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martedì, 10 settembre 2019

CENTO ANNI DALLA NASCITA DI PRIMO LEVI

Il 31 luglio 1919 nasceva a torino lo scrittore PRIMO LEVI. In occasione del centenario della nascita riproponiamo una puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata per l’appunto alla figura di Primo Levi e incentrata sul volume di Marco Belpoliti intitolato “Primo Levi di fronte e di profilo“ (Guanda)”. Di seguito una nota biografica di Primo Levi.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/c/c2/Primo_Levi_bianco_e_nero.JPG

In streaming e in podcast su RADIO POLIS


trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Con Marco Belpoliti discutiamo del suo saggio incentrato sulla figura di Primo Levi, intitolato Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda).

Nella seconda parte della puntata, la lettura di un estratto del più celebre romanzo di Levi: “Se questo è un uomo“.

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La scheda del libro
Frutto di un lavoro ventennale, questo è un libro-universo, e l’universo è quello di Primo Levi, lo scrittore che negli ultimi settant’anni si è imposto come il testimone per eccellenza dello sterminio ebraico: la sua vita tormentata, la sua vicenda di scrittore e intellettuale, ma soprattutto la sua opera sfaccettata, complessa, ricchissima di temi, rimandi e suggestioni. È’ un libro-mosaico, in cui ogni opera di Levi dà il tema a un capitolo; ma oltre alla storia della composizione, della pubblicazione, delle influenze letterarie, l’analisi si muove in profondità nei contenuti, nell’immaginario, nelle passioni e nei molti mondi di Primo Levi: dalla chimica all’antropologia, dalla biologia all’etologia, dai voli spaziali alla linguistica. Se questo è un uomo, l’opera capolavoro che pure inizialmente era stata rifiutata, viene riletta in maniera nuova: si parla di sogni, animali, viaggio; di scrittura letteraria, commedia e tragedia; di vergogna, di memoria, del rapporto con altri scrittori come Kafka e Perec, Améry e Šalamov… Temi come l’ebraismo, il lager, la testimonianza percorrono e innervano tutto il libro, che si arricchisce inoltre di fotografie di grande impatto e di materiale epistolare ritrovato dall’autore in archivi finora non esplorati dagli studiosi. Marco Belpoliti ha scritto il libro definitivo su Primo Levi, un tesoro di storie e riflessioni che compongono un saggio con il respiro di un’opera letteraria multiforme.

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Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato le opere di Primo Levi e pubblicato diversi libri, tra cui: Settanta, Diario dell’occhio, L’occhio di Calvino, Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio, Il segreto di Goya. Condirettore della rivista-collana Riga (Marcos y Marcos) e di www.doppiozero.com, insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L’Espresso.

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Un americano a Parigi” di Gershwin; “Quadri di un’esposizione” di Mussorgsky; “Bridge on the River Kwai”.

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PRIMO LEVI (nota biografica)

Primo Michele Levi (Torino, 31 luglio 1919 – Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore, partigiano e chimico italiano, autore di racconti, memorie, poesie, saggi e romanzi.
Partigiano antifascista, il 13 dicembre 1943 venne arrestato dai fascisti in Valle d’Aosta, venendo prima mandato in un campo di raccolta a Fossoli e, nel febbraio dell’anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager, tornò avventurosamente in Italia, dove si dedicò con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite.
La sua opera più famosa, oltre che quella d’esordio, di genere memorialistico, Se questo è un uomo, racconta le sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista ed è considerato un classico della letteratura mondiale. Laureato in chimica, in alcune delle sue opere appaiono riferimenti diretti e indiretti a questa branca della scienza.

