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martedì, 28 agosto 2007

ANCORA GÜNTER GRASS: OVVERO, “SU COME RIAPRIRE UNA POLEMICA ORMAI SOPITA”

Chi si ricorda del caso Günter Grass esploso l’estate scorsa? Lo noto scrittore tedesco, Premio Nobel per la letteratura, aveva confessato di aver militato in età giovanile nelle SS. Una sorta di scandalo che aveva determinato un lungo strascico di polemiche. Avevamo avuto modo di discuterne in questo post.

Gunter Grass

La vicenda pareva conclusa, dato che non se ne parlava più da un bel po’ di Grass e SS. E invece no. Il caso è riaperto. E sapete perché? Perché c’è chi sostiene che Grass si sia inventato tutto, magari involontariamente o – meglio – inconsciamente.

Vi propongo una parte dell’ articolo di Javier Cercas, intitolato “La confessione di Grass: un atto letterario” apparso su La Stampa di oggi (28/8/2007). Chi lo desidera può leggerlo per intero cliccando qui.

La difficile arte di dire «fine»

Ormai eravamo tutti convinti d’aver ascoltato la parola fine sul tormentone della scorsa estate, ma ho il piacere di comunicarvi che ci sbagliamo. Il tormentone della scorsa estate è stato l’annuncio, avvenuto prima della pubblicazione delle sue memorie, che Günter Grass aveva militato, in gioventù, nelle SS; visto che buona parte dell’opera di Grass indaga sull’incapacità dei tedeschi di metabolizzare il proprio passato nazista e dato che buona parte della sua vita pubblica è stata consacrata a denunciare quest’incapacità, è naturale che alcuni abbiano pensato che Grass non fosse, poi, tanto diverso da una specie di Vito Corleone che avesse trascorso l’esistenza a denunciare le prepotenze della mafia. A un anno dalla confessione sembrava che su questo fatto fosse stato detto tutto il possibile, finché Timothy Garton Ash non ci ha tolto questa convinzione.

In un articolo pubblicato sul The New York Review of Books, Garton Ash ci racconta che quando, un anno fa, è scoppiato lo scandalo, un amico – un tedesco del quale non fa il nome e che ha quasi la stessa età di Grass – gli ha detto: «Sai, io su questa storia ho una teoria: in realtà Grass non è mai stato nelle SS; si è solo convinto d’esserci stato». La teoria fa luce, meglio di qualsiasi altra, su come sia impossibile, per i tedeschi, relazionarsi con il loro impossibile passato, a patto, però, che uno sia sufficientemente spericolato nell’immaginare le premesse dalle quali partirebbe.

Perché Günter Grass imputerebbe falsamente a se stesso un passato così orribile? Una spiegazione – la più povera, la più verosimile – sarebbe di carattere strettamente clinico: preso dall’ossessione di denunciare il passato nazista dei suoi compatrioti, Grass perde la ragione e ricorda un passato fittizio.
Esiste, indubbiamente, un’altra spiegazione: la confessione di Grass è l’atto più radicalmente letterario che lo scrittore abbia mai compiuto: stanco di denunciare vanamente l’ingannevole amnesia dei tedeschi, Grass inventa una propria ingannevole amnesia per dimostrare loro, con la sua vita, quanto non è riuscito a dimostrare con i suoi libri. Inutile dire che questa spiegazione è la più elegante, la più persuasiva e la più ambiziosa, ma la teoria non sarebbe perfetta se l’amico non avesse sconsigliato Garton Ash dal pubblicarla: «Se lo farai Grass ti denuncerà per aver sostenuto che non ha mai fatto parte delle SS». Del resto, forse, non è mai stato sufficientemente sottolineato lo humour che permea l’opera di Grass, anche se il miglior mot d’ésprit contenuto nelle sue memorie è involontario; Grass enumera una serie di motivi per i quali ha scritto il suo libro; l’ultimo è questo: «Per mettere la parola fine».

JAVIER CERCAS

Gunter Grass

Ora, non per pensar male, ma l’impressione è che qualcuno stia cercando di creare un nuovo caso riciclando i residui di quello precedente (per realizzare un disegno un po’ meno carino di quello riportato qui sopra… bello vero?).

C’è puzza di marketing, della serie… cosa non si farebbe per vendere qualche copia in più? O è solo un’ impressione frettolosa la mia?
Secondo voi?


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Scritto martedì, 28 agosto 2007 alle 18:52 nella categoria PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

37 commenti a “ANCORA GÜNTER GRASS: OVVERO, “SU COME RIAPRIRE UNA POLEMICA ORMAI SOPITA””

La verità è che non ne ho idea. Che di Grass ho amato tantissimo IL TAMBURO DI LATTA e l’intransigenza politica, mentre gli altri suoi libri non sono mai riuscito a finirli.
Mi hanno fatto un pò schifo quelli che l’altr’anno si erano gettati, soprattutto da destra, come avvoltoi contro Grass.

Postato martedì, 28 agosto 2007 alle 20:11 da luciano / idefix


Intanto bentornato Massimo!
In merito a questo post ammetto che quell’odore di marketing di cui parli l’ho sentito anch’io però, per carità da profana che legge gli articoli e basta…

Un abbraccio,
B

Postato martedì, 28 agosto 2007 alle 20:34 da Barbara Gozzi


E basta nel senso che non ho altre ragioni per dubitare. Leggo e rifletto.

B

Postato martedì, 28 agosto 2007 alle 20:35 da Barbara Gozzi


Intanto grazie non tanto per questo post, ma per quello lincato, con tutte quelle opinioni di scrittori che all’epoca mi mancavano.

Alcune considerazioni.

– Non dimenticherei l’amore per l’aria fritta che contraddistingue gli intellettuali tutti, in primis I massimi, in secudins e terzis e pure in ordine inverso le zauberesse. questo tipo di articolo, che si interroga su quanto sia credibile o meno un intervento pubblicato sulla NYB, non è in fondo della stessa pasta?

