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giovedì, 28 gennaio 2010

DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni

Sono molto lieto di poter avviare un nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.
La figura del pirata è entrata a far parte dell’immaginario collettivo da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (valga come esempio “I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.
Diversi gli ospiti che parteciperanno a questa discussione. Intanto, Maria Lucia Riccioli (a cui chiedo di darmi una mano a coordinare e a moderare gli interventi) che ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”. E poi alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Di seguito troverete le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di presentare gli autori e di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.
In coda al post troverete un doppio articolo di Alberto Pezzini sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Per avviare il dibattito provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione).

Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?

Che rapporto c’è (e c’è stato) tra pirateria e schiavitù?

Siete tutti invitati a partecipare.

Massimo Maugeri

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Pirati in letteratura
di Maria Lucia Riccioli

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/files/2008/08/maria_lucia-riccioli.JPGQuant’è forte il potere evocativo delle parole… quelle tre semplici sillabe sanno ricreare magicamente un mondo fatto di mare, cordami e sartie, alberi maestri, coffe e trinchetti, daghe e cofani bellamente riempiti di dobloni spagnoli!
Ho amato Stevenson ed il suo capitan Silver, capitan Uncino che attenta alla vita di Peter Pan, Achab e la sua disperata caccia a Moby Dick, e leggendo “Piccole Donne” mi sono imbattuta in un gioco di società, una specie di domino letterario, con uno dei personaggi che monopolizza la serata citando a memoria una scena dei romanzi pirateschi che tanto ama…
E la leggenda dell’Olandese volante? E il nostro Salgari, che senza praticamente muoversi dal tavolino di un caffè ci ha regalato la figura del Corsaro Nero, oltre che a quelle di Sandokan e dei suoi tigrotti della Malesia?
I pirati hanno popolato le pagine dei romanzi fin dall’antichità. Se pensiamo a quanta letteratura greca è letteralmente naufragata nel mare magnum della storia, specialmente per quanto riguarda la narrativa, c’è da rimpiangere i romanzi, in cui i pirati la facevano da padroni nel “mare colore del vino” e separavano fanciulle e giovinetti innamorati per venderli come schiavi, come accade anche nelle novelle del Decameron, in cui ancora permane l’eco delle scorrerie saracene, di quei pirati che saccheggiavano e rapivano, alonati di fascino misterioso.
Bucanieri. Barbareschi.
E il corsaro. Altra figura leggendaria, legittimata però nel suo scorribandare in cerca di fortuna dalla protezione di alti personaggi, addirittura di sovrani: pensiamo a Francis Drake, addirittura Sir.
I filibustieri. Altra parola che poi è divenuta un insulto, un po’ datato ma che ci riporta all’epopea dei pirati.
E cos’altro è in fondo Ulisse? Il suo nostos verso Itaca si colora d’avventura e l’uomo dall’ingegno versicolore sembra più un corsaro che un re in fuga da Troia.
Il cinema molto deve ai pirati: scene spettacolari, isole e galeoni, combattimenti all’arma bianca col coltello tra i denti… e la classica camminata sulla passerella di legno per finire in pasto ai pescecani, già pronti con le mascelle spalancate.
Pensiamo ai pirati dei Caraibi, fantastici e glamourous, ad Erroll Flynn, alle trasposizioni filmiche dei romanzi pirateschi (chi non ricorda “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto” e la gamba di legno di Long John Silver?), i pirati di Polanski, il Capitan Harlock dei cartoni animati, il “pirata tutto nero che per casa ha solo il cielo” e che ha lasciato gli antichi vascelli per un’astronave?
Oggi i pirati sono informatici, ancora più misteriosi dei personaggi mascherati col fazzoletto al collo e il pappagallo sulle spalle, ma le loro incursioni nei sistemi computerizzati e nei nostri pc sono dannosi quanto un arrembaggio…
E che dire dei cacciatori di relitti e tesori? C’è chi spera ancora di trovare la cassaforte del Titanic, o l’oro spagnolo disseminato per l’Atlantico.
Senza dire che i pirati esistono ancora, e depredano carghi, sequestrano e uccidono. E nelle loro imprese non vi è nulla di romantico.
La bandiera nera con il teschio e le tibie, simbolo potente della morte per mare, resterà ancora a lungo nell’immaginario collettivo.
Fino a quando vivranno lo spirito d’avventura, il desiderio dell’ignoto e – perché no? – la trasgressione o meglio l’elusione delle regole del vivere civile, del mondo dei terricoli che non conosce le dure leggi del mare.

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Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani di Nicolò Carnimeo
Longanesi, 2009, pagg. 254, euro 17,60

Lo dimostrano le cronache più recenti: i pirati sono sempre esistiti e sono ancora fra noi, ma questa volta non siamo in un romanzo d’avventura, e men che meno al cinema. La pirateria è una guerra silenziosa: si stima che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di diciassettemila navi, con una media di settecento all’anno. Tutto ciò ha costi economici e sociali altissimi. I nuovi predoni del mare dispongono di armi sofisticate e tecnologia satellitare, prosperano nelle acque di quelle nazioni in cui vi è forte instabilità causata da guerre e carestie, come in Somalia, oppure dove i governi sono deboli e corrotti, come in Nigeria e Indonesia, ma tutti i mari del mondo ne sono infestati e chiunque può diventarne vittima, magari durante una crociera nel mar Rosso o ai Caraibi oppure nell’incantevole soggiorno low cost di un villaggio turistico in Borneo. Nel seguire le tracce della pirateria moderna, dal sequestro del veliero da crociera francese Ponant, a quello della gigantesca petroliera Sirius Star, alle “navi fantasma” depredate dalle mafie orientali del mar della Cina, questo appassionante reportage, scritto da un esperto di “cose di mare”, porta in luoghi lontani ed esotici, fa conoscere i nuovi spietati bucanieri e chi ogni giorno li combatte. La guerra ai pirati del terzo millennio è appena iniziata e nessuno può sentirsi al sicuro: oggi anche una tranquilla vacanza in barca a vela può diventare un incubo.

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Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna di Giovanna Fiume
Bruno Mondadori, 2009, pagg. 349, euro 22

Durante l’età moderna, l’area mediterranea è segnata dalla guerra da corsa e dalla pirateria, su cui prosperano intere città, cristiane e musulmane; il conflitto per mare assume i toni dello scontro religioso, quasi da crociata contro gli infedeli. Quanti cadono in mano dei corsari, ridotti in schiavitù, attendono di essere riscattati o scambiati, e in cattività danno origine a un’intricata storia di abiure e conversioni – dall’islam al cristianesimo e viceversa. L’analisi dell’autrice, basata su ricche e talvolta inesplorate fonti documentarie, mostra il forte coinvolgimento delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche in questa nuova dimensione della contesa politica internazionale e offre un quadro significativo sulle condizioni di vita dei captivi, in bilico tra la vecchia fede religiosa e l’esigenza di inserirsi in un diverso tessuto sociale. L’efficacia nell’evangelizzazione degli schiavi ha come risultato più eclatante la canonizzazione di santi neri, quali Antonio Etiope e Benedetto il Moro, ma si spinge sino in terra africana, dove Juan de Prado guadagna la palma del martirio, mettendo in luce inediti aspetti del ruolo politico dell’attività missionaria degli ordini religiosi nel regno del Marocco.

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Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia di Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli

I pirati dei film non rappresentano che una realtà parziale, quella del mar dei Caraibi o della Malesia; per questo molti ignorano che la pirateria ha giocato un ruolo importante in tutti i mari, Mediterraneo compreso. Dal punto di vista storico, poi, si tende comunemente a collocare le ultime imprese dei pirati nel Settecento, dimenticando circa tre secoli di feroci scorribande, che si protraggono fino ai nostri giorni. Questo libro intende restituire un volto più reale al fenomeno, con uno sguardo che comprende i Caraibi, ma a cui non sfugge la storia della navigazione a partire dai fenici, la guerra di corsa nel Mediterraneo, la pirateria nell’Estremo Oriente, nonché le ‘navi ausiliarie’ delle due guerre mondiali e gli odierni pirati delle coste somale.
Con una trattazione avvincente e leggera, corredata da numerose immagini, Pirati ci trasporta in un viaggio a bordo delle navi dei Barbarossa o di Andrea Doria; ci costringe al remo tra forzati musulmani o cristiani; ci conduce alla corte di Elisabetta I o al patibolo di Wapping Old Stairs. E ci rivela il naturale sodalizio tra pirateria e guerra: non esiste bucaniere, filibustiere o corsaro, se non in uno scenario reso instabile da un conflitto.

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Nuove storie di pirati (parte I): Michael Crichton, Valerio Evangelisti

 articolo di Alberto Pezzini

 Chissà se Michael Crichton si è ispirato a Hornblower di C.S. Forester per scrivere la postuma “Isola dei Pirati (Garzanti, 2009, pagg. 332). Della Giamaica in cui è ambientato il libro Crichton ci aveva già parlato in un suo racconto di vita, relativo ad uno suo viaggio personale legato ad una separazione sentimentale (Giamaica, in Viaggi, Garzanti Elefanti 2005).

Ma il personaggio dello spregiudicato Capitano Charles Hunter, inglese, che combatte gli spagnoli, sa moltissimo di un suo antenato molto più ortodosso: il Capitano Hornblower, che nelle galere spagnole ci resterà per due anni da prigioniero.

Sembrano figure molto vicine e contrarie.

Hornblower è un comandante nato che combatte per la regia marina, Hunter è un corsaro, una sorta di irregolare con la patente di uccidere in segreto per la corona.

Dire che il romanzo di Crichton sia stato pensato con un occhio avido verso una futura sceneggiatura è pur vero, ma banale.

Se vale il fatto che la sua scrittura – alla fine – era divenuta carne per il cinema, ciò non cancella il suo personale approccio alla scrittura. Predisposta quasi naturalmente per gli adattamenti cinematografici. Crichton è stato medico, e quindi era in possesso di una formazione scientifica per cui si impara a scrivere con parole secche. La frase – come diceva Terzani quando scriveva per Der Spiegel – doveva essere “piccante”. Senza niente di più addosso.

Il suo corsaro risente molto di Hornblower e della sua epopea nei contenuti.

Forester aveva fatto sentire molto di più il mare in una saga di quasi millecinquecento pagine dove gli spagnoli vengono gradualmente sostituiti dagli odiati francesi di Napoleone.

Il capitano Charles Hunter è un avventuriero che in Giamaica, nel 1665, decide di espugnare un galeone ancorato in un’isola vicina a Matanceros, sotto gli occhi di un sadico comandante di nome Cazalla. Si tratta di un’impresa quasi impossibile. Così come era quella di espugnare Veracruz per il capitano De Grammont nell’omonimo romanzo di Valerio Evangelisti.

In entrambi i casi si tratta di uomini che hanno scelto la guerra di corsa per combattere gli spagnoli. Mentre in Evangelisti, però, la figura di Hornblower con tutti i suoi valori non è mai esistita, e dove vince una concezione meridionale (il sesso è preminente, cioè) della pirateria, in Crichton, invece, il sesso c’è ma passa senza sfiorare nessuno. Non fa danni. Evangelisti fa parte di un girone letterario tutto suo dove la guerra di corsa e la pirateria sono qualcosa di barbaro, un reparto dove la macellazione è garantita se ti prendono e dove lo stupro è una regola fissa a cui in qualche modo il lettore è preparato pagina dopo pagina. In “Tortuga l’io narrante vive di una donna meravigliosa – anche se muta – la quale si rivelerà una nemesi feroce per le sue voglie di uomo preso alla sprovvista. Solo che il sesso resta una componente molto forte, e molto partecipata di una vita dove il mare, l’assenza di regole in guerra e la voglia di godere lasciavano davvero poco ogni giorno in cui il sole cominciava a prendere l’orizzonte. Non è un sesso espresso, però, ma più che altro una vena mentale per cui nella vita di questi uomini è la donna che comanda. Lei viene presa una volta, ma l’uomo è preso tutta la vita… e, dunque, è in manette. È la concezione di Filippo II rinchiuso nell’Escorial dove la luce è preda del buio.

Crichton in questo è più wasp, molto più anglosassone.

La visione della guerra di corsa dell’americano è forse anche più feroce di quella di Evangelisti, ma non è così bulimica sulla pagina, insomma sprizza sangue meno rosso. In entrambi si respira lo studio della marineria e della guerra di corsa sul mare che – in moti autori – diventa quasi una sorta di prova di scrittura. Ci siamo chiesti il motivo per cui molti scrittori si cimentino in una nuova edizione del Corsaro Nero. Il punto di partenza resta il romanzo di Salgari.

La prima risposta che viene in mente quando si parla di pirati è che l’animo maschile sia in profondità un pozzo dove i giochi dell’infanzia restano sempre ad un centimetro dalla superficie. Stanno sempre sotto un velo molto sottile.

Le navi rappresentano isole ove la vita è il frutto di regole rigidissime che non esistono in altri luoghi. Sono luoghi atopici, insomma, dove tutto è possibile.

Le avventure in mare sono infinite come tutte diverse – in ogni menoma particella – ne sono le onde. Mai uguali.

Il Corsaro Nero nasce come romanzo per ragazzi e diviene la base di una letteratura per adulti dove si arriva a mescolare un arrembaggio con uno stupro per tenere meno acido il sapore di una storia ormai abusata.

Crichton scrive questo romanzo verso la fine della sua vita, quando la malattia gli ha già dato qualche potente strattone tipo quelli della Morte in “Vi presento Joe Black”. Deve aver pensato a quando navigava con la mente da piccolo e lì, in quella zona di calma apparente, ha provato a fermare un poco il battito del cuore .

Il romanzo di Crichton termina con la parola latina Vincit: come il suo autore, vittorioso sulla morte per aver navigato nei mari estremi anche da adulto. Tutti siamo stati bambini, ma pochi se ne ricordano, come diceva “Il Piccolo Principe”.

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  Nuove storie di pirati (parte II): Valerio Evangelisti, Arturo Perez–Reverte

 articolo di Alberto Pezzini

 A distanza di un anno, ma neanche visto che “Tortuga” è del gennaio 2008, tornano i pirati della Tortue di Evangelisti. Un euro in più, uguale numero di pagine – per la verità una in meno – “Veracruz” è il prequel di Tortuga. Parliamo di una città situata all’interno del Golfo del Messico, proprio nel cuore pulsante della Corrente del Golfo. Viene assalita dai nostri corsari, depredata, messa a fuoco, violentata nelle donne e denudata delle merci. Diventa un deserto. Siamo nel 1683 e Michel De Grammont, l’ultimo comandante guida dei Fratelli della Costa, prende questa decisione rivoluzionaria. Espugnare Veracruz, la città più importante della Nuova Spagna, distruggendo così tutta la rete dei contatti diplomatici europei dell’epoca. L’impresa sarà condannata anche dalla corona di Francia in nome della quale i Fratelli si dicono gli agenti segreti sui mari. Veracruz si trasforma così in un casus belli che condannerà i Fratelli ed il loro comandante. Ostaggio, lui, di una donna che riesce a far liberare, la sua sorella più piccola tumulata viva dentro una prigione inumana dai cattolici spagnoli. La sete di vendetta diventa per De Grammont una benda spessa sugli occhi e gli fa perdere la visione strategica dei mari. Insieme alla moribonda, un’altra presenza femminile che conturba le menti è Gabriela Junot – Vergara, preda del saccheggio, e stuprata con piacere apparente da uno dei comandanti del Re della Corsa. Tutto viene narrato dalla voce di Hubert Macary, ufficiale votato all’obbedienza più cieca se non fosse per quell’inclinazione incoercibile verso le donne fatte di senso e bellezza. Macary sarà poi colui che si perderà nelle ultime pagine di Tortuga scomparendo dentro una fine tanto nefasta quanto inattesa. La storia dei corsari è tutta qui, sempre con il solito meccanismo del romanzo d’appendice. Ogni paragrafo fa saltare di corsa verso l’altro, sempre con il fiatone. Evangelisti ha individuato un filone aurifero che sa gestire molto bene. L’impasto è il solito: avventura, sangue, intrighi, passioni e sesso. Qui, rispetto a “Tortuga”, è più fine, più lontano all’orizzonte ma lo si avverte come la vera molla della storia. Se si apre “Il Corsaro Nero” di Emilio Salgari (1898) ci si può toccare e pizzicare perché le cose non sono cambiate. La stessa orditura, la stessa velocità nella narrazione, soltanto con qualche pepita di appetito maschile concessa in più ai lettori (che sociologicamente si sono evoluti verso un tipo di avventura dove il sesso è divenuto una componente fisiologica).
Evangelisti ci confessa nella Nota finale di avere già in mente il terzo tomo con il titolo “Cartagena”, che prima o poi scriverà. Conterà le stesse pagine, costerà un euro in più, e sarà anch’esso capace di far sentire il mare come le conchiglie.

La mano di Evangelisti – quel che è giusto va detto – è però la più abile nell’arte di “affiancarsi” a Salgari e la sua capacità mimetica supera di gran lunga anche “I Corsari di Levante”, Tropea 2009, di Arturo Pérez–Reverte, che letto in controluce è più intellettualistico e meno maroso. Evangelisti – in fatto di corsari – è più audace, ha una maggiore visione fumettistica dell’intreccio che sa far pesare di più sulla bilancia. Perez Reverte è in affanno perché la sua mano resta quello dello spadaccino, dell’indimenticabile e supremamente terreste maestro di scherma Alatriste che – sul mare – fa la figura del piemontese alla spiaggia. D’altro canto gli spagnoli, con quei galeoni così pesanti, perdono sempre contro i corsari. È una legge che regola le storie della Corsa. La Spagna è sovrana di un impero dove il sole non tramonta mai. Sulla terra, però…  soltanto sulla terra.


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Scritto giovedì, 28 gennaio 2010 alle 20:30 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

232 commenti a “DIBATTITO SU LETTERATURA E PIRATI: da Salgari ai nostri giorni”

Cari amici,
sono davvero lieto di poter avviare questo nuovo dibattito letterario a largo respiro. Il tema che propongo è il seguente: “Letteratura e pirati (da Salgari ai nostri giorni)“.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:06 da Massimo Maugeri


Come ho scritto sul post, la figura del pirata fa parte dell’immaginario collettivo già da moltissimo tempo: ha invaso le pagine di romanzi e saggi, di film e serie Tv, di cartoni animati e opere musicali. Eppure – dicevo – ho l’impressione che, di recente, si sia sviluppato un interesse ancora maggiore, che dal cinema (vedi“I pirati dei Caraibi” di Johnny Depp) si è riversato sulle pagine dei libri e altrove.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:07 da Massimo Maugeri


Una puntata ricca di ospiti e contributi, questa…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:08 da Massimo Maugeri


Per quanto riguarda i contributi:
- Maria Lucia Riccioli (che mi darà una mano a coordinare e a moderare gli interventi) ha scritto un articolo sui “pirati in letteratura”.
- Alberto Pezzini ci offre una doppia visuale sui “nuovi romanzi dei pirati”, con riferimento alle recenti pubblicazioni di Michael Crichton, Valerio Evangelisti, Arturo Pérez–Reverte.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:10 da Massimo Maugeri


Per quanto riguarda gli ospiti… interverranno alcuni autori di saggi molto interessanti (che mi piacerebbe potessero discutere del tema in generale, parlarci dei loro libri e interagire tra loro):
- Nicolò Carnimeo, autore di “Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” (Longanesi)
- Giovanna Fiume, autrice di “Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” (Bruno Mondadori)
- Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli, autori di “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia” (Nutrimenti).
Sul post trovate le schede dei tre volumi. Nel corso della discussione avrò modo di fornire ulteriori contributi sulle loro opere.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:12 da Massimo Maugeri


Presento subito gli ospiti…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:13 da Massimo Maugeri


Nicolò Carnimeo (Bari, 1968) insegna Diritto della navigazione e dei trasporti nella facoltà di Economia dell’Università di Bari. Collabora con la rivista di geopolitica “Limes”, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “Fare vela” e altre pubblicazioni del settore nautico. Ha pubblicato “Montenegro: viaggio senza tempo” (Giorgio Mondadori, 1999) e ha partecipato alla stesura di “Mari e coste d’Italia”, enciclopedia distribuita con il Corriere della Sera. È presidente della Fondazione “Vedetta sul Mediterraneo”, che si occupa di promuovere la cultura e la letteratura del mare: http://www.vedettamediterraneo.it/

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:14 da Massimo Maugeri


Giovanna Fiume è professore ordinario di Storia moderna presso l’Università di Palermo. Ha scritto, tra l’altro, “Il santo Moro. I processi di canonizzazione di Benedetto da Palermo” (1594-1807) (Franco Angeli, Milano 2002 e 2008). Ha curato “Il santo patrono e la città. Culti, devozioni, strategie di età moderna” (Marsilio, Venezia 2000).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:15 da Massimo Maugeri


Ignazio Cavarretta è skipper di professione e autore di pièce teatrali.
Eletta Revelli, biologa marina, è anche autrice di testi di divulgazione scientifica. Per Nutrimenti ha già pubblicato “Il mondo dei delfini” (2008).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:16 da Massimo Maugeri


E ora, per avviare il dibattito, provo a formulare alcune domande (che potrebbero essere integrate e/o modificate nel corso della discussione)…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:17 da Massimo Maugeri


Che tipo di rapporto avete con la “letteratura dei pirati”?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:18 da Massimo Maugeri


