max-maugeri-twitter-fb

CLICCA ogni giorno su... letteratitudinenews ... per gli aggiornamenti

Più di 50.000 persone seguono

letteratitudine-fb (Seguici anche tu!)

Avvertenza

La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela. Si invitano i frequentatori del blog a prendere visione della "nota legale" indicata nella colonna di destra del sito, sotto "Categorie", alla voce "Nota legale, responsabilità, netiquette".

dibattito-sul-romanzo-storico

Immagine 30 Storia

letteratura-e-fumetti

 

giugno: 2008
L M M G V S D
« mag   lug »
 1
2345678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
30  
letteratitudine-fb
letteratitudine-su-rai-letteratura
martedì, 3 giugno 2008

LA LETTERATURA È PIU’ ARTE O ARTIGIANATO? ALTRI TRUCCHI D’AUTORE di Mariano Sabatini

La letteratura è più arte o artigianato?
Si basa più sul guizzo creativo o sull’affinamento dei ferri del mestiere?
È più ispirazione o… “trucco”?

Queste domande mi sono venute in mente dopo aver visionato l’ottimo libro di Mariano Sabatini Altri trucchi d’autore”, edito da Nutrimenti.
Si tratta della seconda puntata di un viaggio alla scoperta dei segreti dei grandi scrittori. Dopo il primo, fortunato Trucchi d’autore, Sabatini ci presenta qui cinquantadue nuove interviste che svelano costumi, riti, ossessioni di molti nomi di punta della narrativa italiana e internazionale. L’indagine entra questa volta anche nelle scelte più proprie della scrittura: come si costruisce un personaggio o una storia. E ancora il rapporto con gli editori, il racconto degli esordi, i consigli agli aspiranti scrittori. Un avvincente percorso esplorativo che va da Brizzi a Moccia, passando per Cunningham, Mazzucco, Orengo, Parrella, Buttafuoco, Camon, Ferrante, Deaver, Santacroce, Lansdale, Veronesi e molti altri.
Vi invito a rispondere alle domande poste all’inizio del post e a interagire con l’autore del volume, che parteciperà al dibattito.
La “nostra” Maria Lucia Riccioli, che conosce Sabatini e ha letto il libro, mi aiuterà a condurre e a moderare il post.
Di seguito potrete leggere l’introduzione e due interviste ad autori doc: il premio Pulitzer Michael Cunningham e il premio Strega Sandro Veronesi.

Massimo Maugeri

————————-

Mariano Sabatini, 36 anni, giornalista, in passato ha firmato programmi di successo (Tappeto volante, Parola mia, Unomattina) e lavorato per quotidiani e periodici. È critico televisivo del quotidiano Metro e rubrichista per Eva Tremila e Affari Italiani. Scrive su Italia Oggi. Partecipa come opinionista in tivù e collabora con varie radio. Nel 2001 ha pubblicato La sostenibile leggerezza del cinema (Esi) e nel 2005 Trucchi d’autore (Nutrimenti).

————————-

LA CARICA DEGLI SCRITTORI
di Mariano Sabatini

Se anche lontanamente avete a che fare con il mestiere di scrivere, foste pure scrivani di strada, statene pur certi: ci sarà sempre qualcuno che, pur di lusingarvi, vi definirà scrittore.
Mi è capitato sovente, partecipando a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive per parlare dei precedenti Trucchi d’autore, che presentandomi al pubblico, mi definissero scrittore; oppure che tale dicitura apparisse nel cosiddetto sottopancia, testo che si materializza in sovrimpressione sul piccolo schermo quando le telecamere inquadrano un qualunque professionista. Non è vero: non mi ritengo uno scrittore, almeno per il momento mi basta considerarmi un giornalista, un cronista, uno che scrive insomma. E che, per somma ammirazione nei confronti degli scrittori puri, si mette al loro servizio per raccontarli nei loro aspetti più intimi legati al mestiere.
Mi sono convinto a collazionare Altri Trucchi d’autore, confortato dal piccolo successo del primo volumetto sui metodi di lavoro dei più grandi, apprezzati, letti, amati romanzieri italiani e non solo. “Un libro sul mestiere di vivere da scrittori”, come ha scritto a proposito di Trucchi d’autore Antonio D’Orrico sul Magazine del Corriere della Sera. L’attenzione che la precedente pubblicazione ha suscitato, tanto presso i lettori quanto presso la stampa, testimonia la larga diffusione del sogno della scrittura. Chi, oggi, non ha un romanzo o un racconto nel cassetto!? Cassetto inteso come reale o anche solo immaginario. Tutti scrivono e tutti credono di aver diritto al titolo. Se è vero che “L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati”, come sosteneva Leo Longanesi, chi ha il famoso romanzo sul desktop del pc è il primo a gridare: “Presenteeee!”.
Il nostro, per parafrasare un antico modo di dire, è un Paese di santi, poeti navigatori e… scrittori, romanzieri, novellieri della domenica. Ma essere scrittori, oltre alle interviste e alle presentazioni mondane (quando, però, si tratti di creatori di best seller, beninteso), comporta anche grandi sacrifici, una vita ai limiti del monastico, solitudini dolorose, la sottomissione a una rigida regola, a una disciplina e a un rituale a cui non tutti sono in grado di sopravvivere.
Che cos’è un rituale, lo spiega meravigliosamente la volpe al piccolo principe, nel celebre passo sull’addomesticamento nel libricino di Saint Exupery che ha fatto sognare generazioni di lettori: “Se ogni giorno arriverai alle quattro, io dalle tre comincerò ad aspettarti…”. E allora, a cosa giovano e a cosa servono i rituali per chi scrive? Il rito è, dal punto di vista etimologico, un ordine che si fa, un ordine in divenire: non un ordine dato, immutabile, finito, ma un ordine che si autoproduce. Immaginiamoceli, dunque, i nostri scrittori preferiti, mentre ogni giorno, nel momento a ciascuno più congeniale, si apprestano ad iniziare il lavoro: scelgono la musica o spengono il cellulare, aprono una finestra o guardano una scultura… Alcuni sono superstiziosi, come Giorgio Faletti, un romanziere che con Io uccido ha venduto oltre un milione e mezzo di copie e che, rivelando di lavorare a un romanzo ambientato in Arizona, una storia sugli indiani Navajo, ha dichiarato: “Il titolo lo rivelo solo quando l’ho finito, per scaramanzia”. Il titolo sarà poi, come ben sanno gli appassionati, Fuori da un evidente destino.
Dovendo credere al grande Georges Simenon: “Scrivere non è una professione ma una vocazione all’infelicità”. Allora pubblicare e avere visibilità significa inghiottire rospi grossi come lattonzoli. Il quotidiano La Stampa, commemorandone la scomparsa, ricordava il rapporto problematico di Oriana Fallaci con il suo lavoro: “Ogni mio libro è un urlo di odio per la morte e un grido di gioia per la vita. (…) Non chiedetemi il perché di tutte le cattiverie che hanno scritto sui miei libri. Ogni volta che succede io mi chiedo, smarrita, sgomenta, incredula: ma perché? Non appartengo a nessun partito, non appartengo a nessun gruppo o meglio a nessuna mafia letteraria. Non parlo mai di nessuno, non insulto mai i libri degli altri. Se sono brutti, non dico mai che sono brutti. Non dico nemmeno: non mi piace. Non lo dico perché conosco la fatica tremenda che ogni libro, bello o brutto che sia, costa. E mi riconosco in quella fatica, rispetto quella fatica. (…) Scrivere è il mestiere più faticoso del mondo. Io a scrivere mi stanco, anche fisicamente. Mi stanco come un facchino, come un minatore, come quelli che fanno un mestiere pesante. Eppure non posso fare a meno di scrivere”.
E già, chi scrive e ne trae soddisfazione (notorietà o addirittura fama, soldi, autorevolezza, inviti nei salotti, sconti nei ristoranti o chissà cos’altro…) deve fare i conti con gli aspetti meno noti, o più onerosi, del mestiere. In molti ricordano Thomas Harris, quando durante le udienze contro il presunto mostro di Firenze, Pietro Pacciani, prendeva diligentemente appunti, come l’ultimo dei praticanti giornalisti locali. L’ autore del celeberrimo Silenzio degli innocenti è infatti uno che usa approfondire la materia trattata nei suoi romanzi. Per scrivere Black sunday, storia di un attentato terroristico contro gli States organizzato durante la fine del campionato di football, studiò il terrorismo islamico ben prima dell’attacco alle torri gemelle.
Non temete, cari aspiranti scrittori, di dover svolgere altri mestieri per assemblare il pranzo con la cena. Oggi vanno più che mai di moda i romanzieri pescati dalle professioni più disparate: magistrati (Carofiglio, De Cataldo…) o avvocati (Filastò, Agnello Hornby…), insegnanti (Oggero, Scurati, Perissinotto…), registi (Camilleri, Comencini…), giornalisti (Augias, Colaprico, Varesi, Soria…), e via dicendo. La letteratura non dà il pane, sostenevano i latini, e più che mai nel Novecento, secolo poveri di mecenati. Alla ricerca dell’agiatezza, o magari solo per campare, gli scrittori del Novecento si sono indaffarati nei mestieri più vari. Il mestiere più prestigioso lo ha praticato Malraux, che è stato ministro, dopo aver rubato statue kmer in Cambogia. Jack London ha collezionato infiniti mestieri e fu, per esempio, fiociniere su baleniere dell’Artico. Colette aprì nel 1932 un istituto di bellezza. Lawrence d’Arabia fu, oltre al resto, scaricatore di carbone a Porto Said e trasportatore di cammelli sull’Eufrate. Céline fu a Ginevra e nel mondo Technical Officer della società delle Nazioni. George Orwell dalla Polizia Imperiale in Birmania passò a miserrime condizioni, come lavapiatti e barbone. Saint-Exupéry riteneva che il suo vero mestiere fosse l’aviatore e questo lo portò, tra l’altro, alla morte. Italo Svevo, per fare il grande industriale, smise di scrivere: gli bastava una riga per renderlo inetto al lavoro pratico per una settimana. E l’ingegner Gadda, per la revisione del Pasticciaccio, fu mantenuto da “mamma Rai”. Il reporter Frederick Forsyth, ex collaboratore di Reuters e Bbc, ha scritto Il giorno dello sciacallo mettendo a frutto il lavoro di corrispondente da Parigi, e Dossier Odessa servendosi delle informazioni raccolte in Cecoslovacchia su alcuni gerarchi nazisti. Scott Turow ha inventato il legal thriller ma non ha mai smesso di indossare la toga. E a Chicago, al 77esimo piano della Sears Tower, il grattacielo più alto del pianeta, manda avanti un importante studio legale: “I codici, i processi, le aule di giustizia sono le cose in cui credo. Non potrò mai abbandonarli”, dice. Tra un’arringa e l’altra, Turow sta preparando il sequel del suo primo thriller di successo, Presunto innocente. Ma la sua vera anima qual è: quella di scrittore o di avvocato? Gli chiede Francesco Fantasia del Messaggero: “Il cuore mi spinge verso la letteratura, la mente verso i codici”. Il nostro Alberto Bevilacqua arrivato a Roma da Parma, avendo oltretutto già cominciato a scrivere narrativa, lavorò alla cronaca nera del Messaggero e, prima di passare alla redazione cultura, dovette indossare per sei mesi gli scomodi panni dell’inviato nella guerra del Congo.
Le vie della narrativa, si può dire, siano infinite. Tanto che sempre Forsyth per esorcizzare la sua claustrofobia ha scritto Il vendicatore in cui agisce un veterano del Vietnam, abile tunnel-rat, uno di quei militari che percorrevano i cubicoli sotterranei scavati dai vietcong.
E’ nato a Parigi, il seguitissimo Christian Jacq, ma la sua patria d’elezione è l’Egitto. Fin da adolescente ha amato questo Paese sopra ogni altro, tanto che decise di laurearsi in archeologia ed egittologia alla Sorbona. Più tardi, nel 1995, la sua passione per le piramidi e i faraoni lo ha spinto a scrivere Ramses, romanzo incentrato sulla figura di Ramsete, best seller in tutto il mondo. Da adolescente comprò La storia dell’Egitto antico, un’opera in tre volumi che comprendeva anche traduzioni di poesie, leggende e molte fotografie. Per lui fu una rivelazione: “Sarei assolutamente incapace -racconta – di scrivere storie fantascientifiche sul tipo del film La mummia, completamente avulsi dal contesto realistico. Anch’io attingo all’immaginazione, ma se descrivo un dialogo tra Ramses e un dignitario so che si sono parlati in quel modo perché mi rifaccio ai documenti in cui questo è descritto. Lo stesso vale per le cene, i riti e le scene di vita quotidiana”. Questo il suo metodo, ognuno ha il suo.
Per creare la protagonista di Pura vita , Andrea De Carlo ha osservato molto sua figlia, oggi ventenne, ha ascoltato i suoi discorsi. Lui finisce per lavorare nelle ore in cui gli altri sono in ufficio. A parte il lavoro di preparazione, scrive due ore di mattina, due di pomeriggio. Nella casa in campagna vicino Urbino ha una stanza con una bellissima finestra ad arco che gli consente di allontanare lo sguardo dalla pagina. Si veste comodo e, se non fa freddo, ama stare a piedi nudi. “Mi dà un senso di libertà”, dice. Esce, cammina per mezz’ora, un’ora nella natura oppure taglia legna. Torna con energia rinnovata. Ogni tanto mangia cioccolato amaro. Persino la tivù “a volte è fonte di ispirazione su certi ambienti o personaggi”. Non tiene musica in sottofondo perché nelle interruzioni suona la chitarra. Scrive al pc portatile (“La penna permette la riflessione, la macchina da scrivere obbliga a dei passaggi che non corrispondono al modo di pensare, il pc è plastico, garantisce un’infinità di elaborazioni”) e a fine giornata ha pronte tre pagine in media. A volte una, a volte cinque. Per gli appunti: ”Scrivo sul retro dei fogli usati. Sono contento che la Einaudi e poi la Bompiani abbiano aderito ad un’iniziativa in cui sono coinvolto con Greenpeace e hanno pubblicato i miei romanzi su carta riclicata”. All’inizio si accaniva, era assalito dall’ansia, ora rispetta l’istinto, “Due di due l’ho iniziato e, dopo due capitoli, lasciato per due anni”. E non riuscirebbe a finire un libro lasciandolo tutto nel computer. Deve avere la pagina su cui lavorare a penna: ”E’ un lavoro di stratificazioni, in media riscrivo tutto quattro volte, a ogni passaggio dialoghi e personaggi acquistano nitidezza. Di solito la prima stesura è come un legno sbozzato. Lavoro sulle parole, sottraggo aggettivi”, racconta.
Sottrarre sembra essere la parola magica di chi vuole scrivere per mestiere. Potremmo, per convenzione, ribattezzarla la legge del taglione. Talvolta gli scrittori o, meglio ancora, gli aspiranti tali si affezionano più a una frase o a un intero paragrafo dei propri elaborati che al loro fedele cane scodinzolante. E mi riferisco al “migliore amico dell’uomo” per non spingermi fino a mettere in dubbio l’attaccamento al fidanzato o alla compagna di vita. Sta di fatto che la sintesi, oggi, appare indispensabile a chiunque voglia avere un futuro editoriale degno del nome. Marilù S. Manzini (già autrice di Io non chiedo permesso, protagonisti ricchi mostruosi, tra stupri, sesso e droga) per Il quaderno nero dell’amore ha dovuto sforbiciare molto le iniziali seicento pagine del dattiloscritto, tagliando molte scene di sesso, poi riproposte sul sito della Rcs.
Nessuno, neppure i trapassati, potrà sottrarsi a un severo editing e alla già citata legge del taglione. Pensate infatti all’inarrivabile Lev Tolstoj: la potente casa editrice Harper&Collins ha pensato bene di togliere seicento pagine delle originarie millequattrocento circa di Guerra e pace, per alleggerire la nuova edizione proposta al pubblico. Il lavoro di riduzione, come racconta Enrico Franceschini su Repubblica, “elimina tutte le pagine in cui l’autore fa parlare i suoi personaggi in francesce, la lingua dell’aristocrazia russa del tempo, ed elimina pure i capitoli, spesso intervallati a quelli di azione sulla campagna di Napoleone per conquistare Mosca, in cui Tolstoj filosofeggia sulla guerra, sul destino dell’uomo, sulla fede e sull’amore. Risvolti secondari e trascurabili, per quelli della casa editrice londinese. E pensare che oltre centoventi scrittori americani, inglesi e australiani avevano inserito il capolavoro russo del 1865 tra “i dieci migliori libri di tutti i tempi”. Certo quelli di Harper&Collins avranno pensato però che dovendo scegliere un romanzo da portare su un’isola deserta (magari frequentata dai famosi…), meglio che sia leggero. Avvisati, dunque. Siate severi con voi stessi, cari scrittori, tagliatevi senza pietà o, purtroppo, ci penseranno altri. Anche dopo centoquarant’anni.
Siate severi, ma giusti. Non trastullatevi nel vagheggiamento di un futuro da narratore. Solo scrivere può insegnarvi a scrivere. In Altri Trucchi d’autore, troverete, a tal proposito, tante testimonianze di romanzieri in piena attività che dimostrano verso se stessi un’obiettività ai limiti dell’intolleranza, grazie alla quale possono consegnare alle stampe storie apprezzate da schiere di lettori.
Individuare il proprio metodo di lavoro è fondamentale, e magari si può cominciare proprio imitando gli scrittori che ce l’hanno fatta. Come l’ormai mitica J. K. Rowling, ideatrice del maghetto Harry Potter, che ha incassato ben ottocento milioni di euro in diritti d’autore, tra editoria, cinema e merchandising.

_____________

LE RISCRITTURE INFINITE DI MICHAEL CUNNINGHAM

Vive a New York, lavora in uno studio che è a quindici minuti circa dal suo appartamento, Michael Cunningham. “Quando sono a New York, ci vado ogni giorno, faccio le scale fino al sesto piano, cosa che aiuta a mantenere la flessibilità dellle ginocchia”, racconta. “Nel palazzo abitano solo vecchie signore, nel cortile si vedono stesi dei panni di biancheria piuttosto impressionante!”.
Lo scrittore è volato a Roma per promuovere Giorni memorabili (Bompiani), la storia di un dodicenne costretto a prendere il posto del fratello Simon nella fonderia in cui ha perso la vita. È un ragazzino dotato della capacità di sentire la voce delle macchine e decifrarne i messaggi.

Il suo studio?
La mia stanza è molto comoda, senza vista, piena di cose, oggetti, ci sono libri ovunque. Le persone mi regalano cose di tutti i tipi, compresi i souvenir a forma di palla con la neve.
Scrivo su un enorme tavolo di legno, molto rovinato.

Computer o macchina per scrivere?
Uso il computer. Amo il mio pc, non sono in generale molto tecnologico, ma lo schermo del pc mi sembra fantastico, un punto di mezzo quasi magico tra la pagina e la mia consapevolezza. Lì, di fronte a me, piccole parole liquide e blu, che esistono e non esistono, malleabili. Per me sono molto meglio di una penna che gratta il foglio, o delle dita che martellano i tasti di una macchina da scrivere.

Fa delle pause?
Quando lavoro, lavoro, quando non lavoro, non lavoro. Non faccio pause, non c’è tv, tolgo la suoneria al telefono e lascio la segreteria: mi possono lasciare un messaggio. Non guardo le e-mail se non dopo tre o quattro ore, quando ascolto anche i messaggi.

Metodo di scrittura?
Riscrivo all’infinito, scrivo una frase e la riscrivo, e la riscrivo. Alla fine del giorno, ho bisogno di stampare, qualunque cosa abbia combinato durante la giornata. Altrimenti, non mi sembra vero. Uso carta molto economica.

Musica di sottofondo?
Ascolto musica nel mio studio. Ogni giorno, quando arrivo, metto su qualcosa. Spesso ascolto, quando scrivo, cose diverse a seconda di quello a cui sto lavorando. Può essere il Requiem di Mozart, può essere Laurie Andreson, i White Stripes, Anthony and the Johnsons… Il ritmo, la musica delle parole è importante, per me, quanto il loro significato.

Le idee migliori dove nascono?
Ho bisogno di preservare un minimo di stato di isolamento. E quando ho finito, ho finito, esco, penso ad altro, non prendo appunti, se sono in un caffè, non mi metto alla ricerca di un tovagliolo sul quale scrivere idee che ho paura di dimenticare.

I suoi personaggi sono presi dalla vita reale?
Ma certo, sì! E le dirò di più… un po’ tutti i miei personaggi c’est moi. Se un personaggio non fosse almeno in parte autobiografico, non so se riuscirei a scriverne.

Cosa ruba dalla realtà?
Io sono gay e sono uno scrittore. Voglio usare la mia esperienza per scrivere i libri migliori, per quanto mi è possibile. E credo di avere una prospettiva più ampia, perché, stando un pochino al di fuori del mondo, riesco forse a vederlo meglio. E quindi proprio la mia esperienza come gay forse mi permette di scrivere di persone molto diverse tra di loro.

Libri per ispirarsi?
Leggo continuamente. A volte gli scrittori dicono che devono stare attenti, per non farsi influenzare. Io penso invece che se leggo Garcia Marquez e ne vengo influenzato… va bene. Ascolto e leggo più che posso.

Come usa i libri?
Non ho mai collezionato libri, non sono un bibliofilo, non mi importa dell’aspetto esteriore di un libro. Se i libri vengono usati, macchiati, annotati, per me va bene.

Scrive come agli esordi o il suo approccio al lavoro è cambiato?
È cambiata la mia vita, non ho più ansie legate alla sopravvivenza. Il rapporto con la scrittura non credo possa cambiare davvero. Del resto, non esiste un modo di scrivere definitivo e statico, per un artista. Si impara sino all’ultimo giorno, e la nostra scrittura non è che un continuo perfezionarsi, pagina dopo pagina.

Anche lei confida nella disciplina?
Non esistono segreti fondamentali per diventare grandi autori, tutto si scopre lavorando con costanza, con sofferenza, con passione. Il pittore Monet, quando morì, stava lavorando a cercare di riprodurre il suono delle canne spinte dal vento. È una cosa che mi commuove. Quando penso a me come scrittore, vorrei poter dire lo stesso e poter vivere come visse Monet: affamato di imparare ogni giorno di più il mio mestiere.

Con quale stato d’animo legge le recensioni?
Non le leggo. L’ho fatto per lungo tempo, e ho smesso. Non saprò mai raccomandare abbastanza questa scelta. Le recensioni buone sono utili, gratificanti. Quelle negative scoraggianti. Per me tutto ciò è fuorviante. Non bisogna badarci.

I suoi lettori?
Il tuo libro, buono o cattivo che sia, vive soprattutto grazie ai lettori, e grazie a loro durerà molto più a lungo dei suoi critici.

_____________

L’ALAMBICCO DI SANDRO VERONESI

Il grosso del lavoro è avvenuto, come sempre, nell’inconscio di Sandro Veronesi: “Io posso solo dire che il romanzo ha cominciato a esistere nella mia testa quando si sono incontrate un’idea e una reminiscenza”. L’idea, che rappresenta il nucleo di Caos calmo (Bompiani), di un uomo che passa tutto il giorno davanti a una scuola e la reminiscenza di un remoto salvataggio in mare compiuto veramente dallo scrittore e dal fratello. Veronesi, che sostiene di non avere il privilegio di poter scegliere, scrive la mattina, perché può solo la mattina. In camera da pranzo, poiché non ha uno studio ma solo tavolino inglese molto bello “che mi ha regalato tanti anni fa Vincenzo Cerami e rimane il pezzo d’arredo più prezioso della mia casa”.

Macchina per scrivere o computer?
Computer. Navigare su Internet mi aiuta in vari modi. Mi permette di perdermi, e da persi si scrive meglio.

Fa delle pause quando lavora?
Ne faccio tantissime, con tutte le scuse possibili. Soprattutto quando sta filando tutto liscio.

Sfizi, generi di conforto?
Quando fumo, sigarette.

Musica di sottofondo?
Di continuo. Ascolto la roba scaricata da Internet. A volte scarico mentre scrivo.

Le idee migliori come nascono?
Per me nascono scrivendo, evocate dall’atto stesso di scrivere.

Disciplina o ispirazione?
La disciplina è ispirazione.

La creatività si esaurisce?
Non ne ho idea.

Blocchi, incubo della pagina bianca?
Non mi fa più paura. Le pause sono forse meno dolorose dello scrivere.

Libri per ispirarsi?
Evito accuratamente di leggere i libri che m’influenzerebbero negativamente, per una questione di stile. Per esempio, scrivendo Caos calmo ho evitato di leggere Carver.

Per quale scrittore prova invidia?
David Foster Wallace.

A cosa sta lavorando?
A un romanzo.

Metodo di scrittura?
Lavoro molto per decidere tempo e persona di narrazione,nel senso che faccio prove e prove. Poi, quando ho deciso, vado avanti il più regolarmente possibile, senza struttura, senza sapere bene cosa scriverò. Però di solito so più o meno dove voglio andare a parare.

Quando un personaggio può dirsi ben delineato?
Quando comincia a venirmi a noia.

Ha mai ‘rubato’ ad altri?
Sì. In genere si tratta di ritmo compositivo, stacchi dialogo/didascalie, eccetera. Ci sono dei maestri, nel mondo.

Hanno mai ‘rubato’ a lei?
Non ne ho idea.

Le capita di rileggersi?
No.

In quanto tempo è pronto un suo romanzo?
Parecchi anni, in genere.

Hai mai buttato un intero dattiloscritto che non la soddisfaceva?
Intero no. Metà sì.

La semplicità nello scrivere: meta o punto di partenza?
Le cose difficili, semplificale. Quelle semplici, complicale.

Meglio tagliare una frase inefficace o tagliarsi un dito?
Le frasi inefficaci non dovrebbero nemmeno esser scritte. Se sono davvero inefficaci e non si riesce a non scriverle, tagliarle è facile. Il problema è che le frasi non sono quasi mai inefficaci.

Quante pagine produce in un giorno?
0,75 circa, di media.

Scrivere è faticoso?
Doloroso, più che altro. Per me.

A chi fa leggere in anteprima?
Prima avevo una persona, ma non l’ho più. Ne devo trovare un’altra.

Lo stile?
Intervengo su tutto. Ci vogliono parecchi passaggi all’alambicco della correzione, perché una mia pagina diventi buona.

La correzione delle bozze che momento è?
A quel punto il mio lavoro è già fatto.

Accetta i consigli dell’editore?
Sì, li accetto. Nel primo romanzo l’editore mi disse che il romanzo cominciava a pagina cinque, e io tagliai le prime quattro pagine.

I critici?
Credo di avere avuto abbastanza fortuna, con la critica. Ma dinanzi a una recensione non mi stupisco, né lusingo, né tanto meno offendo più da molto tempo. Mi piace quando qualcuno trova qualcosa che stava nascosto nel mio libro e che nemmeno io avevo trovato.

