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Archivio del 12 dicembre 2007

mercoledì, 12 dicembre 2007

POTEVO ESSERE IO di Renata Ciaravino

A volte anche nel mondo dell’editoria accadono delle belle storie.

Ve ne racconto una. I protagonisti sono una piccola casa editrice di qualità e una giovane autrice di teatro.

È una storia che ho scoperto qui.

Ve la riassumo di seguito.

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ATTO PRIMO, scena prima

renataciaravino.jpgLei si chiama Renata Ciaravino, è nata a Milano ed è una giovane autrice teatrale. Scrive per la televisione e per la radio, e nel 2000 ha fondato la Compagnia Teatrale Dionisi.

Ecco cosa accade a Renata (ce lo spiega lei stessa):

“Tutto comincia così. Faccio un’intervista per ‘Diario’, con la editor Manuela La Ferla, sul mio lavoro di drammaturga. Un’intervista al telefono, che diventa lunga, lunghissima. Parliamo del mio lavoro, ma anche di altro. Delle donne che scrivono, che non ce ne dovrebbero essere, perché dovremmo essere solo persone quando scriviamo (di fatto era un articolo sulle drammaturghe donne italiane!). Esce l’articolo. Manuela, che di mestiere fa l’editor oltre a collaborare per alcune testate giornalistiche, passa da Milano e mi chiede di incontrarci. Vuole parlare della mia scrittura! È difficile che qualcuno voglia parlare della tua scrittura. A quanti interessa perché scrivi, come lo fai, quando, se ti fa male farlo, o bene magari, come è nato questo amore… Eppure lei voleva sapere questo. La scrittura, la mia, era la centro del suo interesse. Mi chiede se ho mai pensato di scrivere narrativa. E io, da buona teatrante ‘No! Assolutamente no! Non potrei rinunciare alla condivisione della scrittura che c’è nel teatro!’. La penso così per altri tre anni”.

———-

ATTO PRIMO, scena seconda

“Manuela ogni tanto mi scrive. Mi chiede se ci ho ripensato. Me lo chiede con leggerezza, ma me lo chiede sempre. Per tutti questi anni. E io ho sempre risposto di no. Ma poi… Presente Amor, che a nullo amato amar perdona? Presente quando Amore non esonera alcuno che sia amato dal riamare? Sentire questo interesse che perdurava negli anni un bel giorno mi ha fatto chiedere se da qualche parte c’era questo desiderio dentro di me… E ho cominciato a scrivere. Nel vuoto. Ho scritto venti pagine e gliele ho mandate. Le piacevano. E piacevano anche all’editore, Antonella Fabbrini. E da lì sono seguiti mesi di scrittura con Manuela che mi incoraggiava. Mi fidavo di lei. Ho scritto, come alla cieca. Due persone che conoscevo poco si fidavano di me. Della mia scrittura. E io ho scritto. E ancora una volta ho avuto la conferma che certe volte le storie sono già pronte, dentro di noi. Deve solo arrivare qualcosa o qualcuno che tira via tutta la fuffa intorno. Deve solo arrivare il giorno in cui sei abbastanza pronto a fare un salto nel vuoto. E l’ho finito. E non volevo però lasciarlo mai. A teatro un testo non si chiude mai. Di replica in replica lo aggiusti. È un figlio che solo tardamente riesci a lasciare andare per la sua strada. Qui, il libro, dovevo lasciarlo, nelle mani di altri. Che lo hanno editato e rifinito. E io a quel punto non c’ero più. C’erano e ci sono altre persone che si occupano di lui. Una piccola casa editrice. Quello che deve essere grande sono le persone. La loro capacità di trasmettere desiderio. La loro capacità di essere persone di cultura. Sentire che desiderano e curano il tuo libro. Che ci credono. Quello che ho sentito io. In una piccola casa editrice che ha dialogato con me sempre e soprattutto mi ha dato fiducia scommettendo per intuizione. Qualcuno che si interessa della tua scrittura! Di cosa e come. E in virtù di questo amore hanno accettato i miei ritardi, l’incertezza di quando arrivi a un punto che ti sembra che non potrai finire mai. Si chiama rispetto della scrittura. E ci vuole coraggio. A me sembra che le cose siano veramente piccole (come le case editrici) quando piccolo è lo slancio culturale e amoroso di chi le porta avanti. Per il resto è un crescere insieme. Piccola casa editrice e piccolo autore”.

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ATTO PRIMO, scena terza

“Il punto”, prosegue Renata, “è l’onestà culturale e la reale passione della piccola casa editrice per le parole; e la capacità di un giovane autore di spendersi completamente nella scrittura, senza lesinare. Senza tirchierie dell’anima. Le due cose insieme, ben orchestrate, possono in linea di principio portare a buoni risultati pieni di vasti slanci e aria fresca”.

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ATTO SECONDO

Ho chiesto a Renata di inviarmi un video chiedendole di leggere un brano del suo libro.