Qual è, a vostro avviso, il miglior romanzo sui pirati della storia della letteratura?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:18 da Massimo Maugeri


Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:18 da Massimo Maugeri


La “figura” del pirata è stata eccessivamente “mitizzata”? C’è uno scollamento tra “fiction” e realtà? Che percezione avete in proposito?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:19 da Massimo Maugeri


Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:19 da Massimo Maugeri


Questa discussione si svilupperà nei giorni che verranno e ci farà compagnia per un bel po’ (almeno spero!).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:27 da Massimo Maugeri


Una serena notte a tutti…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 00:28 da Massimo Maugeri


“Fresca fresca” del mio post che avrebbe potuto intitolarsi
D’amore e D’abbandono
passo a dare un saluto e un ringraziamento a Massimo che così gentilmente si è occupato del mio libro.
Devo dire che l’argomento dei pirati in letteratura mi coglie completamente impreparata. A meno che ci si voglia riferire a quella volta che mio figlio mi trascinò a vedere “Pirati dei Caraibi”.
Scherzi a parte, seguirò volentieri il post.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 09:06 da mavie parisi


Un saluto a Massimo: è da tanto che non intervengo, scusami!
Questa discussione mi piace molto, perché sono, in potenza, un appassionato del genere. Ovvero: da piccolo mi piaceva Salgari (anche se non come a mio padre, per il quale è un nume tutelare), e recentemente ho letto Tortuga e conto di leggere Veracruz (ne ho letto però lo spunto pubblicato come racconto: “I fratelli della costa”, in “Anime nere”).
In teoria mi piacciono molto i romanzi di avventura sui mari. Anche se a dire il vero spesso sono deluso dai risultati. Ho iniziato qualcosina di James L. Nelson e Scott Lynch (“I pirati dell’oceano rosso”) ma li ho lasciati lì. Conto di finirli prima o poi, così potrò parlarne… Temo però che per trovare qualcosa che mi piaccia veramente dovrò tornare a Hornblower, che non ho mail letto (e che non è saga di pirati, ovviamente).
Per rispondere ad alcune delle tue domande: sì, i pirati vanno ora più di moda che una quindicina di anni fa. I motivi sono piuttosto ovvi: la serie cinematografica dei Pirati dei Caraibi. In effetti prima i rimandi ideali erano a Salgari e al film di Polanski (che fu un flop all’epoca). Ora invece il merchandise legato al tema è esploso. Non dimentichiamoci fra l’altro di “One Piece”, un cartone animato giapponese più fantastico ancora de “I pirati dei Caraibi”, che sta spopolando in tutto il mondo e anche in Italia.
È ovvio che questa mitizzazione dei pirati viene originariamente da paesi che usavano (o usano) la pirateria o la guerra di corsa contro i nemici politici: dagli USA al Giappone. Salvo l’Italia, che però con il mito della navigazione ha sempre avuto a che fare. È ovvio che però quando i tg parlano dei pirati veri, cioè quelli attuali, i toni si fanno assai meno romanzeschi. Insomma, si mitizza un passato come avventuroso perché non lo si è vissuto…
L.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 09:19 da lorenzo amato


Ehilà Massi!Non ho parole stamattina,non posso dimostrarlo “scientificamente”ma erano giorni che nella testa mi girava l’idea di un post sui pirati,in senso lato dalla letteratura al cinema alla realtà,e volevo parlartene….comincio a preoccuparmi:leggi il pensiero dei lettori affezionati del blog???Accipicchia meraviglia di telepatia virtuale…stai diventando un “medium-web” perfetto,non è che fra poco un dì mi lieviterà la tastiera del pc??
torno più tardi per le tue belle domande.
buonagiornata a tutti!

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:13 da francesca giulia


Questo post mi interessa moltissimo. L’argomento pirati è di indubbio fascino.
Devo fare tanti complimenti a Massimo Maugeri, che seguo da tempo anche se non scrivo commenti, per aver messo insieme questo sistema di relazioni tra letteratura e realtà coinvolgendo gli esperti presentati nel post.
Leggerò con attenzione.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:19 da Roberto Ventura


Il mio rapporto con la letteratura dei pirati mi rimanda a Salgari e Stevenson. In effetti “L’isola del tesoro” è uno dei miei romanzi preferiti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:20 da Roberto Ventura


bellissimo post, massimo. complimenti. leggo tutto con calma e partecipo appena possibile.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:21 da letizia


Dunque, per quanto mi riguarda, e per mio gusto personale, il miglior romanzo che parla di pirati è proprio “l’isola del tesoro”.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:23 da Roberto Ventura


Sul resto concordo con Amato. La serie cinematografica dei Caraibi ha fatto la fortuna di Johnny Depp e del genere (che aveva già una sua storia e una schiera di appassionati al suo seguito).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:25 da Roberto Ventura


Non ho mai letto granché sulla letteratura che tratta dei pirati, però mi piacerebbe saperne di più. Sono un grande fan della serie televisiva Sandokan, mentre la saga hollywoodiana dei Caraibi non mi interessa più di tanto. Troppo “fantastica” per i miei gusti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:27 da Antonio


Probabilmente ci sarà uno scollamento tra fiction e realtà. Da questo punto di vista credo che sarà interessante seguire il parere degli esperti invitati.
Sull’altra domanda: no, non ho mai pensato di rimanere vittima dei pirati. Tranne dei pirati della strada, questo sì. In molti casi sono altrettanto pericolosi e di certo meno affascinanti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 10:30 da Roberto Ventura


Seguirò il dibattito con grande interesse.
Sono un’appassionata dei pirati dei Caraibi e di Johnny Depp. Mi piacerebbe saperne di più sui romanzi di ieri e di oggi che hanno i pirati come protagonisti. E anche sui saggi che sono stati presentati qui.
Dei pirati nella vita reale in verità non so molto. Anzi, non pensavo che ci fossero ancora pirati in giro.
Saluti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 11:47 da Sabrina


Il mio rapporto con i pirati nasce con Sandokan, da bambino. E resta un legame affettivo che poi ho cercato di rinnovare durante gli anni. Secondo me il pirata è uno degli elementi dell’immaginario maschile più cliccati a livello inconscio, insieme a Zorro e Corto Maltese. Ecco, su quest’ultimo, devo dire che rappresenta un pirata sui generis, ma davvero attrativo. Hugo Pratt è stato un vero pirata nella sua vita:figlio di una Venezia senza misura, sempre alla ricerca di una dimensione in cui poter stare un poco fermo, è il figlio vero del mare, del vento e dei predoni che la Repubblica cercava di combattere sui mari.
Alberto Ongaro in Romanzo di un’avventura ci dà la misura di Hugo Pratt e di Corto Maltese. Per me il vero pirata è lui, quello che mi piacerebbe incontrare in una laguna a metà mattina, in mezzo alla nebbia.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 12:02 da alberto


Io sono cresciuta a pane e Salgari: dell’autore ho letto di tutto e Sandokan è il personaggio che più ho amato e in cui più volentieri mi indentificavo (e non con la Perla di Labuan, come magari sarebbe stato logico) nelle mie fantasiose scorribande.
I pirati fanno parte di quelle icone che a cicli vengono ripescate per scrivere, o tentare di farlo, qualcosa di nuovo. Così com’è stato per i Vampiri, ad esempio.
Lo scollamento tra fiction e realtà è conseguenziale, altrimenti non sarebbe fiction, altrimenti non si creerebbe più una letteratura d’evasione ma l’ennesimo nudo e crudo reportage.
La pirateria è un fenomeno ancora attuale, specie sulle rotte dei grandi cargo. Quindi i più temerari e desiderosi di nuove esperienze possono sempre avventurarsi nei mari dell’Indonesia o nel corno d’Africa. E poi ci facessero sapere! ;)

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 12:19 da Simonetta Santamaria


Corto Maltese è un gran personaggio. Concordo.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 12:19 da Roberto Ventura


Discussione sensazionale, questa che proponi!
Io sono una patita di Jack Sparrow, il personaggio interpretato dal grande Johnny Depp nella serie Pirates of Caribbean.
Sono d’accordo con chi dice che questi film interpretati da Depp hanno contribuito al risveglio di interesse sui pirati.
Sono film prodotti dalla Walt Disney Pictures.
Il primo, “Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna” (Pirates of Caribbean: The Curse of the Black Pearl) è uscito nel 2003.
Il motivo del successo? Una miscellanea tra Salgari, tradizioni hollywoodiane, effetti speciali, avventura, suspence, ironia, love stories, e un velato horror fiabesco.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 14:55 da Marina Loreto


Voglio ricordare gli altri due episodi della serie: “Pirati dei Caraibi: La maledizione del forziere fantasma” (2006) e “Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo” (2007).
Sul fatto che Johnny Depp è un attore favoloso e sexy, meglio sorvolare. :)

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 14:58 da Marina Loreto


Segnalo, in tema, il romanzo di William Burroughs (da me letto quasi trent’anni fa), “La città della notte rossa”: un viaggio pericoloso, quello che ci fa percorrere solo la letteratura eccellente.
(P.S. Da ragazzino non mi entusiasmava Salgàri: mi sembrava un viaggio esclusivamente “fisico” e un po’ di cartapesta. Mentre Evangelisti, per parlare dell’oggi, merita moltissima attenzione).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 14:59 da Subhaga Gaetano Failla


Qualche curiosità legata al primo film.
- La storia è in gran parte ambientata a Port Royal, omaggio al film di pirati “Capitan Blood” del ‘36 con Errol Flynn e diretto da Michael Curtiz.
- La camminata sott’acqua usando la scialuppa di salvataggio come serbatoio d’aria è un omaggio ad un classico del genere: “Il corsaro dell’Isola Verde” con Burt Lancaster.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:00 da Marina Loreto


Il budget del film è stato circa 140.000.000 $
Il film ha incassato a livello internazionale circa 653.900.000 $. In Italia ha incassato 16.932.373 €.
Niente male vero?

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:02 da Marina Loreto


Anch’io sono molto interessata ai romanzi pirateschi di Evangelisti. Così come sono molto incuriosita dai tre saggi proposti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:04 da Marina Loreto


Buongiorno a tutti,

siamo molto contenti di poter partecipare a questo dibattito sui pirati.

Cominciamo allora dalla prime due domande, quella sulla letteratura dei pirati.
Cito due libri e un racconto che mi hanno entusiasmato moltissimo: come romanzi “L’isola del tesoro” e il proseguimento “la vera storia del pirata Long John Silver” di Larsson; come racconto, invece, il meraviglioso “Scarabeo d’oro” di Edgar Allan Poe.
Per quanto mi riguarda, non ho letto questi libri da bambina ma soltanto alcuni anni fa quando mi sono avvicinata al mondo della pirateria per motivi di lavoro (la stesura dell’Agenda del Mare 2008, dedicata per l’appunto ai pirati).
Ignazio, invece, ha letto molti romanzi da ragazzino e li ha poi riletti da adulto; tra i suoi preferiti Salgari, Stevenson e il più moderno Larsson.
Con rammarico, però, nota che Salgari non ha ambientato le sue storie nel Mediterraneo, vera e propria culla della pirateria, ma si è limitato a creare un Corsaro Nero di origini liguri. Forse il ricordo dei Saraceni era ancora troppo fresco per trarne storie avventurose e divertenti.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:06 da Eletta Revelli e Ignazio Cavarretta


Naturalmente, Corto Maltese va certamente letto e “visto”, senza escludere una sola scena della sua affascinante, memorabile, vastissima (come il mare) vita…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:08 da Subhaga Gaetano Failla


Spero che il padrone di casa non mi sbatta fuori, ma vorrei inserire qualche citazione piratesca firmata Jack Sparrow.
Da “Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna”
Jack dice: “Giacché ti trovi lì, fai attenzione: sono solo due le regole che contano davvero. Quello che un uomo può e quello che un uomo non può. Per esempio, o tu puoi accettare che tuo padre fosse un pirata ed un brav’uomo o non puoi. Ma hai sangue pirata nelle vene e dovrai farci i conti un giorno o l’altro. Prendi me per esempio: posso lasciarti affogare, ma non posso portare la nave fino a Tortuga solo soletto, comprendi? Quindi, puoi navigare sotto il comando di un pirata? O non puoi?”
…….
Ammetto che mi sto divertendo un mondo :)

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:12 da Marina Loreto


Si possono fare domande? Vorrei chiedere a Eletta Revelli e Ignazio Cavarretta cosa pensano della serie cinematografica dei Pirati dei Caraibi.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:14 da Marina Loreto


Al di là dell’invenzione letterario-cinematografica… avete mai pensato di poter rimanere vittime di una reale “scorribanda piratesca”?

Essendo una biologa marina, mi capita di navigare per mare da molti anni, su barche a vela ma anche su grandi navi oceanografiche. Fortunatamente non ho mai avuto a che fare direttamente con i pirati ma posso ricordare due episodi collegati a questo discorso. Il primo si riferisce al giovane comandante di una nave oceanografica USA su cui ho lavorato in Antartide l’anno scorso. Quando gli raccontai del libro che avevo scritto, “Pirati. Dalle origini ai giorni nostri, dai Caraibi alla Somalia”, mi raccontò di quando fu catturato da un commando di pirati mentre la sua nave era alla fonda in acque nigeriane. Fortunatamente fu rilasciato dopo una lunga e travagliata trattativa ma l’aspetto che più si ricordava di questa faccenda fu l’avidità con cui tutte le persone coinvolte (dai pirati stessi, all’amministrazione pubblica del paese in cui vennero effettuate le trattative, al traduttore…) reclamavano soldi.

Per quanto mi riguarda, invece, l’estate scorsa mi trovavo su una nave oceanografica nel mare di Alboran (nei pressi dello Stretto di Gibilterra), come al solito, per studiare i cetacei. La nave era dotata di potenti binocoli che ci permettono di avvistare anche fino a 15 km di distanza dalla nave. Improvvisamente avvistammo un gommone stracarico di africani. Inizialmente il comandante della nave pensò a un attacco pirata e ci chiese di osservare attentamente se ci fossero armi a bordo. Soltanto quando il gommone fu più vicino a noi si potè stabilire con certezza che si trattava di 42 rifugiati in fuga dall’Africa, diretti verso la Spagna. E’ stato uno degli incontri più tristi che mi sia mai capitato di fare in mare aperto. Pensare a come quelle persone (tra cui molte donne e bambini) abbiano potuto sopravvivere per due giorni pigiati su un gommone di 6 metri in balia del mare è ancora un mistero per me.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:19 da Eletta Revelli


Alcuni brevi dialoghi del film
……
Jack: Per avere una visione così sprezzante dei pirati, sei sulla buona strada per diventarlo anche tu! Liberi un uomo di cella, requisisci una nave della flotta, t’imbarchi con una ciurma di bucanieri a Tortuga e hai una vera ossessione per il tesoro.
Will: Questo non è vero, non ho alcuna ossessione per il tesoro!
Jack: Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento.
……
Jack: Parliamo un po’ degli affari tuoi o andare è inutile. Quella ragazza: quanto sei pronto a spingerti oltre per salvarla?
Will: Morirei, per lei!
Jack: Ah, bene! Tutto a posto allora!
Jack: Chi le fabbrica queste [spade]?
Will: Tutte io! E ci faccio esercizio. Tre ore al giorno.
Jack: È il momento che ti trovi una ragazza, amico! O può anche darsi che ti eserciti tre ore al giorno perché ne hai già trovata una, e non ti sei mostrato capace di corteggiarla come si dovrebbe. [Con aria dispregiativa] Non sarai un eunuco?
Will: Io mi esercito tre ore al giorno così semmai vedessi un pirata lo ucciderei.
Jack: Ah!
……

Will: Mio padre non era un pirata! [Estrae la spada]
Jack: Mettila via figliolo, non ti fare battere un’altra volta…
Will: Non mi hai battuto mai, tu hai ignorato tutte le regole. In leale duello ti ucciderei.
Jack: Cosi non è che mi incoraggi a combattere lealmente, no?!

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:21 da Marina Loreto


A Eletta Revelli.
Chiedo scusa, mentre io giocavo lei scriveva cose serissime. L’ho letta con molto interesse e la ringrazio.
Le confesso che l’idea di navigare per mari è un mio sogno. Ma temo di essere più pigra di Salgari. In compenso credo proprio che leggerò il suo libro.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:26 da Marina Loreto


So che andremo controcorrente ma né io né Ignazio abbiamo apprezzato i film di Jack Sparrow. Nulla da dire sulla bravura di Johnny Depp ma questi film incarnano i classici luoghi comuni sulla pirateria che nel loro libro cerchiamo di sfatare in ogni modo. Durante la stesura del testo, ci siamo imbattuti in un’opera di una storica italiana, docente universitaria a Bologna, esperta di pirateria (Prof.ssa Anna Spinelli) e abbiamo apprezzato molto il suo commento sul primo film di questa saga che definisce come “legato al mondo dei videogiochi e avulso da ogni realtà”.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:26 da Eletta Revelli


A Marina Loreto

Se la sua pigrizia, la porterà a creare dei testi come quelli di Salgari, ben venga la pigrizia..!!:-)

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:27 da Eletta Revelli


Capisco il suo punto di vista. Ma forse il successo dei film dei Pirati dei Caraibi dipende proprio da questo, dall’esigenza di “vivere” qualche momento avulso da ogni realtà.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:29 da Marina Loreto


Ovviamente mi riferivo ad una pigrizia fisica. Salgari, se non sbaglio, era noto per i suoi lunghi viaggi intrapresi dal balcone di casa sua, ma la sua nave viaggiava nelle acque della mente a velocità superiore a qualunque altra.:-)

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:33 da Marina Loreto


Jack Sparrow… so la sceneggiatura a memoria, dapprima perchè i miei figli erano appassionati del primo e del secondo film… e poi perchè anch’io ho amato queste due pellicole. E le amo…
L’ironia, la spavalderia, il coraggio del pirata Jack… stupendo…
Un caro saluto, Sandra

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:35 da Sandra


I film di Jack Sparrow sono divertenti, non c’è dubbio. Però i pirati sono altra cosa. Sono lieto che Maugeri abbia invitato veri esperti della materia. L’argomento è molto sucosso.
Per esempio, ho già letto e apprezzato il commento della dottoressa Revelli.
Un’altra cosa. Non ho nulla contro il cinema, ma preferisco di gran lunga i libri.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:47 da Armando


Correggo: l’argomento è molto succosso (doppia “c”).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 15:48 da Armando


Un’altra cosa. Il sangue versato dai pirati a livello narativo continua a scorrere dentro tante altre realtà culturali. Ad esempio. Vi ricordate Capitan Arlock, quel fumetto giapponese capace – l’unico forse – di un’umanità mancante in tutti gli altri ? Vi ricordate che era un pirata ? Questo per dimostrare che in effetti la voglia di pirati entra dovunque e si infiltra un po’ dappertutto. E’ difficile farne a meno. Si tratta di una realtà “narrativa” molto fluida, secondo me.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 17:12 da alberto


Sono sempre stata affascinata dal mondo dei pirati.Metterei,come mi pare abbiano fatto altri,al primo posto Stevenson con L’isola del tesoro, ma anche i ricordi da bambina invaghita di Sandokan.Non dimentichiamoci di Peter Pan e del paurosissimo Capitan Uncino e la sua nave dei pirati.
Per restare in tema mi viene da ricordare anche “IL Corsaro” melodramma fra le opere minori di Verdi,che nonostante non sia una delle migliori opere del compositore ha alcune arie suggestive che parlano dei pirati.
Complimenti anche a Maria Lucia per il suo bel articolo.
naturalmente per quanto riguarda il cinema non posso che unirmi al coro per Pirati dei Caraibi e l’affascinante Capitan Jack Sparrow,anche se concordo sul fatto che rappresenti un’immagine romantica della figura dei pirati e poco realistica,ma anche il cinema deve far sognare come la letteratura.
Se ripenso ai viaggi fatti nel passato in luoghi ameni,potrei dire che oggi avrei un certo timore di incontrare i nuovi pirati,li vedo molto meno romantici di Capitan Jack Sparrow e a dire il vero,dopo aver visto le immagini trasmesse da qualche TG anche più brutti e pericolosi,perchè affamati.
un caro saluto a tutti

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 20:03 da francesca giulia


Caro Massimo, Giovanna Fiume è dispiaciuta di non aver potuto partecipare finora allo stimolante dibattito in quanto fuori Palermo, ma mi ha fatto sapere che domani mattina interverrà e che interverranno anche altri storici e storiche… il dibattito quindi si preannuncia assai interessante!Quale rapporto ci sarà tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando? A domani, Marinella

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 20:43 da Marinella Fiume


Non ho mai amato Salgari da piccolo, preferendo al suo esotismo un pò di cartapesta (come dice Gaetano) le atmosfere di Verne e i suoi misteri (L’isola misteriosa per me valeva tutta la saga di Sandokan o dei corsari rossi o neri che fossero).
Ma il più bel libro di pirati resta (e resterà ) L’isola del tesoro di quel grandissimo maestro che fu Stevenson.
Il personaggio di Long John Silver è uno dei più riusciti in tutta la storia del romanzo (e non solo “piratesco”). Il suo non appartenere completamente nè al mondo dei “cattivi” nè certamente a quello dei “buoni” gli donavano un fascino e una curiosità che anche un bambino (e quello ero io, e quello era il figlio di Stevenson stesso, perchè a lui era destinata l’opera) era in grado di percepire perfettamente, fino a restarne spaventato e affascinato allo stesso tempo.
Non a caso il libro più bello scritto negli anni recenti appartenente a questo genere è a mio parere “La vera storia del pirata Long John Silver” (qui citato anche da Revelli & Caravetta) di Bjorn Larsson (edito in italiano da Iperborea), che fornisce un passato ed un seguito proprio al personaggio principe stevensoniano, soffermandosi poco sulle vicende narrate nel libro nel quale viene creato, ma che in fondo ne costituiscono un centro ideale, fino alle ultime pagine, prima della morte del pirata in Madagascar (il libro è in forma di “diario”) con le parole rivolte direttamente a Jim Hawkins (il piccolo protagonista dell’”Isola”).
Un libro meraviglioso e piacevolissimo, estremamente documentato sotto l’aspetto storico (una vera “summa” della pirateria di quell’epoca) e costruito intorno all’idea di dare ulteriore corpo e vita ad un personaggio indimenticabile nato dalla letteratura e destinato a restarvi per sempre.
Da leggere in un fiato nonostante le quasi 500 pagine.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:13 da Carlo S.