Sa chi sono i suoi lettori?
Quelli a cui non piace quello che scrivo sono lo stesso miei lettori? Perché ovviamente non vengono a dirmelo, e io non ho mai modo di conoscerli. Conosco solo i lettori che si fanno avanti per farmi i complimenti, ma non è che posso considerare miei solo quelli. No, non so chi sono.
_________
_________

AGGIORNAMENTO DEL 6 GIUGNO 2008


INTERVISTA A MELANIA MAZZUCCO, vincitrice del premio Strega 2003 (per gentile concessione di Mariano Sabatini e della casa editrice “Nutrimenti”)

LA STANZA CHIUSA DI MELANIA MAZZUCCO

Il suono di una sirena che squarciava il silenzio di una notte, a Roma, parecchi anni fa: Melania Mazzucco si è chiesta che cosa gridasse. Se chiedeva aiuto, se qualcuno stava morendo e si poteva salvare, se qualcuno aveva solo fretta di tornare a casa. Stava passando un’ambulanza o era la volante della polizia? E cosa era successo? “Tutto era accaduto in una stanza chiusa, sigillata contro di me come sempre le vite degli altri – spiega l’autrice di Un giorno perfetto (Rizzoli). – E io volevo entrare in quella stanza. Gli scrittori non fanno altro. Sono io l’intruso, il poliziotto scelto che sfonda la porta dell’appartamento di via Carlo Alberto”.
Per lei la scrittura ha qualcosa a che fare con la notte, col buio che libera i demoni e restituisce la libertà ai sogni. Perciò di solito comincia a scrivere nella seconda metà del giorno. Nel riquadro della finestra, alla sinistra della scrivania, vede appassire il sole e scendere l’oscurità. “A poco a poco è come guardare un quadro interamente nero. Questa essenzialità mi riconcilia con le parole, e con il loro significato più vero. Scrivo finché vado a letto, molto tardi”.
Il suo studio è di una semplicità totale. C’è un tavolo col ripiano di vetro, la scrivania dove si affastellano quaderni, agende, fogli volanti e microscopici brandelli di carta su cui appunto liste di parole, aggettivi e nomi. Ci sono due librerie rigurgitanti libri e carte, una piattaia da cucina che ha riconvertito in archivio e un vecchio mobile-grammofono degli anni Quaranta, l’unico oggetto che ho ereditato dalla nonna. Per terra, c’è una colonna friabile, sempre sul punto di franare. Sono lettere, alcune vecchie anche di un anno o due o perfino di più: “Il ritardo con cui rispondo è sempre scandaloso. Sono una pessima corrispondente”.

Il tavolo che storia ha?
Quadrato, col ripiano di vetro. Nero. Anni fa, era il mio tavolo da pranzo. Quando sono andata a vivere da sola, mi sono concessa il lusso di comprarmi solo due cose: il letto, un tremendo letto di legno, di quelli che si montano con la sparachiodi, e quel tavolo con sei sedie, dallo schienale altissimo. Ancora oggi, non ne ho altre.

Usa il computer?
Fin dal 1986. Il computer, peraltro, non l’ho mai cambiato ed è ancora quello – col sistema operativo dos. La mia prima macchina da scrivere, una vecchissima Olivetti M40 che mi regalò mio padre e su cui scrissi la mia prima sceneggiatura nel 1975, è diventata un soprammobile.

A mano non scrive niente?
Ho scritto il mio primo racconto a mano, e tutti i miei appunti li prendo a mano, come una copista medievale. Però ho scelto presto il computer. Ci siamo piaciuti al primo istante. Solo lui aveva la velocità dei miei pensieri. E in effetti lo considero un’estensione della mia mente. Ma questo non ha niente a che vedere con la creatività. Se non lo avessero inventato, avrei continuato a ticchettare sulla Olivetti, o a scrivere a mano, con la matita. L’unica differenza, forse, riguarda i filologi: per loro sarà difficile lavorare sulle varianti dei romanzi scritti al computer. I computer hanno la memoria corta.

Le pause dalle sessioni di scrittura?
Mai. Mi incollo alla sedia come una conchiglia allo scoglio. L’immobilità mi libera la mente, mi consente una specie di beatitudine zen. Un giorno, però, mi metterò a contare quante sigarette si è aspirato Un giorno perfetto. Grosso modo, per quattrocento pagine, direi uno scaffale del duty-free. È una considerazione allarmante.

Musica di sottofondo mentre scrive?
Sempre. Di solito la radio, per la precisione Radio Globo o RDS, le uniche che, nella zona della città oscurata dai ripetitori di radio più potenti, riesco a captare. La musica techno mi è congeniale. Però metto anche i miei cd preferiti – Moby, Portishead, Radiohead, Primal Scream, Fat slim boy, Amalia Rodriguez, Cecilia Bartoli, qualche volta anche musica da camera di Fauré e Franck. I musicisti italiani, che pure amo, non posso ascoltarli per via delle interferenze che la comune lingua provocherebbe. Nei giorni di mood malinconico, metto anche Le nozze di Figaro e la Norma.

Il telefono e il cellulare?
Accesi, ma non rispondo mai. Una vecchia storia dice che uno scrittore romano… chi era, Orazio? Ovidio? Petronio?… faceva dire alla sua schiava: non sono in casa. E se la schiava non c’era, lo diceva lui stesso: “Non sono in casa”. Beh, faccio qualcosa del genere.

Le idee migliori dove nascono? C’è un modo per evocarle e favorirle?
Non saprei rispondere. A volte in sogno. A volte nel dormiveglia, a volte parlando con qualcuno, ma anche nei momenti morti della giornata, su un autobus, aspettando davanti a un cinema, guardando fuori dalla finestra, camminando su un sentiero di montagna. Forse le idee nascono dal vuoto, per una sorta di effetto di osmosi. Io mi concentro molto anche quando corro sul tapis-roulant: mi guardo nello specchio davanti alla macchina e non vedo me stessa, ma i miei pensieri.

Rituali di inizio e fine lavoro?
Non ne ho nessuno. L’unico gesto che compio sempre è accendere il computer, all’inizio. Mi piace il suono di quel click. È come accendere la mente.

Disciplina o ispirazione, cosa serve di più?
L’ispirazione è disciplina e viceversa. L’una favorisce l’altra, l’una sabota l’altra. Bisogna essere abbastanza sconsiderati per ignorare le trappole della disciplina, e abbastanza umili per accettare i limiti dell’ispirazione.

La creatività si esaurisce?
Fatemi di nuovo questa domanda fra dieci anni.

Blocchi, incubo della pagina bianca?
Siccome non sono una che si mette a scrivere perché deve timbrare il cartellino, non mi metto mai davanti allo schermo se non ho una storia da raccontare, una frase da correggere o un personaggio cui trovare un corpo e un nome. Eludo i periodi vuoti semplicemente non scrivendo. A volte questi periodi di astinenza durano mesi, perfino un anno.

Libri per ispirarsi?
No, è impossibile. Il ritmo e lo stile delle frasi degli altri può restare in mente, e influenzare il proprio. Nei periodi in cui scrivo leggo pochissimo, e spesso solo di argomenti attinenti a quello sul quale sto scrivendo, per studio diciamo. Mi rifaccio nei lunghi mesi di astinenza dalla scrittura. Allora sono una belva onnivora, divoro mattoni in pochi giorni, affamata.

Prova invidia per qualche collega?
L’invidia è l’unico peccato capitale che non ho praticato mai. Invidiare qualcuno significa ammettere una propria mancanza e sono troppo orgogliosa per stimarmi tanto poco. L’ammirazione invece è un sentimento che mi assale spesso. Perciò potrei nominarne tantissimi. Tutti gli scrittori che ho amato da quando ho cominciato a leggere, perciò da sempre. Alla fine, per non farla tanto lunga, posso dire che ammiro la creatività anagrafica di Dumas e Balzac, la concisione di Jane Austen, la leggerezza di Stendhal, il genio di Bulgakov, lo sterminato periodare di Proust, i personaggi bambini di Elsa Morante, i malvagi di Dostoevskij e, per nominare qualche vivente, la cultura di Ghosh, l’ironia di Esterhazy, la stralunata visionarietà di Ransmayr.

A cosa sta lavorando?
È uno di quei periodi in cui non scrivo. Sono in archivio da quasi due anni, sto inseguendo, a volte rintracciando e a volte perdendo, una bellissima storia dimenticata, che sarà il mio prossimo romanzo.

Vuole provare a descrivere il suo metodo di scrittura?
Riempio dozzine di quaderni, taccuini, foglietti, anche se non sempre utilizzo ciò che annoto. Del resto spesso semplicemente non lo trovo, perché gli appunti non hanno un indice. C’è un aggettivo che mi piace tanto – coriaceo – che volevo inserire in Un giorno perfetto.

E non l’ha fatto?
Credo di averlo dimenticato, perché è ancora lì, appuntato su un foglietto che ancora mi guarda da sotto il portacenere.

Fa delle scalette?
Scrivo la prima versione di un romanzo senza scaletta, senza conoscere il destino dei personaggi, e mai in ordine cronologico, dall’inizio alla fine. Ma sequenza per sequenza, a seconda della tensione del momento, di solito molto rapidamente. Per evitare equivoci, chiarisco che rapidamente per me significa cinque, sei mesi.

Quante pagine produce in un giorno?
Non produco niente, è una parola che non mi piace. Comunque non vorrei mai produrre pagine. Non sono una macchina né un’industria, semmai un artigiano geloso che cura con amore gli oggetti che escono dal suo laboratorio. Non sono regolare, non mi impongo obiettivi.
Allora, diciamo quanto riesce a scrivere.
Nei momenti “dionisiaci” posso scrivere anche quaranta pagine tutte di seguito, come in una sorta di scrittura automatica. Nei momenti “apollinei”, quando correggo, rivedo e sono per così dire in fase di montaggio alla moviola, in un giorno è già tanto se ne limo una.

Per lei, scrivere è faticoso?
Per me è un’attività fisica e naturale come respirare. Coinvolge tutti i cinque sensi… per non parlar del sesto. Scrivere è il tatto delle dita sulla tastiera, l’olfatto teso alla ricerca mentale degli odori di cui stai parlando, la vista delle parole che galleggiano sullo schermo e delle cose che vedi davanti a te e in realtà non ci sono, e così via. Perciò è faticoso, sì, ma anche meraviglioso, come vivere.

Scrittori si nasce o si diventa?
Chi era che disse “diventa ciò che sei”? Forse era Socrate, o Epicuro o sant’Agostino, e se non era nessuno di loro, chiedo loro perdono di averli scomodati per tanto poco. Credo non si possa comunque spiegare meglio il percorso che ognuno di noi deve seguire per conoscersi. Bisogna trovare dentro di noi la cosa che ci appartiene, ed è solo nostra. Se è la scrittura, prima o poi, emergerà, e diventeremo ciò che siamo sempre stati, senza saperlo.

A chi fa leggere in anteprima?
Alla persona che ho scelto e che è la parte migliore di me.

Per raggiungere lo stile desiderato?
Intervengo su tutto. Il ritmo di una frase, l’aggettivo attaccato a una parola come un parassita, un verbo inappropriato, una descrizione generica, un dialogo che non suona, una digressione che bisogna proprio sopprimere.

Rilegge molto?
Mi rileggo ossessivamente per mesi, anni a volte, ma poi, quando ho pubblicato un libro, non mi rileggo mai senza vero disagio. Il testo diventa quello di un altro. Ovviamente, se mi rileggessi, continuerei a trovare qualcosa che mi è sfuggito, sbavature ed errori: la scrittura è un processo potenzialmente infinito.

Nel senso che potrebbe lavorare su un testo anche a distanza di anni?
Nel senso che anche lo stile cambia: ciò che a vent’anni mi sembrava stupendo, non mi pare più così oggi. Io vivo e cambio, e i miei libri vivono e cambiano con me. Però l’imperfezione rende vivo un libro. Le sue asperità, i suoi stridori, lo restituiscono al mondo.

Rilegge ad alta voce?
Sempre. Ho imparato a farlo fin da ragazzina, essendo cresciuta nella casa di un uomo di teatro. Guardavo gli attori leggere il copione, e le parole cadono subito nel vuoto quando la battuta è sbagliata. Così oggi se una pagina non suona, non funziona e la elimino.

Idiosincrasie linguistiche?
Sono ossessionata dai luoghi comuni. Non mi perdono quando ne scrivo uno non intenzionalmente, per farne parodia.

Come sceglie le parole?
Ah, sono avida di parole, le colleziono, le riesumo e a volte le invento. Mi piacciono gli strafalcioni e gli slittamenti di senso, i dialetti, i gerghi specialistici. Con una passione per quello medico. Scandaglio le lingue straniere, le parole in agonia che nessuno usa più e quelle celibi, che sono state usate una volta sola. Nessuna parola mi pare inutile, brutta o indegna. Aspiro all’orecchio assoluto per le parole.

Alla correzione delle bozze interviene molto?
Sono il terrore dei redattori. Sono stata una redattrice anch’io, perciò sono rimasta una cacciatrice di sviste e refusi. Ma continuo a correggere il testo anche stilisticamente, e strutturalmente, fino all’ultimo momento, quando sta per andare in stampa.

Accetta i consigli dell’editore?
Ho tagliato di seicento pagine il mio primo romanzo, Il Bacio della Medusa, che nella versione originale ne contava millecento e giustamente nessuno lo avrebbe mai pubblicato. Ho soppresso alcuni capitoli di Lei così amata, perché troppo digressivi rispetto alla vicenda. Mi confronto volentieri con l’editore, non ho la pretesa di avergli consegnato un testo sacro.

Legge gli articoli e le recensioni su di lei?
Le leggo sempre con molto ritardo, le lascio decantare in modo che il loro potere di offesa o lusinga sia attutito dal tempo. Così, a memoria, posso ricordare che mi piacque quando mi definirono “eccentrica” rispetto al panorama della narrativa contemporanea, quando scrissero che ero nata per narrare e che avevo uno stile fluviale. Una critica tedesca disse che ero come un uragano e mi divertì questa definizione perché sono nata l’anno dell’alluvione di Firenze e sento di avere qualcosa a che fare con l’acqua.

Offese?
Mi sentii ferita quando scrissero che avevo uno stile cinematografico, che mettevo troppi dettagli, consolandomi perché a Mozart dicevano che metteva troppe note, che ero troppo brava e questo mi avrebbe impedito di scrivere un bel romanzo. Mi ha piacevolmente sorpresa leggere delle belle recensioni uscite in paesi stranieri – Canada, Spagna o Olanda – e scoprirmi capita da qualcuno che vive realtà molto diverse dalla mia, che non mi conosce né mi conoscerà mai, che mi valuta solo attraverso le mie parole, alla fine la parte più vera di me.

Chi sono i suoi lettori affezionati?
Le persone più disparate, e questa mi pare la meraviglia della letteratura. Ragazze e pensionati, insegnanti e detenuti, professionisti e operai. C’è stato anche qualche lettore eccellente, il cui apprezzamento mi ha profondamente emozionato, ma non ho la volgarità per fare il suo nome. Finora, la mia lettrice più giovane ha dieci anni, è una ragazzina sensibile e speciale a cui auguro ogni bene. La più anziana ha compiuto ieri cento anni, è una vispa signora di favolosa arguzia, che sa tutto della vita. Non dimentico mai le parole che mi dicono i lettori, e alcune le tengo per me, come i miei ricordi più belli.

Com’è arrivata a farsi pubblicare?
Quando ho cominciato a far leggere il manoscritto del mio primo romanzo, tutti mi dicevano che avrei dovuto pubblicarlo. Io ho esitato, perché avevo paura di espormi, e sapevo quanta gioia e quante ferite mi sarebbe costato diventare per il mondo una scrittrice.

E quando si è decisa?
Poi hanno esitato anche gli editori. Mi hanno respinta con convinzione per tre anni. Alla fine, qualcuno mi ha apprezzato e mi ha fatto un’offerta. Siccome non sono vile, dopotutto, ho trattenuto il fiato e mi sono lanciata. È cominciato così.

Consigli a un giovane o vecchio aspirante scrittore?
Essere se stessi e non credere che conformarsi alle attese degli altri serva a qualcosa. Non demoralizzarsi per i rifiuti che inevitabilmente verranno, e saranno dolorosi, come se qualcuno ti accoltellasse un figlio. Né soffrire per i tempi lunghissimi, epocali, perché può essere interminabile l’attesa prima che un libro trovi la sua strada.

L’umiltà è utile?
Certo, bisogna accettare, a volte, il rifiuto, e comprenderlo. Imparare dall’errore e non avere paura di riscriversi, di cambiarsi, anche di rinunciare a una storia che ci sta a cuore per scriverne un’altra, completamente diversa. I manoscritti a volte si perdono, ma non muoiono: il parere sferzante di un lettore può diventare l’entusiasmo di un altro, e dalle ceneri di un romanzo che morirà inedito può nascere un romanzo che troverà migliaia di lettori.


Tags: , , , , ,

Scritto martedì, 3 giugno 2008 alle 22:37 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI, SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

263 commenti a “LA LETTERATURA È PIU’ ARTE O ARTIGIANATO? ALTRI TRUCCHI D’AUTORE di Mariano Sabatini”

Ripropongo qui di seguito le domandine formulate in apertura:
La letteratura è più arte o artigianato?
Si basa più sul guizzo creativo o sull’affinamento dei ferri del mestiere?
È più ispirazione o… “trucco”?

Postato martedì, 3 giugno 2008 alle 22:38 da Massimo Maugeri


Vi invito a leggere la prefazione al libro, firmata dallo stesso Sabatini.
Mi pare molto interessante.

Postato martedì, 3 giugno 2008 alle 22:40 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per ringraziare la casa editrice “Nutrimenti” per il materiale concesso e per avermi autorizzato a pubblicarlo.

Postato martedì, 3 giugno 2008 alle 22:41 da Massimo Maugeri


Invito Mariano Sabatini a prendere parte al dibattito su questo post.
Maria Lucia Riccioli mi darà una mano a condurlo e moderarlo.

Postato martedì, 3 giugno 2008 alle 22:42 da Massimo Maugeri


Che bel post! Letto tutto.
La domanda di Massimo.
la prima risposta che mi viene è, ci devono essere entrambe le cose. Ma se per un lettore è bello vedere il talento non addomesticato dalla tecnica, la poesia dell’ispirazione, e dire – orco questo qui lo devo tenere d’occhio! – Il pilota automatico del mestierante raffinato irrita. Ci sono scrittori che alla lunga producono libri a ritmi vertiginosamente alti: c’era un periodo che ogni due per tre c’era un Milan Kundera in vetrina. E l’arte si perde, la maniera cresce, e su 300 pagine se ne salvano 30 e le altre sono buone per il camino. Il talento e l’ispirazione da soli possono emozionare, ma la tecnica da sola non da molto.
(Poi se nun c’è nè er talento nè la tecnica eh beh… )

Postato martedì, 3 giugno 2008 alle 23:17 da zauberei


Carissimo Massimo,
grazie dell’onore e onere!
Un caro saluto a Mariano Sabatini. Grazie per gli interventi che vorrai fare qui su Letteratitudine. Qui è come se fossimo tra amici in un caffè o salotto letterario che dir si voglia e il tuo libro si presta benissimo a questo proprio perché lo vedo, insieme al tuo precedente, come una grande chiacchierata su ciò che qui tutti amiamo e coltiviamo: la letteratura. Essa però è come l’araba fenice, inafferrabile e misteriosa. Io ti vedo come chi si lascia incantare dai “trucchi” del prestigiatore e poi va dietro le quinte di velluto del teatro a sbirciare dentro il cilindro per trovare il coniglio…
Fuor di metafora, Mariano Sabatini ha chiacchierato con le più note “penne” contemporanee, con gli odierni maghi e alchimisti della scrittura per carpirne forse i segreti, per capire se la loro musa è metodica o estemporanea, per cercare di individuare luoghi e tempi della sua epifania.
Sbaglio?

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 00:43 da Maria Lucia Riccioli


Mi faccio perdonare per il mio intervento tardivo – giornata superimpegnata – con qualcosa che farà piacere sia a Massimo che a Mariano, spero.
Sul mio blog tempo fa avevo parlato proprio di questo libro. Neanche il tempo ed ecco i commenti:

#1 15 Febbraio 2008 – 06:51

consiglio prezioso! carla
utente anonimo

#3 17 Febbraio 2008 – 10:10

seguo sabatini e trovo che sia un eccellente giornalista. carla
utente anonimo

#5 10 Marzo 2008 – 15:11

cara ml, perché non scrivi di altri trucchi anche su letteratitudine? io ho amato molto il libro… mirko
utente anonimo

#6 10 Marzo 2008 – 22:27

Ciao Mirko!
Grazie del tuo intervento… ne parlerò a Massimo…
Intervieni quando vuoi!
ML
mlriccioli

#7 11 Marzo 2008 – 06:14

mi piace molto letteratitudine, aspetto il tuo intervento sul bel libro di sabatini. grazie. mirko
utente anonimo

#8 13 Marzo 2008 – 11:45

che bello ne scriverai su Letteratitudine? Lo sto leggendo… Roby
utente anonimo

#9 14 Marzo 2008 – 16:54

Vorrei parlarne su Letteratitudine, ma aspetto l’ok di Massimo Maugeri…
Grazie a Mirko e Roby!
ML
utente anonimo

#10 16 Marzo 2008 – 18:20

e che aspetta a dartelo, cara ML? Paoletta
utente anonimo

#11 16 Marzo 2008 – 18:29

Cara Paoletta, grazie del tuo intervento… Ti aggiornerò!
ML
mlriccioli

Perdonata?

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 00:50 da Maria Lucia Riccioli


Secondo me la (buona) Letteratura e’ il risultato di tre costanti: ispirazione, stile e studio. Tutto discende ed e’ contemplato all’interno di questo ”trivio”: 1) l’ispirazione comprende lo spirito, le sensazioni e i sentimenti, ossia quella parte di trascendenza ed immaterialita’ presente nell’uomo avvertito; 2) lo stile comprende l’applicazione pratica dei punti uno e tre, secondo la propria conoscenza sia di se stessi che della realta’, sia propria che generale; 3) lo studio consente il miglioramento e l’affinamento delle proprie capacita’ espressive, nonche’ la doverosa conoscenza delle regole tecniche della scrittura e dei bravi autori.
Ne consegue che un vero libro viene scritto solo da chi sia capace di congiungere l’arte e l’artigianato, i quali dopotutto sono due facce della stessa medaglia: il miglior detto, in proposito, e’ il latino ”festina lente” (”affrettati lentamente”), perche’ rende perfettamente la necessaria compenetrazione fra il fulmine dell’ispirazione e la ponderosita’ della meditazione. Gli scrittori veri sono coloro che acchiappano dei fulmini e li ammansiscono su delle pagine che siano paludi, o tutt’al piu’ fiumicelli lenti lenti ma carichi di energie temporalesche.
Per fare tutto cio’ servono, dunque, degli artigiani, direi, i quali contemplano gia’ nella loro definizione la parola ”arte”, che e’ sia ‘’saper fare praticamente” che ‘’saper inventare”. Ognuno col proprio ritmo, i grandi infine tramutano i fulmini in racconti…

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 00:57 da Sergio Sozi


Ecco come avevo esordito “recensendo” il libro.
Riporto queste righe per spiegare agli amici di Letteratitudine come sono venuta in contatto con Mariano Sabatini e i suoi libri.

Strani gli incontri segnati dai libri.

Nel 1998 ho partecipato al “Secondo Campionato della Lingua Italiana” condotto su TMC da Luciano Rispoli e Anna Carlucci e arbitrato dal professor Gian Luigi Beccaria.

Sono arrivata in semifinale ma purtroppo non mi ero registrata, quindi avevo desiderio di rivedermi. Potenza della rete, dopo quasi dieci anni mi torna alla mente qualche nome, tra cui proprio quello di Mariano Sabatini. Mi faccio coraggio e gli scrivo una e-mail. Cortesissimo, mi risponde. Lo ritrovo autore e giornalista, recensito sul “Venerdì” di Repubblica, sul “Corriere della sera”, e mi fa piacere segnalargli il mio blog – letterario, naturalmente – e ospitarvi il suo lavoro, il secondo per la precisione, che punta a rivelare le botole segrete di cui parlava Poe, i trucchi narrativi ed extranarrativi dei grandi scrittori.

Invito Mariano, se è d’accordo naturalmente, a parlarci della sua attività di giornalista e autore televisivo.

Non perdiamo comunque di vista l’argomento, il topic di questo post.
Intanto provo a rispondere io alle domande suggerite da Massimo.

Ripropongo qui di seguito le domandine formulate in apertura:
La letteratura è più arte o artigianato
Si basa più sul guizzo creativo o sull’affinamento dei ferri del mestiere?
È più ispirazione o… “trucco”?
Leggendo il libro di Mariano Sabatini mi sono resa conto che noi italiani, rispetto agli scrittori anglosassoni, siamo meno legati all’idea della disciplina, della scrittura come tecnica, come lavoro di artigianato, come falegnameria. Questo è certamente un retaggio della critica crociana che distingueva poesia e non poesia, il sacro fuoco lirico dalla riflessione extrapoetica. Oggi però questo gap tende a colmarsi e molti autori sostengono il valore della disciplina, della sistematicità. Ancora persiste il dubbio sul valore delle scuole e dei corsi di scrittura. Naturalmente. Se scrittura è guizzo creativo e fuoco sacro, genio avremmo detto in passato, tutto questo è difficile da spiegare, figuriamoci da insegnare. Se invece concepiamo la scrittura come artigianato, è più facile accettare l’idea che almeno i “fondamentali” siano alla portata anche dei non iniziati.
Mariano, cosa ne pensi dei corsi di scrittura?

