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martedì, 12 gennaio 2021

CHI HA RUBATO LA MIA MAMMA?

Chi ha rubato la mia mamma? - Maria Lucia Riccioli - copertinaIn questo nuovo post della rubrica “Giovanissima Letteratura” abbiamo chiesto alla scrittrice siracusana Maria Lucia Riccioli di raccontarci qualcosa sul suo nuovo libro per bambini intitolato “Chi ha rubato la mia mamma?” (Verbavolant edizioni – illustrazioni di Laura Addari)

* * *

“Gli adulti sono troppo seri per me. Non sanno ridere. Meglio scrivere per i bambini, è l’unico modo per divertire anche me stesso” (Road Dahl)

di Maria Lucia Riccioli

Ringrazio Massimo per aver sempre ospitato i miei libri su “Letteratitudine”, fin da “Ferita all’ala un’allodola” (il mio romanzo storico sulla poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, che ha innescato un bellissimo dibattito sulle donne del Risorgimento) e “Quannu ‘u Signuri passava p’ ‘o munnu” (la mia raccolta di cunti in dialetto siciliano pubblicata da Algra Editore).
Nella sezione “Giovanissima letteratura” di “Letteratitudine” cinque anni fa si parlava del mio primo libro per bambini, “La bananottera”, illustrato da Monica Saladino e pubblicato da VerbaVolant edizioni.
E adesso è la volta, sempre per i tipi di VerbaVolant, di “Chi ha rubato la mia mamma?”. (continua…)

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lunedì, 23 novembre 2015

LA BANANOTTERA di Maria Lucia Riccioli

Nell’ambito di “GIOVANISSIMA LETTERATURA“, lo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta “letteratura per ragazzi” e alla “letteratura per l’infanzia“, Maria Lucia Riccioli ci racconta la sua fiaba intitolata La bananottera(VerbaVolant, 2015): la storia di una balena particolare chiamata Nana (illustrazioni di Monica Saladino).

A seguire, qualche estratto del libro.

* * *

LA BANANOTTERA

di Maria Lucia Riccioli

La bananottera” (VerbaVolant edizioni, Siracusa 2015) è una fiaba scritta grazie ad un’ispirazione lieve e giocosa: posso dire che è il più sereno e felice dei miei libri, frutto com’è dei giochi di parole che io e mia sorella Manuela amiamo particolarmente: “bananottera” è infatti quello che i francesi chiamerebbero “mot valise”, cioè parole macedonia. Se date un’occhiata alla copertina di Monica Saladino – che ha illustrato il libro con i suoi lavori materici, coloratissimi, fatti di perline e stoffe, ritagli di giornali che rivivono in collage personalissimi – potrete vedere questa “addizione” di parole e concetti resa visivamente: banana + balenottera = bananottera.
A parte i dovuti ringraziamenti a Fausta Di Falco, giovane ma determinata editrice siracusana che si sta ritagliando uno spazio importante nel mondo delle pubblicazioni per bambini e non solo – mi permetto di ricordare i Libri da parati, albi illustrati e poster d’autore insieme, storie che diventano complementi d’arredo –, che ha creduto in questo progetto, mi corre l’obbligo di ringraziare Annamaria Piccione, che io amo chiamare la “decana” siracusana della letteratura per bambini per via della sua competenza ed esperienza – e ovviamente Monica Saladino: un incontro che non definirei casuale – nulla lo è, quando si tratta di letteratura – ha fatto sì che Nana, la mia bananottera gialla, trovasse posto sugli scaffali e on line. (continua…)

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giovedì, 29 novembre 2012

Torna LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA

letteratitudine-chiama-scuolaSono molto lieto di pubblicare questo post con l’obiettivo di riaprire il dibattito nell’ambito del forum permanente di LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA.

Di seguito potrete leggere un nuovo articolo di Maria Lucia Riccioli finalizzato – per l’appunto – a riaprire la discussione… con la proposta di tre domande.

Invito chi volesse rispondere e partecipare al dibattito a intervenire nell’ambito dell’apposito forum.
Grazie in anticipo!

Massimo Maugeri

* * *

LA SCUOLA E LE RIFORME

di Maria Lucia Riccioli

Riapriamo la rubrica LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA con un post senza pretesa di esaustività ma che tenta di offrire un contributo alla comprensione di ciò che agita il mondo della scuola in questo periodo di riforme, spending review, autunno caldo.
Chi studia, insegna o ha a che fare con il mondo della scuola come genitori, personale ATA – assistente tecnico amministrativo – , sindacati, partiti, intellettuali e semplici cittadini che hanno a cuore questo settore fondamentale dell’azienda Italia e soprattutto della nazione Italia, sa che i problemi della scuola hanno pari peso, oggi, che quelli relativi al pareggio di bilancio, allo spread, alle riforme istituzionali.
La partita del futuro di un paese si gioca anche e soprattutto sul campo dell’istruzione, dell’integrazione di studenti stranieri e diversamente abili, del rapporto scuola-mondo del lavoro.
Quale futuro stiamo offrendo ai nostri bambini, ai nostri ragazzi?
Ho letto in rete e sui principali periodici articoli, post e commenti sulla situazione dell’edilizia scolastica, dei contratti di chi lavora nel mondo della scuola – la polemica sull’innalzamento dell’orario di lavoro dei docenti, per dirne una – , dei tagli di ore di lezione e cattedre, dell’ingresso delle nuove tecnologie nella scuola, dell’insegnamento delle lingue straniere.
L’argomento appassiona, la protesta verso alcune scelte governative monta – scriviamo a ridosso dello sciopero del 24 novembre, caratterizzato da una protesta civile e ironica – e sarebbe interessante raccogliere i vostri pareri.