Caro Massi, il dibattito è interessantissimo e ricchissimo di spunti. Complimenti di cuore per la varietà di voci e sguardi che proponi. Bellissima anche la recensione di Maria Lucia che mi ha davvero portata sul ponte di un veliero!
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Non so quanti di voi lo sappiano, ma in realtà il rischio di attacchi dei pirati in alto mare non è limitato al campo della fantasia, ed è inoltre attualissimo.
La pirateria è un vecchio “crimine di diritto delle genti”, consistente nella depredazione di navi ed equipaggi “per fini privati” da parte di un’altra nave. La pirateria veniva ed è repressa perché mette in pericolo la libertà dei traffici marittimi. Trattandosi di un crimine commesso per “fini privati”, essa si distingue dal terrorismo, che qualifica la commissione di atti di violenza per fini politici. Fino a poco tempo fa, l’attenzione dei commentatori era posta sul terrorismo marittimo, e alla pirateria, che è peraltro disciplinata dal diritto internazionale del mare, venivano dedicate poche righe nella manualistica corrente. Gli incidenti registrati non erano numerosi, per lo più confinati nello Stretto di Malacca o nelle coste adiacenti alla Nigeria.
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La situazione è completamente mutata con la guerra civile in Somalia e la mancanza di un apparato statale in grado di attuare un’efficace politica preventiva e repressiva.Secondo un recente briefing del Direttore generale dell’Organizzazione marittima internazionale, sono stati compiuti al largo della Somalia 440 atti di pirateria a partire dal 1984.
Le regole del diritto internazionale del mare, codificate nella Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare e nella Convenzione sul diritto del mare del 1982, sono chiare. Ciascuno Stato può fermare e catturare una nave pirata in alto mare. In servizio antipirateria possono operare solo le navi da guerra o le navi contrassegnate e riconoscibili quali mezzi in servizio di Stato e adibite a questo scopo dallo Stato della bandiera. La cattura può avvenire solo in alto mare. Per operare nelle acque territoriali altrui è necessario il consenso dello Stato costiero. Si suppone infatti che questi abbia la capacità di mantenere l’ordine nelle proprie acque. Anzi, la repressione della pirateria è un dovere dello Stato costiero. La nave e il carico catturati dai pirati e liberati dalla nave da guerra in alto mare non diventano proprietà dello Stato che la libera. La regola è espressa nel latinetto “pirata non mutat dominium”, al contrario di quanto avviene nella guerra marittima, dove la nave nemica e il carico possono costituire preda bellica dello Stato cattore.
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Tuttavia si tratta di norme da adeguare alla nuova realtà, drammaticamente emersa dai fatti della Somalia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato due risoluzioni – 1816 del 2 giugno 2008 e 1838 del 7 ottobre 2008 – con cui ha autorizzato gli Stati con navi nella zona ad entrare nelle acque territoriali somale al fine di sventare gli attacchi dei pirati e proteggere soprattutto le navi del World Food Program, che portano aiuti umanitari in Somalia. Le risoluzioni sono state adottate all’unanimità, ma la Cina ed altri paesi del terzo mondo hanno precisato che l’ingresso nelle acque somale non costituisce un precedente per modificare le regole del diritto del mare che consentono agli Stati esteri di operare solo in alto mare.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:21 da simona lo iacono


Ma chi sono i nuovi pirati? Riporto la descrizione dai nuovi studi di diritto della avigazione.
“I nuovi pirati sono, grosso modo, di due tipi: quelli che assaltano yacht e cargo anche diverse miglia dalla costa e possiedono navi veloci, unite ad un discreto arsenale di armi, come fucili d’assalto, razzi e bombe a mano, e, quelli che assaltano a scopo di rapina, piccole unitá da diporto e cargo, prevalentemente sottocosta o in porto e sono equipaggiati con piccole barche. Quest’ultimi sono armati quasi esclusivamente con armi da taglio e pistole.
I pirati moderni operano differentemente secondo le provenienze geografiche, gli arabi, i somali e gli indonesiani preferiscono barche veloci dotate di radio, radar con armi anche pesanti con cannoncini prodieri da 20 mm e razzi Rpg, spesso circondano le navi da attaccare e le forzano a fermarsi sparando contro di loro. Gli altri africani usano canoe e sono armati di machete, entrano di soppiatto sulle navi durante la notte per rubare tutto ció che possono trasportare. I brasiliani invece approfittano dell’assenza di una guardia costiera nazionale imperversando entro poche miglia dalla costa con gommoni e piccoli fuoribordo”.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:25 da simona lo iacono


Vorrei chiedere alla bravissima Giovanna Fiume qual è la differenza tra bucanieri e corsari, e mandare a Marinella un grande abbraccio.
Ancora complimenti a Massi per il meraviglioso sforzo operato con questo post e una felice notte a tutti!

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:30 da simona lo iacono


Intanto provo io a rispondere a una delle domande poste all’inizio da Massimo: “Di recente, c’è stato davvero un effettivo aumento di interesse per la “figura” del pirata? E se sì, per quale motivo?”.Effettivamente, negli ultimi decenni specialmente il fenomeno della schiavitù di età moderna in area mediterranea ha goduto di una straordinaria fortuna storiografica. La ricchezza delle fonti e la vastità di documenti ancora inesplorati ha consentito una buona conoscenza del fenomeno. Inoltre questo, abolito nel XIX sec. oggi si riaffaccia con caratteri inediti, tanto che si parla di “nuove schiavitù”. Ma occorre bandire un grosso errore: quello cioè consistente nel fare confronti antistorici che, alla fine, non permettono che si capisca nè il fenomeno della schivitù moderna, nè quello della schiavitù contemporanea. Rispetto a quelle antica o medievale o moderna, la schiavitù dei nostri giorni, infatti, possiede delle peculiarità: è illegale, è differenziata per area geografica e contesto sociale (per fare un esempio,la tratta delle giovani nigeriane in Europa è diversa da quella delle adolescenti recluse nei postriboli in Thailandia…). Il fatto che il fenomeno si riaffacci nel nostro globalizzato mondo contemporaneo, insomma, non deve farci pensare a un fenomeno invariante, astorico, universale, basti pensare a come nel frattempo siano mutate le aree di provenienza e di destinazione dei nuovi schiavi e le forme d sfruttamento. Mi pareche con questo, caro Massimo, abbiamo cominciato a dare qualche risposta a qualche questione nodale.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:39 da Marinella Fiume


Sono contenta di leggere anche Simona, come sempre opportuna e coltissima nei suoi interventi, di cui ricambio l’abbraccio grande grande. Intelligente la scelta dell’argomento da parte di Massimo, bravo come sempre, stimolante la recensione della bravissima Maria Lucia!

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 22:43 da Marinella Fiume


Wow! Neanche il tempo di volgere il capo elettronico dall’altra parte e già tutti questi commenti!
Bravissimi…
Manovro al meglio il timone del mio vascello fantasma sulle acque del Mar Literarius e vi rispondo.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:29 da Maria Lucia Riccioli


Cari amici, intanto un grazie di cuore per i numerosi interventi.
Saluto Maria Lucia (che mi aiuterà a coordinare la discussione) e passo a salutarvi.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:36 da Massimo Maugeri


Saluti e ringraziamenti a: Mavie Parisi, Lorenzo Amato, Francesca Giulia…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:37 da Massimo Maugeri


E poi: Letizia, Roberto Ventura, Antonio, Sabrina, Simonetta Santamaria.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:38 da Massimo Maugeri


L’Alberto dei commenti è Alberto Pezzini… l’autore dei due articoli sui “nuovi romanzi sui pirati”.
Grazie per essere intervenuto, Alberto (torna ancora).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:39 da Massimo Maugeri


E grazie anche a: Gaetano Failla, Marina Loreto, Sandra, Armando…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:40 da Massimo Maugeri


Un saluto speciale e un ringraziamento a Eletta Revelli, la prima degli esperti convocati che è riuscita a intervenire.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:42 da Massimo Maugeri


E poi ci tengo a ringraziare e a salutare: Carlo S., Marinella Fiume e Simona Lo Iacono.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:43 da Massimo Maugeri


@ Simo
Grazie, come sempre, per la tua consulenza tecnico-giuridica.
Grazie di cuore.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:43 da Massimo Maugeri


@ Marinella
Cara Marinella, questo dibattito ci farà compagnia per tanto tempo… dunque, Giovanna avrà modo di intervenire senza alcuna fretta.
Hai fatto bene a porre questa domanda, che metto in evidenza…
Che rapporto c’è tra storia e letteratura a proposito del fenomeno di cui ci stiamo occupando?
Una domanda in sintonia con gli argomenti trattati nel libro di Giovanna… così come le tue considerazioni che legano il fenomeno dei pirati con quello della schiavitù

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:47 da Massimo Maugeri


In effetti Lorenzo Amato ha ragione: il bel Johnny Depp come pirata non è male, anche se io sono una fan del pirata vecchia maniera alla Erroll Flynn che sembrava danzare tra le sartie…
:-)
Mavie, dopo Amori&Abbandoni che ne dici di un Master&Commander con Russell Crowe?
:-)
Anch’io ho letto e riletto L’ISOLA DEL TESORO, ho fantasticato su dobloni e daghe, ho amato Salgari e il suo Corsaro Nero, imbattibile ma pronto per amore a piangere tra i cordami commiserato dal suo equipaggio…

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:49 da Maria Lucia Riccioli


Ho aggiornato il post con le due nuove domande (di cui al commento qui sopra).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:49 da Massimo Maugeri


Cara Maria Lucia,
ti ho dato un bel lavoro, vero? :)
(Ancora grazie per l’articolo).

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:51 da Massimo Maugeri


Di seguito inserisco due recensioni.
La prima relativa al libro di Nicolò Carmineo, la seconda relativa al saggio di Giovanna Fiume.
Nei prossimi giorni spero di poter inserire una recensione sul libro di Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli.

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:53 da Massimo Maugeri


“Nei mari dei pirati. I nuovi predoni degli oceani” di Nicolò Carnimeo
(Longanesi, 2009, pagg. 254, euro 17,60)
-
Recensione di Fabio Pozzo
-
Nicolò Carminio è uno dei massimi esperti italiani di pirateria moderna. Ma anche un appassionato di barche, navi e storia della navigazione. Di mare, insomma, che approfondisce e diffonde (è il motore dell’associazione Vedetta sul Mediterraneo). Oltre ad essere docente di diritto della navigazione presso l’Università di Bari.
Il suo libro – introdotto da Bjorn Larsson – è un reportage sui nuovi bucanieri, scritto con la penna del giornalista, ma con il ritmo del romanzo d’avventura. Non si tratta di un saggio qualunque: Nicolò è andato dove narra. Ha conosciuto di persona coloro di cui parla, banditi compresi. È andato sul posto, come i giornalisti di una volta. Si è informato, ha visto, ha provato. Poi, tornato a casa, s’è messo a scrivere. Facendoci vivere la storia, le storie di una nuova epopea della Filibusta, senz’altro molto meno romantica di quella di allora. Se mai i pirati – gli storici sostengono il contrario e incolpano la letteratura e il cinema di aver tratteggiato colori irreali – romantici siano mai stati.
È un libro importante, utile per capire quello che sta accadendo sui mari, lungo le coste di Somalia, Nigeria, Borneo, Cina, Centro e Sud America. Prezioso per comprendere anche la portata del fenomeno, forse non ancora inquadrato nella sua piena forma. La pirateria, infatti, è una guerra silenziosa: si stima che negli ultimi venticinque anni nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di diciassettemila navi, con una media di settecento all’anno.
“Tutto così ha costi economici e sociali altissimi. I nuovi predoni del mare dispongono di armi sofisticate e tecnologia satellitare, prosperano nelle acque di quelle nazioni in cui vi è forte instabilità causata da guerre e carestie, come in Somalia, oppure dove i governi sono deboli e corrotti, come in Nigeria e Indonesia, ma tutti i mari del mondo ne sono infestati e chiunque può diventare vittima, magari durante una crociera nel mar Rosso o ai Carabi oppure nell’incantevole soggiorno low cost di un villaggio turistico in Borneo” si legge nella presentazione.
Carnimeo ha seguito tutte le tracce della pirateria moderna, partendo dal sequestro del veliero da crociera francese Ponant, per arrivare alla gigantesca petroliera Sirius Star e alle “navi fantasma” depredate dalle mafie orientali del mar della Cina. Le sue pagine ci trasportano in luoghi lontani ed esotici, che però, tra le sue righe, perdono qualsiasi tinta paradisiaca.
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Da “LA STAMPA” del 16/7/2009

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:55 da Massimo Maugeri


“Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna” di Giovanna Fiume
(Bruno Mondadori, 2009, pagg. 349, euro 22)
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(Benedetto il Moro modello esemplare di schiavo convertito)
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articolo di Melita Leonardi
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Nel mar Mediterraneo, in età moderna, è stata combattuta, tra il XVI e XVII secolo, una vera e propria guerra fredda. Il nuovo interessante saggio di Giovanna Fiume – «Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna», Bruno Mondadori – ci permette di conoscere i protagonisti di queste vicende. Gente comune che diventava, inconsapevolmente, una pedina nel complesso gioco politico-diplomatico che si svolgeva tra le due sponde del mare. La Sicilia, in particolare, giocava un ruolo centrale. Essendo un’isola posta al centro del Mediterraneo, naturale frontiera tra l’impero spagnolo e quello turco, vedeva le sue coste razziate da una guerra corsara che non conosceva tregua. A fare le spese di questo stato endemico di tensione, erano coloro che, costretti per mestiere ad andare per mare, cadevano nelle mani degli opposti schieramenti. Dobbiamo, infatti, distinguere, all’interno di questo gruppo, i “rinnegati” e i moriscos. I primi erano coloro che, cristiani, si convertivano, perché costretti o convinti, alla religione musulmana. I secondi erano coloro che, musulmani, passavano, sempre per costrizione o convinzione, alla religione cattolica. In queste vicende entrano in scena anche le diverse istituzioni dell’epoca, gli ordini religiosi, l’Inquisizione, il potere viceregio, che si sovrappongono in un continuo gioco delle parti. Com’è ovvio, il Sant’Offizio spagnolo, con sede a Palermo, giocò un ruolo fondamentale. Molte delle storie narrate da Giovanna Fiume emergono dalle fonti del tribunale. I giudici, prima di riammettere un ex schiavo, fuggito o riscattato, ai sacramenti dovevano valutare se, in effetti, quest’ultimo avesse abiurato la fede cristiana e, in caso positivo, se l’avesse fatto per sfuggire alla morte o perché intimamente convinto della sua scelta. I magistrati, in generale, mostravano un atteggiamento comprensivo e pragmatico. La maggior parte degli uomini è lontana dal possedere le virtù eroiche dei santi e si converte per paura di bastonature e di punizioni. Nel loro interrogatorio, gli inquisitori cercavano di appurare l’intenzione che aveva mosso il penitente. Se dalle indagini fosse emersa solo una conversione superficiale, la pena sarebbe stata piuttosto blanda: un’assoluzione accompagnata da salutari penitenze. La causa si sarebbe complicata se, invece, fosse risultata un’adesione convinta alle credenze musulmane. Il reo poteva incorrere allora in una dura condanna: dalla remigazione nelle galere fino a giungere, nei casi più gravi, alla condanna a morte per apostasia.
Ma questa storia presenta aspetti ancora più stratificati. Chi cadeva nelle mani dei pirati poteva liberarsi da quella odiosa prigionia solo pagando un riscatto. Gli aristocratici e gli uomini benestanti di entrambe le sponde del Mediterraneo non avevano problemi di sorta. Ma la gente comune doveva fare appello all’amore e alla solidarietà dei familiari per trovare il denaro necessario. Alcune lettere disperate, citate efficacemente dall’autrice, mostrano come, spesso, le loro sollecitazioni cadessero nel vuoto. Davanti a questi poveri prigionieri si spalancava l’abisso di una vita senza speranza. Se uomini, essi avrebbero vissuto precariamente nei bagni penali costretti a lavori forzati estenuanti per abbellire splendide città, come Marrakesh, di mura e di palazzi. Se donne, sarebbero state impiegate, quali serve, in case di padroni spesso lubrici e violenti. A questo si aggiungevano anche la lontananza dagli affetti familiari, la nostalgia della propria terra e la mancanza di conforto religioso. Nelle missive ritorna, con insistenza, quest’ansia. La privazione dei sacramenti, era certo, li avrebbe condotti a morire dannati, prigionieri nell’una e nell’altra vita, senza la grazia di Dio.
Dobbiamo anche dire, tuttavia, che per uomini e per donne, più abili e senza scrupoli, la schiavitù poteva diventare occasione di un’incredibile promozione sociale. Sono moltissime le storie di uomini che, per nascita, nella patria europea, erano condannati ad una vita oscura e che, a Tunisi o in Marocco, poterono rapidamente bruciare le tappe e assurgere alle maggiori cariche dell’impero. Alcune donne, forti della loro straordinaria bellezza, divennero le concubine di uomini ricchi ed importanti che, in seguito, le sposarono. I figli, da queste ultime generati, divennero gli eredi di ingenti fortune.
Ma chi si occupava dei patimenti degli schiavi comuni che non riuscivano né a riscattarsi né volevano rinunciare alla loro fede? Erano alcune confraternite come, ad esempio, quella palermitana della “Redenzione dei cattivi” che, con elemosine, aveva cura di liberare qualcuno di questi poveretti. Ma, nello stesso tempo, vi erano religiosi affascinati dall’idea del martirio e da una vita di condivisione con gli ultimi che, abbandonando gli agi della vita cittadina europea, sceglievano di vivere, in tutto e per tutto, la vita degli schiavi nei bagni penali. Questi frati confortavano, confessavano e curavano i prigionieri andando, spesso, incontro ad una morte esemplare.
Il saggio di Giovanna Fiume mostra che se, da un lato, la possibilità, in età moderna, di cadere in schiavitù era un pericolo costante per chi si avventurava in mare, dall’altro, la schiavitù stessa era un elemento di rafforzamento dei valori presenti nella società di antico regime. Lo “schiavo” è l’escluso per eccellenza. Colui che non ha nessun diritto. Ma, nello stesso tempo, esso diventa, data la sua emarginazione, il migliore esempio da additare all’edificazione dei fedeli. C’è una prova più alta della propria appartenenza ad un gruppo, ad una cultura di quella offerta da un misero marinaio che, resistendo ad ogni lusinga, rimanga incrollabile nella sua fede cattolica? E, ancora, non è il massimo trionfo della religione cristiana quello rappresentato dalla vicenda di uno schiavo che, nato da una stirpe di infedeli, sia divenuto un santo da venerare sugli altari? Questo è il caso di san Benedetto il Moro, frate francescano, nato a San Fratello in Sicilia (a cui l’autrice ha dedicato un altro importante saggio) il cui culto è diffusissimo, ancora oggi, in tutta l’America latina.
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da “LA SICILIA”del 09/1/2010

Postato giovedì, 28 gennaio 2010 alle 23:58 da Massimo Maugeri


Un saluto ad Eletta Revelli e ad Ignazio Cavarretta…
Certo, dopo le divagazioni hollywoodiane – grazie a M. Loreto… :-) – un po’ di pareri esperti ci vogliono, anche per inquadrare meglio la figura del pirata nella storia.
Grazie a Simona e ai suoi chiarimenti giuridici. Quindi se una nave cattura dei pirati cosa vuol dire che pirata non mutat dominium?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 00:01 da Maria Lucia Riccioli


Per oggi chiudo qui, lasciando la parola a Maria Lucia.
Come dicevo, questo dibattito ci terrà compagnia per molti giorni.
Una serena notte a tutti.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 00:03 da Massimo Maugeri


Grazie a Marinella… e a Massimo per gli articoli postati.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 00:10 da Maria Lucia Riccioli


Mi viene in mente anche qualche altra considerazione… il concetto di pirateria è stato legato a quello di contraffazione, “taroccamento”, con un che di piglio corsaresco… se pensiamo agli hacker di oggi che riescono a mettere in ginocchio i sistemi informativi di aziende e governi, ecco che il collegamento con la pirateria non appare fuori luogo. Nel mare di Internet i pirati informatici conducono tastiere e non più galeoni, ci sono cd e dvd piratati… e secondo me c’è una sorta di tacita ammirazione nei confronti di chi elude leggi e regolamenti, senza più bandiere nere teschiate ma protetto dall’anonimato invisibile di uno schermo di computer.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 00:16 da Maria Lucia Riccioli


