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venerdì, 12 dicembre 2008

LA NECESSITÀ DI SCRIVERE PER LE CLÈZIO, Premio Nobel per la Letteratura 2008

Il 10 dicembre, a Stoccolma, si è celebrata la cerimonia della consegna del Premio Nobel per la Letteratura attribuito – com’è noto – a Jean-Marie Gustave Le Clézio (ne abbiamo discusso qui).
Su Repubblica del 9 dicembre 2008 (cfr. pag. 43, sezione “Cultura”) è stato pubblicato una parte del discorso che Le Clézio ha tenuto il sabato prima – sempre a Stoccolma - durante una conferenza (l’intero discorso è disponibile sul sito del Nobel).
Vi propongo di seguito il testo, giacché contiene spunti molto interessanti (che integrano il post sul “perché scrivere” che avevo pubblicato in seguito al contributo di Ferdinando Camon).
In effetti il testo di Le Clèzio comincia con la seguente domanda: Perché si scrive?

Vi anticipo alcuni passaggi che potrebbero fornire lo spunto per una discussione. Naturalmente vi invito a leggere l’intero pezzo (dato che leggere solo alcune frasi estrapolate da un testo può essere fuorviante).

Dice Le Clèzio:

- Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere.

- Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone… quando nella maggior parte dei casi altro non è che un semplice spettatore.

- Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. (…) E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere.

- Con quale diritto pretendere di essere migliori? Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni? (…) Come potrebbe mai agire lo scrittore, se altro non sa che ricordare?

- La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo.

- Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio.

E adesso… a voi.
Cosa ne pensate? Qual è il “passaggio” con cui vi sentite più in linea? E quello con cui siete in disaccordo?
(Ammesso che ci sia)

Massimo Maugeri

____________

La necessità di scrivere
di Jean-Marie Gustave Le Clézio

Perché si scrive? Immagino che ciascuno abbia una sua risposta a questo interrogativo così semplice. Contano le predisposizioni, l’ ambiente, le circostanze. Le inettitudini, anche. Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere. Se analizzo le circostanze che mi hanno condotto a scrivere – non lo faccio per gentilezza, ma per premura nei confronti della precisione – noto che come punto di partenza nel mio caso c’ è la guerra. La guerra, intesa però non come un grande periodo di sconvolgimenti, nel quale si vissero avvenimenti storici e decisivi, come la campagna di Francia raccontata dai due versanti del campo di battaglia di Valmy, per esempio, da Goethe sul versante tedesco e dal mio antenato Francois sul versante dell’ armata rivoluzionaria. Racconti esaltanti, travolgenti. No, la guerra per me è quella che vivevano i civili e soprattutto i bambini piccoli. Nemmeno per un istante mi è mai parsa un momento storico. Avevamo fame, avevamo paura, avevamo freddo: questo è quanto. Ricordo di aver visto sfilare sotto la mia finestra le truppe del maresciallo Rommel che risalivano le Alpi alla ricerca di un passaggio verso il nord dell’ Italia e dell’ Austria. Quell’ avvenimento non mi ha lasciato un ricordo particolarmente indelebile. Al contrario, negli anni che hanno fatto seguito alla guerra, ricordo molto bene di essere stato sprovvisto di tutto, e specialmente di che scrivere e di che leggere. Mancava la carta, mancava la penna a inchiostro. Disegnai e scrissi le mie prime parole sul retro delle tessere del razionamento, servendomi di una matita da falegname blu e rossa: da ciò nacque in me una certa predilezione per i supporti ruvidi e per le matite ordinarie. Mancando i libri per l’ infanzia, lessi i dizionari di mia nonna. Erano meravigliose rampe di lancio per partire all’ esplorazione del mondo, per vagabondare col pensiero e sognare davanti alle tavole illustrate, alle cartine geografiche, agli elenchi di parole sconosciute. Il primo libro che scrissi, all’ età di sei o sette anni, del resto si intitolava “Le Globe à mariner”, seguito pochissimo tempo dopo dalla biografia di un re immaginario denominato Daniel III – era forse svedese? – e da una favola raccontata da un gabbiano. Quello fu un periodo di reclusione. I bambini non avevano neppure la libertà di uscire a giocare all’ aperto, perché i terreni e i giardini situati nei pressi della casa di mia nonna erano stati minati. Casualmente, nel corso delle mie passeggiate, ricordo di aver costeggiato una volta una recinzione di filo spinato sistemata lungo il mare e di aver letto appeso ad essa un cartello in francese e in tedesco, che proibiva l’ accesso a chiunque, con tanto di teschio.
I libri sono entrati nella mia vita un po’ dopo, sotto forma di varie raccolte di libri che mio padre era riuscito a mettere insieme: provenivano dalla dispersione della sua eredità avvenuta quando era stato espulso dalla sua casa natale di Moka, nell’ isola Mauritius. Fu allora che capii quella verità che non è mai percepita con immediatezza dai bambini, ovvero che i libri sono un tesoro più prezioso dei beni immobili o dei conti in banca. Fu in quei volumi – in linea di massima antichi e rilegati – che scoprii i grandi testi della letteratura universale, il Don Chisciotte illustrato da Tony Johannot, La vita di Lazarillo de Tormes; Le leggende di Ingoldsby, I viaggi di Gulliver; i grandi romanzi ispirati di Victor Hugo, Novantatré, I lavoratori del mare, o L’ uomo che ride. E anche Le sollazzevoli istorie di Balzac. Ma i libri che mi sono rimasti maggiormente impressi furono le raccolte di storie di viaggi, per la maggior parte dedicati all’ India, all’ Africa, e alle Isole di Mascareigne, come pure i grandi resoconti delle esplorazioni, di Dumont d’ Urville o dell’ Abbé Rochon, di Bougainville, di Cook, e ovviamente il Milione di Marco Polo. Nella vita del tutto insignificante di una piccola borgata di provincia intorpidita e sonnolenta, dopo gli anni di piena libertà vissuti in Africa, quei libri mi trasmisero il gusto dell’ avventura, mi permisero di farmi un’ idea della grandezza del mondo reale, di esplorare con l’ istinto e i sensi piuttosto che con la conoscenza diretta. In un certo senso mi permisero di comprendere molto presto la natura contraddittoria della vita infantile, che conserva un rifugio nel quale può dimenticare la violenza e le ostilità, togliendosi il piacere di osservare la vita esteriore dal quadrato della sua finestra.
Allora, perché scrivere? Lo scrittore – già da tempo – non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone. Si osservi questo altro albero nella foresta dei paradossi: lo scrittore vuole farsi testimone, quando nella maggior parte dei caso altro non è che un semplice spettatore. Lo scrittore non può essere miglior testimone di quando lo è suo malgrado, a malincuore. L’ assurdo è che ciò che egli testimonia non è ciò che ha visto, né ciò che ha inventato. L’ amarezza, talvolta la disperazione, nasce dal fatto che egli non è presente alla requisitoria. Tolstoj ci fa vedere il male che l’ armata napoleonica infligge alla Russia e tuttavia nulla è cambiato nel corso della Storia. Madame de Duras scrive Ourika, Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom, ma sono i popoli resi schiavi a cambiare il proprio destino, a ribellarsi e a fondare contro l’ ingiustizia i movimenti di resistenza dei fuggitivi, in Brasile, in Guyana, alle Antille e infine a fondare ad Haiti la prima repubblica di neri. Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. Scrivere, immaginare, sognare, affinché le proprie parole, le proprie invenzioni, i propri sogni intervengano nella realtà, cambino gli animi e i cuori, spalanchino un mondo migliore. E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere. Con quale diritto pretendere di essere migliori? Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni? Non si trova egli piuttosto nella posizione della guardia campestre che nell’ opera teatrale Knock, ovvero il Trionfo della Medicina, vorrebbe addirittura impedire un terremoto? Come potrebbe mai agire lo scrittore, se altro non sa che ricordare?
Non intendo in ogni caso crogiolarmi in un atteggiamento negativo. La letteratura – ecco dove volevo arrivare – non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo. Due sono le motivazioni di questa esigenza: prima di tutto la letteratura è fatta di linguaggio. È il suo significato primo: lettere, ovvero ciò che è scritto. In Francia la parola “romanzo” indica quegli scritti in prosa che utilizzavano per la prima volta dal Medio Evo la nuova lingua che tutti parlavano, la lingua romanza. La “novella” nasce anch’ essa da questa idea di novità. Più o meno nel medesimo periodo, in Francia si smise di adoperare la parola “rimeur” (“compositore di rime”), per parlare invece di poesia e di poeti – derivanti dal verbo greco poiein, creare. Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’ invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. Senza il linguaggio non ci sarebbero le scienze, non ci sarebbe la tecnica, non ci sarebbero leggi, non ci sarebbe l’ arte, non ci sarebbe l’ amore. Ma questa invenzione, senza l’ apporto di qualcuno che la trasmetta, diventa virtuale, teorica. Può diventare anemica, ridursi, sparire. Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio. Lo celebrano, lo affinano, lo trasformano, perché il linguaggio vive attraverso di loro, grazie a loro e accompagna le trasformazioni sociali o economiche della loro epoca.
(traduzione di Anna Bissanti)
Jean-Marie Le Clézio


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Scritto venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:09 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

234 commenti a “LA NECESSITÀ DI SCRIVERE PER LE CLÈZIO, Premio Nobel per la Letteratura 2008”

Avevate già avuto modo di leggere questo testo?
Io l’ho trovato molto interessante.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:11 da Massimo Maugeri


Vi ri-segnalo i passaggi – a mio avviso – cruciali…

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:11 da Massimo Maugeri


Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone… quando nella maggior parte dei casi altro non è che un semplice spettatore.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. (…) E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:13 da Massimo Maugeri


Con quale diritto pretendere di essere migliori? Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni? (…) Come potrebbe mai agire lo scrittore, se altro non sa che ricordare?

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:14 da Massimo Maugeri


La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:14 da Massimo Maugeri


Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:15 da Massimo Maugeri


E allora?
Cosa ne pensate?
Siete d’accordo su tutto?

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:15 da Massimo Maugeri


Se individuate altri passaggi (a vostro giudizio) “cruciali”, sui quali sipotrebbe discutere… segnalateli pure.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:16 da Massimo Maugeri


Il secondo passaggio è quello che in qualche modo mi trova più d’accordo.
In fondo la scrittura come una sorta di saggezza preterintenzionale messa a disposizione della inadeguatezza.
Inadeguatezza che non scaturisce dalla pavidità, quanto invece dalla conoscenza dell’animo umano e della certezza che qualunque azione finirà per causare conseguenze difficili da prevedere.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 22:52 da outworks110


intanto il punto 1:
non è detto che si scriva per sfuggire a una realtà che non piace. o meglio, può non essere così. magari si vuole creare una realtà parallela a quella vera per viverle entrambe

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 23:19 da enrico.gregori


Grazie Outworks, grazie Enrico…
ritornerò sui vostri commenti domani.
Per il momento auguro buonanotte a tutti gli amici di Letteratitudine.
;)

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 23:28 da Massimo Maugeri


Penso che l’affermazione importante di Le Cleziò, quella più produttiva di una discussione sia la prima: ’scrivere significa non agire’. Le altre sono conseguenti e coerenti a questa. Tuttavia, l’affermazione, tanto è perentoria quanto è sfuggente se la si considera anche semplicemente alla luce di quello che Le Cleziò afferma successivamente. nel prosieguo del suo discorso, e anche a una considerazione più attenta dell’affermazion e in sè.
E’ evidente che se ci riferisce in senso stretto all’atto dello scrivere in sè, si tratta di un esercizio solitario, silenzioso, senza movimento alcuno se si esclude quello della mano che scorre sul foglio di carta o che pigia i tasti di una tastiera di computer. Il movimento, connesso per definizione all’azione è del tutto o quasi assente, anche se allarghiamo generosamente il campo fino le camminate intorno alla stanza mentre si medita ecc. ecc.
Se consideriamo però l’influenza che certi libri hanno avuto nel tempo, il discorso si complica e fra l’altro Le Cleziò sceglie esempi che, almeno per quel che mi riguarda, mi sembrano sbagliati. La famigerata Capanna della zio Tom è stata per molte generazioni fino alla mia un libro cui molti (me compreso), devono certamente un pezzo del loro sentimento antirazzista, anche se si tratta di un romanzo noioso e illeggible se si prentende di leggerlo per intero (ma a me lo raccontava e leggeva mia madre nella versione per bambini; e si tratta, sia detto per inciso, di uno di quei casi in cui la versione ridotta rende un bel servizio all’originale!). Se sommiamo le piccole e grandi azioni di coloro che si battono contro il razzismo e che hanno tratto ispirazione anche dale parole del romanzo in questione, si sarebbe tentati di dire che l’influenza della letteratura sull’azione è addirittura enorme. Se mai la domanda di oggi è un’altra: conta ancora così tanto la letteratura? E qui mi fermo. Franco Romanò

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 23:37 da Franco Romanò


Mi pare molto bello questo concetto di Le clezio, anche se non credo sia sempre vero, o forse ha qualcosa di logicamente vero ma non sempre attuale mentre si scrive.
Cioè c’è il caso che io non abbia alcuna voglia di agire.
Io ho pensato che tra i mille motivi della scrittura c’è un bel concetto di Piperno: lo scrittore è sempre un reazionario: uno cioè che vuole fissare qualcosa che c’è stato, se non altro nella sua mente, e che è destinato ad andare perduto se non è raccontato. La scrittura anche fantascientifica ha sempre questa vena di sehnsucht. Ecco, sehn viene da sehen vedere, sucht viene da suchen cercare. La ricerca di un qualcosa che si è visto.
La scrittura come una specie di nostalgia platonica.

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 23:56 da zaub


Bella trattazione. Adesso non ne ho voglia, ma in questi giorni mi leggero’ per intero il discorso di Le Clezio per dire la mia – se avro’ da dire qualcosa, visto che dopotutto preferisco la scrittura stessa al parlare di scrittura.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 00:09 da Sergio Sozi


“Se si scrive… non si agisce… si sceglie un altro mezzo per intervenire…” Si, preferisco scrivere piuttosto che parlare, ma ciò non toglie che io agisca: scelgo semplicemente il modo che più mi si confà. “…non inventano la lingua, ma la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini… fano vivere il linguaggio…” bellissimo. E io non credo che “il vento della società” disperderà proprio tutte le parole…
Lauretta Chiarini.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 00:16 da Lauretta Chiarini


[...] Credit: LA NECESSITÀ DI SCRIVERE PER LE CLÈZIO, Premio Nobel per la Letteratura… [...]

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 00:47 da LA NECESSITÀ DI SCRIVERE PER LE CLÈZIO, Premio Nobel per la Letteratura…


Non condivido personalmente l’idea che se si scrive non si agisce; la scrittura è già azione. Sappiamo quanto la divulgazione di idee attraverso i i libri ebbe parte essenziale nel preparare il terreno su cui poi sarebbe scoppiata la rivoluzione francese. Probabilmente lo scrivere comporta differenze in base allo scopo per cui si scrive e al contesto in cui lo si fa, ma mi chiedo: i romanzi di Pasolini o certi racconti di Calvino non hanno entrambi un contentuo di protesta (ironica, esplicita…)? Quindi non sono già azione? Non ho mai creduto allo scrittore escluso dal mondo, chiuso nella sua torre d’avorio, né tanto meno allo scrittore che deve considerarsi apoltico. Perché un artista dovrebbe essere al di sopra delle parti? il mondo rappresentato (descritto, dipinto, musicato, drammatizzato) corrisponde ad una visione soggettiva (avviene anche nel realismo più puro) e se si è onesti fino in fondo nel creare un’ opera, allora viene fuori tutto il credo interiore di quell’ artista. Bisognerebbe parlare anche di ideologia e non solo di azione.

Tuttavia: che posto occupa allora la scrittura d’ evasione?

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 10:31 da Sabina Corsaro


P.S. : caro Massimo mi sono permessa di passare questo interessante argomento (citando la fonte ovviamente) sul forum della facoltà, spero non sia un problema. Io parlo sempre di Letteratitudine, lo considero uno dei migliori blog letterari attuali e non è una frase fatta, sono molto selettiva al riguardo e non facilmente sono stimolata dalle novità letterarie, deve valerne la pena.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 10:33 da Sabina Corsaro


Non credo che chi scrive non agisca.
Credo che agisca in modo diverso dagli altri. Non solo per sovrapporre una realtà letteraria a quella quotidiana, ma anche per recuperare.
Credo che scrivendo non si ricordi soltanto. Non è cioè esclusivamente un’operazione di approfondimento della memoria. Ma si vada oltre. Si tenti di superare un limite che somiglia a un salto nel futuro ed è invece la spinta a trovare ciò che ci manca.
L’incompletezza non coincide necessariamente con l’insoddisfazione della propria condizione attuale. Ma ha naura spirituale. E’ evocazione di un paradiso perduto, di qualcosa che noi sappiamo di riuscire solo a immaginare. In questa tensione per afferrarlo , in questo sforzo dolente -lacerante a volte – eroico , si collocano le parole.
Ecco perchè cominciare a scrivere una storia coincide sempre con un viaggio dentro di noi che non sappiamo dove approderà e che – alla fine -ci avrà cambiati.
Scriviamo perchè qualcosa ci manca. Ed è l’eternità delle cose.
Scriviamo contro la morte e contro la fine, scriviamo e ci ostiniamo a scrivere perchè vogliamo sopravvivere.
La parola è la migliore invenzione delle nostre esistenze inventate, l’ombra di un’ombra, il dormiente che sogna di sognare.
E’ una manciata di sabbia contro l’incedere della risacca.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 10:49 da Simona Lo Iacono


Sono con Sabina Corsaro: son anchi’io dell’opinione che scrivere è uno dei modi di agire. Non di fuggire dalla realtà, anche se a volte potrebbe sembrarlo. Ma non credo ad una fisica dominata dai moti rettilinei, molto teorica ed astratta (la fuga come moto rettilineo da un punto ad un altro). Einstein credo ci abbia insegnato che l’universo è curvo. I moti dominanti sono spiraloidi, e io credo lo siano anche quelli dell’animo. Si scrive (a volte) per fuggire apparentemente la realtà ma poi se ne diventa testimoni proprio così facendo e ci si differenzia così dal semplice spettatore privo di capacità d’azione. Ma stiamo già passando al secondo argomento (seguendo un moto spiraloide).

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 11:21 da Carlo S.


Mi son incrociato con Simona. Lei attraverso immagini letterarie poetiche, io inseguendo le leggi della fisica, ma diciamo un po’ le stesse cose. Solo che le mie sono molto più confuse.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 11:26 da Carlo S.