– Comunque, l’idea di Grass come scrittore della simil sua esperienza storica, mi sembra un contorcimento da non prendere sul serio. Credo davvero che abbia avuto un trascorso nelle SS come tanti giovanissimi hanno avuto, (non posso pensare alle cazzate che ho pensato a 17 anni) e credo che non ci sia tedesco che non abbia un passato del genere, e che ha il vizio di allargarsi e restringersi ingigantirsi rimpicciolirsi. Il trauma del colpevole, a volte è più tremendo di quello della vittima.
Io sono stata in Germania per un periodo piuttosto lungo alcuni anni fa. Quando dicevo che ero ebrea e facevo ricerche sull’antisemitismo, innescavo reazioni sempre molto intense. Una donna che durante la seconda guerra mondiale avrà avuto 3 anni, venne da me, con delle foto e piangeva. Chiedeva scusa, a nome di altri. dei suoi altri. Un’altra della stessa età mi ha guardata e ha sputato per terra.

se vogliamo pensare alla narrazione. davvero possiamo credere, che un uomo dello stampo di Grass possa permettersi il lusso di una narrazione totalmente scorporata dall’esperienza soggettiva?
Ammesso che sia possibile

Postato martedì, 28 agosto 2007 alle 20:57 da zauberei


Il marketing è certo come certa è , a volte, l’assoluta mancanza di fantasia di certe operazioni. Però il tema non lascia indifferenti; la Germania, il nazismo e la Memoria. “Questo è stato! …è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso”. Ricorda e ammonisce Primo Levi, ma sono passati molti anni e i fatti perdono i loro contorni. La Memoria ora celebrata nelle giornate istituzionali è salda e vigile addirittura più forte rispetto anche a vent’anni fa, ma si erge sola. Esposta alle luci e alle ombre dei sopravvissuti e no. L’intervento di Zauberei mi ha ricordato un pensiero che mi pongo solo da qualche anno: in che rapporto sono i tedeschi con il loro passato? E pensando a Berlino: è giusto costruire, a tanti anni di distanza un monumento così invasivo e tremendo; duemilasettecentoundici stele di cemento che effetto avranno sulle nuove generazioni? Non c’è il rischio che si vada nella direzione opposta?
Non sono mai stata in Germania e vorrei chiedere a Zauberei, ma anche a tutti voi se l’avete visto, che effetto vi ha fatto quel gigantesco Memoriale della Shoah? Diciannovemila metri quadri: uno squarcio, una ferita, un’orrendezza indimenticabile come quell’ imparagonabile sterminio. Indimenticabile come le colpe dei carnefici e degli spettatori (che furono molti, in tutti gli Stati e in tutte le istituzioni).
Io non riesco a darmi delle risposte, e voi?

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 00:15 da Miriam Ravasio


“Il tamburo di latta” è un bellissimo libro, concordo con Luciano Comida. Un mattoncino molto prezioso.
Sulla polemica mi viene da dire che “più se ne parla, meglio si vende”: uno slogan di marketing.
Mi sembrano particolarmente interessanti le aperture ulteriori di Zauberei e Miriam Ravasio. L’olocausto è una ferita che rimane aperta e che deve rimanere tale. Forse è proprio questa, Miriam, la funzione del gigantesco Memoriale della Shoah, non credi?
Sono d’accordo con te Zauberei, non credo che uno come Grass possa produrre una narrazione scorporata dall’esperienza soggettiva. Credo che all’esperienza soggettiva tutti gli scrittori debbano attingere.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 10:21 da Rosa Fazzi


«Se lo farai Grass ti denuncerà per aver sostenuto che non ha mai fatto parte delle SS».
Mah! A me la cosa fa un po’ ridere. Mi pare che siamo ai limiti del paradosso. Anzi, nel paradosso puro.
Bontà loro.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 11:46 da Erika Di Giorgio


oltre che di marketing, questa operazione potrebbe essere interpretata anche come un tentativo di salvataggio in extramis, di una persona che grazie alle esternazioni della scorsa estate ha venduto molte copie ma ha anche perso gran parte del fascino che aveva come uomo-antisistema.
Certo sono tedeschi e prendono tutto sul serio. vaglielo a spiegare che in Italia Montanelli, Bocca e Dario Fo facevano parte del Guf ……..

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 12:00 da outworks110


Rispondo a Miriam – le cose che mi vengono in mente in ordine sparso.
La prima è questa: la shoah è la grande cicatrice del 900′, auspicabilmente sempre meno purulenta – purtuttavia sempre ancora viva. Per chi ci è passato, rappresenta un non dicibile infinito che provoca un desiderio perverso e malefico ma da cui un ebreo difficilmente riesce a liberarsi. E’ bulimia di esperienza tragica. Mio padre, di quasi ottanta anni, non perde un documentario uno sui campi di sterminio. Lo vedo e capisco che non riesce a trovare un senso in se a prescindere dal martirio della Shoah. Un ebreo spesso anche della mia gerazione – che vede tutti sti metri quadri di cui parli (che io per mio non ho visto) prova credo un momentoaneo sentimento di ricongiungimento, di “ah qualcuno ci prova.”
E’ quello che ho provato io quando ho visto una bella scultura all’interno del museo di Liebskind – a Berlino. Naturalmente era tremenda, faceva stare male. Con tutte quelle maschere ingoiate nel buio. Ma anche se io sono una rosea ebrea dei tempi di pace, che ha sposato un goj e diciamolo ha poco da lamentarsi, rimane quel sentimento viscerale – che ruggisce: “cazzo solo per il momento di uno sguardo vivi quello che abiamo passato noi, sappi trema soffri.” Quest’esperienza emotiva strutturerà, creerà solidificherà un’identità culturale autocosciente. qualsiasi scheletro nell’armadio deve essere spostato su un comodino, dopo un po’ prenderà persino della polvere.
C’è poi un’altra cosa, che si sottovaluta molto. La Shoah tecnicamente c’è stata con Hitler, mediaticamente, culturalmente, comunemente è emersa solo 30 anni dopo. Era una cosa talmente orrenda che nessuno voleva averci a che fare. Il seppur sopravvalutato Piperno dice bene quando parla degli ebrei romani dopo la guerra, che tutto volevano tranne un sopravvissuto in casa. Le stesse cose ce le racconta Amos Oz a proposito di Israele. In Germania, quando mi portarono a vedere un villaggetto mediovale dalle parti di Colonia, la guida ne raccontò in maniera pedissequa la storia dal medioevo ai giorni nostri, saltando a piè pari venticinque anni buoni – indovinate quali.
Questo monumento è arrivato 10 anni dopo quella gita e il mio periodo in Germania. credo che non crei niente, risponda invece all’emergere psichico di un fatto, è la risposta a un fatto emotivo e sociale, macroscopico come l’esperienza storica che deve aiutare a metabolizzare. I tedeschi di oggi lo volevano – ne avevano bisogno.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 12:15 da zauberei


anche io, leggendo l’articolo, ho avuto l’impressione che ci fossero intenti pubblicitari dietro.
per il resto ho letto con molto interesse gli altri commenti. sulla questione shoah sono molto vicina al pensiero di zauberei.
chissà se il bisogno di “autoflagellarsi” basterà come deterrente per il futuro?

