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Archivio del 3 maggio 2007

giovedì, 3 maggio 2007

DOVE SONO I CRITICI LETTERARI CON CUI CONFRONTARSI ? (articolo di Antonella Cilento)

A chiedersi per primo dove fossero finiti i critici con cui gli scrittori potessero confrontarsi era stato, sul finire degli anni Ottanta, Pier Vittorio Tondelli. Se ne lamentava in un bel libro-intervista curato da Generoso Picone e Fulvio Panzeri, all’epoca giovani critici come giovane era il compianto Tondelli, di lì a poco scomparso. Dov’erano finiti, si chiedeva Tondelli, i critici con cui dibattere e confrontarsi sul proprio percorso creativo?

A distanza di oltre vent’anni la questione sembra irrisolta.

E un convegno di studi tenutosi a Venezia presso l’Università Ca’ Foscari, coordinato da Anna Maria Carpi, scrittrice, con l’intervento imprevisto di uno scrittore della generazione di Tondelli, Enrico Palandri, e con il contributo (previsto) di Alfonso Berardinelli, Giorgio Ficara, Roberto Galaverni, Franz Haas e Emanuele Zinato, ha cercato di fare il punto.

Ci finisco un po’ per caso, in vacanza a Venezia per una lezione di scrittura presso il laboratorio tenuto da Annalisa Bruni e Lucia De Michieli, invitata da una delle organizzatrici, docente, poeta e amica, Anna Toscano.

E’ una magnifica giornata di sole, sembra luglio e sulle Fondamenta delle Zattere si mangiano gelati. Dall’afa esterna entro nella saletta universitaria a convegno già avviato. Il pubblico interno, studentesse volenterose, in piccola parte resisterà fino alla fine. Il grosso, lettrici di varia età, curiosi, forse altri docenti, pian piano svanirà, come l’orizzonte del discorso critico sviluppato dai critici.

Mi armo di succo di frutta e resisto, anche per il piacere di ascoltare e conoscere per la prima volta Franz Haas, che ha prestato le sue foto azzurrine scattate per l’Ortese in occasione della scrittura del Cardillo addolorato, a me e a Sandro Dionisio per scrivere un corto metraggio dedicato alla grande scrittrice (a un certo punto evocata: dice Haas che anche il Porto di Toledo uscì nel 1975 nel silenzio assoluto della critica italiana, vedendo qualche centinaio di copie e ora vive invece la grande riscoperta dell’Adelphi). Haas ha scritto un articolo, riportato anche su Nazione Indiana non so da chi, dove si accusa la critica italiana di omertà. Si dice che questa critica non veglia, non legge e non discrimina. Perché?

Dice anche, ma questo dal vivo, che a lui spesso tocca di fare il poliziotto e che un suo articolo assai deciso ha impedito che in Germania uscisse con clamore la Fallaci della Rabbia e l’orgoglio, o meglio, è uscito il libro ma con un battage ridotto e per un editore minore. Dunque, negli altri paesi se il critico parla, poiché si assume delle responsabilità, viene anche ascoltato e ha un effetto.

La discussione viene portata avanti da Berardinelli che segna alcuni punti intorno a cui si ruota: il primo è che, a suo avviso, i critici sono scrittori come gli altri. E cioè fanno un lavoro creativo come gli scrittori ma di un genere differente. Sono insomma autori di uno specifico genere letterario. E sono anche, sostiene sorridendo (ma convinto) scrittori più generosi degli altri perché si preoccupano di leggere gli altri autori.

Secondo punto: oggi i giornali sono invasi da recensori, cioè da persone prezzolate che obbediscono alla legge di mercato imposta dall’editoria e che lanciano scrittori come patatine, senza alcuna competenza critica ma limitandosi a fare rumore. Questi signori sono pagati dai giornali e tolgono spazio ai critici. L’editoria è senz’altro imputata principale perché tesa solo a fare numeri e per niente impegnata a stabilire meriti o valori. E infatti il convegno s’intitolava: “I critici: solo intrusi, o il sale della terra?”.

Berardinelli chiedeva, in conclusione, un vero spazio, cartaceo, dove i critici potessero confrontarsi e fare il punto di quel che vale e di quel che non vale (annualmente, bimestralmente, ecc..).

Palandri diceva invece: ma voi, signori critici, li leggete gli autori che accusate di non valer nulla? Come si fa a discriminare l’esistente senza conoscerlo? Leggete e cercate.

Giorgio Ficara commentava i “giovani scrittori”, non meglio identificati, sostenendo che sono colpevoli di non desiderare il confronto, di scrivere ignorando la tradizione cui appartengono e insomma di non valere granché.

Il dibattito con la sala è stato limitato: un signore chiedeva ragione della comprensione, di cosa significhi oggi comprendere; una lettrice incaricata di rappresentare tutti i lettori dichiarava di guardare smarrita in libreria l’enormità e la confusività dell’offerta e di non saper scegliere; la signora Zanzotto, comparsa in tarda mattinata, lamentava vari disservizi, fra cui l’inutilità e la pericolosità delle scuole di scrittura (!).