Io sono d’accordo con questa cosa che scrivere sia un agire. Però la capisco questa sensazione di cui parla Le Clezio. Credo che sia uno stato emotivo, che risente di una qualche remota frustrazione di una consapevolezza di certe dinamiche personali. La letteratura è un’azione ma nella stragrande maggioranza dei casi ha degli esiti – lenti e non lampanti. Non ritornano indietro subito, per te che agisci. Per me che leggo e sono folgorata può essere altrettanto forte che per me che sono salvata da un pescecane, ma la differenza di percezione di ritorno tra il salvatore da pescecani e lo scrittore di libri contro i pescecani è abissale.
In certe circostanze storiche questa differenza è cattivissima con gli scrittori. E queste parole di Le Clezio mi ricordano molto un’intervista – stupenda – che Amos Oz rilasciò a Gad Lerner per il lancio del suo fantastico “Una Storia d’Amore e di Tenebra” e che parlava di questa stessa sublimazione dell’agire che è lo scrivere.
a voja a scrivere romanzi che facciano riflettere e cambino le sorti di una terra infelice. Una terra piena di morti. Prendere un bambino e toglierlo dalle bombe a te che agisci ti da tutt’altra sensazione. Sentire di non essere in grado tutt’altra frustrazione.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 11:45 da zaub


Cioè naturallement asaluto carlo S e Simona.
E pure l’artri dato che ci sono.
Eh:)

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 11:45 da zaub


Caro Massimo, ci ho dovuto pensare: ci chiedi di scegliere, e hai ragione, altrimenti sai che casino?, e allora scelgo tra i paragrafi dell’articolo che naturalmente avevo letto. Credo che molti scrivano per necessità, e tra questi metto anche coloo che scrivono senza avere la certezza di essere pubblicati. Tutti noi, uomini e donne, vecchi e giovani, desideriamo essere migliori di quello che siamo, ma non è questo… il movente della scrittura. Scrivere risponde a un bisogno e, come scriveva la Woolf, è un bisogno che si può soddisfare senza spendere soldi, ma dedicando alla scrittura il proprio tempo, le proprie energie, mettendosi a nudo. Poi, se c’è qualcuno (lettore) che condivide, che dalle nostre parole trae spunti, emozioni, specchi nei quali riflettere anche un angolo di sé, significa che la scrittura non accade invano. Scrivo accade, perché le parole fluiscono a volte veloci, spesso lentamente, in modo inconscio, soprattutto se parliamo di romanzi o racconti, di testi cioè che prescindono dall’accuratezza storica o nozionistica. La scrittura è uno spazio di libertà e Dio solo sa quanto bisogno di libertà ci sia, di questi tempi. Ha ragione il signor Nobel, quando scrive che “La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo”, e lo scrive una che adora il cinema, che si perde al cinema, che spesso se lo gode (scappando dall’ufficio come una scolara che “bigia”) nel pomeriggio. Eppure il piacere della solitudine con un romanzo tra le mani è immenso e insostituibile, trasporta altrove e non importa che raggiunga lo scopo che si è prefisso l’autore ( e poi perché prefiggersi uno scopo???), importa che l’emozione che nasce dalle parole arrivi. Ogni volta è una sorta di miracolo, un miracolo laico, la magia che sprigiona da un libro. Un miracolo semplice e accessibile. Sostenibile, si direbbe oggi. Economicamente sostenibile, per tutti. Un libro costa meno di una boccetta di profumo, costa quanto una scatola di cioccolatini, un libro può costare pochissimo (si può acquistare anche usato, a pochi euro) e rendere moltissimo. Lo scrittore dunque non ha obblighi morali e nemmeno pretendere di rendere migliori gli altri. Lo scrittore deve solo regalare una storia, essere cronista di emozioni, e già è tanto se riesce in questa impresa. Come scrive Mister Nobel “i romanzieri sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio”. Le parole salvano la vita. Io credo. Ti invito a riprendere sul blog il bellissimo, umano e semplice testo, l’orazione funebre di J. Frenzen nella giornata che ha voluto ricordare Wallace lo scorso 23 ottobre: ecco il caso di un autore geniale e straordinario (infinite jest è complesso ma bellissimo, lungo e impedibile) che non è riuscito, con le parole, a salvare se stesso dalla depressione profonda. E’ un testo (pubblicato dal Corriere della Sera) morbido, sincero, degno. Il tentativo, attraverso le PAROLE, di racontare il dolore per un amico scomparso per sua volontà. Le parole salvano la vita. Non sempre.
Paola Calvetti

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 12:21 da paola calvetti


Essì Zau, ci sono (ci sono sempre stati) uomini d’azione e uomini di pensiero. A ognuno la sua vocazione. Forese Le Clèzio, con quella faccia che sembra l’antagonista di Sylvester Stallone in Rocky, avrebbe voluto appartenere alla prima categoria. Si troverebbe nella seconda suo malgrado causa frustrazione? Forse.
Io alla prima non ho neanche mai sognato di appartenere. Sarà che non ci ho il fisico. Le mie frustrazioni nascono semmai dal non appartenere neanche alla seconda.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 12:26 da Carlo S.


Per scrivere è necessario vivere. L’arte si alimenta di vita, sempre.
L’atto della scrittura è vita. Creazione. Scoperta. Sospendo l’azione fisica (forse) mentre scrivo, ma scrivo perchè ho vissuto e vivo delle emozioni, perchè ho visto dei colori, incrociato sguardi, percepito. Non solo perchè ho letto. Leggere è necessario per capire e metabolizzare le tecniche narratologiche. Il resto, lo fa il talento e, soprattutto il vissuto. Nessuna piega di un sorriso riesce a bucare la pagina se non la si è osservata con cura, nessuna azione riprodotta può osservare il sacro principio della verosimiglianza se in qualche modo non ci sono stata dentro. Anche se non ho vissuto esattamente la situazione che descrivo…
Ho iniziato a scrivere, personalmente, nel momento in cui ho iniziato a vivere…tutto quel che è avvenuto prima è stato solo un preludio.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 12:35 da sonia


Vi ringrazio per i commenti pervenuti.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:18 da Massimo Maugeri


Se si scrive, significa allora che non si agisce.
In effetti questa frase di apertura del discorso di Le Clèzio ha quasi una valenza ossimorica rispetto agli esiti finali del testo.
Una frase che fa discutere, non c’è dubbio.
Sono d’accordo con la maggior parte dei vostri interventi.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:20 da Massimo Maugeri


@ Franco Romanò
In merito alla suddetta frase srcivi: “Se sommiamo le piccole e grandi azioni di coloro che si battono contro il razzismo e che hanno tratto ispirazione anche dale parole del romanzo in questione (la capanna dello zio Tom), si sarebbe tentati di dire che l’influenza della letteratura sull’azione è addirittura enorme”.
Ed è vero, caro Franco.
Ma forse Le Clèzio si riferiva allo scrittore in quanto individuo e non all’effetto delle sue parole (scritte) sugli altri e sulla società.
Che ne pensi?
Poi domandi: conta ancora così tanto la letteratura?
Domanda da un milione di dollari!
Per Le Clèzio, pare di sì…
Cosa ne pensano gli altri amici?

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:24 da Massimo Maugeri


@ Zaub
Piperno è tra coloro che sostengono che “la letteratura non serve a niente” (e già in questa considerazione c’è una risposta alla domanda di Franco Romanò… vedi commento sopra).
Io non sono d’accordo.
Così come non sono d’accordo sul fatto che lo scrittore, in quanto scrittore, è reazionario.
Lo scrittore può essere reazionario o rivoluzionario.
Oppure né l’uno né l’altro.
Dipende.
O no?

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:27 da Massimo Maugeri


Un saluto e un ringraziamento a Sergio e Lauretta

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:28 da Massimo Maugeri


Scriviamo.
Io mi sento scrivere per catturare profumi di vita vissuta o da vivere, per raccogliere sapori, umori, odori, particolari della nostra esistenza e del mondo. Scriviamo perchè è nella nostra natura (non di tutti), come è nella natura del mare arrivare alla spiaggia.
Scrivere è indossare un abito mentale: ci vestiamo di parole e di pensieri, spesso inconsapevolmente e l’onda costante e lenta o furiosa e d’affanno ci scava come pietra di sabbia dura, sotto un vento inquieto ma piacevole.
Scriviamo, sapendo che ci sono occhi che leggono, sguardi che ci osservano, gli sguardi della gente che ama la nostra stessa città interiore, gente che parla con noi, in certi posti dove siamo cresciuti (le parole, i sentimenti), posti che abbiamo lasciato e salutato, posti che non smetteranno mai di renderci migliori e farci del bene.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:28 da Marco


@ Sabina Corsaro
Grazie per il tuo intervento, cara Sabina.
Hai fatto bene a collegare questa discussione col forum della facoltà (di lettere e filosofia di Catania).
Peraltro, appena avrò un po’ di tempo, verrò a trovarvi per fare una chiacchierata con un po’ di prof e con il preside Iachello.
Ho intenzione di proporre un convegno sul tema: “La scrittura e la letteratura al tempo di Internet”.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:30 da Massimo Maugeri


Belli gli interventi di Simona e Carlo.
Grazie!

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:32 da Massimo Maugeri


Non sono affatto d’accordo con Le Clèzio quando afferma che scrivere significa non agire. Io credo, invece, che scrivere sia una forma d’azione e di cre-azione. Nella scrittura si riversa ciò che si è e ciò che si vive, e la vita non è solo movimento. Forse Le Clèzio si riferisce al fatto che per scrivere si ha bisogno di solitudine, almeno nei momenti in cui si pratica la scrittura.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:44 da Morena Fanti


@ Paola Calvetti
Cara Paola, grazie per il tuo intervento. Molto bello.
Riprenderò senz’altro l’articolo di Franzen pubblicato dal Corriere e dedicato a D.F. Wallace.
Riprendo questa parte del tuo commento:
il piacere della solitudine con un romanzo tra le mani è immenso e insostituibile, trasporta altrove e non importa che raggiunga lo scopo che si è prefisso l’autore ( e poi perché prefiggersi uno scopo???), importa che l’emozione che nasce dalle parole arrivi. Ogni volta è una sorta di miracolo, un miracolo laico, la magia che sprigiona da un libro. Un miracolo semplice e accessibile. Sostenibile, si direbbe oggi. Economicamente sostenibile, per tutti. Un libro costa meno di una boccetta di profumo, costa quanto una scatola di cioccolatini…
Mi piace questa espressione: il libro come “miracolo” economicamente sostenibile.
Bella!
Alla fiera “più libri, più liberi” è stato registrato un incremento delle vendite di libri… nonostante la crisi.
Vuoi vedere, invece, che è proprio il contrario?
Vuoi vedere che si venderanno più libri proprio perché l’emozione che può donare un libro è più a buon mercato di una vacanza a Courmayeur?
(Tranne se sei ospite del Premio Scerbanenco).
;)
Che ne dici?
Gli altri cosa pensano a riguardo?
Grazie, Paola.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:45 da Massimo Maugeri


Un saluto e un ringraziamento anche a Marco e a Morena.
“La scrittura come azione e cre-azione”, dice Morena.
Concordo:)

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:47 da Massimo Maugeri


Buon pomeriggio e buon fine settimana a tutti.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 14:47 da Massimo Maugeri


Non credo nell’azione intesa solo come movimento fisico, il pensiero è il massimo esempio di un certo tipo di azione invisibile ma inarrestabile. Mi piace molto il concetto di testimonianza: lo scrittore è un testimone, sì. Di fatti e di emozioni che diventano accessibili e non costano alcun prezzo, per restare in tema col post precedente. Che spesso travalicano il tempo contemporaneo e a volte bucano il tempo. Basti pensare a certe opere pubblicate postume e diventate grandissime.
Grazie Massimo!

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 15:02 da Lorenza Caravelli


- Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere.-

secondo me, quando uno scrive è e non-è, sta dentro e fuori dall’azione. c’è l’io e il non-io, lo scrittore è il non-non-io. credo che la scrittura sia sempre ‘performativa’ come diceva un regista e antropologo americano schechner. credo anche che certi scrittori agiscano la scrittura perche è così che puoi dire cose che non potresti dire direttamente al mondo, soprattutto in certi paesi pieni di pregiudizi. la scrittura, anche solo fatta per se stessi, a volte è direttamente connessa ad un male di vivere, quel male che deriva da abusi, per esempio. in quel caso è difficile che si riesca a dire direttamente quello che hai subito, considerando che le figure adulte ti appaiono ostili, non perché lo siano realmente, ma perché tu le vedi così.
in conclusione: se si scrive significa che si fa a meno di non agire, e questo non significa che scrivere significhi non agire.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 15:04 da gianluca


Massimo sono d’accordissimo su quello che dici sulla possibilità dello scrittore come rivoluzionario, e nei confronti di Piperno ho una specie di scissione, in linea di massima lo trovo insopportabile, ma gli riconosco del talento e condivido mio malgrado diverse sue esternazioni.
Mi piaceva questa idea “depoliticizzata” dell’essere reazionario, dell’essere attaccato affettivamente a qualcosa che esiste già se non altro nella propria testa. La visionarietà come forma di nostalgia. E sono anche un po’ ostile alla politicizzazione totale della scrittura. Non è detto che si scriva sempre per cambiare il mondo. O per delle altruistiche passioni. Non credo che la letteratura non serva a niente – affatto credo violentemente nella letteratura e in generale nel potere della cultura.
Tuttavia mi viene sempre da ridere quando si imputa un cambiamento storico di grande portata a questo o a quel movimento intellettuale a questa o a quella opera.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 15:59 da zaub


Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio.

Mi riconosco profondamente in queste dichiarazioni di Leclezio. Così come mi riconosco nel primo intervento di Zaub che ci riporta alla necessità, per lo scrittore, di fissare il momento per non lasciarlo disperdere nei fumi del tempo e della memoria. Se non ricordo male, è stato proprio Leclezio a scrivere che essere felici significa non aver bisogno dei ricordi (cito a memoria più il senso che le parole esatte) e credo che in questa frase ci sia molto del destino dello scrittore. La scrittura è una via di fuga, un modo per metabolizzare, un modo per agire quando ogni altra azione è impedita dalla realtà che ci circonda. In ogni parola che uno scrittore trasferisce su carta c’è una parte, grande o piccola che sia, dell’esperienza umana che quello scrittore ha fatto. Ogni parola, ogni frase, ogni pagina sono una piccola (e spesso non mantenuta) promessa di immortalità per quelle esperienze, gioiose o dolorose, che abbiamo vissuto e ritenuto importanti. Che vogliamo salvare dall’oblio perché la nostra più grande capacità è proprio questa: comunicare, usare il linguaggio, esserne gli immeritevoli sacerdoti e sanare quell’infelicità, spesso inconsapevole, che deve nutrirsi dei ricordi dell’intera umanità.
Laura

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 16:44 da Laura Costantini


Alcune mie riflessioni sullo scrivere:
Secondo me, agire significa prendere una posizione su tutto ciò che ci interessa o colpisce, quindi anche con lo scrivere.
Gli scopi dello scrivere sono diversi; per esempio, si scrive alla ricerca della chiarezza su un tema che ci occupa, per trovare consolazione nell’esternare i propri problemi o per ricevere i pareri degli altri che leggono, ma anche una semplice voglia di riportare un tema verso il fuori seguendo la passione di comunicare per iscritto.
C’è chi scrive per influenzare il mondo, e forse riuscire a mutarlo nel tempo, non potendo farlo diversamente.
Dietro quest’arte, inventata abilmente dall’uomo per facilitare la comunicazione e il contatto con il suo prossimo, si nasconde sempre l’essere bisognoso di un qualcosa o quello imponente qualcosa.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; è così anche con lo scrivere.
Esistono grandi pensatori che non riescono a trasmettere i loro pensieri in una scrittura scorrevole, armoniosa, chiara e corretta.
Lo scrivere bene è diventato una professione che va imparata e curata; tra di loro esistono quelli che si dilettano a scrivere in una forma troppo concisa e inestricabile per far tribolare i più, abituati alla forma semplice e chiara; lo fanno per distinguersi dalla massa.
Le caratteristiche buone e cattive dell’uomo si riflettono così anche nella scrittura, rendendola interessante, impegnativa, utile o dubbiosa fino a dannosa.
Saluti.
Lorenzo

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 18:37 da lorenzerrimo


Le Clezio, in un discorso contraddittorio e non particolarmente originale devo ammettere, fra l’altro dice:
”Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’ invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. Senza il linguaggio non ci sarebbero le scienze, non ci sarebbe la tecnica, non ci sarebbero leggi, non ci sarebbe l’ arte, non ci sarebbe l’ amore. Ma questa invenzione, senza l’ apporto di qualcuno che la trasmetta, diventa virtuale, teorica. Può diventare anemica, ridursi, sparire. Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. ”
Ecco, questo mi sembra un punto di forza di questo semplice discorso ufficiale di accettazione del Premio Nobel – discorso che, come sempre in occasioni siffatte, non serve molto a conoscere l’autore e, a dirla tutta, serve a poco in toto. Ma perche’ questo passo mi ha colpito?
Perche’, al di la’ delle ovvie considerazioni sulle motivazioni della scrittura, qui si sottolinea un dato di fatto che molta gente con considera: che la lingua non e’ una conquista eterna, come non lo e’ qualsiasi altro linguaggio, ma va conservata e vivificata dagli scrittori e dagli uomini tutti, i quali, se vogliono amare, inventare, far tecnologia o altre scienze, devono capire anche l’importanza della parola – scritta ed orale aggiungerei io modestamente.
Insomma, queste righe mi sembrano un importante monito: ricordiamoci che per comunicare servono due cose: qualcosa da dire ed un modo condivisibile per dirle – dunque un significato e delle significanti, un qualcosa di astratto ed un codice che renda concreto tali astrattezze. E’ un modo per lottare contro l’isolamento moderno, a mio parere.
Ma resta inteso che io non ho letto niente di Le Clezio, quindi valuto le sue parole come provenienti da una bocca fra le tante.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 19:47 da Sergio Sozi


Erratum. Ho scritto ”con considera” = ”non considera”. Pardon.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 19:49 da Sergio Sozi


E invece non è “una bocca tra le tante”, caro Sergio. È la bocca del Premio Nobel per la Letteratura 2008. E il discorso in questione non l’ha preparato per gli amici del bar sottocasa, ma per una conferenza ufficiale a Stoccolma collegata all’accettazione del Premio… e dunque con inevitabile rilevanza planetaria.
Presumo, dunque, che il suddetto discorso l’abbia preparato con cura.
E ti devo dire che a me, in fin dei conti, è piaciuto. Anche se, intendiamoci, non ha detto nulla di particolarmente nuovo.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:04 da Massimo Maugeri


Vi ringrazio per i nuovi commenti.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:05 da Massimo Maugeri


Grazie mille a Lorenza, Gianluca, Lorenzerrimo, Laura.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:08 da Massimo Maugeri


@ Zauberei
Mi trovo d’accordo con il tuo ultimo commento;-)

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:09 da Massimo Maugeri


Buon sabato sera a tutti.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:11 da Massimo Maugeri


Quando leggo qualcosa (in questo caso il discorso del francese) per la prima volta non ne considero mai l’autore piu’ importante di qualsiasi altro scrivente Pinco Pallino, se non ne ho letto prima i libri. Di conseguenza, per me, Le Clezio e Pinco Pallino sono la stessa cosa. Oggettivita’. Non mi suggestionano le onorificenze, soprattutto quelle letterarie.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:27 da Sergio Sozi


Se poi come narratore Le Clezio e’ bravo, ottimo: come oratore non mi sembra un Cicerone.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:29 da Sergio Sozi


Sono inoltre d’accordo con Gianluca: ‘’se si scrive significa che si fa a meno di non agire, e questo non significa che scrivere significhi non agire.” Anche se forse questo e’ fra le righe nel discorso del Nobel 2008. Pero’ Gianluca lo ha espresso compiutamente e in maniera sintetica. Bravo.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:33 da Sergio Sozi


Sergio, intendevo che Le Clèzio non può aver predisposto questo testo con leggerezza… proprio perchè è sotto i riflettori.
Poi, per carità, può piacere o no. Si può essere d’accordo o no.
Infatti ne stiamo discutendo.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:50 da Massimo Maugeri


Adesso devo chiudere davvero.
Buon sabato sera e buona domenica a tutti.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 20:51 da Massimo Maugeri


Spero sia stato leggero, invece, ovvero spero di trovare di meglio nei suoi libri, un giorno. Buonanotte, Massimo

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 21:04 da Sergio Sozi


Forse, di un discorso che nell’insieme non mi provoca entusiasmo, il punto che mi lascia maggiormente scontenta, veramente inappagata, è quello che massimo ha sottolineato per ultimo. Dice Le Clezio: “gli scrittori non inventano la lingua”. Invece penso sia proprio quello che fanno, anche nel senso etimologico, trovano nuovi significati a segni e suoni, nuovi echi agli incroci tra parole. Cos’altro può fare uno scrittore? uno scrittore non si sente “al servizio”, caso mai si sente “preso”. Al servizio della lingua può essere un grammatico, anche un professore o un maestro. Insomma la scrittura, nel migliore dei casi, è un atto che confina con l’eros, nei peggiori, con un dovere autoimposto, più o meno decorosamente risolto.Grazie massimo per l’opportunità di ribadirlo.

