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Archivio del 9 giugno 2008

lunedì, 9 giugno 2008

IL SUCCESSO DEL RICCIO

L’abbiamo detto altre volte. Costruire un best seller a tavolino è cosa assai difficile, praticamente impossibile. È più agevole ragionare in direzione opposta, con il “senno di poi”. Partire, cioè, da un caso di successo, magari inatteso, e interrogarsi sui motivi che tale successo, in un modo o nell’altro, l’hanno determinato.

In Francia, per esempio, c’è stato un libro che sul campo si è guadagnato il titolo di caso letterario del 2007 vendendo centinaia di migliaia di copie grazie a un impressionante passaparola. Il libro ha poi vinto il Premio dei Librai assegnato dalle librerie.

Il suddetto successo è stato sostanzialmente replicato anche qui in Italia.

Mi riferisco a L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, tuttora in top ten, e che qualche settimana fa ha raggiunto la cima delle nostre classifiche dei libri più venduti segnando il più importante successo editoriale nella storia della casa editrice romana e/o (che al libro ha anche dedicato un apposito forum).

Vi propongo: un articolo di Daria Bignardi, la recensione della “nostra” Simona Lo Iacono (che mi darà una mano a moderare il post) e l’opinione di Giovanna Bentivoglio (editor e/o per la letteratura italiana).

A voi domando:

Cosa pensate del libro in questione? Vi ha sorpreso? Vi ha deluso? Vi aspettavate di più? Di meno? (Mi rivolgo, chiaramente, a chi ha letto il libro).

Quali sono le ragioni di tanto successo?

E poi… chiudersi a riccio, nascondersi, nascondere i propri sogni, le passioni, le aspirazioni, e coltivarle in segreto… è giusto o sbagliato? È bene o male?

Quali sono i pro e i contro?

Massimo Maugeri

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L’articolo di Daria Bignardi

L’eleganza del riccio di Muriel Barbery è in classifica da parecchio, in Francia è stato il successo dell’anno scorso e sta diventando un caso anche qui: mentre scrivo è al primo posto della narrativa straniera. L’ho letto a Natale e non mi ha deluso, era dai tempi di Quella sera dorata di Peter Cameron che non m’imbattevo in un romanzo tanto romantico. In Internet se ne discute con foga: chi lo trova un romanzetto pretenzioso pieno di difetti, chi un libro delizioso. Io sono d’accordo con entrambe le curve, anche se, dovendo votare col maggioritario, do il mio voto al partito del delizioso. Voglio dire che L’eleganza del riccio non è certo un grande romanzo contemporaneo come, che so, La versione di Barney di Mordecai Richler, ma è un libro piacevolissimo che induce sane riflessioni. Riflessioni e ricordi: di quando da ragazzi si viveva d’arte e d’amore, letteralmente, e si pensava che sarebbe stato così per sempre. Chi prima e chi dopo, quasi tutti a un certo punto abbiamo scoperto quanto i bei libri, il buon cinema, l’arte possano dare piacere.Noi l’abbiamo scoperto alle superiori, o giù di lì; la portiera Renée, il Riccio, l’ha intuito addirittura da bambina, poi però la sua vita è andata in un modo che non prevedeva scuole né teatri né biblioteche. Ma il germe di quel piacere Renée l’ha coltivato da sola, di nascosto. Il motivo per cui decide di nascondere a tutti le sue buone letture, camuffandosi da persona ignorante, è uno dei limiti del romanzo: non molto credibile e un po’ di maniera.
Ma se l’artificio letterario non è riuscitissimo, lo è invece il suo personaggio: tutti ci nascondiamo. O, almeno, tutti crediamo di farlo. I più sensibili e irrisolti di noi si sentono sempre in incognito, come Renée, e passano la vita a cercare di non farsi notare mentre coltivano in segreto passioni, speranze, sogni. Renée non spera, ma in segreto coltiva il Bello. Finge di cucinare piatti grevi che dà al suo gatto (che si chiama Lev come Tolstoj) mentre lei si nutre di piatti semplici ma raffinati, finge di guardare programmi stupidi in Tv ma in segreto studia l’anti-cinema di Ozu, legge solo classici e saggi, ascolta Mahler.
Tutto questo mentre lavora per gli inquilini ricchi di un palazzo parigino di rue de Grenelle, uno più stupido e superficiale dell’altro tranne Paloma, figlia dodicenne di un deputato, così lucida e disperata che ha deciso di uccidersi il giorno del suo compleanno. Sarebbe la coprotagonista del romanzo, ma, per quanto simpatica, scompare di fronte alla forza del personaggio del riccio Renée.Quando in rue de Grenelle 7 trasloca un ricco ma sensibile vedovo giapponese, la storia prende un ritmo cinematografico incalzante e, improvvisamente, la cultura giapponese diventa la personificazione del Bello assoluto. Non è difficile capire che sia così anche per l’autrice e lo diventa immediatamente anche per il lettore: come non averlo capito prima? È bello tornare ragazzi e credere al potere salvifico dell’arte e dell’amore: deve essere questo il motivo del successo dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, insegnante di filosofia.

Daria Bignardi

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La recensione di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGUn condominio. Una portinaia. La vita che s’innesta su ritmi lenti, scrutati da una guardiola. E uno sfilare innanzi a essa distratto, veloce, già preso dal pensiero del  dopo, delle scale che si abbarbicano su,  o dell’ascensore lussuoso che svetterà fino all’attico di rue de Grenelle numero 7.