Primo Levi nacque a Torino il 31 luglio 1919 da Ester Luzzati (1895 – 1991) e Cesare Levi (1878 – 1942), appartenenti a famiglie di origini ebraiche. I suoi antenati erano ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza[2] Il padre Cesare, laureato in ingegneria elettrotecnica e dipendente della società Ganz, era spesso lontano dalla famiglia per ragioni di lavoro, principalmente all’estero (in particolare in Ungheria). Nondimeno esercitò sul figlio una profonda influenza, trasmettendogli gli interessi per la scienza e la letteratura che diverranno tratti salienti della personalità di Primo Levi nonché elementi della sua futura produzione letteraria.
Nel 1930 si iscrisse al Ginnasio D’Azeglio di Torino e successivamente, tra il 1934 e il 1935, frequentò il liceo, noto per aver annoverato negli anni precedenti tra i propri insegnanti diverse figure distintesi per la loro opposizione al regime fascista, tra i quali Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio, Zino Zini e Massimo Mila. Levi era uno studente con un buon rendimento. Strinse amicizia con alcuni compagni di corso (tra questi in particolare Mario Piacenza) accomunati dall’interesse per la chimica; con altri compagni invece fondò una sorta di gruppo sportivo-fan club intitolato al corridore Luigi Beccali. Negli anni del Ginnasio fu compagno di Fernanda Pivano; nel Liceo frequentò il Corso B, solo maschile, a differenza di Fernanda Pivano che, nel corso A, ebbe come supplente di Italiano in I Liceo Cesare Pavese; Levi fu allievo di Azelia Arici con cui rimase in contatto nel corso della sua vita e a cui dedicò un necrologio pubblicato su “La Stampa”. Nel 1936-1937 fu uno dei redattori del numero unico del D’Azeglio sotto spirito, rivista della scuola, su cui pubblicò la sua prima poesia Voi non sapete studiare, in cui racconta le sue disavventure nel tentativo di raccogliere un erbario su indicazione della professoressa di scienze. In quel periodo maturerà in Levi l’intenzione di intraprendere una carriera nella chimica, annunciando la propria decisione in tal senso al padre nel giorno del suo sedicesimo compleanno, il 31 luglio del 1935.

Nel 1937, dopo essere stato rimandato in italiano a giugno, si diplomò al Liceo classico Massimo d’Azeglio superando l’esame di maturità a settembre e si iscrisse al corso di laurea in chimica presso l’Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrarono in vigore in Italia le leggi razziali dopo quelle in Germania, dove già l’antisemitismo si era manifestato attraverso atti di violenza e sopraffazione. Tali leggi avevano introdotto gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani che il regime fascista considerava “di razza ebraica”. Le leggi razziali ebbero un determinante influsso indiretto sul suo percorso universitario e intellettuale.
«Nella mia famiglia si accettava, con qualche insofferenza, il fascismo. Mio padre [...] si era iscritto al partito di malavoglia, ma si era pur messo la camicia nera. Ed io fui balilla e poi avanguardista. Potrei dire che le leggi razziali restituirono a me, come ad altri, il libero arbitrio.»
Le leggi razziali precludevano l’accesso allo studio universitario agli ebrei, ma concedevano di terminare gli studi a quelli che li avessero già intrapresi. Levi era in regola con gli esami, ma, a causa delle leggi razziali, aveva difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi, finché nel 1941 si laureò con lode, con una tesi compilativa in chimica (L’inversione di Walden, relatore il professore Giacomo Ponzio). In realtà Levi discusse una tesi e due sottotesi una delle quali, in fisica sperimentale, avrebbe dovuto essere la tesi principale se agli ebrei non fosse stato impedito di svolgere ricerca in laboratorio. Il diploma di laurea riporta la precisazione «di razza ebraica». In quel periodo suo padre si ammalò di tumore. Le conseguenti difficoltà economiche e le leggi razziali resero affannosa la ricerca di un impiego. Venne assunto in maniera semi-illegale da un’impresa, con il compito di trovare un metodo economicamente conveniente per estrarre le tracce di nichel contenute nel materiale di scarto di una cava d’amianto (l’Amiantifera di Balangero, anche se Levi, nel suo racconto Nichel, non la nomina mai). A questo periodo si fanno con probabilità risalire i primi esperimenti letterari come la poesia Crescenzago o il progetto di un racconto di montagna. Nel 1942 si trasferì a Milano, avendo trovato un impiego migliore presso una fabbrica svizzera di medicinali. Qui Levi, assieme ad alcuni amici, venne in contatto con ambienti antifascisti militanti ed entrò nel Partito d’Azione clandestino.

Dopo l’8 settembre 1943 si rifugiò in montagna, unendosi a un nucleo partigiano operante in Val d’Aosta. Il periodo di militanza fra i partigiani del Col de Joux è stato quello che Levi stesso ha giudicato un’esperienza di giovani ben intenzionati, ma sprovveduti, privi di armi e di solidi contatti come Levi afferma in una lettera a Paolo Momigliano Levi. La sua esperienza partigiana è stata oggetto di due saggi usciti a pochi mesi di distanza nel 2013 e di una dura polemica giornalistica. Poco dopo, il 13 dicembre 1943, venne arrestato dalla milizia fascista nel villaggio di Amay, sul versante verso Saint-Vincent del Col de Joux (tra Saint-Vincent e Brusson). Interrogato, preferì dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano e per questo fu trasferito nel campo di Fossoli, presso Carpi, in provincia di Modena.

