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venerdì, 18 gennaio 2008

LA STRADA di Cormac McCarthy

Chi non conosce Cormac McCarthy ?

Credo che la maggior parte dei frequentatori di Letteratitudine ne abbiano quantomeno sentito parlare.

Cormac McCarthy è uno scrittore americano nato nel Rhode Island nel 1933. È cresciuto in Tennessee, dove ha frequentato l’Università, abbandonandola per ben due volte. Entrato nel ‘53 nell’Air Force, vi è rimasto per quattro anni. Attualmente vive a El Paso, in Texas, lontano dal clamore. McCarthy non concede interviste e non frequenta gli ambienti letterari e salottieri: un uomo che non ha bisogno di amicizie mondane per essere scrittore. Tra le sue opere, tutte di grande sapienza artistica e letteraria, è giusto ricordare almeno, Il guardiano del frutteto, Il buio fuori, Meridiano di sangue, Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Città della pianura.

Cavalli selvaggi, ha conquistato il National Book Award.

Il suo più recente romanzo, La strada, narra la storia di un uomo e un bambino che viaggiano attraverso le rovine di un mondo distrutto in direzione dell’oceano, in cerca di tepore e qualche barlume di vita. Trascinano con sé sulla strada tutto ciò che in questa nuova “vita” ha ancora valore (e senso): un carrello del supermercato con quel po’ di cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia ghiacciata e una pistola con cui difendersi dalle bande di predoni che battono le strade decisi a sopravvivere a ogni costo. E poi il bene più prezioso: se stessi e il loro reciproco amore.

Ce ne parla in maniera più approfondita Enrico Gregori.

Aggiungo solo una breve considerazione: al di là del disastro (la Terra quasi interamente distrutta, la popolazione decimata) credo che il cuore del libro stia proprio nel rapporto padre-figlio, in quell’amore che diventa il bene più prezioso.

Da qui sorgono un paio di domande.

- Com’è lo stato del rapporto genitori/figli al giorno d’oggi ?

- Per noi, che viviamo vite sempre di corsa, che inseguiamo obiettivi futili e sfuggenti, scontrarsi con una catastrofe immane (intesa anche in senso metaforico) diventa necessariamente l’unico modo per capire che, forse, è proprio quello – l’amore genitori/figli – il bene più prezioso ?

Vi invito a discutere sulla base delle suddette domande e a dire la vostra su questo libro (potete leggerne un brano cliccando qui).

A voi.

(Massimo Maugeri)

__________________________________

__________________________________

La strada (Einaudi, 2007, pagg. 220, euro 16,80, traduzione di Martina Testa)

di Enrico Gregori

È possibile scrivere un libro senza nomi e senza luoghi?

Se l’autore è Cormac McCarthy e se il libro è “La strada” la risposta è sì.

L’uomo, il bambino, e una devastazione apocalitica che si snoda tra chilometri di difficile sopravvivenza.

L’autore sostiene, più o meno, “ero con il mio ultimo figlio, mano nella mano, a guardare un panorama. Il libro è nato così”.

Si capisce allora, che in quel deserto sconquassato a cercar rimasugli di cibo e di stracci, “La strada” è un romanzo d’amore, quello più incrollabile, quello verso i figli.

Sembra di intuire, in sostanza, che secondo Cormac, pur nella totale distruzione, persino a due passi dalla morte, l’amore per i figli è ciò che sempre sopravvive e che dà la forza di proseguire in quel viaggio verso il nulla.

Un libro, credo, poco incline ai compromessi: o lo si ama o lo si odia.

L’azione di (per esempio) “Non è un paese per vecchi”, qui lascia il campo a una dinamica intima e psicologica.

Cormac McCarthy non è autore che vuole penetrare nei lettori, ma offrire ai lettori la possibilità di entrare nel suo mondo.

E per farlo bisogna essere attrezzati. Mai come stavolta Cormac Mc Carthy è “prendere o lasciare”. Paradossalmente l’azione “travolgente” è nella sua lentezza, a volte esasperante. In quel senso di angoscia che prende alla gola e che non lascia scampo.

Non c’è una boccata d’aria, non c’è riparo. I sentimenti scarnificati come l’ambiente circostante. E pure di una potenza enorme. “Moriremo papà?” “No, noi non moriremo, perché noi portiamo il fuoco”.

Un capolavoro, secondo me. Tra cent’anni lo inserirò nel nuovo post sui due libri da salvare. Rivediamoci tutti qui nel 2107.

Enrico Gregori

http://enricogregori.splinder.com


Scritto venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:08 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

249 commenti a “LA STRADA di Cormac McCarthy”

Dunque, il dibattito va su un doppio binario.
1. Il libro di McCarthy
2. Il tema “amore genitori/figli”

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:10 da Massimo Maugeri


Nomino d’ufficio co-conduttore del post Enrico Gregori.
Se avete domande da porre sul libro vi invito a rivolgervi a lui.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:11 da Massimo Maugeri


Riscrivo qui le domande del “dibattito generale”:
- Com’è lo stato del rapporto genitori/figli al giorno d’oggi ?

- Per noi, che viviamo vite sempre di corsa, che inseguiamo obiettivi futili e sfuggenti, scontrarsi con una catastrofe immane (intesa anche in senso metaforico) diventa necessariamente l’unico modo per capire che, forse, è proprio quello – l’amore genitori/figli – il bene più prezioso ?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:12 da Massimo Maugeri


Aspetto i vostri contributi
:)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:12 da Massimo Maugeri


Massimo che incauto:) potresti avertene a pentire.
Non ho letto questo libro e perciò non interverrò, almeno sul libro in questione. Aspetto a bordo campo se il dibattito esce dall’alveo libresco e se va in una direzione per cui un intervento “psicologese” abbia senso.
Oppure se, considerando la conduzione devo chiamà i carramba.
:)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 16:23 da zauberei


Ho appena comprato “La strada”, ma inizierò a leggerlo lunedì durante i miei viaggi in autobus. In compenso ho appena finito di leggere – grazie a Gregori- “Non è un paese per vecchi”. Mi ha sorpreso. Bello, ma da quello che riferiscono in molti “La strada” è strepitoso.
Vi dirò tra qualche giorno.
Intanto, sul tema dell’amore tra genitori e figli….ho una visione che non può non essere influenzata dal mio personale rapporto con i miei genitori. Sono cresciuta felice, come fossi rimasta nel liquido amniotico, in un amore che mi ha riempito e riscaldato la vita e che ancora continua a farlo. Anche a distanza di settecento chilometri. I miei genitori sono sempre stati presenze silenziose nel cammino della mia vita. Di quelle che ti stanno accanto senza fartelo sapere, ma sai che sono lì, altro che se ci stanno, pronti ad acchiapparti se cadi e prima ancora che tu chieda aiuto.
La dedica che ho fatto nel mio libro (scusate se mi cito) è proprio a loro “che mi hanno insegnato ad amare la vita”. E per fortuna non ho bisogno di catastrofi per capirlo.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:00 da Silvia Leonardi


Premetto che non mi ritengo in grado di condurre alcunchè che non sia la mia automobile. Comunque se Maugeri chiama, Gregori risponde.
Del libro ho già detto e, casomai, potrei integrare strada facendo.
Sul rapporto tra padre e figli qualcosa so, e ne sa anche Cormac.
Ne “La strada”, in tutta la tragica sequenza di avvenimenti, l’uomo ha sempre e comunque il “dovere”, o meglio, l’improbabile compito di tranquillizzare il bambino che comunque andrà tutto bene, che loro ce la faranno.
E’, storicamente, il compito dei papà, giusto o sbagliato che sia.
Il dovere del papà, sebbene travolto dal dolore, è quello di chiudersi a piangere nel cesso. Non per timore di mostrarsi debole, ma per non infondere incertezze nei figli per i quali, se crolla papà, allora è proprio vero che il mondo è malvagio e senza speranze.
Per cui, fuori dalla porta del cesso, “papà che hai?”
“nulla figlio mio, rutto e singhiozzo contemporaneamente perché ho mangiato troppe salsicce”.
E, per il figlio, la vita torna a sorridere. Mentre papà vomita lacrime nel lavandino.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:24 da Enrico Gregori


@Bravo Gregori. Questo impasto di durezza e malinconia nella tua recensione commuove.
Bello anche questo apostrofare il rapporto padre- figlio come appiglio di salvezza, o pietoso sforzo di resistenza.
Non so più rispondere alle domande di Massimo da figlia. Ormai so rispondere solo da madre. E da madre concordo con Gregori. Il compito del genitore è – da sempre – sorridere a dispetto del mondo che ti crolla addosso.Asciugare furtivamente lacrime. Fingere allegrie improbabili.
Il figlio torna a sorridere.
E noi a rinfrancarci del suo sorriso.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:37 da Simona


Io ‘la strada l’ho letto’. E’ l’unico libro di McCarthy che conosco. Ed è stata una folgorazione. Una lettura totalmente coinvolgente, appassionante, commovente, sorprendente. Per una volta sono d’accordo con Enrico. é un capolavoro destinato ai libri da salvare del secolo duemila.
Premetto che amo il genere “dopo la catastrofe” e ci sono diversi romanzi che mi sono piaciuti nel filone (mi vengono in mente tra le letture più recenti Philip K. Dick ‘Cronache del Dopobomba’, poi Octavia Butler ‘La parabola del Seminatore’ e soprattuto lo stranissimo, quasi incomprensibile ma memorabilissimo ‘Dahlgren’ di Samuel R. Delany, scritto sorprendentemente nel 1967 o giù di lì e visionariamente preveggente), ma nessuno quanto questo.
Il tono secco, senza inutili fronzoli (e senza nomi dei personaggi, nè dei luoghi, come sottolinea Gregori), della narrazione è sicuramente in linea con una ambientazione ridotta all’essenza: terra, mare, cielo, rovine sparse, strade, est, nord, sud. Il tutto circondato da montagne a volte coperte di neve, deserti, resti carbonizzati di foreste e di agglomerati urbani. Tutto è essenza: un padre , un figlio, e i personaggi di contorno: i buoni, i cattivi, le vittime, i carnefici. Un’umanità ridotta all’osso in un universo che si è ridotto a ciò che resta del mondo. Ma in questa essenzialità c’è tutta l’intensità che si chiede ad un romanzo.
Io ho un figlio di 7 anni ed è stato di una facilità naturale immedesimarmi totalmente nella figura del padre, nei suoi sentimenti di amore assoluto, di bisogno di proteggere un bambino, un figlio. In esso c’è lo scopo della tua vita. L’unico che conti realmente alla fine. E mi sono commosso: alle ultime pagine avevo realmente il groppo alla gola.
Mi chiedo se sarebbe lo stesso leggerlo prima della mia paternità. Io personalmente credo di no. La vita assume una diversa angolazione con dei figli e la si guarda diversamente, e così la lettura. Mi piacerebbe conoscere anche il vostro parere.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:45 da Carlo S.


qualcuno avverta zauberei che in questo post si fanno discorsi seri. non vorrei che entrasse all’improvviso e le venisse un attacco di agorafobia

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:50 da Enrico Gregori


E’ saltato uno “stato” alle ultime righe: leggasi “Mi chiedo se sarebbe STATO lo stesso…ecc.. Venia.
Carlo Veneranda (da venerare ?)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:51 da Carlo S.


Io invece non posso parlare da genitore, ma da figlia che ha capito solo da adulta quei sorrisi con un dolore dietro, dentro. Sono stati la mia forza.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 17:53 da Silvia Leonardi


Caro Massimo, ti avevo promesso un mio componimento scherzoso invece l’ispirazione è stata diversa, di getto. Forse qualche frase verrà modificata dopo la decantazione.Comunque accetta il mio pensiero, come ringraziamento per avermi ospitato sul tuo strepitoso blog, sul quale ho conosciuto tanti amici simpatici e bravi come il nostro Enrico, che ogni giorno è un caleidoscopio di sorprese. Sui figli riscriverò in seguito. A te dedico con amicale affetto ed ammirata stima.

LE IRE DI POSEIDONE ( A Massimo Maugeri)
Dopo aver schivato le ire
dell’arcigno Poseidone
e i vortici infidi
delle ondo sonore;
un giorno approderai
con felice attracco,
nella Trinacria solare
odorosa di zagare.
***
Non più titubante,
con esaltanti scommesse
e fermi sguardi
su azzurri orizzonti;
tornerai a visitare
la materna terra,
pietrosa e ferace,
che ti vide fanciullo.
Siena, venerdì 18 gennaio 2008
M.Teresa

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 18:36 da M. Teresa Santalucia Scibona


@ maria teresa:
mi ero raccomandato! l’acido lisergico va per bocca, non per endovena. lo vedi che succede?
:-)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 18:40 da Enrico Gregori


Bel componimento, Maria Teresa, ma sembra parli piu’ di Ulisse che del nostro Maugger, o no?
Sergio

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 19:52 da Sergio Sozi


Carlo, hai detto tutto. Se nonostante questo riuscissi a partorire delle sfumature le presentero’ in questa nostra strana ma affettuosa agora’. Sperando di non essere l’unico infante-papa’ rimasto sulla faccia della Terra.
Una cosa la aggiungo comunque gia’ adesso:
un grande piacere per tutti sarebbe se ogni padre o madre riuscisse a riversare anche sugli altri ”adulti” la stessa tenerezza e lo stesso affetto che da’ ai propri figli. Un’Italia di fratelli ne nascerebbe. Un’Italia migliore.
Sergio

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:00 da Sergio Sozi


Ho letto gli altri di questo autore che mi ha sempre ffascinata, devo ancora leggere questo, ma lo farò. Giulia

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:03 da giulia


(Indovinate a Chi mi sono ispirato? Vi do’ qualche indizio: morto giovane nel 1849, in difesa della Repubblica Romana, poeta vero…)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:04 da Sergio Sozi


@ Enrico
come Giulia, mi manca La strada, ma domani rimedio e poi posto.
:-)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:08 da miriam ravasio


@ sergio:
mameli?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:12 da Enrico Gregori


Bravino e lapidario, er Greg ”recensor”. Se si togliesse gli occhiali da becchino sarebbe pure somigliante ad un critico serio… eh, eh, eh… Che, hai paura si veda che hai gli occhi di tre colori diversi, Cerbero nostro?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:13 da Sergio Sozi


Certo, il buon ”vecchio” Mameli! Genovese e manco ventunenne quando si fece spappolare una gamba a Roma. Crepo’ per l’infezione susseguentesi. Un Grande vero e proprio.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:15 da Sergio Sozi


(Chiedo venia e torno in riga sugli argomenti del ”post”)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:18 da Sergio Sozi


Aumentano i libri che voglio leggere e anche questo mi attrae molto. E’ molto maschile questa percezione della genitorialità, e maschilissima la domanda di Massimo – servono le catastrofi per valutare il legame con i figli? Le madri rarissimamente abbisognano di cataclismi per la ragion d’essere di un legame. Mi viene anche da pensare che salvo casi che interessino un analista professionalmente anche per un padre oggi, non serve il cataclisma per dare valore alla relazione con i figli -

Ci sarebbe anche molto da dire su quella bella cosa che dice enrico, del babbo al bagno che dice di vomitare salsicce mentre piange. La trovo una delle cose più vere sulla paternità, sulla paternità sana ecco. e mi viene da pensare, leggendo la recensione di enrico, mi viene da congetturare che questo libro non riguardi solo la paternità come protezione dall’inferno dell’insicurezza psichica, trasformazione del minaccioso in possibile, ma anche paternità come conferimento di significato all’esistente, per il figlio.
In tal caso, tutta la riflessione psicologica contemporanea sul “padre” ci farebbe la scarpetta.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:22 da zauberei


Giusto per molti casi, Zaube: il maschio ha la ‘’sindrome dell’eroe”, oggi, visto che la societa’ ha mescolato e ridistribuito a casaccio i ruoli. Pero’ per quanto mi riguarda devo dire di non abbisognare di eventi drammatici per avvalorare il rapporto di sangue, di carne, quasi di ventre materno che ho con mia figlia.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:32 da Sergio Sozi


Libro insopportabile. A un certo punto di quell’Apocalisse (scritta veramente bene, ma questo non conta, è proprio il soggetto ad essere insostenibile) c’era pure un neonato sgozzato e messo a cuocere sullo spiedo. L’amore fra il papà e il figlio è tutto quello che E’. No no no. Non me ne vogliate amici intellettuali, ma io trovo che un rapporto fra un uomo e un bambino l’abbia raccontato MOLTO meglio Hornby in About a boy. Dove almeno il cinismo si stemperava nella tenerezza. Cos’è quest’Apocalisse poi? Una metafora del pianeta alla deriva? Dell’Impero messo a ferro e fuoco? C’è qualcosa che non afferro, soprattutto nello strombazzamento del romanzo. Mi ricorda il telefilm dei Settanta “I Sopravvissuti” raccontato da una penna superba, ecco quanto. Romanzo da dimenticare come tanti altri, per quanto mi riguarda, altro che capolavoro del XXI secolo. Questo amore paterno che su tutto primeggia è poi un topos piuttosto consunto, e non vedo cosa ce ne si fa in un panorama di desolazione, cannibalismo, morte, pianeta letteralmente in cenere -c’è cenere dappertutto, in questo libro. Mi sembra il senso di colpa americano che si traduce in questo estremo cupio dissolvi senza dei e senza speranze. Insomma, cari, se Battiato cantava “a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata/ a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”, io rilancio: “A Mc Carthy, preferisco il tip-tap”

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 20:36 da Livio Romano


@ livio:
così come io, a certi interventi, prefeirei un attacco di emorroidi. ma è sacrosanto che ognuno esprima le proprie opinioni con cognizione di causa e senza timori. che il libro di McCarthy sia anche una metafora non c’è dubbio e non credo nemmeno sia l’unico romanzo in cui compaia un neonato sgozzato. preferire About a boy non solo è lecito, ma sarà anche da molti condivisibile. Quanto ai topos, molti libri si basano sui medesimi. Quello che conta è come si sviluppano. Se per te in “La strada” si sviluppa male è un’impressione che nessuno può toglierti.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 21:04 da Enrico Gregori


Caro Livio, dove vedi il cinismo in questo libro lo sai solo tu. E c’è il bisogno di spiegare il perchè dell’apocalisse? C’è perchè è funzionale al romanzo, c’è perchè è necessario ridurre all’osso, all’essenziale tutto quello che circonda i protagonisti per capire quello che è realmente importante, quello che conta nella vita: l’amore e la vita. E la vita non è solo sopravvivere. A quello e solo a quello ci pensano i cannibali. Nell’essenzialità di quell’ambientazione assumono un’importanza decisiva domande semplicissime, quali quelle che solo un bambino può fare: papà siamo noi i buoni ? Il bambino le pone quando, per non mettere in pericolo se stessi, per proteggere il figlio, il padre rinuncia ad aiutare un altro bambino, o un vecchio che certamente morirà.
E’ in questa totale semplicità, in questa evidente limpidezza in contrasto ad un universo di tenebre tutto il fascino del romanzo. Certamente non nei bimbi allo spiedo. Non ci sono metafore da interpretare. I topoi quali quello dell’amore per i figli non saranno mai abbastanza consunti se non per chi nel cinismo ci vuole sguazzare realmente. Forse una lettura del genere è insostenibile per te. Buon tip-tap.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 21:07 da Carlo S.


