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venerdì, 12 settembre 2008

IL DOLORE PIU’ GRANDE. ORFANA DI MIA FIGLIA di Morena Fanti

Questo è un post molto particolare, che tratta un argomento delicatissimo.
Ho scelto questo titolo (Il dolore più grande) non a caso.
Qual è, secondo voi, il dolore più grande?
Secondo me è la perdita di un figlio.
Ed è proprio di questo che parla Orfana di mia figlia, il libro di Morena Fanti che presentiamo qui. Un libro che racconta una storia vera, come avrete modo di capire leggendo il pezzo di Salvo Zappulla (che ha firmato la nota in quarta di copertina).

Federica muore a soli 24 anni… investita da un’auto mentre attraversa la strada davanti casa.
È il 2 ottobre del 2001.
Un mese dopo l’incidente, Morena apre un diario… lasciando confluire in esso il dolore per la perdita dell’unica figlia.
Quel diario è diventato libro.
E i proventi saranno devoluti a scopo benefico.

Vi lascio una domanda…
Com’è possibile superare il dolore di una perdita così terribile?
Morena Fanti sarà ospite di questo post. Salvo Zappulla mi aiuterà a moderarlo.
Vi invito a discuterne con loro.
Massimo Maugeri

____________

Orfana di mia figlia, di Morena Fanti – Il pozzo di Giacobbe – euro 16 – pagg. 200

Un libro forte e violento come un pugno sullo stomaco. Violento, come violenta è la mano crudele che cala a ghermirti una figlia di ventiquattro anni prossima alla laurea. Quando muore un figlio la vita si ferma. Muore anche la vita dei suoi genitori, ne devono creare una nuova. Questo non è un romanzo ma una storia vera, la storia di una vita spezzata, anzi di tante vite spezzate. Una famiglia che vive serenamente fino a quando un banale incidente stradale non le ruba la cosa più preziosa: l´unica figlia. L’unica adorata figlia. Morena racconta il suo calvario con lucidità estrema, ci sono pagine di straordinario lirismo in questo libro, intense, crudeli, terribili. Cala un velo negli occhi di quanti hanno perduto una persona cara e quegli occhi non riavranno più la stessa lucentezza. Molti lettori si riconosceranno e si identificheranno in questa storia. Il dramma, il vortice dell´abisso, sentirsi sprofondare giù senza intravedere una via d´uscita. L’annullamento della propria persona, l’abbrutimento fisico, l’apatia, il desiderio di farla finita. E poi lentamente il risveglio, la rinascita, la voglia di dare ancora un senso a questa nostra fragile precaria esistenza. Una testimonianza importante questa di Morena, su un argomento troppo spesso taciuto: la morte. Ma è anche una storia di rinascita e di positività. Uno spiraglio di luce che penetra le tenebre e apre alla speranza. Ed ecco allora che la storia di Morena diventa un documento prezioso da trasmettere agli altri, quasi un manuale che ci insegna come combattere il dolore o almeno imparare a conviverci; ci spiega come riappropriarci della nostra vita, che in fondo vale sempre la pena di essere vissuta.
Salvo Zappulla.


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Scritto venerdì, 12 settembre 2008 alle 21:55 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

147 commenti a “IL DOLORE PIU’ GRANDE. ORFANA DI MIA FIGLIA di Morena Fanti”

Come ho già scritto in premessa: questo è un post molto particolare, che tratta un argomento delicatissimo.
Vi prego di tenerne conto.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 21:57 da Massimo Maugeri


Vi confesso che ho avuto qualche remora a pubblicare questo post.
“Sei sicura che te la senti?”, ho chiesto a Morena.
Lei ha detto di sì.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 21:59 da Massimo Maugeri


Io credo che in quel libro ci sia tutta Morena… ma anche Federica.
In epigrafe si legge:
A Federica,
“luce dei miei occhi”.
Per sempre.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 22:02 da Massimo Maugeri


E credo pure (ne sono convinto) che questo libro sia una testimonianza del “potere salvifico” della letteratura.
Vorrei che ne parlassimo insieme.
Insieme a Salvo, che mi darà una mano a moderare il dibattito.
E insieme a Morena… che qui a letteratitudine è di casa.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 22:04 da Massimo Maugeri


Cara Morena,
ti chiedo – se possibile – di inserire qualche brano del libro (a tua scelta) tra i commenti.
Intervieni pure quando potrai.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 22:29 da Massimo Maugeri


Carissima Morena,
il 12 febbraio 2004 sono stata svegliata alle tre del mattino da uno squarcio nel buio. Il trillo del telefono. Lungo. Stridente. Un fischio che mi fa ancora tremare.
Ho detto pronto sapendo.
Tommaso. 22 anni. Mio cugino. Di secondo nome Simone. Perché lo amavo da prima che nascesse.
In un attimo. Un ciao sulla porta a sua madre. E dopo qualche minuto niente. Più niente.
Non l’ho mai sognato adolescente. Bellissimo. Appena laureato e cogli occhi lucidi per quella vita in corsa che l’ha travolto sull’asfalto.
Lo sogno neonato. Lo sogno tra le mie braccia. Lo sogno cullato da me bambina. Da me madre.
Non c’è dolore più grande di quello che ha travolto mia zia. Mio zio. E con loro noi tutti.
Non c’è squarcio né lama più affilata solo dicendo il suo nome. Tommaso. Tommaso. Tommaso.
C’è ancora il bagno di folla. Ogni 12 Febbraio quando i suoi amici di Madrid, Barcellona, New York, Praga, si riuniscono sulla sua tomba.
Ci sono i fiori della sua fidanzata. I giochi di quando era bambino, i peluche. Lasciati da suo fratello.
Ma ogni giorno, e ad ogni ora, c’è mia zia.
Perché quell’unione che li ha stretti nelle stesse acque continua a farli madre. E figlio.
Perché la forza di una madre è nel prima. Nel dopo. Nel sempre.
Carissima Morena.Che il cielo ti abbracci.
Anch’io ti abbraccio.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 22:34 da simona lo iacono


Eccoci qua. Confesso che ho provato un brivido lungo la schiena a rivedere la copertina con le macchie di sangue e a rileggere la recensione che ho scritto per Morena. Quella quarta di copertina vorrei non averla mai scritta, vorrei che sparisse questo stramaledettissimo libro; vorrei che sparisse Letteratitudine, persino il caro Massimo (che è stato di una delicatezza unica nel presentare il post); e infine vorrei sparire io, andarmene a fanculo da qualche parte, magari farmi una bella sbornia e parlare di cose allegre. Gli amici che mi conoscono sanno che amo cazzeggiare su questo sito, moolto cazzeggiare e quando Massimo mi ha proposto di dibattere sul libro di Morena, ho avuto un attimo di panico, mi sono sentito caricato di una responsabilità forse al di sopra delle mie forze. Qui si parla della morte di una figlia, si rischia di fare retorica. Hai voglia di parlare, ma la figlia apparteneva a Morena, alla MIA Morena (permettetemi questo slancio ma Morena ormai è entrata in pianta stabile nel mio cuore e niente la potrebbe togliere). Ma poi mi sono detto che è il caso di parlarne, perché anche il dolore va condiviso, appartiene anch’esso alla vita, e la vita è condivisione.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 22:49 da Salvo zappulla


Non credo che si possa superare un dolore del genere. Semmai lo si può “convogliare”. Morena, un giorno, fece “un salto di qualità” o meglio un cambiamento di prospettiva. E’ lei stessa a raccontarlo in questo libro. Vado a memoria, quindi chiedo scusa all’autrice…..”Mi ero domandata sempre…. perché proprio a me?…. Poi un giorno mi sono domandata…e perché a me no?….
Insomma Morena acquisì la “normalità” di quella disgrazia. Ho già scritto altrove che “Orfana di mia figlia” non è un libro sulla morte, ma semmai sulla vita. Nulla di più remoto, insomma, da un’apoteosi del dolore che peraltro in una circostanza come questa sarebbe comprensibile provare.
Leggendo si riesce anche a sorridere. Quando si vede la speranza. Sono passati sette anni e Morena sta in piedi. La speranza è diventata certezza. Come certezza rimane che la morte di Federica è irreparabile, peraltro. E il libro non è un manuale di sopravvivenza per i genitori ai quali muore un figlio. Primo: non siamo tutti ugali. Secondo: Morena non si permette di insegnare a chicchessia quanto e come bisogna provare dolore.
“Orfana di mia figlia” è il dolore suo, e la sua speranza. Ma soprattutto la prova che, seppure brevemente, Federica non è stata qui invano.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 23:24 da enrico.gregori


Sì Salvo, ammiro molto il tuo coraggio, ma come tu dici il dolore va condiviso, appartiene anch’esso alla vita, e la vita è condivisione. Specie se è proprio Morena ad avere fatto questa scelta scrivendoci un libro ed accettando di parlarne anche qui. Un grande coraggio anche il suo quindi. Un enorme rispetto va riconosciuto alla donna e alla scrittice.
Credo sia interessante capire il suo percorso per giungere a tale condivisione, sicuramente un percorso durissimo, che mi è difficile immaginare: il solo pensare alla possibile perdita di mio figlio (e ne ho piena coscienza solo da quando sono genitore, credetemi) rappresenta il peggiore incubo per me concepibile.
Il libro non l’ho letto, ma più volte me ne aveva parlato Enrico. Anche lui mi aveva sottolineato quanto fosse vitale e positivo nonostante il tragico argomento. Forse questo è il sorprendente risultato di tanto coraggio.

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 23:50 da Carlo S.


La morte di un figlio è “l’impensabile”. Penso che ciascuno di noi possa provare a pensare che un giorno potrebbe venire a mancare un genitore, un amico, persino un fratello: ma un figlio no, a nessun genitore potrebbe sfiorare l’idea di perdere un figlio, è qualcosa che non si mette in conto. Eppure accade, più spesso di quel che si possa immaginare. Se ne esce, certo, più o meno a fatica, in modi diversi, spesso dando alla luce un altro figlio, oppure un libro, un’associazione di volontariato. Ma, dentro, una parte di sé è morta per sempre.
Barbara

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 00:10 da Barbara Airò


Cara Morena,
perdonami ma io non ho parole. Il terrore e il dolore non hanno parole, per me.
Un abbraccio forte forte e’ molto meglio.
Tuo
Sergio

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 02:03 da Sergio Sozi


Per prima cosa ringrazio Massimo: come gli ho scritto in privato la sua delicatezza e sensibilità è pari alla sua competenza e professionalità.
Presentare un post che parla di morte, uno dei più grandi tabù che ci portiamo dietro e dentro, è atto di grande coraggio.
Nessuno ama parlare di argomenti dolorosi, cerchiamo di evitarli inventandoci assurdi giri di parole per non dire ‘morte’.
Qui nessuno muore, tutt’al più ’scompare’, dicono al Tg, e quasi siamo portati a crederlo. Ma non è così. La morte fa parte della nostra vita ed è tanto più angosciante in quanto oggetto sconosciuto e, perciò, tanto più temuto.
Io ho creduto, pensato e sperato, quando ho scritto questo mio libro, che parlandone avrei potuto sollevare (ho sempre grandi idee, io. non penso mai in piccolo) l’anima di chi leggeva e si trovava nello stesso mio dolore.
Ho pensato allora, e lo credo tuttora, che sentire una voce che si era sollevata dal buco nero in cui si cade, potesse aiutare chi provava lo stesso dolore e potesse far pensare che anche per gli altri tutto ciò era possibile.
Il mio è sempre stato, nelle mie intenzioni, un messaggio di speranza.
Ho scritto in forma di diario ma non l’ho mai pensato come un diario. Per me è sempre stato un libro anche quando non lo era.
Infatti, ancora prima di terminare la scrittura, ho cercato il modo di renderlo disponibile in rete e l’ho pubblicato sul sito vittime della strada, cosa che mi ha permesso di entrare da subito in contatto con tante persone e mi ha dato un riscontro di ciò che stavo facendo.
Chi leggeva si riconosceva nelle mie parole e ciò mi è stato di grande conforto e sostegno.

Ora mi devo fermare perché il lavoro mi attende, ma tornerò appena possibile e risponderò a tutti.
Intanto grazie a tutti gli amici di Letteratitudine.
Un abbraccio a tutti.
Ps. scusate errori e frasi contorte ma ho scritto con l’anima, mica con il cervello (sorriso)

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 07:55 da Morena Fanti


Buon giorno a tutti,
tema delicatissimo, autrice coraggiosa.
E si rischia davvero di scivolare nella trappola delle frasi ‘preconfezionate’, quelle senza sentimenti ma adatte alle circostanze ‘ufficiali’.
Non lo so come si supera. Se, si supera.
E credo che ogni genitore ci pensi almeno un paio di volte la settimana. Nel senso che davvero basta poco. Sia quando sono piccoli, poi da adulti.
Penso che sia davvero difficilissimo vivere questo dolore ‘traendone’ qualcosa che, poi, diventa positivo, in un qualche modo. Credo che questa sia davvero la sfida al limite della sopportazione.
Qualcuno sosteneva che dalla morte dell’amato si sopravvive, da quella di un figlio no, almeno non del tutto. Prima di diventare madre non ci credevo, mi sembrava ansia da sensazionalismo. Adesso invece capisco che c’è un duro fondamento di verità. Ma non è tanto una questione di ‘classifica’. E’ un riconoscere che i figli si generano, curano, educano, accudiscano, in certi periodi si vive proprio ‘per’ loro, li si segue nei progressi quanto nei fallimenti, si cerca di insegnare loro la bellezza e la crudeltà della vita, e si desidera un futuro. E proprio quel futuro viene strappato, cancellato in un soffio.
” La morte ci dà la possibilità di dare compiutezza alla vita. Una morte improvvisa è stranamente incompiuta e forse è questo senso di incompiutezza ad aumentare l’angoscia di chi resta” (pag. 34- Modi di Morire di Iona Heath)
Un abbraccio,
Barbara G.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 07:57 da Barbara Gozzi


Cara Morena, sono certa che dovrò leggere il tuo libro, so che devo farlo. Finora mi ero defilata, ne sfuggivo ogni riferimento e, pur conoscendoti come ottima scrittrice, avevo un rifiuto a prendere consapevolezza del tuo dolore.
Io credo che non si possano trovare parole adatte per esprimere la paura che attanaglia i genitori, soprattutto le madri, che i figli li hanno tenuti dentro e partoriti e creciuti, di restare orfani, appunto, di un figlio. Tu questa sventura tremenda l’hai vissuta e solo tu puoi davvero conoscerne gli abissi di sconforto, forse rasentando la follia.
Come madre cerco di immedesimarmi in te, ma il pensiero continua a latitare. Ti prego di perdonarmi se qui mi fermo, ripromettendomi però di leggere il tuo libro e, magari se vorrai, parlarne con te.
Un abbraccio forte.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 07:59 da cristinabove


Posto qui alcuni brani del libro:

[…] Sono già passati due mesi dalla morte di Federica. Mi sembra impossibile che la nostra vita sia andata avanti ugualmente, eppure è così. Non so, però, se questo sia più tranquillizzante o più angosciante. Capire che tutto va avanti anche senza di lei è inquietante, perché mi sembra ancora impossibile poterlo accettare. All’inizio pensavo di non farcela, avevo paura di cadere in una spirale di “quieta rassegnazione”, cioè di precipitare in una zona neutra dove non si desidera niente, dove non si fa niente e si riesce solo a pensare “mia figlia non c’è più, mi devo rassegnare, non tornerà mai più” e la rassegnazione arriva, ma è troppo tranquilla, è incolore, piatta. E tu diventi ancora più grigia della rassegnazione ed è come se fossi veramente morta anche tu.
[…]
Ogni tanto esplode la rabbia, come quella dei primi giorni, quella che ti fa urlare: “Perché? Perché a lei? Perché a noi? Come possono capitare queste cose?”. Dopo due mesi non so ancora la risposta. Non posso sapere e capire perché sia successo, non so rendermi conto del perché accadano simili disgrazie. Mi pongo spesso il problema e chissà se un giorno capirò qualcosa… ma credo che non lo capirò mai abbastanza.
[…]
Nel frattempo si avvicina a grandi passi il Natale: una festa che noi sapevamo trasformare anche in un divertimento, con scherzi e allegria. Adesso lo aspettiamo con timore. Come sarà senza Federica? mi chiedo. Posso solo rispondermi dicendo: “Brutto!” e subito dopo penso: “Come tutti gli altri giorni!”. Ci prepariamo quindi ad affrontarlo come fosse un drago che ci vuole mangiare.
Stiamo addobbando la casa, come facevamo sempre. Penso che, in queste occasioni, mantenere una facciata di “normalità” aiuti molto, ma sia anche molto faticoso, perché porta con sé tanti ricordi belli che ti rammentano che così felice non potrai esserlo più.

[…] Sarebbe accaduto lo stesso perché, per taluni avvenimenti della nostra vita, abbiamo tutti un destino già scritto. Affermo ciò, anche se io ho sempre sostenuto che il destino ce lo facciamo da soli, con il nostro atteggiamento verso la vita e i suoi avvenimenti. E’ il nostro comportamento, o modo di reagire, che ci fa operare delle scelte e prendere delle decisioni che possono alterare e guidare il corso della nostra vita. Credo, però, che certi fatti della nostra esistenza siano già scritti e noi dobbiamo solo recitarli, nel miglior modo possibile.
Ecco, mi sento proprio come se stessi recitando, perché la morte di Federica ancora non mi sembra vera, non può sembrarmi vera! Dopo che hai avuto una figlia per ventiquattro anni, non riesci a concepire il mondo senza di lei. Il cervello si rifiuta di ammetterlo, anche con se stesso, e allora fa finta di essere un’altra persona e di guardare l’accaduto da fuori, mantenendo una certa distanza, proprio per proteggere se stesso e la tua salute mentale. Per la maggior parte del tempo, so che mi comporto come se non fossi veramente io la mamma di Federica, quindi sono molto addolorata, ma sempre in un modo sopportabile. Ogni tanto, però, sento che è tutto vero e percepisco in pieno tutta la sofferenza e l’irreparabilità dell’accaduto. Nessuno può porvi rimedio. NESSUNO! Allora mi sento morire per la millesima volta e non capisco più chi sono e cosa sto facendo qui. Che scopo ho? Cosa potrò fare? Che cosa avrò voglia di fare? Avrò mai più voglia di fare qualcosa?
Spero di sì. Spero, un giorno, di arrivare a sentire certe cose che sentivo prima e d’avere ancora il desiderio di qualcosa che sembri veramente importante.