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 13:04 da luisa


Grass è un grandissimo autore e secondo me le polemiche e i veleni che gli hanno scaricato addosso l’estate scorsa sono ingiusti e immeritati. La letteratura di Grass è pregna di riferimenti contro il nazismo a prescindere dalla sua appartenenza in verde età alle SS, che è poi stata oggetto della sua confessione. E magari proprio quell’esperienza lo ha spinto ulteriormente a prendere certe posizioni che, nero su bianco, rappresentano il suo testamento umano, letterario e spirituale.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 14:08 da Stefy Longo


Tempo fa frequentai con molta partecipazione la C.D.E.C, centro di documentazione ebraica contemporanea, di Milano; conobbi Marcello Pezzetti lo storico “divulgatore” molto preparato * e disponibile ad intervenire anche nelle più remote zone del paese. Lo invitai qui, nella mia valle per una piccola conferenza: I fascismi e la Memoria. La serata era organizzata da Rifondazione Comunista ed io come organizzatrice indipendente mi preparai leggendo, e poi sintetizzando, le “Lezioni sul fascismo” di Palmiro Togliatti. Cercavo in quel testo le intuizioni sociali (che non trovai) di un politico attento, intelligente e razionale come il mito, logicamente suggeriva. Non trovai nulla, nessuna parola, sulla discriminazione razziale che in Germania e in Europa era già attiva e si preannunciava più di una semplice catastrofe. Niente, non un accenno. Proprio con queste considerazioni introdussi Pezzetti all’assemblea. Ringraziandomi iniziò la lezione partendo dall’editto di Costantino e fra pogrom, aperture, conversioni forzate, giri di vite e leggi speciali arrivò fino ai giorni nostri (erano i tempi della guerra nella ex Jugoslavia). Ci disse che mai gli ebrei vissero in pace per più di cinquant’anni e ci spiegò il “silenzio” che all’indomani della guerra, sembrò calarsi sui tragici avvenimenti. Escludendo Primo Levi e altri operosi intellettuali, la maggior parte dei sopravvissuti rinunciò alla testimonianza anche con i propri figli. Furono gli stessi figli “sessantottini per generazione” che portarono all’attenzione dei media l’esatta dimensione dell’accaduto. Niente è come la Shoah: uno sterminio pensato, programmato e pianificato, in ogni singolo dettaglio, a tavolino con l’approvazione, il sostegno, il consenso (palese o nascosto) di molti. E avvenne in Europa.
Da quel momento e per alcuni anni non lessi altro che libri sugli ebrei e scritti da ebrei; saggi, documenti, romanzi e poesie. In quel periodo m’ innamorai di Singer e acquistai e lessi tutto il possibile.
A proposito del Monumento di Berlino, mi auguro che Zauberei abbia ragione, anche se non ne sono del tutto certa .
*Marcello Pezzetti ha firmato (ma forse anche di più) la consulenza alla sceneggiatura al film più bello di Benigni, La vita è bella…

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 14:31 da Miriam Ravasio


che Grass si sia inventato tutto involontariamente o inconsciamente mi sembra assai improbabile; nonostante questo ritengo che una persona che ha vinto un Nobel debba essere ricordata per quello che ha fatto, cioè scrivere, e non per quello che probabilmente non ha mai fatto. Non credo abbia avuto la possibilità, né tanto meno la volontà di uccidere qualcuno soltanto perché affiliato alle SS. Quante persone sono state iscritte al fascio, volenti o nolenti, senza peraltro saperne pienamente il perché? O Capire? Senza peraltro aver mai ammazzato qualcuno? O aver portato avanti una causa sbagliata a tutti i costi, danneggiando un altro simile? Cercando di vivere nell’ombra e vergognadosi della propria camicia? Tanti! Grass era giovane, e va probabilmente scusato: la Shoa è stata tutta un’altra cosa (nonostante qualcuno, anche di recente, abbia affermato che è stata una semplice invenzione). Credo che se l’esternazione in oggetto è stata da lui effettivamente pronunciata, beh, ecco, credo che lui abbia fatto tutto ciò per liberarsi di un fantasma che gli rodeva l’anima e chiedere così perdono all’universo per quello che il suo popolo, spinto da un pazzo fanatico, aveva fatto ai danni del mondo intero con le conseguenze che ben sappiamo. Non credo affatto che la sua narrazione sia scorporata dalla sua esperienza, non così tanto: sarebbe un mostro!

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 15:34 da alessandro pedrina


Non male l’idea di inventarsi un passato fasullo per immedesimarsi meglio nella parte. Una specie di metodo Stanslavsky-Strasberg letterario. Mi ricorda Robert de Niro che, per Toro Scatenato, ingrassò e dimagrì di trenta chili per meglio interpretare Rocky Graziano da giovane e da vecchio. La tesi è suggestiva anche se poco credibile.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 17:51 da gcanc


Io credo che Grass sia stato veramente nelle SS e che tentare spiegazioni alternative su base psicanalitica sia solo un esercizio letterario dovuto ad un fascino che si origina nascostamente da un’ideologia sconfitta, ma tuttora potentissima e fortemente suggestiva anche per gli animi più saldi. Forse per questo: chi, talvolta, non si sente violenza allo stato puro e solo desidera veder affermata immediatamente una sua necessità? Tutti noi ogni tanto combattiamo senza esclusione di colpi una ‘mein kampf’. E per fortuna perdiamo. Sempre.
Colgo anche l’occasione per dire qualcosa in merito alla spiegazione della catastrofe detta Shoah che ha fatto annunciare la morte di un dio, o di Dio. Io sono d’accordo con la tesi del fu storico tedesco Nolte il quale -senza minimamente scalfirne le immense colpe e brutalità- ha voluto dimostrare come lo sterminio degli ebrei sia stato in realtà solo uno dei più grandi genocidi della Storia. Quindi non unico per dimensioni, non unico per pianificazione razionale e non unico per malvagità. Solo un episodio tremendo, ma contingente le circostanze storiche del momento e successivo in modo perfettamente sovrapponibile a politiche di sterminio della stessa matrice perpetrate dai molti altri fanatici del bene assoluto ed imposto, bolscevichi in particolare.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 18:20 da Giulio Prosperi