@ zauberei:
ovviamente il libro è anche altro. ma se l’autore medesimo ha detto di averlo concepito in un particolare momento di intimità col suo bambino è evidente che questo sia il tema dominante. peraltro, se può servire, il figlio in questione di McCarty ha circa sette anni e il babbo (McCarthy medesmo) settantatrè.
E’ anche ovvio che un rapporto intenso padre-figlio non emerge solo nel cataclisma, ci mancherebbe. Credo che l’autore abbia in un certo senso voluto esprimere che, se anche al mondo rimane solo cenere, questo amore padre-figlio sopravvive sempre a qualunque cosa.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 21:18 da Enrico Gregori


Intanto grazie per questi vostri commenti.
@ Enrico.
Sei un buon “condottiero”, ne stai già dando prova. Bravo!
Come “conducente” forse è più bravo Didò
;)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:14 da Massimo Maugeri


@ Maria Teresa
Grazie mille. Davvero. Sei bravissima e tenerissima.
:)
Hai visto che Daniela Marcheschi, nel post a lei dedicato, ti ha salutato ricordandosi perfettamente di te?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:16 da Massimo Maugeri


@ massimo:
ho notato che in tutti i suoi più recenti interventi Didò ci comunica che conduce se stesso in cantina a prendere del vino. Dato che da giorni non dà segni di vita, sarebbe il caso che qualcuno andasse a sfondare la porta. non vorrei che fosse rimasto vittima di un baccanale organizzato inieme a un paio di femmine di malaffare

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:18 da Enrico Gregori


Sul cinismo…
Intanto bisogna mettersi d’accordo su cosa si intende per cinismo.
È cinismo raccontare una storia incentrata su una situazione estrema?
Se sì, credo che molti capolavori della letteratura siano impregnati di cinismo. Si possono fare molti esempi. In questo momento mi viene in mente l’ottimo “Cecità” del Nobel Saramago.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:19 da Massimo Maugeri


Forse Didò ha problemi di connessione… quando si beve troppo è facile rimanere sconnessi
;)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:20 da Massimo Maugeri


@ massimo:
avendola letta tre volte, io ho rilevato situazioni estreme anche nella Divina Commedia. Che vogliamo fare? La buttiamo nel cesso e leggiamo Liala?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:24 da Enrico Gregori


Certo che no! Peraltro a me piacciono le storie, i contesti e persino le trame… estreme.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:38 da Massimo Maugeri


Tuttavia, come tu stesso hai sottolineato, Livio ha legittimamente espresso la sua opinione che va rispettata come quelle di tutti.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:40 da Massimo Maugeri


E’ nelle situazioni estreme che viene fuori il meglio o il peggio di un uomo.
La sua umanità o il suo cinismo. Proprio come in “cecità”, o come nella “strada”, due libri con profonde analogie (in entrambi, fra l’altro, i personaggi non hanno neanche il nome).

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 22:46 da Carlo S.


Esatto Carlo! Anche in Cecità i personaggi non hanno nome e anche lì troviamo situazioni davvero estreme. Mi ricordo benissimo quella del gruppo di ciechi “cattivi” (all’interno del grande gruppo degli “internati”) che si impossessa delle razioni alimentari costringendo le donne a sottoporsi ad abusi sessuali in cambio di cibo.
“Cecità”, a mio avviso, ha contribuito moltissimo ai fini dell’assegnazione del Nobel.

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 23:04 da Massimo Maugeri


Si, caro Massimo , ma sono cinici Saramago o McCarthy perchè raccontano situazioni estreme? O al contrario condannano apertamente il cinismo in cui cade la parte dell’umanità che in quelle situazioni non riesce a tirare fuori il meglio, forse ne è priva, e si rifugia nel proprio peggio, nella propria bestialità ?

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 23:21 da Carlo S.


@ Carlo.
La seconda che hai detto

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 23:24 da Massimo Maugeri


Ora vi lascio nelle “grinfie” di Enrico. Buona prosecuzione!
:)

Postato venerdì, 18 gennaio 2008 alle 23:26 da Massimo Maugeri


è un libro bellissimo. talmente bello che non sono sicura di saperne parlare. la dimensione emotiva prende il sopravvento in certi casi.
l’ho letto da un po’, e durante tutto il processo sono stata incerta tra divorarlo e centellinarlo perchè non finisse. è scritto da dio, ed è profondamente umano.
è veramente un libro molto maschile, e forse è per questo che mi è piaciuto tanto. non è frequente che si possa percepire con tanta forza la profondità viscerale dell’amore paterno. per le donne è normale sentire i figli e l’amore per loro come un qualcosa che nasce dalla pancia e gonfia e riempie tutto. ed è normale per le donne esprimerlo.
per gli uomini è differente. c’è un ruolo da mantenere, una sorta di distacco educativo culturalmente imposto. il padre ama, ma non partorisce, quindi ‘deve’ esserci più testa che ventre.
qui no. qui c’è la rivolta del padre che rivendica per se stesso anche il ruolo avvolgente di madre.
madre che nella fattispecie si è arresa, rinunciando a portarsi dietro il figlio per lasciare all’uomo una ragione, l’unica, per continuare. anche al di là della speranza.
c’è la forza che trae dal fuoco del bambino con la stretta di un abbraccio, c’è la disperazione che non deve avere nome(‘qual’è la cosa più coraggiosa che tu abbia fatto?’ ‘alzarmi stamattina.’), c’è l’innocenza da preservare al di là dell’evidenza(‘non tocca a te preoccuparti di tutto.’……’sì, invece. tocca a me.’ perchè il fuoco è anche preoccuparsi.)
è una storia d’amore, davvero. scarno, di poche parole, senza sdilinquimenti. ma talmente profondo da sopravvivere a qualunque rovina. e anche alla morte.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 00:13 da gea


A me, e non solo a me, sembra abbastanza evidente che il cosiddetto cinismo non sia altro che uno strumento per stigmatizzare comportamenti privi di ogni valore umano. E qui nulla ha a che vedere la religione. Il rispetto e la considerazione dell’essere umano sono un concetto trasversale. McCarthy è certamente una spina nel fianco della società statunitense perché senza mezzi termini ne evidenzia la spersonalizzazione, la prevaricazione delle “cose” rispetto agli uomini. L’America non è solo questo, ci mancherebbe. Ma sono queste le devianze che Cormac va a colpire. In quel viaggio di padre e figlio, in quell’ambiente scheletrito, le “cose” non ci sono più. Il possesso, il consumismo, il capitalismo non hanno più alcun senso perché non c’è più nulla da capitalizzare. Se non, appunto, l’amore tra padre e figlio. Tra mille pericoli, tra mille avversità, ma fino alla fine.
ps: non che la cosa abbia un’importanza fondamentale ma “La strada” ha vinto il Pulitzer 2007.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 00:15 da Enrico Gregori


Non ho letto il libro di McCarthy, pero’, da italoeurocentrico quale sono, mi sembra di trovarmi dinanzi al classico catastrofismo statunitense dei cosiddetti ”intellettuali dissidenti” d’Oltreoceano. Personaggi questi spesso portati a generare delle apocalissi per in fondo voler dire solo cose elementari, a noi italiani note da ‘’secula seculorum” e comunemente accettate ma negli USA ”rivoluzionarie”. Spero non sia anche questo un caso come gli anzidetti, sarebbe una delusione leggerlo.
Comunque il filone catastrofistico e’ molto britannico-europeo, da A.P. Shiel (”La nube purpurea”) a Orwell, Aldous Huxley, W. Golding (”Il signore delle mosche”)… con delle metafore credibili anche nel nostro Buzzati (”Il deserto dei Tartari”) e nell’ ”Isola del giorno prima” di Eco. Anche ”Robinson Crusoe”, inoltre…
Solo che effettivamente sia le proporzioni sviluppate all’eccesso dello sfacelo ambientale e sociale, insomma portate alla tragedia assoluta, sia anche l’incentrare tutta la storia sull’amore paterno mi sembrano cose diverse, nuove relativamente al contesto, gia’ sperimentato, della tragedia universale. Bisogna vedere se questi eccessi di McCarthy significheranno anche un surplus di significato alla sua storia o semplicemente ci daranno la solita aria fritta americana: voleteve bbene. Io sono diffidente verso ogni prodotto americano. Prodotto figlio di prodotti, spesso. Plastica partorita da plastica e da un ambiente d’insopportabile bruttezza complessiva, un ambiente alienato e spoetizzante, privo di radici e di Storia, confuso, precario, concorrenziale e spietato. Anche con ottime universita’, per carita’, chi lo nega. Pero’ tre universita’ felici non fanno una Nazione utile al mondo sotto il profilo filosofico-letterario. Cio’ mi attira verso McCarthy, ma prima ho da leggere degli ottimi romanzieri croati, serbi, macedoni, bosniaci, sloveni. E italiani, certo. Ma nessuno me li traduce… forse perche’ le loro Nazioni non sono forti come il Dollaro, sara mai?
Sergio

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 00:56 da Sergio Sozi


Non ho letto il libro in questione ma penso che a questo punto lo farò.

Non so molto dell’autore, quello che mi pare è che per essere un buon cinico, uno di quelli professionali, bisogna essere stati dei veri idealisti.
Quindi per me cinico è sempre e comunque bello.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 03:18 da F. M. Rigo


@ Fausta:
o, se preferisci, il cinico è un romantico deluso

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 09:51 da Enrico Gregori


Mettiamoci d’accordo su ciò che intendiamo per “cinismo” (come suggeriva Massimo, d’altronde). Quello che intendevo io era il totale distacco da ciò che è fuori dal sè, e disprezzo in tutto ciò che è altro: lo spregio per il mondo tutto e per la vita (in primis quella altrui). A volte anche per se stessi.
A me non pare tanto bello.
Si può essere ‘parzialmente’ cinici, ed esprimere distacco e disprezzo per alcuni aspetti della vita, del mondo, della società. E questa è un’arma di difesa (una corazza che protegge a volte una vulnerabile e profonda umanità), e lo si può capire e anche condividere e talvolta apprezzare.
Poi c’è anche l’umorismo cinico, beffardo, caustico, alla Gregori per intendersi, che invece apprezzo moltissimo. Anche le barzellette: quelle più ciniche sono spesso le più divertenti (e più sottili ed intelligenti). Ma non trovo appartenga in pieno alla prima categoria.
McCarthy è notoriamente un misantropo e quindi come tale anche un po’ cinico. Ma l’attaccamento a valori imprescindibili, quale l’amore e l’istinto di difesa dei propri figli esclude la sua appartenenza al cinismo vero ed assoluto (un vero cinico non fa figli), perchè nei figli c’è la proiezione nel futuro, un senso di speranza che smentisce quella cupio dissolvi cui accennava quel Lucio che forse ho un pò maltrattato tra i primi interventi (e mi scuso con lui, ma a me dell’intellettuale non lo aveva mai dato nessuno). Forse Lucio, cui il libro non è piaciuto (più che legittimo, ohibò, e chi lo nega?), si era rotto le balle prima di arrrivare alla fine (liberissimo, checchè), ma è proprio anche per quel finale di estrema speranza che non possiamo assolutamente definire cinico Cormac McCarthy.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 10:25 da Carlo S.


Enrico è severamente proibito infierire sulle fragili rim-bambine…meglio, molto meglio, inviarle un galante e virtuale fiore di campo, per esempio un celestiale “non tis cordar di me…”- Sergio, penso che in ognuno di noi ci sia un ipotetico Ulisse, desideroso di ritornare alla sua virente Itaca. Così,Massimo giovane e pimpante, con le sue speranze ancora intatte, dopo aver eluso i marosi della vita e le astute lusinghe delle sirene, vorrà tornare nella sua meravigliosa Sicilia.Là, dove una madre attenta e generosa, ha plasmato e curato con amorevole dedizione la sua tenera pianticella, che è divenuta un vero uomo,( non un qua quara qua…), quindi interiormente preparato con i suoi ineludibili valori, che la sana e tradizionale famiglia, primo ed essenziale nucleo della società, gli ha inculcato.Personalmente ritengo basilare la buona educazione dei propri figli, elemento importante quanto la cultura. Poiché un bambino ben educato, saprà sempre valutare dove termina il confine della propria libertà e dove inizia quella altrui. E’ tuttavia innegabile che l’ambiente nel quale si è cresciuti, incida al cinquanta per cento sulla buona riuscita dell’individuo. Massimo, avverti i tuoi lettori che non mi hai pagato sotto banco.. Andrò a leggere il saluto della Marcheschi che non avevo visto. Grazie.M. Teresa

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 10:32 da M. Teresa Santalucia Scibona


Nel mio piccolo, ho affrontato questo argomento scrivendo “K”.
A differenza di quanto accade intorno a noi, dove è difficile incontrare persone solari ed ottimiste, il messaggio che vorrei dare agli adulti è quello di rivedere per un attimo i loro atteggiamenti, evitando di cercare la felicità in un tipo di vita diverso da quella che stiamo vivendo. La famiglia e l’amarci per quello che siamo, è la morale del mio romanzo, nel quale ognuno di noi dovrebbe immergersi per ritrovare un pò di quella pace interiore che il mondo attuale tende a disperdere.
Perchè la famiglia è il nostro unico, vero, sicuro rifugio.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 11:22 da Susanna Sarti


@ sergio:
comprendo il senso del tuo intervento. personalmente, però, ritengo che il giudizio su un autore prescinde dal fatto se sia uno statunitense che vende milioni di copie oppure un macedone non tradotto in alcuna lingua e che di copie ne vende trentatrè.
noi leggiamo e tentiamo di farlo con il massimo dell’attenzione filtrando, inevitavitabilmente, con il nostro gusto. e allora Carlo si esalta e Lucio si rompe le balle. io, nonostante l’investitura di Massimo, non sto facendo il critico perché non ne ho la capacità. sto esprimendo le mie impressioni che valgono quanto quelle degli altri. tu sergio, te ne devo dare atto, hai gli strumenti per poter parlare di un libro in termini oggettivi e, il fatto che La Strada tu non lo abbia letto è un piccolo handicap per questo dibattito.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:00 da Enrico Gregori


@ susanna sarti:
la famiglia e l’amarci per quello che siamo è anche un po’ la morale di “Cuore” di De Amicis, se vogliamo.
Il senso de “La strada” è diverso, e non dico migliore. Lì non c’è famiglia e non c’è amore, o meglio, padre e figlio sembrano quasi due “siamesi” che separare non è possibile se non a rischio della vita di uno dei due o di entrambi. Il bambino respira solo se respira anche il padre, e il padre prende sonno solo se il figlio riesce a dormire.
Non voglio, peraltro, rivelare il finale del romanzo di McCarthy ma, a mio avviso, cinismo, desolazione, catastrofe e morte, si convogliano in un messaggio di speranza (non di Carlo Speranza, ovviamente).

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:15 da Enrico Gregori


Forse il senso del libro è proprio nel suo contrario. Nell’invito a non attendere una situazione estrema per sfoderare la potenza dei sentimenti.
Non sembra affatto l’atteggiamento di un cinico. Semmai di un sognatore che auspicherebbe di saper amare nella quotidianità. Di non doversi per forza trovare alle strette.
Sotto questo profilo l’evento catastrofico è quindi, più che altro, un espediente letterario. Terrificante e ignoto come ogni incubo. Ma imlicitamente dotato di un contenuto positivo, non ditruttivo vome potrebbe sulle prime sembrare.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:21 da Simona


Riflessioni sparse:
1)Posso fare un parallelismo con un altro cinicone che a me piace tanto?
Però sappiate che probabilmente non ci entra niente, ma io ho pensato alla “Possibilità di un’isola” di Houellebecque e alla meravigliosa ragione del suo titolo. Però se non l’avete letto, io la ragione del parallelismo non la posso spiegare, perchè è la chiave di tutto il libro, che è vero è tragico e cinico, ma ha nell’affetto nell’autenticità dell’affetto la chiave di resistenza.
2) Mi piace quanto detto da Carlo S. sul cinismo, sulla gradualità del cinismo, sui cinismi belli e i cinismi brutti. Personalmente mi fido di più di quel disincanto amaro e amareggiato che fa dire cose anche pessime, perchè quelle cattiverie coscienti sono il segno di una profonda consapevolezza etica. Per usare un linguaggio sgradevole, il cinico è qualcuno che rimane convinto che il mondo può essere in un modo, poi non lo è e, questo, viva Dio, lo scandalizza. E allora, fustiga. Indubbiamente molto più affidabile eticamente, e spesso più interessante letterariamente, della gentilezza equanime che non fa distinzione, e ti porta a cena qualsiasi stronzo.
3) Il commento di Sergio hai ragione Enrico è comprensibile, ma mi pareva la forma acculturata di mia madre, che qualsiasi cosa senta, ma qualsiasi – risponde invariabilmente “eh, ma questi qui copiano i beatles”.
Anche perchè, ma Sergio questo lo sa meglio di noi semplici lettori, in letteratura Adamo ed Eva non sono mai nati. Invece ci sono infiniti Caino e Abele. ognuno colla propria dimensione storica, il suo sentimento, il suo risentimento, la sua America, la sua Europa, le sue somiglianze le sue specificità. Ora, anche se non l’ho letto faccio anche io la mia sparata – ma possiamo stare sicuri che McCarthy abbia delle sue specificità idiosincratiche.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:49 da zauberei


“Ora, anche se non l’ho letto faccio anche io la mia sparata – ma possiamo stare sicuri che McCarthy abbia delle sue specificità idiosincratiche”, scrive zauberei.
Nemmeno sfogliando il dizionario sono riuscito a comprendere questo “definitivo” concetto. Ho invece appreso che zauberei è prima persona condizionale presente del verbo zaubare
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:56 da Enrico Gregori


@zaube
Ha ragione tua madre. Tutti copiano i beatles.
@ enrico
Zaube non so, ma la madre la inviterei senza indugio

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:56 da Carlo S.


oh me spiego meglio?
forse potevo di più semplice
hm:

“possiamo stare sicuri che Mccarthy abbia delle caratteristiche sue ma proprio proprio sue origginali sue che nun ci entrano niente coll’altri e sit cazzi dell’Europa, ognuno ci ha le cose sue.”

mejo?

dite tutti che zauberei è il condizionale di zaubare. Poi gentilmente metteve d’accordo e fatemi sapere che vor dì zaubare:)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 12:59 da zauberei


Carlo esse non lo sai, MA ANCHE TU hai copiato dai beatles:)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 13:00 da zauberei