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 22:44 da piera mattei


Piera,
d’accordo con Lei; poi pero’, magari, esistono anche dei ”professori scrittori”, che coniugano il ‘’servizio alla lingua” con l’eros dell’invenzione linguistica, cosa ne pensa? A me quest’ultimi – rarissimi – paiono i veri geni. Esempi: Eco nel ”Nome della rosa”, Yourcenar nelle ”Memorie di Adriano”, Bruno Schulz ne ”Le botteghe color cannella”. Due per tutti: Dante (Medioevo ed eternita’) e Manzoni (Evo Moderno e attualita’). Solo per parlare di casa nostra…

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 23:57 da Sergio Sozi


P.S.
L’unico professore ”di carriera” sarebbe Eco, ma gli altri non sono forse considerabili ”de facto” dei professori, ovvero dei grammatici, assieme a dei geni d’inventiva (eccetera eccetera…)?
Salutoni
Sergio

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:00 da Sergio Sozi


“La creazione verbale non è solo finalizzata alla eversione, alla rivolta, alla contraddizione dei linguaggi attraverso la ristrutturazione e destrutturazione del patrimonio dei dizionari – che io chiamo ‘contraddizionari’. In realtà il lavoro della creazione verbale è ormai autonomo. Essa raggiunge un respiro più vasto, supera le lingue, come la musica che si è liberata di qualsiasi ’significato’ – inteso come ’signum factum’, segno già fatto in precedenza – ed è ormai la creazione dei propri stessi suoni, non l’utilizzazione dei suoni degli strumenti già esistenti: la musica si va autonomizzando sempre più verso la creazione del Suono con le sue leggi. Lo stesso vale per la lingua: la lingua di Klebnikov è una lingua che si auto-crea le proprie giustificazioni. Non si tratta naturalmente di un lavoro arbitrario, che non tiene conto della storia di tutte le lingue: Klebnikov conosceva pure il sanscrito! Il tentativo era piuttosto quello di risalire alle pulsioni originarie della creazione delle lingue. La poesia fa la stessa cosa: essa è la più alta forma di coscienza della storia della lingua, e piuttosto che contraddire le ‘istituzioni’ crea altre istituzioni, indipendenti dalle precedenti, non più un conflitto entro livelli istituzionali e statuti linguistici predeterminati. (…) Recentemente, durante una lettura, la gente mi ha chiesto: ‘Ma lei non crede che questi suoi neologismi siano difficili da seguire, da interpretare?’ A queste persone io rispondo di dimenticare la parola ‘neologismi’, di dimenticare che io creo neologismi: tutti i poeti, scrivano essi facendo uso o no di neologismi, fanno di ogni loro parola un ‘neologismo’. Anche la parola più antica che adopera un poeta tradizionale se raggiunge il livello più alto della organizzazione linguistica e segue principi di organizzazione del linguaggio nuovi è in sè un neologismo. Mi si dice: ‘Ma io comprendo la parola stella o la parola cuore, e non capisco invece la parola attrattore’; questo secondo me non è vero. Quelle parole sono altrettanto nuove della parola più nuova, elaborata e creata immediatamente. La poesia è solo parola nuova, è solo neologismo. Non esite una poesia ‘paleologistica’, e questa è una cosa difficile da introiettare fino in fondo, perchè si fa sempre confusione con i ’segni fatti’ del linguaggio non poetico (…)”
***
(Brano tratto da “L’uomo sinesteatronico – conversazione con Gianni Totti a cura di Antonio Perri”, in “Il babau”, rivista di letteratura, Genova, numero 14, marzo 1995)
***

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:01 da Subhaga Gaetano Failla


punto 2 “Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone… quando nella maggior parte dei casi altro non è che un semplice spettatore”.

Contestato il punto uno, passo a contestare il punto 2.
Le Clezio, per completezza, poteva citarci i nomi di scrittori che abbiano detto “voglio cambiare il mondo”. perché dirlo in prima persona, o che siano i critici ad attribuire questa eventuale forza rivoluzionaria, è cosa ben diversa. Poi, testimone. Di se stesso lo è certamente e peraltro è spettatore di ciò che lo circonda. Dopo di che lo scrittore, se vuole, scrive le sue testimonianze o le cosa di cui è stato spettatore. Oppure inventa, o magari crea. Non vedo il problema e non vedo perché arrovellarsi in questi dubbi tormentosi. Siamo al punto due e andrò avanti. Mi pare presto per farmi venire il dubbio che abbiano assegnato il Nobel a un cazzaro. Però, finora, i frappè di aria fritta di Le Clezio, per me sono davvero imbarazzanti.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:01 da enrico.gregori


Caro Enrico,
mi trovavo proprio a dirti che ero concorde col tuo commento al punto primo e vedo il commento qui sopra rivolto al secondo punto. Vabbe’, ormai compio il mio dovere e ti cito come stavo appunto per fare:
”non è detto che si scriva per sfuggire a una realtà che non piace. o meglio, può non essere così. magari si vuole creare una realtà parallela a quella vera per viverle entrambe”.
-
Intendevo appunto dirti e dire agli altri che io sono come dici tu: organizzo una realta’ parallela ma non rifiuto in toto la realta’ della mia vita in senso anche sociale ed omnicomprensivo.
Ciao
Sergio

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:07 da Sergio Sozi


Enri’: tu hai letto qualche suo romanzo? Io no. Magari e’ solo cazzaro quando chiacchiera in pubblico… pero’, certo che… ‘mbe’…

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:10 da Sergio Sozi


Correggo, verso la fine del brano citato: Non esiste una poesia

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:13 da Subhaga Gaetano Failla


…E Gaetano estremizza il tutto, portandolo alle conseguenze che mi appaiono solo la morte del linguaggio in quanto comunicazione. In medio stat virtus. Et ars. Agli estremi solo la solitudine e il vaniloquio.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:18 da Sergio Sozi


Dico questo perche’ non sopporto che chicchessia si appropri personalmente ed individualmente di un mezzo (la lingua) che ha una storia lunghissima e collettiva, oltreche’, certo, enciclopedico-grammaticale eccetera.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:24 da Sergio Sozi


La scrittura geniale non e’ quella, a mio avviso, di chi pretende di riinventarne i canoni e le fondamenta, ne’ di chi si adegui pedissequamente alle convenzioni. La genialita’ sta nel creare opere nuove e personali senza divenire autoreferenziali. Introdurre neologismi ed idiotismi (io preferisco questi ultimi) senza smontare i nessi e certi luoghi comuni senza i quali un discorso diventa fatto solo per i propri parenti o per i propri sodali teoretici. Esempio di genialita’ in questo campo: Gadda. Indiscutibilmente nuovo e arcaico. Totti non so.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 00:34 da Sergio Sozi


io non sono “uno scrittore”. ma scrivo, e mi sono messa a rimuginare sul punto uno.
“Le inettitudini, anche. Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere”.
per me spesso è così. scrivere è trovare un punto di uscita per parole che non posso dire, per gesti che non posso fare, per situazioni che non posso cambiare.
ho imparato molto presto sia a leggere che a scrivere, non sotto a una guerra, per fortuna, anzi, nella quiete tranquilla di una casa di nonna.
le lettere magnetiche che un giorno mi portò la befana e che si potevano attaccare sul termosifone mi insegnarono entrambe le cose.
questo pezzo di le clézio scoperchia un vaso enorme, di sensazioni e considerazioni, mi vengono in mente righe su righe. ho deciso in questo momento che ci vado a fare un post. se ti va fra un pochino passa a leggerlo.
ciao!

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 08:39 da lucia


Rispondo a Le Clezio (secondo me ha vinto il Nobel perché ha l’articolo davanti al nome)

“Se si scrive, significa allora che non si agisce.” etc.
Sciocchezze, scrivere è un’azione, lo sanno anche alle elementari.

Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo etc.
Questa è talmente stantia che annienta ogni possibilità di commento.

Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni?
Ma de che? Soluzioni a che?

(…)Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. etc.
Auff… passiamo appresso.

La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive etc.
Su questo sono d’accordo. Ma senza intorcinarmi troppo, direi che la letteratura è arcaica… nella misura in cui (eh eh)… il letterato è arcaico. Cioè se lo scrittore è un australopiteco scriverà libri conseguenti. La letteratura, qualunque cosa sia, non c’entra. Parliamo di uno scrittore per volta, preso uno per uno: c’è quello del paleolitico che fa letteratura arcaica, e c’è quello attuale che fa letteratura viva: Don Chisciotte sembra scritto ieri, l’ultimo di Scurati è letteratura arcaica e sembra scritto nel medioevo. Così mi pare, se è.

Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. etc.
Il creatore per chi ci crede sta nei cieli. A questa rispondo da rollingstoniano citando Keith Richards, che sulla “creatività” (termine che personalmente considero di un ridicolo irriducibile) ha detto, più o meno: io non creo, mica sono dio. Ho ricevuto e trasmetto, sono come un’antenna: ecco, lo scrittore è un’antenna, quando gli riesce. per il resto non ha nulla da creare, sta già tutto inventato.
Poi, sul discorso dello scrittore che sarebbe “al servizio del linguaggio” evito di pronunciarmi perché questa supera ogni immaginazione e potrei commentare una castroneria simile con la dovuta efficacia solo utilizzando un linguaggio molto sconcio.

Concludo dicendo che a giudicare dai suoi argomenti, questo Le Clezio mi sembra una mediocrità assoluta.
rex

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 09:32 da rex


La parola è azione. Non credo possa esservi dubbio. Che sia pronunciata o scritta essa è il risultato di un processo che parte dall’esperienza e produce una sintesi, un giudizio, un commento, a volte una creazione o solo una trasformazione. La parola proietta nel futuro la nostra sensazione perchè la rende fruibile da altri che vengono dopo di noi. Non siamo molto di più di ciò che diciamo. Eppure non si tratta di una azione che possa cambiare il mondo. Non credo nemmeno che questa sia la sua missione. L’autore risponde sempre ad un bisogno personale. E’ tutta sua l’urgenza della scrittura. L’effetto è immediato. Non esiste altro ritorno se non quello di legittimare la sua esistenza. Non saprei dire con certezza se l’uomo ontologicamente esiste in quanto scrive, ma sono radicato in questa percezione. L’uomo, quando scrive afferma sè stesso, usa la lingua per porre la sua vita all’interno del’esperienza collettiva. Usa la lingua per fare ciò. Se ne serve e serve ad essa. Non può stravolgerla, ma solo smarginarne i significati e traslarne le forme, non ricrearla. Ha un dovere morale nei suoi confronti. La creatività deve negoziare con la tradizione e con la dignità della cultura la profondità della sua azione. Pochi si sono potuti permetere di agire senza chiedere deroghe esplicite. Gadda è stato uno di questi. Quanto al premio Nobel, Massimo giustamente rimarca il valore ed il peso del suo discorso pur non trovando in esso alcun elemento di novità. Condivido. Eppure non posso nascondere una profonda delusione per questo discorso, proprio perchè esso è di certo il frutto di una attenta riflessione. Niente cambia nella mia vita, ma mi sarei aspettato una diversa “azione”.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 09:52 da eventounico


A giudicare dalle premesse però, direi che Le Clezio può avere un futuro da Scurati francese: solo dovrebbe aggrovigliare un po’ di più i concetti e se possibile parlare del ruolo degli intellettuali; e se riesce a citare Marx, almeno una volta e correttamente, il gioco è fatto.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 10:01 da rex


Rex…dovrebbe averlo letto per citarlo correttamente

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 10:13 da eventounico


Perché si scrive? Per amore, per dono, per ricerca, per bisogno, per raccontare/rsi…ognuno ha il suo motivo, ognuno il suo incipit…ciò che resta o conta è cosa si scrive, come si scrive e per chi si scrive.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 10:40 da elena varriale


Se non riesce a diventare lo Scurati francese può comunque avere un futuro nelle soap, la faccia è perfetta per “Beautiful”.
(meglio che la smetta sennò Massimo mi caccia: già ho dato le dimissioni al “leggere e scrivere”, se mi faccio cacciare da qui rimango ramingo)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 10:50 da rex


Caro Sergio,
ho citato il brano di Gianni Toti (e non, come tu scrivi, Totti!) per dare un contributo al dibattito. Gianni Toti, nonostante la sua ampia produzione non solo in campo letterario, è scarsamente conosciuto in Italia. A mio parere è un artista molto molto interessante, tra quelli che più mi hanno interessato nell’ultimo anno.
Il concetto che mi sembra di comprendere dal brano citato (è un assemblaggio di due risposte tratto da una lunga intervista) è semplicemente il seguente: l’arte, quando diventa davvero tale, si presenta sempre con un nuovo linguaggio.
.
Riporto per completezza la domanda iniziale del brano, e la prima parte della risposta che si ricollega al frammento da me già riportato:
***
“Domanda: La creazione verbale da lei messa in moto attraverso lo smontaggio e rimontaggio morfologico, i titoli pluricomposti, l’antiorganizzazione sintattica sembra essere una forma di consapevolezza linguistica poco ’seria’, velata da un ‘divertissement’ di palazzeschiana memoria: ‘il poeta si diverte, pazzamente, smisuratamente…’
Risposta: Certo. Questo è implicito nel mio interesse per la tematica ludica. Il tempo libero e la dimensione ludica sono la stessa cosa: l’arte è il ‘grande ludus’. La creazione verbale (…)”
***
(Brano tratto da “L’uomo sinesteatronico – conversazione con Gianni Toti a cura di Antonio Perri” in “Il babau”, rivista di letteratura, marzo 1995, già citato)
***

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:05 da Subhaga Gaetano Failla


Caro Massimo mi sembra una bellissima idea la tua!

Per quanto riguarda il discorso sulla necessità di scrivere, mi è piaciuto molto l’intervento di Simona Lo Iacono, credo che abbia svelato, con lucidità e sensibilità, il meccanismo interiore della scrittura.

Bisogna distinguere tra differenti scritture perché si devono differenziare le necessità di scrivere. Probabilmente quello che dice Sergio Sozi è vero: è un discorso di Linguaggio, nel suo sensopiù esaustivo.

Prendiamo il caso di Dante, nella sua opera il linguaggio ha sublimato una lunga invettiva contro la tristezza morale dei tempi.

Ariosto stesso non usò di certo un linguaggio che diede vita ad una scrittura d’evasione. Essa contiene ironiche e celate invettive nei confronti della nobiltà di corte di quei tempi (presa in giro per comportamenti falsati e ormai lontani da quelli spontanei e originali di un tempo) e nei confronti della stessa guerra, divenuta ormai (con l’introduzione della polvere da sparo) un mero scontro tra nemici che ignoravano i loro stessi volti.

@ Carlo S.
condivido: si può partire dalla necessità di evadere scrivendo per poi ritrovarsi testimoni inopinabili della realtà.

La necessità di scrivere va analizzata da soggetto a soggetto. Lo scrittore crea il suo Libro perché vuole esprimere, attraverso il suo viaggio interiore, una visione del mondo: la sua. Ma la necessità di scrivere non è anche quella meno intimistica della scrittura giornalistica? I più grandi scrittori (Pasolini, Calvino, Moravia per citare quelli italiani) non erano anche dei soggetti attivi nelle pagine dei giornali? Moravia non scrisse reportages sull’Africa e sull’India dando vita ad una comistione tra romanzo e articolo giornalistico? I linguaggi possono essere vari ma autentitici: devono far sì che quella realtà possa proiettarci in un mondo che è a noi vicino, non in senso cronologico ma ontologico.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:14 da Sabina Corsaro


Scusate erroti di battitura, scrivo su una tastiera vecchiotta, è ora di cambiarla… :)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:17 da Sabina Corsaro


a sergio e altri:
no, non ho letto Le Clezio e infatti non mi permetto di argomentare sulle sue opere letterarie. Qui c’è una serie di sue dichiarazioni e pensieri, e io esprimo la mia opinione su questo.
può anche darsi che io possa trovare banali le sue affermazioni, mentre verrei colpito e illuminato da un suo libro, non so.
Per ora resto perplesso di fronte a questa nevicata di luoghi comuni e postulati, basati su non si sa cosa. Tutto indimostrabile, forse, ma tutto (secondo me) terribilmente inutile e noioso

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:25 da enrico.gregori


“Un libro costa meno di una boccetta di profumo, costa quanto una scatola di cioccolatini, un libro può costare pochissimo (si può acquistare anche usato, a pochi euro) e rendere moltissimo. Lo scrittore dunque non ha obblighi morali e nemmeno pretendere di rendere migliori gli altri. ”
Mi piace molto quello che dice Paola Calvetti in questo punto, molto sobrio pratico e concreto come lei, la mia scrittrice preferita. Lo scrittore, quando dà, dà molto in cambio di poco.
Paola Calvetti (lo dico se per caso qualcuno non la conoscesse ma ne dubito, visto che è una delle autrici italiane più affermate -lei detesterà questa definizione, lo so: e infatti glielo faccio apposta) ha scritto finora quattro romanzi. Ecco chi è, dal suo sito http://www.paolacalvetti.it

È Direttore della Comunicazione del Touring Club Italiano.
Finalista al Premio Bancarella con il romanzo d’esordio, L’amore segreto (1999, Baldini&Castoldi), acquistato da Rai Cinema e da Urania Film e tradotto in dodici Paesi, nel 2000 ha pubblicato L’Addio (Rizzoli, ora nei Tascabili Bompiani), tradotto in diverse lingue e nel 2004, Né con te né senza di te (Bompiani).
Perchè tu mi hai sorriso (Bompiani) è il suo ultimo romanzo.