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 01:06 da Maria Lucia Riccioli


Poeticissimo, Sergio!
Grazie del tuo intervento…
I classici sono maestri del labor limae: penso ai consigli di Callimaco – grande libro, grande danno! – , di Orazio… Il fiume lutulento della scrittura dev’essere incanalato, arginato, indirizzato per divenire fonte d’acqua, canale d’irrigazione. Altrimenti sarà solo piena che deborda, autoreferenziale e distruttiva.
Fuor di metafora, non è facile coniugare arte e artigianato, sense and sensibility – per citare Jane Austen, che avrei fatto intervistare proprio a Mariano Sabatini – , il “furor” poetico con la disciplina del verso, della metrica, della musica della pagina, del ritmo. Con quella che la Mazzucco chiama la filologia del reale.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 01:24 da Maria Lucia Riccioli


Il post è densissimo di spunti di conversazione… vi aspetto!
Una buonanotte a tutti.
Massimo, riprenditi! Abbiamo bisogno del nostro “padrone di casa” e maestro di cerimonie.
Mariano, sarai il benvenuto quando interverrai…

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 01:42 da Maria Lucia Riccioli


Ci risentiremo presto, cara Maria Lucia. Anche se credo di aver detto in sintesi tutto quel che sento e penso dell’argomento. Magari dialoghero’ con altre opinioni, no?
Bacioni
Sergio

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 01:59 da Sergio Sozi


Sergio, sei stato sintetico e chiarissimo… assisterò ai tuoi duelli dialettici con “the others”…
:-)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 02:03 da Maria Lucia Riccioli


@ Maria lucia (Luce, per noi amici): condivido parola per parola tutte le tue riflessioni! E non solo perchè abbiamo condiviso sempre il nostro cammino letterario, leggendoci a vicenda , prestandoci libri, accogliendo scrittori e presentandoli, facendo notte per allestire in loro onore le tue bellissime poesie ( e…attaccandole alle palline di Natale!)…ma anche perchè il tuo paragone è meraviglioso…l’araba fenice.
Sì, perchè la letteratura è un guizzo dell’anima, ma come tutti i guizzi è misteriosa e capricciosa. Può svolarti sulla testa una sola volta nella vita, importi un canto unico, irripetibile, finale (vedi IL GATTOPARDO).
O esserti nemica e sorella, perseguitandoti coi suoi artigli, pungolandoti a quell’essere diverso (e straniero) che è – effetivamente – una vocazione all’infelicità.
Perchè proprio ciò che ti rapisce, proprio ciò che ti identifica e ti colma, in realtà assedia le tue giornate sia quando scrivi sia quando non scrivi, nella veglia e nel sonno, tra gli altri e senza gli altri. Lo scrittore (lo sai, Mari…lo dice la Montero)…scrive sempre.
E allora anche se scrivendo acquisisce tecnica, anche se sfrutta piccoli segreti che via via lo rendono padrone della materia e del magma (ma prima di tutto del suo cuore), lo scrittore (e la letteratura) è soprattutto quel guizzo. Quel guardare il mondo con occhi diversi. Quel posarsi dello sguardo dove forse gli altri non lo poserebbero e dirlo come se – in quel momento – fosse lo sguardo stesso delle cose. O il primo sguardo dell’uomo sul mondo.
Essere scrittori è spiare la vita sempre. Gridarla o tacerla coi segni. Ma poi rapirla, trasfrormarla . Per il solo fatto che non farlo sarebbe come morire.
Quindi certo…a scrivere si può imparare . E bene. E l’artigianato può offrire mezzi, come lo studio, la fatica quotidiana, l’impegno e i rituali (io prima di scrivere abbraccio i miei gatti….).
Ma lo scrittore travalica anche la sua fatica. Travalica anche i rituali. Travalica ogni strumento – prima di tutto – con se stesso. Col suo modo d’essere.
E dalla parola si sente.
Si sente se la scrittura è esercizio o se invece si affossa nella vita. Se la raccoglie, se la interpreta. Si sente se i pesonaggi hanno fiato, sangue, odori. Si sente se non vogliono lasciarti andare, se ti incatenano per dirti di vivere la loro vita e non la tua.
Perchè scrivere è sentire. E fare sentire.
L’sperienza e la tecnica possono solo approfondire le qualità dell’anima, renderle intelegibili e migliorarle. Ma non crearle se non ci sono.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 08:15 da Simona


…avevo scritto un commento ma non è stato pubblicato…
Riproverò!
…@ Maria Lucia (Luce…per noi amici):
Condivido tutto quello che hai detto e il meraviglioso paragone con l’araba fenice.
Perchè scrivere è, appunto, quella creatura che può rapirci una sola volta con un canto ultimo o perseguitarci col suo assedio di parole per tutta la vita.
E’ il guizzo che ci incatena lo sguardo e lo restituisce ai segnali che vengono incisi sulla carta, è scrutare la vita come gli altri non farebbero o laddove gli altri pensano che non ci sia.
Perchè lo scrittore è – prima di tutto – questo. Un’occhio incantato ( e innamorato) sulle cose. Sugli uomini. Sul mistero che li avvolge e lo avvolge.
Ecco perchè lo scrittore scrive sempre. Nella veglia e nel sonno, quando scrive e quando non scrive, in solitudine e in compagnia.
La scrittura è un modo d’essere. Una necessità. Una semplice presa d’atto: non scrivere sarebbe come morire.
E allora sì. La tecnica, i rituali, lo studio e la fatica insegnano qualche trucco del mestiere. Approfondiscono il dominio sul magma (del nostro cuore prima di tutto). Affilano le armi e gradualmente guidano verso una consapevolezza maggiore del testo e dei meccanismi di una storia.
Ma senza quel guizzo, senza lo sguardo dell’esule e dello straniero, di colui che scrive per sete e fame, senza la ferita che viene sanata dalla parola, non c’è letteratura.
E dalla pagina si sente.
Si sente se i personaggi ti respirano fiato sul collo, se ti perseguitano, se ti ammaliano come sirene e ti seducono, invitandoti a vivere la loro vita e non la tua.
Si sente se provengono da una mancanza, dall’essere nel mondo come d’impiccio e – al tempo stesso – di sentirsene immerso e affogato come un naufrago che non voglia approdare.
Si sente.
E la più perfetta delle cattedrali di parole non renderebbe il senso di molte imperfezioni scritte col sangue.
Perchè la letteratura è sentire e far sentire. Ancor prima di comunicare.
Il momento prima di afferrare il senso di ciò che lo scrittore ci sussurra, il cuore deve galoppare, la mente dilatarsi, occhi, sterno, polmoni devono mozzare il respiro e – semplicemente – farsi abitare dalla vita.Pretenderla in cambio. Riviverla, reinterpretarla e restituirla ancora una volta. Anzi, sempre.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 08:56 da Simona


Credo che la risposta alla domanda di Massimo sia contenuta nelle due interviste. Ognuno ha il suo modus, si crea un ambiente congeniale per esprimere il suo “essere scrittore” nella maniera più aderente alla propria essenza.
Per chi scrive, la parola è meditata, sofferta, amata. E’ vita, in molti casi è sofferenza. E’ necessità e pulsione irrefrenabile. Per me più arte che artigianato, anche se le due cose non possono andare totalmente slegate.
Dice bene Sabatini “solo scrivere può insegnarvi a scrivere”. E leggere. Leggere tanto.
Poi ci vuole un giusto mix di talento, di ricerca, di tecnica. Ma, soprattutto, per come la vedo io, capacità di emozionare ed emozionarsi.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 10:05 da Silvia Leonardi


A mio parere Zauberei e Sozi hanno colpito nel segno. La letteratura è una meravigliosa amalgama di arte e artigianato, un mix portentoso di ispirazione, stile e studio.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 10:22 da Jean de Luxembourg


La cosa per me più difficile e stancante è proprio il labor limae, ci vuole tanta umilità nel leggere e rileggere quello che si è scritto, correggerlo, vedere se funziona e così via. L’ispirazione dura il tempo di concepire l’idea, certamente rimane nel tempo e alimenta la pagina scritta, ma – appunto – nasce in un preciso momento. Lo scrittore è come una levatrice, deve portare fuori quel che ha dentro (uso la metafora di Socrate). Sono d’accordo che la letteratura è sentire prima ancora di comunicare, come ha detto Simona.
Quanto ai corsi di scrittura non ho nulla in contrario, personalmente non li ho mai fatti perché costano parecchio; rimane il fatto, però, che ognuno deve trovare il suo modo di scrivere: in ultima analisi certe cose non si possono insegnare. E’ come essere genitori: ci sono i libri che ti insegnano quello che dovresti fare, va benissimo. Poi, però, quel che ti fa essere genitore veramente è l’esperienza, la pratica, il vivere e il sentire, il vedere cosa fanno gli altri. Avere dei figli e vedere cosa combini tu per crescerli. Non si dice che anche i romanzi sono come dei figli per gli scrittori? Per me è assolutamente così.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 10:50 da Elisabetta


Grazie Simona come sempre per le tue bellissime parole…
Grazie a Silvia e a Jean de Luxembourg (nom de plume de…?)…
Io paragono la scrittura all’amore, in cui c’è un mix misterioso e imprescindibile di gioia e sofferenza, di seduzione e incanto e di quotidianità e cura costante, di guizzi passionali e quiete bonacce.
Chi scrive ha con la propria scrittura un rapporto che è simile a quello amoroso, se ci fate caso.

Una cosa che mi ha colpito di Mariano sapete qual è? In un mondo e in tempo in cui tutti bramano e scalpitano per avere la patente di scrittore e sapendo appena tenere la penna in mano si arrogano il titolo di poeta – POETA: creatore… Un nome che fa tremare. – , Mariano si autodefinisce in maniera umile e semplice un giornalista e un appassionato di letteratura. Vorrei che molti prendessero esempio da lui…

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 10:55 da Maria Lucia


Elisabetta, grazie del tuo intervento e delle metafore pregnanti che hai trovato per descriverci la tua idea di scrittore e di scrittura. Verissimo: il labor limae è un lavoro difficilissimo. Ma se pensiamo che anche in amore è così possiamo farcene una ragione: se non c’è la cura costante, la continua ridefinizione dell’io, del tu e del noi, in amore si conclude ben poco dopo l’esplosione della passione, dopo i riti di seduzione e conquista. Finito l’estro, finita l’illuminazione, passata l’idea fulminante, quella che ha innescato il gioco letterario, se non c’è la cura per la storia i personaggi la trama il ritmo la forma delle parole si conclude ben poco. Faticoso, dici tu. E hai ragione. ma se ne vale la pena, per un amore vero, per una storia che ci possiede ci abita vive attraverso di noi, allora ben vengano fatica e sudate carte.
La genitorialità. Quando l’autore termina un libro, lo consegna all’editore dopo magari un terribile lavoro di editing lima riscritture dolorose tagli necessari e così via, il libro è come se non gli appartenesse più. Diventa dei librai, dei didtributori, dei critici, dei bloggers. Dei lettori. E inizia a vivere di vita propria. Come se fosse veramente un figlio.
Del rapporto autore/libro paragonato alla filiazione sono state scritte tantissime riflessioni, proprio perché la genitorialità è un paragone veramente calzante. La Mazzucco scrisse “Il bacio della Medusa”a soli venticinque anni – che invidia!!! – e quasi aveva paura a guardarlo nelle vetrine delle librerie, perché lo vedeva solo e sperduto come un figlio abbandonato sulla ruota, a fare i conti col mondo…

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 11:03 da Maria Lucia


La levatrice di Socrate: una metafora bellissima. In effetti se ci facciamo caso lo scrittore non crea nulla. Cosa fa invece? Tira fuori da sè il libro che era già dentro di lui. Pensate a Michelangelo e alla sua idea del cavare la scultura la statua che è già nel marmo… lo scultore non fa altro che liberarla della materia superflua… A colpi di faticosissimo scalpello, facendo davvero labor limae, consumando dita e polsi e forze.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 11:06 da Maria Lucia


che onore, essere su letteratitudine! Grazie, di cuore a maugeri. Che dire? grazie a quanti vorranno leggere i miei libri, “Trucchi d’autore” e “Altri trcchi d’autore”, che ho voluto scrivere per dare a chi desideri scrivere uno strumento utile. Non credo molto alle scuole di scrittura, spesso tenute da cialtroni, millantatori, spacciatori di sogni. Leggere le testimonianze di chi invece ce l’ha fatta può aiutare a capire che non esiste “il” metodo, esiste il talento, la capacità di sottomettersi ad esso e di assecondarlo. Tutti i giorni, per tutto il giorno. Io non ci sono ancora riuscito e non so se mai ci riuscirò. Intanto mi diverto ad ascoltare le esperienze degli scrittori di professione, soprattutto quelli che riescono a sfornare un bestseller dopo l’altro: Camlleri, Faletti, Moccia, Casati Modignani e i giallisti in genere.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 11:29 da mariano sabatini


Saluti e pacche sulle spalle a Marilu’ Riccioli e al gentiluomo Jean di Lussemburgo. Grazie, amici!
Sergio

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 11:53 da Sergio Sozi


Grazie dei tuoi interventi, Maria Lucia, e grazie a Mariano, a Massimo e a tutti!

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 12:02 da Elisabetta


Ciao Massimo e ciao Mariano!
passavo per un saluto, Mariano è proprio bravo e in più è una persona seria, che crede in quello che fa.
Un abbraccio
Elisabetta Bucciarelli

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 12:13 da elisabetta bucciarelli


Argomento interessantissimo per chi non scrive ma aiuta chi scrive.
Io cercherò di raccogliere le idee per poter intervenire con qualcosa di consono. Sarebbe bello che a questa discussione prendessero parte scrittori e anche editor, no?

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 12:23 da chiara


@tutti amici di scrittura
Finalmente un post dove gli scrittori in ascolto decidono di svelarsi e di scegliere di mettersi a nudo affinché i lettori come me possano meglio comprendere che la loro vanità riguarda solo l’arte che professano attraverso la scrittura, che restituisce la letteratura che loro hanno appreso e saputo arricchire con creatività,stile, argomentazione colta e amorevole non sempre e : forse in tutto questo c’è il trucco di saper tener conto, anche, del mercato editoriale che mal tollera la falsità ideologica delle storie, anche dei contenuti, non solo della rappresentazione immaginifica, perché No?!
Comunque grazie a tutti Voi e a Mariano Sabatini di cui leggerò i due libri: giornalista,scrittore e ideatore di programmi televisivi, che io conosco e praticato, e W anche la contaminazione dei generi espressivi se permettono alla scrittura letteraria di diffondersi a un grande pubblico che ha bisogno soprattutto di vedere, inteso come toccare con mano, provare l’emozione attraverso la creatività e le idee di un autore scrittore o solo testimone dei nostri tempi, forse!
Un abbraccio a tutti Voi: verosimilmente, non virtuale.
Luca Gallina

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 12:27 da luca


Mariano Sabatini ha fatto un ottimo lavoro con i suoi due volumi sui Trucchi d’autore, e’ una lettura che mi appassiona molto, anche se ho letto i libri gia’ cento volte torno a rileggerli perche’ sono “parlanti”, come posso dire? Sanno illuminare certe “zone d’ombra” e secondo me non servono soltanto agli scrittori di professione, ma a tutti, perche’ tutti in fondo hanno la curiosita’ di sapere che cosa c’e’ dentro un meccanismo cosi’ difficile da spiegare come la scrittura. Bravo Mariano, spero che sarai presto ospite della mia rivista “In Purissimo Azzurro”.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 12:33 da Maria Di Lorenzo


Irrimediabilmente ‘TIT’ (in inglese ‘tetta’, evidentemente preso, se non dal latino direttamente, dal franco-normanno, dal 1066…, farò ricerche), cioè: Talento vero (è [parte del]la tua personalità), Ispirazione necessaria (volontà di essere attraversato da un fatto in diretta, da un ricordo, da una lettura – più che altro si tratta di TOGLIERE, escludere), Tecnica acquisita dai veri maestri, con lo studio prevalente delle loro opere, biografie e critica, a volte anche di loro scritti o manuali, non sempre.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 13:16 da ALBatrodei7mari


Ci sono scrittori diversi, artisti diversi, artigiani diversi. E l’artigianato può assumere la forma dell’arte anch’esso se la padronanza della tecnica non è ripetitività fine a se stessa ma al servizio di idee creative, originali e necessarie. Un artista padrone della tecnica (l’artigianato) avrà dei mezzi in più per esprimere, dirigere e padroneggiare la propria arte.
Ma la tecnica da sola non basta. Si può essere dei virtuosi, sia con le parole che con gli strumenti musicali che con i pennelli, ma non avere in fondo niente da dire se non “guardate come sono bravo”: in fondo cattivi artigiani che si credono (e talvolta vengono presi per) artisti.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 13:53 da Carlo S.


Il labor limae sarà pure duro ma è altrettanto appassionante. Rimodellare la proprie idee, correggerle, constatare che ad ogni rilettura lo scritto fluisce meglio aggiungendo, togliendo, sostituendo un sinonimo con un altro, ridefinendo un soggetto, accorgendosi di una ripetizione. Ribadisco: il labor limae sarà pure duro ma è fonte di tante soddisfazioni.

@ Maria Lucia
“In un mondo e in tempo in cui tutti bramano e scalpitano per avere la patente di scrittore e sapendo appena tenere la penna in mano si arrogano il titolo di poeta”
@ Carlo S.
“in fondo cattivi artigiani che si credono (e talvolta vengono presi per) artisti.”

Quanto avete ragione. Proprio qualche giorno fa discutevo con un’amica di astrattismo e arte contemporanea esprimendo le mie perplessità su coloro che bramano e scalpitano per raggiungere il titolo di “artisti” senza avere capacità alcuna, né ispirazione, bensì con il solo fine di sentirsi gratificati e definiti dal prossimo come pittori, musicisti, scrittori, poeti, ecc.
Questi artigiani hanno una fiammella d’orgoglio (come tutti noi) che troppo s’alimenta e sfocia in un falò di vanità.

Ricambio il saluto di Sozi (anche se non capisco cosa ho fatto per meritarmi il titolo, addirittura, di gentiluomo) ;)
Saluto anche Massimo, che ogni tanto mi saluta su altri blog ed io maleducatamente non ricambio mai.

P.S.: @ Maria Lucia
nome de plume de… Jean de Luxembourg roi de Bohème ;)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 15:20 da Jean de Luxembourg


Mi viene da pensare a un paio di cose leggendo le domande….
La prima cosa è che mi viene da pensare è che c’è grossa differenza tra “Scrittura” e “Letteratura”. La prima appartiene a chi sente il bisogno di scrivere, a chi ama farlo ed è forse quel lavoro di artigianato che regali a Natale o che tieni per te. Quelle buone cose (a volte di pessimo gusto) che accetti per il valore che hanno in sé, fregandotene delle sbavature e delle imperfezioni, perché quello che conta è il valore simbolico che hanno.
E poi c’è la Letteratura, e quella è Arte. Quell’opera che anche se non ne capisci niente rimani lì a guardarla e te la porti dietro, forse per quella pennellata o quella frase che resta in testa. Magari per quel personaggio che senti che ti appartiene, perché la Letteratura ha carattere universale e parla anche un po’ di noi, oltre che per noi. E penso che il resto venga da sé, a ogni artigiano e a ogni artista servono gli attrezzi del mestiere, un’idea ha bisogno di strumenti per prendere forma e anima. Tutti abbiamo pensieri altissimi (e a volte infimi) ma non tutti riescono a raccontarli a renderli immortali. E per quel riguarda trucco o ispirazione… non penso che uno escluda l’altro. L’ispirazione è la scintilla, il trucco il combustibile che la alimenta ma bisogna fare attenzione che il trucco sia buono, che metta in risalto e non copra, che non renda volgare qualcosa che sarebbe migliore acqua e sapone.
…. e detto questo torno a fare la scribacchina anche perché la pioggia mi rende logorroica.
Buona giornata a tutti :)

(mi firmo Lala così inflazioniamo meno il nome)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 15:27 da LaLa


Colui che scrive si appropria in maniera autonoma del linguaggio, non lo usa in maniera puramente passiva, ne riscopre l’autentica vocazione comunicativa frutto di un continuo sforzo vivo mirante ad usare la parola in modo nuovo e personale, anzichè secondo schemi già precostituiti.
Lo scrittore dovrebbe saper usare la lingua in maniera non ripetitiva: accostare le parole con calcolo studiato, a completamento di un innato talento creativo, rivelandone tutto l’insospettato spessore.
Egli libera la parola, che nella comunicazione quotidiana appare spesso imprigionata nelle maglie di una frase fatta o di un luogo comune.
Sacrificio, sforzo continuo, osservazione prolungata sono fatti che distinguono lo Scrittore dall’Artigiano della parola, dal pedestre imitatore, dallo zelante ossequiatore di usi e costumi imposti anche se può purtroppo accadere che, per ragioni note, a volte questi ultimi appaiano favoriti.

Maria Luisa Papini Pedroni

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 16:06 da Maria Luisa Papini


Non dimentichiamo che la letteratura è soprattutto invenzione, raccontare storie, creare trame, situazioni e personaggi avvincenti. Il lettore vuole prima di ogni cosa che gli si raccontino belle storie. La prima dote che uno scrittore deve possedere è l’originalità, la fantasia. In poche parole deve saper creare, modellare la propria Arte e renderla creatura unica, lontana da altri modelli. Poi deve anche possedere gli strumenti di lavoro ovvero conoscere l’utilizzo della parola scritta, le regole sintattiche e grammaticali, l’affabulazione, dosare con giusto equilibrio descrizioni e dialoghi (e questo è più un lavoro di artigianato). Ma senza la materia prima (la fantasia) si rischia solo di scimmiottare questo e quello.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 18:01 da Salvo zappulla


Mi viene in mente che qualche tempo fa in un intervista (per una rivista di un associazione culturale di Ravenna) alla domanda su cos’è la scrittura risposi che è un grande atto d’amore verso l’umanità. Almeno per me. La spinta più seria e più profonda per la scrittura è la gratuità. In questo senso scrivere è un atto d’amore: perchè lo si fa gratuitamente, senza aspettarsi niente in cambio (almeno così, finora, è stato per me). Sono contenta di condividere con voi la mia esperienza.
Ed un salutone grande grande a Maria Di Lorenzo che ho visto che prima è intervenuta!

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 18:04 da Elisabetta


Finalmente viene in questo blog citato Alberto Bevilacqua,anche se incidentalmente,e trasversalmente,eppure io lo ammiro come uno dei grandi contemporanei,indiscutibilmente il massimo del mio ideale di stile,di tematiche e di ideali.
Ma cosa aspettiamo a invitarlo qui?
massimo,appena ti riprendi provvedi se puoi,oppure ci provo io.
a rileggerci presto.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 18:23 da maria gemma


@nome de plume de… Jean de Luxembourg roi de Bohème
così cantava Vinicio Capossela qualche anno fa in “Che coss’è l’amor”:
“… son monarca e son boemio – se questa è la miseria (? il labor limae ?) – mi ci tuffo con dignità da rey”
:-)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 18:38 da Carlo S.


evviva chi scrive e non ambisce a fare lettertura. Simenon scriveva, non immaginava certo di finre nei “Meridiani”. MS

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 18:43 da mariano sabatini


scrivere per comunicare.
perché si ha una storia da raccontare, e viene naturale condividerla.
perché si hanno i mezzi per farlo, perché le parole sono amiche.
t.i.t., davvero.
senza una storia, senza la capacità di narrarla e senza la fatica di renderla intelleggibile non si va da nessuna parte.
e la letteratura alla fine è un fatto accidentale. qualcosa che succede mentre si scrive.
succede, e secondo me è difficile che la si possa creare a freddo.
sono d’accordo con sabatini.
meglio un onesto scrittore che un aspirante letterato.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 19:46 da gea


Chi scrive e non fa Letteratura non scrive.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 20:41 da Sergio Sozi


giampaolo rugarli fa una distinzione tra letterato e narratore, un narratore informa il lettore che il cielo è plumbeo, il letterato trae sputo da quello per fare della poesia, spesso a buon mercato. MS

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 22:04 da mariano sabatini


Insomma il narratore, secondo Rugarli, sarebbe una via di mezzo fra il giornalista di cronaca, il diarista ed il paesaggista; mentre il letterato scriverebbe cose spesso inutilmente travalicanti la realta’. Allora mi tengo i giornali, almeno e’ possibile alzare gli occhi al cielo e rispondere: ”Si’, e’ cosi”’ oppure ”No, dice fesserie”. Un tantino limitato limitante, come orizzonte, questo.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 22:23 da Sergio Sozi


Jean,
”Luigi di Lussemburgo, Re di Boemia” mi sembra nobiluccio come attributo…
Ciao, caro

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:05 da Sergio Sozi


In sostanza, quanto sovrascritto da Salvo mi sembra perfetto:
”Non dimentichiamo che la letteratura è soprattutto invenzione, raccontare storie, creare trame, situazioni e personaggi avvincenti. Il lettore vuole prima di ogni cosa che gli si raccontino belle storie. La prima dote che uno scrittore deve possedere è l’originalità, la fantasia. In poche parole deve saper creare, modellare la propria Arte e renderla creatura unica, lontana da altri modelli. Poi deve anche possedere gli strumenti di lavoro ovvero conoscere l’utilizzo della parola scritta, le regole sintattiche e grammaticali, l’affabulazione, dosare con giusto equilibrio descrizioni e dialoghi (e questo è più un lavoro di artigianato). Ma senza la materia prima (la fantasia) si rischia solo di scimmiottare questo e quello.”

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:08 da Sergio Sozi


Ne sono quasi certa : scrivere: un libro è un po’ come dipingere un quadro, il creativo ha bisogno della terra per generare i suoi frutti, come l’artista della tecnica per portare alla luce il suo risultato. Quindi la bilancia dovrebbe equilibrarsi nella sua polarità e cioè le idee da una parte ed il modo per tirarle fuori dall’altra.
E’ evidente che la nostra epoca, senza voler andare alla forsennata ricerca del soggetto storico ed ingaggiare contro di esso una battaglia di valori, ha dato ampio spazio alla tecnica e quindi alla tecnologia alla quale, sorpassando le idee dell’uomo, non importa granché del pensiero filosofico e quindi della ricerca esistenziale che, come ad esempio la memoria del pensiero classico, getta le basi alla struttura delle stesse civiltà.
O.k. è così e mi riferisco ai best seller che spopolano il pianeta con le loro vendite, non all’artigiano che di per sè (lo dice la parola stessa) non può creare manufatti di serie in quanto l’oggetto fatto a mano è unico ed è bello, a volte proprio per le sue impercettibili “imperfezioni”. Alla fine quel che conta è la sua unicità.

I critici importanti si chiedono soltanto se il macchinario impegnato seriamente nel progetto economico abbia avuto la possibilità di occuparsi di arte.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:11 da Rossella


@ Sergio
Hai ragione, ma bisogna ricordare che anche il materiale che ognuno possiede è importante. Se ti sei occupato di molti campi ed hai avuto l’oppotunità di leggere molti libri qualitativamente “giusti” avrai modo di elaborare in maniera più ampia le tue idee, la tua stessa ottica avrà prospettive diverse anche nel modo di esprimersi, cioè la cultura non è un optional. Ciao

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:22 da Rossella


Vi ringrazio tutti per i commenti fin qui pervenuti.
Un ringraziamento particolare a Mariano Sabatini per essere intervenuto e a Maria Lucia il validissimo aiuto.
(Maria Lucia… torna).

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:34 da Massimo Maugeri


Purtroppo sono ancora un po’ spossato, domani conto di intervenire con più lena e di interagire con molti di voi.
Intanto l’occhio mi è caduto sullo scambio di vedute tra Sergio Sozi e Mariano Sabatini in merito alla differenza tra letterato e narratore.
E mi viene da domandare: che differenza c’è – se c’è differenza – tra letteratura e narrativa?
Io dirò la mia domani.

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:37 da Massimo Maugeri


C’è una cosa che ci tenevo a precisare.
Le due interviste che ho inserito sul post sono particolarmente “snelle” (sia come domande che come risposte).
Ma ce ne sono di molto più articolate.
Ce n’è una terza intervista che vi piacerebbe leggere (a sbafo)?
Dite…
Nell’eventualità chiederò il permesso a Sabatini e a Nutrimenti.