[…] Chiamarlo solo dolore è molto riduttivo e superficiale. E’ anche smarrimento, sfiducia, pessimismo, insicurezza, disorientamento, perdita d’identità e paura. Un insieme molto complesso di sentimenti ed emozioni, molte senza un nome chiaro, in cui perdersi. Tutto questo contribuisce ad aumentare l’impressione d’irrealtà e d’apatia, che ci circonda come una massa vischiosa, accentuando il nostro senso d’immobilità.

18 gennaio 2002

Il freddo non ci abbandona quest’anno. Un inverno così gelido e prolungato come questo, era da anni che non si presentava. Molte piante cui volevo bene si sono gelate e, forse, non si riprenderanno più. La casa si è riempita di crepe, a causa della troppa siccità, dicono. Provo quasi un po’ di soddisfazione per tutte queste cose. Le sento giuste, perché si abbinano perfettamente al mio stato d’animo. Anche le cose inanimate si rivoltano per quello che provo. Sono solidali con il mio dolore.
La sensazione che anche la natura e le cose si stiano ribellando, contribuisce ad alimentare questo periodo di stasi totale, dove sento che non sto facendo niente d’importante, niente di vero. Forse perché non so cosa dovrei veramente fare. Non so cosa potrebbe rendermi, se non felice, almeno serena. Cosa facevo prima? Che cosa mi rendeva felice?

[…] Mi domando se “vivere intensamente”, cioè amando le persone, provando emozioni e portando avanti idee e pensieri propri, consumi in poco tempo tutto l’amore che c’è stato assegnato per questa vita. Mi chiedo se, in questo caso, l’amore e le emozioni non vengano come bruciate rapidamente ed esauriscano la loro essenza in un tempo più breve.
Sarebbe meglio dosarle e farle durare più a lungo? Però sarebbe come non vivere. Sarebbe morire prima del tempo.

[…] Ero veramente disorientata, tanto da provare sentimenti molto contrastanti tra loro e cambiarli nel giro di pochi minuti. L’impressione che ricordo chiaramente di quel primo periodo, è solo un grande caos.
Niente era più al suo posto, nessuno faceva quello che avrebbe dovuto, le abitudini erano completamente sovvertite. L’unica immagine che mi veniva in mente, era che avrei voluto sapere tutti a casa con i loro figli, a vivere la loro solita vita.
Solo questo desideravo, solo questo mi poteva rassicurare. In un momento in cui non avevo niente in cui credere, volevo poter sperare in una possibile serenità per gli altri.

[…] Da quando mi sono imposta di controllare la “rabbia sterile”, quella dell’inizio, che non porta a niente, e ho indirizzato i miei sforzi verso lo sguardo interiore, riesco a metabolizzare queste emozioni altrimenti insopportabili. Le esamino, le riconosco e do loro un nome, le divido, le spezzetto, fino a fare in modo che sia possibile eliminarne qualcuna. Ho scoperto che, di fronte ad un dolore così grande, si tende ad aggravarlo aggiungendoci, come se non fosse già insopportabile da solo, tanti altri piccoli dolori. Dopo un’operazione così complessa, questa montagna che prima era il nostro dolore, sarà diventata così enorme da scoraggiare anche il più intrepido degli esseri umani. […]

[…] Cosa ci può spingere ad andare avanti? Possono essere gli altri? Può essere un’esortazione detta con amore: “Coraggio, devi essere forte!”?
Possono gli altri trasmetterci la forza, il coraggio per alzarci tutte le mattine, andare al lavoro e svolgere le solite incombenze, vedere persone, parlare?
Sì, è possibile, ma solo se ci crediamo. Solo se pensiamo di poterci salvare, possiamo farci aiutare da qualcuno. La prima persona che deve credere in noi, siamo noi. Se riusciamo a credere che sia possibile farlo, possiamo assorbire forza e stimoli dagli altri, e possiamo anche rivolgerci a persone competenti per la loro professionalità o per gli studi. Una terapia con l’ausilio di un bravo psicoterapeuta avrà maggiore successo solo se siamo già disposti ad aiutare noi stessi. Tutto è possibile solo se, noi per primi, penseremo che ne valga la pena.
Ecco che esce allo scoperto quel “rispetto di noi” che dovrebbe essere alla base d’ogni nostro comportamento, e che è il presupposto per il mantenimento della nostra forza e della voglia di essere sempre ben presenti a noi stessi. Solo se lo siamo per noi, potremmo poi esserlo anche per gli altri.
Quando mi guardo allo specchio, voglio prima di tutto ritrovarmi: solo se io crederò di esserci, gli altri potranno vedermi. Riconoscermi nei loro gesti aumenterà la consapevolezza di quello che devo o voglio fare.
Infatti, se io mi sentissi desolata e degna solo di compassione, ecco che lo diventerei subito, anche agli occhi altrui. Nel momento in cui mi rendo conto che riuscirò ad andare avanti e a mantenere una vita dignitosa, sto già vincendo la mia battaglia.
Allora posso anche occuparmi degli altri e smettere di pensare solo a me stessa; il dolore altrui, solo se pensi di poterlo ricevere senza esserne sopraffatto, può essere un coinvolgente mezzo di rinnovamento.

[…] E’ forse giusto che gli altri si chiudano nel loro dolore e smettano di vivere?
No, lo dico sempre e ne sono fortemente convinta.
Dov’è, allora, la differenza? Perché un trattamento diverso per me?
Penso a me stessa come madre, perciò non posso permettermi di smettere di soffrire. Io credo, infatti, che la mia sofferenza di madre non cesserà mai. Potrò, forse, un giorno, sentire il dolore in misura più sopportabile, in un modo che mi permetterà di affrontare la vita e le sue prove, ma so che niente sarà mai più come prima.
Devo capire e accettare che sono ancora viva e posso continuare a vivere.
Soffrire non significa smettere di vivere. Non significa smettere di ridere, o impedirsi d’essere contenta delle piccole cose, o degli avvenimenti felici. Tutte queste cose esistono ancora e noi dobbiamo riuscire a vederle; non hanno smesso di esistere con la morte di Federica, è la nostra anima che finge di non vederle più. Se riusciamo a rilassarci, possiamo percepire qualche momento di gioia e allegria. Potrebbe accadere, allora, che un ingiusto senso di colpa c’impedisca di vivere in serenità questi attimi e non ci permetta di apprezzare le piccole gioie che ci accadono.

[…] Mi stupisco quando provo reazioni simili a quelle che avevo prima, reazioni già conosciute. Mi scopro a gioire delle meraviglie della natura, guardo gli uccellini entrare nel nido portando da mangiare ai loro piccoli e mi intenerisco, ammiro un’opera d’arte e sono ancora capace di perdermi nella sua immensità. Ogni tanto ritrovo qualche pezzetto di me stessa, frammenti che avevo creduto persi per sempre, e sono sorpresa da questo.
All’inizio ho creduto di essere morta. Pensavo che la parte di me più interna, quella nascosta agli altri, fosse completamente spenta e ho desiderato che trascinasse con sé, in questa scomparsa, anche la parte di me più esterna, quella che tutti potevano vedere, affinché cessasse questa sofferenza atroce. [..]

[…] Posso dire con esattezza il momento in cui ho capito d’essere ancora viva. Ricordo ogni istante di quel giorno. Le sensazioni sono state così forti e intense da depositarsi nel mio cuore, insieme alla certezza di possederne ancora uno.
Da qualche mese sentivo a sprazzi la vita ritornare dentro di me, ma non ci credevo e, soprattutto, non pensavo di potermelo ancora concedere. Ero così convinta di essere morta che, quasi, ne ero felice. Era giusto, nell’ordine naturale delle cose; era la giusta punizione per essere ancora qui e non essere morta al posto di Federica. […] e ho capito che non ero mai stata veramente morta. Ero sempre stata viva, anche senza saperlo. Il mio cuore batteva ancora, poteva ancora amare e, perciò, io potevo vivere.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 08:00 da Morena Fanti


Buon giorno Morena,
ha ragione quando afferma che la morte è un grande tabù.
Lo è eccome.
Ormai siamo invasi, abituati, all’evento-morte e ai corpi-morti. Ci sono libri e film che descrivono nei minimi dettagli le dinamiche che portano alla morte, spiegano e mostrano cosa e come il ‘tal’ organo ha smesso di funzionare, si analizzano le scene del crimine, si cercano colpevoli, si studiano cause ed effetti. Poi la cronaca nera che sputa informazioni alla velocità della luce. Morto, dove, ipotesi del come, indagini eventuali, FINE. Avanti un altro.
Ma il passaggio-morte, quello neanche viene nominato. Tentiamo di evitarlo, voltiamo la faccia anche quando ci sfiora, anche quando ci è vicino.
Eppure ‘la’ morte (come transito) è parte della vita, scandisce il tempo, ci restituisce la dimensione di un vivere che non è eternità, bensì, un periodo definito la cui ‘fine’ è sconosciuta.
“La società contemporanea sembra avere del tutto smarrito il senso del valore della morte; del legame indissolubile tra morire e vivere; dell’organicità della morte rispetto alla vita.”
(pag.23. Modi di morire di Iona Heath)

B

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 08:11 da Barbara Gozzi


Un libro-catarsi, un libro-confessione, un libro-redenzione.
Un libro da leggere con incondizionata partecipazione emotiva, con sincero spirito di solidarietà umana, con la acquisita consapevolezza che queste sciagure non capitano esclusivamente agli altri; un libro tramite il quale commuoversi fino alle lacrime, a motivo del quale argomentare sul nostro terreno iter, sui reali valori e sulla destinazione che ciascuno di noi ad esso dovrebbe piuttosto imprimere; un libro che ribadisce, malgrado tutto, che “la vita è un cosa meravigliosa”.
Marco Scalabrino.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 08:22 da Marco Scalabrino


Ciao Marco, ti aspetto per la Fiera del Libro. Quando Morena mi mandò in lettura il manoscritto, compresi subito di trovarmi di fronte a un’opera meritevole di essere pubblicata e divulgata. Mi offrii di cercarle un editore. Quelle pagine mi trasmettevano emozioni violentissime, c’erano tutti i sentimenti che può provare un piccolo essere umano dinanzi a un evento immensamente più grande di lui. Per una madre perdere la propria creatura significa oltrepassare la soglia di una barriera da cui non si potra mai più tornare indietro. Nulla sarà come prima. Niente e nessuno potrà più regalarle una risata godereccia. Ma la cosa che più mi aveva colpito di quelle pagine era la positività che trasmettevano. Dopo la lenta agonia dei giorni che si susseguivano uno dopo l’altro, si intravedeva uno spiraglio di luce, una fiammella nella notte buia che si faceva spazio tra i meandri della disperazione per risorgere a nuova vita. Lo proposi a Crispino. Il grande Crispino Di Girolamo, titolare della Casa Editrice “Il pozzo di Giacobbe” (Din! don! Pubblicità! Mi si perdoni l’eufemismo ma non sono molti in Sicilia gli imprenditori seri che stampano libri di qualità, li distribuiscono in tutto il territorio nazionale e li promuovono) il quale riportò le mie stesse sensazioni. Il manoscritto divenne libro e quel libro è un documento prezioso che merita di essere letto.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 09:31 da Salvo zappulla


Il dolore di una madre per la perdita di un figlio è intenso come un urlo silenzioso, trattenuto dentro di sé, si vede negli occhi, si avverte in quello sguardo che cerca disperatamente una risposta a tanti perché. Ma è anche, dopo un po’ di tempo, metabolizzato, ormai consapevole, un dolore ancor più stridente, una lama sottile sempre presente dentro e che quando meno te lo aspetti ti ricorda che lui non c’è più. Il dolore di oggi si contrappone alla gioia di ieri, quando c’era, quando potevi vederlo, parlargli.
Adesso gli puoi parlare solo nel ricordo.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 10:13 da Renzo Montagnoli


[...] 13, 2008 a 8:13 am (annunci) Su Letteratitudine di Massimo Maugeri si discute del liblo di Morena Fanti “Orfana di mia [...]

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 10:14 da Orfana di mia figlia « Tutto è vanità


Credo che trasformare sia forse un modo per dare al dolore una capacità evolutiva. Di luce. Non solo di tenebra.
E la scrittura è mezzo. E’ fiotto.
E’ vita lavata. Dolore scoperchiato. Morso.
Ricordato.
Lo fa anche Isabelle Allende in “Paula”.
Le sue parole per te, cara Morena:
“…Ebbi la rivelazione che quel vuoto è pieno di tutto ciò che contiene l’universo.E’ nulla e tutto nello stesso tempo.Luce sacramentale e oscurità insondabile.Sono il vuoto. Sono in tutto ciò che esiste, sono in ogni foglia del bosco, in ogni goccia di rugiada, in ogni particella di cenere che l’acqua trascina via.
Sono Paula e sono me stessa, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre vite, immortale”.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 10:29 da simona lo iacono


Il dolore più grande è quello di sopravvivere ai propri figli. Capisco e comprendo i dolori di tutte le mamme, perché ci siamo passati anche noi. Poche ore e la meningite si è porata via il figlio di mia sorella, all’improvviso, quando la sua vita, dopo la comunità, ricominciava ad essere normale. Ricominciavamo tutti a respirare un po’ e a ritrovarci insieme, noi siamo molto uniti, a festeggiare e non solo a piangere o a consolarci. Ognuno reagisce alla morte a modo suo, chi si immerge nel lavoro, come mio cognato, o chi si tiene tutto dentro e non parla più. Per mesi e per anni, finge di vivere, come fa mia sorella. Per questo non la lasciamo mai sola e ci ritroviamo sempre da lei. Quando torno dall’ufficio e arrivo all’altezza del ponte, guardo su al secondo piano e se la vedo lì seduta sul terrazzo, con lo sguardo perso nel vuoto, allora parcheggio in strada. Non mi faccio vedere , perché così per entrare devo suonare il campanello e lei deve alzarsi.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 10:50 da Nunzia Lavelli


@Renzo Montagnoli. Condivido in pieno ogni parola.
@Simonuccia. Riesci sempre a trovare parole incantate per esprimere il tuo pensiero. Filamenti d’oro che si intrecciano e diventano poesia.
@Nunzia Lavelli. Delicatissimo il tuo intervento. Quanta umanità si cela dietro il video di un computer! L’immagine di te che suoni il campanello per costringere tua sorella ad alzarsi dalla sedia è struggente. Perdonami l’eccesso di confidenza ma desidero mandarti un bacione.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:01 da Salvo zappulla


Buona giornata e buon sabato a tutti.
E naturalmente… grazie per i vostri interventi.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:45 da Massimo Maugeri


L’ho già detto: questo è un libro molto particolare. Ma non solo perché, tra le altre cose, affronta tematiche legate alla morte (ma anche legate alla vita, secondo me).
Già altre volte, qui a Letteratitudine, avevamo avuto modo di affrontare l’argomento “morte”. Per esempio qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/17/remare-senza-remi-un-libro-sulla-vita-e-sulla-morte/

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:47 da Massimo Maugeri


La differenza sta nel fatto che, in questo post, è coinvolta e partecipa l’autrice del libro. Per questo ho preso un po’ di tempo prima di pubblicarlo.
Poi mi hanno incoraggiato le parole della stessa Morena.
Grazie ancora a tutti voi per la vostra delicatezza.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:49 da Massimo Maugeri


E grazie a Morena per essere intervenuta e averci donato qualche frammento di questo suo libro.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:50 da Massimo Maugeri


Simona ha citato il bellissimo “Paula” della Allende. Libro che ho amato e che mi ha commosso.
Anche lì emerge il dolore per il distacco, per la perdita dell’amata figlia… ma pure la voglia di scuotersi, di provare a farcela nonostante tutto.
Forse l’esperienza di Morena è stata ancora più brutale, più dura, più traumatica… perché non c’è stato nemmeno il tempo e la possibilità di abituarsi all’idea del distacco (lo so, non ci si abitua mai davvero) per via di una malattia incurabile.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:54 da Massimo Maugeri


Saluto e ringrazio Nunzia per averci raccontato questo suo struggente aneddoto.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 11:55 da Massimo Maugeri


Solo un abbraccio, grande, a Morena, che non conosco, da madre che ha visto altre cose dolorose, ma che non può neppure pensare a un dolore così. Sopravvivere ai propri figli è condanna, dura.
Ma io credo anche che Federica sia ancora accanto alla sua mamma, in un modo diverso, e la consoli, le dia la forza di guardare ancora la vita, di trarne quel che di buono è rimasto.
Pensieri un poco ingenui, forse, ma è questo che mi sento di dire, con vicinanza, a Morena.

liliana

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 12:08 da liliana


Cara Morena,In questi giorni ti ho inviato alcuni pensieri,in una notte afosa d’estate dove il dormire diventa un dramma.Allora pensi,pensi poi la stanchezza ti prende e ti addormenti,sognando il figlio,poi ad un tratto mi sveglio,e scrivo quello che ho sognato. Non è niente di particolare è soltanto un sogno.
IL SOGNO

Ti cercavo,mi cercavi ti seguivo lungo il fiume
Ti chiamavo e tu fuggivi,poi ad un tratto sei scomparso
in una luce intensa che brillava nell’universo infinito.
Improvvisamente mi accorgo di essere solo nel silenzio della notte
che ha il volto delle cose perdute.