Domande per stimolare la vostra riflessione:

1. Quali sono a vostro giudizio le cause del “degrado” dell’istruzione in Italia e quali le possibili soluzioni?

2. La reale situazione della scuola è percepita nella sua gravità da tutti i cittadini?

3. L’intervento di Mario Monti, presidente del Consiglio, a CHE TEMPO CHE FA. L’avete ascoltato? Che ne pensate?

Per rilasciare commenti, vi rinviamo all’apposito forum.

Pubblicato in LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA   Commenti disabilitati

lunedì, 14 marzo 2011

L’UNITA’ D’ITALIA E LE DONNE NEL RISORGIMENTO ITALIANO: la Mariannina Coffa di Maria Lucia Riccioli

Come tutti voi sapete, il 17 marzo 2011 si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Vorrei dedicare la pagina che state leggendo (e che spero possiate contribuire a riempire) a questa ricorrenza così importante.

maria lucia riccioliSe penso a questa nostra terra mi sovviene la figura della madre, dunque della donna. Ecco perché vi propongo di partecipare ai festeggiamenti concentrandoci soprattutto sulle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano e – più o meno indirettamente – con la loro vita e il loro operato hanno contribuito alla nascita di questo nostro Paese.
In particolare ci occuperemo di una figura meno nota di altre a livello nazionale e anche per questo maggiormente meritevole di essere messa in risalto: quella della poetessa siciliana Mariannina Coffa (1841 -1878). L’occasione ce la offre la recente uscita del romanzo d’esordio di Maria Lucia Riccioli (nella foto accanto), intitolato “Ferita all’ala un’allodola” (Perrone Lab, 2011) di cui approfondiremo la conoscenza nel corso della discussione.

A voi, amici di questo blog, rivolgo l’invito di scrivere qualcosa (un pensiero, una citazione, o quant’altro) per contribuire alla celebrazione della ricorrenza…

Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell'unità d'ItaliaSulla festa del 150°, inoltre, mi piace segnalare questo bell’articolo di Alessandro Mari pubblicato su Tuttolibri del 12 marzo, intitolato: Italia forever giovane e forte.

E a proposito delle donne del Risorgimento italiano, ci tengo pure a segnalare questo libro di Bruna Bertolo: “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” (Ananke, 2011).

Di seguito, il booktrailer del romanzo “Ferita all’ala un’allodola” di Maria Lucia Riccioli e gli approfondimenti firmati da Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.

In chiusura, l’inno di Mameli offertoci da Roberto Benigni nel corso di una serata del Festival di Sanremo di quest’anno.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   389 commenti »

martedì, 9 febbraio 2010

PENTELITE

pentelite-logoHo il piacere di presentarvi Pentelite: volume annuale nato da un progetto letterario di Salvo Zappulla in collaborazione con il Comune di Sortino (SR).
Pentelite non viene messo in vendita. È elargito in omaggio ai collaboratori, alle associazioni culturali, alle biblioteche e ai circoli di lettura… un progetto nato in un piccolo comune siciliano con l’obiettivo di contribuire alla crescita culturale e letteraria.
Mi fa piacere dedicare un post apposito a questo progetto per un motivo molto semplice. Come scrive Zappulla nella sua prefazione, alcuni dei collaboratori di questo numero di Pentelite sono stati “intercettati” proprio qui a Letteratitudine. Insomma, Pentelite ha una sorta di aura letteratitudiniana.
Chi lo sa: magari, con la vostra collaborazione, da questo post potrebbero nascere idee per il prossimo volume di Pentelite…
Ne parliamo con lo stesso Salvo Zappulla e con Maria Lucia Riccioli (che ha co-curato questo nuovo numero)… auspicando gli interventi di tutti coloro che ne hanno contribuito alla realizzazione.
Massimo Maugeri

(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI   129 commenti »

giovedì, 28 gennaio 2010

DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni

Sono molto lieto di poter avviare un nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.
La figura del pirata è entrata a far parte dell’immaginario collettivo da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (valga come esempio “I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.
Diversi gli ospiti che parteciperanno a questa discussione. Intanto, Maria Lucia Riccioli (a cui chiedo di darmi una mano a coordinare e a moderare gli interventi) che ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”. E poi alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Di seguito troverete le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di presentare gli autori e di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.
In coda al post troverete un doppio articolo di Alberto Pezzini sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Per avviare il dibattito provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione).

Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?

Che rapporto c’è (e c’è stato) tra pirateria e schiavitù?

Siete tutti invitati a partecipare.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   232 commenti »

lunedì, 28 settembre 2009

LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA

letteratitudine-chiama-scuolaCari amici, ho deciso di aprire uno spazio dedicato alla scuola e di affidarlo a due frequentatrici di questo blog, entrambe scrittrici e insegnanti di letteratura: Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.
Letteratitudine chiama scuola sarà un luogo – una sorta di forum permanente – che si occuperà di scuola a 360 gradi, privilegiando l’incontro tra studenti, insegnanti… libri (ma non solo). Gli obiettivi saranno meglio spiegati nei due pezzi firmati dalle curatrici e animatrici di questo spazio che – credo – possa interessare tutti (dunque siete tutti invitati a partecipare), giacché la scuola – in un modo o nell’altro – riguarda ciascuno di noi. Inutile dire, dunque, che aspettiamo i vostri interventi.
Ci tengo, inoltre, a segnalare la rubrica “Viva la scuola” che l’amico scrittore Giorgio Morale cura sul blog La poesia e lo spirito.
Di seguito troverete alcune citazioni sulla scuola: qual è quella con cui vi sentite più in linea?
In coda al post, come già anticipato, potrete leggere gli articoli di Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.
Massimo Maugeri