Praticamente è stato detto tutto.
Sono vecchia e sono cresciuta con tanti libri di Salgari tra le mani e con un atlante geografico, purtroppo non sempre trovando il posto citato nel libro che leggevo,
ma imparando ad incuriosirmi della storia e della geografia e…delle avventure.
Mi domando ora, con la riforma dei programmi scolastici che prevedono un limitato studio di storia e geografia e con l’impossibilità spesso di trovare Salgari, London… nelle biblioteche pubbliche, come faranno i ragazzini d’oggi a navigare nel mondo vero e non solo in quello di internet.
Non sono contro Internet e la navigazione nei vari web, anzi ne ho quattro miei; ma quanto era bella la lettura pagina dopo pagina alla scoperta della nuova impresa di Sandokan, del Corsaro Nero, Rosso, Verde, la figlia del corsaro nero eccc, trattenendomi dall’andare a vedere l’ultima pagina.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 01:32 da Angela 1938


Bellissimo post, complimenti a Massimo ! Come sempre per gli spunti e a tutti per gli interventi e le segnalazioni. Anche nel e dal web le avventure piratesche della grande letteratura citata anche in questo post, sono ascoltabili ci siamo divertiti e siamo lieti che molti ragazzi si siano appassionati all’ascolto de L’ISOLA DEL TESORO di Stevenson, ( ascoltate una piccola anteprima http://www.ilnarratore.com/samples%20download/Stevenson-Isola_del_tesoro_sample.mp3 ) che abbiamo prodotto in audiolibro, la lettura è stata affidata all’attore Luigi Marangoni il quale ha letto magistralmente anche LE TIGRI DI MOMPRACEM di Salgari, ( per ascoltare una piccola anteprima: http://www.ilnarratore.com/samples%20download/Salgari-Sandokan_Le_tigri_di_Mompracem_sample.mp3 ) due classici che non potevano mancare all’ascolto. I ragazzi potranno, così ascoltare questi meravigliosi romanzi anche nel loro iPod o lettore MP3. Molte le scuole e gli insegnanti che ne hanno fatto un uso anche didattico. L’ascolto ha stimolato la voglia di leggerli questi libri e rileggerli anche da parte di molti adulti. Grazie e un cordiale saluto a tutti.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 09:16 da Cristiana Giacometti


eccomi qui! avevo progettato tre giorni off line, ma il nostro padrone di casa e mi ha riportato alla tastiera. lo ringrazio per l’ospitalità e gli stimoli che ha saputo introdurre in questa discussione.
per cominciare una precisazione terminologica: i corsari nell’età moderna sono intrepidi imprenditori che stipulano davanti al notaio insieme a mercanti, armatori e rais delle “società per andare in corsa”, destinando una parte del bottino alle casse statali e dividendo il resto tra loro. i pirati invece sono gli “abusivi” della corsa, gli avventurieri, contrabbandieri che senza licenza vanno razziando imbarcazioni e popolazioni costiere. i bucanieri – di cui mi chiede simona lo jacono – sono i pirati caraibici. i corsari coadiuvano le marinerie da guerra battendo le coste e fanno affari lucrosi: la “giusta presa” si compone di navi, merci e uomini che vengono venduti nei porti all’arrivo, dopo essere stati “stoccati” nei “bagni”. la schiavitù mediterranea di età moderna è frutto della guerra da corsa, una guerra “inferiore” che contrappone gli stati europei cristiani alle reggenze barbaresche, stati corsari con sede a algeri, tunisi, tripoli, vassalli dell’impero turco.
dunque oltre all’avventura c’è un forte aspetto politico nei nostri personaggi che colorano il conflitto in atto di scontro di religione: la croce contro la mezzaluna, una specie di prolungamento della crociata contro gli “infedeli”. la corsa e la schiavitù mediterranea hanno caratteristiche di reciprocità e producono un interessante fenomeno di cambiamento di religione. ma di questo vi parlerò, se vorrete, in un altro intervento.
chiudo con una affermazione che troverà molti disaccordi: è tale la bellezza e la ricchezza delle fonti storiche sul tema (un esempio su tutti: i resoconti di schiavitù di chi è stato prima catturato, poi ridotto in schiavitù, infine fuggito o riscattato) che, se gli storici si ponessero l’obiettivo di scrivere per il vasto pubblico e non per la loro ristretta comunità scientifica, la storia la vincerebbe su certa letteratura e ad esempio i giovani siciliani, corsi, greci, olandesi, tunisini divenuti il terrore del mediterraneo sarebbero più conosciuti di jack sparrow.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 09:25 da giovanna fiume


Buongiorno a tutti. Si fa per dire, data la morte di Salinger.
Però non voglio tenere il lutto e voglio lo stesso intervenire sul tema piratesco, senza niente togliere alla scomparsa di uno dei maestri del Novecento.
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Inizio dalla fine: Giovanna Fiume parla di relazione fra schiavitù, conversione e pirateria. Mi viene in mente il romanzo Cristiani di Allah di Carlotto (del 2008, se non sbaglio). Piuttosto interessante, anche se non il migliore dell’autore. Ma si riscontra certamente il rapporto fra gusto della marginalità sociale e legale, caro all’autore, e la pirateria in senso lato. Un appunto: non ricordo in quale post ho visto un po’ di confusione fra contrabbandieri e pirati. Non sono la stessa cosa, e non per nulla il contrabbandiere è sempre stato un eroe positivo per le popolazioni isolate o che comunque ne ricavavano merci proibite. Almeno fino a oggi, èra in cui i contrabbandieri usano il lanciarazzi contro la finanza e investono i bambini con la macchina (mi riferisco in particolare a un articolo di Andra Camilleri). Ricordiamoci comunque che Beniamino, creatura letteraria di Carlotto, è contrabbandiere, non pirata.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 10:14 da lorenzo amato


@Eletta Revelli.
Quando parliamo della saga cinematografica dei Pirati dei Caraibi mi pare ovvio che non parliamo di un film storico. Si tratta né più nemmeno di film fantasy in ambiente latamente piratesco. Il discorso di Anna Spinelli non lo conosco, però dalla frase citata mi pare che voglia essere riduttivo, ma al tempo stesso coglie nel segno: c’è un immaginario alle spalle del film che nasce non tanto in ambito letterario, quanto nell’ambito di certe “saghe” piratesche per computer (da Monkey Island in qua). Ciò detto, visto che non si parla di pirateria storica, né di un film storico, ma di film fantastici, è la critica a doversi adeguare ai film, e non viceversa: se la Spinelli disprezza il fantastico che non ha origini “nobili” il problema è suo, non del film fantastico in sé. E il problema di tanta critica moderna è appunto di non riuscire a capire quanto profondamente le generazioni under quaranta (cioè metà della popolazione italiana) sia stata influenzata nell’immaginario da cartoni giapponesi e videogiochi. È un limite grosso: o la critica letteraria e culturale si adegua, oppure sarà messa ancora più ai margini di quanto già non sia.
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Ciò detto, capisco che i film possano risultare sgradevoli per chi studia il fenomeno della pirateria, quindi capisco la Spinelli e capisco voi storici. Inoltre i tre film non sono poi un granché: divertente il primo, piuttosto ripetitivi e noiosi (e a volte fastidiosi) il secondo e il terzo, malgrado gli effetti speciali. Però mostrano un fenomeno importante, che in questa sede dovremmo discutere un attimo: il mondo dei pirati viene sempre più associato nell’immaginario collettivo a un mondo fantasy. Navi-fantasma, tesori maledetti, morti che camminano, mostri marini, divinità sommerse, profezie, sono alcuni elementi che iniziano a essere RICORRENTI in molte saghe piratesche popolari. Appunti i Pirati dei Caraibi, appunto i videogiochi, appunto la fortunatissima serie televisiva animata One Piece (in Italia “Tutti all’arrembaggio”). È a dir poco un fenomeno storico-antropologico. In questo senso i libri di Evangelisti hanno una lucidità storiografica (nel senso di un intervento sulla storia del pensiero attuale, non di ricerca storica sulle fonti, che nei romanzi di Valerio do per scontata) che manca per ora in tutti i romanzi stranieri. Voi che ne pensate?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 10:32 da lorenzo amato


Per quanto riguarda Capitan Harlock e One Piece, le fortunate serie giapponesi, bisognerebbe ancora una volta ricordare che i giapponesi hanno simpatia per la pirateria perché la pirateria ha avuto un ruolo militare importante nei rapporti con la Cina. Per il Giappone il vicino grosso e scomodo, nonché da sempre più potente, importante, geniale e “imperiale” del Giappone stesso, ovvero la Cina, è sempre stato un territorio da razziare, culturalmente, tecnologicamente e soprattutto letteralmente. Le navi giapponesi attaccavano la terraferma e i convogli marini cinesi, facendo strage delle persone a bordo. E se consideriamo che ancora oggi il Paese del Sol Levante (lo chiamano così) non ha mostrato alcun segno di pentimento per i massacri della Seconda Guerra Mondiale, figuriamoci per la pirateria. Anzi: loro sì erano gli eroi, i veri patrioti, gli avventurieri! Gli altri erano potenze continentali “nemiche”. Quindi il pirata giapponese non è mai semplicemtne un bandito, ma lotta per alti ideali contro megapotenze tiranniche. Ecco, ora andatevi a rivedere Capitan Harlock e One Piece…
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E visto che siamo in tema di pirateria orientale, vorrei ricordare il film “Cantando dietro i paraventi” di Ermanno Olmi, che si ambienta in Cina in epoca Qing. Storia di una donna che diventa piratessa per vendicare l’assassinio del marito, e si schiera contro l’Imperatore. Altro aspetto antropologicamente interessante: la pirateria come scelta di ricostituzione di una giustizia sociale lacerata dalla società ufficiale. Quindi in un certo senso l’antisocietà al servizio di una società più giusta di quella attuale. Anche questo, ovviamente, è romanticismo…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 10:45 da lorenzo amato


Molti ne hanno sentito parlare o sono informati dell’argomento, ma vi assicuro che il mio viaggio nei mari dei pirati moderni è stato molto duro, per tre anni ho viaggiato in Borneo, Indonesia, Kenya, Somalia e Nigeria dove nel delta del Niger l’inferno è già su questa terra. Quella che chiamiamo pirateria è un fenomeno differente nelle varie parti del globo e nasce per ragioni diverse. E nella violenza che ho potuto toccare con mano non c’è nulla di romantico. Oggi in Somalia ci sono più di 400 marittimi sequestrati nelle mani delle varie gang di pirati, sapete che cosa vuol dire essere prigionieri di una nave a 40 gradi all’ombra sotto la costante minaccia di un kalashnikov e ogni giorno qualcuno che ti ripete: “domani ti ammazziamo”. Ad un comandante che ho intervistato a furia di star seduto nella plancia di comando nel quale era confinato da cinque mesi (!) erano venute le piaghe da decubito, mentre parlavamo della sua esperienza si toccava per istinto le coscie. Era un uomo forte, pareva di grannito, ma quando ricordava quei momenti lo sguardo era come se annegasse, l’azzurro degli occhi diveniva cupo. E quella esperienza ritornava nei sogni, qualche notte era “tempesta persa” (così i marinai di San benedetto del Tronto chiamano il bufera dalla quale non c’è salvezza) e la moglie doveva svegliarlo perchè contorcendosi non si facesse del male. Io ne ho sentite a decine di vittime e quelle storie, quel dolore ora fa parte di me.
Nulla di romantico.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 11:49 da Nicolò Carnimeo


Leggo questa discussione e rimango affascinato. I pirati mi hanno sempre interessato e in questa discussione trovo riferimenti ai classici della letteratura dei pirati, ai pirati nei romanzi moderni, nel cinema, nei cartoni animati, nella storia reale e nella nostra contemporaneità. Devo fare i complimenti a Massimo Maugeri per aver dato spazio a queste voci diverse, ognuna con la sua specificità, che convergono in un argomento di grande interesse.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 12:01 da Santo Miraglia


Mi ha molto emozionato leggere l’intervento del professor Carnimeo che ha preceduto il mio. Leggere cioè la testimonianza di un uomo che si è “immerso” davvero in quelle realtà terribili…
Così come ero rimasto colpito dagli interventi della professoressa Fiume e della dottoressa Revelli.
Nulla di romantico, nei pirati. Vero. E credo ci sia molto da imparare.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 12:12 da Santo Miraglia


@ Nicolò Carnimeo.
Certo che non c’è nulla di romantico nel fenomeno della pirateria. Non per nulla tutti i film sul tema rimandano alla pirateria del passato, ovvero quella che, lontana nel tempo, non fa più paura. Nessun film “romantico”, in stile Polanski, o Verbinski, oppure Olmi, ritrarrebbe pirati africani che vanno in giro con kalashnikov a sequestrare persone che usano un laptop. Il pubblico dei film, e quello dei libri, vuole immedesimarsi nel pirata: guai se la “vittima” fosse troppo realistica. Ma in quanto studioso di letteratura devo ribadire: la storia è storia, la letteratura è un’altra cosa. Se mi avvicino all’Iliade o all’Odissea posso analizzarne la poca congruenza storico-geografica (o al contrario rilevarne certi aspetti interessanti), ma non posso veramente criticare il poeta per non aver raccontato la guerra nella sua bruttezza autentica, oppure per non aver mostrato cosa significhi veramente stare sballottato in mare per dieci anni, magari descrivendo la geografia del Mediterraneo in modo più accurato. Tutta l’epica, antica e moderna, si basa sul paradosso di raccontare cose originariamente atroci in modo che appaiano semplicemente “avventurose”, e che il pubblico si immedesimi nell’eroe e che attraverso lui viva vicende e mondi impossibili nella realtà.
Non rivendico la giustezza di operazioni commerciali a base di pirati e mostri marini, peraltro in sé assai più rispettabili di baracconate à la Pearl Arbour, ma l’indipendenza dell’arte dalla storia e dalla scienza.
Altrimenti dovremmo condannare film e narrativa a un perenne neo-Neorealismo (Dio che ne scampi e liberi!)

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 13:00 da lorenzo amato


A questo punto devo comunque confessarmi sostanzialmente ignorante sul fenomeno della pirateria attuale (salvo i sequestri abbastanza importanti da finire sui tg). Per cui ringrazio il prof. Carnimeo per la testimonianza. È ovvio che quando si studia l’immaginario è sempre bene tenere un piede fisso nel reale, soprattutto se drammatico e poco conosciuto…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 13:03 da lorenzo amato


Il libro del prof. Carnimeo è certamente un’ottima e accurata testimonianza diretta di quello che accade in certe zone del mondo, oserei dire “dimenticate”, e che offre un quadro ben più chiaro di quelle sporadiche notizie che appaiono sui tg, come già rilevato dal professore stesso e da lorenzo amato.
Mi permetto di riportare la discussione sui termini letterari: letta la newsletter sul post, avevo in mente di intervenire dicendo due parole su Long John Silver, ma, com’era prevedibile visto la celebrità del personaggio, Carlo S. e altri mi hanno preceduto. Allora, partecipo alla dibattito riportando stralci della descrizione del pirata di Stevenson fatta da Teresa Buongiorno nel “Dizionario della letteratura per ragazzi” (A.Vallardi, 1995):
“E’ il pirata dalla gamba di legno dell’Isola del tesoro di Stevenson, e rappresetna la parte oscura della vita, quella con cui l’adolescente narratore deve fare i conti per diventare uomo. ha un aspetto innocuo: si presente sotto le mentite spoglie del cuoco di bordo e si fa chiamare Porco Arrostito (…) Passa per uomo istruito, e coraggio, “parla come un libro stampato”, e si dice che, alle prese con quattro uomini, sia pure disarmato, abbia rotto loro la testa (…) Viaggi con un pappagallo, Capitan Flint, che ripete in continuazione “pezzi da otto”. Del leggendario Capitan Flint, quello vero, Silver è stato il quartiermastro, e come tale pretende il suo tesoro. (…) A lui si è ispirato Disney per creare il celebre Gambadilegno. Al cinema ha avuto grandi interpreti: tra gli altri, Wallace Beery”.
Infine, come saprete nel romanzo Silver sparisce nel nulla… per chi volesse conoscere il resto della sua esistenza, ricordo l’altrettando celebre “La vera storia del pirata Long John Silver” di Bjorn Larsson edito da Iperborea (1998, http://www.ibs.it/code/9788870910759/larsson-bj-ouml-rn/vera-storia-del-pirata.html).
Per il resto, un saluto a tutti e complimenti a Massimo per l’idea di questo interessantissimo post!!

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 13:52 da Luigi Grisolia


@ Carlo
Sintonia. Ho “vissuto” nell’Isola misteriosa di Verne per moltissimo tempo. Ho saldato il conto con il vecchio e barbuto autore francese giusto negli ultimi tre-quattro anni: prima ho trascorso alcuni giorni, in “pellegrinaggio”, a Nantes (luogo di nascita di Verne), poi, per un caso fortunato, ho letto finalmente la versione integrale (moltissime edizioni del passato erano ridotte, e a volte brutalmente mutilate, ad uso fanciullesco) de “L’isola misteriosa”, un grande volume trovato per due soldi in una bancarella.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 14:59 da Subhaga Gaetano Failla


Bjorn Larsson ha scritto la prefazione del mio libro nella quale ha cercato di tracciare un filo rosso tra la vecchia e la nuova pirateria, non voglio anticiparne nulla perchè merita di essere letta, ma insieme durante una breve navigazione lungo le coste pugliesi abbiamo riflettuto sulle ragioni del fascino della pirateria. Ovvero perchè anche mio figlio che ha solo quattro anni rimane stregato dalle avventure dei bucanieri?
La tesi è che la figura del pirata sia inscindibilmente legata alla nostra sete di libertà. Il pirata è colui che ha scelto la forma di libertà più estrema, anche a costo di pagarla con la morte. Nell’epoca d’oro i bucanieri avevano una aspettativa di vita molto breve, circa tre anni, finivano ammazzati negli abbordaggi, stroncati dalle febbri tropicali o dalle malattie oppure per essersi abbandonati ad ogni tipo di eccessi. Quando sceglievano quella vita sapevano che sarebbe durata poco, ma quegli effimeri momenti nei quali riuscivano ad essere fuori da qualunque schema, a non appartenere a nulla tranne che al mare e alla loro nave e ciò aveva il sapore di un riscatto da ciò che ci incatena, il sapore di una sfida che anche oggi mantiene immutata la sua forza.
Larsson definisce i nuovi predoni, “pirati di terra” perchè essi non appartengono più al mare, ma sono figli della miseria e degli scompensi geopolitici nelle loro terre d’origine. Eyl che è l’attuale covo dei pirati somali è ben diversa dalla leggendaria Tortuga!

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 17:37 da Nicolò Carnimeo


E’ vero. Anche me la figura “romantica” del pirata evoca quella dell’essere libero… della libertà. Ma i pirati di oggi (ne so qualcosa da un servizio tv che ho visto tempo fa) sono solo dei ladri privi di scrupoli e di valori.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 18:05 da Maria


Molto interessanti i commenti degli esperti: Nicolò Carnimeo, Giovanna Fiume, Eletta Revelli.
Ho molot apprezzato anche l’opinione di Lorenzo Amato.
Io penso che è possibile rimanere affascinati dalle ambientazioni un po’ irreali della letteratura e del cinema, senza rinunciare a conoscere la verità.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 18:07 da Maria


Insomma, l’ideale sarebbe leggere sia i romanzi sia i saggi qui presentati.
Un piccolo investimento di tempo e di denaro che darebbe i suoi frutti :)

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 18:09 da Maria


Io quel che so dei pirati del tempo che fu (a parte le favole filmiche, e pochi saggetti qua e là) è quel che ho letto in Tortuga di Evangelisti. Anche lì (secondo l’interpretazione di Evangelisti) la voglia di libertà maschererebbe un’attitudine tipicamente moderna, ovvero l’idea dell’”arraffa, consuma, crepa” portato alle estreme conseguenze: un po’ quel che si legge in Gomorra di Saviano sulla mentalità del camorrista di alto livello.
Probabilmente i “valori” degli avventurieri (= così si chiamavano i pirati) siamo noi a proiettarli su loro, oppure noi crediamo troppo a quel che loro dicevano dei propri fini ultimi. Non credo che una nave mercantile di oggi, potendo scegliere, vedrebbe grande differenza fra il comportamento dei Fratelli della Costa, e quello dei pirati della Somalia… Mompracem è lontana, temo…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 18:35 da lorenzo amato


Sì, Mompracen è lontana. Ma è rimasta nel cuore di molti di noi, che hanno letto Salgari dopo aver visto la serie tv di Sandokan.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 18:38 da Maria


Quando ho scartato il pacco di natale con dentro il primo romanzo di Evangelisti sui pirati, mio nipote Tommaso mi ha sorriso. “Sono come i pirati con cui gioco io?” mi ha chiesto. Dovervo dirgli di sì?
Violenza, crudeltà gratuita, una buona dose di sadismo: altro che i pirati di Salgari! In certi contesti l’uomo non riesce a sfuggire alla sua “vera” natura, quella di sanguinario e folle assassino.
Tortuga mi è piaciuto, mentre Veracruz non l’ho ancora cominciato. Giace sul comodino in attesa.
Nel frattempo mio nipote, ignaro di tutto, continua a giocare con i pirati.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 19:59 da Andrea Borla


Cari amici, vi ringrazio tutti per i numerosi interventi. Mi pare che la discussione si stia sviluppando in maniera interessante.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:41 da Massimo Maugeri


Innanzitutto mi preme dare il benvenuto a Letteratitudine a Giovanna Fiume e a Nicolò Carnimeo.
Benvenuti entrambi! E grazie per la vostra presenza.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:43 da Massimo Maugeri


@gaetano
Spesso lo siamo (in sintonia). Non a caso siamo anche bolanisti convinti!
Quanto a Verne, sì. L’ho letto sempre da ragazzo in edizioni sicuramente ridotte. Salvo “I cinquecento milioni della Bégum”, edito qualche anno fa da Fanucci, unica mia lettura recente del grande, immenso Jules.
Scusate l’off-topics.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:44 da Carlo S.