Nel commento successivo riporterò l’elenco degli intervistati (tra cui figura anche l’ottima Elisabetta Bucciarelli, intervenuta qui sopra. Ciao Elisabetta).

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:39 da Massimo Maugeri


La vendemmia di Enrico Brizzi
La patologia di Lidia Ravera
L’avventura di Eraldo Baldini
Le piaghe di Diego Cugia
La chiarezza di Giorgio De Rienzo
Le alterazioni di Sandrone Dazieri
Il quadrifoglio di Isabella Bossi Fedrigotti
La danza di Ivan Cotroneo
La naturalezza di Bianca Pitzorno
Il dovere di Domenico Cacopardo
Le riscritture infinite di Michael Cunningham
Il falò di Andrea Vitali
La stanza chiusa di Melania G. Mazzucco
L’improvvisazione di Gabriele Romagnoli
Le tracce di Elisabetta Rasy
La musica di Marta Morazzoni
Il gioco di Romana Petri
La funzione corporale di Chiara Gamberane
Il viaggio di Gianni Biondillo
La ritrosia di Valerio Evangelisti
L’arco di Nico Orengo
L’aspirapolvere di Franco Matteucci
La bella pagina di Valeria Parrella
La cantata di Pietrangelo Buttafuoco
La verticale di Lorenzo Beccati
Il bioritmo di Marcello Fois
La severità di Alessandro Perissinotto
Il bel sogno di Alda Teodorani
I dizionari di Ben Pastor
Il gioco perfetto di Claudio Camarca
Il fatalismo di Ian Rankin
Le illuminazioni di Giampiero Rigosi
La vergogna di Ferdinando Camon
Lo scoramento di Matteo B. Bianchi
Il coraggio di Valeria Parrella
Il tempo lungo di Elena Ferrante
Lo scheletro di Jeffery Deaver
La parola unica di Cinzia Tani
La serendipità di Giuseppe Genna
I sogni di Nino Filastò
La depressione di Antonio Pascale
Il saccheggio di Danila Comastri Montanari
L’insicurezza di Isabella Santacroce
L’appetito di Chiara Zocchi
I tagli di Elisabetta Bucciarelli
La tangente di Alessandra Farkas
L’intensa ripulitura di Joe R. Lansdale
I cerchi concentrici di Giuseppe Conte
La leggerezza di Lucia T. Ingrosso
L’alambicco di Sandro Veronesi
La prestidigitazione di Barbara Alberti
Le passeggiate di Federico Moccia
Quando scriveva Oriana (con le bombe nelle orecchie)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:42 da Massimo Maugeri


Dunque… c’è una terza intervista che vi piacerebbe leggere?
Fatemi sapere.
(Naturalmente… la maggioranza “sceglie”!)

Postato mercoledì, 4 giugno 2008 alle 23:44 da Massimo Maugeri


Mi piace il modo con cui Mariano Sabatini presenta queste testimonianze.

A proposito di questi temi, sto leggendo un saggio di Luigi Malerba, scomparso neanche un mese fa, dal titolo “Che vergogna scrivere”, edito nel 1996 (Arnoldo Mondadori), una miniera di riflessioni sullo scrivere con la verve corrosiva tipica del grande autore del Gruppo ‘63.

Visto che si è parlato anche del rapporto tra lo scrittore e i suoi libri, ecco cosa dice Malerba:
“Ci si stupisce talvolta se un autore dimentica i propri libri o ne parla con sufficenza e distacco come se appartenessero ad altri. In realtà il distacco dai propri libri è salutare perchè evita il rischio di conformarsi alla propria opera (ogni libro è un modello), di diventarne il vicario e in qualche caso la vittima. Questo distacco è, prima d’altro, un espediente del mestiere, una necessità per sgombrare il terreno dove si vuole far sorgere una nuova impalcatura.”

Riflettendo sul punto di vista di Malerba, mi pare debole l’accostamento (sia pur accattivante) tra la produzione di un libro e la generazione di un figlio. E’ un paragone che era venuto in mente anche me- detto per inciso quest’anno mi appresto a una doppia “paternità”, primo figlio a luglio e romanzo d’esordio in autunno-, ma credo che già giusto, per l’autore, considerare conclusa l’avventura del suo libro con la pubblicazione, mentre per un figlio,insomma, la nascita è solo la partenza dell’avventura, e non ti consentirà mai un distacco, anche quando tuo figlio sarà un adulto fatto e finito.

Complimenti a Mariano e un caro saluto a Massimo.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:06 da Paolo Cacciolati


Ah, mi incuriosice quello che dice Rigosi, che ho conosciuto qualche tempo fa, e che, come suggerisce il cognome, è molto rigo(ro)so..;-))
Buona notte.
Paolo

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:11 da Paolo Cacciolati


@ voi tutti: grazie degli interventi… reduce da una giornata pienissima, ora cerco di meritarmi il “ruolo” di co-conduttrice…
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:34 da Maria Lucia Riccioli


Un po’ off topic ma riporto perché interessante e perché è stata sollevata una minidiscussione sulla scrittura creativa…

Un’interessante intervista allo scrittore Kureishi sul Guardian riporta il punto di vista dell’autore sulla scrittura creativa:
“Quando insegno scrittura creativa agli studenti, al termine scrivono meglio ma sono anche più infelici. Il fatto è che le aspettative sulla scrittura creativa sono sbagliate e in un certo senso ingannatorie. Si pensa che una carriera come scrittore sarà inevitabile, una volta concluso il corso. E’ una fantasia e quasi nessuno degli studenti diverrà uno scrittore di successo. E’ ingannatorio usare contemporaneamente le parole corso e creativo.”

Kureishi infine ha concluso: “Ogni volta che mi alzo la mattina e vado alla scrivania, mi chiedo: Perchè lo faccio? Dovrei suicidarmi.”

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:51 da Maria Lucia Riccioli


A Paolo Cacciolati: auguri per la doppia paternità e grazie dell’intervento… Il paragone con la filiazione nasce spontaneo ma certo le due esperienze sono totalmente diverse. Sicuramente c’è in entrambi i casi la sensazione di aver generato qualcosa che è senza dubbio parte vera e profonda di noi pur essendo altro da noi. Questo naturalmente se si fa vera letteratura e non se si punta al mercato o si è insinceri.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:54 da Maria Lucia Riccioli


I titoli delle interviste sono già belli in sé, come avete potuto notare. Evocativi e tutti rimandanti alla scrittura oltre che a risuonare per se stessi e a rimbalzare come echi l’uno sull’altro.
Io ho un debole per la Mazzucco quindi voto…
Massi, ci stai provando a fare un nuovo certamen anche dentro un post?
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 00:57 da Maria Lucia Riccioli


Rossella, bella l’idea della polarità.
In effetti lo scrittore oscilla tra due poli opposti e complementari.
Bene anche quando dici che arte e artigianato mal si conciliano con tecnica e tecnologia se queste non sono a servizio dell’idea da veicolare ma si fanno struttura e schiacciano tutti quello che dovrebbero invece sorreggere…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:01 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Elisabetta e grazie! Sottoscrivo quello che dici di Mariano…
Grazie anche a Chiara – sarebbe interessante leggere il punto di vista di editor ed editori… che devono essere abili, intelligenti e devono saper fiutare secondo me storie stili scrittori…
Luca Gallina, grazie anche a te. L’idea di Mariano – il “trucco” – è intrigante perché davanti ad una pagina perfetta pensiamo tutti che sarebbe meraviglioso poter penetrare il segreto che ne ha permesso la costruzione, che spesso sembra avere del miracoloso, appare come se partecipasse di un che di “sacro”. Un’epifania. Invece poi entriamo nell’antro dello scrittore alchimista, del poeta mago, e tra alambicchi e storte scopriamo che anche lui si fa venire i suoi bravi mal di testa, ascolta musica house o classica, sgranocchia oppure digiuna, passeggia, naviga mentre scrive, telefona… Umano, troppo umano? No, perché il momento profondo, l’idea, il guizzo della fantasia di cui parlava giustamente Salvo rimangono qualcosa secondo me di inspiegabile.
Altro naturalmente sono i trucchi comerciali, le furbate per vendere, le millanterie di certe scuole di scrittura che a volte speculano sulla vanità di vedere il proprio nome su una copertina…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:11 da Maria Lucia Riccioli


A Maria Di Lorenzo: salve! Le chiedo: qual è la sua intervista preferita? Bella la sua idea di “zona d’ombra” che Mariano contribuisce a fugare… Qual è la “zona d’ombra” che i libri di Sabatini tentano di illuminare?

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:14 da Maria Lucia Riccioli


ALBatrodei7mari:
Talento vero (è [parte del]la tua personalità), Ispirazione necessaria (volontà di essere attraversato da un fatto in diretta, da un ricordo, da una lettura – più che altro si tratta di TOGLIERE, escludere), Tecnica acquisita dai veri maestri, con lo studio prevalente delle loro opere, biografie e critica, a volte anche di loro scritti o manuali, non sempre.

Mi hai fatto ridere… Facciamola tutta e diciamo TITS (tette…). Io aggiungerei S come Scrivere Sempre, Studio, Silenzio (per scrivere, per leggere, per pensare).

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:18 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Carlo!
Artista e artigiano non coincidono, è vero. Hai ragione anche nel dire che la tecnica pur virtuosistica non basta se non si hanno delle cose da dire, se non c’è l’urgenza del narrare. Il mondo può fare a meno dell’ennesimo parallelepipedo di carta e l’Amazzonia è felice una volta tanto di prendere fiato. Scrivere è necessità, a volte sofferenza e dolore, non gratuito gioco di parole seppur abilissimo.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:23 da Maria Lucia Riccioli


Ciao, Rossella,
ogni professione, son d’accordo con te da sempre, abbisogna delle sue specifiche conoscenze. Dunque non credo che ogni uomo sia uno scrittore inespresso e potenziale piu’ che non un medico o un operaio inespresso e potenziale. Dunque la Letteratura non e’ la Madre dell’umanita’, una divinita’ sovrintendente come anche presente in ognuno, ma e’ una professione come le altre. C’e’ chi la sceglie e ci campa o si arma per camparci, chi no e dunque la ”usa”, ovvero compra i libri e se li legge. Poi ognuno e’ libero di scrivere, a casa sua, ma cio’ non significa che dopo tre mesi che scrive si sente gia’ scrittore professionale e vuole pubblicare. No, no, proprio no. Le vie di mezzo tra l’impegno completo di una professione e la fruizione della professione non mi piacciono, quando pretendono di acquisire una professionalita’ che sia inesistente, le reputo comode e veterosessantottesche. O si e’ letterati-scrittori o si leggono i libri e si scrive per se stessi e gli amici, i familiari. Ma credere che leggere tre libri all’anno senza studiare la grammatica, senza saper coniugare i verbi o fare una concordanza, o distinguere un accento da un apostrofo, ci dia la legittimazione di sentirci dei Proust…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:34 da Sergio Sozi


Pour le roi de Bohéme: chapeau!
LaLa: potremmo disquisire per ore su cosa sia la scrittura e cosa sia la letteratura. Io però non le contrapporrei. Direi invece che ci sono tanti livelli diversi: un bimbo scrive la letterina a Gesù Bambino, le mie alunne riempiono diari di tvb e cuoricini, scriviamo tutti sms mai lettere liste della spesa poesie che hanno significato e valore soprattutto per noi. Poi c’è la scrittura che si eleva ad arte (dai, compongo anche io un acrostico: Amore, perché devi amare quello che fai, specialmente scrivere, Rispetto per te stesso, la storia che racconti e chi ti leggerà, Tecnica, che include tante Tantissime cose: lettura, studio, appropriazione dei mezzi degli strumenti di tutto ciò che serva a costruirsi quella che Stephen King chiama la cassetta degli attrezzi, Elevazione, non nel senso che dobbiamo attribuire all’arte una funzione pedagogica, ma nel senso più spirituale del termine: scrivere deve essere un continuo miglioramento una continua crescita innanzittutto per chi pratica la scrittura, poi chi ti legge deve uscir fuori dalle tue pagine cresciuto maturato diverso. Trasformato. Trasmutato, in senso alchemico, nel senso di mutato nella forma, nella sostanza. E questo solo la grande arte può farlo, con buona pace degli scribacchini…).

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:34 da Maria Lucia Riccioli


Maria Luisa Papini Pedroni: concordo… però vorrei che intendessimo artigiano nel senso migliore del termine. Un prodotto artigianale è curato, non è fatto in serie e rispecchia chi lo ha costruito, ne porta l’impronta personale. Altro sono i prodotti industriali, seriali, spesso senz’anima…
Il vero artigiano è come il ciabattino, che pianta i chiodi sulle suole perché la scarpa non si slabbri per strada – i chiodi della trama – , che ha cura di tomaia lacci cuciture e infine lucida con fiato e pezza. Non è arte ma ci va molto vicino.
Gli zoccoli fatti in serie si spaccano al primo acquazzone.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:39 da Maria Lucia Riccioli


Elisabetta: vedo che concordiamo sulla scrittura come atto d’amore. Vero è che spesso si può scrivere anche per rabbia vendetta per calcolo per hobby o per noia. Ma la vera scrittura è dono di sé, quindi amore.
Maria Gemma: che Massimo ti ascolti!!!
Mariano, credo che tu intenda per letterato chi fa “bella scrittura” senza magari aver niente da dire. Comunque concordo col tuo pensiero: intanto scriviamo perché ne abbiamo bisogno, necessità, perché amiamo farlo. Non pensiamo ai premi, a fare letteratura, anche perché tutto questo ci renderebbe poco spontanei e potrebbe addirittura bloccarci. La Allende ai suoi allievi suggeriva di pensare a scrivere un brutto romanzo. Ma di scriverlo. Perché se si pensa di iscrivere il proprio nome nell’albo del Premio Nobel, di dare alle stampe il libro del secolo, non si scriverà mai.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:46 da Maria Lucia Riccioli


Marilu’,
la scuola di scrittura migliore che io abbia in casa e’ costituita da un libro, il manuale d’Italiano di Umberto Panozzo del 1962, e dalla mia fantasia. I sentimenti, poi, indispensabili, li raccolgo da chi amo e mi ama, oltre che da Dio e dalla Natura. Dunque le scuole di scrittura creativa sono, spesso, delle pagliacciate – soprattutto considerando che molte accolgono tutti, anche chi non abbia le basi: se uno non sa mettere manco le virgole al posto giusto, che imparerebbe a ”creare” a fare, per divulgare la sua ignoranza? Non abbiamo visto che la meta’ dei cosiddetti ‘’scrittori” di oggi e’ incapace di costruire dei periodi complessi e appena va oltre la proposizione principale si perde e mette il punto? Questa sarebbe la ”creativita”’?
Mica dico che dobbiamo costruire castelli barocchi per prendere in giro con artifizi retorici i lettori, no, certo, ma un minimo di sguardo storico e di consapevolezza delle proprie capacita’ e dei propri studi serve! Altrimenti siamo tutti scrittori. E questo e’ solo falso.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:52 da Sergio Sozi


Brava Gea, concordo…
Sergio: credo che Mariano voglia distinguere il vero narratore, il vero scrittore dal “letterato” nel senso di colui il quale fa scrittura puramente esornativa. C’è Letterato e letterato insomma: pensiamo alla nostra storia letteraria, a tutti quei versificatori magari epigoni dei grandi che ne scimmiottavano argomenti toni stile o che mettevano la propria penna a servizio di mecenati più o meno larghi di borsa… Proprio da questo tipo di scrittori venne la definizione dispregiativa di “letterato”, di penna per tutte le stagioni, di scrittore sì abbastanza padrone di tecnica ma non grande né particolarmente profondo o valido.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:54 da Maria Lucia Riccioli


Se parliamo, invece, di ”amore”, credo che tutti amino qualcosa o qualcuno, qualche volta. Pochi pero’ lo sanno esprimere agli altri. Gli artigiani. Tant’e’ che il dizionario etimologico DELI Zanichelli, pone il lemma ”artigiano” sotto al lemma ”arte”. La discussione quindi mi sembra azzerata.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 01:58 da Sergio Sozi


Sergio: creatività e arbitrio non sono certo la stessa cosa. E sicuramente per infrangere le regole bisogna conoscerle. In questo senso “letterato” ha un’accezione positiva: colui che pratica la letteratura con competenza e consapevolezza è un vero scrittore. Ma vero è che la scrittura come la lettura appartengono a tutti. Se tutti poi siano degni di pubblicazione è un’altra storia. Appunto.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:02 da Maria Lucia Riccioli


Certo, Marilu’,
ma mi sembra che oggi questa specie di ”pedanti” si sia estinta nel mare magnum dei dilettanti semianalfabeti. Serve dunque combattere questa gente che esiste, non quella che non esiste piu’. Evitiamo i mulini a vento: dove stanno nel Duemilaotto gli imitatori di Dante o Manzoni? Chi scrive piu’ poesie serie in rima, se non ragazzetti che si esercitano a scuola – e manco li’ purtroppo? Dov’e’ questo fantomatico ”letterato vuoto”, oggi, Marilu’? Io non lo vedo, ditemelo voi che lo combattero’ certamente.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:02 da Sergio Sozi


La Letteratura appartiene a chi va in biblioteca o paga un libro, lo compra. Non a tutti. Niente appartiene a tutti, mai, solo la vita.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:05 da Sergio Sozi


Tanti sono i chiamati, pochi gli eletti… tutti possono scrivere ma non a tutti è dato il talento e non di tutti è la pertinacia la tenacia la capacità di portare avanti spesso per decenni un lavori su un testo.
La discussione arte/artigianato ci porterebbe lontano. La distinzione deriva dal fatto che l’arte porta con sé forse un maggiore elemento di spiritualità, una maggiore dose di irripetibilità, un valore aggiunti di “creazione” difficilmente quantificabile e ritenuto a volte inarrivabile. L’artiguanato è onesta professionale competenza e consapevolezza che può assurgere ad arte.
Se pensiamo al latino ARS – ars longa, vita brevis… com’è vero per la scrittura e per qualsiasi arte… – e pensiamo che è una parola legata al mestiere, alla padronanza delle tecniche e delle strategie di una professione – ars militaris ma anche ars amandi! – le nostre opinioni non divergono.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:10 da Maria Lucia Riccioli


Gia’: in soldoni ‘’saper fare le cose”, sia che ”le cose” siano la guerra, sia che siano i sentimenti o altro, Ovidio docet, come dicevi tu. Insomma, se non sai i modi dell’applicare (techne’) non sai neanche l’origine dei sentimenti, anzi non conosci proprio la radice profonda dei sentimenti, perche’ quanto e’ vero che la reale ”prova del nove” di un amore sta nella sua durata, tanto e’ vero che chi sappia rendere con le parole la complicatezza dei nostri sentimenti conosce meglio i nostri sentimenti, o almeno i suoi propri. Non credo nei riassuntini alla Coelho e penso che tante parole siano servite a Ungaretti per giungere a quei suoi magnifici e lapidari concentrati di bellezza, rigore e senso.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:20 da Sergio Sozi


Ma se scrivere una poesia di dieci versi ”alla Ungaretti” e’ possibile, non e’ invece possibile scrivere un romanzo o perfino un racconto lungo in questo modo, con questa tecnica del ”concentrare e selezionare”. Serve dunque la prosa d’ampio respiro, bella, densa e colma, piena, fantasiosa e intima… servono molte parole, per fare la prosa.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:23 da Sergio Sozi


Tanto per provare a rispondere alla domanda di Massimo, cioè se esista una distinzione tra letteratura e narrativa, potrei portare l’esempio di Remo Bassini. Remo è un narratore, nel senso che racconta storia, magari quelle della provincia profonda che gli è tanto familiare e credo cara. Remo è anche e soprattutto un giornalista, un cacciatore di storie per autentica vocazione. E quando scrive, racconta, non fa “letteratura”, nel senso che non gli interessa la “bella scrittura”. Ciò non significa che Remo non faccia letteratura nel senso migliore del termine. Anzi. La sua bravura sta nel non mostrare i trucchi, la vera perizia, la tecnica, l’ARS, l’arte di Remo è quella di scrivere senza orpelli, senza compiacimenti. Risultando però poetico e consumato narratore nonostante l’apparente semplicità.
La sua scrittura è all’opposto, ad esempio, rispetto a quella sontuosa della Mazzucco. Altre scelte. Ma possiamo dire che la Mazzucco non sia una narratrice, visto che la sua pagina è sempre letteratissima – attenzione ai valori fonici delle parole, richiami e rimandi intertestuali ricchissimi, metafore… – ?
La Mazzucco ci racconta storie. Quindi anche lei è una narratrice. Scrittori entrambi, Remo e Melania. Con scelte gusti contenuti diversissimi è vero. Ma scrittori entrambi. Non credo che si possa dire che lui è un narratore e lei una letterata.
Ho interpretato bene il senso della tua domanda, Massimo?
Buonanotte, goodnight and goodbye…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:26 da Maria Lucia Riccioli


Buonanotte, Maria Lucia.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:38 da Sergio Sozi


P.S.
Bassini non l’ho letto, ma in genere la prosa ‘’scheletrica” mi sembra solo incompleta, inesaustiva e sovente ambigua. Questione di scelte e di gusti.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 02:42 da Sergio Sozi


remo bassini è un ottimo scrittore. secondo me tra i migliori in questo momento. gusti, senz’altro.
dietro la semplicità a volte c’è più studio, più spietato lavoro di lima, che dietro certi barocchismi che si vedono in giro.
il punto è che secondo me ognuno alla fine scrive come è. scarno o ridondante, secco o ornato, ogni periodare è figlio di una serie unica di sinapsi. le forzature traspaiono, e rendono sgradevole la lettura.
qui non si parla di chi non sa scrivere; diamo per scontato che grammatica sintassi punteggiatura siano la base minima su cui lavorare.
uno scrittore valido è colui che riesce a trasmettere sensazioni e atmosfere, ad evocare immagini. a condividere con il lettore una sua idea di quello che sta narrando.
a dare emozioni.
e l’intensità non si valuta dal numero di aggettivi.
il titolo di letterato uno se lo guadagna sul campo, e gli viene dato da chi lo legge. spesso a posteriori. a meno che non lo intendiamo nel senso di dotto cultore delle belle lettere, ma per assurdo a questo punto la narrazione è un optional.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 06:46 da gea


moto interessante.però a me l’eccesso di svisceramento della genesi delle opere….lo scrittore è un mistero, a me piace che rimanga anche un pò tale(lo scrittore vero credo sia un pò un mistero anche a se stesso)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 08:48 da laura


(scuole di scrittura, tecniche, ecc…per me, in modica quantità….).
Qualcuno aveva dettoc he lo scrittore ogni giorno si immerge in un pozzo , il pozzo della sua ispirazione.
Trovo più emozionante leggere un libro come ‘Lune di miele’ dove Chuck Kinder fa un meraviglioso ed emozionante ritratto del suo amico Carver, quello si’.
O Fitzgerald visto attraverso Zelda.O Mc Inerney visto di striscio ne romazo del dioscuro Easto Ellis.
Svisceramento di tecniche e trucchi….in modica quantità

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 08:52 da laura


@ Segio Sozi
Jean,
”Luigi di Lussemburgo, Re di Boemia” mi sembra nobiluccio come attributo…
Ciao, caro

E’ Giovanni di Lussemburgo, ;) Re di Boemia (morto nel 1346). Effettivamente, ora che mi ci fate pensare, è un attributo un po’ nobiluccio ma necessitavo di un nick e il personaggio mi piaceva particolarmente.

“Ma credere che leggere tre libri all’anno senza studiare la grammatica, senza saper coniugare i verbi o fare una concordanza, o distinguere un accento da un apostrofo, ci dia la legittimazione di sentirci dei Proust…”

Quanto è vero.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 09:34 da Jean de Luxembourg


Distinguere tra narrativa e letteratura… non saprei dove mettere lo spartiacque, ho sempre pensato che la letteratura spetta alla storia, ai posteri: i romanzi che sopravvivono nel tempo, dopo che uno scrittore è morto, quelli costituiscono la letteratura. Quei romanzi che per primi annunciano un nuovo modo di sentire e vedere le cose, o che sono scritti con l’anima e con il cuore, con la fantasia e la creatività dell’umile artigiano che piano piano costruisce l’opera d’arte, il capolavoro. Il premio Nobel, secondo me, è relativo. Può benissimo venir dato ad un romanzo che, giusto la generazione successiva alla sua, è già dimenticato. E poi mi piace pensare che l’anima di un vero romanzo sono i suoi personaggi. Lo dico sempre a chi mi fa domande di questo tipo: è il personaggio che fa grande un romanzo, non viceversa. Sono Giulietta e Romeo che creano la tragedia di Shakespeare, sono Pierre, Natascia e il principe Andrej che danno vita a Guerra e Pace, e così via.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 10:36 da Elisabetta


Brava, Elisabetta! Io vedo le opere letterarie come delle pietre di un grande edificio che è la letteratura. Magari quella scartata dai costruttori diventa testata d’angolo e quella che faceva da chiave di volta diventa materiale di risulta… In ogni caso l’edificio si costruisce a poco a poco, con gli sforzi di tutti, consapevoli o meno di contribuire a fabbricarlo…
I personaggi a volte, è vero, sono più reali del vero. Ti capita di pensare che non è possibile che la Bovary non sia esistita, che Mena non abbia pianto sotto il nespolo, che Jane Eyre e Rochester e… no, fanno parte di noi, ci hanno arricchiti e resi più umani, loro che non esistono se non nella fantasia creatrice dei loro autori e nella nostra che li fa vivere.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 11:14 da Maria Lucia Riccioli


Jean… poi ci spiegherai perché ti piace questo personaggio…
Laura, hai ragione. Se la scuola di scrittura deve darti i “trucchi” per costruire il perfetto besteller, allora no. I corsi che ho frequentato io sono stati maggiormente una scuola innanzitutto di lettura: ho potuto leggere autori ed opere ai quali magari non mi sarei accostata senza quel particolare suggerimento, quella dritta… E poi mi è stato utile scrivere “alla maniera di…”, non per scimmiottare o copiare, ma per fare mio un particolare stile, un modo di impostare la trama di tratteggiare una scena… per poi tentare di trovare il mio, di modo, la mia, di voce. Cosa più bella: incontrarsi con persone che condividano la tua stessa passione, leggersi reciprocamente, essere incoraggiati, criticati pure, per crescere, maturare, perfezionarsi.
Quello che non va è speculare sul desiderio più o meno legittimoi di scrivere.
L’operazione di Mariano però è altro. Un omaggio pieno di rispetto a chi la letteratura la pratica, al di là di trucchi più o meno riusciti.
Mariano, una cosa che mi è molto piaciuta è la tua attenzione e focalizzazione sui “riti”, sui rituali della scrittura.
Puoi parlarcene?
E poi: dopo l’esperienza dei tuoi due libri, puoi tirare delle conclusioni, azzardare delle ipotesi?
Delle invarianti, delle costanti esistono? O la Musa assume tante forme quanti sono gli scrittori che la corteggiano?