Il 22 febbraio 1944, Levi e altri 650 ebrei, donne e uomini, vennero stipati su un treno merci (oltre 50 persone in ogni vagone) e destinati al campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Levi fu qui registrato (con il numero 174.517) e subito condotto al campo di Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, dove rimase fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945. Fu uno dei venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo.

Levi attribuì la propria sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, aveva appreso un tedesco elementare. Di rilevante importanza fu parimenti l’incontro con Lorenzo Perrone, un civile occupato come muratore, il quale, esponendosi a un grande rischio personale, gli fece avere regolarmente del cibo. In un secondo momento, verso la fine del 1944, venne esaminato da una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per la Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben.
Insieme ad altri due prigionieri (entrambi poi deceduti durante la marcia di evacuazione) ottenne, superato l’esame, un posto presso il laboratorio della Buna, dove svolse mansioni meno faticose ed ebbe la possibilità di contrabbandare materiale con il quale effettuare transazioni per ottenere cibo. Nel far ciò si avvalse della collaborazione di un altro prigioniero al quale fu molto legato, Alberto Dalla Volta, anch’egli italiano. Infine, nel gennaio del 1945, immediatamente prima della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, si ammalò di scarlattina e venne ricoverato nel Ka-be (dal tedesco Krankenbau, in italiano “infermeria del campo”), scampando così fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz, nella quale sarebbe morto Alberto.

Il viaggio di ritorno in Italia, narrato nel libro di memorie La tregua, sarà lungo e travagliato. Si protrarrà fino a ottobre, attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania e Austria.

L’esperienza nel campo di concentramento lo segnò profondamente. Giunto a Torino, si riprese dal punto di vista fisico e riallacciò i contatti con i familiari e gli amici superstiti della Shoah. L’incubo vissuto nel lager lo spinse subito a scrivere un testo che fosse testimonianza della sua esperienza ad Auschwitz e che verrà intitolato Se questo è un uomo. Cinque capitoli dell’opera erano già stati pubblicati ne “L’amico del popolo” ed in seguito rivisti. Nel 1945 fu poi aggiunta la poesia “Buna Lager”, sempre pubblicata sul giornale. In seguito conobbe Lucia Morpurgo (1920-2009), che diventò sua moglie. Questo incontro, insieme al lavoro di chimico presso la Duco di Avigliana, gli permise di superare il momento più doloroso del ritorno e di dedicarsi alla stesura di Se questo è un uomo. Ne Il Sistema periodico Primo Levi definisce il suo scrivere: Un’opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s’industria di rispondere ai perché. Nel 1947 terminò il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutarono. Venne pubblicato da un piccolo editore, De Silva, a cura di Franco Antonicelli. Nonostante la buona accoglienza della critica, inclusa una recensione favorevole di Italo Calvino su l’Unità, incontrò uno scarso successo di vendita. Delle 2500 copie stampate, se ne vendettero solo 1500, soprattutto a Torino.

L’opera di Primo Levi fu uno dei primissimi memoriali di deportati ebrei nei campi di sterminio nazisti. Sette furono i deportati ebrei autori di racconti autobiografici pubblicati in Italia nei primi anni del dopoguerra: Lazzaro Levi alla fine del 1945, Giuliana Fiorentino Tedeschi, Alba Valech Capozzi, Frida Misul e Luciana Nissim Momigliano nel 1946, e infine nel 1947 Primo Levi e Liana Millu. A essi vanno aggiunti Luigi Ferri, la cui deposizione (in tedesco) è resa nell’aprile 1945 di fronte a uno dei primi tribunali chiamati a giudicare sui crimini nazisti; Sofia Schafranov, la cui testimonianza è raccolta nel 1945 in un libro-intervista di Alberto Cavaliere, e Bruno Piazza, il cui memoriale, scritto negli stessi anni, sarà però pubblicato solo nel 1956. Prima di Se questo è un uomo, Levi aveva scritto con il dottor Leonardo De Benedetti, su richiesta delle autorità russe Rapporto su Auschwitz, il primo saggio che descriveva le condizioni sanitarie nei campi di concentramento. Levi abbandonò quindi il mondo della letteratura e si dedicò alla professione di chimico. Dopo una breve esperienza come lavoratore autonomo con un amico, trovò impiego presso la Siva, una ditta di produzione di vernici di Settimo Torinese, di cui, in seguito, assumerà la direzione fino al pensionamento.