@ Giovanna Fiume
Mi dispiace di aver interrotto il tuo “programma off-line”.
Devo ammettere che ogni tanto stare off line fa bene alla salute (ne so qualcosa!). ;)
Ma grazie per essere intervenuta comunque…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:45 da Massimo Maugeri


Devo parecchi saluti e ringraziamenti… a cominciare da: Angela 1938, Cristiana Giacometti, Lorenzo Amato, Santo Miraglia, Luigi Grisolia, Gaetano Failla, Carlo S., Maria…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:48 da Massimo Maugeri


Faccio riferimento al commento di Cristiana Giacometti (de “Il Narratore” audiolibri). Tempo fa ne avevamo parlato qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/11/10/ascoltare-un-modo-per-leggere-di-piu
Sono lieto del crescente successo degli audiolibri anche qui da noi in Italia. Qualche settimana fa ne ha parlato anche “Tuttolibri”, in prima pagina, dando spazio proprio a “Il Narratore”.
Vi consiglio di ascoltare l’mp3 de”L’isola del tesoro”.
Io posseggo il cd e devo dire che mi sono divertito un mondo a rivivere (ascoltandole, anziché leggendole) le atmosfere del romanzo di Stevenson.
L’audiolibro non fa concorrenza alla lettura. È proprio un modo ulteriore per poter godere della letteratura e dei libri.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:54 da Massimo Maugeri


Un saluto anche ad Andrea Borla (intervenuto qui sopra).

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:56 da Massimo Maugeri


E comunque (per tornare ON topics) ribadisco (ne avevo già parlato nel mio intervento di ieri, ma vedo che ogni tanto qualcuno lo segnala ancora, e me ne compiaccio) che il più bel libro di pirati di recente edizione è probabilmente “La vera storia del pirata Long John Silver” di Bjorn Larsson (ed. Iperborea). Il mondo piratesco, sia quello fantastico ed avventuroso degli emuli di Defoe e di Stevenson, sia quello più storico e realistico legato al traffico degli schiavi, alle pubbliche impiccagioni, alla crudezza ed al cinismo della vita piratesca, lì c’è tutto.
Consigliato anche agli amanti di Johnny Depp e della sua saga.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:57 da Carlo S.


E un ringraziamento speciale a Lorenzo Amato, studioso di letteratura e specializzato in letteratura nordica.
Lorenzo (scusa la domanda)… sei ancora docente a contratto del reparto di Filologia ugro-finnica dell’Università degli Studi di Firenze (dipartimento di filologia moderna)?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 20:59 da Massimo Maugeri


Cara Mari,
il principio “pirata non mutat dominium” si applica allorchè una nave a ciò autorizzata ne liberi un’altra dall’aggressione dei pirati. In questo caso il “bottino” rinvenuto sulla nave pirata non diviene di proprietà della nave che ha operato la liberazione, ma viene restituito ai legittimi proprietari. Il principio è collegabile a una regola di correttezza nei traffici marittimi in tempo di pace.
Invece, in tempo di guerra, la nave che ne aggredisca un’altra o che sventi un’incursione ha il diritto di trattenere per sè ciò che può ricavare dalla propria azione.Infatti l’esercizio del diritto di cattura è considerato atto tipico di guerra ed esige lo stato di guerra, donde la conseguenza forzata che il diritto di cattura non può essere valevolmente esercitato dopo la firma del trattato di pace o dei preliminari della pace.
Una buona notte a tutti e un bacio!

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:02 da simona lo iacono


Caro Carlo, come è già stato precisato sopra Bjorn Larsson – tra l’altro – ha firmato la prefazione del saggio di Nicolò Carnimeo.
Una prefazione bellissima, devo dire (e anche consistente)… che vi consiglio di leggere (insieme al libro, ovviamente).
Si intitola “Pirati di mare e pirati di terra”.
Proverò a chiedere alla Longanesi l’autorizzazione a pubblicarne un breve stralcio qui…
Che dici, Nicolò: credi sia possibile?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:05 da Massimo Maugeri


Ehilà, Simo… grazie per essere tornata.
A beneficio di Nicolò Carnimeo, Giovanna Fiume, Ignazio Cavarretta e Eletta Revelli dico che Simona Lo Iacono interviene in questo blog mettendo a disposizione la sua duplice competenza di scrittrice e magistrato.
Grazie, Simona.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:09 da Massimo Maugeri


Ne approfitto, intanto, per segnalare la rubrica sui pirati che Nicolò Carnimeo cura su “Limes”: http://temi.repubblica.it/limes/
Andate a dare un’occhiata!

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:10 da Massimo Maugeri


@ Eletta Revelli
Non ho ricevuto recensioni sul libro tuo e di Ignazio.
Ti chiedo (se possibile, ovviamente) di inserire uno o più brani estrapolati dal vostro saggio…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:13 da Massimo Maugeri


E mi incrocio con l’altro post immesso da Massimo insieme a questo, sulla morte di Salinger. Lì si mette in dubbio la liceità di appropriarsi di personaggi di altri libri, di scrivere un nuovo romanzo con protagonisti Renzo e Lucia da vecchi, per esempio (lo spunto è dall’aver Salinger bloccato la pubblicazione di un libro altrui che proseguiva la storia del giovane Holden).
Beh, proprio il libro di Larsson sul pirata sparito nel nulla nelle pagine finali di Stevenson dimostra il contrario, così come quel magnifico film di Richard Lester con Robin Hood (Sean Connery) e Marian (Audrey Hepburn) vecchi, stanchi e alla fine morenti. Proprio Robin & Marian mi pare si chiamasse. Un film delizioso.
Però è vero: non bisognerebbe mai appropriarsi di personaggi di scrittori viventi, o comunque recenti; su questo sono d’accordo.
Ma non condivido il principio proprio sui personaggi passati nella storia della letteratura, nell’immaginario collettivo, che sono patrimonio della nostra cultura, e che ritengo possano essere trattati come più ci piace.
Tanto più se ne vengono fuori opere pregevoli come quelle da me citate (e di sicuro ve ne sono molte altre).

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:18 da Carlo S.


@ Giovanna Fiume
Ci domandavamo quali fossero i motivi del grande “fascino” che ammanta la figura del pirata.
In uno dei commenti precedenti, Nicolò Carnimeo ha scritto: “La tesi è che la figura del pirata sia inscindibilmente legata alla nostra sete di libertà. Il pirata è colui che ha scelto la forma di libertà più estrema, anche a costo di pagarla con la morte (…)”.
Poi, ovviamente, il commento proseguiva.
-
Eppure, nella storia della pirateria, il ruolo del pirata è legato al fenomeno della schiavitù.
Ti andrebbe di spiegarci in che termini?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:18 da Massimo Maugeri


Carlo, credo sia anche una questione di diritti. Come sai i diritti di un’opera rimangono in capo all’autore per un certo numero di anni (credo settanta… ma non vorrei sbagliare)… trascorsi i quali l’opera diventa “patrimonio comune”.
Immagino che la tutela dei diritti possa estendersi a quella dei personaggi.
Ma su questo punto credo che Simona possa fornirci informazioni molto più tecniche e attendibili delle mie.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:21 da Massimo Maugeri


I miei interventi si sono un po’ accavallati con quelli del lidèr Massimo.
Mi spiace e me ne scuso.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:21 da Carlo S.


@ Nicolò Carnimeo
Chi è il pirata del terzo millennio? Come lo definiresti, in breve? Ed è possibile una definizione “univoca”?

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:22 da Massimo Maugeri


Ma che ti scusi, Carlo… :) anzi, la questione è interessante…

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:23 da Massimo Maugeri


Le scuse erano per aver interrotto il filo del discorso (sia tuo che mio).
Comunque sulla questione “diritti” hai sicuramente ragione, e credo che siano sacrosanti. Di certo Simona potrà fornirci ulteriori e preziosi ragguagli.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:27 da Carlo S.


E sì, Carlo… non ci rimane che attendere l’autorevole intervento di Simona.
Per il momento chiudo qui. Auguro a te e a tutti gli altri amici una serena notte.

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 21:29 da Massimo Maugeri


Carlo, Massi…stavo andando a nanna quando, all’improvviso…trovo le vostre perplessità giuridiche!
E allora…La normativa da richiamare è la legge speciale 22 aprile 1941, n. 633, che assicura, in generale, una serie di diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera (diritti patrimoniali dell’autore) e di diritti morali a tutela della personalità dell’autore, che nel loro complesso costituiscono il “diritto d’autore”.
Tali diritti, che nascono col nascere stesso dell’opera, non si estinguono con la morte dell’autore, ma sono trasmissibili agli eredi.
Ove venga riutilizzato un personaggio di invenzione altrui, deve quindi verificarsi se l’opera letteraria sia ancora sfruttabile dagli eredi che potrebbero dolersi del plagio.
Infatti l’appropriazione del personaggio letterario può rientrare nella fattispecie del plagio.
Tuttavia la questione è semplice solo in apparenza poichè definire l’ambito del “plagio” è arduo anche a causa dell’accostamento di tale fattispecie alla “contraffazione”. E però, mentre il primo indica l’azione di chi si appropria di un’opera altrui, o di una sua parte e/o di una sua elaborazione, usurpandone la paternità, la contraffazione è lo sfruttamento economico dell’opera che avviene senza il consenso dell’autore (p.e. la pirateria discografica, o cinematografica…giusto per restare in tema di PIRATI!!!)
Dal punto di vista giuridico non esiste una definizione unitaria; la legge italiana sul diritto d’autore si limita a punire alcuni comportamenti riconducibili ai significati comuni dei due termini. Il plagio semplice si può realizzare in varie forme: per esempio attraverso la riproduzione totale e parziale dell’opera originaria, attraverso una sua elaborazione “non creativa”, oppure creativa ma abusiva e usurpatrice di paternità e camuffata attraverso un lavoro di ritaglio, di trasferimento, o di cambiamenti meramente formali; attraverso la trasformazione da una in altra forma, per esempio da forma letteraria ad artistica (es. un testo letterario fedelmente recitato da attori), o viceversa. Il plagio più semplice è quello che avviene mediante la riproduzione dell’opera o di una sua parte: sia dell’opera già pubblicata, per esempio spacciandola come propria, sia dell’opera inedita, mediante l’esercizio abusivo del diritto di prima pubblicazione. Non vi è plagio, né contraffazione, se l’opera o parte di essa viene riprodotta per uso privato.
Nel corso degli anni è emerso il problema di definire i criteri generali per il suo riconoscimento. Una giurisprudenza recente ne individua uno particolarmente interessante proprio per le opere letterarie: il diritto d’autore non tutela solo la forma esterna, ma anche la struttura e la concezione dell’opera, per questo in essa è possibile individuare un “nucleo fondamentale” che ne costituisce l’originalità creativa, di cui i terzi non possono assolutamente appropriarsi, in quanto fortemente distinto (e originale) da temi e dettagli che appartengono già al patrimonio letterario generale. Ecco che nel plagio contraffattorio di un’opera di narrativa non è sufficiente che una o più idee sviluppate in un testo trovino collocazione nell’altro, ma deve potersi cogliere una vera e propria trasposizione (copiatura) di quel “nucleo individualizzante” che caratterizza l’opera come originale, frutto dell’attività creativa dell’autore.
Pertanto, poichè i personaggi, con tutte le loro caratteristiche, costituiscono certamente un aspetto fortemente identificativo dell’opera e spesso ne decretano la riconoscibilità e persino la fama, ne deriva che un’appropriazione del personaggio costituisce plagio.
Ma anche qui le opinioni giurisprudenziali sono variegate. Talune pronunce escludono il plagio nel caso di “reimpiego” del personaggio con caratteristiche proprie, perchè in quel caso si deve parlare di “ispirazione”. Altre invece pongono mente al fatto che comunque il confronto col personaggio “originario” contribuisce alla caratterizzazione di quello “derivato”…In verità la decisione deve avvenire caso per caso, ed è tutt’altro che semplice. In genere ci si affida al riscontro di un esperto che supporti la decisione del giudice…
E con questo….un bacio di buona notte a Carlo e a Massi!

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 22:45 da simona lo iacono


Eh sì, interesserebbe molto anche a me la questione sui diritti, ero io che nell’altro post ho sollevato dubbi sul sequel del giovane Holden.Al di là dell’aspetto giuridico, di sicuro interesse,chiedevo agli altri cosa ne pensassero in genere del fatto di veder sopravvivere un personaggio al suo creatore in un’altra storia, altra epoca, altra penna.
un saluto affettuoso

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 22:47 da francesca giulia


…accavallamento di interventi…ora ti leggo Simona, e ti ringrazio anticipatamente per le notizie che fornisci,io avevo posto la questione sul post su Salinger.
baci

Postato venerdì, 29 gennaio 2010 alle 22:50 da francesca giulia


Per me il termine “Pirati” è sinonimo di Salgari, Sandokan, e Il Corsaro Nero.
Impossibile, per me, non tornare con la memoria al volto carismatico di Kabir Bedi nello sceneggiato “SANDOKAN”, basato – abbastanza fedelmente – sul romanzo “LE TIGRI DI MOMPRACEM” di Emilio Salgari, e nel film “IL CORSARO NERO”, entrambi diretti a Sergio Sollima.
Oltretutto io ho un enorme debito di riconoscenza con Salgari, dato che è stato proprio lui, con la sua prosa coinvolgente e appassionante, ad iniziarmi al piacere della lettura. Come ho raccontato in un altro post (“Aneddoti Libreschi” mi pare si intitolasse), “IL CORSARO NERO” è stato il primo romanzo che ho letto dall’inizio alla fine.
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Corsari e pirati nella narrativa avventurosa, sono il simbolo del sogno, della libertà, della ribellione allo stato sociale e al potere.
I film d’un tempo, a cominciare dalla bella serie cinematografica di “ANGELICA” interpretata da Michèlle Mercier e Robert Hossein, incarnava bene questo pensiero.
Tra i film moderni, invece, merita particolare attenzione il poetico e storico “CANTANDO DIETRO I PARAVENTI” di Ermanno Olmi, con una semisconosciuta ma brava Jun Ichikawa e un tranquillo e saggio, ma sempre simpatico, Bud Spencer.

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 00:40 da Sergio Rilletti


Caro Massimo risponderò presto alla tua domanda sui pirati del terzo millennio, ma stamattina c’è vento e credo andrò a vela, nel frattempo visto che in molti parlano di Salgari, nelle mie ricerche nella biblioteca di Singapore (che città fantastica pensate che c’erano librerie così grandi che all’ingresso fornivano una cartina per orientarsi e trovare i vari generi!) ho scoperto (magari era noto ma io non lo sapevo) che gran parte dei personaggi salgariani sono realmente esistiti. A James Brooke – molti lo ricordano nella serie televisiva di Sandokan diretta da Sollima, nell’interpretazione di Adolfo Celi – Salgari non ha neppure cambiato il nome.
Il rajah bianco di Sarawak è davvero esistito. Riuscì a conquistare un sultanato proprio lottando contro i pirati che a quell’epoca appartenevano a quattro etnie principali: i malesi, i daiacchi, famosi cacciatori di teste, i balanini, i baiau, una tribù di zingari del mare e gli illanuni, da cui deriva il termine malese lanun (pirata) originari delle isole Sulu e di religione musulmana
Sandokan si chiamava in realtà Laksamana ed era a capo dei daiacchi del mare che Brooke sconfisse nel 1849. Nel mio libro nel capitolo dedicato alla pirateria in Malaysia ho ricostruito tutta la storia, ciò che mi stupisce è come ha fatto Salgari a conoscere quegli avvenimenti nei minimi dettagli, se è vero che non si è mai allontanato da Verona.
Le storie dei daiacchi mi sono servite per fare un collegamento con la pirateria attuale, i discendenti di Sandokan e compagnia sono i terroristi pirati di Abu Sayyaf che oggi fanno eslodere navi e attaccano persino villaggi turistici, nel 2004 sequestrano gli ospiti di un resort a nell’isola di Sipadan e li tennero nella jungla di Jolo per sei mesi a pane e sardine! Come i loro antenati la minaccia più terribile è quella di tagliare la testa agli ostaggi, se cliccate su YOU TUBE in uno dei video (terrorismo mediatico) insegnano ai loro adepti come si taglia una testa con il machete. Qualcuno ricorderà che quest’estate hanno rapito l’operatore della Croce Rossa Eugenio Vagni. Chi vuole saperne di più mi scriva

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 09:37 da Nicolò Carnimeo


Grazie a Simona per avere fornito il quadro giuridico, come al solito con grande competenza e chiarezza (per quanto la materia, come lei stessa conclude, presenti molte zone d’ombra da dover valutare caso per caso).
A Roberta Giulia (che, come lei conferma qui, aveva sollevato il caso sul post collaterale dedicato a Salinger) non posso che ribadire che aveva tutte le più sacrosante ragioni Salinger ad impedire la pubblicazione di un sequel del Giovane Holden, ma che non trovo calzante il paragone che lei ha fatto riguardo ad un ipotetico romanzo con Renzo e Lucia da vecchi. E per le ragioni che ho detto qui, nei precedenti interventi.
Ritengo necessario distinguere tra opere (e personaggi) di ormai chiaro “dominio pubblico” e quelle che non lo sono.
Salvo non facciano storie gli eredi del Manzoni!
:-)

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 11:02 da Carlo S.


Il discorso sui diritto d’autore è complesso, anche perché alcuni autori contemporanei lo mettono in discussione tramite il copyleft (cfr. Wu Ming, Kai Zen, etc.) L’idea sarebbe proprio quella di incoraggiare lettori e imitatori a riprendere i personaggi e le situazioni per estenderle oltre quanto narrato dall’autore. In questo modo si dà più peso ai personaggi e alle storie raccontate che agli autori. Ma ovviamente questa deve rimanere una scelta degli autori: chi non vuole vedere le proprie “creature” rubacchiate e deformate da autori meno dotati, e che comunque si fanno conoscere riciclando idee altrui, ha tutto il diritto di difendersi in tribunale. Nome e tratti di identificazione di personaggi letterari devono ovviamente essere legati al diritto d’autore.
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Sed contra: la letteratura e l’arte vivono di citazioni, riprese e riciclaggio di idee, situazioni e personaggi. È ovvio che se non si può prendere impunemente un personaggio sotto copyright, si può comunque alludere a quello. Se voglio scrivere un romanzo con protagonista Jack Sparrow, beh, sorpresa, non posso. Ma se invento un personaggio chiamato Jonathan Scarecrow, strambo capo di una ciurma piratesca ancor più stramba, beh, posso farlo! Il trucco è infarcire i miei personaggi di idee e citazioni provenienti da più fonti diverse (es. il nostro Scarecrow ama verstirsi da donna, come il pirata interpretato da De Niro in Stardust, oppure si mette una maschera che spaventa i nemici, come lo Scarecrow di Batman), così che nessun giudice o critico potrebbe dimostrarne una derivazione univoca da un’opera, e al contrario la pluralità di fonti e riferimenti sarebbe considerata in modo positivo dal pubblico. Chiaro che la differenza fra citazione e plagio è sottile, ma in un caso parliamo di arte e nell’altro di truffa.
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Se poi possiamo apprezzare la qualità letteraria di “Orgoglio e pregiudizio zombie” (mi pareva che fosse sic) io non lo so perché non l’ho letto. Certo un autore vivente avrebbe da ridire nel vedere i propri serissimi e compiti personaggi zombificati dal fandom…

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 12:12 da lorenzo amato


@ Massimo
Sì, sono ancora docente a contratto di Lingua e Lett. Finlandese presso l’Università di Firenze. Siamo in periodi bui e tempestosi, ma resistiamo :)
Da aprile sarò visiting professor in Polonia, a Stettino, per una serie di corsi di letteratura italiana (del Medioevo e Rinascimento, però: pare che il contemporaneo non interessi a nessuno).
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Va detto che purtroppo non conosco lo svedese. La letteratura in lingua finnica non ha aimè la tradizione marittima svedese. Quando ero a Stoccolma (a parte che ho avuto la fortuna di essere lì quando erano ormeggiate le barche ad albero alto per la regata omonima) ho visto diversi libri di argomento marittimo, a parte Larsson. Vere e proprie saghe che a me, appassionato di Jack Aubrey il fortunato, inviterebbero alla lettura. Vedremo se qualcuno le tradurrà…

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 12:22 da lorenzo amato


Grazie anche a Lorenzo Amato per il suo ulteriore contributo nella discussione sui diritti d’autore.
Fondamentale quando dice che ” la letteratura e l’arte vivono di citazioni, riprese e riciclaggio di idee, situazioni e personaggi”.
Orgoglio e pregiudizio zombie non l’ho letto neanche io (e l’ho visto in libreria), ma credo che Jane Austen possa rivoltarsi nella tomba solo a sentirne pronunciare il titolo!