Vi invito a guardarlo cliccando qui sotto (tasto play). È davvero forte.

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ATTO TERZO

Gli altri protagonisti della storia sono: la casa editrice Cadmo, nata nel 1975 a Roma, poi trasferita a Firenze in seguito all’acquisizione da parte del gruppo Casalini Libri; l’editore Antonella Fabbrini e la direttrice della collana Pop up, Manuela La Ferla.

Poi c’è lui. Il libro. Il romanzo di Renata Ciaravino. Si intitola Potevo essere io“.

Ed è di lui che voglio parlarvi.

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ATTO QUARTO

Con una scrittura fresca, immediata, graffiante, Renata Ciaravino ci racconta una storia di incroci e aneddoti. Storie di adolescenti, storie di amori, storie di sogni e di fallimenti. Storie dipinte con umorismo incisivo, talvolta tragico, e caratterizzate da dialoghi ritmici e veloci. Una storia di storie che ha per palcoscenico cortili polverosi: “Agli inizi degli anni Ottanta eravamo parecchi nei nostri cortili pieni di polvere di Niguarda a essere alti un metro e dieci, e ci squadernavamo la testa a imparare la vita.

Tra i parecchi c’eravamo io e Giancarlo Santelli. Io femmina, lui maschio. Per statuto avevamo pochi contatti tra di noi. Io sapevo che esisteva. Non so viceversa.”

L’esplosione di sessualità confuse raccontata in maniera ironica, la miseria che passa per le scarpe da tennis che una madre taglia per farci entrare il piede della figlia che cresce, destini che si sfiorano, vite che prendono alcuni percorsi anziché altri.

E di fronte a un percorso più disgraziato di un altro, e a una fine che forse si sarebbe potuta evitare, a volte qualcuno si ferma e pensa: ecco, potevo essere io.

Perché la vita, a volte, è uno squalo su uno sfondo azzurro.

——

Vi invito a discutere di questo libro e a riflettere sul titolo.

Potevo essere io.

Vi è capitato mai – di fronte a una situazione che ha coinvolto qualcun altro – di dire a voi stessi: potevo essere io?

E poi vi invito a dibattere sulle domande poste sulla bandella del libro.

Quando si nasce in certi posti, in certe strade, qual è la molla che può salvare una vita in bilico e cos’è che la fa precipitare? Chi si salva, davvero si salva? O è destinato per sempre a portare con sé quelle facce, quelle urla, quelle strade?

Massimo Maugeri

______________________________

Ed ora un brano estratto dal libro:

TELEFONARE

Cosa fai quando ti senti perduto? Quando sei almeno dieci cm. fuori di te? Quando ti tocchi e non sai da che parte cominciare per riprenderti e rimetterti insieme? Cosa fai? Telefoni. Ma non solo telefoni: telefoni alla persona sbagliata. Quella che è proprio l’ultima persona che dovresti chiamare. Quella che è capace con solo un ciao di farti ricordare che hai avuto un’infanzia di merda se mai te lo fossi dimenticato. Che con un solo ciao ti ricorda in un istante che il tempo passa e ti devi sbrigare se non vuoi invecchiare da sola. Prendi il cellulare, che minimo hai solo una tacca. Io quella notte avevo tre tacche ma non avevo credito. Tutto chiuso. Presente quando non puoi aspettare neanche cinque secondi che ti manca il fiato se non metti il tuo ditino su quella benedetta tastiera?

Cabina. Faccio il numero. Non c’è problema. Faccio solo due chiacchiere. Non c’è problema. Si chiama compulsione. Faccio il numero. Non risponde subito. Ma non c’è problema… Avrò rifatto il numero dieci volte!

Presente quando rifai il numero perché ti dici: non avrà sentito, poi sarà in bagno, ha visto che non appariva il numero perché ho chiamato da una cabina, non sapeva che ero io, e non ha risposto, ho fatto troppi pochi squilli, magari era sotto una galleria e ho chiamato proprio a metà galleria, ma adesso sarà fuori dalla galleria, sono passati già cinque secondi, eh!

Alla decima volta mi sono arresa. E per fortuna. Perché poi avrei detto… Sono io, niente, come va? Tutto a posto? Io? Bene, bene, sono in piscina con un’amica, sto facendo cento vasche. Sento che mi fa bene…

Ma la verità è che ti ho telefonato perché sono tossica della tua voce, perché sentivo un bisogno irrefrenabile di chiamarti A-M-O-R-E, di dirti che sto cercando di essere migliore di essere come mi vuoi tu, rispondimi stronzo!

Vorrei sapere cosa ne pensi, non so magari ci beviamo qualcosa insieme, ne parliamo…

Va bè, lascia perdere… Magari ci sentiamo più avanti…

Pubblicato in SEGNALAZIONI E RECENSIONI   146 commenti »

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