È vero, Zauberei. Molto spesso discutiamo sull’aria fritta, ma a volte anche dall’aria fritta possono sorgere dibattiti interessanti, e stimolanti, come quello nato a seguito del commento di Miriam (ancora lei!) e del tuo contro-commento (ancora tu!).
E in effetti, rileggendo l’articolo di Cercas, c’è questa frase che – forse – merita un’attenzione particolare: “buona parte dell’opera di Grass indaga sull’incapacità dei tedeschi di metabolizzare il proprio passato nazista.”
Domanda.
Ma se i tedeschi fossero stati capaci di metabolizzare il loro passato nazista con facilità, i rischi di insorgenza di nuove forme di nazismo sarebbero stati più elevati?
A volte penso che uno degli insegnamenti più grandi della Storia è che Lei, la Storia, spesso è incapace di imparare dai propri errori e tende a ricalcare, magari con protagonisti diversi, gli stessi scenari. Parafrasando, e ricordando la nota canzone di De Gregori che recita “la Storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, potremmo dire che l’uomo tende a non imparare dai propri errori. Così, nonostante la citata – e presunta – incapacità dei tedeschi di metabolizzare il proprio passato nazista, capita che qualcuno, nell’odierna Germania, sputi per terra dopo aver scoperto che la persona che gli sta di fronte è ebrea.
Credo sia importante non abbassare mai la guarda. Il passato è sempre dietro l’angolo pronto a diventare futuro. Nei giorni scorsi gruppi di neonazisti hanno inserito loro video su YouTube (poi Google ha provveduto a eliminarli).
Attenzione. La malerba è sempre difficile da estirpare. È facile che pezzi di radice rimangano sotto il terreno, nascosti, pronti a rigenerare la pianta nel momento in cui le condizioni ambientali lo consentono.
Mai abbassare la guardia, allora. Per questo credo che ogni occasione, ogni evento, ogni mausoleo, siano buoni per ricordarsi di non dimenticare.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 23:34 da Massimo Maugeri


Una volta ho ragionato sulla “credibilità” di certa narrativa. Quel tipo di narrativa così ambiziosa che rischia di oltrepassare i limiti di una ragionevole realtà futuribile.
Sono giunto alle seguente conclusione (che metto in comune con voi per condividerla o – eventualmente – ribaltarla): in molti casi la realtà supera anche i tentativi più audaci di rappresentazione (narrativa) di se stessa.
-
Immaginiamo di vivere agli inizi del Novecento, ed immaginiamo che uno scrittore partorisca la storia di un governo dittatoriale che, nel cuore della civile, moderna e socialmente sensibile Europa, organizzi uno sterminio di massa, giustificato da assurde ragioni filosofico-razziali, che determini l’eliminazione di un milione – no, voglio esagerare! – sei milioni di persone.
E’ credibile?
Oppure… siamo agli inizi del nuovo millennio e qualcuno scrive la storia di un gruppuscolo di terroristi kamikaze che, armati di temperino, fanno schiantare un paio di aeroplani di linea della compagnia aerea nazionale statunitense sulle Torri gemelle e (sì, voglio esagerare!) sul Pentagono; e magari, mosso da un gargantuesco afflato creativo, l’autore racconta che le Torri gemelle si sbriciolano su loro stesse, come fragili castelli di sabbia colpiti dal pallido piede di un bambino nervoso.
E’ credibile?
La verità, a mio modo di vedere, è che le ideologie di morte, per quanto possano sembrarci assurde o poco credibili, in alcuni casi riescono a vedere concretate le efferatezze dei loro principi. Molto spesso tali ideologie, e le organizzazioni che nascono per la loro attuazione, si nascondono dietro giustificazioni di comodo o nel nome di un fantomatico interesse superiore.
Etienne De Greef (1898-1961), professore di psichiatria all’università di Lovanio, scriveva: “L’interesse superiore è sufficiente per bloccare qualsiasi reazione di simpatia nei confronti delle vittime più innocenti e degne di pietà… La nozione di interesse superiore rende immediatamente insensibili le nostre coscienze, che presentano una resistenza minima a questa anestesia. E’ in nome della libertà, della giustizia e della morale e persino dell’amore del prossimo che viene commessa la maggior parte dei crimini. Sappiamo oggi che un popolo civilizzato può, senza per questo temere la benché minima rimostranza seria da parte di un’altra nazione civilizzata, terrorizzare, derubare e distruggere una minoranza etnica purché gli riesca non tanto di nascondere il fatto quanto di impedire che si sentano le grida o che si percepisca la disperazione delle vittime.”
Occhio vede, orecchio non sente, cuore non duole.

Postato mercoledì, 29 agosto 2007 alle 23:48 da Massimo Maugeri


Il problema, secondo me, è capire che il nazismo è stato, fra le altre cose, anche un momento della storia tedesca e mondiale in cui le energie di autodistruzione insite nella natura umana si sono sprigionate senza alcun ostacolo e con l’avallo di un sistema di valori apparentemente chiaro ed imprenscindibile per gli uomini e le donne comuni del tempo. E visto il livello del forum vi chiedo solo di pensare al colonello Kurtz. Trattare i neonazisti semplicemente come malerba da estirpare ignora pericolosamente il fatto che un po’ di terribile malerba ce l’abbiamo tutti. Ed è -ahinoi- inestirpabile. Moralizzare e tranquillizzare il nostro caro senso di umanità tracciando un confine netto fra nazismo ed umanità è un’operazione illegittima per il semplice fatto che sia Hitler che ogni suo seguace passato e futuro è stato od è un essere umano. L’iperrazionale del nazismo, unito alla sua natura di ideologia di forza e dominio, è ciò che oggi, in un Occidente che si autorappresenta come cinico ed iperconsapevole, rende quasi morboso l’interesse per la sua storia e per il suo senso. Interesse che diventa di sopravvivenza ed identità per gli esclusi prima, e talvolta, neonazisti poi. Cioè: escludere e perseguire l’annientamento morale di chi è già escluso in quanto neonazista non fa che rinforzare la sua convinzione. Tanto più che il nazismo si fondava e si fonda sulla resistenza ad ogni costo e sul dominio assoluto di chi non si merita di vivere perché più debole. Ciò che è necessario è dunque trattare il neonazismo con la serenità (e la fermezza) di chi è convinto di far parte di una società fondata su principi giusti e che nulla hanno a che fare con l’eredità di Hitler. Ma è così? (vd Carl Schmitt). Od abbiamo paura di ammettere che la nostra vita si complica fastidiosamente ad ogni confronto con la sfera del diverso senza certezza del lieto convivere e che, fondamentalmente, il nazismo mirava in modo criminale, ma pur sempre umano, a rendere tutto omogeneo per garantire un’esistenza degna al popolo presunto eletto? Insomma, l’odierna democrazia corrotta e la dittatura criminale nascono in mondi diversi? Non c’è nessuna parentela?