Sì sì non c’è dubbio che sia insostenibile PER ME. Comunque non sottovaluterei la totale scarnificazione del paesaggio, dello sfondo. Nella Strada quell’elemento è MOLTO più potente dell’eventuale amore fra questo padre e questo figlio. Ho tre figlie e faccio il maestro elementare da 10 anni, so di cosa parlo. So che se si amano i bambini, si ama tutto il genere umano. NON si portano revolver con sé, e si aiutano quelli in difficoltà, anche durante l’apocalisse. E neppure sottovaluterei che questo è un prodotto americano, pompato dall’industria culturale americana, e che racchiude in sé tutta la filosofia di quell’Impero. Conosco bene anche gli USA, e ho un sacco di amici accademici laggiù. Ai quali io racconto cosa ci fa esultare in Italia, e loro INVARIABILMENTE mi rispondono: e chi è questo Carneade? Oppure ne hanno sentito parlare, ma non hanno alcuna intenzion di leggerlo… Ripeto. me sembra che quell’aria reazionaria che si respirava nei precedenti libri di Mc Carthy, qui abbia raggiunto il suo top. Esistiamo solo io e te, figlio MIO. L’Impero è andato in fumo (posso io NON pensare che gli USA sono i principali nemici degli accordi di Kyoto? Che non versano i contributi all’Onu per le agenzie di soccorso umanitario? Che portano guerra ovunque? Come può, questa, non sembrarmi una favola moderna che racconta di “Quando l’America ha finito di esportare morte e distruzione ambientale”…?), continuiamo a stare insieme, facciamo fuori tutti gli altri, cerchiamo un po’ di calore altrove, lontano, se ci riusciamo ad arrivare. Tutto questo Grande Amore Paterno… mmha. Forse può sembrare straordinario, strepitoso, ma a noi di cultura ellenico-cristiana non è che ci può far sobbalzare più di tanto, credo. Le donne lo fanno per istinto, i papà non si sa? Ma scherziamo????? Nel 2008 c’è ancora qualche padre che non sente fortissimo il bisogno di protezione??? Mmha. Fra l’altro, come notava la scrittrice ed editorialista Paola Zannoner, non è che manco sia scritto BENISSIMO. Insomma, è tutto un continuo dire “è la fine”, quando gli americani stessi ci hanno insegnato “show, don’t tell”. Corman: lo abbiamo capito che è la fine. Non c’è davvero alcun bisogno di ripeterlo…

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 13:04 da Livio Romano


@ livio:
analisi lucidissima, a mio avviso, anche se ognuno può condividere oppure no. mi chiedo, per sempio, se tu ti sia domandato se McCarthy aderisce al modello oppure, invece, lo critichi. Ciò non toglie che se il libro ti appalla il comprenderlo fino in fondo non è che cambia le cose.
@ zauberei:
mi dai il numero di cellulare di tua madre? prima o poi ci devo riuscire a parlare con uno della tua famiglia che sia intelligente
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 13:12 da Enrico Gregori


te lo do volentieri enrico, dato il carattere ameno che la contraddistingue, so che non avrei a pentirmene…

:)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 13:14 da zauberei


Sto leggendo e prendendo appunti. Un padre e un figlio, o un resto d’uomo e un suo irrinunciabile pensiero di speranza? Condivido l’entusiasmo di Enrico di Gea e posterò a lettura ultimata le mie impressioni. Per ora, con grande affetto, vi saluto
@ Sergio,
le americanate stanno sulle scatole anche a me; però, se vogliamo essere obiettivi, loro (gli USA) in questo processo di reificazione delle menti, sono avanti a noi di almeno trent’anni. Proprio per questo, è possibile, che proprio da lì, da dove certe cose hanno avuto origine, possa giungerci più di un turbamento, di una poetica raffigurazione, per non dire di una analisi più attenta. Ti sembra o no?

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 13:54 da miriam ravasio


@Zaube
Si, cinismi belli e brutti: io in realtà dicevo buoni o cattivi, ma il senso cambia poco. Era uno schematizzare all’osso (come in fondo fa McCarthy dove in una situazione estrema è semplice distinguere i buoni dai cattivi), anche se la realtà, ben più complessa, presenta mille sfumature. Anche il cinismo ha così tante varietà, che possono piacere o no.
Poi che anch’io ho copiato dai beatles ce lo sapevo già (ho detto tutti, mica escluso me).
E poi ancora, zaubare o zaubere ? (la cosa cambierebbe di molto).
@ Livio
Se si parte da diverse premesse si finisce a leggere due libri diversi anche se titolo e autore son gli stessi. Però ti chiedo: tu, da solo con tuo figlio, in un mondo senza più legge nè dio, dove se trovi qualche altro sopravvissuto è facile si tratti di bande di cannibali che mettono allo spiedo i ragazzini, hai un revover (lo trovi, ce l’avevi già, cambia poco), che fai ? Lo butti nel cesso perchè non sei un cinico e in fondo ami il genere umano ? Eccheccazzo!!

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 14:12 da Carlo S.


Probabilmente sono uno degli alberi scheletriti del paesaggio di McCarthy, ma rimango convinto la figura paterna non possa delegare all’auctoritas, a “ciò che crescere”.
Facciamo esperienza di essa ogni volta che incontriamo una persona ricca di coscienza della realtà, essendo portatrice di novità, stupore, rispetto. La funzione educatrice è una specifica “funzione di coerenza”. Dall’esperieza dell’autorità nasce quella della coerenza. La verifica di ogni ipotesi.
La realtà non può essere compresa appieno se non si sta in essa. Tommaso D’Aquino scriveva “In hoc aliquis percipit se animam habere e t vivere et esse, quod percipit se sentire et intelligere et alia huiusmodi opera vita exercere” (credo nel De Veritate). Si capisce di essere proprio perchè si agisce. Quanto più si sperimenta, tanto più ci si rende conto di cosa si è.
Tanti scelgono solo di “chiarire le idee”, ma da una posizione parallela, amicale. Troppi padri cercano di aggirare l’ostacolo del rifiuto non rendendosi conto di quanto profonda sia la buca dell’inutilità che si stanno scavando. La protezione ha una funzione meramente accessoria. Bisogna immergersi nella vita con i propri figli e dimostrare loro come non andare a fondo. Se intorno non c’è nessuno la “lezione” sarà più efficace. Comprendo umanamente la scelta dell’autore. Come si faccia, non si può imparare da nessun libro ed i risultati probabilmente non saranno completamente visibili al genitore, soprattutto se la differenza di età è quella che separa McCarthy da suo figlio.
Il fatto, infine, che il romanzo sia ambientato nel Stati Uniti, mi sembra un dettaglio. Assai più importante è che McCarthy sia estremamente critico verso quel paese.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:21 da eventounico


@ evento:
ma oggi Sozi è in ferie e ha delegato te a sparare cazzate?
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:28 da Enrico Gregori


@enrico
Ho capito che entrambi non ci reggeresti quindi cerco di alternarmi…
:-)
Confessa che hai pensato che avrei disertato

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:32 da eventounico


@ evento:
non l’ho pensato, l’ho auspicato. ma, aimè, ho smesso di credere a babbo natale quando tu non eri ancora nato

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:33 da Enrico Gregori


@Enrico
quando eri militare, dunque
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:36 da eventounico


@ evento:
esatto, infatti l’ho fatto a 8 anni nei volontari di david crockett

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:38 da Enrico Gregori


dunque più recentemente di quanto pensassi.

Dico solo una cosa seria: grazie per questa recensione. Più di una al giorno non riesco, mi dispiace.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:41 da eventounico


@ evento:
non ho capito una fava del tuo ultimo intervento

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:42 da Enrico Gregori


Ti ho ringraziato per questa recensione

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:48 da eventounico


@ evento:
scusami, ma non sono abituato ai tuoi complimenti nè al fatto che tu possa dire una cosa seria….anche se una sola al giorno
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:49 da Enrico Gregori


- evento, mi pareva di averti passato una sola bottiglia di Muller Turgau, ce n’era anche poco… ne desumo che hai bevuto dell’altro.
Io sto tuo intervento non lo capisco mica tanto ecco. Ma siccome ho un modo di ragionare che funziona per contrapposizioni, credi comunque di non essere d’accordo – che potresti spiegà meglio?
– (poi enrico farò una sparata psicologica sulla concezione di paternità – i tre criceti te ne saranno grati.)
– carlo s zauberei viene da zaubere. natuerlich.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:50 da zauberei


“ho un modo di ragionare che funziona per contrapposizioni”, scrive Zauberei.
Me n’ero accorto. Il tuo modo di ragionare è in contrapposizione a qualunque forma di pensiero assennato. Comunque, frusta i tuoi criceti e manda la sparata psicologica.
Anni fa, durante una rapina, mi hanno sparato per davvero. Riuscirò a sopportare anche la tua raffica di cazzate
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 15:53 da Enrico Gregori


Zaub ho scritto di corsa perchè sto uscendo.

Comunque i concetti chiave sarebbero: auctoritas – “ciò che fa crescere”, essere per insegnare, essere per guidare, essere padre vs essere amico, non si può insegnare ciò che non si è, l’insegnamento può beneficiare del contesto.

Sorry

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:02 da eventounico


@ evento:
era meglio se tu fossi uscito prima
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:03 da Enrico Gregori


già :-(

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:08 da eventounico


Oh yeah Grego, il cinico vero è un romantico deluso. Una prova di questo puoi essere tu. Non ho fatto con te il giochetto di descriverti.
Nella “strana coppia” dei due tu sei Walter. Lo stropicciato, lo scazzato dalla vita. Epperò sei quello che nelle cose in cui crede cede di meno. Gli smielati per me sono quelli di cui non fidarsi mai.
Nella letteratura soprattutto.
La scorza dura ce l’hanno i piagnoni, quelli che scrivono di cappelli mossi dal vento e pioppi allineati all’orizzonte. Sono loro che dovrebbero mettere paura.
Per me.
Se la poesia è metafora per antonomasia, se è eleganza e fragmenta di vita vera, be’ il cinismo la rappresenta tutta.
Però deve essere vero, profondo, te lo devi guadagnare.
Il pezzo che hai scritto sul cesso e sul vomito ne è un esempio chiaro.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:30 da F. M. Rigo


Evento mentre decidi er colore dei calzini per andare a bere la cedrata tassoni:

Hai ragione, ma penso anche alle prime cose che ha detto Enrico, sulla paternità e sulla paternità in questo libro, e pensiamo anche a questo momento della paternità – cioè quando il bimbo ha sette anni. Enrico diceva che il primo compito del padre è tranquillizzare. In questa cosa ha ragione, ma ha moltissima ragione in quel momento specifico. I babbi lettori qui mi daranno ragione quando dico che essere genitori di un lattante e di un adolescente sono cose diverse. Ora sicuramente questa cosa che dico, si allontana troppo dal libro, e quando si psicologizzano troppo le interpretazioni, e si correlano troppo al privato di un autore, io credo che si commetta sempre un torto, una lesione. E’ come se si restringesse troppo l’immaginazione di un autore, gli si toglessero sinonimi – per cui quello che dico ha forse più senso in risposta alle domande poste da MAssimo.
Ma ecco. Una cosa importante della vita mentale, è che il pensiero è organizzato dalla qualità delle emozioni. I bambini hanno questo problema di emozioni disorganizzate e il compito dell’adulto è di masticarle e restituirle loro in modo che da indicibili diventino dicibili. Differentemente dagli altri animali, quando un essere umano vede l’espressione del viso di un bambino la copia e la restituisce, e il bambino in quel modo comprende e SI comprende. Queste esperienze sono l’anteriore logico del pensiero.
La protezione genitoriale è qualcosa che permette al piccolo di strutturarsi in modo tale da poter avere delle categorie, e sopportare l’apocalisse dell’esperienza. Gli psicologi clinici sanno come sono i bambini in cui il genitore è assente e lascia il bambino davanti all’apocalisse. Mi vengono in mente degli articoli che ho letto, sul disturbo post traumatico da stress, e su cosa è successo alle coppie di genitori e figli coinvolti nell’esperienza dell’undici settembre e sopravvissuti. C’era una differenza sostanziale, tra i bambini i cui genitori non avevano sopportato l’impatto ed avevano una reazione di chok forte -cioè non riuscivano a elaborare l’accaduto e quelli che, in qualche modo erano riusciti a sostenerlo. I primi stavano sensibilmente meglio. Molti meno sintomi gravi. So che può essere sbagliato, e troppo pedissequo ecco per avere senso, ma questo racconto su La Strada, mi ha fatto pensare a quel momento, a quell’articolo, a quei genitori che non erano riusciti a organizzare un’esperienza devastante per l’affettività propria, e per quella dei propri piccoli.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:32 da zauberei


enrico, ti hanno sparato peddavvero?
:(

(mi spiace se nun so all’altezza umoristica. ma magari stavi a scherzà)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 16:38 da zauberei


uh scrivo troppo de corsa.
quelli che stavano meglio erano i figli dei genitori solidi chiaramente eh – ho invertito

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 17:02 da zauberei


@ zauberei:
io e il grande fotografo Rino Barillari avremmo avuto voglia di scherzare. purtroppo la polizia ne aveva poca, e ancor meno i banditi che uscirono dalla banca. quindi piovvero revolverate e noi ci trovammo in mezzo. per fortuna (ma tu dirai “purtroppo”) trovammo una macchina abbastanza lunga per ripararci dietro la medesima. ciò detto, chissenefrega e pensiamo a La Strada

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 17:10 da Enrico Gregori


Evviva Mc Carthy, sono più di vent’anni che Jean Baudrillard ha sancito la morte del genere sci-fi, lo preferisco quando fillosofeggia sullla seduzione, tuttavia è innegabile che “la strada” sia un romanzo di genere, il rapporto tra padre e figlio, secondo me, è solo un pretesto per proporre una storia che altrimenti non avrebbe trovato il famigerato consenso dell’establishment editoriale.
Diciamocelo, manca il coraggio per proporre storie di un universo diversamente abile, chiamiamola pure fantasia del macellaio.

donatella.f

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 18:57 da donatella.f


@ donatella:
considerazioni interessanti. avrei però da fare un’ipotesi. data la gigantesca fama che Cormac McCarty ha acquisito ormai da parecchi anni, venderebbe milioni di libri anche se trattassero dell’apparato riproduttivo dei trichechi

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 19:14 da Enrico Gregori


Grazie a Gregorius Cynicus per il post su Mc Carthy. Sottoscrivo, approvo, e godo del somigliare a qualcuno.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 19:49 da Giulio


@ tutti:
non per piageria, ma credo che i ringraziamenti vadano fatti esclusivamente a Massimo Maugeri che ha avuto l’idea di dedicare un post a questo autore. Io mi sono solo maldestramente prestato volentieri a “dirigere il traffico”. Peraltro, cinicamente, ne avrei le palle piene, per cui se Maugeri avesse la bontà di rimettersi al lavoro gliene sarei grato. Domani potrebbe essere tardi, visto che lui sarà avvilito e triste dopo che la Roma avrà seppellito il Catania sotto una valanga di gol.
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 19:59 da Enrico Gregori


quanto crudo realismo…

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:00 da Giulio


Ah, ragazzi, mi piace il tono pacato di questo blog. D’altro canto la fisiognomica non mente: Massimo mi pare dalla foto davvero un’ottima persona. In altri posti questo piccolo dibattito si sarebbe già trasformato in una rissa! Enrico e Sergio hanno ragione. Ok, ammetto che in una situazione così una bella pistola mi farebbe MOLTISSIMO comodo. Ammetto pure che l’autore voglia “denunciare” un sistema di valori. Ma, insomma, i libri, così come i film, i dischi, i quadri: per piacerti devono suonare qualche tua corda interiore, dico bene? Ecco, io questo libro l’ho letteralmente odiato, l’ho trovato una delle cose più brutte mai lette, ecco quanto. Sarà che, come scriveva Franzen, “È rarissima la buona narrativa che non sia divertente, ed è ancora più rara l’ottima narrativa che non sia molto divertente”. Sarà che avevo le palle girate in quei due giorni, sarà che Un-vecchio-e-un-bambino-si-preser-per-mano è una tiritera che A ME puzza di stantio, sarà che non vedevo l’ora di passare ai “Segreti erotici dei grandi chef” di Welsh (ah! quanta VITA, invece, in quel libro!!!). Sarà tutte queste cose insieme, e trovare spiegazioni spesso è posticcio. Se qualcuno mi chiede perché, per esempio, io trovo molto più vero Hornby (ovviamente il confronto è provocatorio, come sempre faccio, ma neanche tanto: mi piace opporre il POP a quello che si considera ALTO), ecco, ricordo una sola pagina di Un ragazzo, quella in cui lui si compra una macchina solo per far finta di “uscire dal lavoro” ed ascoltare la musica nel traffico di Londra. Indimenticabile. Ma lasciamo perdere il pop. Prendiamo un vero Capolavoro: Revolutionary Road, vi va bene a tutti? Siamo tutti d’accordo che questo libro lo sia? Bene. L’ultima pagina. Il segreto amante di sempre di April vorrebbe piangere ma pensa che sarebbe autocommiserativo e si tiene dentro il dolore. Ecco. ANCHE IL LETTORE vorrebbe piangere. Ma l’autore gli dice: piantala, non è il caso, non autocommiserarti. Potrei continuare a citar pagine per tutta la notte e tutta domenica e tutta la settimana prossima, come tutti voi. Ecco: in La strada non ho trovato niente che mi abbia colpito, una frase, un paesaggio, un personaggio, una digressione. Bo’? De gustibus…

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:12 da Livio Romano


@ livio:
dici sempre delle cose interessanti e condivisibili nella tua (per ora) coraggiosa solitudine
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:17 da Enrico Gregori


Io non sono competente in tema di Letteratura statunitense perche’ mi interesso e studio quella italiana.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:49 da Sergio Sozi


A Donatella,
che afferma ”manca il coraggio per proporre storie di un universo diversamente abile, chiamiamola pure fantasia del macellaio” io consiglio di leggere il mio Maniaco. Altro che macelleria! Supermercato di Testaccio piu’ piazza Vittorio e Ballaro’ insieme!!
(Scusatemi! Non lo faro’ piu’!)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:54 da Sergio Sozi


@ sergio:
torna dov’eri e sorveglia tua figlia. qui speriamo tutti che stia meglio
ps: c’è bisogno di essere competenti di galline per apprezzare una frittata?