P.S. Ho già contattato gli amici del “Fuori orario” (ARCI) per la presentazione del tuo libro. Dobbiamo fissare la data,concordandola naturalmente con te.La mia amica Donatella è già stata informata di questo contatto che ho avuto. Un forte abbraccio Zambo

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 13:55 da Giancarlo


Prendo spunto dalla domanda che Massimo ci fa:
“Com’è possibile superare il dolore di una perdita così terribile?”, perché è la domanda che più spesso mi sono sentita rivolgere in questi anni.
E’ il timore più grande che abbiamo: quello di non farcela, di non poter affrontare un dolore così grande e di soccombere ad esso.
E, infatti, questo è il primo pensiero che si formula: non ce la farò mai.
Ed è, forse, una specie di augurio che facciamo a noi stessi, perché non possiamo pensare di resistere ad un’angoscia così terribile.
La verità, però, è che la Vita è più forte della morte.
La vita spinge e preme e ci spintona, e ci strattona finché non capiamo che dobbiamo muoverci. Il percorso potrà essere lungo e tortuoso, ma si percorre sempre facendo un passo alla volta. Solo così si può affrontare ogni cosa: è sempre un passo quello che dobbiamo fare.
E si può affrontare anche alzando gli occhi e guardando le altre persone. Finchè lo sguardo è in verticale, dentro di noi, ci sembra di essere i soli al mondo a subire tutto ciò, ma se si alza lo sguardo e lo si lascia vagare in orizzontale, ecco che si vedono anche gli altri e si capisce che nessuno ha il monopolio del dolore e che non c’è altro mezzo che muovere quel passo.
Per andare dove? Ognuno sceglierà il suo percorso, nessuno ha la verità in tasca e io men che meno. Io ho solo raccontato ciò che ho provato e come mi sono mossa, ma l’importante è solo sapere che in fondo ci può essere una luce e che possiamo andare a cercarla. Poi, i tempi e i modi, sono personali di ognuno di noi e tutti ‘giusti’, se noi pensiamo che lo siano.
Qualcuno mi ha detto: ma come ti è venuto in mente di scrivere un libro su questo argomento? Non lo so. E’ stata una delle prime cose che ho pensato e la forza delle mie parole credo sia anche dovuta al fatto che questo non è un libro ‘a posteriori’, ma un libro ’sul campo’.
E’ stato difficile scriverlo. E lo è stato di più decidere di pubblicarlo, e di questo devo dire grazie a Salvo che mi ha portato l’editore fino a casa (quasi) insistendo perché ci provassi.
Erano anni che molti tra i lettori del libro (che si erano stampato tutto dal web) mi chiedevano di tentare di pubblicarlo, ma io mi tiravo sempre indietro.
Non è facile accettare di uscire così indifesa di fronte al mondo.
L’unico motivo per cui l’ho fatto è la speranza che qualcuno possa trarre conforto dalle mia parole, ritrovandosi in esse e sentendo di non essere così solo come pensava.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 14:50 da Morena Fanti


tornerò appena posso. Intanto GRAZIE a tutti.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 14:52 da Morena Fanti


Gentile Massimo Maugeri,
anch’io, come Morena Fanti, nel 2005, ho pubblicato un volume nella collana “Il senso della vita” (Il pozzo di Giacobbe Editore). Si tratta della storia di un generoso scienziato italiano (Pippo Salvo) massacrato a Mogadiscio, nel giugno del 1990, mentre cadeva il regime di Siad Barre: “Mecca maledetta”. Un inquietante assassinio rimasto misterioso e (quasi) senza colpevoli…
Casi in cui il “senso della vita” davvero sfugge, o rischia di sfuggire…
Io mi sento soltanto di abbracciare forte Morena e la sua Federica: come altri hanno già detto nel blog, in queste evenienze c’è poco da parlare al confronto dell’enormità della sofferenza dei familiari… Si può forse appena lambire lo sconfinato dolore di una madre, di un genitore, di un fratello…
Credo che a noi “ascoltatori”, “lettori” di eventi così terribili, tocchi prestare attenzione e condividere il racconto (e il dolore), che nella sua trasmissione unisce chi non c’è più con tutti quanti noi.

Salvatore Mugno

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 14:55 da Salvatore Mugno


Grazie a Morena, perché condividere con perfetti estranei un dolore privato privatissimo come il suo è difficile.
Ammiro Morena e chi come lei ogni giorno si mette addosso la sua croce e va avanti, con coraggio, fiducia, a volte cadendo, ma sempre rialzandosi.
A scuola, anni fa, abbiamo vissuto il dramma di un alunno che ha perso la sorellina, malata dalla nascita e vissuta poco più di due anni. La mamma ha avuto un terzo bambino ma conserva questo dolore e la gioia della presenza della bambina nella vita della sua famiglia e ha scritto anche lei un libro per ricordarla. Letteratura è anche dare voce al dolore, farne poesia e richiesta di senso.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 15:39 da Maria Lucia Riccioli


[...] ancora solo figlio e non genitore, posso solo provare a immaginare. E mi fa paura. Vi rimando al post di Massimo, fosse solo per leggerlo come ho fatto io. « [...]

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 15:48 da Perdere un figlio e avere il coraggio di scriverne « Esquisse - il blog di antonio consoli


E’ impossibile trovare il senso della vita, ma non possiamo fare a meno di cercarlo. Ognuno percorre una via e trasmette i propri appunti di viaggio, l’esperienza della ricerca, la conquista della memoria delle sensazioni provate. La vita è l’immagine riflessa dell’infinita costruzione di quella memoria. In essa è possibile ritrovare parti di noi, le più ignote. Leggendo, prima sul web e poi su carta, le parole di Morena, ho rafforzato la consapevolezza di una affinità potenziale tra tutte le nostre vite, la presenza di elementi accomunanti i quali, nel loro accadere o nelle conseguenze, ci rendono più vicini gli uni agli altri. Di questo ho scritto brevemente a Morena. Ho scritto da uomo e padre adottivo, dunque privo delle due principali dimensioni che rendono la donna e la madre la creatura più inarrivabile. Eppure, pur nella sola dimensione che mi è data, quella dell’amore paterno, le ho testimoniato come possano essere salvifiche le parole di quella memoria. In esse trova significato l’acquisizione dello stato genitoriale, qualunque esso sia. Morena ha richiamato a sè quella parte di vita che le è stata strappata, l’ha riportata al momento dell’attesa, ancora precedente al concepimento. Con la forza di quel ricongiungimento nella memoria ha continuato a percorrere la sua via ed ha scritto. Ci ha donato la possibilità di condividere un viaggio, di sperimentare la irrefrenabile forza dell’empatia, il meraviglioso ultimo dono di Federica.
Un abbraccio a Morena e mi scuso per la banale istintività delle mie parole, ma non riesco a fare di meglio.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 16:12 da eventounico


Morena, ti conosco solo da mail e da parole scambiate sui blog. Eppure ti immagino per quello che gli altri dicono di te. sei forte, sei coraggiosa. Come solo una madre può esserlo. Mi sono venuti i brividi nel leggere i passi che hai postato.
Ma c’è questo potere speciale delle parole, che sono catarsi, sono sfogo e condivisione. Che paradossalmente nella tragedia ti hanno resa più forte. Continua a farne dono, a te stessa e agli altri.
Non so come si faccia a superare un dolore simile (Massimo, credo che no, non esista dolore più grande), però tu sei qui, ci sei, riesci anche a parlarne.
Fai conto che da parte mia ti arriva un abbraccio e un sorriso. Sincero, di cuore.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 16:35 da Silvia Leonardi


l’ho letto sul web in diretta, via via che morena lo scriveva, un libro necessario, che fa sentire meno soli chi si trova a fare l’esperienza della morte. un libro coraggioso perchè la morte di un figlio è tabù, un libro che dà coraggio a chi legge. antonella

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 16:56 da antonella


E’ bellissimo questo clima di solidarietà che si è creato attorno a Morena. E’ autentico. E’ sentito. E’ pieno di contenuti.
(Visto che devo moderare, devo pur scrivere qualcosa, no?)
@Ciao Pasquale. Ricordo ancora con affetto la cena insieme a Siracusa, con tua moglie e il tuo splendido bambino.
@Ciao Silvietta.
@Un benvenuto ad Antonella. Antonella ha subìto lo stesso dramma di Morena ed è la titolare di un altro bel sito culturale: Viadellebelledonne. Titolo molto accattivante e carico di promesse. Ma saranno tutte belle donne? Ci sarà pure qualche racchia in mezzo.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 17:31 da Salvo zappulla


Anchio come Morena ho perso un figlio. Il dolore si supera quando è condiviso dagli amici, dai tuoi cari. Io ho avuto la fortuna di avere avuto tanti amici,che mi hanno aiutato a superare le tante dificoltà. Sono convinto che la amicizia vera sia il vero antitodo per vincere il dolore.Il libro mi ha rasserenato la mente e il corpo.Ogni pagina che leggevo mi sembrava di averla scritta io. Le stesse paure le manie i sentimenti erano uguali.Il dolore per la perdita del figlio è uguale in qualsiasi latitudine Un abbraccio forte Morena a presto Giancarlo

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 17:39 da giancarlo zambelli Boretto R.E.


Cara Morena,
per fortuna abbiamo scambiato delle belle risate quest’estate insieme, con gli amici di Fara a Rimini, e anche dopo, sul web, altrimenti mi sarebbe stato più difficile scrivere qui adesso.
Un ricordo di quando avevo cinque o sei anni:andai a trovare con la famiglia mia cugina di ventidue anni, morta di parto, in un paesino della costiera calabrese. Mi dissero di baciarla; poi, vidi mia zia, la madre cioè, che si schiaffeggiava. Io rimasi incantato, sbigottito, poi la mano di qualcuno mi portò via.
Un altro ricordo: mia nonna perse diversi figli, anche in giovane età (16 e 21 anni), e la mia impressione è sempre stata quella che lei si fosse, come dire, “indurita”.
Non ho letto il tuo libro, ma ho letto il tuo testo “Ferite”, contenuto nel volume “Lo spirito della poesia” (Fara 2008), e di quel testo mi aveva particolarmente colpito, come già ti dicevo, una pagina lì trascritta del tuo diario, la pagina relativa all’inizio della tua “rinascita”. Una pagina commovente e bellissima. Ne riporto un breve passo:
“Poi, un giorno di febbraio, mentre raccoglievo le ultime foglie dei platani, con la scopa di metallo, ho scoperto un inizio di giacinto e due margherite, che dormivano sotto il tiepido calore. Mi sono chinata a toccarle e le ho sentite vive e ho pensato che prima o poi dovevo decidermi, e vivere anch’io come loro.
Qualche giorno dopo i rami degli olmi non erano più così neri e scarni, si intravedevano già le gemme delle nuove foglie, ed erano di un verde così tenero, da convincere anche la mia anima. Allora ho capito che stavo aspettando proprio questo e che avevo sempre saputo come sarebbe finita.”
Il tuo “risveglio” mi ha evocato altri risvegli, e anche il risveglio di rinascita narrato in un racconto che amo: “Canto della neve silenziosa” di Hubert Selby Jr.
E inoltre, mi ha profondamente commosso il film di Moretti “La stanza del figlio”.
Un paio di domande, se hai voglia di rispondere.
Durante il tuo percorso di guarigione, hai mai pensato di rischiare di indurirti, hai mai avuto paura di provare rancore verso la vita?
L’altra domanda è più banale forse: se hai visto il film di Moretti, ti è piaciuto?
Ti ringrazio tanto. Un abbraccio affettuoso e a presto,
Gaetano

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 17:45 da Subhaga Gaetano Failla


Morena, da quanto tempo ci conosciamo, ci scriviamo, scherziamo?… due mesi appena. Eppure quel pomeriggio al ” castello”, quando si siamo incontrati ho subito avuto la sensazione che tu non fossi un’estranea ma una amica che non vedevo da qualche tempo… Tutto è stato così spontaneo, così naturale! Ho ancora ben presente i tuoi occhi vivaci e curiosi mentre leggevi quel nostro primo racconto.
Qualcuno penserà, ma questo cosa c’entra con questo post… non lo so se c’entra oppure no, ma quello che sicuramente so è che morena, è una persona speciale con un grande cuore perché solo una persona speciale, aperta verso gli altri può trovare la forza di condividere con noi un simile dolore.
Grazie morena, perdonami se non riesco ad aggiungere altro, in questo momento… ho due figli, il più grande di 24 anni…quando sono fuori tremo all’avvicinare di ogni ambulanza, al suono di ogni sirena e non riesco a prendere sonno fino a quando non sento le chiavi girare nella serratura… allora ricomincio a respirare.Essere genitori è una cosa davvero meravigliosa ma anche terribile!
Scusami ancora, ma non trovo le parole…
un abbraccio, morena
stefano

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 18:04 da stefano


@ gaetano
che bella coincidenza, il fatto che tu postavi mentre io scrivevo…. non ti ho mai ringraziato per quella lettura “improvvisata” al castello! ciao e grazie!
stefano

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 18:10 da stefano


Ciao Stefano! Davvero, che bella coincidenza! E quel che scrivi, trova riscontro anche nelle mie impressioni: quando Morena ti ha presentato a me, io pensavo che voi foste vecchi amici! E che bella la lettura del tuo racconto al castello, e poi ci siamo incontrati, di nuovo, tutti e tre insieme, nel castello di Dunnottar…
Tanti abbracci,
Gaetano

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 18:28 da Subhaga Gaetano Failla


ho letto

ammiro Morena!

ma non riesco a commenatre, due righe solo per dire che sono passata!!
chicca

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 19:12 da chicca


Davvero è impossibile da commentare… Bisogna solo leggere in silenzio, Giulia

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 19:45 da giulia


Ho acquistato il libro di Morena perché era mia intenzione regalarlo a un amico, ma la curiosità mi ha indotto a leggerne qualche passo prima di farglielo avere. In poche ore l’ho letto tutto, non sono riuscita a staccarmene. Nel suo racconto Morena ha offerto con fluidità un percorso che immagino complesso, difficile, tormentato; è riuscita a testimoniare con immediatezza, spontaneità e lucida consapevolezza tutta la tortuosa strada che porta all’elaborazione di una perdita così tenacemente intrecciata con la vita di una madre.
Ho pensato che Morena doveva essere una persona speciale. E tuttora ne sono convinta.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 19:58 da Donatella


Voglio abbracciare Morena, che non conosco ma della quale mi ha spesso parlato Enrico, dicendomi di questo libro che conto quanto prima di leggere, e di quel cambio di prospettiva, di quell’accettazione del dolore senza motivo, della disgrazia ingiusta e assoluta, della scomparsa di quanto di più caro si abbia nella vita. Non sono madre, ma sono quasi certa che un dolore così si possa al limite metabolizzare, arginare, ma non superare. Per questo voglio abbracciare Morena. Perché passasse nell’abbraccio un po’ di quel terribile dolore a me e a tutti quelli che hanno voglia di stringerla. Un dolore condiviso è un peso meno terribile. Un dolore che non si nutre di solitudine è, forse, una sofferenza meno atroce. Un abbraccio, Morena. E’ tutto quello che posso offrire.
Laura

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 20:12 da Laura Costantini


Arrivo dopo una giornata di lavoro pieno e sono molto provata, quindi non in grado di comporre pensieri sensati. Non tanti comunque, per rispondere a tutti come vorrei.
Anche perché alcuni di voi mi hanno molto commossa. Molti di voi.
Scelgo, perciò, una delle domande di Gaetano e rispondo a questa, riservandomi di rispondere a tutti domani.
Gaetano chiede:
“Durante il tuo percorso di guarigione, hai mai pensato di rischiare di indurirti, hai mai avuto paura di provare rancore verso la vita?”

Questa era una delle mie ‘paure’ più grandi. Io ho temuto molto che mi accadesse questo, soprattutto quando ho conosciuto persone che avevano subito ( e qui il verbo è quantomai centrato. questi sono eventi che si subiscono e vengono vissuti come violenze ricevute) lo stesso dolore per la morte di un figlio e ne erano uscite astiose, rabbiose, sempre piene di rabbia e di rancore verso gli altri, verso chi aveva figli, verso chi rideva, chi era contento, chi si divertiva. Io non sono mai stata così prima e temevo di diventarlo.
Ho scoperto poi che se non vogliamo, queste modifiche non succedono da sole. Ho scoperto che chi diventa rabbioso, un poco lo era anche prima. Chi è invidioso della felicità altrui lo era un poco anche prima.
Io non temo l’allegria, non temo le risate e la gioia. Certamente bisogna saper controllare i sensi di colpa che sono sempre pronti a sopprimere ogni istinto di gioia che si presenti in noi. E’ difficile, ma non dobbiamo farci sopprimere dal dolore, non dobbiamo lasciargli carta bianca e fare di noi delle persone ‘non vive’, morte dentro.
Io ho lottato per ritrovarmi, ma la paura di essere rancorosa verso tutti mi ha aiutato molto.
Questo è solo il mio pensiero, il mio modo di agire, naturalmente. Non significa che sia il modo d’agire che va bene per tutti.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 20:50 da Morena Fanti


[...] Cari amici di Letteratitudine, questo che vi segnalo è un post molto particolare, che tratta un argomento delicatissimo. Ho scelto questo titolo (Il dolore più grande) non a caso. Qual è, secondo voi, il dolore più grande? Secondo me è la perdita di un figlio. Ed è proprio di questo che parla Orfana di mia figlia, il libro di Morena Fanti che presentiamo qui. Un libro che racconta una storia vera, come avrete modo di capire leggendo il pezzo di Salvo Zappulla (che ha firmato la nota in quarta di copertina). Com’è possibile superare il dolore di una perdita così terribile? Morena Fanti sarà ospite di questo post. Salvo Zappulla mi aiuterà a moderarlo. Vi invito a discuterne con loro. Seguita a leggere.  Ecco il link: [...]

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 21:08 da Si parla di Orfana di mia figlia « Solo io e il silenzio


sono sempre in difficoltà quando si parla di emozioni, soprattutto di dolore. istintivamente mi ritraggo, per una forma di pudore forse.
ho faticato tanto a scrivere qualcosa da me. ma sapevo di doverlo fare, perché a morena voglio bene, davvero. e abbiamo riso molto insieme.
non riuscirò mai a scrivere qualcosa di più, di diverso, così tanto vale che copincolli.
perdonatemi.
perdonami, morena.
.
una persona è molte persone insieme.
figlio, amico, amante, compagno di vita, genitore.
quando la vita fa sì che si smetta di essere una di queste ci si ritrova a fare i conti con un riaggiustamento del sé.
è faticoso e doloroso, sempre.
è un’amputazione, sempre.
fa male, molto male, malissimo.
se ne può uscire vivi solo imparando a conviverci, a convivere con quello che in medicina si chiama ”l’arto fantasma”. quello per cui i nervi recisi continuano a trasmettere impulsi di sensazioni, e dolore.
alle volte è tollerabile, alle volte no.
e perdere un figlio penso rientri nella categoria del no.
ognuno reagisce a suo modo. o non reagisce affatto.
morena ha perso la figlia, e ha dovuto trovare un modo per sopravvivere. per vivere.
e lo ha trovato, anche, scrivendo.
è una gran persona, morena.