Il fatto che intervenga tranquillamente su un blog di lettori dimostra la splendida persona che è, e così si capisce anche perché ne sono fan ultrà senza se e senza ma! Oltre al fatto che per me scrive come pochi: nei suoi romanzi mi ci perdo deliziosamente per qualche ora e tutti mi hanno lasciato qualcosa. Un bacione alla mia Paola (ne sono gelosissimo, la vorrei tutta per me ma purtroppo devo condividerla con gli altri lettori, e sono tanti, ahimè)
rex

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:36 da rex


Mi è piaciuto monto il commento di eventounico – anche se non sono d’accordo e moltissimo quello di Sabrina Corsaro, di cui condivido molto la cautela, e il richiamo a modalità diverse di vivere la scrittura, la sua vocazione e le sue necessità interne.
Ma questa mattina ho provato a pensare alla questione delle lettere d’amore. Dio solo sa quanto poco aiutino le lettere d’amore al conseguimento pratico dello scopo:) Quando va bene esse decorano ciò che la psiche ha già deciso. Ma in moltissimi casi costruiscono una barriera sttoforma di riavvicinamento – sotto le mentite spoglie della vicinanza. Scrivere a una persona amata che sarebbe bello baciararla, sarà sempre una vigliacchieria, un’alterità, uno scarto riispetto al fatto di baciarla effettivamente. E più si scrive esteticamente, più lo sventurato che riceve così bella lettera d’amore non pensa all’amore ma al narcisismo. E’ un’esperienza tipica delle belle donne (nun è er caso mio sereni) questa di sciropparsi auliche dichiaraizoni d’amore di cui esse non sono che il pretesto. Lo scrivere ha qualcosa di profondamente autoreferenziale, racconta un altruismo ma lo elargisce in maniera molto più indiretta. Ecco, io credo che questo si possa sentire. Io credo che questo quando si sente possa anche essere ecco – doloroso. questa sensazione di dire, scrivo perchè non riesco a prescindere da me, perchè non riesco a fare – cioè a scavalcarmi e buttarmi fuori dalla mia testa ma devo prima di tutto narrarmi questa capacità e questa narrazione sarà per me la mia azione.
Non credo che sia così per tutti, perchè scrivere è un modo di esistere, e tanti modi di esistere hanno altrettanti modi di esercitarsi – ma merita rispetto.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:40 da zaub


@ Enrico
Conosco Le Clezio da diversi anni e due anni fa ho letto anche una sua opera in originale, “Peuple du ciel”, comprata in Francia. Dunque, come narratore mi interessa.
Il brano riportato relativo al Nobel l’ho trovato di scarsa rilevanza. Comunque, generalmente non sono attratto dal tema “Perchè si scrive?”

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 11:45 da Subhaga Gaetano Failla


Gaetano condivido il tuo stesso scarso interesse per il tema. Soprattutto perchè si rischia di produrre fumosità, come dice Enrico, e, cosa assai peggiore, di confermare ulteriormente l’idea di una coincidenza tra il narrare ed il narrarsi. Tale identità di significato produce risultati pessimi e forse una azione piuttosto blanda.
Quanto alle lettere di Zaub, ebbene ritengo che si tratti di una azione molto preziosa di complemento al contatto fisico. Per fortuna l’uomo ha più dimensioni.
Non so se Le Clezio abbia mai scritto una lettera d’amore ad una donna non bella (cosa vorrà dire poi ?), ma se provasse a farlo potrebbe scoprire nuovi stimoli.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 12:06 da eventounico


Giusto Gaetano. In fondo ciascuno scrive per le proprie ragioni. In fondo generalmente riconducibili ad un banalissimo “perchè ne sento il bisogno” o all’ancor più banale “perchè mi piace e ne traggo soddisfazione (alle volte)”.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 12:08 da Carlo S.


“ciascuno scrive per le proprie ragioni. In fondo generalmente riconducibili ad un banalissimo “perchè ne sento il bisogno” o all’ancor più banale “perchè mi piace e ne traggo soddisfazione (alle volte)”.

Questo è certo, così com’è certa una dose (minima o consistente che sia) di narcisismo: chi scrive lo fa perché vuole farsi leggere e perché oltre al bisogno di comunicare ha anche bisogno di dimostrare il suo esserci nel mondo e ad imporlo. Io credo che non sia banale cercare di indagare sui vari aspetti della necessità di scrivere e tutti i discorsi ad essi correlati. Potremmo anche fare la domanda opposta: perché si legge? E la risposta non potrebbe omettere i legami con i generi, gli autori, i periodi esistenziali (se sono triste sono più propenso a leggere certe cose piuttosto che altre?). Non so, cerco di allargare le vedute e le possibilità.

Io nel privato adoro ad esempio esprimere i miei pensieri, le sensazioni alle poche persone amiche di cui mi fido; mentre in contesti più pubblici proteggo la mia intimità o cerco di collegarla a tematiche sociali o artistiche. Ma considero la necessità di scrivere motivo di scissione della nostra identità e quindi della nostra individualità: non esiste un unico scrittore ma questo sarà diverso in base a vari elementi:
destinatari, contesto, fine, bisogno interiore o solecito dall’esterno (magari legato ad una professione). Lo scirvere è prima di tutto un atto comunicativo e comporta come qualsiasi atto comunicativo la ricostruzione della realtà e non il suo rispecchiamento.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 13:31 da Sabina Corsaro


Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone… quando nella maggior parte dei casi altro non è che un semplice spettatore.-
…………….

io credo che il ’semplice spettatore’ sia sempre spett-attore. agisce vedendo e osserva mutando l’oggetto osservato. se io scrivo un raccontino per me e per tre o quattro gatti, ok, forse non cambio nulla e anzi mi calcifico nella mia aperta chiusura sottovuoto. nella mia esperienza di educatore ho notato che il racconto aiuta parecchio i ragazzi e i bimbi dislessici, con l’adhd, sociopatici, depressi… a parte questo, esistono i neuroni a specchio per cui io mi immedesimo nei personaggi e provo le loro emozioni le loro incazzature. a meno che non sia una macchina stampante, o un lobotomizzato, il mondo che io sono cambia. le storie scritte influiscono sulla corteccia prefrontale motoria e noi abbiamo la sensazione di entrare nel romanzo. per esempio il finale di chiedi alla polvere, tutte le volte che lo rileggo, mi fa piangere. e il finale de l’idiota? io non riesco a non identificarmi con miskin. dunque in conclusione: lo scrittore è scri(-a)ttore osservatore e spett-attore. come diceva heisemberg riguardo al rapporto tra osservatore e oggetto osservato.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 14:17 da gianluca


Due sono le motivazioni di questa esigenza: prima di tutto la letteratura è fatta di linguaggio. (Le Clezio)
-
Sono osservazioni fondamentali come questa che mi affascinano di più: e io che credevo che la letteratura fosse fatta di uva! giuro.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 14:31 da rex


Gaetano, Enrico ed Eventounico,
perfettamente in sintonia con quanto dite – in soldoni: ”basta parlare di Letteratura, piuttosto scriviamo (agiamo)!”
-
Gaetano, amichevolmente come sempre: sei stato tu a sbagliare per primo il cognome di Toti (va’ a rileggere il tuo primo commento dove citi l’intervista. Io ti ho solo fatto eco).
Piuttosto: mi parleresti del romanzo di Le Clezio che leggesti in francese?
Grazie
Ciaobbelli
Sergio

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 16:51 da Sergio Sozi


Raffaele, ci hai donato molte suggestioni, ma credo che bisogni mantenersi fedeli all’argomento… altrimenti si rischia di andare un po’ troppo fuori tema.
Scrittore è chi riesce, tramite il linguaggio, a sollevare anche solo per un attimo il velo dell’inconoscibile mistero che ci avvolge. Pensiamo ai poeti.
Tutto nell’umanità si è evoluto: i costumi, la scienza, la tecnologia… ma non c’è differenza tra una poesia antica e una moderna. Entrambe sono la sintesi di esperienza collettiva e individuale, di linguaggio comune e condiviso e di idioletto – il nostro particolare modo di esprimerci – ed entrambe sono espressione di sentimento, di elevazione, ricerca del vero.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 17:39 da Maria Lucia Riccioli


Cari amici, vi ringrazio moltissimo per i vostri “commenti domenicali”:)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 17:50 da Massimo Maugeri


Mi sono permesso di spostare gli interventi di Raffaele (fuori argomento rispetto alle tematiche trattate nel post) e le successive repliche nella “camera accanto”:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/11/03/la-camera-accanto-7%c2%b0-appuntamento/#comment-48009
Chi fosse interessato può continuare la discussione in quella sede.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 17:52 da Massimo Maugeri


Penso che Le Clèzio mi odierà per questa mia “vivisezione” del suo testo e successiva proposta di discussione.
:)
Torno dopo…

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 17:55 da Massimo Maugeri


http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?s=Orfana+di+mia+figlia

Mi permetto di segnalare questo bellissimo post a Raffaele: Morena Fanti ci ha parlato della sua esperienza di mamma trafitta dal dolore per la morte dell’unica figlia e che ci ha fatto il dono di condividerla con noi…

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 18:05 da Maria Lucia Riccioli


e veniamo al punto 3: “Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. (…) E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere”.

qui, sinceramente, mi viene solo da dire che sembra una di quelle frasi “definitive” sul nulla per tentare di rimorchiare una quindicenne mentre insieme a lei guardi il tramonto da un pattino. ma le clezio, a occhio, è un po’ attempato per questo tipo di corteggiamento. quindi, la sua, a me pare irrimediabilmente una cazzata.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 18:33 da enrico.gregori


c’è l’interessante teorizzare.E poi ci sono gli scrittori.e di fronte alle loro parole, il teorizzare sfuma in lontananza.
(Piperno, secondo me, è un grande talento.E la sua frase, non per niente sempre citata, è interessantissima)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 18:42 da laura


Perché si scrive?

LADY BRACKNELL (…) Lei scrive?
JACK Veramente sì, devo ammettere che scrivo.
LADY BRACKNELL Mi fa piacere. Un uomo dovrebbe sempre avere una occupazione. Ci sono troppi scansafatiche in giro per Londra.
(da Oscar Wilde -L’importanza di chiamarsi Ernesto)

Ho solo sostituito ’scrive’ a ‘fuma’ (per chi non lo ricordasse, la domanda originale di Lady Bracknell era:- Lei fuma?), per il resto il dialogo mi sembra perfetto anche in risposta alla domanda ‘perché si scrive’.

Quando terrò il mio discorso a Stoccolma (conto di vincere il Nobel fra tre anni), esordirò dicendo:
Egregi accademici svedesi (omissis)
Ho incominciato a scrivere perché mi pare un bel mestiere che consente di passare almeno metà della giornata al caffè (lo diceva uno scrittore che non ricordo chi fosse)… il seguito del discorso lo saprete a suo tempo.
-
In ogni caso ammiro Sartre, che rifiutò di farsi “istituzionalizzare” dal Nobel e non lo accettò. Se avessi abbastanza denaro da potermelo permettere nemmeno io lo accetterei (mentre i premi letterari ordinari sì, e ben volentieri), perché il Nobel secondo me rovina uno scrittore: non ho mai letto un premio nobel dal 70 -più o meno- a oggi, proprio perché credo che per vincerlo si debba essere molto kitsch (nel senso che spiega benissimo Kundera ne “Il sipario”). Camus ne ebbe la reputazione rovinata proprio per questa ragione (lo racconta Kundera).
rex

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 19:01 da rex


A me piace ricordare anche la dimensione amorosa della scrittura.
Quell’essere presi dal daimon. Assediati da un’idea. Dalle voci dei personaggi. Quel comprendere che dentro di noi siamo in tanti. E che ognuno dei tanti chiede. Pungola. Conquista.Vuole tornare alla pagina perchè brama di sapere come finirà.

Ciò che lo scrittore desidera più di ogni cosa non è agire. Ma imparare. Scovare un senso. Mettersi in marcia. Allestire companatico, zaino, bussola per scrutare l’orizzonte.
Non sa mai se arriverà, né dove.
Eppure, come un innamorato, accetta il rischio perché è la sensazione stessa del viaggio a suggerirglielo. L’eccitazione – e il turbamento – di ciò che deve ancora arrivare. Dell’incognita.
Lo scrittore è un inesausto Ulisse, che si ostina a rimediare alle falle della sua zattera per rimettersi in mare. Per ascoltare – ancora una volta – il canto delle sirene. Un pazzo, direbbero in tanti, se non fosse che la scrittura stessa è “una schizzofrenia autorizzata ” (Rosa Montero: ascoltatela qui: http://www.youtube.com/watch?v=makY9D5zBSA )

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 19:37 da Simona Lo Iacono


Già, caro Sergio, hai ragione, scusa, il refuso sul nome di Gianni Toti era il mio… Ho scovato un altro refuso, nel copiare il brano, e non quello più importante…
Nell’edizione tascabile (quella che io posseggo) di “Peuple du ciel” di Le Clezio sono raccolti due racconti lunghi: “Peuple du ciel”, appunto, e “Les bergers”. Sono due storie, narrate con toni lievi, onirici e visionari. In entrambe le storie i protagonisti sono dei ragazzini. Nella prima si narra d’una ragazzina cieca che vuole comprendere il colore azzurro, e della ricerca del significato delle cose che non vede anche attraverso la ripetizione di filastrocche, quasi assaporandone le parole, e del suo incontro con un soldato. Nella seconda viene raccontata l’avventura d’un ragazzino che intraprende con altri, in una atmosfera d’incantamento, lontano dal suo paese, un viaggio che lo porta a conoscere il nomadismo. Soprattutto nella prima storia le persone sono quasi del tutto scomparse.
Ti auguro una buona serata, Sergio, un augurio che estendo a Massimo, il quale ringrazio per questo nuovo argomento, e a tutti. Gaetano

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 19:37 da Subhaga Gaetano Failla


Simona mettersi in marcia non è agire ?

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:07 da eventounico


e questo è il punto 4 “Con quale diritto pretendere di essere migliori? Spetta effettivamente allo scrittore cercare soluzioni? (…) Come potrebbe mai agire lo scrittore, se altro non sa che ricordare?”

mi sembra il palloso inizio di un dibattito al cineforum dopo un film altrettanto palloso.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:07 da enrico.gregori


PUNTO 5 “La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo.”

QUI è PIù FACILE controbattere. infatti taccio, perché non ho capito proprio che minchia Le Clezio stia dicendo

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:09 da enrico.gregori


PUNTO 6: “Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio”.

QUALCHE affermazione condivisibile mescolata a ovvietà e demagogia.
Bene, ho letto tutte le affermazioni di Le Clezio e alla fine, ne esce rafforzata la mia ammirazione nei confronti di Cormac McCarthy. Lo scrittore del tennessee non si fa intervistare, non fa proclami, non esprime pensieri. “Tutto quello che ho da dire – afferma – lo scrivo nei miei libri”.
Che Dio illumini le clezio verso questa strada in modo da risparmiarci valanghe di fuffa.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:13 da enrico.gregori


sottoscrivo inpieno l’affermazione finale di Enrico.
Scrivete. Uno scrittore è un mistero anche a se stesso.
Della vivisezione dei processi creativi…perq uesto , ripeto, la frase di Piperno ha fatto centro.Perchè è incisiva.Rimane.Non è un trattato di vivisezione dell’atto creativo.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:20 da laura


ciao ragazzuoli, riguardo
^La letteratura non è qualcosa di arcaico che sopravvive e al quale dovrebbero sostituirsi logicamente le arti dell’ audiovisivo, e più di ogni altra cosa il cinema. È una strada complessa, difficile da percorrere, ma che io credo sia ancora più necessaria oggi che ai tempi di Byron o di Victor Hugo.^
………………………………………………penso di pensare che
“la letteratura è arcaica è l’urlo di dolore che diventò linguaggio della scrittura. poi la de-scrittura audiovisiva ha trasformato la videoparola in carne. eccola la vedete la videoparola dei comment-post? e scusami le clezio ma non pensi alle scritte sui muri pornografiche dei greci e i linguaggi sono tanti quanti siamo noi che diciamo. i linguaggi si presentificano nei s-oggetti che comunicano, negli uomini che ‘linguaggiano’ attraverso le arti solide liquide e gassose. ma non senti com’è primigenio l’empatico prendersi cura dell’altro e dell’Altro?
la letteratura si colloca in un sistema e quindi le necessità di Hugo o di Byron sono mutato nomine digitale sono anche le nostre le tue e del cineasta sia esso pasolini sia esso tarantino. nella letteratura e nelle arti non parleri di sviluppo progressivo ma frattalico e sistemico, micromacro cosmo cosa caso caos anagrammi.”
…..
ot
sapete? mi piacerebbe scrivere un oloromanzo con voi :)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:31 da gianluca


@Evento: infatti!

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 20:50 da Simona Lo Iacono


cara Simona, lo scrittore è un inesausto Ulisse che ripara la zattera… Molto poetico, ma più in generale lo scrittore è un tizio con le bollette da pagare, l’affitto, la macchina rotta, il traffico all’ora di punta. Poi se diventa ricco allora può fare l’Ulisse con la zattera. Quindi io penso che compito dello scrittore sia innanzi tutto fare soldi e poi comprarsi la zattera. Solo nel caso in cui lo scrittore sia ricco di famiglia, solo in questo caso può fare l’ulisse da subito. Insomma, tu agli scrittori vorresti fargli fare una vitaccia, sempre a riparare la zattera: non ci sto, quando sarò ricco viaggerò con lo yogth personale come Maupassant! altro che zattera! Ciao:-))

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 21:05 da rex


@ Rex:
Scrivi: “penso che compito dello scrittore sia innanzi tutto fare soldi e poi comprarsi la zattera”.

Caro Rex,
uno scrittore che inizi a scrivere con l’idea di fare soldi credo che – come minimo – abbia le idee un po’ confuse. Ti assicuro che si guadagna molto di più riparando zattere, o a facendo qualunque altro mestiere, anziché quello dello scrittore.
Tranne che per pochi (pochissimi) eletti.
Quasi tutti gli scrittori che conosco (per non dire tutti), anche quelli noti, fanno altri mestieri per campare (per cui a maggior ragione credo che molti scrivano proprio con lo spirito tratteggiato da Simona).
Ma questo è un’altro discorso, che chiuderei qui (dato che ne abbiamo discusso in molte altre occasioni).

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 21:22 da Massimo Maugeri


Vi ringrazio moltissimo per i nuovi interventi.
Mi piacerebbe interagire con molti di voi, ma temo che non potrò farlo stasera… e vi chiedo scusa.
Lo farò con piacere domani (nel pomeriggio, o in serata).
Intanto ne approfitto per augurarvi una serena notte e un buon inizio settimana.
E buona prosecuzione…

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 21:30 da Massimo Maugeri


carissimo Massimo,
anche sul leggere e scrivere (e un po’ ovunque) tutti a ripetere che con la scrittura si fa la fame.
Piperno ha scritto un buon romanzo e ha fatto il botto da subito. io ero rimasto a 250.000 copie, forse passerà a 400.000? oggi. Poniamo 400.000 copie.
E Giordano? al primo romanzo 800.000 mila copie. Sono numeri con cui si campa ottimamente, credo. Dipende da quello che intendiamo per scrittore: per me scrittore è innanzitutto un mestiere concreto, e il vero scrittore è proprio colui che campa di quello (oppure che quanto meno si pone quell’obiettivo), non un romantico e improbabile Ulisse. D’accordo con te nel chiuderla qui, e grazie.
rex

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 21:42 da rex


Grazie a te, Rex.
Parlavo infatti di pochi (pochissimi) eletti. Oltre a Piperno e Giordano ce ne saranno una decina in grado di raggiungere quelle cifre. Tutti gli altri svolgono attività ulteriori per campare (me compreso). E tu legittimamente (dal tuo punto di vista) non li consideri scrittori. Anche qui ne abbiano parlato un milione di volte. Le repliche più classiche sono: e allora Svevo non era uno scrittore? E Kafka?
Ti ho fatto due nomi a caso di gente che non campava con la scrittura ma che ha “scritto” e “fatto” la storia della letteratura mondiale.
Ma, ripeto, è un discorso “trito e ritrito”…
Buonanotte a te. E Grazie ;)

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 21:48 da Massimo Maugeri


Sì, in effetti sono le repliche di sempre… e Svevo? ecc. Allora brevissimamente mi spiego meglio: lo scrittore è Cervantes, che dice che spera di guadagnare bene con il suo romanzo, è Defoe che scriveva per soldi, è Balzac, Maupassant, Wilde, Calvino, Moravia, Fante, tutta gente che di letteratura viveva -chi più chi meno- e scriveva per mestiere; quello che io contesto è il “romanticismo” dello scrivere per diletto o per missione o per “urgenza”, la finta purezza di chi nasconde i propri ‘flop’ facendosi scudo dei nobili intenti o delle difficoltà del settore; gente cui sembra quasi un delitto di lesa letteratura voler parlare di soldi, tipica finzione “romantica”. Cioè deve esserci, a mio avviso, per essere considerati scrittori, la tensione a volerne fare un mestiere, e un mestiere deve rendere denaro: che ci si riesca o meno è un altro discorso. Non concordo con l’atteggiamento ‘dilettantesco’ troppo diffuso in questo settore, tutto qui. La gente in Italia da sempre non crede che fare lo scrittore sia un lavoro, ed è per questo che in Italia da sempre abbiamo pochi scrittori decenti. Tutte le arti, praticate a un livello degno dell’arte, sono stati mestieri fatti per denaro.
Buonanotte a te, e scusa il “fuori tema”. :-) )
rex

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 22:28 da rex


Secondo me l’intervento di Rex non è fuori tema.Anzi è proprio in tema. Le Clèzio parla della necessità di scrivere, Maugeri inserisce il discorso sul ‘perché scrivere’.
Secondo Rex si scrive, o si dovrebbe scrivere,per soldi. Perciò il suo intervento è in tema.E non mi sorprende. mi pare perfettamente coerente con la mentalità del ‘tutto è in vendita’ di cui la nostra società è intrisa fino al midollo.