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 11:22 da Maria Lucia Riccioli


Gea, concordo con te. Remo è uno scrittore bravissimo e la sua apparente semplicità è ottenuta faticando davvero. Paradossalmente a volte è più semplice perdersi nei barocchismi che essere oggettivi e referenziali pur non rinunciando all’evocazione, asciutta ma sempre poetica.
Il titolo di scrittore te lo guadagni sul campo. La tecnica, il bagaglio, l’armamentario, la cassetta degli attrezzi devi possederli e non ne puoi prescindere, sia che tu scriva un aforisma di tre righe che una trilogia di 1500 pagine. Spesso il merito e il valore sono riconosciuti a posteriori, ma da quello che ho detto prima non si può prescindere. Scrittore in pectore si può essere anche se non riconosciuti. I libri di Bufalino per anni sono rimasti nei cassetti ma lui scrittore lo era eccome…
Laura, è vero quello che tu dici sul mistero. Come parlare troppo dell’amore non fa benissimo all’amore anche se aiuta ad illuminarne un poco alcuni aspetti, così è della scrittura. Anche se rimarranno sempre a mio parere delle zone d’ombra e il vero mistero della letteratura non potrà essere mai spiegato appieno. Un classico perché è un classico? Cosa fa un besteller tale? Perché sembra che tute le forze della storia e dell’iummaginazione si convoglino in un’oprra d’arte talmente tanto da farle divenire l’emblema di un’epoca e il suo paradigma? Non tutto può essere spiegato con i vari metodi storici, sociologici, strutturalistici… Rimarrà sempre qualcosa di misterioso che farà sì che biografia di un essere umano, storia politica economica sociale, modelli stili e mode letterarie collidano e trovino la loro espressione il loro rispecchiamento la loro alchimia in un’opera d’arte, frutto della fantasia, dell’imaginazione, della volontà, dei sentimenti, di tutto quello insomma che è spiegabile sempre fino ad un certo punto. Alla soglia del misdtero ci si ferma, volenti o nolenti. Sempre.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 11:32 da Maria Lucia Riccioli


@Maria Lucia Riccioli
Grazie! Fortunati i tuoi allievi:sei l’Insegnante di lettere che tutti Noi vorremmo aver avuto al liceo;io per primo.Sono entrato nel tuo sito nel passato e mi sono reso conto dell’amore e cultura appassionata che bisogna avere per trattare di letteratura e scrivere di narrativa, quando si ha talento inconsapevole, forse, ma soprattutto si è in grado di guardare dentro se stessi e gli altri e il passato con uno sguardo profondo, tenace, laborioso, onesto, sincero: perché la creatività è certamente il soffio della narrazione vitale: ma senza sintassi,grammatica,molto leggere,molto scrivere e duro lavoro su Noi stessi: non si va da nessuna parte,forse!
E tra letteratura e narrativa è sic et simpliciter l’humus, il terreno di coltura:perché la narrativa, in buona sostanza, è comunicazione seppur immaginifica, ma sostanzialmente da rappresentare e consumare centellinandola subito: certo, da ciascuna narrazione si svilupperà altra narrazione e non tutti siamo chiamati a riscriverla, peccato però, se fosse veramente così!
E la letteratura quella vera, ragazzi miei se me lo consentite, è la Nostra memoria storica: i valori e i sentimenti seppur contrastanti di tutto il genere umano scolpito nella pietra!
Cosa ne pensi cara Maria Lucia Riccioli?
Un abbraccio non virtuale se me lo consenti, e complimenti per la tua disponibilità resa pubblica a tutti Noi.
Luca Gallina

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 12:36 da luca


P.S. E pensare che i laureati in materie umanistiche degli ultimi vent’anni in Italia, hanno nel cassetto, oggi nella memoria del proprio PC,almeno una decina di racconti brevi di narrativa, il romanzo è fatica vera,poesie psèudo testi di canzoni, e tante velleità e sana aspirazione di notorietà: o la tivvù o la pubblicazione di un loro testo,anche a pagamento, per farne cosa, sapendo che la vanità è effimera,forse!
Quindi il trucco c’è!:ma non sempre si vede.
Luca Gallina

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 12:37 da luca


Grazie a Maria Lucia,a Laura, a Luca, mi sento molto vicina a voi.
E grazie a tutti per questa utilissima discussione. Così la letteratura circola veramente e prende vita, non è solo il rapporto che c’è con un libro

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 12:45 da Elisabetta


Sia arte sia architettura, ovviamente. Però…
Forse l’ho già detto in passato, ma nel libro come nel vino la quantità è nemica della qualità. I primi Wilbour Smith, Camilleri, Pennac sono ben diversi dagli ultimi, e per esempio è impressionante il de-crescendo rossiniano di uno come Faletti.
All’inizio era istinto artistico al 70% e tecnicismo architetturale al 30%, oggi le proporzioni sembrano invertite.
Comunque, più che un lettore a queste domande dovrebbe rispondere un autore, io posso parlare solo a sensazione.
Gluck

p.s. Non ho visto l’opinione nè di Miriam nè di Enrico Gregori. Che ne avete fatto ? :)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 13:18 da gluck


@ gluck: sto meditando prima di scrivere. sennò mi vengono 4 cazzate come le tue
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 13:50 da enrico gregori


@ enrico
Allora starai meditando da una cinquantina d’anni :)
Però, tu che sei un autore si può dire fresco fresco, puoi esprimerti e dire quando hai scritto “Un tè ecc.ecc.” quanto ci hai messo di estro e quanto di tecnica.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 14:06 da gluck


Io non ne farei una questione di definizioni.
La letteratura è l’espressione del cuore umano, della sua memoria e della sua capacità di interpretare il mondo e interpretarsi.
E’ talmente annodata all’uomo e al suo grido di esultanza o lutto sulla terra che può esprimersi e realizzarsi in moltissime forme (tante quante sono le voci che la dicono).
Non dimentichiamo che è letteratura anche quella orale, priva forse di metodo e di riflessione, ma venuta su con la spontaneità di una sorgente dalle cavità della terra, con la stessa intensità e necessità di affiorare. Allo stesso modo è narratore ( e fa letteratura nel senso di interpretazione attraverso le lettere del proprio spirito e dello spirito del mondo) chiunque faccia aderire la forma(sia essa barocca o essenziale) alla natura intima della storia che racconta e alla verità che cerca.
Perchè è vera letteratura – a mio avviso – solo la narrazione che sia alla ricerca di un “senso”.
Se la parola (in qualunque stile sia esercitata) asseconda questo senso, lo rimanda con verità, senza sotterfugi che non siano fini a se stessi, c’è narrazione e c’è letteratura.
Altrimenti c’è uno sterile esercizio, un vacuo errare tra le forme, un impianto anche musicalmente bello, ma inutile.
Sia in Remo Bassini che in Melania Mazzucco c’è amio avviso (con toni e corde diverse) verità e onestà nella ricerca di un significato al mistero di eistere.
C’è passione per l’uomo e per la sua fragilità, per la precarietà della sua condizione.
C’è pietà.
Ecco, in entrambi la parola è funzionale e asservita a queste doti della penna e dell’anima.
Per questo il risultato è perfetto.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 14:08 da Simona


Ordunque, io penso che scrivere non sia esattamente come fare il sugo. Due etti di pomodoro, dieci gammi di sale e via dicendo. Inoltre dipende da ciò che si vuole scrivere. Ma allargherei il discorso fino a dire che, siccome (benché con graffiti) si scrive dall’era delle caverne, nel 2008 è già stato scritto tutto.
Ecco allora che diventa (per me) fondamentale il linguaggio e, inoltre, un linguaggio che faccia “stile”. Che sia, insomma dna dell’autore. La personalità e qualche idea possono rendere “nuovi” dei plot già noti.
Ovviamente il giudizio di chi legge è poi sovrano. Ma, onestamente, credo poco nella tecnica a meno che per tecnica non si intenda tutte quelle componenti “ispirative” che conducono allo stile.
Io per tecnica pura è semplice concepisco solo la sintassi, la grammatica e la punteggiatura.
I tempi, i ritmi, il periodare non è tecnica, ma è stile.
Avere in mente un romanzo da 200 pagine e portarlo a 600 non è tecnica ma, semmai, stratagemma compositivo. Faletti, per esempio, mi fa pensare a questo.
Gluck mi invita a parlare del mio libro. Supero la ritrosia (giuro) e lo faccio. E lo faccio confrontandolo con un libro di Laura&Lory, ossia “New York 1920: il primo attentato a Wall Street”.
Il mio romanzo (come tutti gli altri che ho in gestazione) hanno dei presupposti tecnici nel senso che parlo di metodi, tecniche, atteggiamenti investigativi che sono reali. Li vedo tutti i giorni da anni e li conosco. Non faccio quindi alcuna ricerca. Il resto è tutta fantasia, tra la storia in se e i miei vaneggiamenti.
Laura&Lory, invece, fanno preventivamente o in corso d’opera un grande lavoro di ricerca e di acquisizione di informazioni. E fanno benissimo, perché è doveroso sapere cosa nel 1920 succedeva, cosa si fumava, cosa si mangiava e che musica si ascoltava.
Ma non è tecnica nemmeno la loro, secondo me. E’ semmai, supportare la loro fantasia con il giusto bagaglio. Bagaglio e fantasia per arrivare allo stile. Lo stile di Laura&Lory.
A me, in definitiva, sta bene tutto. Poi scelgo attraverso il gusto. Quello che, a prescindere, non sopporto è il libro in cui l’autore sia “assente”.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 15:25 da enrico gregori


Però e purtuttavia mi hanno dato fastidio le tante noterelle biografiche approssimative & inesatte sugli autori, di sopra,
fan tanto folclore, e non contano nulla,
scusate

MarioB.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 15:48 da cf05103025


Maria Lucia (parlando di Remo Bassini ) dice: “Anzi. La sua bravura sta nel non mostrare i trucchi, la vera perizia, la tecnica, l’ARS, l’arte di Remo è quella di scrivere senza orpelli, senza compiacimenti. Risultando però poetico e consumato narratore nonostante l’apparente semplicità.”
Ecco. Io condivido perchè credo fortemente che uno dei “segreti” dell’arte sia fare apparire semplici e le più naturali possibili anche le cose complicate.
Apparente semplicità.
Mi vengono in mente calciatori eccelsi che non si perdevano in dribbling esasperanti, nella ricrca dell’assist impossibile solo per strappare l’applauso della folla. Insomma, mi viene in mente l’immenso Falcao.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 16:37 da Carlo S.


@ carlo:
scusa, per essere precisi, il DIVINO FALCAO
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 16:45 da enrico gregori


buondì,
saluto tutti e ringrazio gea, simona, maria lucia, carlo s, massimo naturalmente (perché io mi sento debitore con questo blog).
io, come lettore e come scrittore, continuerò, sempre, a interrogarmi su letteratura e scrittura.
preferisco i dubbi alle certezze, per esempio quando scrivo mi domando sempre se la mia scrittura ha qualcosa da dire. ho distrutto racconti, romanzi a metà, e continuerò a farlo.
comunque.
quando ho letto il post avrei voluto rispondere. da toscano caustico, alla malaparte.
io credo che se ognuno di noi avesse due ore al mattino e due ore al pomeriggio in una camera con vista avremmo una certa moltiplicazioni di… talenti?
sulla poeticità della scrittura io dico che il troppo stroppia.
se un libro è infarcito di poeticità quella poeticità si annulla. se invece è ben dosata io credo che riesca maggiormente a lasciare un segno: nella memoria.
e poi, cos’è la poeticità? come si misura?
la valduga dice che de andrè non è un poeta, luzi invece a De André scrisse (vado a memoria), Mi spiace non averla conosciuta prima, ora mi inchino al suo talento poetico.
come scrittore sono alla ricerca di un percorso e sempre lo sarò. anzi, col passare del tempo peggioro.
stamattina un amico scrittore (giorgio bona) mi ha detto, La tua scrittura non è semplice.
ci son rimasto, perché quando riscrivo (scrivere è riscrivere insegnava Pontiggia) cerco di semplificare. E la vera arte è tagliare, diceva Ezio Taddei, scrittore dei poveri.
in parte la mia scrittura è lo specchio di quel che sono io. quando presento i miei libri la gente non si annoia, ma non perché io abbia cose interessanti da dire o dica cose interessanti.
perché cerco di spiegare (bene, se posso) l’essenza.
non amo i brillanti e chi sbrodola.
e poi – e finisco che sto sbrodolando – io penso che uno scrittore non debba mai ascoltare solo gli addetti ai lavori.
sto scrivendo il mio quinto romanzo, che è diverso dagli altri, prima di consegnarlo lo farò leggere a qualcuno, compresa una persona che legge poco da tempo perché deve badare ai suoi vecchi genitori, non più autosufficienti.
se lei non capirà alcuni passaggi io riscriverò: per lei.
grazie ancora a tutti, buona continuazione

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 17:08 da remo bassini


enrico gregori,
ho letto quel che hai scritto di laura e lory. condivido. sono brave, meriterebbero una maggior fortuna editoriale.
ma io credo che la “profondità” non sia solo studio.
io credo che la profondità sia leggere (anche) la vita.
tre anni fa ho interrotto un romanzo. a un certo punto c’era – e non trovavo altre soluzioni – un’ambientazione siciliana.
nulla di storico sociologico, nulla che necessitasse ore di studio.
ma mi mancava il cielo e l’atmosfera della sicilia, erano vent’anni che non ci andavo.
così buttai via, e scrissi La donna…
(ma queste, forse son fisime mie).
ciao enrico

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 17:14 da remo bassini


@ remo:
fisime un cazzo! è così che funziona
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 17:31 da enrico gregori


enrico, sei sempre così poetico, tu.
un abbraccio

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 17:45 da remo bassini


La differenza tra letteratura quella vera e la narrativa la fa lo scrittore ed è così ovvio: che io l’ho capito solo dopo aver letto l’intervento dell’autore Remo Bassini; che ringrazio e mi riprometto di leggere al più presto. Quando si dice che prima di scrivere, il più delle volte, bisogna riordinarsi le idee: mea culpa:povero me!
Luca Gallina

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 17:55 da luca


Grazie, Luca! Troppo gentile… un abbraccio anche a te. Vorrei essere veramente l’insegnante brava che tu pensi io sia. Purtroppo non è facile instillare l’amore per i libri, per la cultura. I ragazzi sono presi e distratti da altro, la scuola cozza contro muri di gomma di famiglie che acquistano e permettono tutto ai figli tranne che trasmettere lro un po’ d’amore per l’arte, la letteratura, la propria città e regione con le sue bellezze… ma non divaghiamo. I problemi sembrano essere i corsi di recupero, non l’analfabetismo dilagante, il vuoto di valori spaventoso che inghiotte la nostra società.
Grazie a tutti invece perché avete fatto notte o mattinata per rispondere ai miei sproloqui…
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:18 da Maria Lucia Riccioli


Remo, un caro saluto e grazie di essere intervenuto.
Apprezzo tanto la schiettezza e verità di Remo Bassini e quello che ci ha scritto lo dimostra. Senza trucchi né orpelli.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:19 da Maria Lucia Riccioli


Enrico: un uomo senza trucchi né orpelli, prendere o lasciare…
:-)
Che cos’hai da dire tu in merito? I tuoi ritmi modi le tue idiosincrasie di scrittura?
Dai, che così Mariano ti inserisce nei nuovi trucchi d’autore…
Mariano, forgive me!

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:24 da Maria Lucia Riccioli


Carlo ciao!
Io non sono una esperta di pallone, mio padre sì. Ecco, un Falcao e un Sivori – giocoliere del pallone, un barocco! – sono grandissimi entrambi pur avendo stili di gioco opposti. C’è chi ricama merletti con la palla, chi sembra un panzer, ma 22 stili diversi fanno la partita, come Mazzucco Bassini Camilleri Proust Vittorini Verga Hugo – che formazione! Perché non facciamo un post tipo “Scegli 11 scrittori + eventuale panchina per formare la nazionaledi letteratura”? Carlo e Gea mi sparano come minimo… – fanno la letteratura.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:29 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Mario B. (un uomo, un nome, un codice fiscale)…
Mariano non ha fatto folklore, non credo, almeno, che fosse questa la sua intenzione… Però la letteratura è anche questo: i trucchi, le ossessioni, le manie degli scrittori, i loro rituali e riti scaramantici… tutti noi siamo curiosi di sapere come lavori uno scrittore che amiamo. Oggi Mariano ha avuto la possibilità di intervistarli e credo di interpretare il suo pensiero dicendo che gli sarebbe piaciuto intervistare autori che non ci sono più. Io chiacchiererei volentieri con le sorelle Bronte, con Flaubert, con i miei conterranei Verga e Pirandello, con Jane Austen tra un tè e un po’ di pettegolezzi vittoriani… le famose interviste impossibili. La letteratura non è solo analisi del testo, ma anche glamour se vuoi, perché è più facile che un non lettore o un lettore debole si accosti alla letteratura grazie all’amo di un po’ di ciattellamenti – lo dico alla genovese come il mio carissimo maestro Salvatore Pupillo – , un po’ di sano folklore, che tramite recensioni o analisi anonime o fredde.
Chissà che leggendo i libri di Mariano non ci si incoraggi a leggere uno scrittore che magari sentivamo distante dalle nostre corde?

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:38 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Enrico, Laura et Lory…
Io credo che uno scrittore, come dici tu, non possa permettersi di essere assente dal proprio libro. Uno scrittore è nel libro che scrive con tutto ciò che sa ma soprattutto con tutto ciò che è. Quando vuole truccheggiare oppure orpelleggiare risulta finto.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:40 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Simona!
Come sempre poeticissima…
Hai fatto bene a ricordarci che l’arte di narrare è nata con l’uomo ed è rimasta orale per secoli, celebrata attorno ad un fuoco, in una comunità che condivideva miti, valori, memorie. Raccontare e ascoltare: due gesti semplici e complessi insieme in cui si compendia la storia di una civiltà, forse DELLA civiltà. L’uomo è homo fabulans per eccellenza: il bambino che chiede la storia della buonanotte, i lunghi inverni, i pellegrinaggi le battute di caccia i combattimenti estenuanti riempiti arricchiti alleviati consolati dal racconto ci appartengono in quanto esseri umani. Poi la scrittura.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 18:48 da Maria Lucia Riccioli


@Maria Lucia Riccioli:ho espresso la mia posizione sul proliferare della vivisezione delle opere, e il trionfo delle tecniche…ma ci tengo a precisare che il libro di sabatini non è questo, come dici giustamente tu.
L’ho letto mesi fa, el’ho trovato molto interessante.
Un caro saluto a tutti gli amanti della letteratura, che passano in questo bel blog.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 19:13 da laura


Ciao Laura!
Un caro saluto anche a te…
Lo spirito vivifica, la lettera uccide. Voglio dire che se vivisezioniamo ciò che amiamo lo uccidiamo. Dovremmo invece coglierne lo spirito, l’essenza.

Una notizia che sembra off topic ma mica tanto: per cinquemila sterline verrà messa all’asta una teca contenente nientepopodimeno che… dei capelli di Jane Austen! Orrore…
Massi, perché non metti all’asta la tua camicina azzurra?
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 19:20 da Maria Lucia Riccioli


Un saluto a Zauberei…
come scrivevi giustamente tu spesso la qualità è nemica della quantità e la mancanza o l’eccesso di tecnica solo deleterie a pari grado.
Mariano, posso chiederti quali sono i tuoi autori preferiti? Chi ti ha fatto maggior piacere incontrare? Cosa hai imparato da questa esperienza?

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 19:25 da Maria Lucia Riccioli


@ maria luicia:
infaticabile e generosissima moderatrice, io ti ringrazio per invitarmi a parlare di come io scrivo ma ti assicuro che se per certi versi sono uno spudorato, quando il discorso verte sulla mia scrittura non so cosa dire. preferisco apprendere le opinioni degli altri e me le becco tutte, nel bene e nel male. peraltro, poi, nell’intervento precedente ho espresso delle opinioni che “applico” su me stesso quando scrivo. o, almeno, ci provo. grazie “luce”
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:00 da enrico gregori


Il mio nick non è un codice fiscale,
è il numero che mi è stato dato da chi inventò il blog de:
La Sociétè des cartographes fous,
circa 4 anni fa, ecco.
Mario Bianco

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:04 da cf05103025


Ok, Enrico… rispetto il tuo mammolesco pudore, ma ritieniti libero di intervenire quando vuoi!
:-)
Luce

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:04 da Maria Lucia Riccioli


Lo so, provavo a scherzare su un nick così insolito…
:-)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:06 da Maria Lucia Riccioli


@ maria lucia ed eventualmente a chi fregasse:
mi permetto di segnalare qui una cosa che mi riguarda perché è un po’ in tema con quello che mi aveva chiesto maria lucia. è una cosa arrivata or ora e realizzata da Salvo Zappulla che, sinceramente, ringrazio.

http://www.libmagazine.eu:80

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:14 da enrico gregori


Mi è piaciuto quello che ha scritto Enrico su letteratura e cronaca, sogni e realtà.
Mario Bianco: spero non ti sia risentito… Ho anche visitato il sito. Trovo che l’idea della cartografia sia molto bella. Ho sempre paragonato la cartografia alla letteratura: le mappe invecchiano spesso e presto, così come le definizioni di quel territorio labile e inafferrabile che è la letteratura.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:30 da Maria Lucia Riccioli


Jean,
giusto: Giovanni. Pardon. Non ho niente in contrario all’aristocrazia. Quella autentica.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 20:37 da Sergio Sozi


Eccomi qui.
Vi ringrazio ancora per i nuovi commenti.
Un ringraziamento speciale alla splendida Maria Lucia che ha (ottimamente) sostituito il sottoscritto nel ruolo di padrone di casa.
Grazie Mari

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:37 da Massimo Maugeri


Mi piacerebbe interagire con ciascuno di voi, ma non mi è possibile farlo (e poi lo ha già fatto Maria Lucia).
Ne approfitto per ringraziare e salutare per l’amico e ottimo scrittore Remo Bassini.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:39 da Massimo Maugeri


A Gluck dico (vado un po’ a memoria… dopo aver letto tutti i commenti) che Miriam non è potuta intervenire per problemi di connessione. Infatti ha inviato un rapido saluto da una biblioteca (vedi “la camera accanto”).

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:43 da Massimo Maugeri


Ho trovato particolarmente belli i commenti di Simona e significative queste frasi di Gea:
“il titolo di letterato uno se lo guadagna sul campo, e gli viene dato da chi lo legge. spesso a posteriori. a meno che non lo intendiamo nel senso di dotto cultore delle belle lettere”.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:46 da Massimo Maugeri


Naturalmente al centro di questo post rimane l’interessante libro di Mariano Sabatini.
Anzi, per soddisfare la richiesta di Maria Lucia chiederò all’ufficio stampa e all’autore del volume l’autorizzazione a pubblicare l’intervista rilasciata da Melania Mazzucco (la pubblicherò domani, spero).

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:49 da Massimo Maugeri


Bentornato Massi!
Ti lascio la parola… sono stata forse un po’ logorroica e cedo volentieri il ruolo di co-conduttore al nostro caro padrone di casa…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:55 da Maria Lucia Riccioli


Torno alla mia domanda di ieri sera:
che differenza c’è – se c’è differenza – tra letteratura e narrativa?

Come ha scritto Simona forse non ha nemmeno senso farne una questione di definizioni.
Tuttavia a mio avviso la narrativa è semplicemente una parte della letteratura (che la “ingloba”). Tutto qui.
Se la letteratura include la scrittura in prosa, la poesia, il teatro… la narrativa riguarda soltanto la scrittura in prosa.
Dunque il narratore è anche letterato. Un letterato che si limita a scrivere in prosa.
A sostegno di quanto testé scritto riporto, nel commento successivo, cosa riporta il De Mauro alle voci “letteratura”, narrativa”, “letterato”, “narratore”.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:56 da Massimo Maugeri


LETTERATURA
s.f.
AU
1a- insieme di opere scritte che si propongono fini estetici o hanno comunque, in ragione della loro concezione e del loro stile, un elevato valore nella storia intellettuale, spec. con riferimento a una determinata lingua o a un dato periodo storico: l. italiana, inglese, russa, l. romantica, contemporanea, l. in prosa, in versi, l. teatrale, drammatica, l. per ragazzi, di evasione; attività intellettuale volta alla creazione di tali opere: occuparsi di l., dedicarsi alla l.
1b- disciplina o materia scolastica che studia tali opere: studiare l., professore di l. italiana, ora di l.
2- testo, manuale di storia della letteratura: l. per la scuola media
3a- insieme di opere critiche, bibliografia relativa a un dato autore, anche non letterario: l. dantesca, manzoniana, kantiana
3b- il complesso delle opere relative a una data disciplina non letteraria: l. scientifica, medica, giuridica
4a- OB cultura letteraria
4b- OB capacità di leggere e scrivere
5- CO fig., attività intellettuale futile e vana: fare della l., fare della retorica, badare più alla forma che alla sostanza
6- BU bugiardino di un medicinale
________
________

NARRATIVA
s.f.
COTS lett.
1a genere letterario che comprende le opere in prosa, spec. il romanzo, il racconto, la novella, la fiaba, ecc., nelle quali l’autore espone fatti reali o immaginari
1b l’insieme dei romanzieri e dei novellieri appartenenti a un determinato ambito culturale o geografico, o operanti in un determinato periodo storico | l’insieme delle opere di un autore | lo stile scrittorio proprio di un autore
1c TS cinem., estens., tecnica e modalità del narrare
2 TS dir., nella motivazione di una sentenza, esposizione dello svolgimento del processo
3 OB narrazione [quadro 19]

________
________

LETTERATO
agg., s.m.
AU
1a agg., s.m., che, chi si dedica abitualmente ad attività letterarie; che, chi studia la letteratura
1b agg., s.m., estens., che, chi è dotato di buona cultura di tipo letterario o umanistico
2 agg., s.m. OB che, chi è istruito | BU pop., che, chi è alfabetizzato, sa leggere e scrivere
3 agg. BU che riguarda le lettere, letterario

________
________

NARRATORE
s.m.
CO
1 chi narra: un avvincente n.
2 scrittore di opere di narrativa: i narratori del Novecento
3 TS lett., nella critica letteraria, personaggio che, in un’opera narrativa, chiarisce gli antefatti, racconta o commenta gli avvenimenti restandovi estraneo o prendendovi parte

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:59 da Massimo Maugeri


In tal modo credo che potremmo essere tutti d’accordo, no?
Chi non lo è si faccia avanti.
:)

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 21:59 da Massimo Maugeri


Naturalmente visto che Massimo ha pubblicato l’indice delle interviste realizzate da Mariano, se volete potete proporre anche qualche altro nome…

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:00 da Maria Lucia Riccioli


@ Maria Lucia
Ma no, continua, dài…
Non sei stata affatto logorroica (solo ospitale).
E poi sei intervenuta dietro mia espressa richiesta.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:01 da Massimo Maugeri


ciao massimo,
grazie a te e grazie a simona, gea, carlo s, enrico, maria lucia e tutti.
(lo sapete, vero, che questo è il mio blog preferito?).
perché siete un bel gruppo.
perché anche la gentilezza è un’arte.
buona serata

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:11 da remo bassini


Naturalmente scherzavo, Massi… non è facile liberarsi di me…
:-)
Remo, grazie delle tue parole. Massimo ha reso questo spazio accogliente e ospitale e noi ci impegnamo a mantenerlo tale…
A presto!