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 21:39 da gea


…chissà se un giorno capirò qualcosa…, così scrive Morena.E vorrei, non per consolarti, offrirti spunti di riflessione, convinta che i sentimenti( e non le percezioni)sono determinati dalla ragione.E torno ai Greci, a quei filosofi che insegnarono la techne alypias ossia l’arte di liberare l’animo dal dolore(avendo pietà per se stessi e sun-patheia verso gli altri)e la melete thanatou ossia l’esercizio della morte( tutta l’opera di Platone é preparazione alla morte),al punto che Anassagora,alla notizia della morte del figlio, non si scompose e disse” sapevo di averlo generato mortale”. Ci é stata assegnata( da Dio, dalle moire?) una pozione di tempo vitale più o meno lungo. Saperlo é il senso del nostro viatico, saperlo significa mettere a profitto i tanti dettami cristiani( carità, amore, fratellanza, disponibilità, responsabilità, rispetto etc.)quotidianamente disattesi. Ti sono vicino nella sofferenza, anch’io mortale, anch’io mamma. Lucia Arsì

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 21:47 da Lucia Arsì


Morena è una persona straordinaria. Glielo scrissi in tempi non sospetti, quando trovai per caso, vagando in rete, il suo blog preziosissimo di auto-aiuto. Ancora non la conoscevo. Lei rispose che esageravo. In effetti una cosa del genere detta da una perfetta estranea lascia un po’ interdetti. Ora, a distanza di un anno, posso dire che è molto più che straordinaria. Direi autentica e vitale, nitida e tenace, coraggiosissima e commovente in tutto quello che fa e che progetta. Una donna come Morena così carica di passione e amore per la vita non poteva che condividere profondamente “il dolore più grande” e trasformarlo in dono di sé, mostrandolo nelle sue stesse mani aperte come zolle fertili; così vedo la sua scrittura. La capacità di non farsi indurire e di affrontare addirittura lo scambio, è indicativo dell’atteggiamento che ha nei confronti della vita (e della letteratura); un porsi in relazione sinceramente avvertendo prima di tutto il cuore dell’altro, il palpitare del circostante, intuendone il calore.
Un abbraccio.
Alessandra*

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 22:02 da Alessandra*


Cara Morena, col tuo libro tu ci obblighi – e noi vorremmo fuggire – a misurarci col dolore, che irrompe nella vita di una donna forte e generosa come te assurgendo a condizione esistenziale di privilegio per la chiaroveggenza, l’accumulazione di senso, conquistate sul campo, con l’onore delle armi. Ti sento vicina, perciò voglio dedicarti una considerazione sull’argomento che ho scritto in uno dei miei racconti intitolato “L’angelo di Botero”:
“Ora che i suoi capelli cominciavano a spuntare qua e là argentati sotto l’henné che conferiva un inconfondibile colore rosso alla sua chioma folta e ricciuta, si ritrovava spesso a pensare a come fosse diversa dalla ragazzina che era stata, e si chiedeva quando fosse avvenuto quel mutamento radicale e profondo di cui sembrava rendersi conto solo da poco tempo. Quando, quando era stata ferita a morte l’adolescente petulante e un po’ viziata? E dove, dove si annidavano le ferite che l’avevano straziata? Cercava tra la ragnatela banale di ferite piccole e grandi del suo corpo, regolari perché tracciate dalla mano sapiente di un chirurgo o irregolari perché provocate da un caso accidentale, ma non ne trovava alcuna cui attribuire quella responsabilità.
Né poteva, trattandosi di ferite invisibili che, a differenza delle altre, non si erano completamente cicatrizzate e tali erano destinate a rimanere.
Aveva sperimentato che di ferite al cuore ne basta una per cambiare la vita, sono infatti quelle che danno la piena cognizione del dolore per cui niente sarà più come prima, quelle che rendono diversi da tutti coloro che non hanno mai avuto inferta una ferita al cuore, ma spesso anche da coloro che l’hanno subìta, quelle che fanno percepire le cose secondo una gerarchia e una graduatoria diversa rispetto a prima, quelle che lasciano per sempre un senso dell’assoluta precarietà e della repentina mutevolezza dell’esistere che fa guardare con ironica comprensione verso coloro che, nutrendo un senso dell’eternità del loro vivere, non fanno che progetti a lunga e lunghissima scadenza, fiduciosi che nella loro vita non debba mai irrompere il dolore.
Aveva inoltre sperimentato che le ferite del cuore possono essere avvertite come delle stimmate che diventano segno superbo di un carisma, ragion per cui la religione cattolica ripone particolare venerazione nel culto del cuore sanguinante di Gesù e del cuore trafitto dell’Addolorata. Oppure come un marchio indelebile e vergognoso che giustifica ogni viltà, pusillanimità o debolezza. Può chiudere un occhio la coscienza se si è stati così sfortunati e provati dalla sorte… Il dolore autorizza e dà l’imprimatur ad una sorta di diritto alla amoralità, pone al di sopra della morale corrente.
Era stato per lei come per tutti: quando nella vita irrompe il dolore, cambia la dimensione del tempo nella storia personale, si guarda con occhi nuovi al presente, si reinterpreta il passato, si bandisce il futuro come prospettiva incerta e inaffidabile, tanto irrazionale quanto improbabile.
Non c’era che misurarsi col dolore, mettersi in gioco tutta, dare fondo a ogni risorsa, capire quanto si vale e quanto si è in grado di valere, qual è il rispetto che si ha per sé e quanto ne è dovuto dagli altri.
Gli altri?… Il dolore, si sa, si vive in piena solitudine, nessuno può esser d’aiuto a vincere la battaglia di resistenza che si oppone all’onda d’urto devastante; infastidisce la solidarietà, l’affetto, la pietà; non ci può essere condivisione.
Come sempre capita e com’è ovvio perché al dolore non si fa l’ abitudine né ci si prepara mai al suo arrivo, l’impatto col dolore la trovò impreparata: quando mai aveva sofferto quella ragazzina abituata a primeggiare, adulata e corteggiata?(…).

È difficile riflettere sul dolore senza retorica e senza ipocrisie, vero? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu. Un abbraccio, Marinella Fiume

Postato sabato, 13 settembre 2008 alle 22:08 da Marinella Fiume


scusate, secondo me, la novità della vicenda non è il dolore, ma cosa morena fa di questo suo dolore, come lo vive, lo analizza, lo descrive, e lo fa per un lungo anno. non so se nella letteratura ci siano esempi di questo genere. e lo fa non dopo che sono passati anni dall’evento ma scrive e descrive il suo doloroso presente, come un medico che registra accuratamente tutte le fasi della malattia, i miglioramenti, i peggioramenti, i sintomi, le cure, la novità sta nel fatto che lei non sapeva come sarebbe finito il libro, sapeva quando l’avrebbe finito ma non altro. l’ho sempre visto come un diario di bordo, ho sempre immaginato lei come un capitano che naviga un mare sconosciuto e in tempesta e non sa se sarebbe arrivato alla meta, morena è come ulisse che viaggia alla ricerca di se stesso ma anche come penelope in quanto tesse la sua storia solo che lei a differenza di penelope non la disfa. ciao a tutti antonella

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 00:17 da antonella


e secondo me, antonella scrive un’osservazione acuta.
Ora dimentichiamoci che il libro è scritto da me, altrimenti sembra che io mi stia incensando. Lo guardo dall’esterno. E questo libro non ha pretese letterarie, non contiene artifizi o frasi ad effetto, non ha storie avvincenti e fantasy in cui avvolgersi. Questo è un libro vissuto sul campo, è un libro scritto in trincea. Sarebbe stato ben diverso se l’avessi scritto anni dopo, ad esempio ora nel 2008. Avrei scritto: nel 2001 provai un grande dolore. Stavo male e piangevo. All’inizio ero arrabbiata poi un po’ alla volta ho iniziato a capire che non ero l’unica a vivere un simile dolore e mi sono ripresa, se escludiamo il fatto che da questo dolore non ci si riprende mai del tutto.
Ecco, non mi pare la stessa cosa.
Io ho iniziato a scrivere mentre vivevo le emozioni, e mentre non sapevo come avrei fatto ad uscirne viva ( e per viva io intendo VIVA, non un essere umano che respira). Ho sperato di farcela, ma non potevo esserne sicura. Volevo farcela, e di sicuro volerlo aiuta, ma la sicurezza non c’è mai per nessuna delle cose della vita.
E il fatto che io abbia pensato da subito di scrivere questo che, ripeto, per me non è mai stato un diario, ma sempre e solo un ‘libro’, mi sconvolge ancora.
Ho iniziato la scrittura il 5 novembre ma erano alcuni giorni che sapevo l’avrei fatto. Quindi un mese dopo la morte di Federica.
Quando ci penso, ancora mi sorprendo.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 09:21 da Morena Fanti


Riprendo l’affermazione di Massimo:
“E credo pure (ne sono convinto) che questo libro sia una testimonianza del “potere salvifico” della letteratura.”, perché sono totalmente d’accordo con lui. E’ indubbio che scrivendo, io mi sia in qualche modo ’salvata’. La scrittura di sé, come afferma il grande Duccio Demetrio, è un prendersi cura di se stessi, un guardarsi e capirsi. Diventa un modo per darsi attenzioni e per rivalutarsi. Nell’atto dello scrivere, ci si dedica alla nostra anima e si esplorano le emozioni. Per me è stato importante e direi determinante. L’atto della scrittura è stato tradurre sulla tastiera i pensieri, districarli e dividerli, pettinarli e scioglierne i nodi.
Salvifico è la parola giusta.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 09:56 da Morena Fanti


Mia cara Morena.
A me non sorprende.
Quando scriviamo siamo in noi e fuori di noi, siamo ciò che è stato e ciò che sarà.
Nominiamo le cose.
E, nominandole, le avveriamo. Le anticipiamo. Le viviamo e le facciamo risorgere.
Esistono perchè noi le diciamo. E perchè abbiamo il coraggio di dirle.
Allora è come se il sottilissimo velo che separa la vita dalla parola snebbiasse come un sogno.
E’ come se la parola che diciamo, che soffriamo, che avveriamo, non venisse da noi.
Ma da quell’unicità che ci sovrasta e ci comprende. E che sa più di noi. Che ci regala un frammento. Che non ci lascia. Che si insinua nelle bocche del nostro dolore.
E lo lenisce.
Un bacio

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 09:56 da simona lo iacono


@Morena. Sei credente? Pensi che tua figlia potrai incontrala in un altro posto?. Scrive bene Lucia Arsì (che saluto con affetto) riferendosi ai grandi filosofi greci. “Ci é stata assegnata( da Dio, dalle moire?) una pozione di tempo vitale più o meno lungo. Saperlo é il senso del nostro viatico, saperlo significa mettere a profitto i tanti dettami cristiani( carità, amore, fratellanza, disponibilità, responsabilità, rispetto etc.)quotidianamente”.
Siamo esseri mortali, ci rigeneriamo attraverso la procreazione, ma se ci muore un figlio l’ordine naturale si sconvolge, interviene un fattore esterno violento a mutare il ciclo naturale degli eventi e le nostre reazioni sono scomposte. Un caro saluto anche a Marinella Fiume, grande donna di Sicilia, persona che stimo moltissimo, sempre impegnata per la costruzione di una società migliore.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 09:59 da Salvo zappulla


Buona giornata e buona domenica a tutti.
E grazie per i bellissimi commenti.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 09:59 da Massimo Maugeri


L’esperienza dolorosissima- cara Morena- non ti ha ucciso, ti ha irrobustito per e nella vita.L’esplosione di energia psichica, a seguito della sofferenza,ha schiarito la tua coscienza e ha determinato la necessità dell’agire letterario, per comunicare agli altri emozioni, intuizioni, sentimenti comuni in chi sta al mondo.Scrivere- a mio avviso- é un dovere. Conoscere é un po’ come salvarsi.Lucia Arsì

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 10:08 da Lucia Arsì


Grazie, cara Morena.
Sono davvero convinto dell’esistenza di un “potere salvifico” della scrittura.
Hai fatto bene a evidenziare il periodo in cui hai cominciato a riempire le tue pagine. Proprio perché scritte “subito dopo” (dopo appena un mese), quelle pagine danno una testimonianza intensa e fortissima dell’esperienza terribile che hai dovuto affrontare. E dell’evoluzione di quella esperienza. E della possibilità (anzi, convinzione) che il racconto di quella esperienza potesse servire ad altri.
Potevi affondare nel mare di dolore… e invece, nonostante tutto, hai trovato le risorse per rimanere a galla.
Ecco. Mi viene in mente questa immagine riferita alle tue pagine: una zattera, in un mare in tempesta.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 10:11 da Massimo Maugeri


Saluto con affetto tutti voi.
-
Un saluto specialissimo per Marinella Fiume, mia conterranea. Credo sia la prima volta che interviene qui.
Benvenuta a Letteratitudine, Marinella!

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 10:13 da Massimo Maugeri


@ Salvo. Io credo (di solito) solo a ciò che posso toccare con mano. Tu hai letto il mio libro e avrai intuito che ho grandi difficoltà a credere del tutto. Anche se pensassi di poter incontrare Fderica in un ‘altro posto’, mi risulta davvero difficile contenere quel dolore che mi prende ogni tanto e mi attorciglia le viscere.
Le belle parole sono, appunto belle parole. Anch’io me le sono raccontate tutte, ma resta il fatto che la morte di un figlio è un macigno che non si può buttare a mare, se non andandoci dietro.
L’ordine naturale delle cose voleva che io morissi prima di mia figlia e il contrario è difficile da accettare.

Saluto anch’io Marinella Fiume, grande donna che ho avuto il piacere di intervistare, e riprendo una sua frase:
“Gli altri?… Il dolore, si sa, si vive in piena solitudine, nessuno può esser d’aiuto a vincere la battaglia di resistenza che si oppone all’onda d’urto devastante; infastidisce la solidarietà, l’affetto, la pietà; non ci può essere condivisione.”
Credo sia vero che certi dolori si vivano in solitudine, come anche che la forza, la decisione di farcela possano solo venire da noi, ma credo anche che gli altri possano essere d’aiuto. Non con la pietà, o la compassione, ma con l’affetto. Quell’affetto che non ha bisogno di tante parole. A volte basta esserci. E credo anche nella condivisione. Ci sono giorni in cui io devo con-dividire assolutamente. Dopo mi sento più ‘leggera’.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 10:16 da Morena Fanti


L’orizzonte vitale é aperto ad infinite possibilità, che il ciascuno in parte sceglie e in parte subisce. Se sei un essere accorto e sai gestire la tua vita razionalmente,vivi tranquillo; c’é l’altra metà dell’orizzonte, il fratello gemello o il doppio- lo chiamerei così- che si ribella a tale ordine e agisce in modo ” imprevedibile”, sconvolgendo l’ordine, graffiando la tranquillità e- cosa dolorosa- in modo”costrittivo”. I greci parlavano di ANAVKE.Il dolore é inevitabile, improvviso e atteso. Possiamo evitare la morte ma non eluderla.Eppure dal dolore nasce un progetto positivo di amore( continuando sempre nella sofferenza), la speranza che diviene certezza, fede in un domani non più buio. La potenza distruttrice del dolore, quella pena profonda che obnubila la vista, come per incanto, diventa matrice di arte, spinge all’agire, al poiein, ossia concede formaall’invisibile doloroso sentimento. Ti sono vicina. Lucia Arsì

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 10:53 da Lucia Arsì


@Morena. Forse è più giusto così. Pensa se avessimo tutti lo stesso traguardo, pensa se per esempio fossimo tutti destinati a morire a novant’anni. Saremmo dei condannati e alle soglie del traguardo ci sentiremmo come i carcerati che stanno per salire sulla sedia elettrica. Mia suocera ha 94 anni e resiste peggio di una quercia, ci ho provato in tutti i modi: spruzzate di lassativo nel latte, finestre aperte in pieno inverno per favorire un’eventuale polmonite. Niente. Una roccia. Su Morena, fai un sorrisino.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 11:19 da Salvo zappulla


Morena sceglie di definirsi “orfana” di sua figlia. E’ come un’inversione di ruoli. Forse per sottolineare la bidirezionalità del cordone ombelicale. Quando quel cordone si spezza chi resta solo perde comunque una guida, una direzione, un senso, indipendentemente dal ruolo madre/figlia.
Ma forse anche per sottolineare che il percorso per riconquistare il senso della vita per un orfano, genitore o figlio che sia, è certamente uno tra i più ardui, ma che le conquiste più difficili sono quelle dai significati più profondi.
Credo che gli orfani che si sono conquistati (“in trincea” dice Morena)questa consapevolezza, abbiano conquistato una coscienza della vita (e della morte, che ne fa parte) del tutto particolare e in qualche modo arricchita.
Un abbraccio a Morena, persona che pur senza conoscerla ho avuto modo di apprezzare incrociandola su questo e su altri blog.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 11:30 da Carlo S.