Letteratitudine chiama scuola coinvolgerà diversi ospiti, i cui nomi verranno indicati (in aggiornamento) qui di seguito: Giovanna Bandini
(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA   484 commenti »

lunedì, 4 agosto 2008

IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ELIO VITTORINI

elio-vittorini-ritratto.JPGCent’anni fa – per esattezza il 23 luglio 1908 – nasceva Elio Vittorini.
Dedichiamo uno spazio (e un dibattito) a questo grande intellettuale e scrittore siracusano.
Di seguito avrete la possibilità di leggere quattro interventi.
Il primo è firmato da Ernesto Ferrero ed è stato pubblicato su Tuttolibri del 26 luglio.
Gli altri sono stati realizzati, dietro mia richiesta, dagli amici scrittori siracusani che frequentano questo blog: Maria Lucia Riccioli, Salvo Zappulla, Simona Lo Iacono (Maria Lucia, Salvo e Simona mi daranno una mano per moderare e animare il post).

Vi pongo alcune domande, estrapolate dagli articoli che leggerete di seguito.
Le prime sono di Ferrero (pensate con riferimento a Vittorini):
Chi è, cosa deve fare uno scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società? Cosa può fare per la collettività?
E poi (pescando dal pezzo della Riccioli)…
Cosa rimane di Elio Vittorini?
Quali sono stati i frutti della sua opera? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?

Insomma… Vittorini.
Un’occasione per ricordarlo. E per parlarne.
Massimo Maugeri

————–

Il centenario della nascita di Elio Vittorini
di Ernesto Ferrero (da Tuttolibri del 26 luglio 2008)

Non c’era davvero miglior modo di ricordare il centenario della nascita di Elio Vittorini (23 luglio 1908) che evitare la melassa buonista di simili occasioni e stare ai testi: come questo secondo e ultimo tomo che raccoglie i suoi articoli e interventi 1938-1965 (il primo copriva gli anni 1926-37, in cui ebbe tanta parte il soggiorno a Firenze e la furiosa attività traduttoria).
Sono oltre mille pagine, curate come meglio non si potrebbe da Raffaella Rodondi, degna allieva di Dante Isella. Dico subito che le sue note sono così approfondite ed esaustive che chi vuole occuparsi della cultura italiana del periodo dovrà passare di lì. Vi troverà una miniera di notizie e documenti.
Lo si frequenta poco, Vittorini, a parte Conversazione in Sicilia, che tiene ancora benissimo.
Da tempo è sparita dal nostro orizzonte la sua fervida progettualità utopistica a 360 gradi. Non parliamo poi della sua pretesa di concorrere attraverso la letteratura a una rigenerazione collettiva, addirittura alla nascita di un uomo nuovo. La tensione appassionata e sciamanica con
cui il Gran Siracusano insegue il moderno, inventandoselo anche quando non se ne vedono tracce, ripercorsa adesso risulta commovente.
Uscito da un arcaico mondo contadino, lo conosce troppo bene per abbandonarsi a idilli e nostalgie, che anzi non si stanca di deprecare. Gli interessa l’incontro-scontro con le metropoli, con l’industria, il nuovo mondo che dovrebbe nascere da una sorta di palingenesi collettiva. Ha la bulimia del futuro prossimo. Se le domande sono sempre le stesse (chi è, cosa deve fare uno
scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società, cosa può fare per la collettività?), ricorrenti sono anche le risposte, pur nel variare di quell’«irta vegetazione di metafore» di cui parla Italo Calvino (ma forse più avvolgente che irta): scoprire qualcosa che ancora non si conosce, aggiungere qualcosa di nuovo all’umana coscienza, fuori dai lacci delle ideologie e dei concetti astratti. Certo non «suonare il piffero per la rivoluzione», come scrisse a Togliatti nel corso della famosa polemica su «Politecnico». Vittorini sognava una letteratura che sapesse interagire al livello più alto con tutte le attività umane, che ne fosse il lievito, lo stimolo permanente.
Era (dice ancora Calvino) totalmente immune dalla negatività esistenziale, dalle voluttà del nichilismo, dalle scissioni dell’Io che connotano il Novecento degli sconfitti contenti di esserlo. Anteponeva l’urgenza di un rinnovamento vero alla sua stessa creatività personale, esempio unico di disinteresse.
Nel volume c’è di tutto: saggi, articoli di varia occasione, recensioni, i risvolti per i «Gettoni» einaudiani (sempre imprevedibili, spesso a contropelo), schede di lettura, interviste autobiografiche (tenerissime), risposte a inchieste e dibattiti, elzeviri, corsivi, scritti sull’arte (Dosso Dossi ma anche Cassinari e Guttuso), dibatti sul fumetto (con Eco), abbozzi di storie letterarie, lucidi ripensamenti dei propri libri, ma si possono comunque identificare alcuni nuclei forti. Il gran lavoro sugli americani, anche in vista dell’antologia poi pubblicata da Bompiani (Saroyan, James Cain, Caldwell, Faulkner, Steinbeck, Wright, John Fante); gli interventi febbrili su Politecnico (1945-47), poi sul Menabò (1959-65), principalmente centrati sul solito dolente nodo dei rapporti tra cultura e politica e sull’impegno.
Non c’è campo in cui l’autodidatta non scateni le sue curiosità, creando collegamenti fulminei,
sorprendendo il lettore laddove meno se lo aspetta.
Parla schietto, trasferendo nello scritto la vivacità orale. Gran comunicatore, incantatore nato,
immune da rigidezze accademiche e specialistiche, mercuriale sempre. Così pronto ad ammettere i propri errori che anche un nemico non può che rassegnarsi ad amarlo. Dichiara
odi e amori con il candore degli innocenti. Dice (negli Anni 30) di detestare Voltaire e Balzac,
Kipling, Rilke e Kafka, D’Annunzio e Dostoevskij e idolatra Hemingway al di là del ragionevole,
ma è capace di mandare a Montale, dalle colonne di un periodico giovanile, un saluto di ringraziamento per le Occasioni appena uscite («il fatto più importante, oltreché il più felice, dei nostri ultimi mesi di storia umana»).
Perché nel cuore di Vittorini, felice perché sempre in movimento, lanciato verso il prossimo
ostacolo, non c’è la letteratura, c’è l’uomo. La letteratura è uno strumento da usare bene, come tanti altri. Per questo si sdegna perché nel primo governo repubblicano non è stata chiamata una sola donna, nemmeno come sottosegretario.
Ripete che il più umile dei problemi di una città ha un significato per la cultura in assoluto. Richiesto di autodefinirsi, si iscrive nella categoria dei «poeti civili», lui che non ha scritto un verso. E nel 1964 arriva a dire che la letteratura è ormai destituita d’importanza, si è fatta semplice mediatrice di cose scoperte da altri.
Che la nostra fantasia è vecchia, governata da una concezione del mondo che risale a Tolomeo. Negli ultimi anni, per coerenza, si butta a leggere di scienza, matematica, biologia,
astrofisica. Dice che bisogna continuare a scrivere senza la presunzione di credere che sia importante.
Come sarebbe bello che il calore delle indomite passioni di questo «indiano delle riserve» (come si definiva autoironicamente, ma senza indietreggiare di un pollice) arrivasse fino a noi, al nostro deserto di cenere governato dal marketing.