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 20:56 da Enrico Gregori


Miriam,
non e’ proprio detto che la rinascita, il miglioramento di un popolo (o pseudopopolo come quello statunitense) debba per forza venire da quel popolo stesso. Magari saremo noi Italiani, o un Ceco o un Rumeno o un Senegalese, stavolta, a proporre qualcosa di buono agli USA per uscire dalla profonda (ed eterna?) crisi di ”reificazione delle menti” in cui vivono. Dopotutto gli Stati Uniti sono l’Impero Romano della modernita’, no? Magari se si rileggessero quel che i nostri progenitori scrissero….
Ciao, cara,
Sergio

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:04 da Sergio Sozi


Ma io la Letteratura nordamericana non la leggo, non me ne frega niente. La frittata nummepiace, ‘nsomma. E poi sai come sono fatto: parlo quando ho qualcosa di serio da dire, in base alle mie competenze. Di chiacchiere ce ne sono troppe gia’ senza che ci metta anche le mie.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:06 da Sergio Sozi


P.S.
Tranquilli, amici, Laura sta in convalescenza. Abbiamo calato il dosaggio del Ventolin via naso (bomboletta spray). E’ vivace e ha valori decenti di ossigeno nel sangue.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:09 da Sergio Sozi


e allora speriamo che lauretta sia così vispa e vitale da poter rifilare al babbo un paio di calci nelle palle. ci rappresenterebbe tutti
:-)

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:10 da Enrico Gregori


Egr. Livio Romano,
dopo aver letto – ed apprezzato in larga parte – uno dei Suoi ultimi commenti, desidererei un Suo parere su questo mio, se Le facesse piacere esprimerlo. Grazie.
Ho scritto:
”Non ho letto il libro di McCarthy, pero’, da italoeurocentrico quale sono, mi sembra di trovarmi dinanzi al classico catastrofismo statunitense dei cosiddetti ”intellettuali dissidenti” d’Oltreoceano. Personaggi questi spesso portati a generare delle apocalissi per in fondo voler dire solo cose elementari, a noi italiani note da ‘’secula seculorum” e comunemente accettate ma negli USA ”rivoluzionarie”. Spero non sia anche questo un caso come gli anzidetti, sarebbe una delusione leggerlo.
Comunque il filone catastrofistico e’ molto britannico-europeo, da A.P. Shiel (”La nube purpurea”) a Orwell, Aldous Huxley, W. Golding (”Il signore delle mosche”)… con delle metafore credibili anche nel nostro Buzzati (”Il deserto dei Tartari”) e nell’ ”Isola del giorno prima” di Eco. Anche ”Robinson Crusoe”, inoltre…
Solo che effettivamente sia le proporzioni sviluppate all’eccesso dello sfacelo ambientale e sociale, insomma portate alla tragedia assoluta, sia anche l’incentrare tutta la storia sull’amore paterno mi sembrano cose diverse, nuove relativamente al contesto, gia’ sperimentato, della tragedia universale. Bisogna vedere se questi eccessi di McCarthy significheranno anche un surplus di significato alla sua storia o semplicemente ci daranno la solita aria fritta americana: voleteve bbene. Io sono diffidente verso ogni prodotto americano. Prodotto figlio di prodotti, spesso. Plastica partorita da plastica e da un ambiente d’insopportabile bruttezza complessiva, un ambiente alienato e spoetizzante, privo di radici e di Storia, confuso, precario, concorrenziale e spietato. Anche con ottime universita’, per carita’, chi lo nega. Pero’ tre universita’ felici non fanno una Nazione utile al mondo sotto il profilo filosofico-letterario. Cio’ mi attira verso McCarthy, ma prima ho da leggere degli ottimi romanzieri croati, serbi, macedoni, bosniaci, sloveni. E italiani, certo. Ma nessuno me li traduce… forse perche’ le loro Nazioni non sono forti come il Dollaro, sara mai?”
Grazie e Cordiali Saluti
Sergio Sozi

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:21 da Sergio Sozi


Grego’: tu voi fa’ l’amerricano, merricano… ma sei…

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:23 da Sergio Sozi


posso dare una mia, personalissima, lettura?
a me ha colpito tantissimo il fatto che al necessario cinismo del padre, che cinismo non è, alla fine, ma solo necessità di sopravvivenza, il bambino contrapponga la pietà. la pietà innocente di chi non riesce ancora a fare calcoli, a razionalizzare. ad un certo punto l’uomo si rende conto che il figlio in condizioni differenti avrebbe già iniziato a non averlo più come unico punto di riferimento, e da quel punto in poi effettivamente qualcosa avviene. non è un distacco, è una presa di coscienza di essere una persona differente dal padre, con (anche) altre esigenze e altre priorità. e questo significa anche la necessità del distacco. l’autorizzazione al padre a lasciarsi andare. si compie il destino, il fuoco passa di mano. e il fuoco del bambino è un’aura brillante perchè non ancora contaminata. e nuova, e pronta. con il padre dentro, a vegliare.
non sono affatto sicura di non aver detto un mucchio di sciocchezze.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:38 da gea


Per poter partecipare a questo post ho letto il libro tutto di seguito. Le riflessioni che si affollano nella mente sono numerose e, se Enrico e Massimo sono d’accordo, vorrei dividerle in almeno tre parti.
Inizierò con l’affermare che il primo senso investito dalla lettura è quello dell’olfatto. Sin dalle prime righe si percepisce l’odore, la puzza dei corpi non lavati, del sudore, del sangue rappreso, dei capelli unti e sporchi; l’odore acre del fuoco e in generale della mancanza d’acqua. Penso alle nostre abluzioni, alle nostre docce, all’uso indiscriminato e sprecone dell’elemento, la cui assenza, in questa visione apocalittica si manifesta. L’inizio, un incubo da sogno cupo, ci rimanda a Lascaux all’ideogramma stilizzato di un essere, che celebra la fine del trionfo animale, dei cavalli e dei bufali, imponendo la sua presenza di Uomo nella Natura. Cormac Mc Carthy ci disegna un uomo solo, che in una grotta scura maleodorante osserva un lago nero e fetido, abitato da presenze inquietanti.
L’uomo e il figlio, “l’uno e il mondo dell’altro”; l’antico mondo e la speranza forte e tenera che tutto, forse, alla fine può avere un senso, o ancora una possibilità. L’uomo è “papà” solo per il figlio e, a lui solo a lui, non a noi lettori, disperatamente, promette un dono, una certezza che si può raggiungere solo dolorosamente, attraverso il ripercorrere la strada delle “allucinate litanie”.
Le incredibili organizzazioni del male che l’uomo si è dato nel corso dei secoli nel nome, e noi lo sappiamo, della fede e del potere. E lo scorrere delle immagini ci riporta ai roghi, vengono in mente Monte Segur, le crocifissioni, gli stermini, le torture, le morti atroci organizzate e pianificate, gli impalati della Drina, la descrizione di Ivo Andric. E’ un susseguirsi di nefandezze viste da due sensibilità, quella dell’uomo e del figlio. “Che differenza c’è fra ciò che non sarà mai e ciò che non è mai stato?” Una diversa percezione del Nulla, un vuoto che l’uomo teme e che invece il figlio dimostra di preferire al ricordo”.
In questo libro si parla di Dio e il dono promesso, che si attua solo dopo la morte, la rinuncia, dell’uomo antico, il padre, è un nuovo pensiero su dio; non una religione, ma un sentimento armonico, materno, forse una riconsiderazione spirituale della Natura.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 21:42 da miriam ravasio


Sergio, “pseudopopolo” è cosa cosa che nessun “popolo” vorrebbe sentire..

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 22:07 da eventounico


Non so agli altri lettori, quali immagini abbia evocato la figura del figlio, nella mia mente, precisa e costantemente a fuoco, ho avuto quella di David, il bambino androide di Intelligenze artificiali, di Spielberg. Il bambino non umano, per secoli seduto, nello stesso immutato incanto di stupore, davanti ad un disgregarsi di un immagine “patacca”, fittizia, che lui, con fede umana, riveste di valore e che solo, altre intelligenze artificiali sapranno in qualche modo premiare.
Il Figlio di questo romanzo, è un po’ come David, è un figlio dei tempi, concepito più dalla volontà che dalla naturalità; nel romanzo, la mamma abbandona l’impresa e lui, solo con il padre, sembra rappresentare la speranza, la ragione stessa dell’esistenza del “resto” umano, il padre, che in lui riconosce il suo ultimo atto: l’uomo è responsabile della Vita. Tutta la vita, la propria, quella del figlio, degli animali e del mondo.
La fiducia del figlio, il senso di serenità, il suo abbandonarsi al padre, regalano all’Uomo l’occasione del riscatto della specie. Così mentre immagini orrende, morti e distruzioni, si susseguono e si alternano in un continuo e senza fine succedere, è vivo fra loro, puro e cristallino, il dialogo. L’uomo rassicura il piccolo, lo protegge, ma non gli nasconde il male; e in questo gioco, che è lezione, il piccolo conquista una sua, anche se acerba, maturazione, che alla fine del viaggio si manifesta con una diversa volontà. Sarà solo allora che l’Uomo si ritrae, consapevole d’essere parte stessa, del “freddo glaucoma” di cenere e di morte che copre il pianeta e la vita tutta. Forse, un’autocritica dell’autore, uomo del “mondo morente, ” per la condivisione, o la sottovalutazione o l’indifferenza o il non mai abbastanza dissenso espresso per quel processo d’irrevocabilità, a cui, noi tutti, abbiamo condannato la terra.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 22:48 da miriam ravasio


Certo, Evento, ma il fatto che io, figlio di un popolo millenario, debba vivere oggi in una ”provincia” fatta da gente che e’ nata ieri mi sembra cosa molto piu’ insopportabile, no? Non c’e’ da stupirsi che a qualcuno questo predominio culturale dia fastidio. A me, per esempio.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 22:49 da Sergio Sozi


@Sergio
oltre che cocciuto sei proprio ARIDO! Sei privo di sentimenti, attaccati alla tua forma… e restaci.

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 22:56 da miriam ravasio


Non vedo alcun motivo per intraprendere tenzoni a distanza con Sergio. Andare con lui d’accordo è abbastanza semplice, basta adeguarsi a poche e sopportabilissime regolette.
1-tutto ciò che non piace a sozi non è cultura
2-un libro, per esser tale, non deve essere statunitense
3-preferibilmente deve essere di uno scrittore di un paese piccolissimo e di un lingua che parlano in tre
4-un popolo, per considerarsi degno di questo nome, deve essere antecedente almeno ai Sumeri
5-chi dibatte su un argomento che sozi non conosce è un coglione
6-un argomento che sozi non conosce è un argomento che non merita di essere conosciuto
7-sergio crede in dio ma nei momenti in cui dio decide di proteggere anche gli statunitensi allora vuol dire che anche dio può essere un imbecille
8-dobbiamo essere felici se in ogni post sergio ripropone almeno un paio di volte un suo intervento precedentemente ignorato, casomai ci fosse sfuggito qualche passo del suo vangelo.
9-in ogni post ci dev’essere almeno un riferimento al suo “Maniaco e altri racconti” altrimenti è impossibile far paragoni con qualsivoglia altro autore.

cazzatelle no? adeguatevi!

Postato sabato, 19 gennaio 2008 alle 23:39 da Enrico Gregori


Eccomi di nuovo qui.
-
@ Enrico
Ottimo “condottiero”. Su Roma – Catania ne discuteremo domani nella “camera accanto”
:)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:18 da Massimo Maugeri


@ Maria Teresa
Confermo i ringraziamenti e le cose che ti ho detto. E dichiaro solennemente che non tiho pagato per scrivere le cose che hai scritto.
Almeno… non ancora.
:-)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:20 da Massimo Maugeri


@ Livio Romano
Niente risse qui… solo dibattiti (anche accesi). Le risse sono inutili. E poi mi fanno venire l’orticaria. Grazie per i tuoi interventi.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:22 da Massimo Maugeri


@ Sergio
Guarda che la letteratura americana piaceva molto anche dal “nostro” Calvino (cito un autore che amiamo entrambi). Oltre che a Vittorini e Pavese.
Sono autori che hanno contribuito moltissimo a “sdoganare” la letteratura americana in Italia. Spesso hanno anche tradotto opere statunitensi in italiano (memorabile la traduzione di Pavese del Moby Dick di Melville).
Di Vittorini ti ricordo l’antologia “Americana” (1941).
E poi ci sono le ottime contaminazioni all’interno del “Partigiano Johnny” di Fenoglio.
Aggiungo che all’epoca di Calvino, Vittorini e Pavese la letteratura americana era ancora più giovane di oggi…

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:27 da Massimo Maugeri


Grazie.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:29 da Sergio Sozi


@ Miriam
Ho ben capito? Sei andata ad acquistare il libro e l’hai letto tutto d’un fiato per partecipare al post?
Ma sei… Grandiosa!
:)
Se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti…

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:30 da Massimo Maugeri


@ Sergio, Enrico e Miriam
Ormai vi conoscete bene. Beccatevi, ma poi “ricomponetevi”
:)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:31 da Massimo Maugeri


Insensibile pero’ dittelo allo specchio, Ravasio. Almeno qualcuno ti ripetera’ quello che dici.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:31 da Sergio Sozi


@ Sergio e Miriam
Fate pace, dài!
Altrimenti vi mando su un’isola deserta dove costringerò Sergio a leggere solo letteratura americana e Miriam ad ascoltare le conseguenti imprecazioni in “italo/sloveno”
;)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:34 da Massimo Maugeri


Dimenticavo di ringraziarvi tutti per gli ottimi commenti. Grazie!
-
Sergio e Miriam… mi raccomando!

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:37 da Massimo Maugeri


Massimo, grazie, il libro di Vittorini/Pavese lo studiai all’universita’. Cio’ non toglie che io la pensi ugualmente cosi’. E ne ho il diritto. Nessuno ha il diritto di insultarmi personalmente, invece, quando io non insulto nessuno. Le idee sono idee e se io non sopporto alcune cose degli americani posso dirlo liberamente – spero proprio, a meno che non stia gia’ in America, invece che in italia, con degli italiani. Questa poi e’ proprio buona: mettersi a far gli avvocati difensori delle ”povere vittime statunitensi”! Loro, vittime… ma suvvia… siamo maturi e rispettosi, per favore.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:42 da Sergio Sozi


@ gea
Altro che sciocchezze. Le tue analisi mi sembrano sempre le più lucide, nonostante le canne che ti fai ed i litri di ribolla gialla con cui carburi. Ti promuovo da musa a faro.
@ livio
finalmente delle argomentazioni che non solo trovo rispettabili , ma anche interessanti (per quel che può valere il mio parere). Unica cosa che non condivido (con te , con Sozi, con altri) è questa necessità di contrapporre.
Perchè dovrebbe essere necessario rinunciare a Beethoven per apprezzare Battiato ? Perchè rifiutare la letteratura americana in blocco per godersi appieno Pavese, Levi, Tomizza ?
Un mio insegnante di musica, Bruno Tommaso più di vent’anni fa, discutendo della modernità di Lucio Dalla ci fece notare che le innovazioni che apportava non si discostavano molto da quelle introdotte da Gesualdo da Venosa. Fu un’occasione per ascoltare la musica di Gesualdo (che non conoscevo) ed imparare ad apprezzarla. E anche a conoscere meglio Dalla. Io ascolto indifferentemente Bach, Mozart, Puccini e Led Zeppelin, Doors, Paolo Conte, Fiorella Mannoia, e molto Jazz, e trovo godimento in ogniuno di essi, senza fare distinzione tra Alto e Basso, ma solo tra ciò che mi piace e ciò che non mi piace. Poi quello che mi piace cerco di coltivarmelo. Tutto ciò che invece è frutto di preconcetti mi ispira diffidenza.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:46 da Carlo S.


@ Sergio
Ci mancherebbe. Hai tutto il diritto di esprimere il tuo dissenso nei confronti della letteratura americana. Così come, del resto, altri possono sottolineare il fatto che nella letteratura americana ci sia del buono.
-
@ Miriam
Vai a dare un bacino a Sergio e fate pace, su! :)
-
Un saluto a Carlo e a tutti voi!
Buona domenica…

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:50 da Massimo Maugeri


‘notte a tutti

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:53 da Carlo S.


Precisero’ infine quattro cose (non trenta come Enrico, ne’ solo una come Miriam) su di me, visto che forse mi conosco meglio di quanto egli ed ella conoscano me:
1) Ho i nervi saldi e ce ne vuole, prima di farmi spazientire.
2) Non pretendo di insegnare niente a nessuno ma dico la mia e a chi non va si arrangi, legga altro. Affari suoi.
3) Quando sono antipatico a qualcuno la cosa non mi fa ne’ caldo ne’ freddo, se la persona in questione non mi ha mai interessato. Sono anzi felice che una persona che gia’ maldigerivo mi riveli di non sopportarmi. Una liberazione.
4) In via generale: criticare e’ un conto, tentare di demolire moralmente e’ un altro paio di maniche. Meschino chi lo faccia. E poveretto. Chi e’ privo di argomenti ma offende e ferisce gratuitamente sta dove sta: sta dove io non vorrei mai stare.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:54 da Sergio Sozi


Scusami Massimo: stavolta io mi sarei stufato di esser preso a schiaffi. Mica sono il materasso dei nervi altrui.
Comunque la finisco qui. Con quanto appena detto e che confermo.
‘Notte.
Sergio

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 00:56 da Sergio Sozi


Un ultimo pensiero va pero’ a Carlo S., di cui ammiro l’educazione e la ponderatezza da vero uomo di cultura:
Carlo, a me non sembra di contrapporre, come notavi tu poc’anzi, quanto piuttosto di ”confrontare” degli universi culturali e storici che non posso non considerare molto differenti, nonostante l’americanizzazione imperante in Italia. E in questo confronto trovo – per quel poco che ne sappia, davvero poco lo ammetto – trovo, dicevo, gia’ visto e letto quanto mi pare stia nel libro di McCarthy. La ricchezza e l’intelligenza, il sentimento, la personalita’ stilistica di capolavori quali molti di quelli provenienti dalle cosiddette ”Letterature minoritarie” (l’italiana di un tempo, oggi quelle ebraica, slovena, croata, bosniaca, africana, asiatica, ecc.), io, spesso, non le ho reperite nelle opere statunitensi (tranne delle eccezioni, una decina in tutto di autori).
Pertanto sono portato a considerare la Letteratura statunitense di questi ultimi decenni come un fenomeno artificialmente ingigantito e gonfiato per motivi di mero vassallaggio culturale ed economico. Altrimenti, nei buoni scrittori d’Oltreoceano, vedo dei tratti cosi’ europei, nostrani, da farmi pensare che siano loro, culturalmente, in realta’ i nostri discepoli.
Non ho dei pregiudizi, dunque, ma delle opinioni. Salde e motivate. Ovvero discutibili, certo, ovviamente.
Sergio

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 01:46 da Sergio Sozi


Perchè l’amore padre-figlio? Perchè, se tu sei padre di tuo figlio, lui è un miracolo avvenuto tramite tuo (questo ti fa pensare anche al miracolo della tua esistenza). Perchè rappresenta qualcosa di te ( e lo vedi in lui) che resterà dopo di te. Perchè quando è bimbo è l’innocenza che gli adulti non posseggono più (e che i più sensibili e buoni d’animo invidiano). E si potrebbe continuare…
Peccato che viviamo tempi di troppo attaccamento alla terra (io la chiamo “terrenità), di troppo materialismo e di troppo calcolo economico, in definitiva di troppa superficialità e di troppo effimero.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 02:02 da Mark Hope


E’ cosi’, Hope. Lo sento personalmente. Ed altrettanto bene sento di esser figlio di mia figlia (femmina ma e’ uguale): una doppia condizione, la mia: quella di figlio e di padre.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 03:11 da Sergio Sozi


Sergio, non ti facevo così saggio:-) sei un antiamericano convinto? E dillo subito, no? Sono cresciuta a New York, dieci anni ci sono stata.
Il mio prossimo romanzo si chiama “L’ultima volta” è la storia di una donna che deve andare a Boston a trovare suo padre, un uomo molto vecchio che vuole vedere sua figlia per l’ultima volta.
E’ completamente autobiografico, ma così autobiografico che altro che nube tossica.
Non scherzo, l’ho scritto per narrare il delirio di quel paese mostruoso.
Scriverlo è stato catartico, quel veleno non avrei potuto tenerlo dentro per tutta la vita.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 06:38 da F. M. Rigo


Credo proprio che, questo libro, lo leggerò!!! Le storie che raccontano del rapporto padre/figlio, mi hanno sempre affascinato e commosso molto…sarà perchè non riesco ad immaginarmi adulto senza immaginarmi anche padre, a tenere la mano di mio figlio e a raccontargli come, la vita, mi abbia portato ad essere quello che sarò tra 10-15 o 20 anni. E’ un immagine, quella di me e di mio figlio a parlare di tutto, che ho nella testa quasi ogni giorno. Del topic proposto, comunque, come potrete intuire, non è che posso parlarne molto…anzi, non posso parlarne per niente non avendo figli^_^. Però potrei consigliarvi un libro che mi ha spinto a leggere proprio mio padre e che, anche se in un contesto completamente differente, narra la storia di una viaggio meraviglioso di un uomo e di suo figlio…un viaggio fatto in moto ma anche intorno e dentro la filosofia di vita. Il libro è: “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” e l’autore è Robert M. Pirsig. Sono certo che piacerebbe a molti di voi…
Buona domenica a tutti

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 10:26 da Germano


@ Carlo:
ti giungano i miei più vivi rallegramenti per essere stato definito da sergio “vero uomo di cultura”. Tutti aspiriamo a cotanto, ma solo tu sei riuscito ad arrivare al traguardo. Ora hai un imprimatur sempiterno. Un po’ come il bollino blu della banana Ciquita.
@ Sergio:
sulla banana Ciquita avrei un’idea, quindi rimani seduto che è meglio per te
@ Gea:
continui ad avere il maledetto vizio di dire cose sensate in poche righe. pretendi di dimostrare di aver letto e vissuto un libro senza citare pergamene babilonesi e madrigali bretoni. sei una povera disgraziata.
@ Miriam:
quando io sostengo (scusa sergio ma anche gli altri hanno qualche opinione che forse può interessare) che leggere bene è più difficile che scrivere, accade che la mia idea poi possa essere confermata da quello che hai fatto tu. Quel libro lo hai spremuto, ti ci sei infilata dentro, hai camminato insieme ai due protagonisti tra quelle macerie incenerite.
Hai faticato e, alla fine, ci hai dato le tue impressioni.
Non spetta a me commentarle. Però mi va di dire che un libro si legge così. Forse, allora, che sia statunitense, bulgaro o ciociaro diventa di secondaria importanza.
@ Massimo:
non mi hai aiutato molto, anzi, diciamo pure che te ne sei fregato. Ci vediamo tra poche ore nella Camera Accanto dopo la disfatta del tuo Catania.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 10:30 da Enrico Gregori


@ germano
so che potrebbe scombinarti il quadro, ma hai tenuto presente che un giorno a tenerti la mano e ascoltarti e parlare potrebbe essere una figlia?
:-)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 10:38 da gea


@Enrico
posto l’ultima parte delle osservazioni. Ma sai che non avrei finito?