Salvo, tu sai che io di sorrisi sono piena. E sai anche che ne regalo tanti.
Non credo si possa dire di me che sono una persona triste.
Non è per questo che mi adori? ;)

E lasciala in pace tua suocera. Già deve sopportare te, povera donna.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 11:51 da Morena Fanti


Morena è brava.
Elisabetta

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 11:51 da elisabetta bucciarelli


@ Carlo
Il cordone ombelicale è certamente bidirezionale. E’ un legame che resta per sempre e che si ’sente’ come quell’arto amputato che nomina Gea.
Restare orfani, da un lato o dall’altro del cordone, è sempre perdere una parte di sé. E’ anche perdere una propria identità, un proprio ruolo. E’ non riconoscersi e non sapere più chi si è e a chi si appartiene.
Conquistare una nuova consapevolezza arricchisce, forse, offrendo una visione più allargata della vita e del senso che ha, o che si ritiene abbia.
Argomento sempre difficile e aperto a tante interpretazioni.

ricambio il tuo abbraccio.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 12:02 da Morena Fanti


Non è un libro a “posteriori” ma un libro “sul campo”, dice Morena, vale a dire, dove si impara di momento in momento, vivendo quello che c’è da vivere: oggetto e soggetto allo stesso tempo.
In questo senso, essere riuscita lentamente ed eroicamente a dare forma attraverso le parole al “buco nero” del dolore incontenibile, incoraggia ad avere fiducia nel potere terapeutico e salvifico dell’espressione letteraria.
Morena dice tante di quelle cose adeguate, giuste e vere, che la sua è una esperienza che dona forza e speranza.
Il dolore accolto e condiviso l’ ha resa, se possibile, ancora più generosa. Un abbraccio pieno di affetto e di gratitudine. Davvero interessanti, coinvolgenti e profondi i tanti contributi letti. Grazie,
Caterina

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 12:44 da caterina camporesi


Non riesco a trovare le parole. Temo che nessuna sarebbe adeguata.
Talvolta mi dibatto nei miei pensieri e ricordo quando, appena diventato genitore temevo di morire e lasciare al mondo degli orfani. Era questo il mio timore che spesso si faceva prepotente. Un po’ alla volta questa paura si sta capovolgendo: loro crescono, diventano sempre più autonomi. Sono ancora giovani ma presto sapranno cavarsela da soli. Ed io temo di perderli.
È un pensiero che cerco di evitare, un dibattito che seguo con sofferenza e rispetto, convinto che non ci sia un dolore più grande. Eppure non comprensibile del tutto finché non si prova.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 14:18 da pani


ecco, io vorrei ringraziare davvero tutti, uno per volta.
Certe parole sono decise e intime anche quando affermano di non saper parlare. Provarci è già farlo. Questo è ciò che vorrei dire a chi a volte non sa cosa dire. Non ci sono parole perfette, non ci sono formule. Conta esserci e basta.
Qualche mese fa una persona lesse un brano del mio libro e mi scrisse per dirmi che dopo aver letto certe mie frasi (simili a queste che ho scritto qui sopra) aveva trovato il coraggio di telefonare ad una cara amica che era rimasta vedova da poco. Prima non osava, poi ha capito che non servono formule magiche e ha telefonato e le ha fatto capire che lei c’era. Era lì. L’amica ne è stata felice.

Così poco fa ho ricevuto un pvt di una persona che dice che non ha il coraggio di commentare qui, ma ha comunque trovato il coraggio di scrivermi. E Pani dice che non trova le parole, ma scrive lo stesso un commento.
Per me è già tutto. Grazie.

Io so che ci vuole coraggio per dire qualcosa. Lo so bene. Ce ne vuole anche per fare un post come questo.
Ma in fin dei conti, non ne dobbiamo avere tanto e tutti i giorni solo per Vivere?
Non è certo evitando di parlare delle cose spiacevoli che queste cesseranno di esistere. Forse parlandone, esorcizzeremo qualche timore. E’ bello pensarlo.

vabbè, inizio a commuovermi mi sa…
Per ora vi abbraccio tutti, anche chi non ho ancora nominato: Caterina, Gaetano, Stefano, con i quali ho anche condiviso ore e parole e sorrisi non scritti.
Un abbraccio speciale a Simona e a Silvia. A Cristina e a Laura.
torno dopo.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 14:42 da Morena Fanti


Cara Morena,
grazie per essere intervenuta ancora.
Secondo me non ci vuole coraggio per pubblicare un post come questo.
Ce ne vuole, invece, tantissimo per raccontare un’esperienza così terribile… e in pubblico.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 21:51 da Massimo Maugeri


Naturalmente il dibattito continua.
E auguro tanta fortuna a questo libro di Morena, con l’auspicio che possa rappresentare un piccolo punto di riferimento per altri che hanno dovuto sopportare il peso del dolore più grande

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 21:54 da Massimo Maugeri


Un abbraccio speciale a te, Morena.

Postato domenica, 14 settembre 2008 alle 22:02 da simona lo iacono


per Morena, che non conosco, ma che è uno stelo forte.

“La morte è un fiore che solo una volta fiorisce.
Ma se fiorisce, nient’altro fiorisce.
Fiorisce, appena lo vuole, non fiorisce nel tempo.

Essa viene, una grande falena, che adorna steli cedevoli.
Tu lasciami essere uno stelo, così forte, che la rallegri.”

- Paul Celan -

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 11:05 da lanoisette


La morte, il lutto, sono manti neri che prima o poi avvolgono tutti. Sarebbe pertanto facile, troppo facile, affermare che è un evento normale. Il naturale ordine delle cose. Ma non è così, non sempre: non quando la falce scura miete senza rispettare la pur tragica ma logica successione generazionale.

Ricordo di una persona che, tre anni fa, quando persi mia madre dopo una grave malattia che le ha raschiato via di dosso la vita, inducendomi all’orrore di sperare che morisse, negli ultimi suoi giorni, tanto soffriva.

Ricordo che, una volta accaduto l’inevitabile, questa persona tentò di consolarami con queste parole: “é normale che i figli vedano morire i genitori”.
Già, è normale, seppur terribile.

E così a noi poveri esseri umani tocca cercare il conforto in una morte “normale”, e consumarci dentro per trovare ragioni per continuare a vivere quando invece normale non è.

Io alla fine una ragione l’ho trovata, ma resta chiusa nel mio cuore. Non offendetevi se non la condivido, è troppo intima. Spero sia così anche per la cara e FORTE Morena. Non può essere diversamente.

Vi riporto qui sotto ciò che scrissi qualche giorno dopo il mio triste evento, sperando possa illuminare anche altre persone che soffrono o hanno sofferto. Perché in fondo tutti noi, con qualche ingenuo stratagemma, riusciamo ancora a tenerci vicine le persone care che, fisicamente, non ci sono più.

-C’è poesia anche nella cucina e nel cucinare. Come la si può definire, altrimenti, un’attività, un’arte che ti solletica i sensi, ti fa chiudere gli occhi e respirare profondamente per far tuo un odore, un profumo. Mentre la bocca freme in attesa di ricevere il piacere di un sapore.

Io ricordo bene quanto piacesse a mia mamma, cucinare. Ricordo i pranzi pantagruelici che riusciva a preparare da sola, quando ancora era in salute, arrabattandosi tra pentole e tegami per ore. Giorni.
Era una donna semi analfabeta, ma aveva un grande cuore e adorava cucinare, e così ne aveva fatta un’arte, la sua arte, con la quale riusciva a comunicare agli altri la sua gioia di vivere e la sua voglia di compagnia, il bisogno e il desiderio di dare e ricevere affetto, di tenere unita la famiglia e gli amici usando il cibo come collante, tutti insieme attorno ad una tavola imbandita. E quel momento non è più solo “mangiare”, è molto di più: è vita.
Vita, quella che mia madre non ha più, ma che per me riacquista, per un istante, ogni volta che, indegnamente, mi sostituisco a lei ai fornelli.

E cos’è questa, se non poesia.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 11:20 da Davide Piazzi


grazie lanoisette. Uno “stelo forte” non mi aveva ancora definito nessuno, ma suppongo si possa dire. E’ una bella definizione. Grazie dei versi di Celan.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 11:31 da Morena Fanti


Davide, scrivevo a lanoisette mentre anche tu scrivevi.
Che bello questo tuo pensiero sulla cucina! Anch’io penso sempre che cucinare sia esprimere, sia un gesto artistico, oltre che d’amore. E che sia poesia è indubbio. Basta leggere le tue parole, suscitate dal pensiero della tua mamma e da ciò che faceva per le persone che amava. E che ora fai tu seguendo il suo esempio, quell’esempio che ti ha portato ad amare la vita.

La morte è sempre difficile da affrontare, perfino in questi commenti. E in ogni frase che mi avete scritto, tutti quanti ma ora penso proprio a te, leggo l’affetto che avete per me e che vi sospinge a fare cose che (forse) evitereste volentieri.
Credo che anche qui, parlando di morte, stia vincendo la Vita. La Vita che è affetto, che è stare vicino agli altri, far sentire che ci siamo, condividere e dividere.
Grazie Davide. La cara e Forte Morena ti ringrazia. (ma sarò davvero così come mi dipingete?)…

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 11:42 da Morena Fanti


ah… Gaetano mi ha anche chiesto se ho visto La stanza del figlio di Nanni Moretti.
L’ho visto, ma solo due anni fa mi pare, quando l’hanno dato in tv. Al cinema non ho avuto il coraggio di andare. E anche per vederlo in tv mi sono fatta violenza. Come l’ho trovato? Forzato in certe parti e buono in altre. Ad esempio, quella scena in cui Nanni è alle giostre o roba simile e vede tutto girare in tondo vorticosamente, proprio come se il mondo sparisse e diventasse un vortice di colori sfumati uno nell’altro e non si vedesse e sentisse null’altro che un vortice, un uragano dove tu speri di essere inghiottito e di sparire per sempre.
Questa è stata la scena più impressionante, perché spesso nei primi giorni, o mesi forse, mi sono sentita su una giostra impazzita.
Anche se la sensazione più forte è quella di essere in un film, di essere fuori dalla vita e di recitare in un ruolo non tuo.
Comunque, tornando al film, certe cose sono ‘vere’, tipo l’andare in camera, guardarsi intorno come se lui dovesse tornare da un momento all’altro, l’andare in giro con lo sguardo vuoto (ma questo è anche dovuto allo choc. lo choc è tremendo perché troppo immediato in caso di incidente).
Devo anche dire che lo sguardo vuoto (che è una cosa che mi impressiona sempre assai, lo riscontro spesso anche in altre persone, ma qui entro in un altro discorso e forse non è il caso).
Il film è mediamente ‘buono’ perciò, anche se io non sopporto tanto Nanni Moretti e anche se l’ho guardato con un po’ di nausea (non me ne voglia Nanni)

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 11:56 da Morena Fanti


Cara Morena, sei davvero molto gentile: hai ricordato anche l’altra mia domanda. Ti ringrazio tanto.
E nel commento precedente, il tuo penultimo, dici:”Credo che anche qui, parlando di morte, stia vincendo la Vita”; ho avuto anch’io la stessa sensazione, ed è davvero una bella sensazione.
Un grande abbraccio,
Gaetano
@ Davide Piazzi
Ti ringrazio per il ricordo legato a tua madre. Parole commoventi, d’amore e di pace. Il mondo ha bisogno di questo nutrimento.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 15:37 da Subhaga Gaetano Failla


Un caro saluto a Marinella Fiume, che ho avuto occasione di conoscere (Scrivere Donna e altre manifestazioni culturali a Siracusa) e che apprezzo come studiosa e scrittrice.
Grazie ancora a Morena per avere messo a disposizione di tutti noi la sua esperienza, che ha valore di testimonianza e ci arricchisce tutti.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 15:56 da Maria Lucia Riccioli


Sono qui, ma non ho parole, o forse solo queste, ma non servono, ne a me, ne a chi le legge.
Scusa Morena

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 16:33 da francesco di domenico


@Ciccio. Ho letto un tuo racconto nel sito VDBD. Il tuo senso dell’ironia è semplicemente stre-pi-to-so.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 17:01 da Salvo zappulla


Ringrazio tutti per i nuovi commenti e Morena per essere intervenuta ancora.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 18:25 da Massimo Maugeri


Quanti commenti! Li leggerò con calma, intanto dico che quando uscì questo libro pensai e scrissi che era un’opera importante per il messaggio che trasmetteva e per come Morena Fanti è riuscita, nonostante il dolore, a raccontarlo. E’ un libro che fa male e molto soprattutto a chi come me è mamma, ma è anche un libro da far leggere ai ragazzi per far comprendere loro quanto è forte l’amore che lega una madre ai propri figli. Lo so, è banale, ma nella società di oggi dove i ragazzi corrono e corrono e non solo con auto e moto, ma anche con il pensiero e mai si fermano a riflettere, un’opera come questa può arricchirli tantissimo, anche se leggerlo provoca un dolore immenso.
Sandra

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 23:01 da Sandra


Grazie, Sandra.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 23:22 da Massimo Maugeri


@ Morena
Cara Morena,
ne avevamo parlato per mail e tu mi hai autorizzato a farti questa richiesta pubblicamente.
Mi piacerebbe che ci parlassi di Federica, se te la senti.

Postato lunedì, 15 settembre 2008 alle 23:25 da Massimo Maugeri


Mi piacerebbe che la discussione, qui, continuasse.
Un saluto a Morena e a tutti voi.

Postato martedì, 16 settembre 2008 alle 00:26 da Massimo Maugeri


Ringrazio Gaetano di aver sottolineato la bellezza dell’intervento di Davide. Grazie.
@ Maria Lucia Riccioli: grazie delle tue parole.
@ Didò: come ho detto in un commento, non ci sono parole speciali ma conta esserci. contenta di leggerti qui.
@ Salvo: chi è Ciccio?
@ Sandra: la penso come te. Far riflettere i ragazzi, mostrare loro cosa accade potrebbe aiutare. Qualche mese fa andai in un liceo, invitata a raccontare qualcosa della mia esperienza ai ragazzi delle quinte classi, in occasione di un incontro sulla sicurezza stradale. Mentre l’insegnante mostrava loro le diapositive e enumerava dati (impressionanti per numero di incidenti e di morti) i ragazzi erano abbastanza attenti, ma quando ho parlato io (parlato come si può immaginare visto l’argomento) non si muoveva neanche un muscolo del viso. Finché si sentono le notizie al TG è una cosa, poi quando le notizie arrivano più vicine e ti sfiorano allora è tutt’altra cosa. L’emozione era molto grande: ognuno di loro pensava ai propri genitori e a cosa sarebbe accaduto per un loro momento di distrazione. Credo che sia stata per loro un’occasione di grande riflessione.

Postato martedì, 16 settembre 2008 alle 09:22 da Morena Fanti


@ Massimo:
volevo rispondere alla tua domanda su Federica ma sono stata interrotta.
Ritorno appena possibile.

Postato martedì, 16 settembre 2008 alle 11:47 da Morena Fanti


Cara Morena,
credo che la morte di un figlio sia il dolore in assoluto più grande che un essere umano possa provare. un baratro così profondo e scuro da lasciarti senza respiro o voglia di respirare…
ammiro molto il tuo coraggio, la forza…penso che in fondo si continui a vivere con la speranza o illusione di poter dare ancora vita e luce al figlio che non c’è più….è un modo per esorcizzare la morte…credo sia questo il senso più profondo del tuo libro. elena varriale

Postato martedì, 16 settembre 2008 alle 13:26 da elena varriale


Vorrei ringraziare Massimo per questo post e Morena per l’esempio che da’ a noi genitori.
Ho parlato di voi nel mio blog http://blog.libero.it/AntonioFacchiano/commenti.php?msgid=5446737&id=168087&ssonc=1803863009

Antonio

Postato martedì, 16 settembre 2008 alle 22:21 da Antonio Facchiano


Grazie anche ad Elena Varriale.
Il dolore per la morte di un figlio è proprio il più grande dolore che si possa provare, è vero. Ed è vero il baratro, il buco nero i cui si sprofonda, è vero tutto. Ma è vera anche la luce che si può intravedere laggiù in fondo. E’ vera ed è nostro dovere cercare di trovarla. La forza è sempre dentro di noi. Dobbiamo solo esserne consapevoli e cercarla, ma c’è. C’è sempre. Io l’ho, questa forza che tu dici, come credo l’abbiano tutti. Bisogna crederci.

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 11:31 da Morena Fanti


Riprendo da dove sono stata interrotta ieri. Massimo mi ha chiesto di parlare di Federica.
Andrò a sentimento, così come viene. Perdonate se non metto in fila le parole e i concetti.

Qualche mese fa, dopo aver letto il mio libro, una persona mi chiese: ma con Federica le cose erano sempre così idilliache? non litigavate mai?
Non so perché chiese questo. Forse l’impressione che ho dato è questa?
Il nostro rapporto era molto forte e intenso, questo è vero ed è questo che credo di aver raccontato. Ma di sicuro abbiamo avuto anche belle discussioni. Io ho un caratteraccio (ma và!), preferisco dire “un carattere forte e determinato”, e lei si è dovuta attrezzare con un carattere altrettanto deciso, per poter contrastare il mio. Avevamo discussioni molto accese, certo, ma poi sistemavamo tutto, perché c’era sempre il dialogo e c’è sempre stato.
Federica era generosa in tutto ciò che faceva, aveva grandi progetti. Adorava i bambini e ovunque andasse si creava intorno a lei un asilo nido. Non so come, ma anche in spiaggia, dal primo giorno, si formava attorno a lei una nuvola di bambini. D’altronde, questo era il suo progetto: lavorare con i bambini e forse aprire un asilo, una scuola tutta sua. Ovviamente mi aveva già coinvolta nel progetto. I sogni li sapevamo fare bene. Aveva già deciso che il primo figlio sarebbe stata una bambina e questo è il motivo per cui una delle prime cose di cui mi sono rammaricata (ricordate? quelle cose che si aggiungono al dolore per farlo sembrare ancora più grande e per distogliere la mente dal dolore vero, che è la morte) è stata che non sarei mai diventata nonna.
Ma nessuno sa se lo sarei diventata comunque, no? Nessuna garanzia.
Quindi…

Mi fermo un po’. Chi volesse commentare è il benvenuto, ha detto Massimo ;)

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 11:51 da Morena Fanti


ho due figli insopportabili e meravigliosi.
entrambi con la calamita per bambini piccoli e animali.
entrambi mi hanno detto chiaramente che figli non ne faranno.
ecchecivuoifa’, morena.
saremo due acide vecchiette (come quei due dei muppets) ?
forse anche no.
tvucdb
:-)

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 14:34 da gea


oh sì. due acidissime vecchiette (adoro i muppets. e adoro essere acida a volte).
che si manderanno messaggini idioti che sembrano codici fiscali :-)

ma ho come la sensazione che i tuoi figli cambieranno idea. ecchecivuoifa’, così mi ispira.
tvucdmdb. tiè

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 14:47 da Morena Fanti


comunque, leggendo questo mio commento, quello sopra, da cui si nota chiaramente che sono dotata anche di sorrisini scemi e di (spero) una grande autoironia, vorrei dire due cose (magari è una sola, o magari sono tre. ora vedo).
Ieri sera mi ha telefonato una carissima amica, e posso anche dire il nome che mica ha detto cose strane, la Zena dalla voce inconfondibile e che mette di buonumore e che sa scrivere come dio comanda e non come molti, e cioè come dio vuole, che non è la stessa cosa. allora, la zena mi dice: eh, cara, non credere che non sia passata da letteratitudine. ti ho letta, e ho letto i commenti. è che non ho osato commentare, perché non si sa mai che dire, che sembrano tutte cose ovvie e tu lo sai il bene che ti voglio.
eh, io lo so che ’sto libro qua è un peso. ho promesso che ne scriverò un altro, magari comico oppure un noir, devo ancora decidere. il fatto è che invitare qualcuno a leggere e commentare sto libro non è mica come un invito a nozze.
ciò che voglio dire, alla fine, è che io non sono solo quella parte lì, quella scura. io sono ben altro e da me potete aspettarvi commenti seri, ma anche commenti colorati.
ed è questo che mi preme dire: non dobbiamo schematizzare il lutto e i comportamenti. Non si vede dall’abito nero il dolore e non si vede dal sorriso giallo la superficialità.
Avrò scritto una cosa sensata?
Per me lo è.