————–

Cosa rimane di Vittorini?
di Maria Lucia Riccioli

maria_lucia-riccioli.JPG23 luglio 1908 – 23 luglio 2008.
Vittorini cent’anni dopo la sua nascita.
Cosa rimane di uno scrittore? Ce lo chiediamo spesso, in particolare quando si verificano ricorrenze come quelle dei cinquantenari o in questo caso dei centenari.
La figura e l’opera di Vittorini sono state fondamentali per la cultura italiana tra le due guerre e oltre. Ma quali ne sono stati i frutti? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Siracusa dedica da anni un premio letterario ad Elio Vittorini e quest’anno è stata curata la pubblicazione di un volumetto che raccoglie estratti dalle sue opere più note, dei disegni realizzati da Guttuso per un’edizione di “Conversazione in Sicilia” che però vide la luce solo nel 1986. Speriamo che si realizzi il sogno di Siracusa di fare di più – magari una casa museo, una biblioteca – per onorarlo degnamente.
La Sicilia è stata sempre mater poco materna con i suoi figli più illustri e con Vittorini non ha fatto eccezione. Il figlio del ferroviere, cognato di Salvatore Quasimodo, che vide la luce nell’isola di Ortigia, alla Mastrarua, poi Via Vittorio Veneto, dopo i primi studi, il formarsi di una precoce coscienza politica e le febbrili entusiastiche letture, ha fatto la sua fortuna “in continente”.
Cosa resta, dicevamo, di Vittorini? Le istanze della denuncia civile? L’ideale riscatto degli umiliati e offesi? Vittorini patì anche l’ottusità ideologica degli stessi compagni di partito (Togliatti e il suo becero “Vittorini se n’è gliuto e soli ci ha lasciato”), oltre alla sostanziale incomprensione e indifferenza dei conterranei.
La sprovincializzazione della nostra letteratura? Grazie all’antologia “Americana”, grazie ad uno stile che risente della lezione degli autori statunitensi. L’esperienza neoilluministica de “Il Politecnico” fu fondamentale, come la sua opera di “talent scout”.
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Certo rimane memorabile il lirismo dell’incipit di “Conversazione in Sicilia”:

Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica che ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, i qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero a capo chino.vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo.
Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

Rimangono la passione per i libri e la letteratura, scoperta e passione giovanile:

È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. È doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le Mille e una notte in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia.

Vorrei che iniziassimo un dibattito innescato dalle mie domande e da quelle che ci verranno in mente. Sono onorata di scrivere su Vittorini per orgoglio di comune siracusanità e spero che i miei concittadini prima o poi si sveglino dall’apatica quiete della non speranza.