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:18 da Maria Lucia Riccioli


@ Remo, a Maria Lucia (e a gli altri)
Evitiamo di inchinarci contemporaneamente altrimenti rischiamo di sbattere le teste.
:)

A parte gli scherzi… grazie mille, Remo. Sei un amico.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:34 da Massimo Maugeri


Paolo Cacciolati, ho saccheggiato una bellissima frase dal tuo blog. Spero che non me ne vorrai…

Vorrei ricordare quello che diceva Roberto Longhi, uno dei maggiori critici d’arte del secolo scorso, nel primo numero della rivista Paragone del 1950 :
”Un’opera non è mai sola, è sempre un sistema di rapporti, per cominciare, almeno un rapporto con un’altra opera d’arte. Un’opera sola al mondo non sarebbe neppure intesa come una produzione umana, ma guardata con reverenza o con orrore, come magia, come tabù; come opera di Dio e dello stregone, non dell’uomo. E già si è troppo sofferto dei miti degli artisti divini e divinissimi, invece che semplicemente umani”.

Postato giovedì, 5 giugno 2008 alle 22:57 da Maria Lucia Riccioli


Neanche Longo era un dio.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 00:55 da Sergio Sozi


Pardon: Longhi.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 00:56 da Sergio Sozi


Si’, Maria Lucia, va bene Longhi; ma forse bisognerebbe anche evitare il rischio opposto: quello di considerare un’opera d’arte solo a seconda del gradimento umano. E delle mode scrittorie. Ci sono delle opere divine.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 00:58 da Sergio Sozi


Maugger,
come stai? Secondo me le tue malattie dipendono (!!) dai soliloqui dei protagonisti dei tuoi racconti: a voglia di lambiccarsi il cervello, essi si ammalano d’eternita’!

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 01:00 da Sergio Sozi


Bassini,
me lo spediresti un tuo libro? E’ da tanto che non stronco qualcuno! A parte gli scherzi: sono curioso veramente.
Ciao
Sergio

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 01:03 da Sergio Sozi


Il narratore e’ un letterato che narra. Maugger: abbiamo scoperto quell’acqua calda che molti vorrebbero fosse fredda. Bravo.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 01:18 da Sergio Sozi


@ Sozi
Io qualche qualche perplessità sull’aristocrazia, anche quella autentica, ce l’ho. Sarà che, come tutti noi, sono un figlio della rivoluzione francese? ;)

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 08:56 da Jean de Luxembourg


No, Sergio, non si può giudicare un’opera d’arte a seconda del gradimento, dell’accoglienza dei contemporanei o presso ai posteri: se fosse così, Caravaggio avrebbe potuto darsi all’arte dell’imbianchino… Bach fu misconosciuto e per molti anni dimenticato, molti scrittori non hanno venduto in vita se non le copie per la mamma e la stiratrice…
Però c’è del vero in quel che dice Longhi: per coprendere un’opera d’arte a fondo occorre analizzare il suo contesto, bisogna calarla in quel sistema di rapporti storici sociali, in quella rete “intertestuale” di legami con le opere d’arte che l’hanno preceduta e che l’accompagnano. Altrimenti non avremmo neanche storia e geografia della letteratura, ma una miriade di monadi per nulla intercomunicanti ma del tutto isolate e per niente spiegabili.
Ma lo sai meglio di me…
:-)

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 09:17 da Maria Lucia Riccioli


La Yourcenar diceva che aristocrazia è vendere l’uva in piazza a Capri pur di non piegarsi a lavorare dipendendo da qualcuno… e, restando alla Yourcenar, un’idea di cosa sia l’aristocrazia potremmo farcela leggendo “Il colpo di grazia”… ma in fondo concordo con te. Io sono figlia di un operaio, nipote di contadini e me ne vanto…

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 09:45 da Maria Lucia Riccioli


Sto scrivendo una saga thrille-noir di cui i primi due titoli sono stati pubblicati, il terzo e il quarto sono in attesa di esserlo, il quinto è in cantire e non so quanti altri ne seguiranno. Il primo titolo è COMPLANARE PUTTA. Com’è nato il progetto di scrivere una così robusta saga? Dallo spunto che mi ha dato una strada che esiste realmente nel mio paese, che si chiama appunto COMPLANARE PUTTA. E’ stato caso o destino? Mistero insoluto.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 09:54 da Felice Muolo


Quando ho letto “Neronapoletano” di Antonella Cilento, mi ha colpito il fatto che il romanzo sia nato proprio da una parola e più precisamente dal nome di una via: Via Antesaecula a Napoli. Queste poche sillabe sono state secondo me l’innesco per far venire fuori qualcosa che sopiva e cercava il canale giusto per venire fuori. Mistero e tecnica…

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 10:19 da Maria Lucia Riccioli


Grazie Remo, il tuo intervento ha lasciato il segno (oltre che essermi servito).
Buona giornata a tutti!

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 10:28 da Elisabetta


Ciao Elisabetta… anche per me è la stessa cosa… quando Remo Bassini è venuto a Siracusa per Pasquetta a casa della mitica Simona – che ci ha deliziati con la sua magnifica ospitalità e la sua sopraffina cucina… – ha mostrato tutte le sue doti di affabulatore sino a tarda notte. Lui si svegliava e noi ciondolare ma comunque incollate alle sue storie!

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 12:37 da Maria Lucia Riccioli


E’ vero Elisabetta!La finalità di questo post su testimonianza letteraria, dovrebbe essere:
l’ottimo libro di Mariano Sabatini “Altri trucchi d’autore”, edito da Nutrimenti; così è stata raggiunta per davvero la finalità originaria, grazie a parer mio, dovuto all’intervento di Remo Bassini , e altri ce ne saranno ed è utile e necessario di scrittori in questo blog, che si assumono la responsabilità di essere onesti dal punto di vista intellettuale, sinceri,non vanitosi e troppo ambiziosi dal punto di vista letterario,pensando alla loro scrittura da far condividere a tutti Noi; giusto appunto perché la narrativa – consente altri trucchi d’autore – la letteratura invece, quella che rimane nel tempo, non ne ha bisogno, forse!
Luca Gallina

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 13:20 da luca


Potevo lasciare solo questa domanda, volendo riassumere:
Qual è l’etica, se esiste, che deve rispettare l’autore nella sua scrittura letteraria?
Chi se la sente, cari amici di scrittura, di spiegarmelo?
Perché il mercato editoriale è stracolmo di offerta di libri, e non è possibile per Noi lettori districarci, e il come l’abbiamo già trattato, senza incappare in libri inutili – magari ben distribuiti e pubblicizzati – e non volendo esprimere un giudizio morale riguardo gli editori,distributori, scrittori, pensavo che l’etica potesse c’entrare qualcosa: considerato che trattiamo di letteratura e non prodotti di consumo, che costano non poco, forse!
Grazie a tutti! Massimo ben tornato: e le ostriche com’erano?
Luca Gallina

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 13:23 da luca


Massimo, hai scritto:
«@ Remo, a Maria Lucia (e a gli altri)
Evitiamo di inchinarci contemporaneamente altrimenti rischiamo di sbattere le teste».
@Caro Massimo,
devo risponderti. Quando mi inchino, un breve cenno del capo è sufficiente, mi inchino con schiettezza. Mai fatto un inchino a un critico, a un editore. Mai telefonato alla redazione di un giornale per chiedere se hanno ricevuto un mio libro. Mai fatto parte di combriccole dove si usa praticare la masturbazione a vicenda: Io dico che tu sei bravo se tu dici che io sono bravo.
Ho scritto una cosa qui perché ci tenevo a scriverla.
Ricordi quando mi hai chiesto?, eravamo a Siracusa, cosa pensavo, io, del tuo blog?
Ricordi che vi gelai dicendo che all’inizio mi sembrava un blog inodore e insapore?
Poi ti dissi anche che sebbene io abbia un blog che fa tanti visitatori, a volte 500,600 in un giorno, col tempo avevo imparato ad ammirare e quasi ad invidiare il tuo di blog.
Insomma, mi sono ricreduto.
Perché sei stato bravo, con la gentilezza che ti contraddistingue e anche con signorilità, a calamitare delle belle persone come gea, simona, enrico, carlo s, maria lucia.
Gente che vorrei avere io nel mio blog, che invece si regge sulle mie improvvisazioni e sull’anarchia esasperata: perché è aperto a tutti, come una piazza.
Massimo non semino mai complimenti a buon mercato ed Elisabetta Bucciarelli che mi conosce credo possa testimoniarlo.
Mi piace sottolineare quel che mi va, a prescindere. Chi è venuto nel mio blog sa per esempio che quando posso e se posso parlo di un altro scrittore, sempre, Luisito Bianchi, il prete del Vangelo dimenticato, qullo che dice “Se fossi papa brucerei il Vaticano affinché rifulga la voce di Cristo”.
Io, che sono agnostico, anche qui mi inchino: perché don Luisito è un prete credibile. Predica la gratuità e la vive la gratuità: perché per fare il prete non ha mai voluto lo stipendio del Vaticano, né offerte.
Almeno la soddisfazione di dire bene di quelli che stimo, senza che si possa equivocare.
So bene, caro Massimo, che la tua era una battuta.
Ma ci tenevo a precisare.
un abbraccio

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 13:36 da remo


Qual è l’etica, se esiste, che deve rispettare l’autore nella sua scrittura letteraria?
Luca, bella domanda.
Ti dico cosa mi viene in mente, subito.
Quando scrivo ho paura di prostituirmi al mercato.
Preferirei sparire. Dire, dimenticatemi.
Ma penso che sia un problema non facile. Perché quando si entra nell’ingranaggio editoria, e ci si confronta con editor ed editori, la prima cosa che si impara è questa: che devi essere bravo, sì, a scrivere un buon libro, ma che per loro, per l’anima commerciale che, dico io giustamente, convive in loro, quel bravo è comunque sinonomo di “buon prodotto”.
Il tuo libro insomma è come una scatoletta di tonno. Se nessuno compra, vale niente. Torna indietro, e merce che puzza.
Scrivendo, si corre insomma il grosso rischio di essere condizionati dalla moda e dal mercato, senza rendersene conto.
(Poi a seguire, io credo, che debbano venire tante domande sull’etica del narratore).
Non sono un santo.
Dai miei editori ho sempre ottenuto di non avere editing (consigli sì).
Ma copertine, titoli, e quarte di copertina ho lasciato fare.
(E in un caso, per un mio libro Mursia, forse non avrei dovuto: ché sembra un libro erotico, mentre non lo è).

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 13:54 da remo


@ Sergio
Se i protagonisti dei miei racconti si dovessero ammalare di eternità non potrei che esserne felice.
Ti ringrazio, ma temo che non corrano questo rischio:)

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 14:27 da Massimo Maugeri


@ Remo
Ma certo che la mia era una battuta!
Però hai fatto bene a precisare. E ti ringrazio ancora una volta per le belle parole.
Le ricambio con affetto e con la massima sincerità.
Grazie Remo.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 14:32 da Massimo Maugeri


Caro Remo,
ti ringrazio per non avermi convinto del contrario: che le risposte che cerca un lettore come me, in letteratura quella fondamentale le ha già comprese, e che tutto il resto che viene pubblicato come narrativa attiene solo a godere di spaccati di esperienza di vita, anche immaginifica, di altri cristiani che come me sentono la necessità di trovare un’anima nobile o controversa nel genere umano che in realtà è solo carne e sangue: che pulsa nei corpi di gens che non vuole vedere la propria vera
natura meschina,venale!
Sublimiamo gens che il senso della vita, un vero senso non ce l’ha!:ma per questo ci bastavano i cantautori:Vasco docet!
Grazie Remo e che la vita ci accompagni degnamente lungo il nostro cammino pieno di sorprese,felicità e dolore da riscattare per sé e per gli altri: certo, dal punto di vista letterario, forse!
Luca Gallina
P.S. Non volevo essere catastrofico, bensì, nel fare un esercizio di sense of humor: perché nessuno, circa l’etica, potrà dimostrarci il contrario, forse.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 14:33 da luca


@ Luca
Ma quali ostriche? Mi sono beccato un virus… c’è un’epidemia dalle mie parti.

Domandi: Qual è l’etica, se esiste, che deve rispettare l’autore nella sua scrittura letteraria?
Io credo che lo scrittore, il narratore, non possa mai prescindere dalla verità e dalla sincerità che gli sono proprie. La verità nel condurre una trama, la sincerità nel far parlare un personaggio. Dare spazio alla storia così per come nasce, senza pensare ai futuri risvolti editoriali.
Secondo me sta qui la vera etica: scrivere dando spazio alla storia e prestando orecchio ai personaggi senza cercare di forzare, o addomesticare, l’una o gli altri.
Poi al Lettore, sommo giudice, viene rimesso il giudizio finale… che è sempre personale e insindacabile.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 14:40 da Massimo Maugeri


@Maria Lucia
Figurati, saccheggia quanto vuoi, e grazie per la visita.

Paolo

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 15:50 da Paolo Cacciolati


Ho aggiornato il post con l’intervista a Melania Mazzucco
Ringrazio Mariano Sabatini e la Nutrimenti per la gentile concessione.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 16:07 da AGGIORNAMENTO (da Massimo Maugeri)


Questo è soprattutto un omaggio alla nostra Maria Lucia. Ma anche un modo per continuare la nostra discussione nel corso del fine settimana.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 16:07 da Massimo Maugeri


Leggete domande e risposte con attenzione.
Secondo me offrono molteplici spunti per ulteriori discussioni.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 16:08 da Massimo Maugeri


Un saluto a tutti.
Anche a te, Paolo.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 16:09 da Massimo Maugeri


Infine inserisco qui di seguito, nel successivo commento, l’introduzione di Mariano Sabatini al primo “Trucchi d’autore” (pubblicato nel 2005).

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 17:06 da Massimo Maugeri


Introduzione a “TRUCCHI D’AUTORE
di Mariano Sabatini


“Me ne sono capitate tante che potrei scriverci un libro…”; “La mia vita è come un romanzo…”; “Se scrivessi
la mia storia, ne verrebbe fuori un racconto di avventure….”; “Se solo avessi tempo potrei farne un romanzo…”.
Quante volte abbiamo ascoltato simili frasi?
Dettate dall’ingenuità, dalle false idee che si hanno sull’attività dello scrivere. Quasi tutti – tutti, direi – almeno
una volta, seppure allo ‘stadio gassoso’, hanno sognato di sedersi alla scrivania immaginandosi novelli Manzoni,
Hemingway in erba, piccoli Maupassant. Perché non vi mettete all’opera!?, mi verrebbe da rispondere a quei velleitari, inclini alla lagna.
Sembra facile, come ha dichiarato Melissa P., ‘famigerata’ autrice di “Cento colpi di spazzola prima di andare a
dormire”. Del suo libro è stato detto che “poteva scriverlo qualsiasi battona di cavalcavia”, le ha ricordato Giancarlo Perna. E la minuscola scrittrice siciliana ha risposto: “Giudizi morali che non mi interessano. Vorrei poi vederla la battona. Sembra facile”. Come darle torto? Sembra facile… Mi perdonino i puristi: non voglio elevare quel libro agli altari della letteratura, ma è sciocco denigrare con sufficienza un progetto andato a buon fine. Più fruttuoso, ai fini della personale affermazione editoriale, domandarsi e rispondersi con sincerità: sarei anch’io in grado di scrivere, farmi comprare e leggere da oltre due milioni e mezzo di persone?
Accese discussioni sono divampate all’epoca in cui “Va’ dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro occupava la
prima posizione nelle classifiche. L’invidia spinge a valutare certi exploit con nessuna lucidità. In molti millantano di poter scrivere come la Tamaro o come Maria Venturi, alcuni si spingono (a parole) fino alle vette di Dacia Maraini.
La maggior parte delle volte, l’impulso si dissolve prima di accendere il computer. Meglio coltivare l’idea invece che misurarsi con la realtà. Non solo per mancanza di talento ma perché “scrivere è un apprendistato della sincerità” che in pochi si sentono di frequentare.
Con il proliferare delle scuole di scrittura creativa, l’interrogativo, converrete, non è affatto pretestuoso. Scrittori
si nasce o si può diventarlo? Se tanti, anche senza titolo, si arrogano il diritto di insegnare, a decine di migliaia si lasciano irretire nella speranza, neppure tanto nascosta, di diventare ricchi come Stephen King, famosi come Oriana Fallaci o avere gli apprezzamenti di Umberto Eco e Philip Roth.
Mi chiedo se per fare della scrittura il proprio mestiere, ossia un’attività minimamente remunerativa e non in perdita, serva più saper coniugare verbi e accoppiarli con soggetti, predicati e complementi, o non sia invece auspicabile una buona dose di faccia tosta. Perché sospetto che solo industriali dotazioni di strafottenza, improntitudine e fiducia in se stessi consentano agli aspiranti scrittori di svettare sullo scoglio del primo romanzo
pubblicato da un vero editore. Ovverosia, piccolo o grande non importa, uno che non chieda un obolo per la stampa o un numero minimo di copie che l’autore deve acquistare subito dopo. Prima di convincere qualcuno che il nostro prodotto letterario vale l’investimento e la scommessa finanziaria di produzione e diffusione, dovremmo dunque motivare noi stessi. Ai pavidi neofiti della narrativa, perciò, meglio di un insegnante di italiano, per quanto ‘creativo’, farebbe uno psicoterapeuta.
Che li stimoli a dovere e faccia superare loro l’impasse iniziale. In aggiunta, e non in alternativa, sarebbe utile la
lettura di questo libro che contiene decine di cosiddetti “Trucchi d’autore” carpiti a scrittori affermati.
A questo punto, mi fa piacere ricordare che tutte le conversazioni qui raccolte sono state pubblicate in prima battuta, di settimana in settimana, sul quotidiano .COM diretto da Gianluca Marchi; al quale va il mio grazie per
la cortesia con cui ha accordato la sua autorizzazione.
Qualche tempo fa proposi al Direttore una serie di interviste agli scrittori, soprattutto italiani ma anche stranieri,
sul loro metodo di lavoro. Accettò subito (gli sono grato anche per la lungimiranza) e nacque così un appuntamento fisso che mi ha permesso di esplorare, o almeno di lambire, il sancta sanctorum di autori noti, famosissimi o ancora in attesa di consacrazione da parte del pubblico e della critica. Gli strumenti (penne, computer, macchine per scrivere, carta…), le tecniche, i segreti, i rituali, le superstizioni dei ‘signori della penna’ mi hanno sempre molto incuriosito. Non sono il solo, visto che Giuseppe Prezzolini dedicò interi capitoli di “Saper leggere” a tali aspetti; minimalistici solo in apparenza. Inoltre significherà pur qualcosa che Wilbur Smith, autore di romanzi acquistati e letti in tutto il mondo da oltre settanta milioni di persone, scriva ogni due anni per otto mesi e per otto ore al giorno e abbia pronto un nuovo titolo in meno tempo di una gravidanza. E pensare che solo da pochissimo si è convertito al pc: prima, per la bellezza di ventidue volumi, ha usato la penna perché gli “sembrava di essere più vicino alla carta”.
La grande attenzione che l’idea ha suscitato presso i lettori di .COM, il consenso che ho registrato nel contattare
gli uffici stampa degli editori e i numerosi apprezzamenti, del tutto spontanei, ricevuti dagli scrittori che via via si sottoponevano all’assalto delle mie domande sono serviti a convincermi a proporre le conversazioni in forma più ampia. Mi sembrava, e ne sono tuttora convinto, che leggere di seguito le testimonianze di romanzieri tanto diversi tra loro, come Alberto Bevilacqua, Giorgio Faletti, Andrea Camilleri, Amitav Ghosh, Rosetta Loy, Silvia Ballestra, Dacia Maraini, Sveva Casati Modignani, Aldo Nove, Massimo Carlotto e tantissimi altri, potesse affascinare chi ama leggere o sogna intimamente di scrivere. Ed è oltretutto molto divertente paragonare le risposte – in molti casi sorprendenti e spesso ironiche – di questo o quello scrittore alle prese con argomenti standard.
“Senza conoscenza e memoria dell’antecedente (e altrui) creatività non esiste nuova (e personale) creatività”.
Ecco spiegato, con l’affermazione dello scrittore Raffaele Crovi in “Parole incrociate. Guida alla scrittura creativa”, il senso di questo mio libro. Per trovare il coraggio di buttarsi a scrivere e poi di cercare un editore, sarà certamente di aiuto apprendere i metodi di chi ce l’ha fatta.
Da quello che si intuisce dalle parole degli intervistati è oggi, oltretutto, molto più facile di venti o trent’anni fa
convincere una casa editrice a puntare su di te, giovane o anziano esordiente. I vari Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Baldini Castoldi Dalai, Frassinelli, Marsilio e via diminuendo di grandezza, dimostrano di essere sempre a caccia di nuovi nomi da lanciare. Ho scoperto che un piccolo editore di Reggio Emilia, Aliberti, ha varato la collana ‘Scrittori allevano scrittori’, in cui i lavori delle firme celebri vengono appaiati a quelle ancora sconosciute. E, per fare solo un altro esempio, Paolo Repetti e Severino Cesari della Einaudi Stile Libero se ne inventano una al giorno per alimentare un mercato meno depresso di quello che raccontano le cronache. Francesco Pacifico, Christian Raimo, Nicola Lagioia e Francesco Longo, che presi uno per uno erano poco appetibili ai lettori, assoldati sotto lo pseudonimo Babette Factory per lavorare ad otto mani a “2005 dopo Cristo”, hanno suscitato grande curiosità.
In buona sostanza, non esistono geni incompresi (non per tutta la vita, almeno) ma affabulatori/narratori timidi; bisognosi di incoraggiamento da un lato e di applicazione dall’altro: ogni buon libro, ogni storia ben raccontata, è il frutto di una fantasia ispirata, sostenuta tuttavia da una tecnica valida, da un’attenta disciplina, da una costante attenzione: non esiste ingenium senza ars, dicevano gli antichi. Ispirazione e tecnica sono, al pari di musica e danza, sorelle. Come dimostrano i cinquanta talenti raccontati nelle prossime pagine.
M.S.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 17:07 da Introduzione a TRUCCHI D’AUTORE di Mariano Sabatini


Buon fine settimana a tutti!

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 17:08 da Massimo Maugeri


@ Massi…
Bellissima l’intervista alla Mazzucco, della quale ho letto tutto ma proprio tutto…grazie.
Ed è dai suoi libri che – mio avviso – si coglie meglio il senso dell’essere artisti.
Ecco, diventa ciò che sei….come ha detto nell’intervista. E’ la sintesi dell’ispirazione e della fatica per portarla allo scoperto, dello sguardo con cui attraversi le cose e della disciplina con cui asservirlo alla storia.
E’ l’equilibrio tra modo d’essere ed espressione di esso all’esterno, tra canto che ti abita e mezzi per dirlo.
E credo che sia anche la conclusione perfetta di questo bellissimo post condotto con tanto amore da Luce e ampliato benissimo da te.
Arte e artigianato…Può forse equivalere ad anima e corpo, a spirito per sentire e mani per realizzare.
L’uno a servizio dell’altra. Come qualcuno diceva : piedi in terra e cuore in cielo.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 17:42 da Simona


Purtroppo non posso seguirvi in diretta, ma intervengo ugualmente anche rischiando ripetizioni e inesattezze.
Fra le arti, la Letteratura, è prima, e come tutte le arti si compone di genio e tecnica, e naturalmente di disciplina. Quando, uno solo dei componenti salta abbiamo il libro di genere, il manuale ben scritto, il saggio, o fogli per un intrattenimento temporaneo. Non sono uno scrittore, mi esercito solo qui, sui blog amici, però, per “fortuiti” casi del destino, più di una volta mi sono letta in libri scritti da altri. A volte fa piacere rivedere i propri pensieri, ordinati e ricomposti in una storia (anche se completamente diversa dalla realtà); a volte, invece, sono solo la produzione d’immagini irritanti. Perché il conoscerti diventa scrutare, occasione di invenzione, che sorvola l’umana aspettativa dei sentimenti ricambiati. Ciò avviene perché, penso sia difficile mantenere il ritmo, l’intensità delle opere e che l’autore, non trovando o non trovando più dentro di sé elementi intonsi del pensiero che gli permettono, oltre lo scrivere anche la comunicazione, cerchi attorno alla sua vita. Cerchi soprattutto l’effetto trasformando se stesso e la sua opera in mestiere. Niente di male i Ming (nel senso di Wu) si dichiarano apertamente scrittori di genere, esagerando sino ad una meticolosa sperimentazione da laboratorio! Però Q resterà sempre un’altra cosa! Lo sto rileggendo (anche perché non mi ricordo mai la storia), e così, forse per la quarta volta inseguo questi personaggi che sono solo dei Nomi, che scappano, scrivono, complottano, traversando i limiti della storia. Un solo è diverso da tutti. E’ un personaggio vero “materico” l’unico ad uscire dalle pagine, ed è Jan di Leida il lenone che “volle” farsi Re; il Santo Pappone di Munster. Ecco, io penso, e non da oggi, che Q sia l’effetto involontario alto: di una scrittura di genere che diventa opera unica e irripetibile, l’insieme di tensioni (anche molto diverse), di pensieri e di genialità, espressi nella massima potenza. Riassumendo: la tecnica è solo un cristallo e la sua facoltà di immaginazione si ferma alla cristallizzazione di ciò che la circonda. Ci vuole “orecchio” cantava Jannacci…..
@ Gluck: sono senza internet!!!! Comunque, a presto.
Miriam Ravasio

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 18:10 da miriam ravasio


Marilu’ (a proposito: non ti offenderai se a volte ti chiamo cosi’?),
siamo ovviamente d’accordo, a patto che fare Storia della Letteratura (cosa che io cito e rispetto sempre) non ci porti a collidere con l’afflato mistico, religioso o semplicemente spirituale che per alcuni autore sovrintende alla creazione e alla creativita’ stessa. La Storia non elide lo Spirito.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 23:13 da Sergio Sozi


Erratum: autori.