Ora, per descrivere i convegni universitari ci vogliono penne acuminate e rimando perciò alla lettura di David Lodge, ad esempio. In breve, ci si è scagliati contro i troppo famosi, da Umberto Eco a Niccolò Ammaniti, si è fatta un’operazione “non ti curar di loro  ma guarda e passa” rispetto a  nomi ancora più venduti, ma, di fatto, non si è stilata alcuna graduatoria o fornito alcun parere circa la produzione contemporanea, quale essa sia.

Peggio: si è detto che gli autori vogliono essere riconosciuti dai critici e chiedono le loro recensioni, ma disprezzano la categoria. Inoltre, si è anche detto che forse oggi nessuno scrive niente di degno (e in passato, proprio a una lezione di scrittura tenuta presso il mio laboratorio, Berardinelli aveva dichiarato che dopo la Morante aveva scelto di non leggere più nulla e che i nuovi autori gli sembravano un trucco).

Poiché autori in sala che potessero dibattere, difendersi, dire qualcosa oltre l’equanime Anna Maria Carpi e il già citato Enrico Palandri non ce n’erano, io e il mio succo di frutta ce ne siamo stati zitti, un po’ arrabbiati, in verità e ce ne siamo andati.

Perché il nostro parere contava (e ha sempre contato) poco, ma la fatica di scrivere e la consapevolezza, pesante, di appartenere a una tradizione invece esistono. Ed esiste anche la coscienza e la fatica di portare avanti, almeno per quanto mi riguarda, con onestà una scuola di scrittura.

Io e il mio succo di frutta rispettiamo moltissimo il lavoro critico e la saggezza di Alfonso Berardinelli e di Franz Haas, sia pure nella loro enorme diversità, e rispettiamo il fatto che non siano recensori ma critici, però ci chiediamo anche come mai una folla di autori di buona qualità quando vengono editi – e non sono soggetti al lancio hollywoodiano riservato a quei due o tre titoli all’anno che fanno il fatturato dei molossi editoriali italiani (cagnetti, in verità, rispetto all’editoria tedesca o inglese per non parlare di quella americana) – debbano chiedere la carità ai recensori per essere letti e spesso malamente riassunti sui quotidiani.

Perché debbano anche essere disprezzati dai critici che si mettono la maiuscola davanti, con ragione vista la loro storia, sfruttati da editori che danno anticipi ridicoli (Berardinelli sostiene che gli anticipi ai narratori siano epici: a me non è successo e a molti altri che conosco).

Perché debbano, in definitiva, scrivere per essere numeri di poco conto in case editrici i cui uffici stampa e editori e addetti ai premi li guardano come accattoni e, contemporaneamente, liquidati come ignoranti da critici che non li leggono.

Io e il mio succo di frutta ce ne siamo andati a prendere il sole sulle Fondamenta delle Zattere, portando sempre rispetto anche a chi il rispetto non ce lo porta e spesso viene ospite delle scuole di scrittura, ospite pagato e venerato, e poi si dimentica di considerare almeno l’umanità, se non l’impegno onesto,  del nostro lavoro.

I critici ci servono: servono ai lettori e servono agli scrittori. Ma non critici che s’illudano di essere artisti. Critici che leggano e facciano il loro mestiere (da sempre, per secoli, considerato parassitario della letteratura, ma che definisce il gusto, la storia, il tempo e, ahimè, ciò che resterà e ciò che passerà).

Critici che non si lamentino di essere degli esclusi, che innalzino l’attesa che il pubblico ha e che gli editori appiattiscono. Critici che smettano di puntare il dito contro gli altri e lo puntino verso se stessi. Perché ogni errore che facciamo parte prima da noi e la responsabilità della nostra vita e del nostro lavoro è personale.

Ci piacerebbe tanto, e so che parlo per molti autori amici, che qualcuno ci dicesse cosa va e cosa non va nel nostro lavoro, senza paura di offenderci e senza essere mossi da interessi personali o millantati, non per scambio di cortesie personali ma per autentica volontà di capire.

Agli scrittori, e parlo di me per prima, capita di essere in questa repubblica troppo lasca delle lettere nostrane, recensori. A volte anche di libri di persone che conosciamo e che cerchiamo di aiutare o a volte stronchiamo anche se sono amici, a rischio di perdere quell’amicizia.

In un corso di scrittura chi ha aspirazioni viene da me e mi chiede un parere onesto. Ha pagato per questo e io lo do, a costo di essere crudele. Lo do proprio perché conosco la mia fatica di essere autrice e il mio essere legata a una tradizione, perché so i miei limiti e ho piacere se altri me li mostrano, perché desidero superarli o accettarli, se non posso.

Così, è vero ed è avvilente che ormai farci un’intervista è la scappatoia per non leggere un libro in redazione, che mettere grandi foto significa non dover dire che schifezza sia questo libro oppure: magari è buono, ma non l’ho letto.

E’ vero che se leggo una recensione fatta bene mi faccio un’idea precisa di quel libro e che da lettore ho bisogno della critica. E mi sa che oggi gli scrittori leggono i loro colleghi assai più dei critici, per tante diverse ragioni: per spiarli, come qualcuno mi disse una volta, per vedere se fanno meglio di loro, oppure per il semplice piacere di leggere, che è ancora, caso mai si fosse dimenticato, la base di questi mestieri, lo scrittore e il critico.

Antonella Cilento

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

“Una lunga notte” ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. “L’amore, quello vero” ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito “Ora d’aria”. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno" (supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista".

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento)   26 commenti »

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