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Vittorini editore e il suo rapporto con il cinema
di Salvo Zappulla

salvo_zappulla.JPGVittorini è stato uno degli intellettuali più poliedrici del ventesimo secolo, autodidatta, letterato per vocazione, aveva una visione pessimistica della vita, una costante tristezza che esprimeva attraverso la scrittura. E’ stato sempre dalla parte degli ultimi, i lavoratori, gli oppressi. Loro sapevano che di lui potevano fidarsi, e lo amavano. Si definiva un solariano e questo termine ne racchiude altri che intendono antifascista, europeista, antitradizionalista. In poche parole: illuminista. Se consideriamo che egli dichiarava con forza le proprie idee, in un momento storico in cui un sistema autarchico consigliava una certa “prudenza”, ci possiamo rendere conto della grandezza di quest’uomo. E’ nota la sua collaborazione con la Einaudi per la quale curò la collana I gettoni che servì a lanciare autori come Calvino, Fenoglio, Romano, Rigoni Stern, Ottieri, Testori, Bonaviri ed altri. Altrettanto famoso – una macchia sulla sua coscienza di intellettuale – fu il suo rifiuto al romanzo di Tomasi di Lampedusa. Va precisato però che il romanzo subì prima un rifiuto da parte della Mondadori alla quale Tomasi di Lampedusa aveva inviato quattro capitoli tramite il cugino Lucio Piccolo. Il testo letto dai redattori (Ricci, Antonielli e Romanò) pur non ricevendo un giudizio del tutto negativo, non fu ritenuto idoneo alla pubblicazione. Vittorini in quel caso si limitò a dare il suo parere conclusivo senza leggere il dattiloscritto personalmente. Successivamente egli ricevette ancora parte del dattiloscritto affinché il romanzo venisse pubblicato su I gettoni, ma lo ritenne lontano per la sua idea della collana in quanto Il Gattopardo, emblema dell’inettitudine sociale e politica della nobiltà siciliana, era un tema ritenuto da lui piuttosto stantìo. Come sappiamo il romanzo verrà pubblicato da Feltrinelli nel 1958 a cura di Giorgio Bassani. Forse il suo rapporto con il cinema è il meno conosciuto rispetto alle molteplici attività di intellettuale. Alla fine degli anni Trenta non esisteva in Italia una vera e propria critica cinematografica e Solaria fu una delle prime riviste a dare ampio spazio a questo settore. Gli anni fiorentini (1930-1938) sono quelli in cui Elio Vittorini si avvicina alla critica cinematografica, anche se costituisce sempre un’attività marginale rispetto alla sua corposa produzione letteraria. Sono anni di difficoltà economica per la famiglia Vittorini, ed egli si presta persino a interpretare una parte nel film Romeo e Giulietta di Castellani. L’attività dello scrittore è frenetica ma l’impegno dedicato al cinema è autentico ed estremamente competente. Egli afferma: “L’essenza artistica del cinematografo è nel movimento”. E ad esso occorre, se necessario, sacrificare le bellezze accessorie. Quando si riferisce al movimento, di successioni, di immagini, di ritmo, si riferisce al montaggio così come è inteso dai grandi maestri dell’avanguardia russa. Aveva una grande passione per Charlie Chaplin, la cui arte – a suo parere – apparteneva alla storia. Era tale la stima per il grande comico, che nel numero 10 del Politecnico gli dedica un articolo, anche se non firmato, ma la cui impronta stilistica è inconfondibilmente sua. Vittorini attribuiva al cinema un ruolo fondamentale per l’educazione del popolo italiano e già, sempre nel Politecnico, secondo numero, pubblica un breve articolo dal titolo ”Il cinematografo dell’avvenire”, a cui fa seguito nel numero successivo un altro scritto a firma di Carlo Luzzari. Il cinema come specchio dei tempi e dei problemi sociali. Tutta l’attività di Vittorini si sviluppa all’insegna dell’impegno civile e ideologico, un neorealismo che non va inteso nel suo senso più ristretto ma che lascia spazio alla poesia, al lirismo, permeato da grande valenza etica. Sicuramente ha lasciato un segno tangibile sulla storia degli uomini.

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Vittorini e l’Isola
di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGSi dice che l’uomo sia una scaglia di terra. Che sia nato da fango misto a saliva. Si dice che è questo a suggerirgli i passi. Che è la forma di quella terra a dar corpo al suo corpo. Parola alla sua parola. Sguardo al suo sguardo.
Si dice.
Ma non si dice soltanto.
Si sente.
Si sente se è grumo di montagna, goccia di lago, o sale di mare.
Si sente se è uomo di isola o di continente.
Ecco. Elio Vittorini fu uomo di isola. E lo fu due volte.
Perché non fu solo siciliano. Ma Siracusano. E di quella parte di Siracusa che è isola dell’isola: Ortigia.
Il nome pare venga da “quaglia”, perché Ortigia è un isolotto arpionato alla città e che dall’alto richiama la fisionomia di questo uccello.
Ma io che ci abito, io che ne respiro l’accroccato divincolarsi tra strade dai nomi ebrei, arabi, greci, io che saluto lo scudo della dea Atena che svetta dal Duomo sol che apra le mie finestre – io so che Ortigia non è nome di quaglia.
E che – anzi – non è neanche nome.
Piuttosto modalità dell’essere. Del vivere.
Del morire.
Tanto che non se ne può prescindere per comprendere l’opera di Vittorini. Né si può ignorare il suo essere contemporaneamente dentro la Sicilia e fuori di essa, quasi su un battello pencolante, che con uno sboffo di corrente potrebbe mollare gli ormeggi.
Doppia isola, dunque. E doppia solitudine. Doppio errare.
Doppio esilio.
Perché l’isolano è esule. E’ straniero.
Ma l’isolano che dall’isola passa ad un’altra isola è quasi un pellegrino di mare. Un eterno viandante. Un Ulisse meno precario che deve fare i conti con una stabilità sempre da rincorrere.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.
A tal punto un duplice rimando ci costringe ad allungare lo sguardo – avanti e ancora avanti – a tal punto ci impone di sognare due volte.
E poi, allontanarsi due volte. Tornare due volte. Intascarsi non una, ma due manciate di nostalgia.
Credo che in questa somma di ostacoli sia da cercare anche il senso del viaggio. Della navigata che in “Conversazione in Sicilia” non solca solo lo stretto di Messina, non Scilla e Cariddi, non una fetta di mare.
Ma un portale. Un ingresso in una dimensione e poi in un’altra. Un varco tagliato da uno Stige.
Quando questo confine viene oltrepassato la memoria di ciò che ci precede vacilla. Perché rientrando in Sicilia e poi ancora in Ortigia, il passo si abitua all’ondeggio del mare.
Lo vedi che ti assale ovunque, se vai avanti, se guardi indietro, se torni a casa.
Ovunque, ovunque. L’acqua a frastagliarti addosso come un dolore. Di non poter che essere questo. Questo oscillare e questo complicato rientro che non si accontenta di compiersi come per gli altri.
Che per te si raddoppierà sempre.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI   132 commenti »