Tutto è grigio, tutto è nero, coperto dalla cenere, fossilizzato dallo scorrere del tempo e il mare è una grande sepoltura salata. I colori affiorano nei sogni, “come antichi affreschi riportati alla luce”. Le cose e gli oggetti sono la giostra tragica del consumo passato, un pattume fossile che resterà a dimostrare il tempo: un’ archeologia disperata di resti ostili. Warhol e la sua trasfigurazione ingombrano il racconto, gli oggetti sono ghiaia tagliente sulla strada dolorosa che l’Uomo e il Figlio percorrono; ostacoli e prove di difficoltà, perché non tutto è buono, si può bere e tutto non si può trasportare. Il carrello colmo di provviste rubate al caso fa la differenza fra la speranza e l’abbandono ma il possesso è morte. Ci avrebbero uccisi? Sì, se restavamo. La compulsione diventa strategia : prendere l’utile, il possibile e il necessario. Più volte l’autore ci descrive la stessa scena dell’Uomo intento a scegliere, scartare, ad elidere il superfluo; il carrello è vita, è cura, è casa, quasi la conoscenza stessa, l’unica che può permettere il futuro. Il cibo trovato nelle cantine, nei rifugi predisposti, negli avanzi di altre scorrerie è la risposta alla fame; che padre e figlio ingoiano per sopravvivere, indifferenti al gusto e alla materia. Nella lettura, lo stesso cibo, si trasfigura per noi, come la riscoperta di un piacere: il gusto, oggi confuso dalle merci. Una narrazione circolare che ci pone al centro di un diorama di immagini inquietanti e tragicamente possibili. Un treno abbandonato in un bosco ha la forza e il senso di un monumento rituale, carico di stupore per il Figlio e d’angoscia per l’Uomo, che se ne allontana per continuare il viaggio verso un origine diversa.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 10:59 da miriam ravasio


@Gea. Ah ah ah…hai ragione ma, sai?! Non mi dispiacerebbe affatto una figlia femmina. Anzi, ad essere sincero, ho sempre desiderato averne 3 di figli: due femmine e un maschio;) la cosa, quindi, non sconvolge più di tanto il mio quadro^_^
@Enrico e Miriam. Avete per caso letto il libro di Pirsig che ho citato?

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 11:17 da Germano


@ miriam
i sapori.. il barattolo di coca cola. la trovano, e l’uomo la apre, ne ascolta lo sfrigolio, la fa bere al bambino. un sorso anche lui, ma solo per compiacerlo. vuole fargli assaggiare il gusto di una vita che non conoscerà. era buona, ma ricordare fa male.
come i sogni. quelli sani sono brutti, secondo il padre. nella rovina totale, quando devi combattere per la sopravvivenza quotidiana, quando quello che ti circonda è nemico e oscuro, se ti lasci andare al sogno sei fottuto. ma senza sogni non si può vivere, nè crescere. i vecchi sognano il passato, e rimpiangono. i bambini, che passato non hanno, devono poter sognare il futuro.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 11:28 da gea


@ germano
io l’ho letto. più o meno alla tua età.
e devo dire che effettivamente all’epoca mi era piaciuto parecchio.
credo sia abbastanza legato all’epoca in cui lo affronti. non credo che ora mi darebbe le stesse sensazioni.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 11:31 da gea


Ho già scritto nei post precedenti che questa lettura risveglia i sensi e ho accennato all’olfatto, alla vista e al gusto. Io penso che la cosa sia stata intenzionale, che l’autore abbia voluto farlo come prima azione per un recupero dell’essere: noi, perdutissimi uomini del suo tempo. Incapaci d’amare, di vivere e di conoscersi. Il fiocco di neve “ lo prese in mano e lo guardò disfarsi come se fosse l’ultimo esercito della cristianità”. La riflessione avviene per contatto, qualcosa che muta con il calore del nostro corpo. Il contatto con la Terra, invece, era diventato morte. Si intuisce Novalis e Musil “lo strano è che la Terra si sia mostrata così sensibile a quel contatto, si da lasciarsi strappare cognizioni, scoperte e comodità in un’abbondanza che ha del miracoloso. Dopo tanti antecedenti si potrebbe sostenere non interamente a torto che ci troviamo nel bel mezzo del miracolo dell’Anticristo”. E allora l’Uomo tocca il Figlio “Questo è mio figlio, disse. Gli lavo via dai capelli le cervella di un uomo. E’ questo il mio compito. Poi lo avvolse nella coperta e lo portò vicino al fuoco”. Come un nuovo battesimo.

@Germano,
No! ma provvederò a procurarmelo (più avanti perché sono presissima)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 11:33 da miriam ravasio


quante epoche..
sostituisci la seconda con ‘momento storico’, please..
:-)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 11:34 da gea


@Gea. Concordo con te sulle diverse sensazioni che, i libri, regalano nelle diverse “epoche” della nostra vita e penso che, alla fine, ai libri, come alle persone, bisognerebbe sempre dare una seconda chance di lettura..Un libro lo leggi e, che ti colpisca in positivo o in negativo, prima o poi lo riponi su di uno scaffale…lo lasci li anche per anni, ad impolverarsi e ti scordi quasi che esista. Nel frattempo leggi tanti altri libri e un giorno, per caso, ti capita sotto mano quello che avevi lasciato a prendere polvere o, magari, ti ricordi di averlo letto perchè te ne parla un amico. Così inizi a cercarlo e, con un po’ di fortuna,lo ritrovi… inizi a rileggerlo, a distanza di tempo, con anima e mente che sono cresciute e cambiate, profondamente. Alla fine, ti pare che anche quel libro sia profondamente cambiato. Si perchè tu lo hai letto in un modo che, qualche anno prima, nemmeno avresti immaginato. I libri, un po’ come le persone, sono anche lo specchio di ciò che siamo nel momento in cui facciamo la loro conoscenza…oggi li odi, domani, magari, ti rendi conto di amarli.
@Miriam non preoccuparti se sei presa…io sono più preso di te; è normale essere sempre “presi”,nel frenetico mondo moderno…l’importante è non essere presi per il culo:-P

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 12:17 da Germano


“I bambini di oggi sono dei despoti.Contraddicono i genitori, ingollano il cibo e tiranneggiano gli insegnanti”- SOCRATE
Niente, niente,senza volerlo, la macchina del tempo ci ha riportatonei secoli passati?!
M. Teresa

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 12:35 da M. Teresa Santalucia Scibona


@ germano.
concordo. ma aggiungo che rileggere è un lusso che ad un certo punto ti rendi conto di non poterti permettere, se non in casi eccezionali.
mi colpì molto una frase di mio padre, pochi mesi prima di morire.
‘quello che mi scoccia dell’invecchiare è che sai che non farai mai in tempo a leggere tutto quello che vorresti e ti senti di dover leggere.’
è vero. profondamente vero.
e in un certo senso è anche una metafora, e un’istigazione ad accogliere a braccia aperte l’esistenza, senza rimpianti e riletture. ne perderà forse la saggezza e l’obiettività, ma,cazzo, quanta vita…
:-)
buona giornata, caro.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 12:40 da gea


@Gea. Hai ragione anche tu…in effetti, le riletture che possiamo concederci, sono poche, forse uniche. Per il resto, non mi illudo che la mia vita sarà priva di rimpianti, rimorsi e riletture forzate e deludenti. Accogliere a braccia aperte la vita, a mio avviso, vuol dire anche questo: prenderla nella sua interezza, senza illudersi che sia possibile scremarla dalla “perdita di tempo” o dalle delusioni. Il tempo, essendo ciò a cui viene dato più valore, paradossalmente, è anche quello che si spreca in misura maggiore…io per vivere mi rifaccio ad un pensiero di Goethe o, almeno, ci provo:
“”Finché uno non si impegna veramente c’è esitazione, c’è la possibilità di ritirarsi e c’è sempre inefficacia. In tutti gli atti d’iniziativa e di creazione c’è una verità elementare, la cui ignoranza uccide idee e piani meravigliosi in numero infinito. Nel momento in cui uno si impegna davvero fino in fondo, allora si muove anche la Provvidenza. Ti vengono in aiuto mille cose che altrimenti non sarebbero successe: viene verso di te un intero flusso di eventi prodotti dalla decisione, portando a tuo vantaggio ogni genere di imprevisti, di incontri e assistenza materiale che non ti saresti nemmeno sognati. Qualsiasi cosa tu possa fare o possa sognar di fare, cominciala. L’audacia ha genio, forza e magia. Cominciala, comincia adesso!”

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 12:50 da Germano


Germano, personalmente credo poco alla Provvidenza, forse perchè finora non l’ho mai incontrata.
Sicuramente bisogna immergersi nella vita e non aver paura nè di faticare nè di aspettare.
Il tempo ?
L’equazione è semplice: se si lavora 10/12 ore al giorno, si impiegano circa 2 ore per spostamenti da e verso il posto di lavoro, si consumano i pasti in 1 ora complesiva, si tenta di dorire quanto meno 5 ore, ebbene rimangono 4 ore. Di esse almeno 3 vanno alla famiglia. Forse ne rimane una al giorno ed è l’unico tempo per coltivare tutti i propri interessi. Difficile fare di meglio…
Nei confronti dei figli, tornando al tema, bisogna tentare una comunicazione con le azioni. Non vedo alternative.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 13:16 da eventounico


Enrico: ”@ Sergio:
sulla banana Ciquita avrei un’idea, quindi rimani seduto che è meglio per te”.
Ma di che banane vai dicendo? Io non ne ho parlato. A che ti riferisci?
Va be’. Evidentemente hai confuso gli interventi, come spesso ti capita.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 13:24 da Sergio Sozi


@Germano
incanala la tua energia verso grandi azioni! Ma come sarai a 50 anni???
Per ora sei forte! un bacione e buon pomeriggio

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 13:28 da miriam ravasio


Ah, adesso ho capito… leggendo anche quel che dicevi con la tua solita eleganza e finezza a Carlo. Grande, Enrico! Banana-pene, ah! ah! ah! Petronio ti abbraccerebbe, sai? Boldi, Desichetto, e soprattutto Gerri Cala’! I tuoi colleghi. Grazie allora anche a te per l’affettuosa e soprattutto nuova battuta: il mondo dei comici da ribalta militare pero’ purtroppo ormai e’ finito. E il palcoscenico di Letteratitudine ospita anche, mi dispiace sai, gente rispettosa e beneducata.
Pertanto ora mi prendo una vacanzetta, cosi’ ti lascio godere tutto da solo. Grande, grande! Banana cucu’!

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 13:34 da Sergio Sozi


daaai sergio…..
lo sai che ti vogliamo bene…

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 13:38 da gea


@ Enrico
Scrivi: “non mi hai aiutato molto, anzi, diciamo pure che te ne sei fregato.”
Non me ne sono affatto fregato, però hai fatto bene a scrivere quella frase. Nel futuro eviterò di coinvolgerti con nuove “investiture”. Il peso delle responsabilità va solo a chi è in grado di sostenerlo.
:)
A tal proposito sono curioso di vedere come se la caverà la nostra ottima Gea nel prossimo post

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:07 da Massimo Maugeri


La citazione di Maria Teresa mi pare bellissima e calzante (Brava Tessy!).
““I bambini di oggi sono dei despoti. Contraddicono i genitori, ingollano il cibo e tiranneggiano gli insegnanti”- SOCRATE
Che ne dite?
Corsi e ricorsi?

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:08 da Massimo Maugeri


Un’altra domanda di carattere generale.
Secondo voi il ruolo dei genitori (e dei padri in particolare) in che misura è cambiato negli ultimi 20/30 anni?

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:10 da Massimo Maugeri


@ massimo
è una minaccia?
….aaaaaarghhhhh….
ti prego, abbi pietà.
:-(

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:14 da gea


Vi riporto la recensione di Francesco Guglieri su L’Indice dei libri del mese.
Troviamo conferma di molte delle cose che ci siamo detti fino ad adesso. E qualche considerazione ulteriore. Eccola di seguito.

“Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te”.
Un padre e un figlio, senza nome, senza niente che non sia il legame indissolubile che li unisce. Non esiste più nient’altro: non esiste più il mondo, la storia, il tempo, la civiltà, non esistono più le città, le case, le famiglie, non esiste più neanche il cielo – perennemente oscurato, plumbeo “come l’inizio di un freddo glaucoma che offusca il mondo”. Esiste solo la strada lungo cui spingono i loro scarsi averi – qualche coperta, il poco cibo in scatola rimasto – dentro il carrello arrugginito di un supermercato. Si spostano verso sud, verso il mare, dal cuore dell’America al Golfo del Messico, in cerca della speranza di un po’ di calore, di luce. Ma ciò che gli si apre di fronte è un oceano vasto e freddo che ha “la desolazione di un qualche mare alieno che bagna le coste di un pianeta sconosciuto. Più a largo, sulle secche create dalla marea, una nave cisterna arenata”.
Nel nuovo romanzo di Cormac McCarthy, La strada, un non meglio specificato disastro planetario – probabilmente una guerra nucleare, o un meteorite scagliato dall’alto dei cieli – ha posto fine alla vita sulla terra: ogni forma di vita, animale o vegetale, è stata spazzata via, i pochi sopravvissuti non hanno più nulla di umano e attraversano quest’immensa terra desolata in cerca di cibo come morti che camminano. E poco importa se il “cibo” è un altro essere umano: il cannibalismo è solo uno dei tanti orrori che la fantasia scatenata di McCarthy ci offre, quasi non ci fosse un fondo all’abisso, ma solo nuove parole per declinare un infinito catalogo di sofferenze. La catastrofe ha rivelato lo scheletro – come se a un’esplosione sopravvivessero solo le ossa bianche e scarnificate – della società, se non della natura, secondo McCarthy: una brutale lotta per la sopraffazione reciproca, in cui gli esseri umani sono nettamente divisi tra carnefici e vittime, tra cannibali e prede.
Sono passati dieci anni da quella catastrofe: padre e figlio sono riusciti a sopravvivere fino adesso, ma non resisteranno un altro inverno. Il romanzo è il racconto del dolente e disperato pellegrinaggio verso il mare, delle difficoltà e degli incontri che accadono loro lungo la via, solo ogni tanto intervallati dai ricordi e dai sogni dell’uomo (soprattutto sulla moglie – la madre del bimbo – che decide di uccidersi piuttosto che sopportare ulteriormente tale inferno).
Tutti i loro averi sono su quel carrello; il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare dei viveri. Si succedono così una serie di episodi e incontri: la visita alla casa d’infanzia dell’uomo; l’esplorazione di un supermarket abbandonato, il figlio che beve per la prima volta una lattina di coca cola (il bambino è nato proprio nei giorni del disastro, e quindi non possiede ricordi che siano precedenti all’apocalisse: il padre tenta di tramandargli la memoria di un’epoca dimenticata nella cenere che il piccolo non ha mai vissuto). Quando i due incontrano un vecchio sperduto e sotto shock – il cui nome, Ely, è un chiaro riferimento al profeta Elia – questi inizia a blaterare che il bambino è una specie di prescelto, un messia che riporterà la luce nel mondo. E poi ancora treni abbandonati, villaggi devastati, case miracolosamente scampate ai saccheggi: ma sempre all’interno di un paesaggio estinto, infernale, in cui l’unico colore è quello delle fiamme degli incendi che ancora bruciano alberi morti.
La natura, come sempre nei romanzi di McCarthy, è uno specchio infranto che non rimanda altro che un riflesso di orrore e mistero impenetrabile, trascendente: un qualcosa che nella distruzione rivela il suo volto terribile e cieco, forse divino, di certo disumano, impietoso, indifferente.
La violenza e la brutalità che già erano la cifra caratteristica dei suoi romanzi western così come dell’ultima opera d’ambientazione contemporanea (Non è un paese per vecchi, Einaudi, 2006; cfr. “L’Indice”, 2006, n. 5), assurgono qui a una dimensione allo stesso tempo letterale e metafisica: la morte, la negatività, la caduta sembrano essere gli atomi fondamentali di cui è composta la realtà. E contemporaneamente l’unico orizzonte possibile di un universo gnostico in cui la colpa – l’esistenza – coincide con la pena.
Ma in tutta questa devastazione spicca lo struggente rapporto tra padre e figlio, l’amore insuperabile che li lega. Le poche e asciutte parole che si scambiano sono imbevute di un affetto dall’inaspettata dimensione domestica, familiare. Il loro rapporto, le rassicurazioni che cercano l’uno nell’altro, le storie che il padre racconta al figlio di fronte a una notte senza fine o la fiducia che il bimbo riserva al genitore scrivono pagine di grande emozione, capaci di riscattare – e approfondire – una visione del mondo altrimenti tanto cupa da risultare grottesca. È questa inaspettata tenerezza, disperata e malinconica, il regalo più importante che McCarthy riserva ai suoi lettori.
La strada non è solo un testo visionario e potentissimo, ma anche un romanzo inaspettatamente avvincente, spettacolare, ricco di tensione e di curiosità per il destino dei due personaggi. Le avventure vissute dai due protagonisti riescono a tenere il lettore con il fiato sospeso, a farlo appassionare a questo mondo fantastico e pericoloso che ha qualcosa degli zombie movie di Romero. Il tutto viene però filtrato da un’”immaginazione della fine”quasi beckettiana che sembra contenere in sé l’intera tradizione “apocalittica” novecentesca, da T. S. Eliot a Philip Dick, oltre che da una tensione morale e stilistica che pochi altri autori oggi riescono a permettersi. Una lingua (resa in maniera eccellente dalla traduzione di Martina Testa con il contributo di Maurizia Balmelli) secca, asciutta ed essenziale, che non ha più Faulkner o Melville come modelli. Se proprio volessimo cercare dei modelli letterari dovremmo rivolgerci più alla tagliente precisione del miglior Hemingway, a cui McCarthy deve anche un certo modo di disegnare il rapporto padre e figlio, il loro immergersi nella natura (anche se nuclearizzata, in questo caso), e una certa idea di “uomo d’azione” che rivive nel personaggio del padre. Ma allo stesso tempo McCarthy riesce a ottenere una lingua solenne, profetica, biblica, in cui ogni immagine diventa immediatamente allegoria, ogni figura è rimando sfuggente a un significato ormai estinto. O forse di là da venire: perché non si può negare il sottotesto mistico, se non letteralmente cristologico, che La strada possiede. D’altronde non c’è apocalisse che alla fine del mondo non faccia seguire il ritorno del Messia, del Figlio risorto che fonda il regno millenario sulle rovine della storia. Il viaggio dei due personaggi, il destino che aspetta il figlio, la sua empatia, la sua volontà di cercare o di fondare un sistema morale – le continue richieste che rivolge al padre per aiutare le persone e i disperati che incontrano nel loro viaggio, la pietà che riserva ai sopravvissuti – spingono verso questo tipo di interpretazione, senza però mai fornire certezze conclusive.
La strada potrebbe essere quasi catalogato come un’opera di fantascienza, ben piantata nella solida tradizione del filone catastrofico-apocalittico, se non fosse anche il romanzo di McCarthy più intenso, visionario e definitivo, oltre che uno dei più belli e struggenti che il nuovo secolo ci abbia, per ora, offerto. Un romanzo enigmatico, misterioso, che da una parte spinge il lettore a cercare una chiave che ne risolva il segreto, dall’altra resta refrattario a ogni tentativo di decifrarlo. Impenetrabile, altero, struggente. Così come le parole su cui si chiude: “Una volta nei torrenti di montagna c’erano i salmerini. Li potevi vedere fermi nell’acqua ambrata con la punta ambrata delle pinne che ondeggiavano piano nella corrente. Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano le mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare. Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di mistero”.
Francesco Guglieri</b>