Postato domenica, 14 dicembre 2008 alle 23:19 da Angela


Mi pare perfettamente coerente con la mentalità del ‘tutto è in vendita’ di cui la nostra società è intrisa fino al midollo. (Angela)
-
Cara Angela, però la tua osservazione mi sembra intrisa di retorica fino al midollo, giacché basta studiare la storia per scoprire che in tutte le società umane, e da che mondo è mondo, tutto è stato sempre in vendita, uomo compreso, che poteva essere venduto liberamente al mercato come un prodotto ortofrutticolo qualunque fino a pochissime centinaia di anni fa. Anzi, forse la nostra è la prima società in cui molti princìpi sono invendibili -vedi alcuni diritti oggi considerati inalienabili (non è sempre stato così) dell’uomo- con molto rammarico da parte di chi ne farebbe volentieri a meno.
Per cui, al contrario di quello che tu dici, a me sembra che la nostra società sia molto ma molto meno intrisa di mentalità ‘tutto è in vendita’ di quanto non sia mai accaduto in passato. Per non parlare delle società non occidentali dove tutto, ma veramente tutto, è in vendita ancor oggi. Ciao
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 00:33 da rex


… gli insegnanti soffrono di una profonda insicurezza di status.. che nasce dal timore dell’ascesa di nuovi gruppi sociali.. questi gruppi emergenti sono identificati nei neo-ricchi.. L’ideologia difensiva degli insegnanti si basa sulla contrapposizione fra cultura e ricchezza.. valori interiori ed esteriori, spirito e materia .. ecc
(Barbagli -Dei “Le vestali della classe media, Il Mulino, 1969)

Angela, non sarai mica un’insegnante? Scherzo. Ho pensato di postare questo a integrazione del nostro discorso, quando collaboro a un forum lo faccio con impegno.
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 00:45 da rex


Rex-regis,
bravo: i soldi servono tanto a chi vuol campare della propria fantasia, conoscenza tecnico-scrittoria, intelletto e anima, quanto a chi va a fare l’operaio, l’impiegato, il politico o il dirigente. A ciascuno la propria professione e guai a continuare con la retorica dello ‘’scrivo solo perche’ ci credo”. No: scrivo perche’ ci credo e perche’ sono bravo, e sono bravo perche’ so cose che altri non sanno, le ho STUDIATE. Dunque pagami, editore e lettore, come paghi il salame dal pizzicagnolo. Almeno questo, no? Mica potra’ continuare cosi’ che i tipografi guadagnano e gli autori per ”missione evangelica” fanno altri lavori!

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:02 da Sergio Sozi


P.S.
Naturalmente poi la validita’ di un’opera non si basa sulla professionalita’ e l’inserimento professionale e sindacale dell’autore ma su altri criteri d’ordine letterario, filosofico, storico eccetera. Pero’ una categoria di lavoratori come questa e’ una categoria come le altre ed ha diritto al suo sindacato e tariffario, tutele varie, eccetera. Anche se fosse una categoria di gente in cui 9 su 10 verranno dimenticati entro sette mesi. Cio ‘e’ un altro paio di maniche, giusto? Anche il salumiere un giorno si scoprira’ che ha rovinato lo stomaco a mezzo milione di persone, ma non per questo dovra’ lavorare gratis.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:07 da Sergio Sozi


concordo con rex e sozi.
‘notte

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:15 da gianluca


Ciao, cara Sabina Corsaro, ben ritrovata ‘’su questi schermi”!
Ti cito:
”Probabilmente quello che dice Sergio Sozi è vero: è un discorso di Linguaggio, nel suo sensopiù esaustivo.”
A quale mio intervento ti riferivi?
Ciaociao
Sergio

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:44 da Sergio Sozi


Angela,
secondo me Lei e’ delusa dalle noiose, ripetitive e scarsamente personali buffonate che l’editoria italiana spesso ammannisce agli ingenui lettori – noi tutti intendo. Cosi’, di conseguenza, Lei si stupisce, Angela, del fatto che qualcuno pretenda dei soldi per pubblicare. D’accordo: se e’ come ho immaginato siamo d’accordo. Altrimenti no, non siamo per niente d’accordo. Perche’ pubblicare e’ una professione come un’altra ed ha una sua professionalita’ specifica che va pagata almeno un normale stipendio. O vogliamo dire che tutti hanno diritto ad avere una famiglia tranne gli scrittori?
Salutoni gentilissimi
Sozi

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:54 da Sergio Sozi


Rex-regis,
un’ultima cosa, anzi un rimopianto personale: a diciassett’anni stavo per lasciare il Liceo per andare a fare l’apprendista tipografo. Fesso: indovina un po’ se ho fatto il passo del gambero dopo la prima visita al tipografo folignate che stava per PAGARMI per un lavoro!

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 01:58 da Sergio Sozi


…e manco so bene il greco antico, sai?…
Salutoni
Sergio

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 02:00 da Sergio Sozi


Più che giusto, il fatto che con lo scrivere non ci si campi è dovuto al semplice motivo che gli editori sono “categoria” organizzata in Confindustia e fortissima (quando poi non sono presidenti del consiglio, a volte capita): gli scrittori invece per lo più sono piccolo borghesi incapaci di organizzarsi e privi della normale mentalità rivendicativa di una qualunque categoria economica (il piccolo borghese in genere trova disdicevole organizzarsi in sindacato: metti la cravatta a un italiano da mille euro al mese e subito si sente parte della classe dirigente: se poi scribacchia crede di essere una divinità dell’Olimpo!).
Solo per questo non ci si campa, altrimenti non sarebbe impossibile spuntare percentuali maggiori e minimi tabellari agli editori, e gli scrittori più in gamba hanno sempre fatto vedere i sorci verdi agli editori quando si tratta di soldi. Intanto mai andare a cena con l’editore (leggevo questo di Simenon sul Corriere se non ricordo male, lui era uno tostissimo quando si trattava di soldi, a cena non andava mai prima di aver discusso le condizioni, sempre dopo), cenare con l’editore prima è sempre una fregatura!
ciao (e un saluto a Gianluca)
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 02:03 da rex


Sono d’accordo praticamente con tutti i punti, scrivere è soprattutto “creare bellezza, pensieri, immagini”. Solo una cosa, come ha già fatto notare qualcuno, non mi trova del tutto concorde e cioè che lo scrittore si serva del mezzo letterario per non agire. Perchè? Voglio dire, non è sempre così mi pare. E tante volte scrivere è proprio una forma di agire, con i soli strumenti che lo scrittore possiede: le parole.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 08:37 da Silvia Leonardi


Mi riferiv, caro Sergio, a questa citazione in particolare:

” la lingua non e’ una conquista eterna, come non lo e’ qualsiasi altro linguaggio, ma va conservata e vivificata dagli scrittori e dagli uomini tutti, i quali, se vogliono amare, inventare, far tecnologia o altre scienze, devono capire anche l’importanza della parola – scritta ed orale aggiungerei io modestamente.

Insomma, queste righe mi sembrano un importante monito: ricordiamoci che per comunicare servono due cose: qualcosa da dire ed un modo condivisibile per dirle – dunque un significato e delle significanti, un qualcosa di astratto ed un codice che renda concreto tali astrattezze. E’ un modo per lottare contro l’isolamento moderno, a mio parere”.

Sono stata riduttiva forse ma il modo di dire le cose, il crearlo, è soprattutto un discorso di linguaggio, che comprende la padronanza dela lingua e la capacità di applicarla secondo arte.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 10:07 da Sabina Corsaro


Trovo che il discorso di Le Clèzio sia molto interessante e degno di un Premio Nobel. Forse molti dei signori che scrivono qui farebbero bene a rileggerselo più volte, a capirlo e a farne tesoro.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 10:10 da Giorgio


Insomma, queste righe mi sembrano un importante monito (Sabina)
-
cara Sabina, Le Clezio non è mica il papa, che ci ammonisce! poi, l’umanità è perfettamente consapevole dell’importanza del fatto di essere scrivente e parlante e che per fare queste cose ci vuole un linguaggio fatto di parole (pensa… scrivere a gesti, come sarebbe difficile), lo sapevamo già prima del monito di Le Clezio: immagina in un congresso di muratori, se un muratore dicesse solennemente: cari colleghi, il muratore costruisce case e per costruire le case ci volgliono i mattoni e la calce! susciterebbe l’ilarità generale perché sono cose ovvie. Le Clezio purtroppo ha detto solo cose ovvie: che vuol dire “conservare e vivificare il linguaggio”? Niente di nulla, è solo un giro di parole a effetto. Il linguaggio per fortuna nessuno può conservarlo, altrimenti in Italia parleremmo ancora “osco”: non so se ti è mai capitato di tentare di decifrare una scritta in osco, io preferisco decisamente le lingue moderne e l’alfabeto fenicio. “Vivificare il linguaggio” poi è un’espressione del tutto priva di significato (oppure mi si faccia un esempio concreto di linguaggio vivificato), quindi non c’è nulla da commentare. Ciao :-) )
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 10:37 da rex


quindi non c’è nulla da commentare.
E se qualcuno volesse commentare?
Le Clèzio non sarà il papa, ma nemmeno tu signor rex.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 10:59 da Giorgio


Lo scrittore semmai è un parassita del linguaggio: lo studia, lo spia, lo analizza e cerca di utilizzarlo ai suoi scopi, e per utilizzarlo adeguatamente ha bisogno di conoscerlo un po’ meglio degli altri. Anche se lo scrittore può utilizzare qualunque linguaggio, l’importante è che abbia qualcosa da dire e sappia come dirlo nei modi della letteratura. Pasolini per scrivere i suoi romanzi si faceva insegnare il linguaggio da utilizzare dal popolano Sergio Citti; alcuni dei testi più importanti della letteratura si servono di un linguaggio per nulla conservato, anzi corrottissimo, e proprio questo ne fa dei capolavori (uno per tutti Celine, ma potremmo andare indietro fino a… Petronio!, addirittura).
No, riflettendoci meglio Le Clezio a mio parere non ha detto cose ovvie, ma autentiche corbellerie.
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 11:07 da rex


Giorgio: non c’è nulla da commentare -dal momento che sono io lo scrivente-, tutti hanno capito che è la mia posizione, tranne lei.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 11:16 da rex


Giorgio, a scanso di equivoci, commenti pure liberamente, ne ha facoltà! sono molto curioso di sentire le sue argomentazioni. Grazie in anticipo, signor Giorgio! (come ha fatto a capire che non sono papa?). La saluto signor Giorgio, su con la vita!:-)))

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 11:25 da rex


il linguaggio (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. (Le Clezio)
-
Preciso che considero questa la corbelleria, perché gli scrittori in nessuna misura sono custodi del linguaggio, per l’ottima e semplice ragione che al linguaggio nulla interessa di scrittori, da sempre li precede ignorandoli completamente.
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 11:51 da rex


Si può essere d’accordo o meno con quello che Le Clezio sostiene. Ma ciò che sostiene è scritto all’inizio di questo post e non credo, quindi, che lo scrittore abbia bisogno di interpreti e uffici stampa. nessuno nega il valore della sua letteratura, qui si commentano alcune sue opinioni. spero sia consentito

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 11:58 da enrico.gregori


Ringrazio Massimo Maugeri per lo spunto che mi ha dato.

Non credo che, per rispondere al tanto diffuso interrogativo “Perché di scrive?”, sia necessario andare a scomodare filosofia, discorsi pizzuti, ipotesi e contro ipotesi.
Io credo che nessuno, e ripeto nessuno, possa sapere perfettamente il motivo per il quale uno scrittore scrive, neppure lo scrittore stesso. Difatti, sarebbe difficile definire per bene quella che molti chiamano “urgenza di scrivere”, “necessità artistica” o altro, ovvero quella sveglia interiore che ti dice, o meglio ti obbliga, dicendoti “Alza il culo e vai a scrivere!”.
Spesso me lo sono posto anche io questo interrogativo e, seppur sia riuscito a definire qualche punto cardine, almeno in me stesso, mi resta sempre l’impressione di non aver risolto o spiegato nulla di più dell’uno per cento del necessario, ammesso che questo ‘necessario’ sia quantificabile e ammesso che sia possibile quantificare quanto si pensa di aver capito di questo enigma.

Non sono d’accordo con il discorso di Le Clézio quando dice:

- Se si scrive, significa allora che non si agisce. Che ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, che si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, una distanza, un tempo per riflettere.

E’ vero che quando si scrive si sta scegliendo un altro mezzo per intervenire, ma non perché ci si sente in difficoltà. Ma è un mezzo con la stessa dignità degli altri. Lo “scrivere” non è un’alternativa minore del “dire”. Ci sono messaggi che hanno necessità di essere diffusi in forma scritta, anziché in forma verbale, per poter permettere un ascolto più attento da parte del destinatario del messaggio, la possibilità di rifletterci quanto il lettore stesso si troverà nella situazione migliore per recepire quanto scritto.

Poi, Le Clézio dice ancora:

- Lo scrittore non ha più la presunzione di credere che potrà cambiare il mondo, che con i suoi racconti e i suoi romanzi potrà dare origine a un modello di vita migliore. Più semplicemente, vuole essere testimone… quando nella maggior parte dei casi altro non è che un semplice spettatore.

Purtroppo, in questo ha ragione. Ma io darei almeno un po’ di speranza. Non abbiamo più bisogno di spettatori, ma di protagonisti. La situazione globale ce lo chiede, ci impone di avere un cambiamento di ruolo, anche rischiando sì, anche rischiando, lo ripeto. Io credo che anche in questo possa valere il paradigma della felicità che suggerisce all’animo umano di condurre una vita all’insegna di tre fari principali: amore, ottimismo e coraggio.

Il neo premio Nobel prosegue dicendo:

- Agire: è questo che lo scrittore vorrebbe più di ogni altra cosa. Agire, piuttosto che testimoniare. (…) E tuttavia, in quello stesso istante, una voce rivela allo scrittore che ciò non sarà possibile, che le sue parole sono soltanto parole che il vento della società disperderà, che i sogni altro non sono che chimere.

Su un libro che sto leggendo, ho appreso che la mente umana, ovvero il cervello, è diviso in due parti principali: il midollo allungato e la neo-corteccia celebrale. Cosa c’entra questo con la dichiarazione di Le Clézio? Spero che qualche medico possa correggere qualsiasi mia inesattezza. Proseguo con quello che voglio dire: il midollo allungato è la parte del cervello che durante l’evoluzione umana si è formata per prima. In questa parte risiede la paura. Quella paura che in antichità permetteva all’uomo stare all’erta, difendersi dalle aggressioni degli animali etc. Nella neo-corteccia, invece, risiedono i sentimenti, lo spirito e l’anima. E’ nella neocorteccia che sappiamo amare, abbiamo il coraggio, ed è proprio la neocorteccia che ogni giorno, in ogni istante, sfida gli inviti alla paura del midollo allungato. Ciò che resta è semplice: se la neocorteccia vince, viviamo felici, se perde viviamo infelici. La depressione dilagante, l’instabilità emotiva e tutto ciò che ci sembra nero nella nostra vita non è altro che una vittoria del midollo allungato. Per ovviare alla situazione di instabilità che descrive Le Clézio
I sogni, infine

Prima ho parlato del mio unopercento che ho capito del “perché IO scrivo?”, ecco qualcosa:

Si scrive per non morire.
Si scrive per curarsi il cancro del senso d’immobilità che abbiamo dentro.
Si scrive per sconfiggere l’istinto primordiale della paura.
Si scrive per non avere paura.

Non si scrive per pubblicare, per diventare ricchi o famosi.
Non si scrive per pavoneggiarsi in pubblico, tv o altro.
Non si scrive per fare qualsiasi altra cosa che non sia scrivere punto e basta.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 12:43 da Jack Anima


Non si scrive per pubblicare, per diventare ricchi o famosi.
Non si scrive per pavoneggiarsi in pubblico, tv o altro.
-
Mi dispiace ma non sono d’accordo con Jack Anima.
-
L’unico motivo valido per scrivere è fare il figo in tv e guadagnare un mucchio di soldi (così poi si acchiappa meglio). Ognuno la vede a suo modo. Chi scrive per scrivere è uno scribacchino, dal mio punto di vista, lo scrittore invece scrive solo per denaro.
rex (alias John Coratella)

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 13:35 da rex


Io sono d’accordissimo con Enrico sul fatto che si possa anzi si debba esprimere le proprie opinioni pro o contro quanto un autore dice, e se no quello che un autore dice che lo si pubblica a fare? Magari certi toni, certe cose aposdittiche non mi piacciono, ma è una faccenda di pareri personali.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 14:47 da zaub


@ Giorgio
Chi ha commentato il testo di Le Clèzio (seguendo il mio invito) l’ha fatto leggendo il testo. Ognuno ha espresso il proprio parere. C’è chi è d’accordo, c’è chi non è d’accordo.
A me va benissimo così. L’importante è esprimere le proprie idee senza pretendere di imporle agli altri (e rispettando quelle degli altri).