domenica, 29 giugno 2008

PRESTO TI SVEGLIERAI. Incontro con Francesco Costa

In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Due domande che emergono dall’ottimo – e divertentissimo - romanzo di Francesco Costa (nella foto) “Presto ti sveglierai”, edito da da Salani.
Due domande sulle quali si potrebbe discutere a lungo.
Vi invito a interagire con l’autore, che parteciperà al dibattito.

Di seguito potrete leggere le recensioni di Maria Lucia Riccioli – che mi darà una mano a moderare il dibattito – e Antonella Cilento (il suo pezzo è già apparso sulle pagine culturali de “Il Mattino”).

Subito dopo… una bella intervista rilasciata all’inesauribile Simona Lo Iacono (che si presenta all’intervistato nei panni di… Pulcinella)

E poi, sinceramente (e magari con un pizzico di sana ironia)… provate a rispondere!
In quali circostanze potreste uccidere qualcuno?
Conoscete qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

Mica facile!

Massimo Maugeri

———–

Francesco Costa, Presto ti sveglierai, Salani Editore, Milano 2008, pag. 222

recensione di Maria Lucia Riccioli

Presto ti sveglierai è uscito pochi giorni fa per Salani dalla penna oraziana di Francesco Costa.
Oraziana, sì, perché al di là, infatti, della scrittura serrata, del ritmo indiavolato, sostenutissimo della pagina – e qui si avverte il tocco del Francesco Costa sceneggiatore per la televisione e il cinema – serpeggia una malinconia disillusa, che è l’altra faccia della medaglia di quella solarità che connota – ma è proprio così? – i napoletani.
Di oraziano c’è anche il gusto per la battuta arguta, mai veramente cattiva, il dono dei ritratti indovinatissimi, tracciati in punta di penna, un senso morale fatto di sano buonsenso e di bonomia nient’affatto superciliosa.

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?» (p. 7).

La domanda dell’incipit non potrebbe più perentoria.
Suo malgrado, Laura questa domanda dovrà porsela, lei che sembra essere, proprio come il suo minuscolo amatissimo giardino con un pino centenario, un’oasi integerrima e diciamocelo pure un po’ fessa in un mondo di strafichi furbastri arrampicatori fotticompagnisti.
A partire proprio da casa sua: la figlia Gemma cambia look – bonza, dark, intellettuale… – a ritmo vertiginoso ed è convinta di poter sfondare come scrittrice con un romanzo intitolato nientepopodimeno che Rebecca la porca; il marito Stefano la ignora, la tradisce forse con la bellissima Clara e non perde occasione per rimproverarle l’attaccamento alla morale kantiana ritenuta muffosa e fuori moda.
Per non parlare di colleghi e alunni, di Regina Saporito, vicina di casa tutta invidia e falsa cortesia…
C’è persino un surreale Gesù a vegliare, a suo modo, sulle vicende di Laura.

«Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?» (p. 7).

Morale, certezze, valori vacillano di fronte all’ipotesi ventilata dal tubo catodico.

«… Allora raccontalo a Miriam!» (p. 8).

Miriam è la quintessenza dello sfasciume televisivo che ha inquinato le intelligenze e le coscienze di tutta Italia e conduce l’ennesimo reality, volto ad indagare sulle fantasie omicide che infettano anche gli animi più insospettabili, come quello di Laura.
Mite e persino goffa nella sua ingenua semplicità, la nostra sprovveduta protagonista si troverà coinvolta in un complotto che include camorristi, professori in piena crisi d’autorità, vaiasse e persino un poliziotto dall’augurale nome di Speranza.

«Per salvare la vita alla persona che ami, per eliminare un ostacolo tra te e una ricca eredità, per conquistare l’uomo o la donna dei tuoi sogni, per impadronirti di un’automobile…» (p.11).

Il marito di Laura è stato rapito ed è tenuto in ostaggio. Solo la moglie può salvarlo impegnandosi a compiere ciò che il pavido, imbolsito, distratto Stefano non è stato capace di portare a termine: l’omicidio dell’avvocato Morris, un cattivo, un vilain della peggior specie, che l’umanità tutta vorrebbe veder sparire dalla faccia della terra. Chi esiterebbe?
Laura, combattuta tra il residuo amore verso un marito che pur non apprezzandola sempre il padre di sua figlia è, il cielo stellato sopra di lei e la legge morale dentro di sé, verrà catapultata in una sarabanda esilarante di colpi di scena fino allo scoppiettante finale, che lascia anche uno spiraglio di speranza per le sorti di Napoli.
Una Napoli devastata dall’inciviltà, dal cinismo, dall’ignoranza cafona, dalla speculazione edilizia, subissata dall’onnipresente monnezza.
Francesco Costa, con profetico tempismo – o forse è Napoli ad essere tragicamente sempre uguale a se stessa? – fa muovere Laura Belmonte in un presente quanto mai attuale.
E noi ci ritroviamo a tifare per lei e per la sua città, sperando che entrambe finalmente, il più presto possibile, come Francesco Costa si augura nel titolo del libro, si sveglino e trovino la via più “giusta” per il loro riscatto.