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:19 da Massimo Maugeri


(off topic) @ Gea
Mi darai una mano a condurre il dibattito sul nuovo libro di Ivan Cotroneo (da lunedì sera)
:)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:22 da Massimo Maugeri


@ massimo:
considero il tuo intervento nei miei confronti frutto della trepidazione per la partita che voi etnei perderete. cosa volevi, che fossi un tuo alter ego? non sono all’altezza e, soprattutto, non sono fatto per le “identità distorte”
@ sergio:
ma perché vacanzetta? fai con comodo!
:-)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:26 da Enrico Gregori


@ Enrico
Scrivi: “non sono all’altezza”.
- Lo so
E poi: “non sono fatto per le “identità distorte” ”
- Questa è la causa dei tuoi conflitti interiori
;)
Mi hanno detto che qualcuno sta tentando di corrompere i giocatori del Catania (con l’obiettivo di far vincere la Roma) offrendo copie del tuo “Un tè prima di morire.”
Eh no! Queste cose non si fanno.
:)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:48 da Massimo Maugeri


@ massimo:
esatto, e l’intento era di far addormentare i calciatori del Catania negli spogliatoi. Sembra che abbia funzionato, si sono appisolati con il mio libro sugli occhi

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 14:58 da Enrico Gregori


Massimerrimo:) Questa domanda è un invito a nozze pemmè!
Enrico, adesso non te la prendere con i tre criceti e cazzia Massimo.

Chiaramente il ruolo dei genitori, e il modo di esserlo è cambiato con il cambiamento del concetto di identità di genere e di ruolo di genere. Io in generale vedo un cambiamento abbastanza positivo che porta con se una certa crisi, dovuta alle resistenze al cambiamento che sempre un sistema culturale oppone, ma in generale sono contenta. Prima l’identità genitoriale era sancita da stereotipi condivisi che suonavano così: la donna ama e l’omo penza. La donna si occupa della prole, e l’uomo si occupa del portare le cibarie. l’omo ci ha la conoscenza razionale la fimmina quella emotiva. e tutte cose così. Io credo per altro che in termini di radice di senso questa cosa rimane (per il fatto che gli uomini non procreano e non hanno il ciclo) ma oggi si da la possibilità di affiancare dei predicati diversi, arricchendoci così di esperienze possibili. questi nuovi uomini e donne, sono donne ingegniere, e uomini maestri, come l’intelligente signor Livio di prima, e sono uomini e donne che esercitano la genitorialità in maniera più sfumata e più ricca, più libera di quella che era dei loro genitori e loro maestri di genitorialità.
alcuni miei miei amici (certo non ancora tutti), fanno cose che i i loro padri non fanno: escono tra maschi con i passeggini parlano di calcio guardando i pargoli. Si fanno vederi dispiaciuti. Il mondo cambia. Il padre ora ha la corda della comprensione, oltre quella dell’indicazione. Sono un po’ incerta su quest’affievolirsi delle indicazioni. Prima per individuarsi un soggetto e diventare soggetto, doveva farsi un mazzo triplo e se era debole, soccombeva. Oggi con queste genitorialità povere di indicazione, che dicono figliolo fai quello che vuoi, soccombono non solo i deboli, ma la maggiorparte. C’è una specie di difficoltà all’individualizzazione – e non di rado porta alle stanze della consultazione psichiatrica.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 16:05 da zauberei


Massimo l’ho letta mo la citazione de Socrate! Allora mo devo scrivere tutte altre cose!
Gregori pazienta.
Io questa cosa della tirannia dei bambini non è che la capisco Massimo. Certo, un po’ c’è il problema dei bambini come oggetto sociale, in Italia tanto più prezioso perchè se ne fanno pochi. Sono culturalmente percepiti come un lusso, un bene prezioso. In effetti, essi SONO un bene prezioso. sono la continuità storica, mi pare normale che quasi ci ricattino. “Trattami bene o farò del tuo futuro un tristissimo passato”.
Ma questo ha anche l’implicazione di una consapevolezza, una consapevolezza nun te crede non ancora sufficientemente diffusa, che l’infanzia è qualcosa da proteggere e prendere sul serio. Sorpresa: i bambini ESISTONO! e uhuhu SOFFRONO! e ancora, essi sono un bene che si impone anche perchè non se ne devono più occupare solo le fimmine, così come le fimmine non sono più estranee alla vita sociale dei maschi, ma ci stanno dentro, con tutti i loro pargoli che fanno il solito casino. quello che faceva tuo padre Massimo e che con ogni probabilità tua nonna s’è sorbettata da mane a sera.
:)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 16:14 da zauberei


@ zauberei:
paziento senza problemi, ma domando: hai figli?

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 16:41 da Enrico Gregori


gregori, ancora no.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:03 da zauberei


zaub, prendo atto

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:08 da Enrico Gregori


Enrico, però potresti anche gentilmente dirmi perchè ti è venuto da farmi questa domanda….
E se sei d’accordo o meno con quello che ho scritto. (ma io mi preparo per una professione, che sarebbe il massimo se uno riuscisse a vivere tutto quello di cui deve parlare… dalla follia, ce so’passata, dalla maternità ci spero. Ma per esempio non posso mica non avere pazienti masculi perchè so femmina… ok riflessione off topic, ok ho la coda de paglia)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:15 da zauberei


eventounico, quanto è vero quello che hai scritto:- il tempo per dedicare ai figli e alla famiglia, è sempre più rosicato. Penso però, che non sia tanto la quantità del tempo, ma la qualità e l’amore di quel ritaglio di tempo che riusciamo a donare loro, per l’attenzione che mettiamo nell’ascolto di quel poco o tanto che ci confidano. Mi sembra anche importante cercare di condividere gli interessi che premono ai nostri figli, assecondandoli nelle loro scelte e nei loro sogni. Il mestiere di genitori oggi, è anche più difficile di un tempo dove c’erano regole eccessive e codificate e anche molta ipocrisia di facciata.La mamma mi raccontava che i bambini, mangiavano in cucina con la tata ed era raro che loro fossero ammessi alla tavola dei grandi. Nell’attuale società ogni famiglia educa il figlio come meglio crede, con il concetto di etica che varia da una famiglia all’altra, allungandosi o accorciandosi come un elastico. In breve, pur cercando in cuor nostro il loro bene, come si fa.. si sbaglia.. e si è giudicati severamente, poiché per i giovani non esiste il colore neutro, che sta in mezzo, fra il nero e il bianco.Loro nom mediano e odiano i compromessi. Il discorso sarebbe lungo e complicato e rischio di essere generica e superficiale, perciò mi fermo qui.
Per Massimo, poi le figlie crescono… ed ecco cosa succede:-
” Guardare tua figlia andarsene con quello, ti fa sentire come se avessi appena consegnato uno Stradivari da un milione di dollari ad un gorilla…” – Jim Bishop
Tessy

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:27 da M. Teresa Santalucia Scibona


Ragazzi, quanto scrivete!
Allora, ho sbocconcellato i commenti precedenti, ho trovato spassoso l’eterno duello Gregori vs Sozi (Enrico, la banana, ma dai!), non ho ancora letto il libro di McCarthy ma posso fare una piccola e breve riflessione sull’amore genitore/figlio. Non sono madre, scelta mia che ancora oggi ritengo più che valida per tutta una serie di considerazioni mie personali con le quali non voglio annoiarvi. Però sono figlia e mi rendo conto che l’amore genitore/figlio è viziato, bilateralmente, da una buona dose di egoismo. Forse anche sano, ma pur sempre egoismo. Il figlio pretende, per il fatto stesso di essere stato posto al mondo senza aver avuto alcuna voce in capitolo, il massimo delle attenzioni, delle cure, dell’affetto, della considerazione e del comfort. Il genitore pretende, per il fatto stesso di aver donato la vita ed avere perpetuato se stesso in un altro essere umano, il massimo della gratitudine, del rispetto, della considerazione, dell’appoggio incondizionato, dell’amore. Due pretese uguali e diversissime. Due modi di concepire il rapporto con l’altro che il più delle volte non si incontrano, collidono. Il genitore sa di aver fatto del proprio meglio, sa anche di aver fatto tantissimi errori ma non vuol mai sentirseli rinfacciare, tanto meno ammetterli. Il figlio sa, ad un certo punto, di essere stato un egoista, di aver preso più di quanto ha dato, di esser stato convinto di esserne nel pieno diritto. E si va avanti così fino a quando il lavorio degli anni non consuma queste due pietre miliari fino a farle combaciare. In un rapporto tra genitore anziano e figlio adulto gemma la reciproca comprensione e le cose non dette diventano limpide e chiare. Il figlio adulto assume, con il genitore anziano, il ruolo di padre/madre e improvvisamente capisce: le preoccupazioni, le ansie, le prepotenze, l’egoismo di un affetto che vorrebbe conservarti sotto una campana per proteggerti, certo, ma anche per non rischiare di soffrire in prima persona. Il genitore anziano riassume il ruolo di figlio e capisce la pretesa di attenzione totale che ha dovuto subire e soddisfare. Comprensione e, finalmente, un amore che si nutre di tutti gli errori del passato, di tutte le incomprensioni, di tutti gli scontri. Il tempo, in questo caso, è il viatico per arrivare ad un rapporto alla pari, condizione imprescindibile per un amore senza confini.
Laura

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:35 da Laura Costantini


@ zauberei:
massimo rispetto a te e all’impegno con il quale eserciti ed eserciterai la tua professione. a me, parlare del rapporto genitori-figli senza avere prole, mi sembra come giocare a football con la playstation senza aver mai preso a calci un pallone. ma forse è un mio limite intellettualel

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:39 da Enrico Gregori


considerando le stronzate che dicono tanti genitori sull’essere genitori, e quante cose intelligenti sono state dette facciamo conto sulla vita dei pesci senza essere pesci, no non sono d’accordo.
Comunque – prendo atto anche io.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:46 da zauberei


ma se poi chi non è pesce va a spiegare come si fa il pesce a chi pesce lo è davvero, la questione può diventare surreale….sempre prendendo atto.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 17:52 da Enrico Gregori


Succede spesso che si trovino d’accordo: se il pesce è abbastanza intelligente e poco nevrotico da saper valutare il non pesce e il non pesce è abbastanza intelligente e poco nevrotico da saper ascoltare e capire cosa prima gli hanno detto i pesci.

Esattamente come qualche tempo fa a una ragazza ebrea è capitato di essere d’accordo su cosa dicesse un uomo non ebreo a proposito di Primo Levi.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:01 da zauberei


@ zauberei:
concordo e mi pare un bel punto di mediazione. ok, sul pesce ci siamo capiti….absit iniuria verbis
:-)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:04 da Enrico Gregori


Cioè enrico, diciamo allora così. Potresti non essere d’accordo con me su alcune cose che ho scritto o su tutte, e mi pare una cosa pacifica e anche dichiarabile, per me sarebbe persino utile sapere il tuo parere. perchè magari non sono un pesce ma studio i pesci, e studio anche pesci incredibilmente diversi tra di loro. Ma no, non relativizzare questa cosa alla mia vita privata. altre persone hanno detto queste mie stesse cose, che io non ho inventato avevano figli e tu non saresti stato d’accordo uguale.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:05 da zauberei


ah ‘amo fatto pace:)
m’ero intristita:(

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:06 da zauberei


Sono cresciuto in una casa piena di libri su questo argomento ed altri correlati. Anche senza troppa convinzione, a causa della mia curiosità, ho letto, ho chiesto, ho visto. Pur avendo poi studiato altro.
Quando sono andato a prendere mio figlio, pur avendo aspettato quasi sei anni ed avendolo conosciuto (ed incontrato) un anno e mezzo prima di riuscire a portarlo via, non c’é stata storia. Ero in acqua e dovevo nuotare facendo capire a lui che era tutto ok. Non credo che saprò mai se ho galleggiato o mi sono mosso con buon stile. Da quel poco che sono riuscito a capire è così per tutti, che ci sia di mezzo un cazzo di DNA oppure no.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:13 da eventounico


Evento!
Come mia sorella:)))
(Le telefonarono – e dissero – vieni a prendere tuo figlio. (e cavolo a gravidanza te prepara! invece t’arriva sta telefonata tutt’un botto. Na mattonata di felicità che ti stordisce. Almeno a noi andò così)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:19 da zauberei


Io penso che i padri si preparino poco in ogni caso. Arriva sempre un tir con rimorchio lanciato contro la poltrona dove leggevi i libri che ti piacevano. E il fatto è che non hai preso manco il numero di targa…

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 18:29 da eventounico


Bel posto. Co-conduzione spassosissima e preparata.
Tema delicato.
Concordo con Evento.
Non si è mai preparati. Non ci sono certezze, mai. Le esperienze degli altri, si, si possono ascoltare ma sono appunto quelle di altri.
Penso che i geniori di oggi siano più ‘bombardati’ rispetto al passato (che non si significa più consapevoli, non necessariamente). Hanno più strumenti informativi a disposizioni ma rischiano più facilmente l’insicurezza, la paura di sbagliare (e non tanto per il fatto che un errore brucia all’ego, è perchè con i bambini sbagliare può significare molto, anche per il loro modo di affrontare il futuro, interagire, manifestare sentimenti…). Quante volte mia madre in due anni e qualcosa mi ha ripetuto ‘non pensarci troppo’, ‘ti fai dei problemi inutili’, ‘è solo questione di tempo e crescita’… e parliamo di una donna (madre di tre figli) affettuosissima e piena di attenzioni. Tutto per dire che mi sembra di captare che oggi i genitori sono più spesso e più facilmente messi in discussione (a volte può anche essere un atteggiamento positivo, ben inteso).

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:03 da Barbara Gozzi


@ Eventounico
In un precendente commento hai descritto la giornata tipo di molti di noi. Bravo.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:33 da Massimo Maugeri


@ Zauberei
Hai fatto bene a intervenire prendendo spunto dalla mia domanda. Devo dire che mi interessava il tuo parere da psicologa. Grazie.
-
@ Enrico
Tu sei anche padre. Perché non dici la tua? (Se ti va, naturalmente)
Ripeto la domanda:
Il ruolo dei genitori (e dei padri in particolare) in che misura è cambiato negli ultimi 20/30 anni?

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:37 da Massimo Maugeri


@ Maria Teresa
Sei una fonte inesauribile di ottime citazioni. Brava! Ti metto in concorrenza con Gianmario.

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:38 da Massimo Maugeri


Piccolo ulteriore spunto per il dibattito.
Vi indico tre periodi, accanto ai quali scrivo altrettante parole/chiave.
Ditemi se siete d’accordo o no (possibilmente motivando… sempre se vi va, è ovvio) e proponete vostre parole/chiave (magari cambiando anche i periodi di riferimento).
-
Ruolo dei genitori e rapporto genitori figli
1. Periodo precedente al ‘68 (rigidità)
2. Periodo post ‘68 fino agli anni ‘90 (permissivismo)
3. Oggi (confusione)

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:43 da Massimo Maugeri


Un saluto a Barbara a Laura e a tutti voi.
A domani !

Postato domenica, 20 gennaio 2008 alle 21:44 da Massimo Maugeri


Evento, che bello sentirti parlare di questo. Probabilmente la famosa chiamata la riceverò quest’estate. Addis Abeba. Lo sogno spesso, ha la faccia di Will Smith :-) )))) Ao’ sti’ cazzi del DNA, se l’avessi partorito sarebbe stato esattamente così, nero ricciolo e africano.
Nun se po’ descrive, giusto Eve?