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 15:03 da Massimo Maugeri


Allora, ho rimosso i commenti legati a un piccolo screzio (compresi i miei finalizzati a dirimerlo)… nulla di grave, comunque. Spero che gli interessati non se la prendano.
In ogni caso mi scuso.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 16:17 da Massimo Maugeri


Tornando al post… intanto ringrazio gli autori dei nuovi commenti: perdonatemi se evito di citarvi uno per uno.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 16:19 da Massimo Maugeri


Qualcuno nei commenti sopra (adesso non ricordo chi con esattezza) faceva notare che non serve granché interrogarsi sul “perché scrivere”.
Sarà anche vero. Però a me (personalmente) questo interrogativo ha sempre affascinato.
Credo che comunque ne sia venuto fuori un interessante dibattito.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 16:20 da Massimo Maugeri


Su Le Clèzio…
devo ammettere che la frase di apertura del suo discorso – “Se si scrive, significa allora che non si agisce” – mi aveva lasciato un po’ perplesso.
Chissà perché Le Clèzio ha esordito così?
Per attirare l’attenzione del pubblico?
Chi lo sa!
Immaginate un premio Nobel per la Letteratura che, a Stoccolma, in occasione della consegna del premio dice: Se si scrive, significa allora che non si agisce.
Poi, magari, segue una pausa “celentanesca”.
Be’, il suo effetto lo fa… :) )
In ogni caso, leggendo tutto il discorso, devo dire che ha una sua logica e che tutto sommato – tranne qualche passaggio – mi convince (è la mia opinione, eh).
Certo… da un premio nobel magari ci si aspetta qualcosa di più… “significativo”.
Ma come avete fatto giustamente notare uno scrittore si giudica per le sue opere e non per i suoi discorsi.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 16:26 da Massimo Maugeri


Bella discussione, vi dicevo.
Vi ringrazio moltissimo.
Spero possa proseguire.
Io tornerò stasera.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 16:28 da Massimo Maugeri


complimenti per il post. sai se il discorso di le clezio è disponibile come video da qualche parte? grazie

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 18:43 da cindy


Scrivere, a mio avviso, significa dare voce ad un’urgenza. Mangi perché hai fame, respiri per portare ossigeno al sangue, scrivi perché non riesci a evitarlo. Come ciò che è vitale, necessario, anche scrivere si impone a chi ama farlo. E’ un amore forte, totale, lacerante, appagante, vivo. D’altra parte non può definirsi amore quello provato da colui che non si mette in gioco totalmente, che non rischia ogni cosa nei confronti della persona amata. Sarebbe, al contrario, un amore a metà, codardo, insicuro, fragile. L’azione quindi è certamente una prerogativa di chi scrive. L’uomo innamorato agisce con lo sguardo, col gesto di una mano, con l’ardore dei propri pensieri e ride al mondo che lo crede inebetito, mentre quel mondo, fatto di uomini, parole, incertezze, delusioni, conflitti è parte di sé. E si muove ignaro dell’amore che lo contiene. L’amore urgente di uno scrittore.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 19:14 da Alessandro Savona


Ciao Alessandro!
Sono felice di ritrovare sul blog di Massimo Alessandro Savona, validissimo scrittore della scuderia di Perrone.
Poetico è il suo modo di considerare la necessità di scrivere. La trovo un’ottima risposta.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 19:41 da Maria Lucia Riccioli


Rex, non direi che quelle di Le Clézio siano corbellerie.
Lo scrittore è custode del linguaggio nel senso che non solo i suoi attrezzi di lavoro sono le parole, ma ciò che produce è fatto di parole. Ne utilizza toni e registri e in qualche caso può influire sulle sue sorti. Pensiamo a Dante, a Petrarca e Boccaccio, che hanno dato una vera e propria svolta alla letteratura italiana. Proprio in Italia la frase di Le Clézio è valida: noi non siamo una nazione come le altre per vari motivi, storici, politici, economici… Quello che caratterizza l’Italia, il suo vero collante, è proprio la lingua e per tanti secoli proprio la lingua letteraria, su cui hanno avuto fortissima influenza proprio gli scrittori. Credo che la nostra condizione rappresenti quasi un unicum.
Se poi vuoi dire che noi non parliamo il linguaggio ma è il linguaggio che CI parla, ovvero parla attraverso di noi che non ne abbiamo il controllo, allora concordo.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 19:58 da Maria Lucia Riccioli


“L’uomo innamorato agisce con lo sguardo, col gesto di una mano, con l’ardore dei propri pensieri e ride al mondo che lo crede inebetito, mentre quel mondo, fatto di uomini, parole, incertezze, delusioni, conflitti è parte di sé. E si muove ignaro dell’amore che lo contiene. L’amore urgente di uno scrittore….”
Ale caro, agire con lo sguardo. Col cuore. Col movimento tutto dell’essere quando si scrive….
Bravissimo.
Un bacio

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 20:43 da Simona Lo Iacono


Impossibile resistere al post di Maria Lucia. Carissima, fino al secolo scorso la quasi totalità degli italiani era analfabeta e di Dante e della sua lingua non si curava minimamente perché aveva questioni ben più ‘urgenti’ di cui occuparsi. Se leggi -o rileggi- il “de vulgari eloquentia” dovrai convenire che anche Dante medesimo avrebbe considerato corbellerie quelle di Le Clezio. La lingua diventa comune in Italia non grazie agli scrittori, ma solo grazie alla televisione, prima della televisione ognuno parlava la sua, quelle che oggi definiamo dialetti. Che poi in Italia in passato “l’accademia” (in senso lato) abbia imposto il toscano come lingua comune è un altro discorso: cioè, non dobbiamo incorrere nell’errore (come quel tale frate predicatore) di credere che il buon dio ci abbia fatto il regalo di far sì che ogni città fosse attraversata da un fiume: viceversa, sono gli uomini che hanno costruito le città sui fiumi, su questo sarai d’accordo.
E: ammesso e non concesso che in passato lo scrittore possa aver avuto un ruolo, seppur minimo, nel ‘custodire’ la lingua (ti giuro che mi viene da ridere al solo concetto di ‘custodire’ la lingua, sembra una roba da sacro graal), oggi -ed è di oggi che Le Clezio sta parlando- la lingua ignora radicalmente lo scrittore che non ha nessunissima influenza sulla medesima, siamo nell’epoca dei mass media. E per finire: uno che parla come un libro stampato, da sempre lo consideriamo un po’ “tocco”, o no?
Ti ringrazio, ciao.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 21:11 da rex


Cara Maria Lucia, mi viene in mente un, spero simpatico, esempio concreto: sono dell’Italia centrale: mia nonna fino alla fine del secolo scorso quando è morta, diceva, custodiva, uno stupendo “ome dice” (equivale all’on dit francese): lo ritrovi paro paro in Jacopone da Todi, ma ti assicuro che mia nonna non sapeva neppure chi fosse costui! ciao.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 21:44 da rex


Io sono un po’ ”tocco”, Rex, perche’ gia’ a quattro anni d’eta’ parlavo un italiano perfetto. Va be’, transeat. Pero’ forse non sai che Dante per secoli lo sapevano a memoria contadini analfabeti di tutta Italia e lo declamavano dalla Alpi a Sicilia.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 21:54 da Sergio Sozi


Dunque, per dar giusta man forte a Maria Lucia, la cito:
”Quello che caratterizza l’Italia, il suo vero collante, è proprio la lingua e per tanti secoli proprio la lingua letteraria, su cui hanno avuto fortissima influenza proprio gli scrittori. Credo che la nostra condizione rappresenti quasi un unicum.”
E’ proprio cosi’, a mio avviso. Brava, Marilu’!

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 21:56 da Sergio Sozi


Rex-regis,
invece qui sono perfettamente coincidente con le tue opinioni-constatazioni:
”il fatto che con lo scrivere non ci si campi è dovuto al semplice motivo che gli editori sono “categoria” organizzata in Confindustia e fortissima (quando poi non sono presidenti del consiglio, a volte capita): gli scrittori invece per lo più sono piccolo borghesi incapaci di organizzarsi e privi della normale mentalità rivendicativa di una qualunque categoria economica (il piccolo borghese in genere trova disdicevole organizzarsi in sindacato: metti la cravatta a un italiano da mille euro al mese e subito si sente parte della classe dirigente: se poi scribacchia crede di essere una divinità dell’Olimpo!).
Solo per questo non ci si campa, altrimenti non sarebbe impossibile spuntare percentuali maggiori e minimi tabellari agli editori, e gli scrittori più in gamba hanno sempre fatto vedere i sorci verdi agli editori quando si tratta di soldi.”
Ciao
Sergio

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:04 da Sergio Sozi


Ciao, Sabina,
grazie per la condivisione e tanti Auguri per le Festivita’ natalizie!
Sergio

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:05 da Sergio Sozi


Alessandro Savona,
sei per caso parente di Paolo Savona?

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:06 da Sergio Sozi


Considerando, che oggigiorno ci sono tanti che si considerano sapienti e pochi quelli che, nonostante sappiano qualcosa, hanno capito che al confronto con la somma sapienza del Creato sono solo all’inizio di un viaggio senza fine, sono oggi più inclinato a godere la scrittura che cerca di svelare la verità senza riuscirci, se non inventandola.
Alla fine mi sento sollevato pur nel riscontrare che essa non sia di questo mondo e nello stesso tempo che abbia imparato a crearmela nei miei sogni con una forte intensità da riuscire a viverli anche nella realtà del giorno.
Sono i momenti di gioia, serena e calorosa, per chi vive realmente la sua giornata, con tutti i suoi problemi, e nello stesso tempo sente di appartenere anche altrove.
Per questi motivi, godo attualmente la lettura creata da un animo sensibile, chiaro ed esplorante il proprio incognito, che tale rimane anche dopo averlo svelato alla sua maniera, già intuendo che serve solo a tranquillizzare il mio animo.
E qui, sono d’accordo con Simona, che sempre mi precede con le sue analisi profonde ed espresse in una forma dolce e suggestiva, quando afferma che con lo scrivere si cerca una qualcosa di andato perso ed ancora inafferrabile.
Lo scrittore sente la necessità di trasmetterla nella forma scritta, come per rafforzarne la sua memoria e mantenerla viva, e di trasmetterla agli altri, seguendo il suo senso d’identificazione solidale con tutta l’Umanità, che intende soggetta allo stesso destino.
Lo scrivere ha segnato senza dubbio un passo in avanti nel processo evoluzionistico umano; da esso sono sorte le lingue e con loro i propulsori di una determinata scrittura: semplice, chiara, complessa, grammaticale, tecnicizzata, e i difensori della forma più coerente con il loro stato cognitivo raggiunto, che vorrebbero rimanesse inalterata.
Eppure, ogni cosa muta in questo mondo e così anche il linguaggio, e con esso la scrittura, esso muta nella sua forma ma non nella sostanza.
Saluti.
Lorenzo

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:19 da lorenzerrimo


Pero’ forse non sai che Dante per secoli lo sapevano a memoria contadini analfabeti di tutta Italia e lo declamavano dalla Alpi a Sicilia.
-
Sergio, intanto ti contesto il rex-regis: il grande Amba del “leggere e scrivere” lo declinava in modo assai più corretto: rex regum. Pertanto ti prego in futuro di tenerne conto!
quanto alla questione dei contadini dantisti, come non lo so, ne conoscevo uno, davvero. Declamava Dante alla perfezione… si fa per dire, ma ti assicuro che non ci capiva una parola! e subito dopo l’esibizione riprendeva a parlare nell’unica lingua che conoscesse, il solito dialetto.
-
Sono d’accordissimo con te nei punti in cui sei d’accordo con me, per cui siamo d’accordo, mi pare. Ciao e grazie.:-))

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:28 da rex


@ Cindy
Grazie, Cindy.
Credo che da qualche parte il video con il discorso di Le Clèzio si possa trovare. Immagino sul sito del premio Nobel o su YouTube.
Domani, se ho tempo, farò una ricerca.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:42 da Massimo Maugeri


Un caldo benvenuto ad Alessandro Savona. Con lui discuteremo presto di… Roland Barthes.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:44 da Massimo Maugeri


Un saluto a Maria Lucia, Simona, Rex, Sergio, Lorenzo per i nuovi interventi.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:45 da Massimo Maugeri


@ Rex
Maria Lucia è irresistibile… come molti letteratitudiniani :)

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:45 da Massimo Maugeri


Sulla questione del linguaggio…
Io credo che non ci sia solo il bianco e il nero. C’è anche il grigio.
Secondo me i commenti di Maria Lucia, Rex e Sergio sono compatibili.
Ciò che intendo è che il linguaggio è un processo che risente sia della lingua scritta e della lingua parlata.
Mi spiego meglio.
La scrittura ha una sua indiscutibile forza nel creare il linguaggio sia in maniera diretta, ma anche (addirittura) in maniera indiretta.
Pensate alla “forza” di certi romanzi. Una forza talmente imperiosa che si è trasmutata in aggettivi che sono entrati a far parte del vocabolario: “gattopardesco”, “donchisciottesco”, pantagruelico”, “gargantuesco”. Gli esempi sono tanti.
Ma è vero pure il contrario: la lingua scritta, a volte (anzi spesso), insegue quella parlata.
Fino a qualche tempo fa usare la parola “velocizzare” era considerato errore. Il verbo giusto era “velocitare”.
Oggi il termine “velocizzare” lo trovate un po’ in tutti i vocabolari.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:54 da Massimo Maugeri


proprio vero, Massimo:-))
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:56 da rex


Sui contadini…
Rex, è vero che molti contadini recitavano Dante, o altro, non capendo niente… perché erano analfabeti. E ripetevano il suono senza conoscerne il significato.
Ma è pur vero che ci sono (e ci sono stati) “contadini colti”.
Ce lo dice Giuseppe Bonaviri…
”La fase più bella per me – dice Bonaviri – è stata senza dubbio l’infanzia. Mi sono trovato immerso, senza volerlo, in un paese povero, contadino ma sapiente, dove su cento contadini o artigiani, come mio padre, cento sapevano l’italiano e scrivevano poesie.”

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 22:58 da Massimo Maugeri


Qualcuno di voi ha voglia di leggere (a sbafo) qualche pagina di Le Clèzio?
Avete la possibilità di farlo collegandovi a questo link della casa editrice :duepunti che offre l’intero primo capitolo del romanzo “Il verbale” (pubblicato da Gallimard nel 1963):
http://www.duepuntiedizioni.it/analogo/TV3_ilverbale_capA.pdf

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:05 da Massimo Maugeri


Collegandosi al link qui sopra dovrebbe aprirsi un pdf.
Riuscite a visualizzarlo?

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:08 da Massimo Maugeri


La scrittura ha una sua indiscutibile forza nel creare il linguaggio sia in maniera diretta, ma anche (addirittura) in maniera indiretta.
Pensate alla “forza” di certi romanzi. Una forza talmente imperiosa che si è trasmutata in aggettivi sono entrati a far parte del vocabolario: “gattopardesco”, “donchisciottesco”, pantagruelico”, “gargantuesco”. Gli esempi sono tanti.
-
Massimo, questo è indiscutibile. Ma se pensiamo a quanti termini sono entrati nel linguaggio da qualunque altra arte o mestiere (muratura, pesca etc.) dobbiamo convenire che la letteratura ha un posto normale e per nulla eccezionale nella creazione del linguaggio (del resto lo stesso Le Clezio dice che lo scrittore non inventa il linguaggio, piuttosto secondo lui ne sarebbe il custode). certo che le nostre posizioni sono conciliabili: io mi oppongo solo a questa “colorazione strutturalista” del dibattito culturale in voga oggi, che si risolve quasi sempre in pura tautologia, come nel caso di Le Clezio: secondo me, in estrema sintesi, la letteratura ha ben altro di cui occuparsi che non il linguaggio. :-) )

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:10 da rex


A me piace sempre ricordare la nascita “spirituale” della parola….
Nel de vulgari eloquentia contestando la testimonianza delle Sacre Scritture, che registrano come prime parole pronunciate dal genere umano quelle rivolte da Eva al serpente, Dante ritiene più verosimile che il primo verbo proferito da una lingua mortale fosse la parola El (in ebraico “Dio”), rivolta da Adamo al Creatore…
Questo sforzo per definire con un suono ciò che è massimamente invisibile mi pare la vera natura della parola.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:11 da Simona Lo Iacono


L’Uomo con la Camicia Celeste vorrebbe pubblicare un nuovo post, ma è molto stanco.
Lo farà domani, proponendovi la seconda parte del post “8 domande su scrittori e politica”.
Per il momento vi ringrazia e vi augura buonanotte. :-) )

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:11 da Massimo Maugeri


Ma è pur vero che ci sono (e ci sono stati) “contadini colti”.
-
D’accordo anche su questo. E’ proprio quello che sto dicendo sul blog: i miei interventi, riassunti, vogliono significare proprio questo, anzi di più: che la cultura più spesso procede dal basso, che non il contrario. Vedi che la pensiamo uguale? Adesso vado a legegrmi Le Clezio a sbafo, grazie.
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:15 da rex


E certo Rex, mica il vocabolario è composto solo di aggettivi nati dai romanzi.
Secondo me, in estrema sintesi, la letteratura deve occuparsi anche di linguaggio… ma rispetto la tua opinione.
;)
Buonanotte a te.
E buonanotte anche a Simo e a tutti gli altri amici.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:17 da Massimo Maugeri


@ Rex
Veramente, riferendoti al contadino dantista avevi scritto: “ti assicuro che non ci capiva una parola! e subito dopo l’esibizione riprendeva a parlare nell’unica lingua che conoscesse, il solito dialetto”.
Avrò capito male. Grazie per il chiarimento.
Ora basta, però… devo chiudere.
Notte.
:)

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:21 da Massimo Maugeri


A mio avviso di Dante ci capivano piu’ i contadini ”analfabeti” che noi con le nostre presunte raffinatezze intellettuali. Come credete che Benigni l’abbia imparato e capito, il Sommo Poeta? Sui campi! Si’: sui campi e tra i monti solitari e pastorali la Letteratura Vera e’ nata ed e’ stata capita veramente, acquisendo dunque un senso arcaico, profondo, sublime, alto. Cio’ non toglie niente alla Letteratura ”borghese” cioe’ ”cittadina”, per carita’, ma anzi completa e unisce il ”cittadino” Dante con il rurale declamatore ”analfabeta” (analfabeti siamo noi, italiani del Duemila) come noi oggi, noi figli della futilita’ massmediale, non possiamo ne’ vogliamo e tantomeno SAPPIAMO fare.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:33 da Sergio Sozi


P.S.
Ho usato il ”noi” non retoricamente: parlo infatti di me e di voi. Noi, appunto.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:35 da Sergio Sozi


Notte a te, Massimo.
Per chi fosse ancora sveglio, concludo questo interessante -almeno per me- dibattito, dicendo che mi dispiacerebbe passare a causa di una semplice battuta in risposta a Sergio, per il contrario di quello che sono: cioè la mia concezione della cultura, letteraria e non, è assolutamente anti-elitaria e inclusiva: proprio per questo ho insistito (fin troppo) sul non riconoscere allo scrittore alcun ruolo che non sia semplicemente quello di chi fa un mestiere come un altro. Quindi lo scrittore non è una vestale del linguaggio, né altro. Scrivere è un lavoro come un altro, come zappare la terra, ad esempio. Buonanotte a tutti.
rex

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:43 da rex


Ragazzi, siete fortissimi.
Vediamo se per una volta riesco ad avere l’ultima parola.
Sono d’accordo con Rex. Quello dello scrittore è un mestiere come un altro che ha a che fare con le parole, dunque linguaggio. Quello del contadino è un mestiere che ha a che fare con la terra, dunque zolle. Pari dignità. Il contadino può insegnare allo scrittore a zappare, e lo scrittore può insegnare al contadino a scrivere. Magari, poi,entrambi sanno già zappare e scrivere. O magari no.
Se si scrive, significa allora che non si agisce.
Se si zappa, significa allora che non si scrive.

Postato lunedì, 15 dicembre 2008 alle 23:50 da Marco Vinci


Se si scrive, significa allora che non si agisce.
Se si zappa, significa allora che non si scrive.
Se non si scrive e non si zappa, significa che si dorme.
(vuoi avere l’ultima parola e te la lascio, ma la tua battuta era troppo divertente, per me era impossibile non aggiungerci del mio)
rex

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:03 da rex


Ciao, Rex,
parlo sempre senza acredine: con gli altri, non contro gli altri, mai ”contro” qualcosa o qualcuno ma ”per” costruire insieme qualcosa (non ci conosciamo dunque lo devo specificare qui ed ora). L’importante e’ conoscere le basi comuni e letterarie del linguaggio e poi costruirci sopra le proprie personali – esattamente come il contadino che conosce le regole fondamentali dell’agronomia e poi prova a mettere qualcosa di ‘’suo”. Bisogna vedere se poi il grano muore o cresce rigoglioso, qui sta il ”problema”.
Inclusione, dunque, si’: inclusione di chi e’ bravo a fare il suo mestiere, ed esclusione di chi non lo sa fare, direi. E per tutti, esistono la grammatica e il vocabolario a far da regola codificata. O l’anarchia totale, dunque il caos.
-
Marco Vinci,
secondo me esistono piu’ zappatori che sanno scrivere che scrittori che sanno zappare.