giupros@yahoo.it

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 00:11 da Giulio Prosperi


Non è provato che il popolo tedesco conoscesse realmente quale fosse l’interesse superiore da salvaguardare e da servire. Non è provato neppure che alla base di tutta la brutalità del nazismo ci fosse solo la capacità di un gruppo di maniaci di imporre alle masse l’adeguamento coattoa tale interesse. L’unica cosa provata, mi pare, è che chiunque di noi, se posto in condizioni a rischio di sussitenza minima, è disposto a qualunque cosa pur di sopravvivere. Un sentimento di no-wayout che Hitler ha cercato di inoculare nel popolo tedesco riuscendoci meno che a metà se si considere che dopo il 1945 molti degli ex servitori dello Stato sono rimasti al loro posto. Nessun interesse superiore quindi, ma solo un infinito di risposte possibili date da ogni singolo tedesco del tempo alle ineludibili necessità di sopravvivenza prima biologica, poi culturale, sociale e via dicendo. Ecco perché, forse, il popolo tedesco non sembra aver metabolizzato a dovere i suoi dodici anni più oscuri. Perché, probabilmente, nell’inconscio collettivo c’è la sensazione di aver subìto un tradimento, di aver coraggiosamente accelerato verso la modernità (intesa come individualismo consapevole ed esperto, anelito alla libertà da e di etc etc) e di essersi poi trovati gli stessi mentori ed ispiratori della modernità (leggi tutto il resto d’Europa) nella veste di giudici durissimi e pretesi irreprensibili. Un tedesco cioè, senza rendersene conto, potrebbe credere: ma come? prima avete iniettato i germi della modernità nella schwarzwald della nostra tradizione e poi ve la prendete con noi per averne fatto l’uso più efficace ed efficiente possibile?

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 00:31 da Giulio Prosperi


in linea generale bisognerebbe appunto evitare che la malvagità insita nell’animo umano possa sprigionarsi senza ostacoli, o peggio, con avalli di qualunque tipo. in un contesto negativo, caotico e caratterizzato dalla violenza essa, la malvagità, prende il sopravvento e si scatena l’inferno: vedi i disastri e le tragedie consumatesi all’interno della ex jugoslavia nel corse della recente guerra.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 10:07 da gennaro iozzia


Da REPUBBLICA del 28 agosto 2007
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Germania, propaganda nazi su YouTube
e Google cancella i video incriminati
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ROMA – La propaganda neonazista si espande su YouTube, in Germania esplode la polemica e Google, proprietario del sito, deve correre ai ripari. Con una decisione senza precedenti, la società di Mountain View ha accolto le proteste di molti navigatori tedeschi, rilanciate dai media e dalle associazioni ebraiche, e ha rimosso diversi video di estrema destra.

La vicenda ha assunto rilievo nazionale ieri, quando l’emittente televisiva SWR ha parlato dell’elenco di oltre 100 segnalazioni raccolte dal sito di controllo della Rete Jugendschutz.de, finanziato anche dal governo. Secondo la tv tedesca, un’associazione di ebrei tedeschi sarebbe stata persino pronta a denunciare Google.

Dei militanti di estrema destra avevano infatti pubblicato su YouTube dei filmati con contenuti considerati illegali in Germania, dove la diffusione di materiale neonazista è vietata. Tra i video incriminati, alcuni facevano propaganda antisemita, altri celebravano la vita di Rudolf Hess, uno dei volti di spicco del regime, altri ancora contenevano svastiche e immagini di Hitler. Sul sito si potevano inoltre trovare videoclip inneggianti al nazismo di un gruppo heavy metal e degli estratti del film propagandistico “Süss l’ebreo”, uno dei preferiti di Heinrich Himmler.

Di fronte a queste segnalazioni, Google è intervenuta rimuovendo circa un terzo dei filmati in questione. “Non vogliamo questi video di destra sul nostro sito e li cancelleremo”, ha dichiarato il portavoce Kay Oberbeck. Il rappresentante della società americana ha sottolineato che su YouTube è presente un’opzione che permette ai visitatori di indicare un video come inappropriato, “anche se nessun sistema è perfetto”.

La diffusione di materiale di questo tipo si verifica anche in Italia. Con una rapida ricerca sulla versione italiana di YouTube, è facile trovare molti video di propaganda neonazista, da quelli inneggianti al Fuhrer a quelli che attaccano gli ebrei e Israele.

Il fenomeno avviene sostanzialmente alla luce del sole, sfruttando gli strumenti messi a disposizione dal sito. Diversi utenti dispongono di articolate pagine personali, su cui sono pubblicate decine di video di filmati di vario genere. Ancora più numerosi sono quelli che le visitano, lasciando commenti spesso persino più estremisti.

(28 agosto 2007)
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Fonte: Repubblica.it
http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/scienza_e_tecnologia/google6/propaganda-you-tube/propaganda-you-tube.html

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 10:17 da Propaganda nazi su TouTube (postato da Cicerone 2)


Si Massimo hai ragione, sia sul fatto dell’aria fritta che su quello dell’allerta. Ma se l’uomo non cambierà mai – auspicabilmente si conosce sempre meglio.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 10:22 da zauberei


DA LA STAMPA.IT del 30/5/2006
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Quel Papa troppo tedesco
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DI GIOVANNI DE LUNA
Si è trattato di un gesto la cui portata simbolica non può essere sottovalutata. Eppure, nel suo discorso ad Auschwitz, Benedetto XVI è rimasto significativamente impigliato in due «nodi» su cui si è soffermato il dibattito storiografico di questi anni: le responsabilità del popolo tedesco nello sterminio degli ebrei e il rapporto tra la Shoah e il presunto disegno hitleriano di attaccare le radici cristiane della nostra civiltà. Rispetto al primo, l’affermazione del Papa tesa a circoscrivere le colpe a «un gruppo di criminali» che «usò e abusò» del popolo tedesco, rendendolo «strumento della loro smania distruzione e di dominio», entra in rotta di collisione con tutta l’impressionante mole di ricerche storiche che hanno invece insistito sulla «normalità del male»; è un filone al cui interno (sulla scia di Hannah Arendt) l’enormità della Shoah è racchiusa proprio nella «normalità» dei carnefici, fedeli servitori dello Stato e delle sue regole.

Le «rotelle» che garantirono il funzionamento della macchina dello sterminio furono infatti «uomini come noi». L’«orrore estremo» venne sì pianificato da menti perverse, ma la sua esecuzione fu opera di onesti padri di famiglia che accettarono di commettere ogni sorta di nefandezze a patto di essere sgravati da qualsiasi responsabilità. Sono stati soprattutto Christopher Browning e, da un altro punto di vista, Daniel Goldhagen a insistere sugli «uomini comuni» come protagonisti dello sterminio. La pervasività del nazismo e il consenso delle masse plaudenti che ne assecondarono i disegni criminali costituisce una pagina dolorosa della memoria collettiva dei tedeschi di oggi. Il Papa ha offerto a tutti una comoda scappatoia assolutoria, troppo facile, però, per essere davvero praticata.