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 07:24 da F. M. Rigo


F.M. non si può descrivere. Sarà come se non avesse un “prima” come il figlio del libro. Dunque dovrai spiegargli cos’è questo mondo che prima non vedeva. Come nel libro, ovviamente visione più esasperata, avrai poco tempo per trasferirgli il “kit esistenziale” che ogni genitore vorrebbe consegnare ai propri figli.
Tornando alle fasi storiche di Massimo mi sembra che quella attuale sia una fase schizzofrenica. Il grosso è rappresentato da genitori-compagni (quelli che io chiamo “orizzontali”), ma è presente anche una minoranza di genitori che esercitano l’auctoritas (“verticali”). Ciò in ragione del modo di essere delle persone: retino per farfalle per le grandi occasioni in mano ai primi, pala e cazzuola per costruire il futuro in mano ai secondi. Grande rischio di muri storti per questi ultimi, ma ci provano. I primi, invece, i muri li prendono di faccia.
Giusto per fare un esempio: chi scrive e va in giro a mendicare attenzione per il proprio libro rischia di vedre la propria pala trasformarsi in retino ed in molti casi a fronte di un baratto.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 07:49 da eventounico


@Massimo.
Forse l’epoca moderna è più che altro caratterizzata dal mito del “figlio perfetto”. E questo, come conseguenza, genera confusione.
Si vuole il figlio perfetto perchè si crede – a monte – in un genitore sapiente e preveggente. Un genitore che sa quale inciampo sta per attendere la prole, che interviene ancor prima che esso si realizzi, o che -peggio ancora – contribuisce a realizzarlo attraverso le proprie preoccupazioni.
Insomma, il figlio deve somigliarci. E se è perfetto lui, vuol dire che siamo stati bravissimi noi.
In realtà credo che la confusione attuale sia un riflesso dello spirito dei tempi e dell’incapacità di saper accettare sofferenza ed errori come insostituibile bagaglio dell’esperienza umana.
Una società che punta tutto sul successo (personale, fisico, lavorativo), che offre immagini patinate e non veritiere (la mamma di famiglia che si alza fresca come una rosa al mattino , senza occhiaie, senza un filo di stanchezza sugli occhi , con un cane disciplinatissimo che , al più, le scodinzola festosamente inneggiando alla facilità della giornata)non ama il disagio dell’errore, la sofferenza della caduta, nè – vade retro – l’insuccesso.
Che poi il successo nasconda falle e intoppi, crescite non risolte e dolori insondabili, non importa.
Il baraccone della fiera riluce sotto gli occhi di tutti, la giostra prende a girare sfavillante e allegra, colle luci che si accendono e spengono al ritmo di una marcia trionfale. I nostri figli siedono stanchi e annoiati sul cavallino che gira, che gira.
Avrebbero tanta voglia di scendere.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 08:47 da Simona


Massimo, grazie, per stamani vi sottopongo queste arguzie:-
“Quando avevo quattordici anni mio padre era così ignorante che mi dava fastidio averlo intorno. Ma quando ne ho compiuti ventuno, sono rimasto colpito da quanto aveva imparato in sette anni..”- Mark Twain
Per gli scrittori del blog:-” Dite ai vostri cari papà e alle vostre care mamme
di comprarvi questo libro e picchiateli…finché non lo faranno”.Spike Milligan
Per eventounico:- ” La peggiore sensazione che conosca è alzarsi di notte e
mettere il piede su un trenino…”- Kin Ubbard
E ora via, più veloce della luce…
Tessy

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 09:13 da M. Teresa Santalucia Scibona


Non so quanto sia cambiato col trascorrere degli anni anni il mestiere del genitore e se, poi, sia cambiato in meglio o in peggio. Ma, inoltre, bisogna anche vedere quando uno è stato figlio. Perché le esperienze possono essere diverse.
A occhio, in un remoto “prima”, prima era fondamentale che il genitore ti nutrisse, ti mandasse a scuola, ti apparecchiasse un futuro e ti volesse bene. Era rarissimo, e quindi statisticamente irrilevante, che il genitore dicesse “oh, problemi? mi puoi dire tutto, io sono anche un amico. problemi di cuore? problemi di fica? hai la fica coi problemi? dillo a noi, e ti risolviamo tutto”.
Col passare del tempo, molti hanno creduto che fosse giusto fare esattamente l’opposto. Essere amici, compagni di banco e di motorino piuttosto che genitori.
“Hai preso 3 in latino? Ma ’sti cazzi, adesso te e papà si fanno una bella canna alla faccia di quella troia di professoressa”.
Rimane il fatto, però, che anche in questo secondo “stile”, se il figlio una cosa non te la vuol dire, non te la dice. E continuerà a scegliere l’amico come confidente privilegiato per comunicargli, per esempio, se sta male da morire o se tromba come un riccio.
Probabilmente, dal pre-68 a oggi, i genitori hanno sempre voluto essere genitori e i figli hanno sempre voluto essere figli.
Solo che non se lo sono mai detto. Oppure se lo sono detto in maniera sbagliata.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 09:53 da Enrico Gregori


Ngiorno
Ma siamo così sicuri che la cultura incida così tanto sulla qualità della genitorialità? Che esistano momenti storici migliori e peggiori? Che esiste un meglio o un peggio? Io non lo so, perchè questa domda dovrebbe essere posta anche nei confronti di culture diverse dalla mia – che hanno assetti diversi, comandamenti diversi, riti diversi obbiettivi diversi – il modo di accudire i figli è il modo con cui ogni mondo – ogni epoca si cristallizza- e non credo che ce ne sia una che produca figli più felici o figli più infelici. Credo che abbia a che fare con la pazzesca duttilità umana. credo che invece c’è una specie di amaro quantum di angoscia che ci tocca comunque in sorte e che prende ora una forma storica, ora un altra a seconda di quanto di questo quantum d’angoscia è nel genitore e di quanto riesce a censurarlo oppure non riesce e volente o nolente lo trasmette al disgraziato figlio. Allora c’è il genitore tipo vecchio stile che dice come cosa e quanto lo devi fare, ma è abbastanza solido, e ha avuto a sua volta abbastanza amore, da essere rigido in maniera intelligente e duttile. Non ti chiederà come stai, ma qualche volta tu ragazzino l’avrai spiato accorgersi di essere preoccupato per il tuo cuore – ti basterà per una vita. capiterà che anzichè stare a fare l’amico ogni due per tre ogni tanto lo faccia. sarà un ottimo genitore, pre anni sessanta. C’è indubbiamente la versione testa di cazzo, e anche la versione infelicissimo. Produce spesso risultati analoghi perchè quella rigidità è una distanza di sicurezza da un’emotività e da una vitalità, la propria, che mettono paura e che il genitore pessimo per sfortune sue, non è in grado di tollerare. Non sa assolvere il suo ruolo perchè ha tutta sta merda con cui non è in grado di cimentarsi. Oppure, pensando al bell’esempio di Enrico di prima: il bambino è in bagno e sente il padre piangere. E papà che cos’hai? e il padre gli dice che sta malissimo. E quello è un bel casino.
E queste differenze sono anche con i genitori post sessantotto, ce ne sono di ottimi, ce ne sono di volenterosi, ce ne sono di catastrofici. Perchè per esempio il bello della rigidità era una senso di contenimento, ma ancora se non sei ingrado psicologicamente di tollerare il dolore di tuo figlio davanti a una frustrazione anche piccola, è perchè tu non sei in grado di sopportare la frustrazione del muso di tuo figlio, e usi una cultura per delle seghe tue, per dei problemi tuoi. sicchè penso che i costumi che cambiano sono un doppio medium, del mondo che si riconcretizza in forme sotirche sempre diverse e dei sentimenti che si comunicano (brutti o belli) in forme sempre diverse – ma la partita si gioca altrove – nelle profondità delle intenzioni.
Buon lunedì a tutti!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 10:30 da zauberei


io, dopo “un doppio medium, del mondo che si riconcretizza in forme sotirche”, prenderei solo una grappa. grazie

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 10:42 da eventounico


Hm forse ho mangiato quelle sette otto virgole che servivano ecco… insomma evento capisco la grappa fateme sapè se è un po’ troppo astruso e scritto di getto tuttociò (se ve frega eh, se no pippa, democrazia)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 11:34 da zauberei


Zaub, la grappa è una chiusura dopo la quale non si prende altro. Dopo il tuo pezzo, che non è astruso, mi sento così. Insomma mi è piaciuto se devo dirlo in maniera esplicita.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 11:51 da eventounico


@Miriam. Come sarò io a 50 anni?! Beh l’unica cosa della quale sono certo è che sarò ipermegasuperesaurito(a 21 anni sono “solo” ipermegaesaurito…il resto lo acquisterò strada facendo)
@Massimo. Potrei proporti qualcosa di mio per la rubrica:”Giovani scrittori crescono”?…poi,ovviamente, valuti tu se vale la pena inserire il mio pezzo oppure no. Se mi dai l’ok ti invio una mail, ok?!
Grazie in anticipo
Ge

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 11:52 da Germano


@Evento. Io, invece, alla provvidenza ci credo e, da bravo S. Tommaso, posso dirti che dovrei crederci anche se non volessi visto che, nella mia vita,mi si è manifestata in maniera innegabile fin troppe volte. Ultimo esempio?! Non sapevo che cazzo fare della mia vita, dei miei studi, del mio futuro professionale…quando osavo dire:”Mi piacerebbe fare il giornalista o, comunque, tentare di fare un lavoro che mi porti a guadagnare facendo ciò che amo e cioè scrivendo”. Tutti mi rispondevano:”Non sognare…vuoi fare il disoccupato a vita?”. Poi è arrivata la telefonata inaspettata di un giornalista televisivo molto giovane che conobbi ad una manifestazione, circa 6 mesi fa. Sono stato assunto come collaboratore(lo stipendio è ridicolo ma è già tanto non dover scrivere gratis per mesi o anni come ha fatto mio cugino)e, addirittura, mi hanno detto che, se ho un’idea valida e originale, posso condurre una trasmissione televisiva tutta mia. Si tratta di una tv regionale, ovviamente ma, cazzo, come inizio non è per niente male, anzi! Dio ascolta sempre le mie preghiere ma ascolta ancora di più quelle di chi, come te, non crede molto nella sua esistenza;) E poi devo comunque ringraziarlo per avermi donato la gran faccia da culo che ho, la creatività infinita e la parlantina…tutte caratteristiche necessarie per chi, come me, sogna di lavorare comunicando.
Saluti
Ge

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 11:58 da Germano


Germano devo informarti che sono credente.
Tuttavia non credo che la provvidenza abbia tempo per le nostre misere questioni quotidiane. Credo abbia ben altro di cui occuparsi e di ben altra importanza…
Sono felice per i tuoi traguardi, ma sono convinto che la provvidenza c’entri ben poco.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:03 da eventounico


Non credo nè nel rigidismo nè nel permessivismo. Credo nel vecchio e sano buon senso e nella capacità di mediazione che un genitore deve svolgere tra una creatura indifesa (finchè lo è, ma deve essergli insegnato anche il modo di difendersi da sola – e non parlo naturalmente di revolver-) ed il mondo circostante. Credo nel dovere di difendere i propri figli (e ciò dovrebbe essere innato in un genitore, e di questo parla immediatamente “La Strada” ), ma purchè la difesa abbia anche potere educativo (non quella ad oltranza dei genitori di alcuni tipici bulli: “son solo ragazzate” anche quando magari si cimentano nella distruzione di un’aula scolastica, in estorsioni ai danni dei più piccoli e/o stupri di gruppo).
Credo che quella capacità di mediazione ed educazione imponga modalità diverse nelle diversità che il mondo circostante assume, non quindi “verticalmente” secondo lo schema “temporale” che suggerisce Massimo, ma in modo “orizzontale” ed estremamente variegato in base alle culture cui ci si deve confrontare (nelle quali ci si deve pur in qualche modo integrare, assumendo comunque prima o poi un ruolo al suo interno, qualsiasi esso sia, di accettazione o di contrapposizione) ed in base al carattere del bambino stesso ed alle difficoltà e disagi che dovesse palesare. Il difficile è saperli leggere.
Mi rendo conto di essere banale elogiando il buon senso (definizione peraltro assai vaga, mi rendo conto), ma la confusione la genera chi si affida a teorie figlie solo dei tempi (e che altri tempi spesso smentiscono: vedi Dr.Spock)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:27 da Carlo S.


Può anche darsi che tu abbia ragione, amico mio!!! Questo credo che non potremo mai saperlo con certezza,ovviamente…la questione sulla “provvidenza”, comunque, è molto ampia. Questa tua riflessione io l’ho fatta innumerevoli volte ma mi sono convinto che sia una sega mentale tutta umana. Sentir dire:”Dio ha altro di cui occuparsi” o “Dio non ha tempo per queste cose” mi fa venire da ridere…perchè dobbiamo pensare a Dio come ad un uomo. Noi uomini ragioniamo in relazione al tempo e valutiamo l’importanza delle varie “cose del mondo” con il nostro metro, incredibilmente lontano da quello dell’Onnipotente. Chi crede e crede sul serio, in tutto e per tutto, non si dice:”Ma vuoi vedere che Dio ha pensato proprio a me, oggi?”. E questo l’errore che commettiamo la maggior parte delle volte che parliamo di Lui(ed è un errore che, a mio parere, spesso fa anche la Chiesa)…lo facciamo da uomini e pensiamo a Dio come ad un uomo con poteri sovrannaturali. Bisognerebbe ,”semplicemente”, riuscire ad accettare ciò che si chiama “mistero” o infinito…ma oggi, per essere veramente cazzuti, bisogna saper per forza spiegare tutto, sennò si è creduloni superstiziosi,no?!:-P.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:27 da Germano


@ carlo:
io, invece, direi che auspicare buon senso, oggi come oggi, sia addirittura trasgressivo. buon senso, almeno per me, non significa moralismo, convenzioni e appiattimento. il buon senso serve anche e soprattutto rischiando il culo. per gestire le consenguenze del caso, direi

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:31 da Enrico Gregori


@Enrico…assolutamente in accordo con te!!!Oggi essere alternativi vuol dire, prima di tutto, non essere schiavi della trasgressione…

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:34 da Germano


@ germano
“Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” lo avevo letto anche io, venti e più anni fa. Le mie impressioni furono le stesse di Gea. Una decina di anni dopo cominciai a leggere il secondo libro di Pirsig, quello sulla barca a vela (non ricordo neanche il titolo) ma lo abbandonai dopo due o tre capitoli. Questo mi rese perplesso anche di fronte alle mie originali impressioni sul primo.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:37 da Carlo S.


Cazzo Enrì, dopo le speciali menzioni del Sozi, oggi anche il tuo accordo (e per proprietà transitiva anche quello di Germano)!
E’ la mia settimana fortunata ?

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:46 da Carlo S.


@Carlo. Beh io ho letto solo quello di Pirsig e quindi non saprei dirti ma, per farti un esempio, di Calvino ho letto quasi tutto e, alcuni libri(come “Ultimo venne il corvo”, ad esempio”) non mi sono piaciuti nemmeno un po’…questo però non mi ha fatto venire dubbi su ciò che mi avevano trasmesso tutti gli altri. Per rivalutare il primo libro di Pirsig, dovresti rileggere quello credo…uno stesso autore può scrivere libri che ami e che odi, immagino…almeno a me capita così^_^

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:48 da Germano


@ sergio, se e quando tornerà dalla vacanzetta:
la professoressa di Lettere di mio figlio (terza media) ha fornito ai ragazzi una scelta tra alcuni libri (tutti di autori italiani) da leggere a casa. Mio figlio, in assoluta autonomia, ha scelto “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
Avrei trovato inopportuno se l’insegnante avesse proposto anche libri di autori stranieri e, nel merito, sono decisamente soddisfatto della scelta fatta da mio figlio. Proposi strenuamente “Se questo è un uomo” come il libro da salvare nel 900 senza nulla togliere, ovviamente, al “vincitore” Calvino.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:50 da Enrico Gregori


@ carlo:
no, ti ritengo un cretino. ma siccome silvia pensa che tu sia un profondo intellettuale, io adulo te per far bella figura con lei
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:54 da Enrico Gregori


@ Enrico
Che figliolo in gamba! Tale padre, tale figlio (sarà proprio così?per me è una coincidenza :-) )

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:56 da Silvia Leonardi


@ silvia:
infatti, di solito la regola è che se il padre è molto intelligente, i figli sono degli imbecilli.
il tuo papà è un genio
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 12:58 da Enrico Gregori


@ Enrico
Io e mio papà siamo l’eccezione che conferma la regola: due geni!!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:09 da Silvia Leonardi


@ silvia:
allora sei anche molto modesta, perché che sei un genio lo vuoi tenere ben nascosto

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:12 da Enrico Gregori


già già ;-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:20 da Silvia Leonardi


@Enrico:”La modestia è una virtù nelle persone normali, ma nelle persone di talento è mera ipocrisia”…io la penso e la penserò sempre così!!!^_^
Io Silvia la inquadro tra le persone di talento, ergo;)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:32 da Germano


mi sto preoccupando.
il fatto di essere quasi sempre d’accordo con carlo ed enrico assomiglia da vicino ad una forma di perversione.
mi unisco ai fautori del buonsenso.
tra orizzontale e verticale scelgo diagonale. e pure con qualche curva.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:44 da gea


Io devo appartenere al più alle persone normali, non certo ai geni, dal momento che capisco ben poche delle cose che voi geni dite.

:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:48 da eventounico


Carlo, per la prima volta siamo in disaccordo. Lo Zen ecc. anni or sono lo trovai molto interessante.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:50 da eventounico


@ evento:
fammi finire il libro che to leggendo in questi giorni e poi passo al tuo. te lo dico io, poi, se sei un genio

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:50 da Enrico Gregori


Enrì, fammi un favore personale, lasciami nella pia illusione di essere quanto meno una persona di buon senso (Carlo 1 a 1 va…)

:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 13:58 da eventounico


Germano, sto scoprendo di avere con te diverse cose in comune…
(e grazie!) :-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 14:01 da Silvia Leonardi


@ silvia:
basta che respirano….
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 14:11 da Enrico Gregori


@Silvia. Idem…se poi per caso finisce che ci innamoriamo epistolarmente allora scriviamo un libro a 4 mani:-).
@evento. Non ho scritto:”Io la penso così perchè mi sento un talentuoso o un genio:-P” la mia frase era per Silvia e quindi è lei il genio in questione:-P. Io non sono ancora nessuno e non ho ancora fatto nulla di chè. Sono in accordo con quell’aforisma ma non mi sento un genio(quelli so di un altro pianeta^_^). Magari, un giorno, potrò anche asserire di sentirmelo cucito addosso;)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:07 da Germano


@ Germano
Dai, perchè no? Da quando ho incontrato Laura Costantini che scrive a quattro mani con Loredana Falcone l’idea mi sembra quanto meno divertente. Sui risultati non garantisco ;-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:28 da Silvia Leonardi


@evento
Ma quale disaccordo: sullo zen ho detto che all’epoca mi piacque moltissimo.Potrei aggiungere che lo considero un caposaldo delle mie letture giovanili. E’ al secondo libro di Pirsig che (10 anni dopo) ho avuto delle perplessità sull’autore. Dovrei rileggerlo (come dice Germano) per vedere che effetto mi può fare oggi.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:29 da Carlo S.