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 12:46 da Carlo S.


Grazie a te, caro Carlo, e grazie anche al carissimo Lorenzo Amato (che leggo con moltissimo interesse) che correttamente cita il copyleft.
Anche se in realtà quest’ultimo non si pone in antitesi con il diritto d’autore ma ne è una estrinsecazione (da tenere quindi distinta da ipotesi di appropriazione indebita come plagio, contraffazione e pirateria) poichè nel copyleft è lo stesso autore (in quanto detentore originario dei diritti sulla propria creatura) che indica ai fruitori dell’opera che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali.
Quindi vi è un consenso del creatore e un’autorizzazione preventiva…
—-
Un bacio a tutti e buon pranzo (un bacio particolare alla carissima Francesca Giulia)

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 12:58 da simona lo iacono


tra le storie di bucanieri segnalo il romanzo Pirati di gideon de foe, un libro comico spassosissimo, una divertente variazone sul tema.

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 13:39 da ang


rispondo alla domanda di maugeri sul rapporto tra schiavitù e pirateria, avvertendo i mitizzatori dell’ultima che anche la mafia ha una buona letteratura a cui dobbiamo l’idea (sbagliata) che il mafioso è un uomo d’onore, una sorta di robin hood, che non uccide donne e bambini e ripristina il senso di giustizia che le (cattive) istituzioni non difendono, che condivide la ‘cultura siciliana’ e via dicendo.
il pirata è un fuorilegge, non ha la patente di corsaro, ma, come il mafioso, viene tollerato dalle autorità. è un razziatore di navi, villaggi rivieraschi, uomini giovani, donne e bambini che riduce in cattività, vende come schiavi, guadagnando grosse somme che reinveste nella sua attività. dunque PRODUCE schiavitù, riduce uomini a merci, cose, oggetti che si comprano, vendono, affittano, si lasciano in eredità, ecc. Lucra successivamente nel riscatto degli schiavi che vogliono tornare a casa, contribuendo a creare una rete finanziaria fitta che copre il mediterraneo, a cui sono interessati banchieri (ebrei livornesi per lo più), o genovesi e fiorentini, catalani e pisani (il gotha della finanza dell’epoca), armatori e mercanti: tutti mercanti di carne umana.
i bambini sono la merce più pregiata, vengono più facilmente addomesticati nella società che li ospita, divengono musulmani e sposano donne del luogo. le donne giovani finiscono nell’harem o fanno le serve domestiche, le nutrici dei figli del padrone.
gli schiavi (moltissimi i siciliani) che finiscono in nordafrica “si fanno turchi”, “prendono il turbante”, cambiano di religione. questo passaggio produce effetti interessanti, di cui, se richiesta, vi parlerò volentieri. ringrazio tutti gli intervenuti, da domani sera sarò più presente.

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 20:09 da giovanna fiume


Ovviamente c’è letteratura e letteratura. Anche nell’ambito di quella che si occupa della mafia troviamo grandi romanzi in cui il mafioso compare come tutt’altro che come un uomo d’onore.

Postato sabato, 30 gennaio 2010 alle 21:04 da Alfredo


Buona domenica a tutti. E grazie per i nuovi commenti.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:28 da Massimo Maugeri


@ Simona
Cara Simo, grazie di cuore per la consulenza sulla questione dei diritti d’autore (che, in effetti, è piuttosto complessa).
Tra oggi e domani riporterò il testo del tuo intervento anche sul post dedicato alla morte di Salinger, giacché la questione era stata sollevata da Francesca Giulia in quella sede…

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:32 da Massimo Maugeri


Un caro saluto allo scrittore Sergio Rilletti (e al suo Mister Noir).

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:34 da Massimo Maugeri


@ Lorenzo Amato
E sì, ma resisti… :-) )
(A suo tempo ti chiederò di aggiornarci sulla tua esperienza di insegnamento in Polonia)

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:36 da Massimo Maugeri


@ Nicolò Carnimeo
Caro Nicolò,
grazie per il tuo nuovo commento. Spero che tu sia riuscito a fare vela.
Molto interessante il collegamento tra il Sandokan di Salgari e quello reale (discendenza compresa).

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:48 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per salutare Ang e Alfredo.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:48 da Massimo Maugeri


@ Giovanna Fiume
Grazie per essere intervenuta pur essendo fuori sede…
Dal tuo commento del 30 gennaio 2010 (8:09 pm) potrebbero nascere ulteriori dibattiti.
In alcuni casi – fai notare – la fiction ha contribuito a distorcere la realtà…
E, giustamente, precisi (interessante e da approfondire la connessione tra pirateria e schiavitù) che il pirata è un fuorilegge che “PRODUCE schiavitù, riduce uomini a merci, cose, oggetti che si comprano, vendono, affittano, si lasciano in eredità, ecc”.
Nulla a che vedere con figure alla Robin Hood, per intenderci…

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:54 da Massimo Maugeri


Questo si evince anche dal saggio di Nicolò Carnimeo (rispetto ai pirati dei nostri giorni).
Lo fa presente anche Larsson nella prefazione al libro: i pirati sono dei terribili criminali, ed è bene rifuggire dal romanticismo.
Eppure…

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:57 da Massimo Maugeri


Eppure, come scrive Larsson nella prefazione “Leggendo il libro di Carnimeo scopriamo, tuttavia, che c’è ancora qualche pirata simile a quelli della classicità e forse aspetta solo un Salgari, uno Stevenson o un Defoe per entrare nella leggenda.”
Si tratta, certo, di rare eccezioni alla regola.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 10:59 da Massimo Maugeri


@ Nicolò Carnimeo
Caro Nicolò, potresti approfondire quanto accennato nel commento precedente? (In riferimento alle “eccezioni”).
Sarebbe bello se tu, Giovanna Fiume ed Eletta Revelli poteste interagire: i pirati tra ieri e oggi, tra la storia e la contemporaneità.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 11:02 da Massimo Maugeri


D’altro canto quello dei pirati non è il solo fenomeno storico negativo mitizzato dalla letteratura. Quanto guerre non lo sono state? Dalle crociate alle orde dei mongoli, la storia letteraria e filmica pullula di immani macelli trasformati in gesta romantiche a uso di lettori assai distanti nel tempo e nello spazio.
Credo che faccia un po’ parte del gioco. Sta allo storico rintuzzare i sogni fanciulleschi di chi crede troppo a questi mitemi da romanzo di appendice. Poi, una volta che si ha chiaro il quadro storico, lasciarsi andare ogni tanto alla fantasia non fa male, se non ci sono implicazioni ideologiche attualizzanti. Il che, per fortuna, non è il caso dei pirati. Basta prendere il film “Barbarossa” per capire che si può usare la storia in modo molto più negativo e mistificante…

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 12:45 da lorenzo amato


Si, c’è stato un pirata che ho conosciuto più vicino all’immaginario letterario. Si chiamava Sayful Rozi, detto “Robin Hood” ed era a capo di una gang che controllava alcune isolette dell’arcipelago indonesiano delle Riau, di fronte a Singapore. Il suo soprannome mi aveva incuriosito e chiesi ad un mio contatto nella polizia malese se poteva farmelo incontrare, la risposta arrivò subito e mi stupì. Sayful a differenza di altri non voleva soldi per parlare; mi avrebbe chiesto qualcosa in cambio, ma voleva dirmelo solo di persona.
Partimmo in motoscafo da Singapore sino a raggiungere il suo covo, l’isola di Pulau Babi, soprannominata “pig island” perchè sede di una serie di bordelli gestiti dall’organizzazione. I pirati di Sayful controllavano di fatto quelle isole e avevano a libro paga tutti i poliziotti e funzionari indonesiani, potevano contare su una rete di connivenze e protezioni che derivavano dal consenso sociale. Chiunque avesse un problema o bisogno di soldi andava da Sayful e lui lo risolveva; i soldi degli abbordaggi venivano così spartiti in tutta la comunità. Da qui “Robin Hood”.
Ci accolse personalmente sul molo, era un uomo alto, imponente, con una grossa pancia che veniva fuori da una camicia rosso scarlatto. Al collo una pesante catena d’oro che luccicava insieme ad orecchini (a cerchio come quelli dei vecchi pirati!) e un molare a 24 carati. Ci portò a vedere l’isola e nella piazza centrale la tensione che mi traspariva dal viso stemperò in un sorriso quando al centro di una serie di case chiuse disposte a semicerchio vidi una moschea con tanto di minareto e Imam. Gli chiesi perchè? E lui candido “C’è il piacere della carne e quello dello spirito! La moschea – tenne a precisare – l’ho pagata io con il mio lavoro”. Da allora iniziò a diventarmi simpatico e si creò pur con le dovute distanze una specie di empatia.
“No non voglio nulla per raccontarti la mia storia” ribadì una volta seduti sul patio di casa sua “ma io so che stai scrivendo un libro, e mi devi promettere che scriverai il mio nome, che racconterai a tutti chi sono e quello che ho fatto qui. E devi fare presto”.
Io mantenni la promessa e parte dei suoi racconti sono nel mio saggio. Appena il libro venne pubblicato chiamai il mio contatto perchè glielo facesse arrivare, avevo sottolineato con un evidenziatore in giallo il suo nome in modo che fosse sicuro che l’impegno era stato assolto. Il poliziotto malese mi rispose di non inviare più il volume perchè Sayful era stato assassinato un mese prima, ma che era lui a dovermi mandare qualcosa.
Pochi giorni dopo arrivò un pacco, veniva dal nostro Robin Hood… mi aveva spedito la bussola della sua barca con i caratteri in cinese. La conservo ancora come uno dei ricordi più cari.
Ecco forse Sayful potrebbe divenire il personaggio di un romanzo, perchè la sua personalità stride con il ruolo e i suoi sentimenti sono profondamenti umani…@ massimo … purtroppo ieri il vento è calato d’improvviso e siamo tornati a motore

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 15:30 da Nicolò Carnimeo


Sono estasiata e affascinata dai racconti di Nicolò Carmineo, storia vera raccontata come se fosse un romanzo,molto interessante questo ultimo aneddoto su “Robin Hood”.Potremmo dire alla fine che esiste più romanticismo nelle storie vere,laddove ombre di cinica realtà sembrarono coprire tutto,che nelle storie immaginarie.Leggerò il libro con piacere e grande curiosità e ammirazione,anche perchè da sempre appassionata di viaggio,e di viaggio con occhio critico e curioso si tratta, anche se poi utilizziamo i dati raccolti per un saggio.Grazie e complimenti davvero per il lavoro svolto!
un caro saluto a Massimo e ricambio la fantastica Simona….ah amici,mi costringerete a venire in Sicilia quanto prima per stringervi la mano!!

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 16:34 da francesca giulia


Grazie Francesca Giulia. La realtà quando è vissuta con intensità, partecipazione, curiosità, credo sia una fonte inesauribile per chi sente il bisogno di scrivere. Specie nella letteratura di cui discutiamo che evoca spesso luoghi lontani, e al desiderio del viaggio lega la sete di avventura che ne è una componente essenziale. Uno dei miei scrittori preferiti è Francisco Coloane la cui stessa biografia è un romanzo, è il cantore della Terra del Fuoco e lui come nessuno ha saputo trasmettere il mistero di quei luoghi ai confini del mondo e della variegata umanità che li abitava. E’ uno dei padri della letteratura sudamericana e ha avuto grande parte anche nei viaggi di Chatwin in Patagonia. Insieme a Conrad è uno dei Grandi.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 17:48 da Nicolò Carnimeo


Bellissimo, appassionante dibattito. Mi avete fatto venir voglia di leggere i romanzi sui pirati e saperne di più su di loro nella vita reale attraverso i saggi.
Bravi tutti! E grazie.

Postato domenica, 31 gennaio 2010 alle 23:59 da Beatrice


Ricordi fortissimi ancorché confusi. Mompracem sgominata è forse il mio primo “ricordo letterario”
E ricordo anche che un 6-7 anni fa scelsi di NON riaprire un Sandokan perché avevo paura di rovinarmi quelle eco lontane :)

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 03:31 da sarmizegetusa


Aggiungerei al discorso i minisaggi (vado a mente, ma ne ho un buon ricordo) sulle utopie pirata contenuti in TAZ di Hakim Bey

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 03:32 da sarmizegetusa


Sono un appassionato di Salgari e mi fa piacere che venga ricordato in questa discussione molto bella (ho letto tutti gli interventi).
Vorrei, dunque, parlare un po’ di Salgari, sperando di non uscire fuori tema.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:04 da Giovanni


Non tutti, per esempio, sono a conoscenza delle difficoltà che hhano attraversato il Salgari uomo.
I suoi obblighi contrattuali lo hanno rovinato.
I contratti l’obbligavano a scrivere tre libri l’anno: ogni libro, un migliaio di pagine in bella copia: tre pagine in bella copia ogni giorno: e se una domenica voleva riposare, o se un giorno era preso dalla febbre, all’indomani le pagine da scrivere erano sei. Più il lavoro di direzione di un periodico di viaggi, più le novelle. Per aiutarsi, cento sigarette al giorno. Più una bottiglia di marsala, che beveva da mattina a sera.
Probabilmente il troppo carico di lavoro, l’eccesso di responsabilità, fu uno dei motivi che lo spinsero alla scelta del suicidio.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:07 da Giovanni


Così scrisse ai suoi editori, prima di andarsene: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.»

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:08 da Giovanni


All’amico pittore Gamba aveva scritto nel 1909:
«La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune delle notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere.»

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:09 da Giovanni


Insomma, vista così l’attività dello scrittore sembra una specie di incubo. Meglio, forse, avere a che fare con i pirati veri…

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:11 da Giovanni


Nel 1910 tentò per la prima volta il suicidio, ma venne salvato. La mattina del 25 aprile del 1911 lasciò sul tavolo tre lettere ed escì con un rasoio in tasca. Le lettere erano indirizzate ai figli, ai direttori di giornali, ai suoi editori.

Ai figli Omar, Nadir, Romero e Fatima scrisse:
«Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora…»
Li avvertì poi dove avrebbero trovato il suo corpo.
Ma a trovarlo, per caso, fu una lavandaia. Aveva la gola e il ventre squarciati. In mano stringeva ancora il rasoio. Si era ucciso come avrebbe potuto uccidersi uno dei suoi personaggi: facendo harakiri, con gli occhi rivolti al sole che si leva.
.
La tragedia colpirà anche i figli dello scrittore: nel 1931 è di nuovo il suicidio la causa della morte di Romero, uno dei suoi quattro figli; ed anche il più piccolo, Omar, si uccide buttandosi dal secondo piano del suo alloggio nel 1963.
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I pirati della mente, a volte, possono essere più devastanti di quelli reali.
.
Chiedo scusa se sono uscito un po’ fuori i limiti della discussione.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 11:42 da Giovanni


Interessante il contributo di Giovanni,comunque chi può immaginare cosa si affacci nella mente di un suicida,inoltre pochi giorni prima della sua morte era stata internata in manicomio la amatissima moglie dello scrittore, chissà quali mancanze e sofferenze poteva aver generato in lui.
Detto ciò mi è venuto in mente che avrei qualche curiosità per gli esperti di pirati sia in senso letterario sia in senso relistico.Che ruolo ha avuto la donna nel mondo dei pirati?Nel passato sappiamo che qualche figura femminile c’è pure stata-Mary Read…- ma rispetto agli uomini credo poche,ed attualmente?Perchè secondo voi?Forse anche Giovanna Fiume può darci qualche indicazione riguardo al concetto di schiavitù in cui credo siano maggiormente coinvolti bambini e donne purtroppo. E nella lettaratura,quali sono se ci sono, le eroine del mondo dei pirati?E che ruolo hanno,forse secondario rispetto al ruolo centrale del pirata?
@Nicolò Carmineo condivido in pieno quello che hai detto “intensità,partecipazione e curiosità” mi sembrarono le chiavi per vivere a piene mani e cuore aperto non solo la possibilità della scrittura,ma della vita stessa, unica e irripetibile esperienza.
un caro saluto a tutti

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 12:25 da francesca giulia


“sembrano”

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 12:25 da francesca giulia


All’inizio non volevo nemmeno leggere la prima riga. Dico sul serio.
Venivo da letture come Il giorno della Civetta e l’ultimo di Carrino, Pozzoromolo, con le sensazioni brucianti della mafia che non esiste e di un omosessuale che da un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, si esprime a poesia, addolcendo il brutto del sesso violento.

Poi mi sono fatta prendere. La spigolatura dei pirati secondo ciascun intervento mi ha regalato molto. Molto più di quanto mi aspettassi. Per esempio GIOVANNI, col suo dettagliare una biografia che mi aveva colpita moltissimo qualche anno fa e che avevo … dimenticato. Per esempio G.FIUME, gettando quella nocciolina che accende la mia curiosità sulle schiavitù mediterranee. Per esempio Nicolo’ CARNIMEO, con la sua esperienza di contatto.

E poi mi sono ricordata di una penna che mi ha fatto viaggiare, fantasticare, sognare.

Mi sono ricordata delle pagine che mi cullavano nelle pause pranzo, che mi han fatto conoscere l’avventura ma anche un’acuta riflessione sulle civiltà a confronto soprattutto cristiani e musulmani. Sì, era un libro che ti faceva viaggiare coi pirati…

Wilbur Smith e la sua penna felice, intinta nei colori del mare verso il Madagascar, le imprese, i sogni, la saga dei Courtney… credo che Monsone o gli altri romanzi di Smith siano completamente diversi da ciò che ha potuto narrare Salgari o Stevenson, ma resta quel sentimento bello, quel trasporto verso l’evasione, l’identificare che le regole, ebbene sì, qualche volta è bene scavalcarle, così come le onde del mare, con coraggio e bellezza fisica.

Direi che il lettore, qualunque lettore, anche il più impegnato, a volte necessita della bellezza dei mari senza padroni né confini…

Un caro saluto a te Massimo Maugeri e alla sempre stimatissima Maria Lucia Riccioli.

Francesca cenerelli

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 15:10 da francesca cenerelli


leggendo i resoconti di chi ha passato anni in schiavitù oppure quelli dei “redentori”, religiosi o laici che si sono occupati del riscatto degli schiavi, nei quali il racconto dell’esperienza personale è sempre preceduta dalla descrizione dei luoghi, della cultura, delle abitudini e delle credenze degli abitanti, mi sembra di avere capito che trae spunto da qui – oltre che dai diari dei pellegrinaggi, il viaggio in terra santa in primis, la letteratura di viaggio. inoltre, sappiamo che gli schiavi stampavano spesso a proprie spese il proprio récit e ne legavano le copie a una asta con una cordicella (cordel), andando per strade e cortili alla ricerca di acquirenti.
le (dis)avventure del viaggio per mare rappresentano il desiderio di scoperta, l’effetto della ribellione di un giovane, il fascino dell’ignoto, la ricerca dell’autonomia per sottrarsi a una società ‘ingessata’ di ordini e di status, ben prima dell’incontro con i pirati. in questo senso ha ragione francesca cenerelli: è robinson crusoe (casualmente preso dai corsari di salè e schiavo fuggitivo) a rappresentare “la bellezza dei mari senza padroni nè confini”. oppure gulliver che parte dal porto negriero di bristol e sarà fatto schiavo da uomini piccolissimi in una società che gli farà mal sopportare il ritorno alla sua.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 16:19 da Anonimo


scusate, mi è ’scappato’ il post precedente, prima che io lo potessi firmare

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 16:20 da giovanna fiume


Nessuno potrà mai conoscere sino in fondo le motivazioni di un suicida, di chi compie l’unico gesto gesto che è davvero contronatura. Spesso lo si liquida con “era pazzo, aveva dei problemi”. Ma sarebbe troppo semplice e la mente umana non lo è. Nessuno potrà mai sapere perchè lo ha fatto Salgari. Ma certo è come dice Giovanni che scrivere è una schiavitù; dall’esterno si potrebbe pensare che lo scrittore è un essere libero, spinto dallo slancio creativo… In realtà per scrivere un libro (che meriti di essere chiamato tale, e oggi ce ne sono pochi) ci vuole una incredibile autodisciplina, bisogna cercare di scrivere ogni giorno, e non interrompere mai. E quando non scrivi pensi a quello che dovrai scrivere e il pensiero è sempre lì fisso, ti fa dimenticare di qualunque altro problema. E poi devi riscrivere, cancellare, metterti in discussione. Correggere. Sempre. Il meglio di sè lo si da quando si ha una scadenza alla quale non si può derogare. Scrivere è una specie di giogo alla sedia che ti inchioda. Non si può avere una vita e scrivere allo stesso tempo. Non vorrei essere stato troppo drastico, ma la vita di chi oggi volesse sopravvivere solo con la penna non sarebbe (e non è) diversa da quella di Salgari.
@mariagiulia
naturalmente le piratesse ci sono ancora oggi, e sono più determinate e crudeli dei loro colleghi maschi, nel libro racconto di un gruppo di guerrigliere nigeriane, e le descrivo così: “Maschere evanescenti nel buio, assaltano le navi alla fonda lungo le coste nigeriane truccate di cerone bianco, lo stesso delle prostitute agli angoli di strada in Italia. Si dice siano una banda di ex guerrigliere, datesi alla pirateria. Nuotano silenziose sino alla nave, si arrampicano e poi piombano sull’equipaggio lanciando urla tribali, prolungati suoni gutturali…”
Ma ci sono anche donne straordinarie che combattono la pirateria come la nigeriana Margareth Orakowsi che è a capo del sindacato dei pescatori e lotta come una vera eroina!
Si hai ragione è l’intensità uno dei segreti del vivere.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 16:33 da Nicolò Carnimeo


mi scuso nella seconda parte del messaggio mi rivolgevo a francesca giulia

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 16:36 da Nicolò Carnimeo


Vi ringrazio per i nuovi commenti pervenuti.
Ne approfitto per salutare: Lorenzo Amato, Francesca Giulia, Beatrice, Sarmizegetusa, Giovanni (interessanti i riferimenti alla vita – e alla morte – di Salgari), Francesca Cenerelli…