Da questo andirivieni che la sfiora soltanto, che a stento la lambisce come onda che rallenti sulla schiena di un pesce, la portinaia è separata da un cortile, da piante curate con concimi e spray, da pochi passi scalpiccianti su un marmo levigato, incerato di fresco.Eppure è come se in questo brevissimo spazio si dilatassero terre e continenti. Come se Renée – anni 54, vedova, pantofole ciabattanti nel sottoscala – per gli abitanti di rue de Grenelle  non esistesse.Sarà perché è mattina di afa. E sudori svaporano dai seni delle signore imbellettate. Sarà perché nell’aria naviga l’odore acre di un profumo costoso e cani di razza ticchettano per i corridoi.Renée osserva dalla guardiola. Torna a lucidare gli ottoni delle maniglie. Di nuovo solleva lo sguardo. Alle sue spalle, l’ultimo libro letto pare occhieggiarla e sussurrarle un invito. Dopo, pensa, dopo.

E dopo, quando la guardiola serra gli usci, quando  lo scuro prende ad assediare l’atrio, le vetrate, le porte su cui splendono le targhette degli interni, Renée esiste. Esiste nelle speculazioni filosofiche che le balenano in testa con raffinata spavalderia. Nella lettura di  Tolstoj. Nell’assetata conoscenza della musica classica, dell’arte contemporanea, dei film d’autore.Allora è come se da un fodero consunto guizzasse fuori una lama d’argento.  Come se dal guscio di un riccio venisse allo scoperto un corpo elegante. Come se la portinaia svaporasse dal grembiule che la  cinge ai fianchi  e intonasse un canto.Un canto ironico, colto, contemplativo. Quello che la sua autrice – Muriel Barbery (“L’eleganza del riccio” ed. e/o) – le affida impavidamente, rompendo gli schemi dell’apparenza. Quello che stranamente si incrocia – in ondeggiante riflesso – a un altro canto.

Paloma. Figlia di un ministro. Disincantata abitante  del condominio. Contestatrice silenziosa delle amicizie che contano, della lingerie di lusso, dei cibi dell’aute cousine rosolati in essenze orientali. Paloma che scrive un diario. Che tesse riflessioni e poesie. Che programma di dar fuoco alle vacuità del suo mondo in un rogo infestante.

Paloma. Che ha 12 anni e che vuole morire.Una morte di cui riempie le pagine. Di cui organizza i particolari. Di cui  recita la parte con distacco, fingendosene disinteressata. Attendendo – disperatamente attendendo  – che qualcuno  la salvi.

Ecco. E’ forse in questa inconsapevole attesa della  salvezza che le due voci si somigliano. In questa sospensione senza dolore, senza speranze. Nell’immobilità che precede lo scroscio di un acquazzone, il saettare di un fulmine, il rombare di un tuono.Questa salvezza, Renèe e Paloma non sanno neanche di vagheggiarla. Di desiderarla. Di lambirla in notti stanche, cullate dal ronfare di un gatto o dal cicaleccio della  tv. Non sanno che è prefigurazione di un viaggio. E che è anche paura di essere salvate.

Quando questa salvezza irromperà nelle loro vite – e avrà volto di uomo e di poeta – forse al lettore sembrerà tardi. Forse penserà che il destino riscuote troppi interessi e che  Renée meritava più tempo. Penserà: non ora. Non ancora.

Ma non è beffa. Né malasorte. Tu, lector, ricorda che la rivincita sta nel far affiorare assonanze. Nel lasciare che il battito del cuore illanguidisca, che il respiro si riappropri di uno spazio, che qualcuno ci sradichi dalla guardiola. Dopo, sarà come andare – finalmente andare –  a fiato pieno. Allungare  il ricordo  sul passato. Tornare a ripercorrerlo, il passato, a farne un polverio da sfarinare, ormai, tra le dita.

Simona Lo Iacono

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L’opinione di Giovanna Bentivoglio 

Il romanzo di Barbery è sicuramente un caso letterario interessante da analizzare e a parer mio verte sulla straordinaria coincidenza di una mutazione nel comune sentire di una società, quella francese, che ha comportato la rottura di luoghi comuni con la conseguente insofferenza per quello che era ritenuto il politicamente corretto corrente, e il “tempismo” dell’autrice nel coglierne e rappresentare in un romanzo la mutata sensibilità. La scrittrice ne ha avvertito i segnali e li ha trasposti in una storia abitata da uno spirito sarcastico pungente, da un’ansia di riscatto per coloro che – per una ragione o per l’altra – restano emarginati o schiacciati e dall’insofferenza per una certa casta dominante ma in rovinoso declino politico sociale (quella della cosiddetta “gauche caviar”). Il grande successo registrato anche in Italia è a mio avviso il sintomo che, al di là del valore letterario specifico del romanzo (che pure c’è), esso corrisponda a una stessa mutazione nella sensibilità comune, una stessa insofferenza nei riguardi di una rappresentanza politica e culturale che ha durevolmente detenuto il primato dell’egemonia culturale ed etica e che, come si è visto, non corrisponde più a un sistema di valori e a una identità sentita e condivisa.

Giovanna Bentivoglio

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   159 commenti »

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