@carlo, allora siamo allineati.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:33 da eventounico


“La Strada” di Cormac Mc Carthy la considero un operazione di bassa macelleria editoriale. Un incrocio tra Farhenheit e “L’ultimo tragico Fantozzi” in salsa texana.
L’industria letteraria yankee, dopo il vuoto lasciato dalla bomba termonucleare Dan Brown aveva bisogno di costruire un ordigno economico di pari potenza ed ha sguinzagliato i suoi segugi alla ricerca dell’evento da mummificare, credeva di aver trovato un nuovo Bukovski in salsa esistenziale, un cocktail di De Lillo e John Fante da far bere ai teenageer, invece ha avuto più fortuna, ha trovato l’Allan Poe dell’apocalisse prossima ventura, uno che sintetizza le paure del 9/11 in acido lisergico ma le somministra ai cinquantenni: nessun ragazzo di buon senno (letterario) potrebbe cascarci. Le sue patacche psicologiche, non si sà quanto sue o quante pianificate a tavolino dai Gosth-writer professionisti hanno affascinato e, il mondo, quello avvolto dalla noia del disincanto, non aspettava altro. Quei deserti da “Settimo Sigillo”; la pistola: difesa o falce bergmaniana?
Il carrello del Mall, trascinato come raccoglitore di pensieri smarriti, deposito di sensi di colpa e angosce maschiste, purgatorio di pentitismo maschilista d’accatto. Il telo, ultimo retaggio della “plastica”, plastica-metafora dell’ultima guerra, combattuta, forse, in nome e “per” la plastica. Un patchwork infarcito di simboli, seducente e intrigante, appunto, per senili piagnoni post 11 settembre. Il bambino? Ininfluente ai fini dell’inchiesta, una suppellettile letteraria che serve ad organizzare “l’evento”: Cormac McCarthy, scovato nel suo paesino del New Mexico che scrive il capolavoro per gli sparvieri dell’editoria.
Forse lo leggerò, mi intriga questa mia recensione!

Giù le mani dalla Leonardi: ogni tanto Didò ritorna (avevo dimenticato dove avevo messo la pistola).

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:51 da francesco di domenico


@Silvia. Beh…sui risultati non garantisco nemmeno io!!!Sono un mago a lasciare cose(e libri) a metà…magari, scrivere un libro assieme a qualcuno, mi permetterebbe di ultimarlo;) Facciamo metà per uno, no?!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 16:58 da Germano


@ Didò
mi sei mancato…sentivo uno strano silenzio nell’aria :-)
@ Germano
tra un pò Massimo ci richiama all’ordine, praticamente stiamo chiacchierando di noi. Ci trasferiamo nella “stanza accanto?” :-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 17:40 da Silvia Leonardi


leggere, scriversi e leggersi un po’ riscalda, ma alla fine non resta niente

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 17:41 da giulio


@ Didò:
se sei mancato alla Leonardi, in pratica non sei mancato a nessuno. e la tua recensione fa cacare
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 17:54 da Enrico Gregori


Pensierini della sera:- Per essere un vero padre è necessario seguire la regola fondamentale:- ” Quando hai un figlio non ti curare di lui per i primi due anni”. Ernest Hemingway
” Quando avevo tredici anni pensavo di chiamarmi >”.
Joe Namath – Mes salutations les plus cordiales.
Tessy

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 18:10 da M. Teresa Santalucia Scibona


Chiedo venia, mi è scappata la parolina finale… “…..pensavo di chiamarmi
- zitto tu-”. Joe Namath – Ora è meglio che mi ritiri in buon ordine.
Tessy

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 18:19 da M. Teresa Santalucia Scibona


@ maria teresa:
questo vizio di fumarti sempre tutto da sola te lo devi togliere!
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 18:26 da Enrico Gregori


@Greg:
Sei fuori! Altro che fumare, tu nel Narghilè ci metti la grappa!
Ma non ti sei reso conto che ti stavo impippando?
Chi diavolo lo conosce stò McCarthy? Chi è il figlio di quel figlio di puttana che tentò di far arrestare Charlie Chaplin come comunista?
Comunque la mia è letteratura del niente, alla mia età è bello essere trash!

Quella poi, la Leonardi, te la raccomando, io le manco e s’apparta col ragazzetto che hai portato tu nella “Stanza accanto”.
Oddio, ti sta bene, così impari a fare il mentore per tutti i teenager che ti pagano il taxi (mò scateno una di quelle polemiche che non si sentivano dai tempi del Sommo Sozi)!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 19:41 da francesco di domenico


@ didò:
domani co’ silvia s’ cazzi tua! quanto a mccarthy forse è meglio che lo conosci…senza impegno

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 19:46 da Enrico Gregori


@Francesco di domenico. uashuahsuha…dai ragazzi non fate i gelosi!!!Noto che Silvia qui è parecchio adulata eh?!Tranquilli, comunque, io sto buono buono e non importuno nessuna giovane pulzella. Mi limito solo a seguire il cortese invito di Silvia e a non riempire di ulteriori OT questo bel post di Massimo(ma, a proposito, che fine ha fatto?).
Ps se lascio qui il mio contatto msn, credete che qualcuna si lascia affascinare e se lo segna?! uahsuahsuha…chissà Enrico come starà maledicendo il giorni in cui mi ha parlato di questo blog…però se volete sloggio:-P

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:01 da Germano


@ germano:
il giorno in cui mi dovessi preoccupare perché tu insidi una “pulzella” che interessa a me, me lo stacco e lo metto in bacheca
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:04 da Enrico Gregori


@Enrico. ah ah ah…allora speriamo che quel giorno arrivi presto:-) Prima di morire voglio vederle il tuo membro in bacheca..comunque, a mio avviso, tu hai sbagliato mestiere, o meglio, avresti dovuto integrarlo: dovevi fare pure il comico cabarettista…eccheccazzo! Ogni commento che scrivi mi fa scoreggiare dal ridere

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:21 da Germano


@ germano:
speriamo che quando leggi le mie battute tu sia solo

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:31 da Enrico Gregori


@Enrico. Ma la smetti?!Mia madre inizia a credere che io soffra di meteorismo. Speriamo solo che non mi vengano in mente i tuoi commenti mentre sono il dolce compagnia…sennò sai che figura de merda.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:37 da Germano


@ germano:
quando sei in dolce compagnia tu fai più bella figura se scorreggi piuttosto che se scopi

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:41 da Enrico Gregori


…… e comunque Amilcare è comprensivo
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:43 da Enrico Gregori


@Enrico..anche questo è vero!!! Lo ammetto…sono sempre stato una delusione a letto;( . ps Chi diamine è Amilcare?!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:50 da Germano


la tua dolce compagnia
:-)

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 20:54 da Enrico Gregori


@Greg:
Ci hai portato un avanzo di galera nel blog!
Questo ragazzino è la tua cattiva coscienza (se mai dovessi averne avuta una). Stai pagando a caro prezzo quei numeri di telefono che il teppistello ti avrà passato. Lui non parla, usa lo sfintere di un cammello per impastare un ragionamento; ricatta peggio di un terrorista Circasso; ha il vocabolario di un addestratore anatolico di bue castrato senza anestesia, ‘nzomma è il coatto pasoliniano che invece di tentare il business-movie va in giro con un vocabolario taroccato da dove estrae parole come carie di scimmia.
Hai coltivato una tenera erbetta nel tuo giardino, ma ti sei dimenticato i guanti per raccoglierla: è ortica!

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 22:33 da francesco di domenico


Bel post… Mc Carthy e genitori/figli.
A me ha fatto venire in mente Tom Cruise genitore alle prese conl’invasione degli extraterrestri… Vero è che queste sono tutte fantasie post-11 settembre e che gli Americani ce le presentano in tutte le salse, però questo problema del rapporto padre/figlio sollevato da Mc Carthy è interessante. Oggi Stefano Zecchi a Unomattina – non mi crocifiggete, avevo la febbre – ha detto: Non chiamiamo più “materna” la scuola dell’infanzia perché la figura del padre è stata troppo messa in secondo piano. Si è mammizzata troppo la scuola…
Zecchi tanto torto non ha, perché l’insegnamento sta diventando una professione tipicamente femminile e dato che tanti ragazzi hanno solo la mamma perché i padri sono spesso a ramengo ecco che la società è un mammizzamento a tutto spiano con ciò che ne consegue.
è quasi mezzanotte e la Riccioli vaneggia…
Voglio dire che spesso il lavoro “sporco” è fatto quasi solo dalle mamme e questi padri tutte smanie di paternità, molto astratta peraltro, perché essere genitore è pannolino, Ventolin, calcetto, lezioni di danza, pizza del sabato, chat, Messenger, compiti, melocomprilmotorino-tigiurochemimettoilcasco . . . proprio non mi convincono. Chi sta notte e giorno nei reparti di encoematologia a seguire i bimbi malati di cancro o leucemia? Per il 99% le mamme – perché i papini non ce la fanno, è troppo per loro… Da che mondo è mondo, pare che la mater dolorosa sia uno status insito nel DNA delle donne…
A parte le debite eccezioni.
Oggi l’autoritarismo è scomparso – vivaddio – ma è stato sostituito da cosa? Da figure poco autorevoli, da due di coppe quando la briscola è a mazze. Basta vedere come si comporta il tipico pargolo italiota in pizzeria o al centro commerciale – pizze pagate sangue di papa sputacchiate perché “fanno schifo”, “non la voglio più”, roba che ai miei tempi era da calci alle gengive, “lo voglio, lo voglio, lo prendi? ih ih ih…” e il debole no si trasforma in carrello pieno.
Scusate lo sfogo ma i ragazzi oggi vorrebbero regole, qualcuno che insegnasse come stare a questo mondo, non genitori o pseudo tali che per placare i sensi di colpa li riempiono di soldi, comprano loro mp3, pc, l’ultimo cellulare, le Hogan da 280 euro etc etc…
Chiusa parentesi e lo sfogo da insegnante che sa che quando l’alunno irrequieto si alza senza permesso lo fa perché nessuno gli ha insegnato a stare a tavola: a casa a pranzo e a cena invece si guarda la tv, senza chiedere permesso né scusa si porta il proprio piatto in camera per chattare senza condividere niente con la propria famiglia se non la casa e il cognome – non sempre.
Letteratura americana. Sozi ha ragione ma condivido il pensiero di Massimo: gli americani hanno contribuito a svecchiare la nostra letteratura che specie ai tempi di Vittorini era un po’ troppo rondista e leccata… Anche io penso però che l’americanismo a tutti i costi sia puro servilismo e snaturi quella che è stata ed è la nostra tradizione.
Dovrei leggere il libro per dire di più. Comunque gli americani ce l’hanno con questa figura dei padri – i padri fondatori, i padri della costituzione, i padri che li hanno mandati a morire nel Vietnam in Corea in Afghanistan in Iraq perché era loro dovere scannare i padri e le madri e i figli degli altri… Vero è che alcuni di loro ci hanno liberati. Grazie. Ma sono sessant’anni che paghiamo il conto.

Postato lunedì, 21 gennaio 2008 alle 23:32 da Maria Lucia Riccioli


@ Didò
Hai dimostrato come è possibile recensire (o peggio, stroncare) un libro senza averlo nemmeno letto e avere la più pallida idea di chi sia l’autore.
Bravo!
:)

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:10 da Massimo Maugeri


@ Maria Lucia
Grazie per questo tuo intervento che – in un certo senso – rilancia il dibattito

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:10 da Massimo Maugeri


@ Maria Lucia:
hai fatto bene a premettere di avere la febbre. A leggerti, infatti, i figli da te dipinti sembrano usciti da “New York 1999″. Sputano la pizza, rompono le palle anche se le cose vanno bene e, indecisi se andare al cinema o a fare uno scippo, ingannano il tempo stuprando la compagna di banco. Almeno in 5, si intende.
In tutto ciò, se la madre un po’ s’affanna, il padre come minimo se ne fotte rimanendo in ufficio a palpeggiare il culo della segretaria. E poi no, non c’è speranza che la famiglia si riunisca manco al capezzale del bambino morente di cancro.
Bè, insomma, in confronto alla tua “coventry”, le macerie di McCarthy sono roba da torte in faccia.
Tachifluidek, baby. E rimettiti presto, sennò al tuo prossimo intervento ci spariamo tutti nei coglioni.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 00:32 da Enrico Gregori


Approfitto di queste ultime battute per rammentare una bellissima storia di amore paterno, tutta italiana, che mi ha a suo tempo molto commosso, e che pure ha per scenario le atrocità di una guerra crudele e assurda.
Parlo della ‘Vita è bella’ di Benigni, il film che ha vinto l’Oscar.
Anche in questo contesto il protagonista è un bambino, il cui padre cerca in ogni modo, anche a scapito della propria vita, non solo di salvare, ma anche di tenere all’oscuro di una realtà tragicamente insostenibile.
Mi rendo conto del confronto troppo ardito, che spero mi perdonerete, ma mi preme far notare come il pensiero di Benigni sia un passo più avanti, in quanto volto non solo alla sopravvivenza del figlio, ma anche alla salvaguardia di quei valori di innocenza, positività creativa e leggerezza che soli possono redimere il passato e costruire un futuro sereno.
Comunque domenica,nell’unico momento di libertà della settimana mi sono recata in libreria ad acquistare ‘La strada’, che mi riprometto senz’altro di leggere, arricchita di tutti i vostri interessamti commenti.
Ringrazio, purtroppo con grande ritardo, il gentile Sergio, Gianmario per i complimenti, se legge, e Zauberei per il consiglio di candidarmi, cosa che mi piacerebbe perchè in politica non ci si annoia mai,almeno penso, ma per la quale sono completamente negata.
Un caro saluti a tutti. ‘Notte.
Cyprea

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 01:24 da CYPREA


@Maria Lucia:
Intervento splendido, di quelli che ti riescono (parlo per me) rare volte e devi avere la febbre o essere brillo (parlo per me): complimenti hai riabilitato una categoria che consideravo di rubastipendi, e qui da noi lo sono (parlo di Napoli). Io non sono intervenuto su questo ragionamento perchè troppo di parte (insegnanti che hanno chiuso un occhio su fenomeni gravi di bullismo subiti dal mio ragazzo e che ho reiscritto in una splendida scuola cattolica, io laico-comunista, dove ha ripreso a vivere), sono troppo scottato dall’acqua calda e, comunque con la poca autorità e il ragionamento, con l’amicizia padre-figlio, tanto deprecata dai sociologi l’ho salvato dall’annientamento psicologico e da…forse altro.
Te voglio bene Maria Lucì!

p.s. Gregori conosce solo gli happy hour’s, i ragazzi che tu descrivi sono proprio così, parola di chi va in giro per “Tanto Mondo”.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 12:51 da francesco di domenico


@ didò:
vai in giro per tanto mondo, ma ti manca di andare dove ti manderei io. anche in autobus, se gradisci

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 13:58 da Enrico Gregori


sarà il taglio giornalistico o non so cosa, ma le scribacchiate del Gregori sono le più gustose. no?

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 15:12 da giulio


I canadesi in compenso, fanno progetti per inserire figure maschili nell’insegnamento pubblico, la qualcosa serve molto a contrastare la delinquenza minorile. Toccherebbe farlo anche qui.

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 17:14 da zauberei


Beh, la febbre è passata il rafreddore è rimasto. Comunque.
Sì, io passo dal sense alla sensibility – poco austeniana, me ne dolgo – nel giro di poco e ringrazio chi me lo fa notare.
Ma avete provato a vedere un Harry Potter allo spettacolo pomeridiano? La maggior parte dei pargoli non ti permette di capire se le patatine che volano sono un real effect o le ha sputate fuori la bacchetta del mago…
@ Didò: mi dispiace che tu abbia trovato dei mangiastipendio e che per assicurare un’istruzione decente e soprattutto serena tu abbia dovuto mettere mano al portafoglio. Tutto questo è segno che la scuola italiana in qualcosa, in troppo forse, ha fallito. Lo Stato ancora discute di esami di riparazione e di farse varie che per noi si traducono in perdite di tempo e in un carico di lavoro sempre più stressante.
Io ho lavorato per sei anni alle elementari e so di cosa parlo. I bambini del Mulino Bianco non sono mai esistiti e oggi più che mai. Da tre anni insegno nei licei e tutto si è allentato: la disciplina, l’autorità, la serietà dell’insegnamento… Prima di puntare il dito ho fatto e faccio sempre autocritica. Ogni giorno in discussione. Ma spesso mi stanco e, quel che è peggio, vedo le stesse cose negli sguardi dei colleghi. Delusione. Disorientamento. Dove abbiamo sbagliato? Cosa potremmo fare?

Postato martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:38 da Maria Lucia Riccioli


Libro totalmente inutile. La mia piccola quanto insignificante recensione qui .

Postato domenica, 3 febbraio 2008 alle 12:59 da Carlo


@ carlo:
la tua recensione non è inutile, è semplicemente tua e quindi si può condividere oppure no. io personalmente la trovo un po’ sbrigativa. in effetti anche a pagina 7 dei promessi sposi si capisce che a renzo e lucia romperanno i coglioni in vario modo ma poi si sposeranno. in un certo senso, allora, anche il manzoni ci scassò inutilmente le palle con pagine e pagine sulla successione del ducato di mantova. io non la penso così, ma c’è chi potrebbe farlo.

Postato domenica, 3 febbraio 2008 alle 13:48 da Enrico Gregori


Io ho letto La strada prima di aver letto qualsiasi altro romanzo di McCharty (adesso sto leggendo Cavalli selvaggi che seppur bello è imparagonabile a questo) e devo dire che mi ha dato una sensazione di novità assoluta, come se non avessi mai letto niente del genere. In realtà il ritmo della narrazione è molto simile come “potenza di fuoco” all’Hemingway dei primi racconti, ma con una punta di dolore in più per l’abbandono forzato della relazione privilegiata che si instaura tra uomo e natura. La fratellanza tra gli uomini e il concetto di società, questo è ovvio, svaniscono in una nuvola di fumo (anzi, di cenere) tra le macerie di un mondo che sembra lontano anni luce e magari è più vicino a noi di quanto crediamo. quello che mi ha colpito di più dell’universo narrativo evocato da McCharty è lo speciale rapporto padre-figlio; molti hanno insistito sull’amore unico e sulla devozione che li uniscono. Io volevo piuttosto porre l’accento sull’amore MALGRADO LE DIFFERENZE; infatti il divario tra i due è molto più che un semplice divario generazionale. L’uomo continua a vivere anche grazie ai ricordi del mondo passato, che riporta alla mente con parsimonia per paura di alterarli e che, se diluiscono il travaglio del vivere quotidiano, acuiscono il dolore della perdita. Il bambino è nato in quel mondo, conosce solo quel mondo e i racconti del padre rimangono tali, non acquistano una fisicità,una connotazione visiva. Nonostante questo fortissimo motivo di contrasto, il bambino si affida al padre in un rapporto di fiducia totale e di totale remissione: è il padre a decidere chi sono i “buoni”, ed è per lui anche amico, confidente spirituale, guida necessaria a distinguere i pericoli della “strada”.

Postato mercoledì, 23 aprile 2008 alle 21:00 da tommy


Complimenti a Tommy per la recensione. Bravo veramente.
Sozi

Postato mercoledì, 23 aprile 2008 alle 21:50 da Sergio Sozi



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