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:25 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento speciale a Giovanna Fiume e a Nicolò Carnimeo per i nuovi interventi.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:26 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per anticipare che domani sera, nel corso della trasmissione radio “Letteratitudine in Fm” (in collaborazione con Radio Hinterland”) avrò come ospiti proprio Giovanna Fiume e Nicolò Carnimeo. Avremo modo di approfondire gli argomenti trattati nel corso di questo dibattito e la conoscenza dei loro libri.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:28 da Massimo Maugeri


Nei commenti a seguire inserirò l’interessante intervista che Giovanna Fiume (in merito a questo suo nuovo saggio) ha rilasciato a Antonella Filippi

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:31 da Massimo Maugeri


Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi – parte I)
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Introduzione
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La schiavitù in area mediterranea ha una storia di molti secoli, c’è stata nella società greca e in quella romana, c’è stata nel medioevo cristiano e nelle società arabe della penisola iberica, c’è in età moderna e dura sino ai primi dell’800 quando gli stati europei cominciano ad abolirla. Oggi però si riparla del fenomeno della schiavitù legato alla immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani. Un fenomeno così persistente può trarre in inganno, facendoci pensare a una specie di sua immutabilità, mentre invece esso ha avuto di volta in volta caratteristiche diverse e differenze marcate circa la provenienza geografica degli schiavi, l’appartenenza etnica, la composizione per sesso, le reti commerciali, i mercati, le condizioni, i modi dell’affrancamento, ecc.
Oggi forme di schiavitù sono quelle dei carbonai del Mato grosso, delle famiglie obbligate per debito alla fabbricazione di mattoni nel Punjab, o delle adolescenti recluse nei postriboli della Thailandia, delle giovani nigeriane o esteuropee avviate dal racket alla prostituzione. Sono tutti fenomeni illegali, fuori legge, reati.
Ieri invece la schiavitù era perfettamente legale ed erano i conflitti tra Europa cristiana e impero ottomano a produrre nel Mediterraneo la guerra da corsa, autorizzata dai governi e sancita attraverso contratti notarili, con i quali si costituivano “società per andare in corsa” tra mercanti-banchieri, armatori e rais che racimolavano la ciurma. La sua versione illegale era costituita dalla pirateria, gli abusivi della corsa, avventurieri e contrabbandieri del mare. L’arrembaggio di navi nemiche e la razzia di borghi costieri producevano captivi, venduti come schiavi nei mercati dell’isola (a Palermo, Messina, Trapani, Augusta) per essere addetti ai lavori pubblici se acquistati dallo stato, ai lavori domestici se acquistati dai privati o a al remo nelle marinerie di guerra o nelle barche di privati. Questa schiavitù si intreccia con la tratta di popolazioni centroafricane che giungono in Sicilia attraverso le carovaniere transahariane, commerciate da mercanti arabi, catalani, ecc. certo in misura inferiore di quella che raggiunge le Americhe. L’imponente fenomeno che dal XVI al XIX secolo ha deportato nel Nuovo mondo 11 milioni di africani ha finito per occultare la schiavitù mediterranea. Invece, siamo stati schiavi e mercanti di schiavi anche noi, meglio prenderne coscienza.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:33 da Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi - parte I)


Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi – parte II)
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- Come si differenzia, per provenienza e caratteristiche, la schiavitù mediterranea?
“Forse il termine schiavo deriva da slavus e ancora nel ‘400 slavoni (dalla Slavonia, odierna Croazia), tartari (dalla Bulgaria, Ucraina, ecc.), circassi della regione caucasica attraverso il Mar nero venivano venduti nel Mediterraneo. Nel Cinquecento cominciano a prevalere gli schiavi neri centroafricani e mori maghrebini. Ma nel Mare nostro diventa molto facile cadere preda dei corsari e dei pirati e essere ridotti in schiavitù. La principale caratteristica del fenomeno, che lo differenzia in maniera drastica dalla schiavitù americana, è la reciprocità: europei cristiani catturano e riducono in schiavitù nordafricani musulmani e viceversa; inoltre, i captivi vengono riscattati o scambiati e dopo un certo periodo di tempo – mediamente cinque anni – ritornano a casa. Si può cadere più volte in schiavitù, soprattutto se per mestiere si va per mare. In questo transitare da una sponda all’altra del Mediterraneo avvengono scambi culturali importanti, soprattutto si cambia di religione: i cattolici – ma anche luterani, anglicani, ebrei – “rinnegano” e “prendono il turbante”, i musulmani si convertono al cattolicesimo. Soprattutto si creano delle interessanti credenze miste che in modo originale interpretano le religioni, personaggi dalle credenze ibride, che nel libro ho chiamato “pesci volanti”, alludendo all’appartenenza a due mondi. Credevano soprattutto che in tutte le religioni è possibile ottenere la salvezza spirituale, una eresia per cattolicesimo, islam ed ebraismo”.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:35 da Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi - parte II)


Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi – parte III)
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- Che ruolo hanno le religioni?
“Come molti cristiani schiavi a Tripoli, Tunisi, Algeri o Salè “si fanno turchi”, dunque abiurano la loro fede e assumono quella del paese ospitante, insieme con gli usi e i costumi, così molti musulmani schiavi in terra cristiana vengono evangelizzati dagli ordini religiosi e da pii padroni. Molti di loro si convertono. I processi di canonizzazione di Antonio etiope da Noto e di Benedetto il Moro ci dicono in quali condizioni e circostanze ciò avviene. Il primo è un musulmano catturato su una nave corsara e venduto a un avolese che ne fa il guardiano del suo gregge; il secondo è figlio di schiavi africani già cristianizzati; entrambi entrano nell’ordine francescano e diverranno potenti strumenti di evangelizzazione degli schiavi africani nella penisola iberica e nel nuovo mondo. La Chiesa cattolica riconosce la schiavitù e il battesimo non la cancella; gli uomini sono uguali non in questo mondo, ma nell’altro. Però i santi neri rappresentano una proposta di mitigazione dell’odio razziale e gli schiavi sopportano la loro condizione con maggiore rassegnazione, pensando di “andare in Paradiso per la strada dei patimenti”. Inoltre, manifestano una devozione ai “santi neri” con culti ispirati alla loro cultura, processioni con tamburi marracas, danze, costumi, che durano ancora oggi.
Infine, l’attività missionaria verso gli schiavi cristiani e verso gli “infedeli” conduce il francescano Juan de Prado in Marocco dove, nel 1631, trova il martirio: il suo processo di canonizzazione è l’unico svolto in condizione di schiavitù. Ci fa conoscere il ruolo giocato dalla politica nel difficile dialogo tra cristianesimo e islam”.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:36 da Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi - parte III)


Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi – parte IV)
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A quali conclusioni porta la sua indagine?
“Vorrebbe spingere a riflettere sul ruolo della religione che colora la contesa politica internazionale in atto tra Europa cristiana e impero ottomano presentandola come crociata contro l’infedele, a cui da parte musulmana si risponde con la jihad, la guerra santa. Nella guerra da corsa sono coinvolti ordini religioso-militari come i cavalieri di San Giovanni che fanno di Malta una cittadella corsara e, a loro volta, i corsari musulmani si considerano mujahidin del mare, i combattenti della jihad marittima. La religione si traduce in un idioma politico, la politica parla con il linguaggio della religione. Di contro ai confini sempre più rigidi che le religioni impongono, severamente vigilati dal Santo Uffizio, assistiamo a comportamenti flessibili, contaminazioni, adattamenti. Questi uomini e donne vivono tra due mondi, culture e religioni. Il loro passaggio da una religione all’altra fa scandalo perché si tratta di monoteismi le cui somiglianze sono molte. Dunque quelli che abiurano e si riconvertono ricordano che c’è una possibile interscambiabilità delle fedi religiose, sono dei traduttori viventi tra le fedi. Ogni conversione ne mette in dubbio l’universalità. Solo a partire da questo dubbio può avvenire un dialogo interreligioso”.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:37 da Intervista a Giovanna Fiume (di Antonella Filippi - parte IV)


Ecco. Ho preferito suddividere l’intervista in quattro parti per consentirne una migliore visualizzazione (e lettura).

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:38 da Massimo Maugeri


@ Nicolò Carnimeo e Giovanna Fiume
In un precedente commento Giovanna Fiume ha scritto (sempre in riferimento alla figura del pirata): “Lucra successivamente nel riscatto degli schiavi che vogliono tornare a casa, contribuendo a creare una rete finanziaria fitta che copre il mediterraneo, a cui sono interessati banchieri (ebrei livornesi per lo più), o genovesi e fiorentini, catalani e pisani (il gotha della finanza dell’epoca), armatori e mercanti: tutti mercanti di carne umana”.
-
Volevo chiedervi (a Nicolò e a Giovanna): C’è anche oggi un coinvolgimento delle banche e del sistema finanziario internazionale nel “fenomeno della pirateria”? E, se sì… in che termini si sviluppa (o si è sviluppato)?

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:44 da Massimo Maugeri


@ Nicolò Carnimeo e Giovanna Fiume
Un’altra domanda…
Come mai nell’immaginario collettivo – sia della gente comune, che dei romanzieri – è entrata con forza la figura del pirata dei Caraibi, invece che quella di un’altra area territoriale (per esempio, l’area mediterranea)?

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 18:47 da Massimo Maugeri


cara G. Fiume,

è proprio così: ricerca di un’evasione possibile… chissà, forse ci portiamo il peccato originale della schiavitù…lo vogliamo lavare…

è senz’altro importante ciò che si deduce dallo stralcio della tua intervista… e il collegamento con Gulliver o Robinson che hai accennato nel messaggio “anonimo”.

Sai, mi viene in mente un libro curioso, letto molti anni fa. Si chiamava il libro dei Pesci, e trattava di … una colonia penale in Tasmania con grande schiettezza, a volte abbruttimento.

Ma c’erano i disegni: i disegni dei pesci ti portavano al laro… ti facevano cavalcare le onde del mare…
Credo sia importante il lavoro che hai svolto Giovanna.

francesca cenerelli

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 20:06 da francesca cenerelli


ti portavano al LARGO… ecco, anche a me è sfuggito qualcosa!
f.c.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 20:07 da francesca cenerelli


Di Salgari ho letto, da non molto, la poco nota ”trilogia africana” (Le pantere di Algeri, I briganti del Riff e La Costa D’Avorio), che di pirati ne contiene alcuni ma non si concentra su di essi quanto sulle vicende di terra. Buon intrattenimento serale a far da viatico per il sonno, buona scrittura d’avventura che forse insiste un po’ troppo su particolari granguignoleschi e macabri. Le vicende sono interessanti, ma non si tratta certo di cose impegnative e profonde. Intrattenimento ben fatto, onore a questo merito.

Postato lunedì, 1 febbraio 2010 alle 22:17 da Sergio Sozi


caro massimo, la tua ultima domanda mi sembra cruciale perchè rimanda al grande tema della memoria storia (cosa ricordare del nostro passato?) e alla funzione degli storici (cosa vale la pena di studiare perchè sia ricordato?). la memoria è estremamente selettiva e nella scelta di cosa ricordare rientrano anche la dimenticanza, l’occultamento, la falsificazione. così la civiltà occidentale, bianca, cristiana, alfiere della democrazia e regno del benessere economico non ama ricordare quante lacrime e sangue è costata nel 1492 l’espulsione degli ebrei, nel 1609 la cacciata dei moriscos e di dovere una parte consistente della sua ricchezza ai ‘mercanti di carne umana’, cioè alla schiavitù effetto della corsa e della pirateria. porti negrieri come cadice, lisbona, bristol, nantes, la rochelle, mercati di schiavi come messina, trapani, augusta (per restare in Sicilia), cittadelle corsare come malta, ordini religioso-militari come i cavalieri di san giovanni o quelli di santo stefano appartengono a un passato scomodo, da epurare.
ricordate lo ’stupore’ del ricercatore che trovò anche nel commercio di schiavi l’origine della fortuna dei rotschild? e la farsesca rinominazione delle strade di liverpool per cancellare le tracce della città negriera, ad eccezione della penny lane resa famosa dai beatles?
i fenomeni storici ’scomodi’ è meglio allontanarli da sè, spostandoli lontano, nei caraibi ad esempio, dove ne esalteremo gli aspetti eroici e romantici e nutrirà la nostra passione per l”esotico’.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 11:23 da giovanna fiume


Tutto molto interessante. Complimenti.
Ho dato un’occhiata ai commenti anche se, essendo arrivata in ritardo, adesso risulta un po’ impegnativo leggerli tutti.
Sono curiosa, stasera, di ascoltare in radio gli ospiti.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 17:52 da Vale


Giorni convulsi di scrutini e scartafacci, mi scuso con i letteratitudiniani e gli ospiti… prometto che risponderò one by one a tutti!
:-)

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 18:16 da Maria Lucia Riccioli


Brava Giovanna, concordo con te sulla falsificazione, sull’adulterazione diciamo così delle genuine coordinate storiche, dell’esotismo dei nostri gusti storici…
La letteratura è altro dalla storia, ma se attinge a una memoria falsificata risulta finta essa stessa e forse altrettanto colpevole.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 18:19 da Maria Lucia Riccioli


Ringrazio tutti per i nuovi commenti. Interverrò con calma più tardi.
Per il momento ne approfitto per ricordarvi l’appuntamento radio con “Letteratitudine in Fm” (su Radio Hinterland): http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
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Ospiti della puntata odierna: Giovanna Fiume e Nicolò Carnimeo.
La puntata è ascoltabile in diretta via Internet, a partire dalle 21.30, cliccando qui: http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 21:16 da Massimo Maugeri


Bravissima Giovanna Fiume! La sto ascoltando incantata.
Importantissimi i riferimenti normativi alla schiavitù ( e ai suoi collegamenti con la pirateria)e alle grandi fortune costitituitesi sul “sacco d’ossa”, che era lo schiavo.
Vorrei ricordare che la condanna normativa della schiavitù è conquista recente. Solo con il secolo dei lumi la schiavitù divenne negli scritti e nell’opinione pubblica un fatto aberrante da combattere energicamente: il Code noir di Colbert, pur non giungendo all’abolizione della schiavitù, riconosceva allo schiavo i diritti personali e favoriva il meticciato; Montesquieu la attaccava , perché contraria a giusti rapporti fra uomo e uomo; in Inghilterra nel 1780 fu avanzata la prima proposta per l’abolizione della “tratta dei negri”: respinta per ben sette volte dal Parlamento (sarà approvata solo nel 1807).
In campo internazionale i problemi antischiavistici furono trattati nella Conferenza di Berlino (1885) e in quella di Bruxelles (1890). Nel 1919 a Saint-Germain si giungeva finalmente alla stesura di una Convenzione e nel 1926 la Società delle Nazioni deliberava la fine della tratta. In realtà essa esistette ancora per parecchio tempo in alcuni Stati arabi (in Abissinia fino al 1936, nel Tibet fino al 1959).

Un bacio a tutti e complimenti di cuore alla meravigliosa ricerca di Giovanna

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 22:00 da simona lo iacono


Bravissimo anche Nicolò Carnimeo!
Sia per il suo amore per il mare, sia per la conoscenza, profonda e attualissima, delle problematiche legate alla pirateria.
Mi ha commosso l’aneddoto sul pirata Robin Hood che avevo già letto tra i commenti. Mi ha trasportata a Singapore, tra le navi affollate nel canale, tra l’isolame degli arcipelaghi indonesiani.
Meravigliosa l’immagine della Moschea accanto alle case delle prostitute… Peccato e redenzione. Furto e dono. Forza e fragilità.
La vita.
Grazie di questo racconto.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 22:23 da simona lo iacono


@ Simona
Cara Simo, grazie per averci ascoltati e per questi tuoi nuovi interessantissimi commenti.
Un bacio a te.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:26 da Massimo Maugeri


Nei prossimi giorni avrete modo di ascoltare (o ri-ascoltare), in podcast, le voci di Giovanna Fiume e Nicolò Carnimeo andate in onda nella puntata di oggi di “Letteratitudine in Fm” (su Radio Hinterland).
Ne approfitto per salutare e ringraziare l’amico Luca Corte (conduttore del programma “Nu Poets”) per l’indispensabile supporto in studio a Milano.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:29 da Massimo Maugeri


Un ringraziamento a Giovanna Fiume per la risposta alla mia domanda del 1 febbraio 2010 – 6:47 pm

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:30 da Massimo Maugeri


E un saluto agli altri amici intervenuti: Sergio Sozi, Francesca Cenerelli, Vale, Maria Lucia

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:31 da Massimo Maugeri


@ Maria Lucia
A te, cara Mari, il compito (se puoi e se ti fa piacere) di riprendere in mano le fila della discussione…

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:32 da Massimo Maugeri


Il dibattito – se volete – continua…
Una serena notte a tutti.

Postato martedì, 2 febbraio 2010 alle 23:33 da Massimo Maugeri


Purtroppo non ho potuto ascoltare la trasmissione. Spero di poterla sentire nella registrazione podcast.

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 10:28 da Vale


complimenti per la bella discussione.
è stato fatto notare che i pirati sono entrati, oltre che nei romanzi nei saggi nel cinema, anche nella musica.
è verissimo. ci sono molti esempi, tra cui nella lirica e nella classica.

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 11:19 da dario alandri


per esempio ‘Il pirata’ di Vincenzo Bellini, opera rappresentata in prima assoluta al Teatro alla Scala di Milano il 27 ottobre 1827.

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 11:20 da dario alandri


chi fosse interessato può leggere il libretto del pirata da questo sito http://www.librettidopera.it/zpdf/pirata.pdf
ciao a tutti

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 11:21 da dario alandri


A me il timone!
Avanti, miei prodi…
Dario Alandri, grazie per il tuo riferimento all’opera di Bellini. A Catania in Piazza Stesicoro c’è un bellissimo monumento dedicato al grande musicista e tra le statue c’è proprio quella dedicata a “Il Pirata”.

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 19:50 da Maria Lucia Riccioli


@ Vale
Appena possibile inserirò i link alla trasmissione radio anche qui, tra i commenti di questo post…

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 23:24 da Massimo Maugeri


Un saluto e un ringraziamento a Dario Alandri.
Come ha sottolinato Maria Lucia, a Catania – in piazza Stesicoro – c’è un monumento dedicato a Bellini, dove il noto compositore troneggia sulla città. Sotto di lui, quattro statue che raffigurano altrettante sue opere… tra cui “Il pirata”.
Eccolo qui: http://www.lamiasicilia.it/immagini/Catania/MonumentoVincenzoBellini_catania.jpg

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 23:27 da Massimo Maugeri


Mentre che ci siamo… per chi volesse saperne di più…
http://it.wikipedia.org/wiki/Monumento_a_Vincenzo_Bellini

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 23:28 da Massimo Maugeri


Auguro una serena notte a tutti.

Postato mercoledì, 3 febbraio 2010 alle 23:38 da Massimo Maugeri


Bellissima l’espressione “pesci volanti” riferita a chi passa da una religione all’altra…
Giovanna Fiume e Nicolò Carmineo ci stanno veramente facendo volare nella storia di uomini e mare, con fantasia e rigore da studiosi.
Un caro saluto a Francesca Cenerelli (grazie! :-) ) e a tutti i letteratitudiniani che grazie a questo post riprenderanno a viaggiare per mare con un libro.

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 15:03 da Maria Lucia Riccioli


Com’è commovente il racconto su “Robin Hood”! Spesso giudichiamo senza sapere cosa c’è nel loro cuore i ladroni della storia, ma spesso sono quelli che ci sorprendono per atti meravigliosi.
Il cielo è dei violenti, scrisse Flannery O’Connor riprendendo le parole bibliche. Magari il Paradiso è pieno di pirati con bussole ricoperte da caratteri cinesi…

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 15:07 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Francesca Giulia!
Un grazie anche a Simona, per le sue puntuali e competenti risposte a dubbi di carattere giuridico.
La questione donne e pirateria mi sembra molto interessante… chiederei ai nostri esperti di approfondirla.

