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Archivio del 17 giugno 2007

domenica, 17 giugno 2007

78 RAGIONI PER CUI IL VOSTRO LIBRO NON SARA’ MAI PUBBLICATO (di Antonella Cilento)

Oggi in Italia è forse fin troppo facile per gli esordienti arrivare alla pubblicazione e questa facilità, legata soprattutto alla sete di scritture giovani, è in crescita, piuttosto che in calo: può capitare di esordire dopo molti anni di rifiuti, e non è detto che sia un male, così come può risultare facilissimo trovare un piccolo editore disposto a rischiare su un testo anche di modesta qualità. Lo spazio ufficiale per gli esordi, considerando anche le grandi case editrici, è nel nostro paese percentualmente basso, tuttavia la selezione di quanto viene pubblicato sposta sempre più i criteri dalla qualità letteraria alla stretta vendibilità.

Così, se la massa di esordienti è in continuo aumento e preme su agenzie, scuole di scrittura e scrittori, cercando canali di lettura, il panorama che si offre in risposta è sempre più blindato e commerciale: bisogna che un editore faccia i numeri, e gli editor ne sono i primi responsabili, così potranno in seconda battuta puntare su autori che vendono meno ma sono di maggiore qualità. 

E pur di fare i numeri, si pubblica davvero di tutto.

Ma se è molto facile scagliarsi contro il mondo dell’editoria, non bisogna dimenticare che è anche la folla di aspiranti, molti dei quali senza qualità e vocazione, a rendere difficile la selezione. Scrive a questo proposito Pat Walsh:

“La ragione principale per cui il vostro libro, una volta che avrete finito di scriverlo, non sarà pubblicato è che non è abbastanza bello… forse fa addirittura un po’ schifo”. Walsh, editor e co-fondatore della casa editrice McAdam/Cage, ha le idee chiare su cosa deve fare un esordiente per confrontarsi con la sua aspirazione alla scrittura e le espone con sistema in 78 ragioni per cui il vostro libro non sarà mai pubblicato e 14 motivi per cui invece potrebbe anche esserlo (Tea, 9 euro).

L’elenco è secco e semplice: non si viene pubblicati negli Stati Uniti – ma il parallelo con l’Italia è abbastanza stringente – perché non si è mai scritto il libro di cui tanto si parla (e cioè si dice sempre che lo si scriverà, ma che non si è ancora trovato il tempo per farlo, oppure che servono buone conoscenze nell’ambiente prima ancora di mettersi a scrivere); perché il libro è brutto, perché si pensa che scrivere sia facile, perché non si cura la lingua o la storia, perché si plagia o si è troppo affezionati ai propri errori, perché ci si innamora del primo prodotto senza rilavorarlo, perché non si prende sul serio la fatica di scrivere. In fine, per tutta una lunga serie di ragioni che riguardano la scarsa conoscenza delle regole del mondo dell’editoria. Ed è evidente che, se esistono ben 78 motivi per fallire e appena 14, secondo Walsh, per avere qualche probabilità di riuscita, l’imbuto in cui cade l’esordiente è ben stretto: fra le qualità necessarie ci sono le ovvie (aver scritto un bel libro), ma anche essere onesti con se stessi, coltivare speranze e aspettative ragionevoli, essere pazienti, tenaci e buoni gestori del proprio tempo, saper accettare i no e le critiche, prendersi sul serio ma divertirsi.

Una delle questioni su cui Walsh punta è la fretta: se un manoscritto viene inviato state pur sicuri che sarà difficilmente letto una seconda volta, è inutile mandare capitoli di prova che poi si cambieranno. Bisogna stare molto attenti alle lettere di presentazione e ai modi con cui contattate gli editori e gli agenti: potreste presentarvi nel modo peggiore. 

A volte, però, si sanno scrivere splendide lettere di presentazione e pessimi libri, e anche questo è un notevole handicap. In sostanza, l’antimanuale di Walsh, scrittore fallito e editor felice, sia pur nella manichea  e pragmatica modalità americana, dà suggerimenti autentici, che chiunque conosca un po’ il mondo dell’editoria non potrà che sottoscrivere. Il ritratto di questo mondo affollatissimo di aspiranti inconsapevoli che bussano alle porte degli editori sbagliati, che tartassano gli agenti e che inviano qualsiasi cosa abbiano buttato giù in quattro e quattr’otto, non può che somigliare, in piccolo, alla nostra realtà. Certo, è difficile non ricordarsi di un piccolo ma perfetto racconto di Giuseppe Pontiggia (Lettore  di casa editrice) in cui un editor, un po’ affaticato e afflitto dalle molte storie quasi buone ma tutte senza obiettivi che gli tocca leggere, finisce con il cestinare per sbaglio anche un libro destinato al reparto traduzioni e firmato Dostojevski.

E in effetti Walsh di questi possibili errori non se ne duole, anche perché sostiene in un capitolo che gli editori cercano storie credibili e forti, in un altro che occorre avere un perfetto tempismo e, in un successivo, che certo si può essere sfortunati e c’è poco da fare.

A completare questa complicata quadratura del cerchio c’è la notizia che l’editoria è un’industria, che i libri sono numeri, in senso matematico e in senso economico, e che quando gli autori non possono sentire li si chiama per codici o per unità: “Ah, come staremmo meglio senza di voi! Potessimo fare il nostro lavoro senza autori!”, mi disse in uno slancio di sincerità una mia vecchia editor. E non si può non confrontare questa realtà, fatta spesso di lettere prestampate e, raramente, di brevi messaggi di apprezzamento, quando capita, con le accurate  lettere che Calvino scriveva per i suoi rifiuti quaranta e più anni fa: l’editoria italiana sembra non saper più trovare il tempo, a dispetto di editor spesso molto competenti e a loro volta autori, di costruire alcuna idea di letteratura. Colpa, allora dell’assenza di sogni imprenditoriali? Di una progettualità finalizzata solo al denaro? Fatto sta che in risposta a questi vuoti di qualità proliferano editori a pagamento, che appiattiscono ancora di più la selezione, pubblicando dietro compenso i libri che altri rifiutano o che nemmeno leggerebbero, tanto sono improponibili. Insomma, chi ne fa le spese in Italia molto più che in America, considerando il mercato asfittico e l’assenza di lettori, sono gli autori che, come Walsh spiega, meriterebbero più rispetto  per il loro mestiere, per l’enorme fatica mai ripagata e in nessun modo compensata: perché se, a volte, negli Stati Uniti possono capitare anticipi faraonici e royalties spettacolari, in Italia vivere di libri, specie di quelli scritti bene, è impossibile.   

Antonella Cilento

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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).

“Una lunga notte” ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. “L’amore, quello vero” ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito “Ora d’aria”. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.

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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.

Ha realizzato:

per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno" (supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista".

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento)   36 commenti »

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