«È notte fonda, certo, ma prima o poi si sveglierà anche lei» (p. 222).

Maria Lucia Riccioli

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recensione di Antonella Cilento

«In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?»: questa è la frase che lampeggia lungo le pagine di Presto ti sveglierai (Salani, pagg. 222, euro 13), brillante settimo romanzo di Francesco Costa. A pronunziare la temibile frase è un’attempata conduttrice televisiva restaurata di fresco, che si affaccia da ogni media ad inquietare una Napoli messa a ferro e a fuoco dalle emergenze: camorra, spazzatura, campi Rom (una notevole preveggenza dell’autore, considerando che questo libro è stato scritto ben prima dei recenti fatti di cronaca: ma questo, ovvero anticipare i fatti del mondo, alla buona letteratura capita). E certo il diktat televisivo in una città già così facile agli ammazzamenti, turba, o quanto meno infastidisce, la vita della quarantenne Laura Belmonte, insegnante sposata a un professore, che per conservare la sanità mentale in un mondo allo sfascio ha scelto un imperativo kantiano da ripetersi come un mantra: «Il cielo stellato sopra di me. La legge morale dentro di me». Laura vive in una piccola isola, una casetta a Fuorigrotta dove fa crescere a fatica un minuscolo giardino che la separa da una vicina invadente con un figlio che crede d’essere Gesù – le cui apparizioni esilaranti, ma anche visionarie, sono una delle punte di diamante della narrazione – fra il cimitero, che manda miasmi di morte, e un campo Rom, che di miasmi ne manda di vitali. I problemi di Laura sarebbero molto comuni: un marito che si è stancato di lei e non l’ama più con la stessa passione, una figlia adolescente assai stramba, che passa da una moda all’altra e da un’identità all’altra senza troppi imbarazzi (ora bonzo meditativo, ora autrice di Rebecca la porca, non celata satira dei romanzetti trash di giovanissimi autori analfabeti), una collega di scuola bellissima e con casa a Posillipo, amante di suo marito. Tuttavia le cose si complicano: una sera, di ritorno da una disgustosissima e trendy cena, Laura e Stefano, suo marito, vengono assaliti. Il giorno seguente Stefano scompare. Laura lo cerca invano fino a che non le viene detto che la camorra lo tiene in ostaggio e che lei lo potrà riavere solo a patto di uccidere un certo avvocato americano. Dunque, la realtà non è come appare. Cos’è finto e cos’è vero? Di più non diremo della trama, che si avvolge come una spira attorno al lettore, complice la scrittura elegantissima di Costa, fatta di composta ironia e di situazioni esilaranti, sullo sfondo di luoghi napoletani non usurati dal copione letterario ma consueti all’autore, che di Fuorigrotta e dei Campi Flegrei ha già molto narrato nei precedenti romanzi. Presto ti sveglierai è un noir pieno di comicità e di ritratti impietosi della borghesia televisiva dei nostri giorni, un libro che scorre rapido e restituisce un’aria estiva: promette e mantiene le qualità narrative già note, con in più il dono della commedia di qualità.

Antonella Cilento

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INTERVISTA A FRANCESCO COSTA

di Simona Lo Iacono

simona_lo_iacono.JPGEcco… Ho sempre pensato che ci siano scrittori che affondano tra le maglie di una città. Che le rotolano accanto col respiro. Con i propri sogni.
Scrittori di sogni e di città, diciamo allora. Che sfiatano gli stessi sboffi del vulcano che li domina. E che ne condividono il destino fatto di precarietà e sorrisi. Quella leggerezza che solo chi vive a contatto con una terra prossima a tremare e a spaccarsi sotto il passo, è in grado di raccontare.
E allora facciamo per un attimo finta di essere a Napoli.
Andiamo incontro a Francesco Costa, edito in questi giorni da Salani con “Presto ti sveglierai”.
Pur avendo un passato da fine sceneggiatore e da romanziere di successo ( abituato – tra l’altro – alle trasposizioni per il cinema delle sue storie), Francesco è, soprattutto, un uomo aperto alla meraviglia. Al raspo repentino di un entusiasmo. All’infallibile fiuto dei veri sognatori: lo stupore – sempre rinnovato – per la vita.
Uno stupore a cui di tanto in tanto non sfugge uno strappo di malinconia. Un sobbalzo di inquietudine. Ma non per intima adesione.
Più che altro, per lo scontro con un mondo strano, che ha perduto il senso della curiosità per il proprio mistero. Per l’assurda felicità di vivere.
A volte, sebbene i mascheramenti non siano il suo forte, me lo sono immaginato come un Pulcinella. Ma diverso dagli altri. Dai mille altri Pulcinella che ci si assiepano intorno.
Il “suo” Pulcinella lo immagino a capo di una banda di bambini moccolosi, arrangiato, con scarpe di due misure più grandi, il vestito sgualcito… e un libro in mano.
Si ferma. Lo guarda. Mi toglie le parole di bocca…
Sarà lui a condurre questa intervista…

“Francesco – gli domanda, infatti, Pulcinella – ma tu cos’hai in comune con me”

F: Perdonami, ma non credo che abbiamo qualcosa in comune. Mi ha messo sempre tristezza l’idea che la tua arguzia sia per te un modo di dimenticare che hai fame. Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto avessero fame. Io covavo un’idea di fuga, che poi ho messo in atto. Pulcinella non medita di scappare: è legato da sempre alla sua Napoli. Io per poterne parlare ho dovuto mettermi a debita distanza da lei.

