.”
”Ah… potrei lasciarLe questo indirizzo. Ha della carta?” E mi scrive sul depliant che io, tremebondo, gli porgo, un indirizzo di posta elettronica.
”Arrivederci e grazie.”
Ecco tutto.
Una fregatura. Per dirla alla GREGORIana maniera.
Avrei almeno immaginato qualcosa di piu’ che una serata pubblicitaria per i suoi libri Bompiani. Non c’e’ piu’ dignita’, ragazzi. Onesta’ e’ parola gia’ eliminata persino dal vocabolario dei grandi come lui. Uno che fa eco. Ma ricordiamoci uno dei miti di eco: quello della donna troppo ciarliera che Giunone condanna a parlare solo con la voce degli altri.
Anzi: se ne ricordi lui.
Sozi

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Umberto Eco a Lubiana in occasione della laurea honoris causa

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