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 14:59 da Morena Fanti


Ma Di Brutto?
Mi Devasti i Brufoli?
Metti Davanti i Bestioni?

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 15:05 da gea


e caso mai ce li spupazziamo insieme, ok?
:-)

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 15:12 da gea


ah, questo è sicuro

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 15:14 da Morena Fanti


Io 23 anni fa ho perso un fratello 22 enne in un incidente stradale, mio padre e mia madre, che vivono con mia sorella e due nipoti, hanno digerito il fatto, ma non l’hanno mai superato; il babbo a volte chiama mio nipote con il nome di mio fratello, la mamma ha riempito il vuoto con il fervore religioso, lei che era una credente molto tiepida! Penso comunque che il poter (sapere) rendere pubblica una tragedia così immane, ma comunque personale, sia oltre che una cosa coraggiosa un modo per sentirsi sempre vicini tra noi che siamo rimasti e chi se ne è andato.
Grazie comunque signora Morena

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 16:08 da luca nencioni


@Morena
@Gea
Se qualcuna delle due volesse adottarmi, ne sarei felicissimo. Lo sanno tutti che sono un bambinone.

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 19:52 da Salvo zappulla


grazie a te, Luca, della tua testimonianza. Digerire e superare sono due cose difficili. Io credo che non si superi mai del tutto e probabilmente anch’io non lo farò mai completamente. Nessuno può farlo, credo.
Si tenta di accettarlo. Si trovano interessi con cui colmare il vuoto, ma il vuoto non si colma mai del tutto. Questo che dici, del fervore religioso, è una possibile strada e a volte penso che chi accetta di percorrerla abbia più possibilità (ma forse sbaglio?). Ognuno, comunque, cerca la sua possibile strada per uscirne e credo siano tutte possibili, se le sentiamo ‘nostre’.

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 20:13 da Morena Fanti


@ Salvo
che tu sia un bambinone è risaputo ma sei un po’ tropo cresciuto. E lascia stare Gea che non ha tempo di stare dietro alle tue sciocchezze. Lo sai che ti sopporto solo io

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 20:15 da Morena Fanti


Salve!
E’ da un po’ che entro ed esco da questo post senza riuscire a scrivere, o, meglio, scrivendo e cancellando subito.
Avendo provato un dolore analogo, in quanto a rapidità e portata della perdita, mi risulta facile perdermi nei meandri dei ricordi e della sofferenza che sempre affiora parlandone.
Molteplici sono le analogie con la mia esperienza riscontrate nella testimonianza di Morena, perché è vero sì che ogni dolore è unico, ma è anche vero che simili sono le reazioni e gli atteggiamenti che da un evento tanto destabilizzante scaturiscono.
Differisce, a mio avviso, la maniera di ognuno di convogliare il proprio dolore, di “farne altro”. In questo percorso, come da qualcuno evidenziato, sono convinta che “la parola”, col suo potere quasi taumaturgico, può divenire un supporto efficace, affinché non si venga inghiottiti da una voragine infinita.
Credo che il libro di Morena Fanti, sia un esempio palese di come da un grande dolore (di per sé inestinguibile) si possa risollevarsi anche grazie ad un atto introspettivo e liberatorio qual è appunto lo scrivere.
Si parlava inoltre di coraggio: a questo proposito ripensavo, e ripenso spesso, ad una testimonianza riportata da Gianna Schelotto nel suo libro Distacchi ed altri addii, la cui fondatezza ho avuto modo di sperimentare su me stessa: «La cosa più coraggiosa che ho fatto dopo la morte di Giacomo […] è stata ritirare il bucato che avevo steso il giorno prima. C’erano le sue canottiere, le camicie, gli slip…. Ho dovuto farmi violenza per non stirare e riporre ogni cosa nei cassetti, come se non fosse successo niente…».
Leggerò il libro, e sarà come condividere un pezzo di vita.
Grazie.

Postato mercoledì, 17 settembre 2008 alle 21:58 da Ketti Martino


Grazie Ketti. Ho già detto che per commentare qui serve coraggio. L’argomento è ‘tosto’ e se, inoltre, tocca anche il nostro vissuto personale, diventa ancora più difficile scrivere e raccontarsi.

La cosa più coraggiosa… io credo ce ne siano tante. Anche andare in camera sua tutte le mattine e aprire la finestra come ho sempre fatto. Vedere tutte le sue cose.
Credo che per ognuno ci siano aspetti che cambiano la prospettiva. Dipende da cosa si faceva prima e da quanto si condivideva con il figlio, o con la persona che è morta.
Se leggerai il libro, mi farà piacere sapere cosa ne pensi.
Grazie. un abbraccio. M.

Postato giovedì, 18 settembre 2008 alle 11:36 da Morena Fanti


E’ difficile parlare del dolore. Esso fa parte così integrante del percorso di ognuno che infine preferiamo stordirlo, per non affondarci dentro.
Ho conosciuto Morena grazie a Salvo. Allora lei mi fece un’intervista dopo la pubblicazione del mio “Cipria”, e da quel momento non trascorriamo mai del lunghi periodi senza metterci in contatto.
Con molta semplicità, dico che tra noi esiste una notevole affinità e che le voglio bene, perchè è una donna sensibile e coraggiosa che, nonostante tutto, non ama piangersi addosso.
Ho letto “Orfana di mia figlia”, e, a suo tempo, ho inviato una breve recenzione sull’opera.Tuttavia adesso mi piace sottolineare la rarità di trovare indivudui che possiedono la capacità di palesare al mondo la sofferenza lacerante per il dramma che li ha investiti senza alcun preavviso.
Solitamente, osservare ed osservarsi, come ha fatto Morena, è un qualche cosa che resta chiuso in noi o viene inserito di striscio in uno scritto. Invece lei ha preferito comunicare agli altri la coscienza acquisita che, seppure lo spesso inattaccabile, inossidabile, crudo dolore, la vita e l’amore che abbiamo tratto e che traiamo dagli altri e dalle meraviglie della natura, esigono, non solo che noi riemergiamo dal pozzo, ma anche che la nostra presenza sulla terra non sia vana. A mio parere, ciò è anche dovuto sia a Federica che ad ognuno di quei pellegrini che hanno cessato il loro viaggio terreno.
Ecco come in questo libro il dolore, pur restando presente ed indelebile, si tramuta piano in un canto di speranza.

Postato venerdì, 19 settembre 2008 alle 13:58 da Mariolina La Monica


“… che la nostra presenza sulla terra non sia vana.”
In questo post continuo a leggere cose bellissime come questa tua frase, Mariolina. Ti ringrazio e ti abbraccio,
Gaetano

Postato venerdì, 19 settembre 2008 alle 14:21 da Subhaga Gaetano Failla


Se la trovi bella, significa che la condividi. Quindi, grazie a te Gaetano per non farmi sentire un atollo sperduto,
Mariolina

Postato sabato, 20 settembre 2008 alle 12:25 da Mariolina La Monica


cara Mariolina, tu di sicuro sei tante cose, ma non un atollo sperduto.
E non in questa pagina, così ricca e piena.

“Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.”

Credo che queste parole di Emily Dickinson racchiudano i nostri pensieri e siano la cosa che ci auguriamo tutti noi.
Grazie a te per avermele ricordate e a Gaetano per la sua presenza costante.

Postato sabato, 20 settembre 2008 alle 13:44 da Morena Fanti


@Morena. Mo’ ti metti pure a citare Emily Dickinson. ma allora sei davvero un genio!!!

@Mariolina. Sei una persona squisita.

Postato sabato, 20 settembre 2008 alle 16:44 da Salvo zappulla


sono orfano di mio padre, fin dalla nascita. E’ morto prima che io nascessi e quindi non l’ho mai conosciuto. Sono dall’altro lato del cordone ombellicale di Morena, ma forse ho avuto la “fortuna” di non essermi accorto subito della sua mancanza. Non è stato un fatto così drammatico e improvviso, ma una cosa metabolizzata lentamente, a mano a mano che ne prendevo coscenza, con l’infanzia , l’adolescenza ed infine l’età adulta.
Poi diventando a mia volta genitore, la mancanza ha iniziato ad essere
ancora più tangibile e penso che non potrà mai essere colmata.
Vivendo il rapporto con i miei figli, ho capito cosa mi è mancato e ho cercato di diventare il padre che non ho avuto. Quello che dice Morena
a proposito del dolore e del suo percorso personale scritto in diretta
è una testimonianza preziosa per tutti e per tutti i dolori.
Quando dice che sta a noi pensare di potercela fare, perchè il pensarlo,
è il primo passo verso la rinascita, intesa come la vittoria della vita sulla morte, secondo me dice il vero. Sarà una vita diversa, nessuno potrà ridarle sua figlia, ma deve essere ancora vita, perchè altrimenti non ci sarebbe nessun senso e nemmeno nessun amore e io questo non potrei accettarlo.Il momento importante per Morena, è stato quando
ha trovato di nuovo vita sotto le foglie e mi viene da pensare a quante volte la natura ci insegna e ci fa da madre e da padre senza che noi magari ce ne accorgiamo. Ognuno di noi ha il suo momento di spartiacque, il suo bivio, ma occorre la capacità e la voglia di fare quel primo passo. Ecco, mi piace pensare a questo libro, come alla preparazione per ognuno del proprio primo passo attraverso l’esperienza di Morena.
Grazie a Morena, a Massimo per questo post e a tutti quelli che hanno contribuito con i loro pensieri.

Postato lunedì, 22 settembre 2008 alle 00:03 da vincenzo celli


Ancora un bacione tenero a Morena, che’ non pensi mai che io non la segua… seppur silente.
Sergio

Postato martedì, 23 settembre 2008 alle 01:06 da Sergio Sozi


@ Vincenzo
grazie della tua intensa e profonda testimonianza. Le mancanze sono sempre vuoti da colmare sia da un lato sia dall’altro: e’ una parte di noi che non possiamo avere e il vuoto ci sarà sempre. Potrà diventare meno evidente, ridursi, ma rimarrà per sempre.
Che debba essere ancora Vita, sono d’accordo. Anch’io non potrei accettare nulla di diverso. Perciò sono qui. Intendo qui a parlarne, qui a scriverne, qui a spazzare foglie e a scoprire cosa c’è sotto.
Grazie.

Postato mercoledì, 24 settembre 2008 alle 11:18 da Morena Fanti


@ Sergio
grazie del tuo silente seguire

Postato mercoledì, 24 settembre 2008 alle 12:02 da Morena Fanti


Se ripercorro mentalmente i movimenti delle dita sulla tastiera del pc che mi hanno portato in questo blog… non li ricordo! E non so neanche se posso scrivere un commento, se bisogna essere “iscritti”… e non ho letto neanche tutti gli interventi… è tardi, e le gocce che prendo per dormire stanno facendo il loro effetto, però una cosa mi sento di dire… forse banale, ma detta con il cuore in mano: Morena Fanti, lei è una Mamma con la M maiuscola! Coraggiosa di quel coraggio che solo l’amore sconfinato per un figlio sa tirar fuori. Una Mamma che al dolore ha dato del filo da torcere per non farlo diventare padrone assoluto della sua vita. Una Mamma che ha saputo, quel dolore, guardarlo in viso ed affrontarlo. Una Mamma che in comune con me ha solo l’amore sconfinato per il figlio, per il resto… ad otto mesi dalla scomparsa del mio unico figlio… il dolore con me gioca ancora come il gatto con il topo! Leggerò il suo libro, forse non ora… ciò che ieri lei scrisse è, oggi, il mio pane quotidiano! P.S. salverò questo sito tra i miei “preferiti”, così continuerò a leggerlo!

Postato lunedì, 29 settembre 2008 alle 00:12 da Ivana


Cara Ivana, le tue parole non sono affatto banali. Chiunque scriva (o dica) ciò che sente ‘davvero’ non lo è mai. Sento che il tuo dolore è ancora molto fresco. Forse non riuscirai a leggere subito il mio libro, e forse lo dovrai ‘assumere’ a piccole dosi, come un medicinale che potrebbe avere effetti collaterali, ma io spero che nelle pagine che ho scritto tu possa trovare quel barlume di luce che da sempre io mi sono augurata anche per me stessa. Ti ringrazio molto per questo bellissimo commento. Se vuoi scrivermi troverai il mio indirizzo in uno dei miei blog ( http://auto-aiuto.splinder.com ). Non lo scrivo qui per lo spam che ne ho già tanto, scusami.
Un abbraccio. morena

Postato mercoledì, 1 ottobre 2008 alle 09:50 da Morena Fanti


cara Morena , ho tre figli giovani, un nipotino da poco piu’ di un mese, posso solo comprendere il tuo grande dolore,condividerlo e farlio in parte mio, poiche’ nulla vi e’ di piu’ caro al mondo di un figlio.
Scrivo anche io, ma in queste circostanze preferisco sentire le tue parole, poiche’ nonostante tutto sei tu che dai speranza e conforto a me che leggo.
Il mio piu amorevole silenzio ed un forte abbraccio, credimii con tutta l’anima, con la segreta speranza che il mio pensiero possa arrivare al tuo animo cosi’ provato.
La fede forse soltanto questa certezza che Federica ti e’ vicina ora come e piu’ di prima, forse puo’ lenire il troppo dolore.
Un abbraccio e tanto affetto _Nicole

Postato venerdì, 3 ottobre 2008 alle 13:28 da Nicoletta


Grazie Nicoletta. Ricambio l’abbraccio

Postato martedì, 7 ottobre 2008 alle 09:53 da Morena Fanti


Approdo tardi a questo post, per paura credo. Penso a Morena, alla sua battaglia contro il nulla.
I figli hanno gambe snelle e veloci. E scappano. Prima o poi. E’ il loro dovere: affrancarsi da chi li ha generati, da chi li considera parte delle proprie viscere. Questo è fisiologico. Ciascun genitore ne è consapevole, seppure mai abbastanza pronto.
E alcuni invece vengono rapiti. All’improvviso, senza ragioni sufficienti, spiegazioni. A volte senza un vero addio, un misero rigo a conforto. E a questo non si può essere preparati. Mai.
Ciascun genitore, anche il meno ansioso e apprensivo, prefigura scenari, segue la voce della paura, sa che può accadere.
Ma se accade davvero è inerme, è denudato e privo di difese. Cerca un guscio nel silenzio, o nella grancassa, si rifugia nel punto più lontano da sé, e continua a sorprendersi di essere vivo, pur morendo ogni giorno un poco.
Poi, per qualcuno, c’è una piccola luce, che va seguita, alimentata, che ti porta fuori, verso gli altri.
Un grazie a Morena, per aver saputo esporre la SUA nudità, per aver aiutato altri a prendere coscienza, a provare a salvarsi. Si può vivere, nonostante il dolore ti accompagni sempre come una sentinella molesta, nonostante finisca per far parte delle tue cellule…
e la scrittura è uno dei modi, lo è anche per me, per aver salva la vita.

Postato sabato, 18 ottobre 2008 alle 20:27 da gabriella rossitto


Cara Gabriella, è difficile affermare che l’argomento ‘morte’ non ci intimorisca. L’argomento ‘morte di un figlio’, poi, ci atterrisce solo a leggerne le lettere.
E’ un evento che tutti i genitori temono e, nonostante questo, chi si trova nella situazione di doverlo subire (soprattutto nel caso di un incidente stradale si vive il fatto come una violenza, perché troppo immediato e sconvolgente) si trova comunque indifeso, soprattutto per il primo periodo in cui deve anche sopportare lo choc e i mutamenti immediati che subentrano nella sua vita.
Poi, c’è quella piccola luce e c’è la consapevolezza di scoprire che si può e si deve camminare di nuovo.
La luce, però, va nutrita. Da sola non funzionerebbe per molto.
Ma sapere che tutto ciò che ci serve è dentro di noi aiuta molto.
Fa calmare un poco quella sentinella molesta che tu citi.
La scrittura ha avuto per me un grande potere, un potere ‘buono’.
e ne sono felice.
Grazie.

Postato martedì, 21 ottobre 2008 alle 17:43 da Morena Fanti


Cara Morena, è vero, la scrittura ha un potere enorme: quello di regalarci l’illusione di avere il controllo di ciò che sta avvenendo.
Basta una sola parola, una riga in più o in meno, ed ecco che una storia muta, acquisendo diverse sfumature o, se lo vogliamo, trasformandosi completamente.
Abbiamo noi, tra le nostre mani, il destino dei nostri protagonisti. Abbiamo l’opportunità di raccontare la cronaca o inventare nuovi mondi. Proporre citazioni celebri o coniare nuovi aforismi da mettere in bocca a illustri sconosciuti.

Modelliamo argilla e le diamo forme ben definite oppure astratte.

Creiamo dal nulla attingendo dal serbatoio di quella meravigliosa materia che è la fantasia.

Siamo i laboratori dell’effimero, e poco importa se, a volte, commettiamo l’errore imperdonabile di avere creato qualcosa di buono.

Viviamo nel tempo del concreto, dove “astratto” è un termine che suscita invidie e perplessità.

Quanto sono felice di constatare che ancora ci sono persone disposte a farsi schernire, pur di sentirsi libere.

Un caro saluto.