Postato venerdì, 6 giugno 2008 alle 23:14 da Sergio Sozi


Ciao Sergio… no che non mi offendo… quando un soprannome o un nomiglolo ti viene appioppato affettuosamente non è mai inopportuno!
:-)
No, la Storia non può elidere lo Spirito. Sai, più studio e insegno letteratura e storia, più mi rendo conto che c’è una storia sotterranea, parallela, misteriosa e strascendente, forse più vera di quella che ci è stata tramandata o insegnata. La storia degli spiriti e dello Spirito. No, non sono la donna che parlava con i morti dell’ottimo Remo, voglio solo dire che spesso i vari metodi storicisti, strutturalisti, sociologici, nelle loro maglie spesso luccicanti, dorate, intrecciate magnificamente, non riescono a catturare il vero spirito di un autore, di un’epoca, di un personaggio storico o immaginario, del perché e del come riesca ad agire in modi sottili eppure concreti sulle vite e sull’immaginario di contemporaneri e posteri. Studio sì, allora. Mentale intellettuale serio metodico. Ma anche intuizione creativa.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 10:06 da Maria Lucia Riccioli


Brava sempre Miriam. Concordo. Sto leggendo “Una storia romantica” di Scurati. Una delusione. Romanticismo poco e niente, lo spirito, l’aura del tempo risultano uuna sperimentazione alla copia e incolla, alla Frankenstein, che non riescono a vivere. Un’opera morta prima di nascere e che pure avrebbe avuto tutte le possibilità e le carte in regola per farcela. Non basta la tecnica, non bastano le letture, non basta lo studio. Ci vuole poi un afflato, il flatus vocis, il respiro della vita, il dono del vasaio che trasformò un pugno di fango e sputo in un uomo.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 10:11 da Maria Lucia Riccioli


Grazie dell’omaggio… non meritavo tanto ma sono contenta primo perché diamo a tuti la possibilità di leggere un’altra intervista realizzata da Mariano, secondo perché della Mazzucco ho letto tutto anche io come la cara Simona grazie a Luigi La Rosa che ormai tributa una specie di culto alla Mazzucco! Una vera artista, che a molti può non piacere ma che io apprezzo per la sua stupefacente capacità formale e linguistica che le permette di ricreare, di dare vita a mondi perduti o alla quotidianità confusa del nostro vivere. I suoi personaggi sono complessi, veri, quasi vivi. E vive la scrittura come disciplina, come forma nel senso aristotelico del vivere, cioè come sostanza, come sua essenza costitutiva. Un esempio da seguire per disciplina, dedizione, talento…
Grazie Massi e Mariano!
:-)

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 10:15 da Maria Lucia Riccioli


che begli interventi!! che bella gente!!

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 13:44 da http://quisiscrive.blogspot.com


Complimenti a Mariano Sabatini, a Massimo Maugeri e a tutti gli amici di scrittura in ascolto scrittori e non: perché un lettore come me: se riesce a conoscere le vere intenzioni di chi scrive, avendo egli più anime,altre vite oltre la propria di scrittore(ce) non può che portarmi a leggere le opere dell’autore; perché solo così posso capire che una sola vita personale, non è sufficiente, e allora cosa posso fare?Allora, arrivati a questo punto, anch’io non voglio avere più ritegno e le storie degli altri le voglio fare mie! E se potessi anche incontrarli di persona gli scrittori?: li guarderei soprattutto con ammirazione e sarei confuso nel riconoscere in loro la loro vera identità: ma chi sono, in realtà, loro stessi o i personaggi dei loro romanzi?: uno nessuno centomila, ma questo è già stato scritto.
Comunque, chi vuole e può continui a scrivere che i lettori andranno sempre più conquistati: non solo con le parole, ma soprattutto con l’anima vera dello scrittore che se lo può permettere, forse.
Luca Gallina

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 14:01 da luca


Volevo dire, anche, che nel mio condominio in Milano abitano: uno scrittore conosciuto e apprezzato a livello nazionale e tradotto all’estero, una conduttrice televisiva amata dagli italiani e un professore spesso presente a “Porta a Porta”, oltre a modelle invidiate per la loro bellezza e professionisti assortiti: per dire che solo lo scrittore, che saluto quando l’incontro ben volentieri; lo vedo sempre assorto, forse perché è più riservato degli altri, ma probabilmente ascolta i suoi personaggi che vogliono uscire al più presto dalla sua mente, forse. Gli altri personaggi televisivi, invece, si fermano a parlare con me del più o del meno e anche in portineria con il custode dello stabile, se è necessario: solo questione di carattere individuale o di ricerca personale interiore sempre?
Tutto questo è il motivo del mio interesse personale per l’intreccio di un mio breve racconto teatrale amatoriale; oltre a scrivere per il teatro amatoriale, sono anche attore che vive attraverso i personaggi più vite, contraddizioni dei sentimenti e ritornare me stesso dopo la rappresentazione teatrale mi rende così felice, di essere una persona semplice e di avere delle mie sicurezze, che mi riesce poi meglio continuare a rappresentare gli altri: certo, nel bene e nel male, forse.
Luca Gallina

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 14:06 da luca


Non per ultimo,ché questo veramente è il mio core business nella vita reale:
divorzio tra marketing e società dei consumi. Il consumatore – leggasi lettore in questa fattispecie – ha ormai un ruolo attivo con tanti più: selettivo, eclettico, sensibile al prezzo, cittadino del mondo, critico e soprattutto competente, che si informa perlopiù sulla rete e che reclama diversi rapporti qualità prezzo.In buona sostanza: il consumatore sempre più esigente chiede anche un marketing sempre più etico, che incontri di più la società.Come ricorda il saggio di Giampaolo Fabris – docente di sociologia dei consumi all’Università San Raffaele in Milano – e guru della pubblicità che definisce, oggi, evangelizzazione: Societing – Il Marketing nella società post moderna – Ed. Egea.
Luca Gallina

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 14:08 da luca


E cosa c’entra con il post?
C’entra, c’entra con la seguente domanda: lo scrittore deve tenere conto, oggi a maggior ragione, della nuova tendenza del mercato editoriale e dei suoi consumatori? Faccio anche degli esempi di autori di best-seller: Dan Braun, Hosseini e il nostro Faletti; certo, pescati nel mucchio.
E Noi cosa pensiamo al riguardo è sempre stato così nel passato?
Grazie a tutti Voi, cari amici di scrittura!
Luca Gallina
P.S. scusami caro Massimo se mi sono allargato, in casa tua, ma l’ho fatto pensando di dare un piccolo contributo a tutti Noi: riconoscendo comunque che hai la facoltà di oscurarmi se Vuoi e gli amici di scorrere i miei interventi, altrettanto.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 14:10 da luca


Luca, hai scritto.
E se potessi anche incontrarli di persona gli scrittori?: li guarderei soprattutto con ammirazione e sarei confuso nel riconoscere in loro la loro vera identità: ma chi sono, in realtà, loro stessi o i personaggi dei loro romanzi?
Luca, è un bel tema, questo.
Più che un tema una riflessione.
Una volta nel mio blog citai due pareri diversi.
Iannozzi che dice, I libri sono meglio dei loro autori.
Tecla Dozio che dice, Io imparo a conoscere l’uomo scrittore da come scrive.
Penso ci sia della verità in entrambe le affermazioni.
Ci son scrittori dal carattere impossibile e che, invece, scrivendo, trasudano umanità.
Come ci sono i simpatici che, invece, quando scrivono non riescono a trasmettere nulla.
Ma c’è un altro aspetto da considerare.
Quando si scrive, qualcosa sempre ci sfugge, qualcosa di personale.
don luisito bianchi ha 80 anni, è un prete, è un grande scrittore.
la prima volta che lo incontrai ricordo che disse: Paolo Borgonovo (caporedattrice ed editor di Sironi) è riuscita a spiegarmi cose della mia scrittura che mi erano sfuggite.
per questo dico che è una bella riflessione.
sul mercato.
no, io credo che uno scrittore non deve pensare al marketing.
del resto: nemmeno gli editori hanno le idee chiare.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 15:54 da remo


Vero, Remo, e rispondo anche a Luca. Molti scrittori sono peggiori di ciò che scrivono e forse i loro libri sono la proiezione ideale della parte migliore si sé. Altri sono più “estrovertiti” ma meno dotati dal punto do vista letterario. Comunque non credo nell’artista maledetto, genio e sregolatezza, invasato dalle Muse, misogino, misantropo, alcolista, tossico, smoke & sex addicted… anche perché io non rientrerei nelle categorie… :-)
Torniamo seri: l’etica di un autore è sincerità e rispetto di sé, dei lettori, della storia, dei personaggi. Verità non è veridicità: uno scrittore di fantasy può esplorare verità del cuore umano che scrittori “sociologi” non colgono.
Il marketing: uno sogna la casa editrice l’editor l’agente letterario ideali, che sappiano fiutare il capolavoro o almeno sappiano valorizzare l’esordiente talentato – che speriamo sempre essere noi… – ma se si vive con l’ossessione di scrivere il perfetto bestseller si avrà per le mani un brutto libro. L’ansia di perfezione, di vendibilità, è come l’ossessione di perfezione, di piacere a tutti, di dare un’immagine di sé popolare e spendibile, cosa che genera solo nevrosi e mostri.
Remo, quando ho visto la bruttissima copertina di “Dicono di Clelia”, credo realizzata per puri motivi di marketing, non mi sono fatta una buona idea del libro, ma l’ho letto. L’intelligenza del lettore sta nel costruirsi poco a poco gli strumenti per scegliere selezionare nel mare magnum dell’offerta editoriale quello che può essere più valido o maggiormente adatto a sé. E nel non giudicare un libro dalla copertina, proprio come una persona dall’apparenza.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 17:10 da Maria Lucia Riccioli


Ciao e grazie all’anonimo di blogspot…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 17:18 da Maria Lucia Riccioli


Una cosa che mi viene da dire è che Mariano Sabatini è riuscito con il suo libro, con le sue interviste riportate da Massimo, a farci disquisire di letteratura a livello devo dire apprezzabile.
Grazie Mariano. Naturalmente sei libro di intervenire quando vuoi per commentare un po’ i nostri discorsi, che hanno attraversato credo molti dei problemi legati alla scrittura: i rituali, i “trucchi”, le motivazioni che spingono a scrivere, l’etica dello scrittore, l’editing, l’editoria, il marketing… ma soprattutto la magia dello scrivere, il suo mistero che ne fa una necessità, un bisogno a volte assoluto.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 17:41 da Maria Lucia Riccioli


Gia’, gli editori non hanno le idee chiare ma influenzano il mercato fingendo di seguire quel che la gente vuole – e loro non sanno perche’ non conoscono la gente.
Il risultato e’ che la Letteratura italiana di quuesti tempi e’ di una monotonia bestiale. Mi annoia terribilmente quasi tutta. Sembra di vedere degli spot pubblicitari: sembrano diversi l’uno dall’altro ma dopotutto cercano solo di vendere un prodotto.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 17:43 da Sergio Sozi


Quale direzione ha il mercato? La tendenza è: se Moccia ha sbancato, allora giù con “Scusa ma ti chiamo non so come ti chiamo ma basta che ti chiamo. Amore”, “Tre metri sopra il gelo il melo il pero lo stelo”… Hosseini? Tutti aquilonisti. Faletti? “Io squarto”, “Io polverizzo”, “Io accoppo”. Io non leggo.

Però poi c’è anche la letteratura di qualità, ci sono i piccoli editori che faticano ma spesso coltivano perle – E/O sta godendo un meritato successo con la Barbery, ha in catalogo le carissime e brave Tea Ranno e Lia Levi…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 18:12 da Maria Lucia Riccioli


Editori: sperimentate di più, portate la letteratura e i libri in piazza, nelle scuole, mettetevi in gioco…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 18:29 da Maria Lucia Riccioli


@ Remo
Mi è capitato di incontrare autori più interessanti delle loro opere e autori meno interessanti di esse. Di tale esperienza personale ho trovato risonanza nelle parole di Borges in “Frammenti di un vangelo apocrifo”:
“Non giudicare l’albero dai suoi frutti nè l’uomo dalle sue opere; essi possono essere peggiori o migliori di quelli.”
Un caro saluto,
Gaetano

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 18:54 da subhaga gaetano failla


Grazie della citazione di Borges… autore che io amo tantissimo e che mi ha fatto conoscere Silvana La Spina, geniale scrittrice, durante il primo corso di scrittura creativa che ho frequentato… utile perché mi ha dato tanti consigli di lettura e scrittura ed è stata l’occasione per consolidare l’amicizia con la cara Simona…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 19:08 da Maria Lucia Riccioli


a proposito di Silvana La Spina,
non l’ho mai – purtroppo – conosciuta personalmente, ma la sua traduzione slovena l’ho voluta io e l’ha realizzata Veronika nel 2005. E non ce ne pentiamo affatto.
In ‘’senso contrario”, segnalo ai letteratitudiniani l’imminente uscita per Fazi del romanzo ”Il giradischi di Tito”, del lubianese Miha Mazzini. Lo sto iniziando a leggere proprio ora e promette bene. Da qualche parte del web mi esprimero’ a riguardo.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:25 da Sergio Sozi


Un grande della letteratura siciliana era solito ripetermi: la scrittura è mestiere, me-sti-ere, va affinata, curata giorno dopo giorno, occorre lavorare di lima e di cesello ma alla base ci vuole il talento, il sacro fuoco della passione. Ogni scrittore ha il suo metodo e racconta sempre un po’ se stesso ma non vedo un nesso tra l’uomo e le sue opere, nel senso che mi pare difficile poter identificare il primo attraverso le altre. Un grande chirurgo deve essere necessariamente un grande uomo? Alcuni fatti recenti di cronaca mi pare abbiano dimostrato il contrario. Sono d’accordo con Sergio sui prodotti commerciali che stanno avendo il sopravvento sul mercato, di fatto appiattendolo, a discapito di opere più rilevanti ma forse meno fruibili a un pubblico vasto. Se un libro “tira” si cerca di insistere con quel filone all’infinito riducendolo a una telenovella a puntate. Montalbano penso cominci a stare sulle scatole a tutti. Ci sono piccoli editori che investono seriamente in qualità, anche puntando su una veste grafica più costosa, muovendosi tra mille difficoltà e riuscendo a crearsi una propria nicchia di mercato. In loro è riposta la speranza di poter parlare ancora di letteratura nella sua essenza più genuina.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:29 da Salvo zappulla


A proposito di quanto notato da Marilu’ sull’editoria ”dei greggi”: a me pare che anche i piccoli editori seguano le tendenze, magari altre tendenze ma sempre tali. Perche’ fuori dal branco si vive male, oggi.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:39 da Sergio Sozi


O meglio si muore perfettamente…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:39 da Sergio Sozi


Poi ci sono dei ”miti negativi” ormai solo mentali, irreali, come per esempio quello del ”letterato artificioso e vuoto di contenuti, imitatore dei grandi del passato”. Ma dov’e', ditemi, oggi in Italia, un poeta che imiti pedissequamente Leopardi o un narratore che emuli Manzoni?
Falso ”antimito”, creato appositamente per screditare chi scrive in maniera difficile. Populismo letterario.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:44 da Sergio Sozi


Salvuzzo,
”Un grande della letteratura siciliana era solito ripetermi: la scrittura è mestiere, me-sti-ere, va affinata, curata giorno dopo giorno, occorre lavorare di lima e di cesello ma alla base ci vuole il talento, il sacro fuoco della passione.”
Ti prego, dimmi il suo nome, che gli spedisco un mazzo di rose di tutti i colori come l’arcobaleno.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:46 da Sergio Sozi


Ciao, Gaetano caro. Bella citazione.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:48 da Sergio Sozi


@Sergio. Meglio di no. Credimi, per il tuo bene. Fatti dare il nome da Massimo in privato. Lui lo conosce.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 20:55 da Salvo zappulla


@ Salvo
D’accordo con te, anche per quel che riguarda il monopolio di alcuni autori, nel bene e nel male, sul mercato editoriale, sfruttando di tali autori l’elemento “merce”, l’elemento della maggiore vendibilità in quanto merce già nota. L’aspetto mercantile non valuta la qualità (che potrebbe essere, tuttavia, anche di notevole livello). Mi viene in mente, avendo citato poco fa Borges, il monopolio di Marquez, protrattosi per molti anni sul nostro mercato editoriale, a discapito di tanti grandi autori del Sud America, visibili in traduzione solo, nel migliore dei casi, attraverso qualche racconto in antologia o in qualche introvabile volume (chi conosce ad esempio l’uruguaiano Felisberto Hernadez?).
Una domanda, dato che tu parli di letteratura siciliana – e mi pare di ricordare, deducendolo anche dal tuo cognome, che tu sia siciliano. Sono un amante di Giuseppe Bonaviri (da me anche intervistato), un autore siciliano apprezzato in passato da Vittorini e Calvino, per fare due nomi, oggi piuttosto trascurato o ignorato dai più, nonostante le numerose pubblicazioni della Sellerio: lo conosci? Ti piace?
Spero di non essere uscito fuori tema.
Un abbraccio,
Gaetano

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:02 da subhaga gaetano failla


@ Marilù.
Silvana La Spina l’ho portata io a Siracusa per quel corso di scrittura creativa. Dio ce ne liberi!!! Se poi questo ha contribuito a saldare la tua amicizia con Simona…peggio che andar di notte, bella coppia.

(Scusate, ma stasera ho la luna storta, e non so neanche come si posta la faccina che sorride)

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:03 da Salvo zappulla


Ciao, Sergio. E’ bello rivederti su questo schermo. Noto che siamo entrambi intorno agli autori siciliani… e anch’io ho la tua stessa curiosità. Inoltre, mi interessano come al solito gli autori e i libri che tu citi.
Un abbraccio,
Gaetano

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:09 da subhaga gaetano failla


@Gaetano. Io sono di Siracusa. Anche tu dovresti essere di quelle parti, se non sbaglio. Bonaviri mi piace tantissimo, così come apprezzo molto( tra gli autori siciliani) Bufalino, che ho avuto modo di conoscere personalmente a casa sua, persona squisita e dotata di grande umiltà; Alajmo, il caro Mistretta a cui sono legato da amicizia fraterna e tanti altri autori meno noti ma di notevole spessore.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:13 da Salvo zappulla


Salvo, grazie per la risposta. Sono nato in Calabria, ma un mio bisnonno paterno veniva proprio dalla provincia di Siracusa. Se dovessi fare dieci nomi della migliore letteratura italiana del Novecento, la metà sarebbero nomi di autori siciliani (e bisognerebbe imparare a memoria il racconto “La sirena” di Tomasi di Lampedusa). Hai conosciuto Bufalino!!! Molti anni fa, quando temevo per le sorti della lingua italiana, sono rimasto folgorato da “Diceria dell’untore”. Da allora ho letto pressochè tutte le sue opere, e attraverso di esse ho visto rinascere di vita vitalissima la lingua e la letteratura italiana.
Buona serata,
Gaetano

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:31 da subhaga gaetano failla


Gaetano,
pero’ devo precisare che Miha Mazzini HO INIZIATO a leggerlo; dunque ancora non ci metterei la mano sul fuoco. Promette bene, ma manterra’?
Abbraccioni
Sergio
-
Salvo,
sarebbe ottimo se esistessero anche le ”lunette gialle” oltre ai sorrisini idioti computerizzati…

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:44 da Sergio Sozi


Sono d’accordissimo su “La sirena”, quel racconto è un gioiello da conservare dentro uno scrigno. Di Bufalino ho visto pagine scritte a mano corrette e ricorrette all’infinito. Insomma era un perfezionista, lavorava di ricamo. Per quanto riguarda “Diceria dell’untore” qualche malalingua dice che somigli troppo a “La montagna incantata” di Thomas Mann. Fermiamoci qui perchè stiamo sforando.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:45 da Salvo zappulla


Ancora a Gaetano,
…eeeh… questo italiano che ci fa sempre stare in pena! Pensa che c’e’ sempre un coro funebre, con le prefiche a stracciarsi le vesti li’ fisse, con contratto sine die, ma ancora non muore, ha la cucuzza dura, insiste e persiste. Anzi SUSSISTE. Ecco.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:47 da Sergio Sozi


Voi due, li’: no! Non fermiamoci, ve ne prego! Stiamo parlando di Letteratura Vera e ’sto scandalo ci fara’ risorgere! (eh! eh! eh!)

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:49 da Sergio Sozi


@Sergio. Tra non molto comunicheremo attraverso le faccine e le lunette, non ci sarà bisogno della scrittura. Siamo solo all’inizio.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:56 da Salvo zappulla


@Sergio!!! Pre-fiche??? Mi meraviglio di te. Che Gregori ti abbia contagiato?

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 21:59 da Salvo zappulla


S-A-L-V-O!

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 22:01 da Sergio Sozi


Dio, come sono caduto in basso!

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 22:18 da Salvo zappulla


Va be’, Salvuzzo, transeat. Per solleticarti lo spirito piu’ sensibile, ti incollo qui sotto una delle risposte di Giuseppe Bonaviri di Mineo ad una lunga intervista sulla sua opera poetica. Si parla della poesia intitolata ”Chi sono nel pomeriggio” di pochi anni fa.
-
Domanda: ”Chi sono nel pomeriggio?” più che una poesia è un vero e proprio inno al carrubo. Che cosa le ricorda questa pianta sempreverde così particolare?

Risposta: C’è una flora mediterranea, meridionale, collinare all’interno dell’Italia, questa lunga penisola che si estende per chilometri e chilometri. Fino a trentatrè anni sono vissuto in Sicilia, a Mineo, dove in pochi minuti – dieci al massimo – si raggiungeva la campagna, che era come una grande porta che conduceva subito alle valli, alle colline. Questo mi ha portato ad acquisire una conoscenza più diretta del mondo arboreo, dove vivevano mandorli, ulivi – e i carrubi, appunto. Il carrubo è una pianta rara: per esempio in Ciociaria è molto difficile vederne una. La carruba, il frutto che l’albero genera, si usava come mangime per gli animali, specie per gli asini, che sono stati gli eroi veri e propri del lavoro, oggi dimenticati. Mio zio Michele, calzolaio poi spostatosi in America, faceva con le carrube delle caramelle in casa, che per noi erano leccornie. Quindi il carrubo si fa per me simbolo, condensazione della mediterraneità. Il carrubo di per sè è un albero modesto che genera frutti poveri dei quali tuttavia mi resta ancora la memoria olfattiva e palatale.

Gli alberi si ripetono continuamente nei miei libri, perché ho vissuto in mezzo a loro, specie in mezzo agli ulivi. E a Mineo, che oltre a essere ricca di poeti era ricca anche di proverbi, si diceva: «Mineo, ricca d’uogli e scarsa d’acqua». Perché almeno fino alla fine dell’Ottocento Mineo non aveva fonti idriche nelle vicinanze: c’era insomma più olio che acqua!
-
P.S.
”I semi delle fave” della Simona… bello questo spirito naturale, nei Siciliani, che da simbolico diviene biologico e viceversa. Io, nel mio piccolo, da Umbro, ho un amore spassionato per la quercia, il ”mio albero”.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 22:36 da Sergio Sozi


@Sergio. Non fare paragoni azzardati. Con tutto il rispetto per Bonaviri, che è validissimo scrittore, ma la Simona è di un altro pianeta.

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 23:16 da Salvo zappulla


Caro Sergio, è davvero raro incontrare, riuniti insieme, tre estimatori di Bonaviri, seppur attraverso uno schermo… Che bello il brano della tua intervista! Conosco bene la poesia tratta da “I cavalli lunari”. Ho incontrato alcuni anni fa Bonaviri nella sua casa di Frosinone, in un pomeriggio estivo che è ancora vivido nella mia memoria. Sellerio da un anno ha annunciato la ristampa de “La divina foresta”.
Ti abbraccio e ti auguro buonanotte,
Gaetano

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 23:19 da subhaga gaetano failla


Salvo,
nessun paragone. Era solo un’osservazione meta-naturalistica.
Gaetano,
l’intervista non era la mia. Purtroppo. Ti ”invidio” la conoscenza diretta di Bonaviri.
‘Notte, amici.
Sergio

Postato sabato, 7 giugno 2008 alle 23:51 da Sergio Sozi


Un saluto a tutti e un ringraziamento per i nuovi commenti.
Spero che abbiate trascorso un buon sabato sera.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 01:43 da Massimo Maugeri


Molto presto dedicherò un post a Giuseppe Bonaviri (ormai, peraltro, in precarie condizioni di salute… data l’età) che ho avuto modo di incontrare pochi giorni fa (il 30 maggio) presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Catania.
Spero di avere la possibilità di inserire un video con sue dichiarazioni.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 01:46 da Massimo Maugeri


@ Luca
Non sapevo che recitassi.
E nemmeno che abitassi in un palazzo di vip.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 01:47 da Massimo Maugeri


@ Luca:
Hai chiesto: “lo scrittore deve tenere conto, oggi a maggior ragione, della nuova tendenza del mercato editoriale e dei suoi consumatori?”
Ti hanno già risposto.
Io aggiungo che è bene che lo scrittore scriva tenendo conto della propria ispirazione, delle proprie idee, e dia sempre spazio alle storie e ai personaggi che lo vengono a trovare. Con la massima sincerità. Altrimenti trasforma la sua attività in “bieco tradimento”.

Poi hai domandato: “E se potessi anche incontrarli di persona gli scrittori?: li guarderei soprattutto con ammirazione e sarei confuso nel riconoscere in loro la loro vera identità: ma chi sono, in realtà, loro stessi o i personaggi dei loro romanzi?”
-
Io credo che lo scrittore lasci tracce di sé in ogni personaggio. Tuttavia ritengo un grave errore tentare di identificarlo con il personaggio stesso (o i suoi personaggi) o con la sua opera.
Mai giudicare un figlio dal padre.
E viceversa.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 01:57 da Massimo Maugeri


Ringrazio Miriam per aver scritto nonostante i suoi problemi di connessione.
E vi lascio riproponendovi questa frase di Simona (vedi commento sopra):
“Arte e artigianato…(come) anima e corpo, spirito per sentire e mani per realizzare.”

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 01:59 da Massimo Maugeri


Buona domenica a tutti.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 02:00 da Massimo Maugeri


Di Bonaviri lessi qualcosa molti (troppi) anni fa, ma non riuscì a catturarmi quanto Bufalino. Forse dovrei riaffrontarne la lettura
(ben venga la riproposta da parte di Massimo).

Di Bufalino invece mi piacque sì e subito la ‘Dicerìa’, ma ancora di più ‘Argo il Cieco’, che lessi per primo e che nella mia personale graduatoria è uno fra i libri più belli della letteratura italiana del dopoguerra.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 11:38 da Carlo S.