“E con Napoli cos’hai in comune?”

F: Napoli la rivedo ogni mese per visitare la mia famiglia. Che dire? La ami e la maledici, e questo è quanto. Ho l’impressione che non ricambi mai l’amore che le porti. Perfino i recensori napoletani se la prendono comoda nel recensire i tuoi libri quando dovrebbero quantomeno meravigliarsi ed esser grati a chi, da lontano, abbia ancora la voglia di scrivere di questa stranissima, meravigliosa e tremenda città. Inseguono il potere, pure loro, e non si rendono conto che, osservati a distanza, annaspano in una situazione emergenziale che ha dell’incredibile.

“E allora, quanta parte ha la napoletanità nei tuoi libri?”

F: Credo che se fossi nato a Nairobi, parlerei di Nairobi. Parlo di Napoli perché la conosco meglio ed è un fondale adatto alle storie che mi vengono in mente. Il fatto, anzi, che il fondale sia sempre lo stesso dovrebbe a mio avviso mettere in risalto l’inesauribilità dei registri stilistici con cui posso narrare la tragicommedia umana.

“E questa amarezza che affiora tra una risata e l’altra? Questa ricerca della salvezza in una leggerezza apparente, sempre velata da meraviglia? Forse non è della sola Napoli. Forse è oggi – non credi? – l’unica via d’uscita per sopravvivere al mondo senza rinunciare alla fantasia”.

F: L’amarezza non mi appartiene, perché ho un temperamento naturalmente gioioso. Se la si sente venir fuori dai miei libri è perché i miei personaggi devono confrontarsi con qualcosa che ha dell’incredibile. Una città pazzesca, priva di alberi, seppellita sotto la spazzatura. Dominata da gente senza scrupoli. Il contesto in cui vivono metterebbe ansia pure al serafico Oblomov.

“La fantasia. Questa nemica che ti fa credere possibile l’impossibile. Che ti precede, ti perseguita e ti condanna a barricarti tra parole a cui non puoi rinunciare. Che rapporto hai con lei?”

F: La fantasia è tutto. La vita non può essere semplicemente vissuta. Va anche raccontata, per capirci qualcosa, altrimenti l’uomo impazzirebbe.

“E il tuo ultimo libro? Perchè questo titolo?”

F: E’ il mio romanzo più dichiaratamente umoristico. Volevo far ridere. Riuscirci è per uno scrittore un dono divino. Sapere che un lettore ha riso sulle tue pagine è il massimo. Mi arrivano sms ed email di lettori (anche colleghi) che mi ringraziano per le risate che si stanno facendo. Ne sono fiero. Il titolo attiene al sonno e ai sogni. E’ musicale. Ho una ricca scorta di titoli, ai quali devo appioppare un romanzo dotato di intreccio e sensi riposti. Uno scrittore parte generalmente da una storia a cui poi dare un titolo, io parto da un bel titolo e poi vi aggiungo una storia: esattamente il percorso inverso. “Presto ti sveglierai” è un titolo che mi piace, che è piaciuto all’editore, che piace a molti lettori.

“Da quale esigenza interiore è nato?”

F: Dalla voglia di far conoscere ai miei lettori la mia abilità nel registro comico. Tutti i miei libri sono percorsi da una vena ironica, ma questa black comedy, questa commedia con delitto ha costituito per me uno sforzo ulteriore nella direzione dell’umorismo più diretto, più schietto. Presto mi misurerò invece con l’horror e con il noir: dimensioni narrative che non ho ancora affrontato. Lo sfondo sarà sempre Napoli.

“E se anche da questa tua ultima fatica fosse tratto un film, com’è accaduto per altre tue opere (ultimamente rappresentate dal meraviglioso viso di Maria Grazia Cucinotta), che volti sovrapporresti a quelli dei tuoi personaggi?”

F: Ho sempre pensato a Laura, la protagonista di “Presto ti sveglierai”, come a una donna bionda e smarrita, fragile eppur energica, con occhi azzurri stupefatti, e ogni volta mi è venuta in mente Margherita Buy: sarebbe una magnifica Laura!

“Un’ultima cosa, Francè… se ti prestassi il mio vestito, lo indosseresti?”…

F: Non mi piace travestirmi. Ho già il mio bel daffare a entrare e a uscire dalle menti dei miei personaggi. E’ sufficientemente faticoso (e spesso doloroso) inventarli e poi abbandonarli, visto che quando scrivo io divento esattamente loro, al punto che entrano nei miei sogni e mi procurano a volte perfino dei terribili incubi. Quando non scrivo, preferisco il silenzio, e dispormi all’ascolto di quella specie di mood che mi fa arrivare l’eco delle prossime storie…

—–

Francesco Costa è nato a Napoli. Già sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha esordito con il romanzo La volpe a tre zampe, cui s’ispira l’omonimo film di Sandro Dionisio con Miranda Otto e Angela Luce.
Sono seguiti L’imbroglio nel lenzuolo (1997), da cui è tratto un film con Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin – attualmente in produzione, di cui Costa ha firmato anche la sceneggiatura – Non vedrò mai Calcutta, Se piango picchiami, e Il dovere dell’ospitalità.
I suoi libri sono tradotti in Germania, Giappone, Spagna e Grecia.

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   160 commenti »

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