Davide

Postato mercoledì, 29 ottobre 2008 alle 12:19 da Davide Piazzi


Cara Morena… io sono ancora nel pieno dello Tzunami… separata da 12 anni, 2 figli (Fabio 24 e Sandro 19), Fabio il 5 febbraio decide di andare vivere a Londra, lo supero… è legge di vita… i figli crescono e si indipendizzano…. rimango da sola con Sandro. 22 Marzo ore 4 del mattino, arrivano i carabinieri a dirmi che Sandro non ritornerà mai più a casa…. era andato con la fidanzata, amici ed il titolare dell’azienda dove lavorava, lui litiga con un amico “infame” ed invece di andare in discoteca con tutti decide di tornare a casa…. a 5 Km da casa, ad un incrocio, scansa una macchina e va a finire prima su un albero, dopo sul lampione, altro albero che lo ribalta contro il vassoio di granito e si infila in mezzo a due colonne del atrio della chiesa…. Figlio di Giuseppe e aria, morto nella porta di una chiesa il giorno della risurezione….. ancora aspetto che ritorni…. faccio la spessa x 3…. cerco di ridere e scherzare xchè sò che lui mi vuole così…. ma sono x metà sepellita dentro alla bara con lui…. e quella colonna…. è mia!!!! è lì che vado a trovarlo, portargli fiori, e piangere…. poco xchè lui non sopporta vedermi triste….. ho iniziato a lavorare a Luglio, nell’azienda dove lavorava lui…. Fabio è rimasto con me…. x un pò era andato ancora via e mi sono trovata davvero da sola, poi è tornato x rimanere insieme a me e cercare di farcela in due…. è troppo dura…. Sono di Barcellona (Spagna) quindi non ho nessuno qui, ma non riesco ad andare via…. lui E’ QUI…. forse un giorno ce la farò….. scusate l’incursione su questo blog, mi ha dato l’indirizzo un amico di myspace, voleva che io leggessi, e reaggisse…. forse ce la farò…. Ti abbraccio forte Morena….. Un beso Federica….. Mary.

Postato mercoledì, 29 ottobre 2008 alle 22:34 da Marimar


Cara Mary,
con molta mestizia ti dò il benvenuto su questo blog dove potrai sempre sentirti a casa. Io ti esprimo tutta la mia solidarietà, ma non aggiungo altro… e lascio la parola a Morena (se vorrà replicare).
Grazie per averci raccontato la tua esperienza.
-
(Ne approfitto per salutare Davide)

Postato mercoledì, 29 ottobre 2008 alle 23:44 da Massimo Maugeri


Grazie per il saluto, caro Massimo. Lo ricambio di cuore.
Un abbraccio stretto a Mary, per la quale ora non riesco a trovare nessuna parola, tanto è lo sgomento provato a leggere la sua storia. Per ora, mi limito a continuare a stringerla forte, finché vorrà.

Postato giovedì, 30 ottobre 2008 alle 08:00 da Davide Piazzi


Mary cara,
ti stringo forte in questo tuo dolore che sento mio. Anch’io facevo la spesa in abbondanza e mi trovavo a cucinare più cibo di quello che servisse. Sono abitudini talmente dentro di noi che è difficile disfarsene. Forse è anche un modo di “raccontarsi” la verità mascherandola e evitandola. Sono meccaniscmi che mettiamo in atto senza saperlo e che servono per proteggerci da noi stessi e dal nostro dolore.
Hai ragione quando affermi che Sandro non vorrebbe vederti piangere, ma certo un po’ di lacrime te le saprà perdonare. Le lacrime servono per non esplodere. Lasciale uscire ma, quando ci saranno momenti in cui ti uscirà una risata non soffocarla. E non solo per Sandro, e per Fabio che anche lui ha diritto a vedere una mamma serena, per quanto possibile, ma soprattutto per te stessa.
Ce la farai. Con l’affetto di Fabio e delle persone che ti amano.
Ce la farai se ti vorrai bene.
Ti stringo forte. Morena

Postato giovedì, 30 ottobre 2008 alle 11:26 da Morena Fanti


E grazie anche a Davide, del suo pensiero sulla scrittura e sulla sua valenza. E della sua presenza qui.
Ti abbraccio, caro Davide. Con la stima e l’affetto di sempre. M.

Postato giovedì, 30 ottobre 2008 alle 11:31 da Morena Fanti


Carissimi
E’ un pensiero è una domanda e contemporaneamente una sincera risposta che dettata dalla voce del cuore mi è sorta spontanea alla mente.

Vi chiedo umilmente scusa se parlo con un linguaggio tecnico, con un tono che si esprime per concetti, per affermazioni, per sintesi. Credetemi non è facile a volte parlare o tradurre stati interiori dell’essere o del sentire con opportune o inesistenti parole. Chiarisco che non è nelle mie più intime intenzioni far nascere impressioni di essere invadente o assolutista su certe tematiche esistenziali perché sono state dettate non solo dal cuore mio che li ha percepiti e contemplate, ma soprattutto con tanta sincera scrupolosa verifica scoprendo che sono state dettate e validate in ogni tempo dal cuore di tanti illuminati Maestri di Saggezza.

Se ci pensate, se richiamate alla memoria, se riflettete capirete perchè Gesù quel meraviglioso maestro di luce aveva parlato, ci ha tramandato questa verità, parlandoci di questi tempi, di questi eventi, dicendoci che avrebbe mandato lo spirito santo, il consolatore che avrebbe fatto parlare lo spirito di verità attraverso il cuore di tanti. Credetemi queste mie parole non sono frutto del maligno, non sono miracolose, non sono sopranaturali, ma virtù celate, nascoste in quella vera forza interiore che è focalizzata nel cuore d’ogni essere. E’ un principio, una legge è quella stessa nascosta forza che fa nascere, germogliare e sbocciare un fiore al dolce richiamo del sole.

Ogni uomo ha un suo percorso, un suo sentiero, con il suo intelletto, con il suo sentire che è diverso da tanti.

Non voglio parlare del dolore, della morte, anche se c’è tanta incomprensione e ci sarebbe tanto da dire, ma di quel dolore che deve scendere dalla sua croce per essere cancellato, annullato, per essere trasmutato con la consapevolezza, con le verità, in immutabili eterne verità che il cuore sa già.

Credetemi, il perché di questo mio dire, di questo mio desiderio, il motivo, il vero scopo è SEMPLICE, SINCERO, SPONTANEO ALTRUISMO che con un forte SPIRITO d’INNATA LIBERTA’ nasce dal cuore di un Padre che nel dramma del suo immenso, indescrivibile dolore ha riscoperto l’indefinibile AMORE.

Riporto quello che sto cercando di trasmettere a tanti genitori che dal destino sono stati travolti in quel indefinibile vortice del grande dolore senza fine.

****
Credetemi, è con il cuore che Vi parlo, con quel cuore che come il Vostro è stato destato, scosso maltrattato, oltraggiato, calpestato, frantumato, spezzato in mille pezzi dagli eventi e dal fato. Non ci sono parole adatte che possono esprimere questo stato di indefinibile turbamento. Credetemi quando il destino ci sottopone a questa terrificante prova è l’indefinibile Dolore, ma per una Legge Universale, per una Legge Divina ogni dolore è bilanciato, viene mille volte compensato da un indefinibile ed inconsapevole nascosto immenso Amore.

Quando una giovane vita ritorna alla casa del Padre Celeste è un Angelo Immenso, un Maestro di Saggezza o un essere d’Immensa Luce, perché tanto più breve è stata la sua giovane vita tanto più vicina era la sua meta. Se qualcuno è coinvolto in questo cammino, in questa via del ritorno di sicuro è un eterno amore che lo ha accompagnato in questa vita. Capite che molte volte la verità fa anche male? Ma c’è sempre un motivo più grande che si giustifica anche se non lo percepiamo, anche se non lo riusciamo a comprendere.

Credetemi, non sono vane parole, ma luce che da un remoto profondo buio della mente è arrivata al cuore di un padre che come il vostro ha vissuto il grande indefinibile dolore. Non è pazzia, ma verità celate nell’intimo cuore di ogni essere perchè l’amore prima o poi ritorna e si manifesta. A volte ritorna nei casi estremi affinché possiamo continuare il nostro cammino di vita. A volte ritorna sotto altre forme, di luce, di simbolismi, d’immagini, di sogno o di pensiero che ci trasmettono o ci fanno percepire attraverso il cuore e la mente. E se già previsto, se già è stato scritto nel libro della vita sarà possibile anche rivederli.

Credetemi, ri-vedete ogni momento con la mente e con il cuore il Vostro angelo quando vi era vicino. Ogni atteggiamento, ogni espressione, ogni gesto, ogni parola ogni apparente contraddizione, ogni insensato atteggiamento, ogni illogica discussione o azione con un linguaggio assai nascosto alle apparenze Vi parlava già di questo evento e dal profondo del suo cuore Vi diceva;

“Carissima Mamma, Carissimo Papà, carissimi Fratelli carissime Sorelle, carissimi Nonni, carissimi Parenti e carissimi Amici miei è venuta la mia ora e con ogni impensabile mezzo, con ogni impensabile scusa, con ogni impensabile grande dolore dovrò lasciare questo mondo.

Ci sono tante cose più grandi da fare oltre questa meravigliosa vita che mi avete dato, che amorevolmente mi avete fatto condividere, che mi avete fatto percepire con grandissimo amore, con grandissimo affetto, ma questa vita non è la sola che voi pensavate unica e ormai finita per sempre, perché per un motivo più grande, per un amore più grande, per uno scopo più grande che so che non capite, continua ancora con altre forme, con altre espressioni, su altri piani, su altri infiniti mondi di questo indefinibile e meraviglioso infinito universo. La morte non esiste è la grande illusione dei sensi è il grande mistero della vita perché nella sua vera natura, nella sua vera essenza l’essere è uno spirito immortale, infinito, come Infinito è il suo cammino in quel sentiero oscuro e meraviglioso che è la vita.. So che vi mancherò tanto e non ci sono parole adatte che possono definire questo apparente distacco questa apparente separazione, questo indefinibile dolore, ma sappiate con tutto il mio cuore, dal profondo del mio essere che in ogni momento, in ogni luogo, in ogni tempo sarò sempre vicino a Voi e a tanti che tanto mi amate. Perché l’amore è quel indistruttibile e incorruttibile dorato filo di luce che ci lega nel cuore. Certo non mi vedrete, ma di sicuro sentirete e percepirete il sottile dolce brivido delle mie carezze. Sappiate che sono nella luce, vivo nella luce, agisco nella luce, Vi amo e Vi abbraccio immensamente dalla luce”.

Credetemi, per quello che il mio cuore ha percepito, che ha sperimentato che ha comprovato, con tutta la mia sentita sincerità che voglio rapportarvi, voglio parlarvi, voglio raccontarvi, voglio che sappiate affinché possa rinascere anche un piccolo sorriso, una speranza, una consapevolezza, una certezza che i nostri immensi amori sono più vivi che mai in una dimensione, in un piano di consapevolezza, in una realtà molto ma molto più grande ed inimmaginabile all’umano sentire.

Cercate di non farvi travolgere dai tormenti del dolore. So benissimo cosa si prova e quanto sia dura questa continua battaglia da sostenere soprattutto con noi stessi, dentro di noi, con i nostri sentimenti, in ogni momento della nostra esistenza.

Credetemi, perché anche loro che vivono nella luce, vedono e sentono e si turbano per questo nostro sentire, per questo nostro inesprimibile grande dolore. Credetemi, in una similitudine è come un carcerato che ritrova finalmente la sua libertà e la vera gioia di vivere alla luce del sole, ma voltandosi indietro, pensa al tempo di permanenza e agli ormai trascorsi momenti con tanti amori, con tanti amici che lo pensano continuamente e che ha lasciato in turbamento in quella apparente prigione.

In una similitudine è come un pulcino che dopo aver vissuto una vita cosciente entro il suo guscio, rompendolo e uscendone fuori prende coscienza dell’esistenza di un mondo esterno che prima ignorava e che ora da fuori può vedere quanto assai piccolo fosse il mondo in cui prima abitava rispetto al nuovo mondo sconfinato: il MONDO SPIRITUALE.

Pensate ai momenti più belli con il Vostro Meraviglioso Angelo, fissate questa immagine nella mente e nel cuore, sentitolo, immaginatelo come se fosse presente, come se fosse vicino, anche se non lo vedete.
E’ come le onde elettromagnetiche di un cellulare che non vediamo, ma che sappiamo che ci permettono di poter parlare con qualcuno, in qualsiasi parte del mondo si trovi.

Cercate un posto tranquillo e solitario, cercate di rilassarvi, cercate di respirate lentamente e profondamente per alcuni minuti, siate consapevoli del respiro è molto importante questo particolare perché il respiro del cuore è il respiro dell’anima con cui tutto è connesso. Cercate di non pensare a niente ma solo al Vostro Meraviglioso Angelo. Non siate impazienti, capisco che non è facile, ma Vedrete che piano, piano con il cuore s’alzerà sempre di più quel velo che Vi separa. Comincerete a percepire delle sensazioni, avrete come dei presentimenti, sentirete dei piccoli pruriti, sentirete la fragranza di un profumo, di un suono, sentirete delle piccole vibrazioni, vedrete dei piccoli e temporanei riflessi di luce. Non spaventatevi perché nessun demone può mai frapporsi al cuore vostro e all’angelo che assai amate. Sono loro che voglio comunicare e a volte anche manifestarsi attraverso piccoli bagliori di luce, piccoli rumori, attraverso un suono di una canzone, attraverso una parola anche detta dagli altri, attraverso il sentire interiore come se una voce da dentro di voi parlasse da sola e tante altre cose.

Ascoltate tanta buona musica, aiuta l’anima alle percezioni soprasensibili, a sentirsi in armonia nell’entrare in risonanza con la sua innata nota armonica. Cercate inoltre di prestare maggiore attenzione a tutto ciò che cade sotto i propri sensi.

Cercate, anche se potete di evitare i colori scuri, credetemi anche questo è molto importante. Anche i colori aiutano sono come il Sole che rischiara e spazza via le nubi dell’anima. Osservate il sole al suo nascere o al suo tramonto, guardateci dentro in quel cerchio dorato, interponete quelle macchie scure che si formano alla visione degli occhi alla sua prima vista, non vi preoccupate non brucerà mai né accecherà mai gli occhi di un figlio della grande luce, ma aiuterà l’anima a comunicare con il soprasensibile e con gli immensi amori che vivono nella luce perché per una legge universale, per una legge divina simile attira il simile.

Credetemi, ci sono tantissimi modi per comunicare nella voce del silenzio con il cuore e con la mente.

Se volete, prendere una penna e dei fogli di carta e senza forzare i pensieri che formulate o che arrivano alla mente. Trascrivete tutto quello che percepite. Siate imparziali e allo stesso tempo filtrateli con il cuore allontanando tutti quei pensieri futili. Capite che ci sono tantissime interferenze e con grande amore, con grande desiderio, con grande sentimento dovete ritrovare la giusta frequenza vibratoria del cuore vostro con il cuore del vostro angelo. Fatevi guidare dalla penna nello scrivere o nel disegnare qualcosa. Oppure prendete un normale registratore, delle nuove cassette vergini e lasciatelo registrare mentre formulate delle domande che partono dal cuore. Poi con molta attenzione riascoltate più volte quel nastro cercando di cogliere qualche suono, qualche vibrazione che vi è assai familiare.

Non vi scoraggiate se inizialmente non ci riuscite, c’è un motivo perché c’è un momento, un tempo più propizio per ogni cosa. Col tempo capirete sentirete e vedrete tante altre cose che prima erano impensabili, impossibili irraggiungibili, insensate, non razionali, illogici e non comuni.

Se cercate su Internet, troverete tantissimi genitori che parlano e comunicano con i propri figli.

Con tanto sentito sincero affetto che nasce dal cuore.
Cordialmente
Raffaele

Credetemi è possibile collegarti come un cellulare in qualsiasi momento perché quell’anima o meglio lo spirito immortale è connesso con ogni cosa di questo e con tutti i piani della consapevolezza, con quel cuore, con quel triangolo, che abbiamo ognuno e che non a caso quando è opportunamente allineato è anche un potente emettitore/ricevitore e trasformatore di BIOFOTONI. Ma a condizione di abbandonarsi mentalmente dalla realtà che ci circonda a quel silenzio interiore per entrare in uno stato di meditazione / contemplazione / preghiera con noi stessi e con tutto ciò che c’è caro.

Questo processo di sintonizzazione consiste in un RAPPORT profondo che va oltre la connessione ed interrelazioni dei livelli fisici, neurofisiologici e linguistici, ma essenzialmente si basa su una connessione interiore, non locale totalmente inconscia, ad un livello più sottile, dove nascono vibrazioni, sotto forma di sentimenti e percezioni che si connettono e si fondono attraverso un semplice, consapevole ritmico respiro, che produce effetti, come in un’indefinibile sensazione d’estasi o stato di coscienza modificata che ci ancora, ci connette, ci fa entrare in risonanza e quindi in sintonia con il respiro dell’anima a cui tutto è connesso.

In una sintesi: (Sensi) -> (Ritmo) ->(intenzione che parte dal cuore) -> (Frequenze Vibrazionali) -> (Organi di Risonanza Biologici/Eterici/Energetici) -> (Ricerca Olografica di Connessione Armonica) -> (Sintonizzazione non locale in Risonanza ) -> (Comunicazione).

Postato venerdì, 12 dicembre 2008 alle 09:06 da Raffaele Zaccà


Carissimi,

Tengo a precisare che non parlo di dolore, d’afflizione. D’indeinibili stati d’animo (su questo già in molti hanno magistralmente scritto con tanto sentimento vedi Morena Fanti) anche perchè come tu sai non ci sono parole adatte che possono definire l’indefinibile, l’inesprimibile, l’inaccettabile, l’indescrivibile dolore di un padre, di una madre e di tanti.

La mia natura assai ribelle e libera mai e poi mai avrebbe ciecamente accettato di vivere nel dolore, non per vile paura, ma per la mia atavica natura perché il mio essere è un guerriero con un cuore di leone e di colomba messi insieme. E’ questo che mi ha condotto a quella ricerca circolare, radiale, analitica e continua dei perché senza fine con quella scevra ed imparziale visone, con quell’analisi comparata e quadriarticolata (religione/filosofia/scienza ed arte).

Questo mi ha permesso di capire tante cose e tanti tasselli hanno trovato spazio definito il quel quadro meraviglioso chiamato vita. In questo sentiero della ricerca, con quel desiderato del ri-contatto ho scoperto dei portali nel mio stesso cuore che mi hanno fatto percepire nuove sensazioni, nuove percezione e visione che come per mano conducono ogni discepolo alla vera consapevolezza e alle verità assai celate ed occultate.

E’ quello che vorrei trasmettere a tanti, anche se so che molte cose non sono accettate da una mentalità ristretta e assai plagiata da questa nostra società.
Chiarisco anche che le mie affermazioni sono accompagnate anche da quella ricerca scientifica che con prove tangibili parla di quella non capita porta dimensionale che paurosamente chiamiamo MORTE. I casi di premorte, lo studio sulle OBE o sull’ipnosi regressiva sono ormai una scienza sebbene molti continuano stupidamente a rifiutare quello che il cuore già sa.