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 15:19 da Maria Lucia Riccioli


grazie a massimo maugeri ed a maria lucia riccioli, alla quale vanno tanti complimenti per l’articolo “pirati in letteratura”

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 15:20 da dario alandri


@Maria Lucia ciao a te cara! E complimenti per come gestisci acque perigliose e ricche di temibili pirati…sì ero curiosa di sapere di più sulle donne pirata,ho letto qualcosa in rete che non è per nulla confortante:erano sanguinarie e temibili quasi più degli uomini!!Una che girava vestita da maschio si è denudata per dimostrare che era donna ad un’altra donna dell’equipaggio che si era invaghita di lei!:-) Oggi magari avrebbero fatto “coming out” da Bruno Vespa felici e sposate!Ma fra pirati chissà come l’avrebbero presa…
Riguardo alla musica, molto interessante anche il contributo di Dario Alandri, io più su ho fatto anche riferimento all’opera minore di Verdi “IL Corsaro”,magari se è un esperto di opere ci può dire qualcosa di più .
saluti e abbracci

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 20:50 da francesca giulia


Grazie a Mari, a Fran e a Dario Alandri…

Postato giovedì, 4 febbraio 2010 alle 23:38 da Massimo Maugeri


Buongiorno a tutti,
sono stata assente dal forum per alcuni giorni e, al mio ritorno, ho trovato decine e decine di post.

Ho trovato la domanda di Maria Lucia Riccioli sul rapporto tra donne e pirateria e vorrei concentrarmi su questo argomento che mi ha sempre interessato particolarmente. Nel nostro testo, nel primo capitolo, ho voluto infatti porre l’attenzione sulla figura femminile a bordo dei velieri e sulle loro abilita nautiche.

Ho cominciato ad andar per mare fin da piccola per piacere prima e, poi, per lavoro e moltissime volte mi è capitato di “scontrarmi”con uomini convinti che le donne non sono capaci di portare una barca, lanciare una cima o issare una vela. In alcune regioni d’Italia ci sono ancora oggi pescatori convinti che porti male imbarcare una donna a bordo (parlo per esperienza diretta di un’amica velista).
Se questo succede al giorno d’oggi, provate a immaginare quanto fosse difficile per una donna vivere per mesi, se non anni, a stretto contatto con equipaggi pressochè maschili.

Nel nostro testo, ho voluto raggruppare alcune delle donne piratesse più celebri (che non son soltanto Mary Read e Annje Bonnje) ma molte altre sia in Mediterraneo nei tempi più antichi (basta ricordare Didone, fondatrice di Cartagine, abilissima marinaia e piratessa fenicia), sia nel mar dei Caraibi ai tempi della Filibusta (colleghe della Read e della Bonnje) ma anche nei mari orientali nel secolo scorso.
Non posso negare, però, quanto sia stato difficile trovare informazioni riguardo a questi personaggi che vengono quasi sempre tenuti dietro le quinte, purtroppo.

La pirateria al femminile è un argomento molto interessante e mi piacerebbe lasciare spazio alle vostre domande.

Postato venerdì, 5 febbraio 2010 alle 14:41 da Eletta Revelli


Per Lorenzo Amato.
Scusa se non ti ho risposto prima ma, come già ho scritto nel mio precedente post, sono stata assente da questo forum per alcuni giorni.
Non voglio dilungarmi sulle ragioni della dott.ssa Spinelli: nel suo libro c’è un intero e molto interessante capitolo sul rapporto pirateria e cinematografia che consiglio.
Vorrei fare alcuni precisazioni: non sono una storica, bensì una biologa marina velista, come te appartengo alla metà della popolazione italiana (ho 37 anni), sono cresciuta con alcuni cartoni animati giapponesi e i primi videogiochi, eppure questi Pirati dei Caraibi proprio non mi piacciono, li trovo banali e neanche poi così tanto fantasy come dici tu. Secondo me, i veri film fantasy hanno alla loro base una solida letteratura (vedi Tolkien, Verne, Ende, la Rowling e tanti altri) e non commerciali sceneggiatori hollywoodiani. So che non sono, ovviamente, film storici ma purtroppo la maggior parte dei giovanissimi continua a pensare che i pirati siano Jack Sparrow e i suoi amici e i numerosi luoghi comuni sulla pirateria continuano a imperversare.
Da biologa marina e grandissima appassionata di mostri marini e leggende sui marinai, ho letto moltissimo su navi-fantasma, equipaggi di scheletri, mostri marini e quant’altro; ti posso consigliare alcuni bellissimi libri di Giancarlo Costa, anche lui appassionato dell’argomento? Sono tutti editi dalla Mursia. “Polene”, “Mostri del mare”, “Leggende e fantasmi del mare”, “I fantasmi del mare e altre storie maledette”, “Misteri e leggende del mare”.
ciao

Postato venerdì, 5 febbraio 2010 alle 15:10 da Eletta Revelli


Cara Eletta, grazie per essere intervenuta di nuovo.
Mi piacerebbe che ci raccontassi qualche aneddoto sulle piratesse (davvero molto interessante)… e magari qualche aneddoto sulle tue traversate in mare.

Postato sabato, 6 febbraio 2010 alle 09:54 da Massimo Maugeri


E poi, Eletta (se lo ritieni e se possibile) inserisci pure uno o più brani estratti dal vostro libro…

Postato sabato, 6 febbraio 2010 alle 09:54 da Massimo Maugeri


Vi segnalo la mia nuova rubrica sul sito di Limes Ecco qui il link: http://temi.repubblica.it/limes/pirati-somali-robin-hood-o-bucanieri/10830
Ho commentato la decisione di alcune gang di pirati somali di varare il progetto “Robin Hood” e devolvere parte dei riscatti alle popolazioni terremotate di Haiti!
Quanto alle piratesse ho raccolto un altra testimonianza del comandante Giuseppe Ferro il quale racconta che quando le navi sono alla fonda in Brasile nella rada di Rio De Janeiro, spesso un gruppo di giovani bucaniere dalle gambe lunghe e affusolate con incredibile agilità si arrampica felino sulla catena dell’ancora entra nelle cabine spruzzando gas soporifero e ruba il denaro e gli effetti personali dei marinai.
Egli aggiunge che se vengono colte in flagrante si concedono ai derubati pur di riavere la libertà. Io non so se questa storia sia frutto di una piccante fantasia dell’amico comandante oppure realtà, chissà che nel blog non ci sia qualche marittimo che può confermarla?

Postato sabato, 6 febbraio 2010 alle 11:09 da Nicolò Carnimeo


Non so se l’aneddoto raccontato da Nicolò Carmineo sia vero o, se come dice lui, sia frutto di una piccante fantasia del suo amico comandante.
Se fosse vero devo ammettere che non mi dispiacerebbe essere derubato dalle piratesse in questione. Dovessi trovarmi dalle parti della fonda in Brasile nella rada di Rio De Janeiro, berrò caffè a litri come antidoto a qualunque gas soporifero.

Postato sabato, 6 febbraio 2010 alle 15:34 da Antonio


Grazie per la segnalazione e per l’aneddoto, caro Nicolò.
E grazie ad Antonio per la battuta :)
-
Antonio, ti rinvio al post “Letteratura dell’umorismo”:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/04/letteratura-dellironia/

Postato domenica, 7 febbraio 2010 alle 01:17 da Massimo Maugeri


Ciao Massimo,

riguardo alle piratesse, prendo un paio di pezzi dal nostro testo.
Il primo riguardo alla regina Didone.
“Sposata con Sicheo, insieme si dedicarono alla pirateria, attività
considerata utile e degna presso i fenici, popolo di marinai
più che di agricoltori. Alla morte del padre, per evitare una
guerra civile dovuta agli attriti con il fratello, lasciò la sua città
di origine e peregrinò per il Mediterraneo, toccando Cipro
e Malta, e approdò sulle coste del Nord Africa intorno all’814
a.C., fondando la città di Cartagine. È triste notare come questa
coraggiosa donna dell’antichità venga ricordata principalmente
come ‘comparsa’ nell’Eneide di Virgilio, suicida per la partenza
del suo amato eroe, o nel quinto canto dell’Inferno dantesco,
tra i lussuriosi, rea di aver amato Enea tradendo la memoria del
marito, per di più morto.”
Il secondo riguardo a una piratessa canadese
“Anche il Canada e l’Australia ricordano le avventure di alcune
ragazze dei mari: la più nota è Gertrude Imogene Stubbs,
meglio nota come ‘Gunpowder Gertie’ (Gertie polvere da sparo,
un nome che è tutto un programma!). I suoi territori di caccia
erano le acque dolci del Kootenays, regione del British Columbia
(Canada), e le sue vittime preferite i battelli a vapore sui quali
aveva lavorato per molti anni sotto mentite spoglie. All’epoca,
infatti, nessuno ingaggiava donne e quando, a causa di un’esplosione
nella sala macchine, fu portata in ospedale e il suo segreto
fu facilmente smascherato, la compagnia la licenziò immediatamente
non concedendole neanche un indennizzo per le ferite riportate.
Nessuno volle più assumerla, nonostante le sue rinomate
capacità professionali. Furibonda e oltraggiata, rubò il Witch, un
formidabile e veloce motoscafo di 12,8 metri che la polizia locale
aveva ordinato per pattugliare le acque del fiume Kootenays, e
ancora non si capisce come vi riuscì, dal momento che il furto fu
compiuto quando l’imbarcazione viaggiava su un vagone ferroviario…
Dal 1893 al 1903, a bordo del ribattezzato Tyrant Queen
(regina tiranna), la piratessa attaccò e rubò le merci trasportate
sui battelli a vapore che navigavano nella zona fino a quando un
suo marinaio, Bill Henson, arrabbiato per la divisione di un bottino,
la tradì organizzando un’imboscata con la polizia.”

Postato domenica, 7 febbraio 2010 alle 15:00 da Eletta Revelli


Aggiungo poi un altro pezzo che non riguarda una vera e propria piratessa ma l’amante di un pirata saraceno. Questa storia ci piace molto e suggeriamo a chiunque passasse da Bordighera, di andare a far un saluto alla ragazza!

“Seppur non piratessa, ci preme raccontare anche la storia
di una donna della tradizione ligure, chiamata dai bordi gotti Magiargé. Rapita a Granada da un potente pirata saraceno,
Boabil, la giovane e bellissima Ziadatalé divenne inizialmente
schiava e poco dopo sua amante. Le dure condizioni di bordo
la fecero ammalare e, durante un assalto alla città di Bordighera,
la ragazza fu portata a terra dove venne assistita dai cittadini
che cercarono, inutilmente, di salvarla.
Boabil espresse il desiderio di seppellire la sua amata a Capo
Ampelio, oggi sede del porto turistico, piantando un gelsomino
nero spagnolo a proteggerla. I bordigotti, ormai affezionati
alla povera e bella Magiargé, esaudirono questa richiesta e, per
la loro sensibilità verso la ragazza, furono graziati dal feroce saraceno
che ordinò la fine di ogni ostilità nei confronti di quella
cittadina ligure.
Il ricordo di Magiargé perdura tuttora a Bordighera: una
bella statua della giovane nella piazza del Municipio, un affresco
in un porticato nella piazza principale della città vecchia e
un ristorante tipico a lei dedicato.”

Postato domenica, 7 febbraio 2010 alle 15:03 da Eletta Revelli


Cara Eletta, grazie mille per i tuoi brani dedicati alle “piratesse”.
Belli, istruttivi e… intriganti.

Postato domenica, 7 febbraio 2010 alle 23:08 da Massimo Maugeri


Vi avevo promesso il podcast con la trasmissione radio.
Lo trovate qui (trasmissione del 2 febbraio): http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/

Postato mercoledì, 10 febbraio 2010 alle 00:00 da Massimo Maugeri


Però potete ascoltarla anche da qui.
Per ascoltare la conversazione con Giovanna Fiume, basta cliccare qui sotto…
http://www.plettro.org/podcast/giovannafiume.mp3

Postato mercoledì, 10 febbraio 2010 alle 00:01 da Massimo Maugeri


Analogamente… per ascoltare la conversazione con Nicolò Carnimeo, basta cliccare qui sotto…
http://www.plettro.org/podcast/pirati2.mp3

Postato mercoledì, 10 febbraio 2010 alle 00:02 da Massimo Maugeri


le piratesse (“donne, donne, per gli dei!”) hanno introdotto il tema della sessualità sulle navi corsare/pirate. potremmo ampliarlo, notando come in contesti a prevalenza maschile sia abbastanza comune il rapporto omosessuale (dalle caserme ai collegi, fino ai seminari).
religione cattolica e islamica hanno un diverso atteggiamento nei suoi confronti e nelle società barbaresche il fanciullo schiavo era al pari della fanciulla considerato un oggetto di piacere. il diritto del padrone all’accesso alla sessualità degli schiavi posseduti era assoluto, ma le donne che gli davano un figlio non potevano più essere vendute e godevano di privilegi particolari. ci sono diverse storie di grandi amori maschili che non vengono repressi, come avviene invece nel mondo cattolico. “grande Allah, prenditi la vita dei miei figli, ma conservami l’amore del mio Hamid”, scrive un gran visir. gli stati barbareschi sono mitizzati come terra di libertà sessuale (il nuovo eden) per i giovani cristiani (talvolta chierici) che fuggono dal santo uffizio e dalla sua severa repressione dei “reati sessuali”.

Postato mercoledì, 10 febbraio 2010 alle 12:39 da giovanna fiume


Grazie a Giovanna Fiume e ad Eletta Revelli per i loro aneddoti e per gli approfondimenti culturali sul tema piratesse…

Postato mercoledì, 10 febbraio 2010 alle 14:12 da Maria Lucia Riccioli


Salve a tutti! Innanzitutto vorrei complimentarmi con le varie menti eccelse che si sono espresse in questa discussione, e in particolar modo con Niccolo’ Carimeo, il cui libro si trova, da qualche mese , in cima alla mia lista della spesa.Ho sempre amato il mondo della Pirateria, ma solo da pochi mesi mi sono avvicinato alla letteratura piratesca, la quale, debbo dirlo , non si puo’ certo definire copiosa.Proprio in questi giorni sto leggendo ” L’isola dei Pirati ” di Michael Crichton, e sono sicuro che, quando l’avro’ terminato, lo giudichero’ uno dei migliori libri che abbia mai letto.Tuttavia devo dire che oggigiorno gli scaffali delle librerie sono piuttosto scevri di romanzi ( o saggi ) che abbiano come protagonisti i pirati.Oltre ai vari Stevenson,Evangelisti e Defoe ( e Salgari, ovviamente ), quali altri autori si sono cimentati in questo genere? Speravo che qualcuno di voi potesse suggerirmi qualche titolo da aggiungere alla mia bibilioteca personale!!!

Per ora la mia lista della spesa comprende, oltre al libro di Carimeo, i seguenti titoli:

Clive M.Senior – Una nazione di pirati
Olivier Exquemelin – Pirati dei caraibi
Herman Gosse – Storia della pirateria
David Cordingly – Storia della pirateria
Emilio salgari – Ciclo dei corsari delle Antille ( 6 volumi )

Cos’altro potrei aggiungere? Grazie per le eventuali risposte!!!

Postato venerdì, 12 febbraio 2010 alle 12:15 da Captain W.Kidd


Capitano Kidd, benvenuto a bordo!
Se rileggi gli interventi dei nostri ospiti vedrai che ognuno di loro ha anche consigliato qualcosa… io ho letto L’ISOLA DEL TESORO, VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI, tanto Salgari, Defoe… Conrad, Melville…
A tutti: un pirata della musica, Morgan, pende dall’albero maestro di Sanremo.

Postato venerdì, 12 febbraio 2010 alle 15:52 da Maria Lucia Riccioli


@ Captain W.Kidd
Negli articoli di Alberto Pezzini trovi anche riferimenti al romanzo di Arturo Pérez–Reverte“ I Corsari di Levante”, Tropea 2009.
Grazie per la tua partecipazione.

Postato venerdì, 12 febbraio 2010 alle 21:22 da Massimo Maugeri


@ Giovanna Fiume
Grazie per il tuo nuovo intervento, cara Giovanna…
Credo che possa aprire ulteriori possibilità di discussione proprio sul tema della “sessualità sulle navi corsare/pirate”.

Postato venerdì, 12 febbraio 2010 alle 21:24 da Massimo Maugeri


È stato realizzato un bellissimo booktrailer sul saggio di Giovanna Fiume. Vi invito a guardarlo: http://www.youtube.com/watch?v=0U5S04KDPik

Postato sabato, 13 febbraio 2010 alle 15:05 da Massimo Maugeri


Grazie Captain Kidd, per altri testi dai un’occhiata alla bibliografia del mio libro, ti consiglio anche William Langewiesche, “Terrore dal mare” (Adelphi) che dedica un capitolo alla pirateria e “I segreti del Mar Rosso” di Henry de Monfreid (Magenes) quest’ultimo è un viaggiatore francese che ha avuto una vita avventurosa e descrive i pirati del Mar Rosso. Imperdibile è “la vera storia del pirata Long John Silver” di Bjorn Larsson (Iperborea) che qualcuno ha già consigliato. Mi hanno detto che anche uno degli ultimi romanzi di Clive Cussler parla di pirati, ma non l’ho letto e, quindi, non potrei darti un giudizio. Le sue ultime opere mi sembravano molto appannate.
Ora sono andato a memoria, ma faccio mente locale e ti consiglio altri titoli Aye Aye

Postato sabato, 13 febbraio 2010 alle 22:38 da Nicolò Carnimeo


Sui pirati di casa nostra c’è anche un libro di Giacomo Scotti “I Pirati dell’Adriatico” Lint editore

Postato domenica, 14 febbraio 2010 alle 13:55 da Nicolò Carnimeo


Grazie a tutti per i preziosi consigli! Domani mi precipitero’ alla biblioteca del Mare di Milano, sperando di trovare qualcuno dei suddetti titoli!

Aprofitto dell’occasione per chiedervi un parere “tecnico”.Da qualche tempo sto cercando informazioni sulle rotte commerciali nel periodo che va dal 1620 al 1730, con particolare riguardo alle zone dei Caraibi, del Madagascar e della Costa d’Oro ( Ghana ).Qualcuno saprebbe consigliarmi qualche opera che tratti questi temi? Ovviamente andrebbero bene anche opere riguardanti il Colonialismo ( specialmente inglese ) nell’area dei Caraibi, la quale, lo confesso , e’ di gran lunga la mia preferita tra le tante location “Piratesche”.Ad esempio, se qualcuno volesse conoscere il sistema politico vigente in Barbados nel 1688 ( ma anche nel ventennio successivo ), quali opere dovrebbe consultare? Sarebbe assurdo se non esistessero opere riguardanti questi temi, soprattutto per la portata delle conseguenze che sono derivate dal colonialismo, specialmente nella zona Caraibica.

PS:Ho citato Barbados, ma avrei potuto dire qualsiasi altro nome..Jamaica,Turks&Caicos, St.Kitts ecc ecc …

Postato lunedì, 15 febbraio 2010 alle 22:38 da Captain W.Kidd


Ringrazio Nicolò Carnimeo per i nuovi interventi.
-
Captain W.Kidd,
spero che qualcuno dei nostri esperti possa soddisfare le tue richieste, dandoti giusti consigli.

Postato lunedì, 15 febbraio 2010 alle 22:49 da Massimo Maugeri


Questo è il mio contributo per il dibattito, non so se puo’ andare bene: una mia lettura del libro “Critiani di Allah” di Massimo Carlotto
—-
Non ricordo mai i nomi dei personaggi dei libri che leggo, ma Othmane e Redouane rimarranno nel mio cuore.
Vivo sul mare.
Ho da sempre goduto del pacato ondeggiare dei pescherecci sulle onde del Mediterraneo, pesanti, scivolano carichi del bottino fatto di pesce fresco, ho spesso assistito al loro fiero ritorno al porto per il mercato.
Uomini con i visi segnati dal sale, gli occhi stanchi, le mani ferite, con nel cuore la felicità per essere ritornati a terra o con la pena del nulla aver pescato.
Uomini dalla pelle ruvida e salata che nulla hanno a che fare con quelli che nel 1541 dominavano le stesse onde, mai mutate mai sottomesse, mai rese docili dall’umana civilizzazione che ha trasformato i corsari raccontati da Carlotto in docili pescatori.
La musica è motore trainante delle parole del libro che ne viene integrato, permeato e deliziato.
Si scende repentinamente dalla immagine di una Algeri apparentemente libera da costrizioni religiose che imponevano ed impongono un modo di vivere condizionato da regole dettate spesso dalla umana povertà mentale e si sogna un luogo in cui si poteva vivere l’amore come si sentiva nel cuore.
Poi si viene colpiti, squartati, dal dolore della perdita della libertà, dall’immagine di uomini sviscerati di ogni diritto e resi povera carne da vendere e comperare.
Ed è l’amore velato, dipinto con colori sfumati, mai accesi o volgari, di due uomini che vivono l’uno per l’altro e della completa perdita dell’io di Redouane che priva se stesso di ogni sua conquista per la vita di Othmane, pur non riuscendoci.
Ed il sangue, le urla, il dolore, le gole sgozzate dai corsari predatori, in battaglie descritte magnificamente, si fondono con lo spiazzante, devastante dolore della perdita dell’unica certezza nella vita di Redouane.
Ed è nuovamente la musica a far da traino nello storia.
La voce dolce e suadente di Lucia, donna resa schiava e con la mente densa di odio, sibillina dona nuovamente la voglia di vivere al rinnegato Redouane, costringendolo poi a venirle in aiuto.
La realtà della storia di quegli anni, mette a nudo i motivi per cui uomini alla ricerca di interesse finanziario e libertà, rinnegavano il loro credo cristiano per votarsi all’Islam nell’atavico bisogno di sentirsi liberi ed amati.
E’ un libro crudo e dolcissimo allo stesso tempo.
Personalmente fantastico.

Postato mercoledì, 24 febbraio 2010 alle 10:56 da Francesca Tombari



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