Ancora maggiori perplessità suscita poi la sua seconda affermazione sui «nazisti che volevano distruggere il popolo ebraico per strappare la radice su cui si fonda il cristianesimo». Il progetto di sterminio si sviluppò in realtà lungo una direzione che francamente fa apparire il cristianesimo un bersaglio trascurabile, quasi inesistente. Quel progetto, irrinunciabile e totalitario, rivelò soprattutto l’essenza compiutamente biopolitica del nazismo (la vita traducibile immediatamente in politica e, viceversa, la politica segnata da una caratterizzazione intrinsecamente biologica); il regime di Hitler spinse la «biologizzazione» della politica a estremi mai raggiunti in precedenza, e il popolo tedesco diventò una sorta di corpo organico, da curare e proteggere, amputandone violentemente le parti infette, quelle «spiritualmente già morte»: la soppressione del nemico, in particolare degli ebrei, era necessaria per garantire la vita del popolo, lo Stato con lo sterminio di massa garantiva il benessere e la felicità dei suoi sudditi. Sia nell’eutanasia praticata su larga scala sui malati di mente, sia soprattutto ad Auschwitz e dintorni, questa forma di esercizio del potere fece del nazionalsocialismo la sintesi perfetta tra politica, Politik (la lotta contro i nemici interni e esterni dello Stato fino alla loro morte e all’annientamento) e polizia, Polizei (la cura per la vita dei cittadini in tutte le sue estensioni). Come ha scritto Giorgio Agamben, «la polizia diventa politica e la cura della vita coincide con la lotta contro il nemico».

Le radici cristiane dell’ebraismo erano in questo senso ininfluenti; si trattava di un percorso lungo il quale, quando il corpo biologico degli individui arrivava a coincidere con la loro natura politica, la vita e la morte diventavano concetti scientifici e politici allo stesso tempo e il medico e il sovrano si scambiavano le parti. «Io, la dottoressa Ella Lingens-Reinerl, ero là in piedi e guardavo il crematorio, quando Klein mi si avvicinò. Io gli dissi: “Mi chiedo, dottor Klein, come lei possa fare questa cosa. Non le viene mai in mente il giuramento ippocratico?”. Egli mi rispose: “Il mio giuramento ippocratico mi dice di asportare dal corpo umano un’appendice incancrenita. Gli ebrei sono l’appendice incancrenita dell’umanità. Ecco perché io li elimino”». A questo dialogo, riportato nel suo classico studio sui medici nazisti, Robert Jay Lifton aggiungeva: «potremmo dire che il medico sulla rampa rappresentava una sorta di punto omega, un mitico guardiano sulla soglia tra il mondo dei vivi e quello dei morti, una sintesi perfetta della visione nazista della terapia attraverso l’omicidio di massa».
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=1091&ID_sezione=&sezione=

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 10:45 da Sulla responsabilità del popolo tedesco (postato da Cicerone 2)


Sarei sciocca e superficiale se dicessi che la maggior parte dei giovani neonazisti sono dei perfetti ignoranti?
P.s. Ho riletto il mio commento lasciato l’anno scorso sul primo post dedicato a Grass e mi sono vergognata per la pochezza del contenuto.
P.p.s. Anche per me l’articolo sul NYT sa un po’ di aria fritta a scopo promozionale. Però che belli molti dei commenti che sono seguiti. Più interessanti dell’articolo di Cercas.
Smile

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 11:16 da Elektra


Caro Massimo, La Storia non impara da se stessa, poichè, come giustamente ricordi, la Storia siamo noi, con le nostre debolezze, orgoglio, rivalse, dimenticanze, pressioni e situazioni contingenti. Basti pensare a come era la nostra società nell’immediato dopoguerra e quanto si è trasformata negli ultimi vent’anni, grazie al benessere diffuso, ma con sacche di meisria sempre più ampie che tendiamo a nascondere come la polvere sotto il tappeto. Chi ha qualcosa cerca di tenerselo stretto per paura che l’uomo nero glielo porti via. Chi non ha niente, spesso non ha nemmeno la forza di chiedere, tuttavia da fastidio e fa paura. Se poi c’è chi fomenta questa paura con mezzi efficaci e potenti, che possono essere i media, come aveva capito anche Goebbels, la Storia perde definitivamente quel ruolo di severa maestra, corroso da una adeguata propaganda, così come si sbriciolano tutti quei principi su cui si fonda una società civile, sotto i colpi di dichiarazioni, proclami, cronaca quotidiana opportunamente orientata. Negli ultimi sei anni abbiamo assistito ad una tale messe di bugie e controbugie sulla situazione in medio oriente e l’Asia Centrale da perderci la testa, tanto che persino gli organi di informazione più accreditati non hanno problemi a rinnegare se stessi, smentendo ciò che avevano affermato fino al giorno prima. Se non riusciamo a ricordarci ciò che è accaduto un mese o un anno fa è difficile prendere in considerazione i fatti di mezzo secolo fa e più. E questo a scapito del nostro futuro.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 11:40 da gcanc


Ho trovato molto interessante l’intervento di Cicerone 2. Veramente molto bello. Dico due cose:
– La prima è così una sollecitazione che potrebbe aggiungere poco: ma noto che quando si pensa alla Shoah si pensa di corsa alla questione dei morti, dell’eliminazione, dell’uccisione. Questa corsa semantica verso l’eliminazione scotomizza una serie di significati importanti – e tragici e spaventosi. Auschwitz non è un luogo dove si uccide, ma dove si dilata l’uccisione, dove si ammazza gradualmente dove si uccide non uccidendo, oppure dove non si uccide mai ma si sta uccidendo in continuazione. E’ la cruda differenza che c’è tra una schioppettata e una tortura. La tortura ha tutta un’altra portata. La tortura è dolorosamente hegeliana, perchè vincola entrambe le parti in causa l’una all’altro, e dall’altro ricevono senso. Ben per questo per gli ebrei della mia età c’è questo problema di scorporarsi come significato dall’Olocausto, perchè i nostri genitori sono sopravvissuti, eppure hanno rischiato di morire – nella loro soggettività.
L’antisemitismo solido e estremo che i protestanti applicavano con zelo già agli esordi, ha sempre la funzione di conservare un’identità, di fare da altro per definire il me. E io credo che questa funzione l’abbia avuta anche per il Nazismo.
- Pertanto la teoria della banalità del male della Arendt, non mi ha mai soddisfatta del tutto, non nel senso che non la condivida ma nel senso che a quel libro avrei aggiunto altre pagine. Pagine sulla strutturazione della perversione: Un amico di mio padre vide un tedesco lanciare suo fratello di pochi mesi e un altro prendere la mira. Di queste storie se ne conoscono a dozzine e vengono dalle fila dei soldati semplici. a leggerle il concetto di banalità del male come delegazione dell’etica …. viè da ride.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 14:15 da zauberei


Per Zauberai:
in un testo di cui non ricordo il nome, Umberto Eco, principe dei semantici, spiegava come perverso sia l’esatto corrispondente
di sbagliato. Cercarne la radice in territori dello spirito umano diversi
dalla morale e dell’utile, sarebbe dunque pura illusione.