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:11 da Sergio Sozi


Ultima osservazione: purtroppo, inoltre, la nostra incivilta’ moderna e’ stata capace di togliere anche le distinzioni fra citta’ e campagna. Omicidio efferato e orribile, questo…
Buonanotte, cari miei, e’ stato bello discorrere con voi tutti
Sergio

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:14 da Sergio Sozi


A conclusione della conclusione, concludendo direi che la cosa che mi ha colpito di più è questa di Simona Lo Iacono
-Questo sforzo per definire con un suono ciò che è massimamente invisibile mi pare la vera natura della parola.-
-
Notte e grazie a Sergio.

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:20 da rex


Grazie innanzi tutto a Massimo Maugeri e allo spazio di riflessioni che concede a tutti noi. Un affettuoso saluto a Simona Lo Iacono e a Maria Lucia. A Sergio Sozi rispondo che non credo d’essere parente di Paolo Savona. A Marco Vinci mi permetto di dire che trovo giusto quanto afferma ma unicamente in termini pragmatici. Non sono d’accordo con Le Clezio in merito al fatto che chi scrive non agisce poiché è in difficoltà alle prese con la realtà. La scrittura è qualcosa che agisce potenzilamente, nel bene e nel male, e non preclude il fatto che lo scrittore non possa essere un militante. E’ stupido citare la forza di testi quali la Bibbia, il Libretto Rosso di Mao, I dolori del giovane Werther e tanti altri che hanno mosso intere popolazioni, alla lotta politica come al suicidio. Questa è la prova che spesso la parola scritta è azione allo stato puro. Scrivere, forse, è anche questo e lo scrittore ne è moralmente responsabile. Un saluto a tutti e a presto.

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:22 da Alessandro Savona


Mi era sfuggito un bel commento di Sonia (vedi molto sopra), voglio copiarlo qui:
”Ho iniziato a scrivere, personalmente, nel momento in cui ho iniziato a vivere…tutto quel che è avvenuto prima è stato solo un preludio.”

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 00:46 da Sergio Sozi


ciao a tutti, ho fatto tardi. voglio solo farvi una domanda, che magari non c’entra tanto col Nobel ma col tempo dello scrittore:
secondo voi un romanzo lo si può correggere per otto anni? o dal primo all’ultimo capitolo lo stile ‘cambia’?
‘notte a tutti.
:)
un abbraccissimo!!!!
p.s.
sergio: #secondo me esistono piu’ zappatori che sanno scrivere che scrittori che sanno zappare.#
mi hai fatto pensare a ’sao ke kelle terre…’
:)
‘notte

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 01:00 da gianluca


Caro Gianluca, ah ah ah! Hai citato il ”Lascito capuano” e lo hai fatto a ragion veduta! In realta’ molti scrittori (io in primis, credo) sono degli zappatori inconsapevoli: zappano le pagine e non in senso buono come diceva l’ ”Indovinello veronese” (X sec.): ”Se pareba boves…”.
Ciao, caro! ‘Notte!
Sergius Spiritosus

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 01:06 da Sergio Sozi


Placito capuano, volevo dire e Indovinello del IX sec. non del X. Ho la memoria tarlata, ragazzo…

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 01:10 da Sergio Sozi


@ rex:
“Insomma, queste righe mi sembrano un importante monito (Sabina)”
In realtà non sono io a sostenere questo, ho condiviso il discorso sul linguaggio avanzato da Sergio Sozi.

Ad essere sincera poco mi importa se sia un premio o Nobel o un semplice appassionato di libri e di scrittura a sostenere ciò e non credo nemmeno ai moniti del Papa, quindi figuriamoci… Perchè questo estremizzare quella che vuole solo essere una considerazione? Che non si tratti di un monito nel senso estremo del termine penso ne fosse convinto anche lo stesso scrittore.

Tutto può divenire banale se decidiamo di non voler vedere nulla di interessante; qui si tratta di scrutare quel bisogno di scrivere che caratterizza certi uomini (mica l’intera umanità). Si parla di Letteratura immagino e non dei diari segreti e personali (per quanto io creda nei diari personali e nella loro validità: la storia di un popolo e di una cultura può venire fuori anche sfogiando quelle pagine).
Non condivido invece il fatto che Scrivere sia come costruire muri o case, è di certo una professione ma è di certo indipendente dal compenso economico: si scrive per passione inizialmente, poi diviene (o non diviene mai) un lavoro.

Grazie Sergio:
ricambio gli auguri per un sereno Natale e un altrettanto sereno nuovo anno.

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 20:08 da Sabina Corsaro


Cara Sabina, ho cliccato sul tuo nome e mi pare che di aver capito che sei …ehm… alquanto.. più giovane di me. Perciò credo alla purezza del tuo ideale di passione, ma probabilmente in seguito ti accorgerai che pure i biscottai dichiarano che i biscotti li fanno dal …1623.. per passione di famiglia!
Cara Sabina, gli ideali ‘passionisti’ si addicono alla gioventù, e purtroppo non è più il mio caso… ciao e grazie (scappo, ho da andare a litigare con il Capo, urge!)
rex

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 21:40 da rex


Cara Sabina,
Grazie per il tuo commento.
Io la penso come te, soprattutto quando scrivi che la scrittura “è di certo una professione ma è di certo indipendente dal compenso economico: si scrive per passione inizialmente, poi diviene (o non diviene mai) un lavoro”.
Ma Rex la pensa diversamente. E va bene così.
In fondo se la pensassimo tutti allo stesso modo non ci sarebbe di che dibattere ;)

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 23:33 da Massimo Maugeri


Cara Sabina,
ovviamente ”monito” non era da intendersi in senso stretto, come hai ben precisato tu.
-
Poi: il prima… il dopo… scusatemi ma che c’entrano le scansioni temporali? Basta solo dire che quando un editore acquista un’opera per pubblicarla la paghi all’autore un tot a pagina e punto e gli dia le royalities eccetera. Il prima e il dopo sono affari extracontrattuali e ognuno se li vede da se’.
Salutoni

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 23:38 da Sergio Sozi


Vorrei poi rispondere a Gianluca:
si’, io ho notato degli importanti mutamenti nelle poche cose che ho scritto nel corso di tempi lunghi – in genere inizio a scrivere e compio il lavoro entro massimo tre quattro mesi oppure lo lascio incompiuto e non ci torno piu’ sopra. Ma gia’ durante un anno, molte cose cambiano in un racconto lungo o altro di narrativo.
Ciao
Sozi

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 23:42 da Sergio Sozi


Intendevo dire che se uno e’ un vero scrittore, insomma lo e’ nell’intimita’, quando diviene professionista non fa che esserne felice e magari migliora pure la propria scrittura. Non e’ detto che la professionalita’ significhi solo adeguamento alle leggi di mercato e furbizia incancrenita. I furbi e i venali sono coloro che non hanno amori ne’ passioni durevoli. I letterati che dico io sono ben altro: ci crederebbero anche se fossero miliardari o accattoni, e’ uguale.

Postato martedì, 16 dicembre 2008 alle 23:53 da Sergio Sozi


E dico questo anche perche’ mi sono rotto altamente i ”cosiddetti” di stare a sentire – non parlo dei presenti – la (troppa) gente che si crede ”vissuta” come un corsaro o un bucaniere dell’editoria, un ”navigato” avventuriero degli intrighi editoriali, se solo non ha piu’ vent’anni: ma che significa? Che divenire professionisti vuol dire solo indurirsi nel cuore, speculare freddamente sulla propria scrittura, portare avanti ”lotte fra bande” rivali di congreghe editorial-mafiose fatte di recensori prezzolati e scrittori snob, modaioli e/o pseudo-malati di mente?
No. Non solo questo. Anche magari, ma non solo, Dio ci aiuti!

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 00:01 da Sergio Sozi


La Letteratura e’ una cosa sacra, dopotutto. E tale resta per il sottoscritto: guai a disilludere i giovani, i quali invece devono avere il nostro conforto, tutto il nostro aiuto d’ogni tipo, per rinnovare le parti marce, corrotte, insensibili, violente direi addirittura, dell’editoria italiana ed annessi e connessi. Allora dico questo: rimaniamo puri di cuore ed andiamo avanti, tutti, vecchi e giovani, consci che la scrittura e’ un tesoro del nostro Paese e bisogna rimanere sempre se stessi anche se si ha la fortuna di pubblicare per Mondadori o la sfiga di esser inascoltati per decenni. Prima o poi, la roba buona uscira’ dai cassetti: noi riempiamoli e basta.

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 00:06 da Sergio Sozi


Sintetizzando: puri di cuore ma non fessi. L’editore paghi che questo e’ il suo dovere e noi scriviamo bene che questo e’ o potrebbe essere il nostro.
Convinti che la scrittura e’ una cosa SACRA e bisogna studiare sempre, senza MAI credersi geni assoluti ma manco poveri sfigati.

Buonanotte e grazie al Maugger e a tutti voi come al solito.

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 00:25 da Sergio Sozi


Io invece a un giovane che fosse curioso di sapere come la penso, magari per farsi quattro risate, direi che l’editoria è un’industria e che con lo scrivere vale la pena di perderci tempo solo se si intende farne un lavoro, e di puntare diritti allo scopo con mentalità professionistica (poi, se si scrive per tenere il diario del cuore va benissimo, ma questa è un’altra cosa, non di questo sto parlando io). Altrimenti si finisce solo per intasare inutilmente le case editrici di manoscritti che nessuno leggerà.
-
Perché il mondo purtroppo non è mai stato un posto per puri di cuore, magari lo fosse! magari fosse così pieno di gente appassionata e disinteressata come quella che si incontra in questo meraviglioso blog! Invece purtroppo il mondo reale è pieno di corsari e bucanieri che si approfittano proprio dei cuori cuori puri e appassionati, altroché, nell’editoria come in qualunque altro settore.
-
Purtroppo l’esperienza mi ha insegnato che chi dice che il denaro non conta lo dice solo perché ne è ben fornito o per eliminare la concorrenza. Perciò anch’io ne ho i “santissimi” pieni di ascoltare discorsi retorici e pieni di vuoto, che capita di udire proprio e soprattutto in questo campo. Quindi per conto mio non ci tornerò nemmeno più sopra perché mi pare di aver detto tutto quello che avevo da dire sull’argomento: che riassumo dicendo che l’unica cosa che conta nella scrittura, se si ambisce a scrivere sul serio, è acquisire una mentalità professionistica fin da subito. Perché gli scrittori sono quelli che il mondo riconosce per tali, non i sedicenti. E per essere riconosciuti ci vuole mestiere, in questo campo come in qualunque altra cosa. Ciao a tutti, ciao Massimo. :-) )
rex

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 00:49 da rex


Caro Rex, anch’io chiudo qui dicendo:
il denaro per me conta, certo: ne ho bisogno e non mi sento in colpa per questo, tutt’altro. Ma la professionalita’, nelle arti, per me vuol dire solo esprimere bene quel che si ha (individualmente) nel cuore, nell’anima, nella mente e nei ricordi: dunque il professionista delle Lettere e’ un letterato, NON un affarista travestito. Un LETTERATO, cosi’, deve scrivere libri ed essere pagato dall’editore. Non un dilettante. Non un calciatore, una soubrette, un azzeccagarbugli qualsiasi, un politico, un attore, uno che si sveglia e scrive ”faccio successo con un libro anche se non so l’italiano”. Un l-e-t-t-e-r-a-t-o: anima, riflessione, amore, storia letteraria, grammatica e fantasia in corpo unico.
ciaobello
Sergio

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 02:09 da Sergio Sozi


P.S.
E anche questo, per me, e’ un lavoro come un altro, siamo d’accordissimo, Rex: come uno studia pediatria o chimica per passione e poi diventa pediatra o chimico di professione, cosi’ e’ un letterato: studia le lettere invece che le formule e poi diventa professionista. Ovvio. Per me ovvio ed europeo, come concetto. Non italiano, purtroppo. Ancora. Si diceva il piccoloborghese, eh… hai ragione!

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 02:14 da Sergio Sozi


“Cara Sabina, gli ideali ‘passionisti’ si addicono alla gioventù, e purtroppo non è più il mio caso…”

probabilmente il giovane, caro rex, ha meno delusioni e meno espeirenza alle spalle o forse l’età non conta nulla ed è solo una questione di carattere, temperamento, non so…

Il discrorso temporale, Sergio, ha invece per me importanza, nel senso che quando scrivi per la prima volta un libro, un racconto, non lo fai pensando che poi ci dovrai guadagnare… Spesso (e voi scrittori navigati l sapete meglio di me) accade il contrario: è il giovane autore in erba a dover pagare per farsi pubblicare i libri, molte case editrici (anonime oltretutto) speculano molto su questo e lì o sei benestante o ti tieni il tuo ble libro nel cassetto per non farlo poi conoscere mai più… le conosco le dure leggi del mercato editoriale (su questo sono d’accordo con rex, si tratta spesso di una vera e prorpia industria).

Però se mi Scrivere, se ne hai necessità (e quindi si parla di questo, continui a farlo, a crederci ancora, perché non puoi stare senza.

E’ quello che accade anche per un altro tipo di scrittura che è quella legata alla Ricerca: anche quello è scrivere, ma in un altro contesto e con altre finalità, se si pensasse solo ai soldi, forse molta gente non intraprenderebbe mai questo tipo di scrittura, ma non voglio andare fuori tema.

Io non mi sento una scrittrice, molti di voi lo siete di fatto e in modo meritato e esperito, io ho solo smepre sentio la necessità di scrivere da quando avevo 8 anni: inventavo racconti su musicisti come Chopin, ci costruivo una drammatica biografia e me li tenev per me, o al massimo facendoli leggere ai miei fratelli. Poi verso i 12 -13 anni ho scritto un lungo racconto (di circa 300 pagine, manoscritte) sulla Germania degli anni ‘20, inserendo fonti documentaristiche e personaggi come Hitler, evidenziando il punto di vist di un protagonista ebreo… Scrivevo e basta, non mi chiedevo se lo avrei mai fatto leggere a qualcuno, non era il mio fine (inizialmente). Poi verso i 18 anni lo feci leggere ad un editore (una casa editrice locale) che mi disse: “Non interesserà a nessuno questo problema tra nazismo ed ebrei e per pubblicare un libro ci voglono soldi”.
In realtà nons o nemmeno se mi piacciono le cose che scrivo, ma lo faccio. Ora un po’ meno, ho canalizzato questa passione per la Ricerca, per i testi critici ma non potrei stare senza scrivere.

Quando il proprio Amore, la propria Passione diviene una professione (quella della prorpia vita) si raggiunge l’Apoteosi.

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 09:45 da Sabina Corsaro


Scusate gli errori (terribili) di battitura ma tra la fretta e la vecchia tastiera… :)

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 09:48 da Sabina Corsaro


Credo che il secondo passo del discorso di Le Clézio riguardo allo scrittore testimone si attagli abbastanza alla mia idea di scrittura, nondimeno concordo pienamente con Sabina Corsaro che lo scrivere implichi azione. Se racconto, se sono testimone di ricordi, sogni, immaginazioni, metafore, storie, se il vissuto per il tramite della scrittura riesce ad insinuarsi nel vissuto altrui diventandone parte, universalizzandosi, tutto questo è azione, movimento. Forse chi scrive non può offrire soluzioni, determinare cambiamenti ma nel momento della creazione possiede le chiavi della libertà. Delia

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 15:57 da delia morea


Carissima Maria Lucia Riccioli
grazie per l’indicazioni, havevo gia lasciato alcune mie riflessioni sul post delle sentite e magistrali giuste riflessioni di Morena Fanti.

Ma il mio infranto cuore non vuole parlare di dolore, ma di consapevolezza. Di Verità per capire che cosa voglia dire effettivamente MORTE per cancellarla dalla mente e da tutti i testi dove è scritta.
..
Un vero scopo di ogni cammino di vita è riscoprire il proprio destino, il proprio ruolo, la propria parte in questo scenario materialistico / relativistico / riduttivo ma anche necessario per tanto sentire, per tanto capire. E’ importante fa parte dell’insegnamento terreno lungo il sentiero della vita, anche se a volte è circoscritta da una normale e comune parte interpretativa, in un ruolo che non è il nostro. Il vero regista aveva previsto anche questo mio giusto ribellarsi e su questa preannunciata strada aveva destato il cuore dello spettatore che era nell’attore affinché potesse parlare a tanti e dare traccia di questo risveglio interiore.
..
E’ solo una Traccia, Una Scia, Una Libera Rotta che è stata indicata da un sincero cuore e lasciata andare sulle ali di un vento, al libero arbitrio di scelta o di repulsa di tanti.

Certo è anche vero che nella coscienza ordinaria è inammissibile, inaccettabile, impossibile e quasi pazzia concepire che un essere umano vada oltre il velo delle apparenze e nei ricordi di tante vite passate, navigando in un mare fatto d’Illusioni materiali e scoprendo la vera natura dell’essere immortale all’insaputa di chi nell’illusoria ignoranza ne ha fatto e continua a farne vano e futile inutile potere.

Affettuosamente
Raffaele

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 16:40 da Raffaele Zaccà


bellissima discussione,io da “apprendista scrivana” timidamente ci penso spesso al perchè scrivo,ma poi l’onda mi travolge e mentre lo faccio so che non devo più chiedermelo. Credo che l’agire nella scrittura esista eccome, è una trasmigrazione dell’anima in tanti altri corpi e vite che la scrittura ci dà opportunità di vivere,è un tentativo di rendersi immortali, e non solo attraverso l’opera che si produce ma nell’essere altro da sè,essere uomo,bambino, gatto, albero o sasso, tutto con la propria anima come un moltiplicarsi infinito. E se sei autentico nella scrittura, oltre che capace di dar soffio di vita ad un sasso, allora avrai donato a chi ti legge altra vita in un mondo in cui la magia del vivere per fortuna non si compra al mercato.

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 23:37 da francesca giulia


Grazie mille per i nuovi commenti pervenuti qui.