Di sicuro, in molti potrebbero obbiettare che queste mie affermazioni sono pura immaginazione e fantasticheria dettate da una mente che si è corrotta a causa del grande dolore. Certo è anche vero che nella coscienza ordinaria è inammissibile, inaccettabile, impossibile e quasi pazzia concepire che un essere umano vada oltre il velo delle apparenze e nei ricordi di tante vite passate, navigando in un mare fatto d’Illusioni materiali e scoprendo la vera natura dell’essere immortale all’insaputa di chi nell’illusoria ignoranza ne ha fatto e continua a farne vano e futile inutile potere.

Con il cuore e con la mente che tutto abbraccia e contempla.
Affettuosamente
Raffaele

P.S. in tutta sincerità, chiarisco che sebbene il mio primo post possa dare l’impressione, delle apparenze che sembrano essere le parole dette da maestro; chiarisco che sono solo un padre che stava per suicidarsi per il grande dolore, e tutto quello che il mio cuore ha sperimentato a contemplato e capito, senza nessuna egoistica intenzione vorrei trasmetterlo a tanti che ancora vivono nel dolore per non sapere. ( raffaele.zacca at yahoo.it)

Postato sabato, 13 dicembre 2008 alle 12:35 da Raffaele


cara morena, ti ho scritto all’inizio dell’anno per raccontarti la morte di mia figlia sofia, un dolore grande che è ancora, immobile, forse meno doloroso fisicamente, la morsa che stringeva il mio stomaco si è un pò allentata, ma la mancanza, la sensazione che una parte di te, un braccio una gamba un pezzo del tuo corpo non c’è più. tua figlia, il continuo della tua vita, la tua carta dell’immortalità, il tuo lavoro di 20 anni, una giovane donna che amavi e rispettavi, ammiravi per come si era introdotta nel mondo, NON C’E’ PIU’ per una serie di banali concause che hanno, incredibilmente, distrutto una vita, amzi due, mia figlia e il suo fidanzato.
quando tutto ciò è accaduto mio marito era stato operato da due mesi per un tumore al polmone, credo che per lui ciò che è accaduto a sua figlia sia stato come una tortura, giorno giorno ora ora fino a quando, questo 26 luglio, l’ha raggiunta, ovunque essa sia.
della mia meravigliosa famiglia, una splendida figlia di 20 anni, un marito, anzi, un compagno che ha diviso con me 30 anni di vita e di esperienze, non è rimasto niente. Ora siamo io e mio figlio di 15 anni che cerchiamo di capire e sopravvivere, lui con la forza dei suoi 15 anni, ma con lo stupore e il dolore di dover affrontare, a quell’età, un cataclisma simile. Io che annebbiata da un dolore indescrivibile, cerco di farli capire che la vita, nonostante tutto, è bella, che tutto ciò lo renderà migliore, più maturo, più saggio, coscente delle cose importanti della vita. Ci riuscirò?, riuscirò a vivere questa nuova vita che ho davanti?
non so.
ti invio una poesia che mi aiuta, sperando che aiuti tutti coloro che sono stati colpiti da un lutto così pauroso e illogico come la morte di un figlio, o da un dolore meno illogico ma devastante come la morte del proprio compagno di vita.
un abbraccio a tutti coloro che ci leggono.
sonia

Sono solo scivolato nella stanza accanto

La morte non è niente.
sono solo scivolato
nella stanza accanto.
Io sono sempre io
e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo l’uno
per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome
che mi hai sempre dato;
parlami nel modo affettuoso
che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
non assumere un’aria triste.
Continua a ridere di quello
che ci faceva ridere,
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre
la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia
d’ombra o di tristezza.
La vita conserva il significato
che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una
continuità che non si spezza.
Che cos’è la morte se non
un accidente trascurabile?
Perché dovrei essere fuori
dai tuoi pensieri, solo perché
sono fuori dalla tua vista?
Ti aspetto, non sono lontano,
sono dall’altra parte,
proprio dietro l’angolo.
Ritroverai il mio cuore.
Asciuga le tue lacrime
e non piangere, se mi ami
il tuo sorriso è la mia pace.

Henry Ssott Holland 1919

Postato mercoledì, 17 dicembre 2008 alle 20:57 da sonia


Carissima Sonia,
***
Voglio riprovarci a varcare quei cancelli del tuo immenso dolore che è lo stesso mio indefinibile dolore, per aprire quelle porte oscure e tenebrose del tuo cuore alla luce del tuo stesso sole.
***
Come si può non ricordare gli immensi amori.
Come non si riesce a capire che sono vicino a noi.
Come non si riesce ad immaginarli che sono ora qui, in questo momento insieme a noi.
***
Fermati, fermati per un istante, chiudi gli occhi, frena il respiro, respira piano piano, frena la mente non pensare a niente, fissa qualcosa senza badarci come nel vuoto, lasciati trasportare dalle sensazioni che partono dal tuo cuore seguile a ritroso fino alla fonte, la dove nascono per propagarsi, la c’è la tua anima che può connettersi.
***
Vedi non è difficile ora percepisci rispetto a prima, qualcosa di diverso, sii più attenta alle sensazioni, non trascurare niente anche un piccolo brivido, poi sentirai dei profumi, dei piccoli suoni, delle vibrazioni ed ecco che piccoli luci appariranno come dal nulla come stelle prima nel buio dei tuoi occhi poi anche alla luce del sole. Sono loro, gli immensi amori che aspettavano questo tuo risveglio, queste tue sensazioni che partono dal tuo cuore per connettersi e parlare con una voce molto silenziosa, che non si sente, ma si capisce è la voce del silenzio che con un linguaggio telepatico ti permetterà di connetterti e di parlare con la tua e la loro anima.
***
Carissima Sonia non avere paura, nessuna forza oscura potrà mai frapporsi al cuore tuo e dei tuoi immensi amori, chiudi quella porta al buio e al tuo indefinibile dolore, Immagina un melodico canto di un piccolo uccello, immagina la primavera con tutti i suoi colori, immagina il mare o qualcosa che ti da piacevoli sensazioni focalizza quella luce e innalzatati alla dolce visione della luce del tuo cuore.
***
Questa è una canalizzazione che non è sopranaturale, non è miracolosa non è dettata dal maligno,ma è innata è quella celata forza che è nel tuo cuore come lo è nel cuore di tanti.
***
Credimi, siamo sulla stessa barca e con qualsiasi mezzo dobbiamo approdare all’altra sponda dove c’è il sole dove ci sono i nostri cari che a braccia aperte aspettano il nostro cuore.
***

Non ti sto parlando di dolore, di morte fisica, ma di CONSAPEVOLEZZA, di VISIONE, di quella visione che ci permetterà di vedere dall’altra parte del velo.
***
Anche se ti sembrerà impossibile, inverosimile non reale, sappi solo che questa nostra realtà è la grande illusione della mente e che la morte altro non è che è una porta dimensionale, quella vera porta che conduce l’essere alla vera realtà alla vera casa del padre celeste.
***
Pensa solo che i nostri angeli sono più vivi di noi e devi credermi è quello che vorrei trasmettere a tanti che ancora vivono nel dolore per non sapere.
***
TANTO PIU’ BREVE E’ STATA LA VITA TANTO PIU’ VICINA ERA LA META
***
Come vorrei che fossimo in tanti a capire questa grandiosa verità che esce dal cuore di un padre che come voi sa cosa vuol dire l’indefinibile grande dolore, ma con grande coraggio ha sfidato le leggi illusorie di questa realtà. Su questa affermazione ci si arriva se si pensa che la vita non è unica, ma tante fino alla completa consapevolezza dell’essere, fino alla completa integrazione dell’essere con la propria divinità e con quel TUTTO che chiamiamo DIO.
***
Prova a chiudere gli occhi e vedrai quanto percepire e sensazioni mancheranno alle tue percezioni, prova o immagina di pensare di aprire qualche altro organo sensoriale assopito e vedrai la vita con un’altra prospettiva. A volte succede per il forte dolore, la vita tende a compensare a bilanciare questi indefinibili vuoti aprendo nuovi portali. E quello che ho detto prima è un esercizio che ci permette di risvegliare qualcosa dentro di noi.
***
Affettuosamente
Raffaele

Postato giovedì, 18 dicembre 2008 alle 00:56 da Raffaele


Ciao Massimo
è un dolore che non superi mai.
La vita riprende, per i primi anni vai avanti col pilota automatico, il tuo corpo ha la memoria delle cose da fare, ma la testa è altrovei. Ti sforzi di superarlo per amore e rispetto verso chi ti sta vicino ed ha diritto di avere tutta la tua attenzione, ma vorresti essertene andato con lui, è una parte di te se n’è davvero andata e non tornerà più.
Se poi il bambino era un neonato, come era la mia Francesca, affetta da una grave cardiopatia che nessuna mi aveva diagnosticato durante nove mesi di continui controlli, nessuno ne vuol sentire parlare, in casa ti proteggono tacendo e sgridandoti quando ne parli, quando vuoi andare al cimitero a trovarla.
Allora ricacci il dolore in fondo, sentendoti anche in colpa per il terrore che leggi negli sguardi di chi ha un figlio piccolo, e noti con dispiacere che se lo attirano vicino come se tu fossi contagiosa.
Poi pian piano inizi ad ammalarti e a un certo punto devi decidere se vuoi guarire o andartene.
Io ho avuto la fortuna di avere un marito stupendo vicino, un amatissimo figlio di cinque anni da crescere, mi è nata due anni dopo la mia terribile Gaia, che ha dato il suo contributo: mi ha tirato fuori dal baratro a furia di calci sugli stinchi (non metaforici: facevano un male dell’accidenti!) e infine (tre anni fa) mi sono affidata a bravi Maestri (meditazione e rebirthing) e terapeuti (fiori di bach e agopuntura) che mi hanno aiutata e guidata. Ma ci ho impiegato quindici anni!
Ho elaborato il mio lutto solo l’anno scorso, con il supporto del gruppo di auto aiuto della Vidas, dove ho potuto finalmente parlarne ed ho capito che questo dolore non andrà mai via e l’ho semplicemente accettato: non può essere diversamente!
Ho affrontato tutto questo solo tre anni fa, quando il pensiero della riesumazione imminente mi ha mandato completamente in tilt! Ora non sono più angosciata, affronterò, sempre con mio marito vicino, questo ultimo passo ed assieme la saluteremo ancora una volta. Poi spero che davvero ci sia qualcosa oltre questa vita per poterla abbracciare ancora!

Postato giovedì, 22 gennaio 2009 alle 23:07 da Vanna


Carissima Vanna,
C’è un motivo per ogni cosa, come c’è un momento, un tempo più propizio per ogni cosa.
..
Spesso in un fatale cammino ad un piccolo passo dal baratro che conduce alla follia come per un salvifico divino volere, cadono come foglie autunnali quei sottili e trasparenti fatati illusori veli argentati, mostrando e dispiegando agli occhi cristallini dell’anima e della silente mente le grandi verità assai celate del creato e della vita.
..
La morte non esiste è la grande illusione dei sensi è il grande mistero della vita perché nella sua vera natura, nella sua vera essenza l’essere è uno spirito immortale, infinito, come Infinito è il suo cammino in quel sentiero oscuro e meraviglioso che è la vita..
Affettuosamente
Raffaele

Postato venerdì, 23 gennaio 2009 alle 11:55 da Raffaele


merc. 17 ottobre 2012 h. 16,40 mirko gemellaro è morto folgorato (da una scossa di 6300 volt) sul lavoro, aveva 31 anni e oltre ad esser un bellisssimo e bravo ragazzo era pieno di VITA! Che tristezza scrivere questa parola ora!!!
io che scrivo sono una sua zia, che oltre a soffrire per averlo perso, soffro perchè mia sorella,sua madre non vuole esser aiutata! Come possiamo fare ad aiutarla? Ci sono anche fabio ed alessia che han perso il fratellone e soffrono tantissimo e la loro mamma è a pezzi…e vorrebbero averla vicino, come si fa? qualsiasi suggerimento è ben accetto. Un saluto a tutti.
Zia Barbi

Postato martedì, 6 novembre 2012 alle 18:14 da barbara


Cara Barbara,
grazie per il tuo intervento. Mi dispiace moltissimo per Mirko per i suoi cari. Non aggiungo altro… perché ogni parola in più sarebbe inutile.
L’unica cosa che mi viene in mente è presentarti questa associazione formata da genitori che hanno perso i figli. Si chiama “La stanza accanto”: http://www.lastanzaaccanto.it/
L’ho presentata qui: http://letteratitudinenews.wordpress.com/2012/11/05/la-stanza-accanto-caduto-fuori-dal-tempo/
Vai sul sito e prova a contattarli e a farli mettere in contatto con tua sorella.
Un forte, fortissimo abbraccio!

Postato martedì, 6 novembre 2012 alle 21:41 da Massimo Maugeri


sono una mama con il cuore spezzato da dolore.HO PERSO MIO FIGLIO ADORATTO A 17 ANI ..SONO PASATI 7 MESSI..AMORE E PIU FORTE DI MORTE!!!RIPOSATE IN PACE ANGELLI!!!

Postato domenica, 10 febbraio 2013 alle 16:46 da maria


Grazie per il tuo doloroso intervento, cara Maria. Ti sono vicino. E ti abbraccio forte!!!

Postato martedì, 12 febbraio 2013 alle 21:54 da Massimo Maugeri


Ciao a tutti voi, sono una mamma anch’io , orfana del mio secondogenito. Leggendo i post della sig. Morena , comprendo il suo grande dolore. IL mio Luca se ne andato il 26 Marzo 2012 all’ età’ di 4 anni e tre mesi. Una malattia rarissima non gli ha lasciato scampo…..Ho un altra bambina di 8 anni, ma il mio Luca mi manca tanto. E un dolore che ti devasta anima e cuore, la gente che non l’ha provato non può capire ,e vi assicuro che pensare di capire non ci si avvicina nemmeno a un cosi simile dolore. Ammiro molto la sig. Morena, e tutte quelle mamme che subiscono questa ingiusta perdita, e continuano a “vivere”. Io sono cosi stanca di vivere con questo enorme peso…..l’ unica consolazione è sapere che ogni gg. trascorso non torna piu’, ed è sempre un gg in meno da vivere,,,,,, sinceramente Lorena.

Postato lunedì, 13 maggio 2013 alle 13:45 da Lorena


Cara Lorena,
ti abbraccio forte forte… e ti ringrazio di cuore per essere intervenuta e per aver voluto condividere con noi il tuo immenso dolore.
Mi permetto solo di segnalarti questo post (che forse hai visto linkato nei commenti precedenti): http://letteratitudinenews.wordpress.com/2012/11/05/la-stanza-accanto-caduto-fuori-dal-tempo/

Postato lunedì, 13 maggio 2013 alle 21:42 da Massimo Maugeri


ti sono vicina!!! io come te ho perso una figlia di soli 17 anni!! sono passati 8 anni!!! ………………………8 minuti!!
per sempre con me!
leggero’ il tuo libro, per condividere con te il nostro dolore infinito!!
anche io ho scritto un libro, mi ha aiutato a gettare fuori tutta la mia rabbia, il mio dolore, la mia disperazione nel perdere la cosa più importante della mia vita!!
lei non c’e’ più fisicamente, ma io la sento dentro di me!
come nei suoi nove mesi di vita!
e’ sempre con me in ogni posto in cui io vada, e solo io e lei sappiamo quanto è grande questo nuovo modo di viverci!!

un grande abbraccio con tutto il cuore!!

Postato domenica, 23 giugno 2013 alle 10:58 da paola


ti sono vicina!!! io come te ho perso una figlia di soli 17 anni!! sono passati 8 anni!!! ………………………8 minuti!!
leggero’ il tuo libro, per condividere con te il nostro dolore infinito!!
anche io ho scritto un libro, mi ha aiutato a gettare fuori tutta la mia rabbia, il mio dolore, la mia disperazione nel perdere la cosa più importante della mia vita!!
lei non c’e’ più fisicamente, ma io la sento dentro di me!
come nei suoi nove mesi di vita!
e’ sempre con me in ogni posto in cui io vada, e solo io e lei sappiamo quanto è grande questo nuovo modo di viverci!!

un grande abbraccio con tutto il cuore!!

T.V.B.

Postato domenica, 23 giugno 2013 alle 11:08 da la tua cara mamma


Cara Paola,
grazie per il tuo intervento!
Un forte (fortissimo) abbraccio a te!!!

Postato lunedì, 24 giugno 2013 alle 19:40 da Massimo Maugeri


la perdita di una figlia/o provoca un vuoto senza fine e un dolore di proporzioni indescrivibili, senti che una parte di te non c’è piu’, ma quello che ti rattrista le giornate è la consapevolezza che quella parte di te non la puoi ritrovare e DEVI convivere ogni momento con questa dura e triste realtà. Nessuno ti può togliere o dare qualcosa, quello che hai è tuo, solo tuo, non lo puoi condividere con nessuno, anche perchè solo chi vive questa triste realtà ti può capire. Io ho perso mia figlia per suicidio a gennaio aveva compiuto 18 anni da pochi giorni. Oggi dopo 7 mesi 9 gg posso affermare che non ho più paura della morte, forse perchè è l’unico modo per rivedere e riabbracciare mia figlia. Quello che mi aiuta a vivere è la fede, tramite la fede riesco vederla che gioca con altri angeli in un verde prato, riesco a dialogare con lei e un paio di volte ho avuto la conferma che Lei è con Noi, si è manifestata con dei segni molto delicati che sono riuscito a carpire. La domanda resta sempre la stessa perchè a mia figlia, perchè Lei non può più vivere la sua vita come tutte le sue amiche, perché tutto questo.
Anch’io sento la necessità di raccontare la sua vita, di parlare della sofferenza che ha vissuto negli ultimi anni, di scrivere un libro per poter aiutare altre ragazze che soffrono come lei, che vivono nella spirale dell’anoressia.
Grazie

Postato venerdì, 16 agosto 2013 alle 13:48 da giuseppe


Caro Giuseppe, grazie per aver condiviso con noi il tuo immenso dolore e per aver voluto apportare un’ulteriore testimonianza in questo post.
Ti sono vicino e ti abbraccio forte.

Postato lunedì, 19 agosto 2013 alle 00:40 da Massimo Maugeri



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