Per Elektra:
purtroppo i neonazisti non sono dei perfetti ignoranti. Sono degli ‘gnoranti’ molto imperfetti che, forse, agiscono sulla base di domande del genere: ’se la forza è diritto io devo diventare forte per avere diritto di prevaricare, uccidere…ed è GIUSTO così’.

Per gennaro:
ogni contesto, seppure in porzione infinitesima, è, secondo me, caratterizzato dalla violenza. Credo sia per questo che poi qualcuno nel corso della Storia si è preoccupato di inventare cose come il Diritto, le armi di difesa etc etc. E insieme sono arrivati la Forza e le armi e basta.
Ma con l’importante differenza che esistevano già prima.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 17:28 da Giulio Prosperi


Per Giulio Prosperi.
“Perfetti ignoranti” o “ignoranti imperfetti” è solo un gioco di parole, non ti pare? E sono d’accordo con te sul fatto che spesso l’ignoranza crea i presupposti per attuare forme di prevaricazione.
Smile.

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 18:05 da Elektra


Grazie mille Zauberei
ma io, come gli altri del piccolo gruppo dei Cicerone, sono solo un umile segnalatore:)

Postato giovedì, 30 agosto 2007 alle 18:13 da Cicerone 2


Nell’allegato culturale del Sole24ore di domenica scorsa, in prima pagina, c’è un bell’articolo del filosofo francese Pascal Bruckner.
Si intitola “Nelle fauci del fanatismo”. Parla della doppia tentazione del cedimento relativista e dell’imbarbarimento legale, come l’America dopo l’11 settembre. Però tocca anche argomenti legati a quello di cui state parlando qui. Dice così, in riferimento all’Illuminismo che ha sostituito il fanatismo religioso: “Andrebbe tutto per il meglio se la prima modernità, nata dai Lumi, nel voler fabbricare un uomo nuovo liberato dalla superstizione, dall’ignoranza e dalla miseria, non fosse deragliata a sua volta in un proselitismo che si credeva immunizzato contro ogni aberrazione per il semplice fatto di denunciare le aberrazioni religiose. Un fanatismo della Storia ha sostituito il fanatismo della fede. La credenza nel Progresso ha assunto l’aspetto di una confessione, con i suoi Grandi Sacerdoti e Grandi Inquisitori, e ha alimentato, tra l’altro, le imprese coloniali e imperialiste. Orrende religioni secolari come il nazismo e il comunismo non avevano nulla da invidiare alle peggiori teocrazie di cui almeno la seconda voleva essere la negazione radicale. Nel Novecento si è ucciso di più contro Dio che nel nome di Dio. Il totalitarismo è un fanatismo della volontà, la certezza che tutto quanto esiste può venir trasformato per libera decisione degli uomini e che chiunque si opponga a quel movimento meriti la morte.
Ciò non toglie che nazismo e comunismo saino stati sconfitti da regimi democratici anch’essi ispirati ai Lumi, e fondati sui diritti umani, la tolleranza, il pluralismo. Dopo il disastro del XX secolo, la modernità ha quindi imparato la modestia e l’autocritica, ha denunciato la sacralizzazione di una ragione impazzita e cieca di fronte alle proprie derive”.
Buona prosecuzione!

Postato venerdì, 31 agosto 2007 alle 11:12 da Piero Auteri


Per Elektra:
io ho scritto ‘gnoranti’ imperfetti. Fra virgolette perché è una parola che non esiste e perché voleva presentarsi in modo contrastivo ad ignoranti.
Quindi non un gioco di parole fine a se stesso, ma un gioco di parole per intendere che questi perfetti ignoranti sono -secondo me- più esattamente persone che conoscono solo una parte di ciò che dovrebbero e dunque si comportano -senza alcuna remora nascosta od esplicita- in pieno, assoluto ed incondizionato perseguimento delle proprie esigenze materiali e non. Insomma, chi non hai mai desiderato di essere padrone del mondo?

Postato venerdì, 31 agosto 2007 alle 13:57 da Giulio Prosperi


Ma sinceramente, dire che l’illuminismo abbia generato i totalitarismi mi pare una forzatura. L’illuminismo ha l’illusione di controllare i desideri oscuri e demistificarli, questo naturalmente è altrettanto nevrotizzante che ignorarli, certo non li erige a sistema politico. se devo pensare a un Illuminismo colpevole penso alla dialettica di Horkheimer e Adorno, ma anche li nella fascinosa idea di una cultura che si rivolta in barbarie c’era un pessimismo alla fine semplicistico.

La fiducia nel progresso, l’idea della patria come bella fanciullona incontaminata, la contrapposizione con le barbarie, sono tutte invenzioni molto più romantiche che illuministe. assieme al superomismo e altre avariate amenità.

Postato venerdì, 31 agosto 2007 alle 15:54 da zauberei


Ho una domanda:
ma oggi dove sempre meno persone tentano di rendere più esatta la loro analisi su sempre meno cose (lèggasi societa degli esperti) perché si parla solo di relazioni e di relazioni di relazioni e di relazioni di relazioni di relazioni fino ad un preteso infinito di realtà così elaborate necessariamente e predeterminatamente non osservabile e dunque non definibile? Solo perché è l’unico modo di parlare con razionalità dei pochi aspetti del reale che riusciamo a cogliere? Ma se fosse così le probabilità che ci sia un oltre sono pressoché sovrapponibili alla completa estensione del territorio della certezza. E allora: è proprio così?