Nel 1959, una mostra sulla deportazione a Torino, incontrò uno straordinario riscontro di pubblico. Primo Levi si rese conto del grande interesse per la Shoah, soprattutto tra i giovani. Partecipò a numerosi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole). Aveva intanto riproposto nel 1955 Se questo è un uomo a Einaudi, che decise di pubblicarlo nel giugno del 1958. Questa nuova edizione, con modifiche e aggiunte, in particolare la parte introduttiva dove Levi racconta il suo arresto, incontrò un successo immediato. Dal 1959 collaborò alle traduzioni delle sue opere in inglese e in tedesco. Quest’ultima traduzione era particolarmente significativa per Levi. Uno degli obiettivi che si era proposto scrivendo il suo romanzo era far comprendere al popolo tedesco che cosa era stato fatto in suo nome e di fargliene accettare una responsabilità almeno parziale. Incoraggiato dal successo internazionale, nel 1962, quattordici anni dopo la stesura di Se questo è un uomo, incominciò a lavorare a una nuova opera sul viaggio di ritorno da Auschwitz. Quest’opera venne intitolata La tregua e vinse la prima edizione del Premio Campiello (1963). Nella sua produzione letteraria successiva, prendendo spunto dalle proprie esperienze come chimico, l’osservazione della natura e l’impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità diventarono lo spunto per originali situazioni narrative.

Nel 1975 decise di andare in pensione e di dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore. Nello stesso anno uscì la raccolta di racconti Il sistema periodico, in cui episodi autobiografici e racconti di fantasia vengono associati ciascuno a un elemento chimico. L’opera gli valse il Premio Prato per la Resistenza. Il 19 ottobre 2006 la Royal Institution del Regno Unito scelse quest’opera come il miglior libro di scienza mai scritto.

Nel 1978 pubblicò La chiave a stella. Questa raccolta di racconti il cui protagonista è il medesimo personaggio, Libertino Faussone, rappresenta un omaggio al lavoro creativo e in particolare a quel gran numero di tecnici italiani che hanno lavorato in giro per il mondo a seguito dei grandi progetti di ingegneria civile portati avanti dall’industria italiana dell’epoca (anni Sessanta e anni Settanta). In particolare dopo aver ottenuto la pensione Levi si dedicò completamente alla scrittura e agli incontri nelle scuole. Nel luglio del 1979 La chiave a stella vinse il premio Strega.

Nel 1982 tornò al tema della Seconda guerra mondiale, raccontando in Se non ora, quando?, le avventure picaresche di un gruppo di partigiani ebrei di origini polacche e russe che tendono imboscate ai tedeschi sul fronte orientale e giungono ad attraversare i territori del Reich sconfitto, sino a Milano, da dove alcuni prenderanno la via della Palestina per partecipare alla costruzione dello Stato di Israele. Il libro vinse nel 1982 il Premio Campiello e il Premio Viareggio.

Nella raccolta di saggi I sommersi e i salvati (1986), prendendo spunto dai molti dialoghi con i giovani, in incontri pubblici e scambi epistolari, tornò per l’ultima volta sul tema dell’Olocausto, cercando di analizzare con distacco la sua esperienza, chiedendosi perché le persone si siano comportate in quel modo ad Auschwitz e perché alcuni siano sopravvissuti e altri no. In particolare estese la sua analisi alla “zona grigia”, come egli la definì, rappresentata da tutti coloro che a vario titolo e con varie mansioni avevano partecipato al progetto concentrazionario nazista.
«È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò tanto piú quanto piú esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori, e di farlo con mano piú leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni film. Solo una retorica schematica può sostenere che quello spazio sia vuoto: non lo è mai, è costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo), che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana [...].»

Venne trovato morto l’11 aprile 1987 alla base della tromba delle scale della propria casa di Torino in corso Re Umberto 75, a seguito di una caduta: rimane il dubbio se la caduta sia dovuta a cause accidentali o se sia stato un suicidio. Il suicidio di Levi rimane comunque un’ipotesi contestata da molti, poiché lo scrittore non aveva dimostrato in alcun modo l’intenzione di uccidersi e anzi aveva dei piani in corso per l’immediato futuro. Le spoglie dello scrittore riposano presso il campo israelitico del cimitero monumentale di Torino.

(Fonte: Wikipedia Italia)

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Scritto martedì, 10 settembre 2019 alle 18:20 nella categoria LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri). Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

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