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 08:02 da Massimo Maugeri


E se sei autentico nella scrittura, oltre che capace di dar soffio di vita ad un sasso, allora avrai donato a chi ti legge altra vita in un mondo in cui la magia del vivere per fortuna non si compra al mercato.
-
Posso farti una timida domanda? Perché dici che la magia di vivere per fortuna non si compra al mercato? Pensa a quanto sarebbe pratico:
-Mi dia due chili di magia di vivere, per favore
-La mangia qui?
-No, da asporto, grazie.
-Prego. Sei euro. Arrivederla
rex

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 10:35 da rex


Mi riferivo al post di Francesca Giulia, mi scuso con lei per non averlo specificato
rex

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 10:37 da rex


signor rex,pensa che bello un indice in borsa della magia di vivere,oggi magari sarebbe negativo più di polizze index linked incriminate,emilio fede gongolerebbe dicendo la magia sale la magia scende,ma se sale è solo grazie al cavaliere della tavola rotonda,crisi dei mercati di magia del vivere scoperto contrabbando di sacchi di magia, rapinatori a volto scoperto rapinano coppietta al parco di tre kili di magia del vivere lasciandoli a terra tristi e depressi,la scienza scopre la nuova pillola sostitutiva della magia del vivere;soffio di vita a disposizione dietro ricetta medica, i sassi si riuniscono per manifestare contro il provvedimento,rivogliono indietro i poeti e gli scrittori!
saluti
francesca giulia

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 14:49 da francesca giulia


“Forse chi scrive non può offrire soluzioni, determinare cambiamenti ma nel momento della creazione possiede le chiavi della libertà” (Delia)

Non trovo parole più belle di queste sulal scrittura e l’azione…

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 15:40 da Sabina Corsaro


Cara Francesca Giulia,
che belle parole dici! Come ne sono contento! Vediamo se ti piace questa cosetta (mia) da cliccare (scusami Maugger: la tentazione di far leggere un mio raccontino a chi ama come me la vita dei sassi e degli alberi, l’armonia terrestre era troppo forte. Non lo faccio piu’!):
http://nuke.ilsottoscritto.it/Default.aspx?tabid=1048

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 15:41 da Sergio Sozi


Sabina carissima,
io semplicemente non vedo contrapposizione tra professione e ispirazione, onesta’ e capacita’ letterarie. Tutto qua. Mica e’ detto che scrivere per lavoro ci faccia diventare brutte persone, no? E chi lo divenga non deve avere la scusante della professionalita’, anzi…
Ciaociao
Sergio

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 15:43 da Sergio Sozi


- Lo scrittore, il poeta, il romanziere sono creatori. Ciò non significa che inventano la lingua, ma che la adoperano per creare bellezza, pensieri, immagini. Ecco perché di loro non si può fare a meno. Il linguaggio è l’invenzione più straordinaria del genere umano, perché precede ogni cosa, rende partecipi tutti. (…) Gli scrittori, in certa qual misura, ne sono i custodi. Quando scrivono i loro romanzi, i loro poemi, le loro opere per il teatro, fanno vivere il linguaggio. Non utilizzano le parole: al contrario, sono al servizio del linguaggio.

Ecco il mio pensiero qui ben detto :) Scrittori ..creatori, che fanno vivere il linguaggio. Ecco perché, ad esempio in poesia, ci si esprime in maniera talvolta poco ortodossa ..le parole non vengono utilizzate, ma da esse si estrae il significato di cui son pregne e nell’accostamento, diverso di volta in volta, esprimono diversità di concetti ..con le stesse parole si possono dire/dare emozioni molteplici e anche contraddittorie.

Grazie del post
Un saluto a tutti
Rina

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 18:44 da Rina Accardo


@ Sergio:
“Mica e’ detto che scrivere per lavoro ci faccia diventare brutte persone, no? E chi lo divenga non deve avere la scusante della professionalita’, anzi…”

Siamo perfettamente d’accordo, voglio solo far capire che molte volte (non sempre mi auguro) non sempre quando si scrive si guadagna… Io fino ad ora ho scritto (in ambito accademico, o in contesti diversi con recensioni etc. unicamente senza avere compensi)… quando avrò anche quelli credo che sarò veramente all’apice della gratificazione,ma credo che si tratti più di una questione di appagamento completo, tuttavia cosa dovrei fare? Abbandonare ciò che amo? A volte per continuare a dedicarsi a ciò che è la propria passione si devono trovare altri modi per guadagnarsi da vivere (più pratici, magari legati ad altri ambiti che non siano quelli della scrittura). Lo scrivere non dà il pane purtroppo e per arrivare a questo si devono fare molti sacrifici e solo se il tuo è vero amore non abbandoni tutto.

E’ solo questo che intendevo dire, caro Sergio. Vorrei anch’io riuscire a far coincidere entrambe le cose (a livello di ricerca, a livello di scrittura critica) ma se non è così, nonsi può mollare solo perché non si hanno introiti, ti dài da fare per sopravvivere ma contonui e non demordi…

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 19:18 da Sabina Corsaro


Bravissima, cara Sabina… continua e non demordere. Mai!!!
Piuttosto mordere… ma non demordere.
:)
“La scrittura non paga, ma appaga!”
Credo che in tanti si potrebbero riconoscere in questo detto.

p.s. Sei poi paga, appaga ancora di più.
;)

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 19:41 da Massimo Maugeri


@Sabina. Sai che ho dimenticato di chiederti qual è il mio compenso per quegli articoli? Non meno di mille euro per ogni uno, spero.

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 19:46 da Salvo zappulla


Per quelli, caro Salvo, siamo soliti firmare assegni in bianco… :) )

Ringrazio Salvo che collabora con Lo Schiaffo (a proposito, posso fare una piccola pubblicità)? Siamo regolarmente iscritti al Registro del Tribunale, dopo tanta attesa siamo riusciti a creare una squadra molto motivata e or esistiamo a tutti gli effetti e in modo serio).

Tutto in modo puramente gratuito… però se degli spondor vorranno fare opera di solidarietà… ben vengano… ;)

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 20:55 da Sabina Corsaro


ovviamente il termine era: ’sponsor’.

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 20:57 da Sabina Corsaro


Sabina, diciamo le stesse cose. Solo che in piu’ a me vengono in mente dei provvedimenti di legge per tutelare la categoria – che sarebbe una categoria vera e propria se solo avesse meno voglia di apparire fine a se stessa e piu’ professionalita’ (perche’, siamo seri: oggi la gente scrive male, in genere e non sa le regole piu’ elementari).
Io voglio la lotta dei bravi scrittori per esser pagati come meritano.

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 22:42 da Sergio Sozi


“oggi la gente scrive male, in genere e non sa le regole piu’ elementari).
Io voglio la lotta dei bravi scrittori per esser pagati come meritano”.

Su questo mi trovi assolutamente solidale. L’idela , in realtà, sarebbe quello, è vero, di far capire che quando si sicrive si fa un lavoro mentale ed intellettuale che non ha nulla di diverso, in termini di impiego del tempo e di prestazione, rispetto a chi fa altri lavori di qualsiasi tipo, ma il problema è che spesso non è così: la Ricerca ad esempio, in questo momento è in piena crisi, ma se non vuopi arrugginirti e distaccartio da impegni intellettuali che coltivi da anni non puoi decidere di piantare tutto; allo stesso modo con la scrittura: ma se un editore non ti pubblica mai un libro, devi pur trovare altro modo per vivere.

Io sono per le lotte, caro Sergio, ma comincio sempre più a pensare che a volte ci sono cose che realmente sono più grandi e incomprensibili di noi. Perché tempo fa una Melissa P. ha pubblicato con la Mondadori, mentre tanta gente che ha molto più da dire non viene nemmeno presa in considerazione?

Io stimo molto la mondadori ed ha dimostrato il più delle volte di premiare la qualità, però è accaduto e accade.

Il nostro Governo si industria in modo animato a far valere il merito ma non credo sappia quali siano gli strumenti per farli valere… Non vado oltre perché non voglio farne una questione politica e sono in un momento in cui mi sento sfiduciata per le lotte di questo tipo… Mi passerà e tornerò combattiva come sempre.

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 08:43 da Sabina Corsaro


Melissa Panarello ha pubblicato con Fazi, non con Mondadori. E il suo libro ha segnato il primo grande successo di quella casa editrice, attualmente in vetta alle classifiche con la Meyer.

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 09:18 da Aurelio


Perdonate, ricordavo male…

Ritengo comunque che ci sia differenza tra successo editoriale e qualità, non è di certo questo il parametro che misura la validità letteraria di un testo (in tutti i campi). Basti pensare al cinema e ai film di Vanzina (prima) e di Neri Parenti (adesso) per capire ciò che intendo dire. Se si cerca il successo è un altro discorso ancora… Anche le veline hanno successo e persino i tronisti della De Filippi sono su tutte le copertine e guadagnano e fanno guadagnare gli agenti solo per apparire… Qui non stiamo parlando affatto di successo ma di qualità e validità letteraria. Non basta saper scrivere gramamticalemten corretti per definirsi scrittori e Melissa Panariello è molto lontana dall’esserlo. Le case editrici hanno le loro leggi di mercato e non tutte guardano alal qualità ma a quanto potranno guadagnare.

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 10:53 da Sabina Corsaro


Chiedo venia per gli errori di battitura ma scrivo di fretta…

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 10:54 da Sabina Corsaro


accidenti sabina come sono in sintonia con le tue parole,questa storia di continuare a ritenere i picchi di vendite dei libri di scarsissima qualità letteraria e di contenuto come indice di “successo” è fastidiosa per chi scrive come per chi ama leggere, ma soprattutto per chi si sforza ancora di scegliere in un momento in cui ci viene propinata la realtà attraverso un sondino che alimenta il nostro stato di morte neuroemozionale come se fossimo vegetali appassiti. Credo che le mie piante abbiano più risposta agli stimoli esterni di quanto la maggior parte degli esseri umani che ci circonda,tronisti e filmvacanzieri di natale compresi. Ancora,nel mio piccolo tentativo di agire,spreco parole a spiegare a quelli che mi vogliono vendere i 200 e passa canali di varie emittenti che preferisco non avere 200 e passa possibilità di rimbecillimento passivo ma magari scegliere di spegnare la tv e parlare con chi mi siede accanto, o con il mio libro.La gente che dice che melissa p è stato un successo è quella che dice che la nemirowsky è difficile, per esempio.Ma in fondo il variegato mondo è bello perchè ci consente di andare dove la folla non và.
Se scrivere male significa stare in “vetta alle classifiche” io voglio stare a livello del mare e scrivere almeno benino per insegnare qualcosa ai miei figli.
sergio sozi, ti ho letto, i miei complimenti,per il contenuto ma anche -per dirla alla veltroni- per la minuziosa e sentita cura del linguaggio rara nella sciattezza che c’è attorno a noi.
francesca giulia

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 12:51 da francesca giulia


Grazie, cara Francesca Giulia, tengo nel cuore questo tuo complimento! Auguri e Buon 2009!
Sergio

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 15:30 da Sergio Sozi


che sia un buon inizio anche per te e tutti gli altri ospiti di letteratitudine,sono contenta di aver scoperto un luogo di incontro virtuale così interessante e che faccia e ci faccia porre tante domande a cui non è sempre importante dare una risposta (io almeno non ne ho per ogni domande :-) ))) ,ma far scaturire altre domande che ci aiutino a coltivare il dubbio e farci guardare la realtà e il sogno qualche volta anche a testa in giù…o da altre posizioni.
1 grazie sentito al “titolare” maugeri
francesca giulia

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 15:41 da francesca giulia


Care Sabina Corsaro e Francesca Giulia,
vi riporto la mia esperienza in breve. Personalmente oggidi’ ho enormi difficolta’ ad essere pubblicato, ma esordii con una raccolta di racconti nel 2007 (veramente avevo pubblicato tantissime altre cose cultural-letterarie gia’ dal 1989 ad oggi: sono venti anni che pubblico e in Internet sono presenti valanghe di recensioni, prefazioni, interventi, trattazioni d’ordine italianistico e letterario in genere). Allora: nel 2007 esordii grazie ad un piccolo ma onesto editore nazionale romano (Valter Casini editore), il quale credette in me dopo che avevo mandato la mia agente romana in giro fra piccoli e grandi editori per DUE anni INUTILMENTE (rifiuti a catena di Sellerio, Ancora del Mediterraneo, Einaudi, Bompiani, Adelphi, ecc, non li ricordo tutti). Infine arriva il contratto di Casini: non avrei percepito una lira ma solo una modesta percentuale sulle copie vendute (che ancora non ho visto e ormai non vedro’). Era il miglior avvio che in Italia si potesse sperare, almeno in Italia. Pero’ la lotta e’ ancora tutta da portare avanti, perche’ chi scrive bene, personalmente e in maniera un po’ complessa anche se significativa in Italia e’ SVANTAGGIATO e resta solo. Allora deve lottare di brutto. E questo faccio, perche’ studio, lavoro sulla lingua, leggo i classici e i vocabolari, la grammatica se ho dubbi, eccetera. Insomma lavoro in maniera professionale senza perdermi d’animo e soprattutto EVITANDO IL PERICOLO PIU’ GRANDE: QUELLO DI INARIDIRSI E DIVENIRE RANCOROSI E PETTEGOLI. No. Io sono sempre me stesso. Ma non demordo, perche’ ormai tanta gente mi ha fatto capire che valgo qualcosa (Pazzi, Marani, Attilio Del Giudice, Salvo Zappulla, Marco Gatto, Maugeri stesso, Dante Maffia, Walter Pedulla’, fra gli altri: gente che scrive bene) e dunque lotto. Se avrete dei confortanti giudizi da parte di gente DISINTERESSATA, SERIA E SINCERA, FATE LO STESSO ANCHE VOI: non diamola vinta alle Melisse P., agli ”intellettuali” pseudo-complicati delle ”aggragazioni post-moraviane” che non dicono niente per dire tutto in pillole popolareggianti, eccetera.
Siamo noi stessi e uniamoci!
Con Cari Saluti e Auguri Natalizi
Sozi

Postato venerdì, 19 dicembre 2008 alle 15:53 da Sergio Sozi


Be’, grazia ancora per i vostri commenti.
Sono felice che questo post continui a… “tirare”.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 01:02 da Massimo Maugeri


Sergio, vai avanti e non ti scoraggiare…

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 01:04 da Massimo Maugeri


Un abbraccio a Sabina

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 01:04 da Massimo Maugeri


@ Francesca Giulia
Sono io che ringrazio te. Senza i commenti (compresi i tuoi) che fioccano con generosità, questo blog non varrebbe nulla.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 01:05 da Massimo Maugeri


@…
Si scrive quando si perde l’istinto.
Si scrive per raccontare ciò che non si riesce a capire, o meglio, per spiegare agli altri ciò che si crede di aver capito e loro non capiscono.
Si scrive per dare parole a quei silenzi, dare forme a quegli spettri, svelare verità a misfatti e scoperchiare bugie che tiranneggiano.
Si scrive usando le parole, logicamente; perchè il linguaggio è la “più straordinaria delle invenzioni del genere umano”…
Poi, quelle stesse parole, ti accorgi che non erano così tante, come pensavi di possedere. Non erano nemmeno così musicali e efficaci al punto giusto. Non riescono a descrivere ciò che vuoi veramente tratteggiare; non riescono a spiegare ciò che vuoi fino in fondo dire.
Sono troppo lunghe. o troppe corte. o troppo dolci. o troppo sguaiate. sono monche. ‘menomate’. irruenti. invadenti. timide. troppo pudiche…

Silenzio!…

E’ forse da lì che nasce ogni forma d’arte.
E come si fa a parlarne?…
-
Un caro saluto a tutti e …Buon Natale, se non ci “parliamo” fino ad allora.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 14:02 da Gianni Parlato


Cara Francesca Giulia siamo perfettamente in sintonia, mi piace questo modo di vedere la vita e le cose attorno.

Grazie Massimo per l’abbraccio, si ha bisogno di questo sostegno (anche virtuale) dagli Amici ;)

@Sergio Sozi:

mi spiace che tu stia trovando difficoltà in questo momento, spero riesca a superare questa fase, l’importante è non demordere … poiché prima o poi si ‘morde’, come dice il nostro carissimo Massimo.

Hai citato Walter Pedullà: sai che ho letto il suo libro sul grande Debenedetti? Pensare che ha avuto la fortuna di essere suo allievo;

penso che avere la possibilità e la fortuna di conoscere grandi personalità e grandi Maestri sia una delle ricchezze più grandi per un intellettuale, altro che vendite di milioni di copie sulla base degli aprezzamenti della gente comune…

Spero di non apparire classista ma solo profondamente amante della qualità ed essenza della Cultura.

Mi sono piaciute molto le parole di Gianni Parlato: credo che l’arte nasca infatti da quel silenzio, ma è un silenzio che forse equivale all’asenza di suoni, ma non al nulla o al vuoto: un silenzio può essere fatto di immagini e io credo che la parola nasca dall’immagine.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 21:15 da Sabina Corsaro


Grazie, Sabina,
sono dell’idea che il silenzio nasca solo da Dio e dagli Dei, o forse da qualcos’altro di altrettanto indefinibile, non dalle immagini – le immagini anzi vengono dal silenzio. Gianni Parlato secondo me diceva questo, anzi ne sono certo. Comunque sia, il mio silenzio e’ molto produttivo e spero lo sia anche il tuo, cara.
Ciaociao
Sergio

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 21:48 da Sergio Sozi


P.S.
Il prof. Pedulla’ era il presidente della giuria del Premio Nazionale Sandro Penna che nel 1999 segnalo’ la mia silloge poetica ”Oggetti volanti” – poi confluita nel volume omonimo, edito a Perugia dall’editrice Fra.Ra..
Il Premio Penna di Citta’ della Pieve (PG), e’ un premio serio al quale hanno collaborato gente come Elio Pecora, Enrico Cerquiglini e Bruno Quaranta.

Postato sabato, 20 dicembre 2008 alle 21:54 da Sergio Sozi


@sergio sozi
grazie delle tue parole che raccontano la tua esperienza, è bello sentire incoraggiamento da chi scrive ad un livello già riconosciuto,mi dispiace se hai avuto difficoltà,ma io credo che la qualità con pazienza venga sempre ripagata,e se mollate voi “veri” noi che ci proviamo che dobbiamo fare?Và bene che i giudizi degli altri siano positivi ma in ogni cosa che facciamo,anche la scrittura,se ci crediamo davvero siamo noi stessi a darci il valore che prima o poi ci verrà anche riconosciuto,è il coraggio delle proprie idee.
Se piacciono a qualcuno ben venga, ma se non piacciono a tutti mica le dobbiamo cambiare?
P.s.il silenzio è necessarioe proficuo,ma per esserlo, per me, è bene che sia intervallato dal rumore,come un passo e una sosta,il silenzio è un’attesa, la pausa ad un nuovo movimento,soltanto così si produce musica.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 00:43 da francesca giulia


Io credo che il silenzio nasce da Dio per coloro che credono inDio. Per l’ateo il silenzio non potrà mai nacere da Dio, ci sono verità che non sono assolute e l’Arte, come sosteneva Proust (andando contro lo stesso Maestro Ruskin) , non può essere ridotta all’idolatria: dietro l’opera d’arte per Proust non sta l’impronta del divino, forse il suo tentativo di imitarla ma allora per chi non crede l’Arte è indescrivibile e irraggiungibile? Non credo.

Le immagini arrivano all’anima di un uomo ancor prima dei suoni e la parola (che diviene poi scrittura) a mio avviso nasce sempre dal fotogramma di un’immagine che è improvvisamente apparsa nella nostra mente (in Lezioni americane Calvino parla dell’immaginazione inmodo seducente e veritiero).

In bocca al lupo Sergio, spero ci drai buone notizie presto sul tuo prossimo libro.

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 09:17 da Sabina Corsaro


Carissimi,
mi illumino d’immenso disse un grande che è nel cuore di tanti.

Quanta celata verità si nasconde dietro una sola parola, una sola espressione, e non ditemi con raggiranti proseliche difficili parole che questa non è arte, non è poesia non è espressione di quella ispirante silente intuitiva arte che si esprime nell’intimo momento, in un frammento, in una assai piccola luce animica/spirituale che risale i tortuosi sentieri della mente per essere espresa con un linguaggio, con un tono , con delle inesistenti parole, con un sola nota armonica.

Affettuosamente
Raffaele

Postato lunedì, 22 dicembre 2008 alle 12:44 da Raffaele Zaccà



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