@Carlo, per tornare ad arte e artigianato: é emblematico sotto questo profilo anche “Le menzogne della notte” sempre di Bufalino. Dove la verità e il suo guizzo subiscono mille interpretazioni e rivolgimenti…
Nella notte prima della loro esecuzione un gruppo di uomini narra le proprie vite a un oscuro visitatore.
Ogni storia si arrotola sul respiro della notte e sembra spiegare le loro esistenze.
Ma sarà la verità? O non è piuttosto una giustificazione ultima, che viene data solo per paura della morte?
Ecco.
L’arte è quella notte che ispira una menzogna.
Artigianato è la menzogna stessa suggerita dalla medesima paura di non farcela. Di non sopravvivere.
Alla fine, sia il guizzo da cui nasce la narrazione, sia la fatica che la porta avanti, non sono che pura resistenza. Ostinato arrembaggio di forze contro il timore di essere dimenticati.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 13:37 da Simona


Mi convince molto il discorso di Simoma su arte e artigianato. Probabilmente saranno mie personali traveggole ma una delle massime espressioni in tal senso (in italia, ovviamente) mi sembra Pirandello.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 14:46 da enrico gregori


Buon giorno amici. E grazie per essere qui, anche in una domenica di giugno.
Mi sono sentito con Miriam, la quale – come sapete – ha probleimi di connessione.
Miriam mi chiede di precisare che, per lei, il romanzo “Una storia romantica” di Antonio Scurati è un vero capolavoro. Io non mi esprimo, giacché questo libro non l’ho letto.
Maria Lucia aveva scritto quanto segue:
Brava sempre Miriam. Concordo. Sto leggendo “Una storia romantica” di Scurati. Una delusione. Romanticismo poco e niente, lo spirito, l’aura del tempo risultano uuna sperimentazione alla copia e incolla, alla Frankenstein, che non riescono a vivere. Un’opera morta prima di nascere e che pure avrebbe avuto tutte le possibilità e le carte in regola per farcela. Non basta la tecnica, non bastano le letture, non basta lo studio. Ci vuole poi un afflato, il flatus vocis, il respiro della vita, il dono del vasaio che trasformò un pugno di fango e sputo in un uomo.

Postato Sabato, 7 Giugno 2008 alle 10:11 am da Maria Lucia Riccioli

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 15:13 da Massimo Maugeri


A questo punto propongo a Miriam e a Maria Lucia di predisporre due recensioni sincere – e rispettose del proprio punto di vista – sul libro in questione per aprire un dibattito.
Maria Lucia ci spiegherà perché trova questo libro deludente.
Miriam ci illustrerà i motivi per i quali lo stesso libro è da considerarsi capolavoro.
Il tutto, ovviamente, in un nuovo post.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 15:16 da Massimo Maugeri


@simona
Si, la tua osservazione è molto pertinente. E “Le menzogne della notte” era un altro meraviglioso libro di Bufalino, che ho letto.
Ed Enrico, nonostante tuttociò che si beve e (forse) quello che si fuma, non ha poi molte traveggole. Forse i caffè gli fanno da antidoto.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 16:19 da Carlo S.


Buona idea, Massimo.
Io-come MIriam sa-ho da un pò questo romanzo di Scurati da leggere.
Non mi attira particolarmente, perchè Scurati è un autore che stimo per la serietà, apprezzo i suoi articoli su ‘La Stampa’, ma come scrittore di romanzi lo trovo un pò troppo….professore.
Però il giudizio cosi’ positivo di Miriam mi ha colpita, cosi’ come specularmente quello negativo di M.Lucia.
Insomma, son curiosa.
Noto che Scurati è uno che fa parlare molto, divide.
Io credo anche perchè, Saviano a parte, lui , con gli articoli su ‘LaStampa’, lui propone un afigura attualmente molto in crisi:lo scrittore(non il giornalista scrittore, ma proprio lo scrittore), che interviene in maniera rilevante, sui più diversi temi, su un grande quotidiano nazionale.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 16:36 da laura


@Mariano Sabatini, mi è piaciuto il suo giudizio onesto e sincero verso se stesso, è uno dei pochi autori che non si è voluto fregiare del titolo di scrittore. Il suo atteggiamento è raro, quanto incontrare un elefante bianco.Ho ammirato anche la delicatezza di non infierire sull’ autore che le piace poco. Anch’io, sempre in questo nostro blog, avevo espresso la stessa opinione.Solo il tempo possiede la prerogativa di rendere immortali gli scrittori. Immagino la Letteratura come una scala protesa verso il cielo, ognuno di noi occupa un scalino più o meno alto. L’attento lettore o un critico integerrimo, possono far ascendere anche chi per tanto tempo è rimasto al palo… Ogni competitiva invidia mi sembra inutile e fastidiosa. Sicuramente lo stile di ciascuno migliorerà con l’esperienza, ma, comunque è sempre l’innato talento che poi fa la differenza!
La mia libreria ” Becarelli”, è sfornita del suo libro, mia figlia l’ha gia ordiinato per me. L’atteso volume dovrebbe arrivare verso giovedì. Sono convinta che le sue sapide pagine mi insegneranno qualcosa che non sapevo. Così attraverso le sue domande mirate e rivelatrici, potremo accedere alla” cella iinteriore” di diversi autori. Ringrazio Lei e Massimo per la felice opportunità,anche questa volta Max, si è dimostrato uno straordinario padrone di casa. Serena Domenica a tutti
“Le regole per scrivere sono solo tre. Peccato che nessuno le conosca”
Somerset Maugham
“Ho smesso di leggere libri. Avevo l’impressione che mi bloccassero la mente” Oscar Wilde
Tessy

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 17:33 da M. Teresa Santalucia Scibona


Che bel tema che hai scelto, Massimo! Credo che la letteratura sia tecnica e talento innato. I due aspetti camminano insieme. Un bravo scrittore che ha perso il “calore” della scrittura o che non sente più l’ “anima” di una storia, sarebbe capace di scrivere un romanzo tecnicamente ineccepibile ma per nulla coinvolgente. E una bella testa pensante, ricca di spunti e fantasia, rischia di perdersi se non conosce il rigore e la tecnica. le tre interviste dimostrano che non esistono regole prestabilite, che ogni scrittore ha una propria dimensione, propri riti, abitudini, trucchi, persino scaramanzie. Beato, poi, quello scrittore che riesce a rispettare se stesso tenendo conto anche dei gusti del mercato e degli editori…

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 17:40 da Rosa Maria/BitLetteratura


Salve a tutti! Spero che Massimo stia meglio…
Grazie a Rosa Maria di essere intervenuta, a Laura, a Tessy per la sua dolce e sempre serena maniera di commentare e per gli aforismi che ci regala, a Carlo, Enrico, Simona… ciao Salvo! A te invidio la fortuna di aver conosciuto Bufalino ma ti ringrazio per le tue parole sui nostri scrittori siciliani che tengono alto l’onore delle patrie lettere… Bonaviri l’ho conosciuto anni fa all’università di Catania. Il mio professore di Letteratura italiana, Paolo Mario Sipala, aveva scritto la prefazione a “Notti sull’altura”. Mi colpì quel suo misto di parole arabe siciliane latine greche, il suo surreale impasto di miti religione scienza – Bonaviri è cardiologo – … un grande. Salvo, grazie anche per aver portato la La Spina a Siracusa, perché al di là del carattere non facilissimo è una scrittrice geniale, davvero. Grazie a lei e ai suoi consigli ho iniziato a scrivere racconti e a leggere libri che forse senza di lei non avrei letto o a cui sarei arrivata più tardi e con maggiore fatica.
Su Scurati: non ho ancora finito il libro, ma mi sembra una sagra del già visto e sentito. Non discuto il lavoro di documentazione ma non posso leggere ad ogni piè sospinto chiose professorali alla Salgari. L’azione si svolge vicino al baobab? Salgari si ferma e ti spiega che pianta è che caratteristiche ha etc etc. Scurati fa passeggiare il protagonista per Milano? Via Manzoni, come lo scrittore che… Chi sono i mazziniani chi sono i neoguelfi… allora meglio un libro di sana divulgazione. Ce ne vorrebbe veramente uno serio sul nostro Risorgimento, davvero. Se leggiamo questo romanzo come un bignami – sto esagerando – del 1848 va bene, ma come romanzo fa acqua veramente. Vuole essere un po’ romanzo storico, un po’ feuilleton, un po’ blockbuster hollywoodiano. Non riuscendoci.
E poi, soprattutto: non ci trovo vita in questo romanzo. Tutto mi sembra passare come dietro ad un vetro, non mi ci sento mai dentro.
Sono stata troppo severa? Di solito se un libro non mi piace stendo un pietoso velo e taccio, ma siccome mi aspettavo qualcosa di più – il titolo ti strega e ancor più la copertina con “Il bacio” di Hayez, un quadro che mi incanta da una vita – e ci sono rimasta alquanto delusa, mi sono permessa di scriverne. Miriam, che mi dici tu?
Non per parlare sempre di Mazzucco e La Spina, però loro due ti portano dentro i mondi che evocano, siano il 1905 de “Il bacio della Medusa” o il 1700 che Silvana La Spina evoca ne “La creata Antonia”, con quel presente storico e quel ritmo palpitante, vertiginoso. L’invenzione linguistica è poi meravigliosa. Altra pasta.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 18:32 da Maria Lucia Riccioli


Da non scordare che però il protagonista del post rimane Mariano Sabatini col suo libro…

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 19:34 da Maria Lucia Riccioli


Sono d’accordo con te Maria Lucia: altra pasta!

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 20:04 da Rosa Maria/BitLetteratura


Acciderboli, Marilu’! Ed io che credevo di essere il ”piu’ spietato della congrega”! Meno male che ci sei tu. Scurati se la vede scura…

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 20:14 da Sergio Sozi


Un’osservazione sui ”modi”, rivelatici da Sabatini, in cui oggi la gente scrive romanzi: ho notato che molti degli autori hanno la musica come sottofondo. Sarei curioso di sapere se anche voi, autori letteratitudiniani, mentre scrivete ascoltate musica.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 20:18 da Sergio Sozi


Tu, Maugger?

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 20:19 da Sergio Sozi


Ops… :-(
Non volevo esagerare… è un’opinione molto a caldo, in itinere. A lettura completata sarò più esauriente.

Quando scrivo non ascolto musica perché mi deconcentrerebbe. Neanche quando leggo lo faccio. La musica però mi accompagna per tutta la giornata, in macchina, a casa, al coro tre quattro volte la settimana. Spesso mi ha dato spunti per scrivere. Amo il ritmo, la forma, la musica che si sposa alle parole. Credo mi abbia aiutata con i versi. Anche un racconto o un romanzo possono essere musicali e una frase un suo ritmo, una sua metrica franta o meno ce l’ha sempre.
In questo periodo ascolto Traviata, Brahms IV sinfonia, canzoni pop a tinchitè sempre e quando posso W Radio 2 perché mi ammazzo di risate…

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 20:51 da Maria Lucia Riccioli


No, io non potrei ascoltare musica “mentre” scrivo. Semmai poco prima, può servire a creare l’atmosfera. Ma solo a volte.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 21:08 da Rosa Maria/BitLetteratura


Io ultimamente mentre scrivo ascolto Baglioni, sarà per questo che mi vengono fuori tutte storie lagnose.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 21:40 da Salvo zappulla


@ antidarwin

Allora è figlio unico. Si chiama libro o quadro (canzone, scultura, poesia, etc.) e lo puoi riconoscere fra un molteplice numero di oggetti dello stesso genere.
Presupponiamo di trovarci all’interno di una stanza su i cui scaffali sono raccolti migliaia di libri d’autore tutti con la copertina dello stesso identico colore, senza alcuna indicazione di titolo e di autore e che, si possa prendere, a sorpresa, un libro da leggere o da sfogliare.
Avendo già letto questi autori precedentemente, chi non riconoscerebbe la scrittura di Gesualdo Bufalino O quella di Joice O, se non altro per le trame complesse, Dostojesky ?
Ecco, secondo me, è questo il punto del tema da voi proposto e che avete cercato di chiarire nel migliore dei modi: l’unicità, l’irripetibilità dell’autore. Poi è del tutto secondario COME ha fatto a farsi riconoscere sin dalla prima pagina!
Personalmente penso che si possa distinguere Mondrian da Cezanne per i differenti processi di pensiero, ma sia l’uno come l’altro sono l’espressione di una ricchezza intellettuale che esclude l’imitazione, in quanto la loro stessa ricerca era autentica.

Ragionamento che peraltro fila con quello di Simona, alla quale interessa la memoria.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:47 da Rossella


E adesso rispondo anch’io, a me stesso. Cosi’:
”Nel tuo canto / specchiati sempre, una pena infinita!”
(France Preseren, ”Al poeta”, 1847)
Ne consegue che, se ”canto” io, o faccio coro con altri o tutto deve tacere. Ma non son tipo da cori, quindi voglio il silenzio. Totale.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:50 da Sergio Sozi


Rossella,
certo, i bravi sono riconoscibili. Gli altri per niente. Massa.
Ciao, cara
Sergio

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:52 da Sergio Sozi


@ Salvo Zappulla
Baglioni che cog…. però anche Baglioni lo riconosci alla radio…quella camminata strana….guarda che Baglioni è anche un’architetto, ha pure uno strabismo di Venere che lo rende simpatico e per niente lagnoso.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:53 da Rossella


Claudioooooooooo

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:56 da Rossella


@ Sergio
Forse non sei da cori…ma da dibattiti si. Eccome!

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 22:59 da Rossella


Antidarwin?
Grazie Rossella del tuo contributo. Non avevamo finora parlato di processi di pensiero. Pensiero e linguaggio si strutturano a vicenda. Pensiamo ai bimbi piccoli: l’uno è collegato all’altro. Nel processo artistico idee concetti sentimenti assumono una forma, anzi nascono già come forme. La parola è l’unità di significante (r-o-s-a, fonemi e grafemi, suoni e resa grafica degli stessi) e significato (fiore). Le sequenze di segni – versi, frasi… – si concatenano per formare strutture più complesse. Lo “stile” è la formula che utilizziamo per distinguere e catalogare il modo originale personalissimo che è come l’impronta digitale degli autori – pensiamo alla grafologia – . L’autore in quanto persona è unico e irripetibile. L’opera artistica è espressione del suo pensiero del suo mondo interiore della sua fantasia. Dell’autenticità della loro ricerca interiore, come dice Rossella. Che se è sincera non può essere imitata. Anche se è utile scrivere “à la manière de…”, cioè imitare, per acquisire ritmi, modo di strutturare scene e personaggi, vocaboli… ma per poi trovare la propria voce.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 23:03 da Maria Lucia Riccioli


Riconoscibilità=originalità=grandezza? Mmh… ci devo pensare.
Sergio, perché non sei tipo da cori?

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 23:09 da Maria Lucia Riccioli


L’esperienza del coro – scusate l’off topic – è meravigliosa perché è palestra non solo vocale ma umana. Non solo nel senso che incontri altra gente con la tua stessa passione – come nei blog, tipo quello di un certo Max Maugger – ma come palestra di umiltà, sostegno reciproco, condivisione di una meta, movimento comune verso una direzione partecipata. E questo nelle singole sezioni – che so, SCTB, soprani contralti tenori bassi – e nel rapporto di consonanza e dissonanza, di omoritmia o meno che si crea tra di esse. Da questa esperienza è nata in me o forse si è slatentizzata perché già c’era, in nuce, l’attrazione per il plurilinguismo, per la polifonia delle voci nella scrittura. Un romanzo io lo vedo, per esempio, come un’opera con orchestra, solisti e coro. L’autore-compositore-direttore d’orchestra crea l’armonia e l’impasto delle masse corali e orchestrali con le voci singole o con gli strumenti solisti.

Postato domenica, 8 giugno 2008 alle 23:18 da Maria Lucia Riccioli


Amo Franco Battiato dalle elementari… anche lui mi ha ispirata per la scrittura. Io credo che uno scrittore sia onnivoro: dalle sue parole “passa” ciò che non solo ha immaginato sentito elaborato ma anche tutte le sue esperienze sensoriali: ciò che ha visto, udito odorato mangiato toccato… e tutto questo si fa parola. Non ha del miracoloso?

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 00:19 da Maria Lucia Riccioli


Certo Massi che potremmo col metodo Sabatini intervistarci tra noi… Un nuovo gioco?
:-)

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 00:25 da Maria Lucia Riccioli


Be’, Marilu’, io non sono da coro perche’ scrivo. Le partiture. Ovvero sento ogni strumento ma devo trascriverlo, non accompagnarlo con la mia voce, o/ovvero col mio strumento. Devo riprodurre quel che sento dentro di me, percio’ prima lo devo percepire chiaramente, senza disturbi auditivi o d’altra sensualita’.
Il dibattito, come dice la cara Rossella, invece e’ un altro paio di maniche: si tratta di pensieri (significati) miei che assumono le vesti delle significanti (i grafo-fonemi) al mero fine di influenzare o assorbire le opinioni altrui. Ma nei dibattiti io non vedo arte. Quando si scrivono le ”partiture”, invece, si’. E a me serve il silenzio. E’ sempre stato cosi’, anche quando studiavo. Se percepisco le sinfonie interne non voglio le esterne – anche perche’ queste sovente sono cacofonie, a dire il vero.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:01 da Sergio Sozi


Grazie per i nuovi commenti.
Che bello vedere che qui il dibattito è continuato!

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:05 da Massimo Maugeri


Insomma, in soldoni, ho un sentimento mistico-percettivo della creativita’: bisogna percepire cio’ che si produce dentro di noi. Nel silenzio, poi, il ”rumore” dei pensieri, delle visioni e delle sensazioni piano piano si allarga e diviene, appunto, coro e orchestra. Se qualcuno o qualcosa di esterno, in medias res, interviene, cagiona solo disturbo e rottura.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:06 da Sergio Sozi


@ Sergio
No, in genere quando scrivo non ascolto musica.
Lle rarissime volte in cui lo faccio evito come la peste la musica italiana, perché le parole mi distraggono dalla scrittura.
Invece mi capita più spesso di ascoltare musica poco prima di mettermi a scrivere… magari per entrare meglio nella “dimensione” della storia.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:07 da Massimo Maugeri


Sì, potremmo provare a rispondere anche noi alle domande poste nelle tre interviste. Bel gioco.
(Ora mi metto in pari con gli altri commenti).

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:08 da Massimo Maugeri


Eila’, Maugger! Kako si? (Come stai? in sloveno). C’e’ posta per te…

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:09 da Sergio Sozi


Sì, Sergio… tra un po’ andrò a controllare la posta.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:10 da Massimo Maugeri


Credo che sulla questione musica, così come in tante altre, viga la regola della soggettività.
Ci sono scrittori che, ascoltando musica mentre scrivono, si sentono stimolati; altri, invece, che si sentono disturbati.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:16 da Massimo Maugeri


Ringrazio ancora una volta Maria Lucia. E auguro buonanotte a tutti.
Ma qui il dibattito continua… se volete.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:17 da Massimo Maugeri


Salomonico, sei! Ho appena visto il nuovo post. Interessante.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 01:18 da Sergio Sozi


Non ho letto tutti i commenti sopra, anche perché mi connetto solo adesso.
La letteratura è più arte o artigianato?
La risposta è banale, ma: l’una e l’altro. Sia arte, sia artigianato. In vari dosaggi, a seconda dei casi. Per i miei gusti, quanto maggiore sarà la percentuale di arte, tanto migliore sarà il libro.
W l’artigianarte!!!
Smile

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 12:06 da Elektra


Remo, grazie, ché la riflessione sulla natura vera della scrittura sia pura immaginazione o le varie sfaccettature dell’animo dello scrittore: qualche volta svelate a lui stesso dai propri lettori attraverso la sua scrittura; questo mi offre lo spunto, e anche quando tu dici:
no, io credo che uno scrittore non deve pensare al marketing.
del resto: nemmeno gli editori hanno le idee chiare.
Di riconoscere che esiste una reale differenza tra letteratura e narrativa, – e non nel significato etimologico – già da me affermata:
La differenza tra letteratura quella vera e la narrativa la fa lo scrittore ed è così ovvio: che iol’ho capito solo dopo aver letto l’intervento dell’autore Remo Bassini; e confermo.
Quindi il marketing, oggi a maggior ragione, riguarda solo gli autori di narrativa che scrivono di:
perché la narrativa, in buona sostanza, è comunicazione scritta seppur immaginifica, – nel senso di raccontare la visione di quello che c’è dentro e attorno a Noi: ma sostanzialmente da rappresentare e consumare centellinandola subito: certo, da ciascuna narrazione si svilupperà altra narrazione che rimarrà nel tempo – quindi letteratura – e non tutti siamo chiamati a riscriverla, peccato però, se fosse veramente così!Caro Remo, sono convinto che la narrativa sarà sempre di più scrittura sceneggiatura per poterla diffondere e condividere con un maggiore numero di persone e utilizzando le altre forme espressive – teatro,cinema, t v – necessarie per una narrazione figlia del suo tempo che rimarrà testimone consecutivo. Ben inteso solo della narrativa che merita; ma, che per il resto dei romanzi, per Noi lettori, rimarranno purtroppo lettera morta, questa è la vera brutalità del mercato che sopprime gli autori: altro che benevolenza e rispetto critico letterario: gli editori vendono Si: illusione ai loro autori fornitori che si vendono l’anima e per poche lire in alcuni casi, direbbe un nostro amico che non vuole cedere! Carmina no panem: ma vendere le proprie idee ed emozioni per gli autori, dovrebbe riguardare solo la loro vanità!
Continua%

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 12:07 da luca


Continua% Remo

Certo, detto da un venditore come me, potrebbe sembrare che siamo tutti venditori:nell’accezione del termine di cessione di una prestazione dietro compenso, lauto sarebbe meglio, forse. Così nella forma, mi rendo conto di esprimere un giudizio morale e chiedo scusa in anticipo. E la sceneggiatura filmica,televisiva con ampio riscontro di pubblico, altrettanto, diventerà narrativa per il piacere di essere centellinata come scrittura letteraria: ma poi tutto verrà superato! Certo, questo secondo me e me ne assumo la paternità.
Caro Remo, tu cosa consiglieresti ai tuoi allievi scrittori a proposito della contaminazione dei generi e se tenerne conto?
Grazie e una stretta di mano: piacere,piacere
Luca Gallina

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 12:13 da luca


Maria Lucia Riccioli, grazie, anche tu sei per la letteratura, di qualsiasi genere, scritta da scrittori, purché il tempo renda loro giustizia letteraria sulla qualità, forse.
Luca Gallina

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 12:16 da luca


Caro Massimo, grazie, devo svelarti che io sono stato nel passato:
uno Yuppies rampante pubblicista (upper class), – in verità, un venditore affabulatore di target e grp’s rappresentato dai lettori di media, propensi al consumo di prodotti di lusso, che gli stilisti di alta moda e i produttori di champagne , di orologi ed altro ancora volevano influenzare con la loro pubblicità attraverso giornali,periodici,radio, tv,affissioni, a un costo contatto utile e il più conveniente grp’s per gli investitori pubblicitari da me assistiti -,questa quindi la vera anima dell’attore che c’è in me; ma ora non mi rimane, che re interpretare me stesso e i sensi di colpa lasciati dal consumismo goduto a piene mani negli anni ‘80 e svelatosi pieno d’infelicità, non solo a teatro; ma in realtà nei miei racconti teatrali: gli interpreti principali siete anche Voi, così sinceri,rigorosi il giusto,umorali quanto basta,sottogruppi d’intesa per affinità dal resto degli amici,amorevoli ma passionali,un po’ d’ipocrisia e di finto buonismo quando serve, e persone speciali che la Cultura, il Vostro segno distintivo quotidiano,la praticate come stile di vita,è questo non è poco se me lo consentite cari amici di scrittura: io sono un vostro lettore più che ammiratore estimatore, sempre.
Grazie!
Luca Gallina
P.S. io sono convinto, invece, che il figlio potrà fare da padre, come caso letterario, quando la scrittura risulterà ancora comprensibile dalle generazioni a seguire: allora come verrà giudicato e a chi assomiglierà il suo autore, caro Massimo?

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 12:19 da luca


Grazie a Elektra e Luca…
Massi, grazie a te per la bella opportunità di “co-moderare” questo post così denso di spunti.
Grazie a Mariano per avercene data l’opportunità tramite le interviste del suo libro. A proposito: che invidia!!! Anche a me piacerebbe chiacchierare con i miei autori preferiti… Massi, le facciamo le interviste impossibili? Che so, io intervisto Jane Austen, Simona un bel Dostoevskji, Miriam si sceglie un artista cinquecentesco, Enrico penso che potrebbe parlare con Pietro Aretino, Pasquale con qualche cabalista…

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 22:17 da Maria Lucia Riccioli


Sergio, concordo con te per quanto riguarda il “silenzio creativo”… ci sono musiche evocative per me e anche per le mie storie ma non posso ascoltarle mentre scrivo. Parlavo del coro come dimensione musicale e umana di crescita…
DOVE E QUANDO SCRIVETE?
DOVE: a casa davanti al pc, a matita mentre leggo un libro, anche uno scolastico che non c’entra niente, sul primo foglietto che capita con gli occhi chiusi perché le poesie mi vengono di notte, sulle ricevute della banca mentre faccio la fila…
QUANDO: non sono metodica e sistematica anche se lo vorrei… vado a ispirazione ma se arriva posso stare ore a riscrivere correggere limare… Mi piace lavorare su “commissione”, stimolata da un concorso, dal compito del corso di scrittura… spesso mi stimola una notizia strana, un aneddoto storico dimenticato, un’opera d’arte, una musica…
GENERI DI CONFORTO: succo di frutta, caffè, qualche biscotto. Ma se scrivo scrivo e cerco di non distrarmi.

Postato lunedì, 9 giugno 2008 alle 22:26 da Maria Lucia Riccioli


Grazie ancora per l’aiuto, cara Maria Lucia.

Postato martedì, 10 giugno 2008 alle 00:03 da Massimo Maugeri


:-)

Postato martedì, 10 giugno 2008 alle 07:19 da Maria Lucia Riccioli



Letteratitudine: da oltre 15 anni al servizio dei Libri e della Lettura

*********************
Regolamento Generale europeo per la protezione dei Dati personali (clicca qui per accedere all'informativa)

*********************

"Cetti Curfino" di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) ===> La rassegna stampa del romanzo è disponibile cliccando qui

*********************

*********************

*********************

*********************

OMAGGIO A ZYGMUNT BAUMAN

*********************

OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

*********************

RATPUS va in scena ratpus

*********************

Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

*********************

"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

LETTERATITUDINE su RaiEdu (clicca sull’immagine)

letteratitudine-su-rai-letteratura

letteratitudinelibroii richiedilo con lo sconto di 4 euro a historicamateriale@libero.it o su ibs.it - qui, il dibattito sul libro

letteratitudine-chiama-mondo

letteratitudine-chiama-scuola

Categorie

contro-la-pedofilia-bis1

Archivi

window.dataLayer = window.dataLayer || []; function gtag(){dataLayer.push(arguments);} gtag('js', new Date()); gtag('config', 'UA-118983338-1');
 
 

Copyright © 1999-2007 Elemedia S.p.A. Tutti i diritti riservati
Gruppo Editoriale L’Espresso Spa - P.Iva 05703731009