Postato venerdì, 31 agosto 2007 alle 17:45 da Giulio Prosperi


Non credo di avere capito bene.
Ma me butto – come a scuola:)

Innanzitutto, non è vero che oggi “sempre meno persone tentano di rendere più esatta la loro analisi su sempre meno cose” sembra così, come sembra che il sole gira intorno alla terra. La società degli esperti, non è una cosa tanto funesta se la si mette in relazione con la democratizzazione delle istituzioni e con l’avanzamento delle istruzioni. Un secolo fa gli esperti erano incredibilmente di meno, e considerando i costi dell’esperienza erano pochi eletti e tenaci. I migliori. Oggi, c’è un numero interessante di migliori che magari forniscono prospettive l’un contro l’altro armate ma allenano la coscienza critica. Poi c’è un numero considerevole di zelanti. individualmente quando vedo un Morelli alla televisione, o un Meluzzi o qualche altro pontificatore della domenica, individualmente attingo al mio arsenale de insulti. Su larga scala invece mi sembra un cambiamento considerevole, il segno di una sintassi più fornita rispetto a quella che avevano i nostri nonni – almeno quelli poveri. i quali, senza sintassi, erano spesso alla mercè di dominii più che funesti. Nazismo incluso.

Questo non vuol dire che l’Illuminismo sia l’unica strada. Ma in un certo senso è la più facile e la meno pericolosa. La conoscenza, la logicità, sono tra le poche cose limpidamente trasmissibili di cui disponiamo. altre strade sono magari più dense, interessanti, ma forse o terribilmente private, o terribilmente animali, per cui nel momento in cui cerchi di farne tema o rischi di mettere in scena una banalità imbarazzante (leggi new age) o metti al mondo una bestia che ti potrebbe azzannare da un momento all’altro. Come in effetti ogni ideologia di natura romantica fa.

Postato venerdì, 31 agosto 2007 alle 18:23 da zauberei


Lumi.Lungo la Strada Provinciale 56, a Imbersago, fra Lecco e Merate, c’è una ghigliottina, alta sei metri e larga tre. “Al centro della rotonda che porta alla Madonna del Bosco svetta infatti una forma insolita, un’alta cornice di metallo e cemento che ritaglia uno scorcio di cielo e di asfalto. Una forma nuova, che in qualche modo, pian piano, entrerà a far parte dell’abitudine visiva dei cittadini e dei passanti. All’autore dell’opera e a tutti coloro che l’hanno voluta va riconosciuto il merito di aver trasformato un semplice luogo di transito in un punto fermo che cattura lo sguardo, stimola l’osservazione, e sfida la retorica di certe antiquate decorazioni urbane.” E’ quanto si legge dalla scheda di presentazione ; dal vivo si tratta solo di un’immagine orrenda, straziante per l’occhio abituato ai boschi che la strada attraversa; marrone come il legno che però sembra ruggine o, quando il senso di ciò che si sta osservando è chiaro, sangue rappreso. “Oltre” è il titolo di quest’opera e non nel senso più esplicito che il soggetto rappresenta; oltre piazza di Grève, oltre il sangue, oppure oltre l’idea, il principio, i fatti. No, oltre sta per “al di là del contesto urbano”, della quotidianità, della solita routine: “ecco qualcosa che ci fa pensare”. Come recita la scheda : “Un’opera come quella di Alberto Ghinzani può raccontare molto anche a chi le passa accanto in fretta, o a chi la vede da lontano. Con le sue linee asimmetriche e spezzate, la ripida ascesa del metallo e la veloce caduta del colore bianco all’interno del riquadro, esprime essa stessa un’idea di movimento e transizione, di cambiamento e precarietà. Tutti concetti che hanno a che vedere con l’esperienza di chi viaggia, e si sposta di paese in paese.”
Cliccando in Google (Imbersago virgola scultura), si apre una pagina del Giornale di Merate con le foto dell’inaugurazione, sono tre immagini singolari di cui la più significativa è la seconda; ma in tutte la “scultura” non si vede: è occultata. Così come in nessun testo compare il termine ghigliottina. Perché? Cosa dobbiamo pensare che le linee simmetriche spezzate, in realtà non sono le lame di uno strumento di condanna a morte, ma solo, come conclude la presentazione ufficiale “un colpo d’occhio magistralmente ridisegnato” ? In cui “si possono sviluppare storie diverse, e molte riflessioni. Ammesso che davvero si tratti di un compromesso, gli artisti della contemporaneità hanno di certo la libertà, se non addirittura il dovere, di accettarlo e praticarlo”. Così tanto per concludere vi descrivo la foto che più mi ha colpita: l’artista è sulla sinistra, quasi fuori dal campo visivo; un po’ spostato verso il centro c’è un prete con la stola rossa, con una mano regge il messale e con l’altra si chiude la bocca; al centro vestito da impiegato durante il tempo libero, possiamo osservare l’industriale finanziatore; alla sua destra il presentatore di turno e prospetticamente avanti, sull’estrema sinistra, c’è il sindaco, giustamente vestito, in posa solenne con il nastro tricolore. La ghigliottina non si vede, nella foto non c’è; esiste solo per gli automobilisti di passaggio e per gli abitanti dei condomini che si affacciano sulla rotonda: sempre!

Postato sabato, 1 settembre 2007 alle 21:28 da Miriam Ravasio


Continuo a credere che sempre meno persone cercano di rendere più esatta la loro analisi su sempre meno cose. La coscienza critica diventa ipertrofica, ma resta individuale, e qualora si spanda altrove diventa di altri individui. Non mi sembra affatto vero che la logicità e la conoscenza siano cose limpidamente trasmissibili. Le uniche cose che -mi pare-sono limpidamente trasmissibili, sono quelle riguardanti la pura umanità con le sue miserie e le sue glorie. Nulla di nuovo sotto il sole, sto dicendo mentre penso all’amico Anassagora. Una specie di termodinamica dove nulla finisce e tutto si trasforma, ma solo sotto i nostri occhi, non sotto quelli di un Padre così Eterno da poter esser sicuro di vederci bene; poi è vero che il romanticismo crea mostri, che il sonno della ragione fa altrettanto e il suo sogno non manca di rispondergli a tono. Ma il precario resta (quale ironia!) e resta con lui l’impossibilità di fondare assolutamente la validità del metodo di ricerca esteso ad ogni scienza, basato su interazioni, relazioni, interdipendenze e così via. Io insomma, spero nell’Oltre.

giupros@yahoo.it

Giulio

Postato sabato, 1 settembre 2007 alle 23:22 da Giulio Prosperi


in effetti la polemica resta aperta. Tanto più che il 28 Agosto è stato presentato in Italia il testo tradotto di poesie di Grass”Dummer August”, editore Raffaelli. Si acquiesta on line. Le poesie, amare, ironiche, uniche rispondono alle polemiche di cui sopra. Traduttore Claudio Groff. Sono più esasustive che qualsiasi ulteriore congettura.

Postato martedì, 2 settembre 2008 alle 00:27 da melusina



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