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sabato, 8 maggio 2021

LE ANIME MORTE di Nikolàj Vasìl’evič Gogol’ (Leggerenza n. 23)

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Delle Anime morte di Nikolàj Vasìl’evič Gogol’ non c’è epoca che manchi di parlare di capolavoro e che però sia concorde sul perché della sua grandezza. Sin dalla pubblicazione, il libro fu già in patria oggetto di dispute per via soprattutto dell’immagine che della Russia veniva offerta tra dileggio e denigrazione, fino al lapidario giudizio espresso dal potente critico Vissarion Grigor’evič Belinskij che ne negò – sbagliando clamorosamente – le possibilità di successo fuori dal Paese e ne vide le potenzialità solo in un contesto nazionale unicamente entro il quale fossero comprensibili logiche politiche e dinamiche di un tempo circoscritto e di una società chiusa: proprio alla quale in verità Gogol’ intese rivolgersi chiamandola allo specchio nei modi di un appello alla rinascenza, implicandosi personalmente con l’insistere per esempio in espressioni del tipo “da noi in Russia” e con l’assumere un ricorrente e persino rutilante tono moralista e tirtaico culminante al termine della prima parte nella figura della Russia trasfigurata in un “uccello trojka” che spicca un nuovo volo nel cielo nazionale. Volendo mostrare ai suoi connazionali la Russia messa a nudo, Gogol’ guadagnò invece l’attenzione dell’Europa rivelando all’estero non tanto un mondo poco conosciuto e tenuto in sospetto quanto uno stato sociale e una condizione storica appartenenti all’uomo nuovo nato dopo lo smaltimento della febbre napoleonica. (continua…)

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mercoledì, 22 luglio 2020

ARGO IL CIECO di Gesualdo Bufalino (Leggerenza n. 22)

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Insieme con i temi della malattia, della morte, dell’amore fatale, della memoria, della guerra, già frequentati in Diceria dell’untore (il romanzo inaugurale considerato il suo capolavoro, ma da molti ritenuto inferiore ad Argo il cieco), motivo centrale della ricerca di Bufalino è il tempo. Ed è il tempo che profila Argo il cieco come mezzo di contrasto dei cambiamenti che produce intus et in cute e come carico di mal-aimé. Un terreno questo sul quale ha particolarmente indugiato la cultura decadentista alla quale Bufalino fortemente ha voluto richiamarsi, sottraendosi a quella che Maria Corti chiamava “glaciazione neorealista” e alle illecebre del naturalismo per porsi in assoluto afelio rispetto al mainstream guidato da un suo confrére qual è Sciascia.
Entro questa prospettiva, Argo il cieco segna certamente un maggiore distacco dal realismo rispetto a Diceria dell’untore di cui pure non costituisce che un seguito in termini autobiografici ma soprattutto uno sviluppo in ambito letterario. E ne è superiore non perché accentua i primi ma perché accresce il secondo in una poetica più pura e spirituale. Del resto fu lo stesso Bufalino, richiesto di rivelare il suo titolo preferito, a indicare Argo il cieco, romanzo più decandestico a motivo proprio del ruolo che il tempo vi svolge. (continua…)

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giovedì, 4 giugno 2020

LA PESTE di Albert Camus (Leggerenza n. 21)

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Rileggere La peste dopo il coronavirus è come farlo per la prima volta. Pur ammirando la forte precisione del quadro generale quanto soprattutto agli effetti psicologici sia individuali che collettivi, tali da far sembrare che Camus abbia vissuto una vera epidemia, mentre non si è che documentato su quelle passate, se ne colgono tuttavia lacune che prima sarebbe stato difficile trovare: non tanto le inesattezze scientifiche circa la differenza tra peste bubbonica e polmonare, da Camus confuse nelle manifestazioni fisiche e la seconda posta come complicanza della prima, quanto le misure di contenimento che abbiamo imparato oggi a comprendere in termini di “lockdown”. Benché la peste polmonare si diffonda attraverso saliva, sudore e particelle di sternuto e tosse, le autorità prefettizie di Orano (la città algerina di Camus dove la pestilenza divampa) non prescrivono alcuna quarantena, ma al culmine dei contagi e del conseguente pericolo per l’ordine pubblico ordinano il coprifuoco dopo le ventitré (provvedimento esorbitante dopo aver parlato di semplice febbre perniciosa sui manifesti affissi nelle sole strade secondarie) e intanto dispongono che la città sia chiusa e considerata una “zona rossa” dalla quale non si possa uscire e nella quale sia proibito entrare.
Ma dentro la città blindata “i prigionieri della peste” sono liberi durante il giorno di frequentare bar e ristoranti senza alcun distanziamento, affollare autobus con la sola cautela di darsi le spalle, andare a teatro e magari assistere alla morte sulla scena dell’attore protagonista, gremire i cinema solo per vedere lo stesso film ripetuto ogni giorno. L’isolamento non è degli abitanti di Orano ma della città in sé, priva anche di approvvigionamenti che non siano provento del mercato nero, dove però i giornali continuano ad uscire, i tipografi stampano testi di maghi e santi della Chiesa, le persone circolano senza mascherine sterili né tantomeno guanti, i preti possono evocare dai pulpiti la punizione divina su centinaia di fedeli assembrati al chiuso e la gente può toccarsi, stringersi la mano, accarezzare infettati e abbracciarsi senza  precauzione alcuna. (continua…)

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giovedì, 30 aprile 2020

MOBY DICK di Herman Melville (Leggerenza n. 20)

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Dopo l’esperienza fatta dieci anni prima come baleniere, Herman Melville scrive Moby Dick perché scopre – e lo precisa nel romanzo – che la caccia ai cetacei ne minaccia l’estinzione, sebbene a metà dell’Ottocento l’illuminazione pubblica e domestica vada sempre più servendosi non più dell’olio di balena ma del gas e presto a New York arriverà anche l’elettricità: ma specifica che la balena “non avrà una fine ingloriosa come i bufali dell’Illinois e del Missouri”, essendo essa immortale. Deificando così quello che pure molte volte chiama “mostro” e “Leviatano”, Melville lascia supporre che il suo capolavoro (tale verrà considerato però solo nel Novecento giacché all’uscita non riscuote il successo di Taipi e delude il mercato americano e inglese) nasca nell’intento non tanto di ricordare la disgrazia nel 1820 dell’Essex, affondato da un capodoglio, quanto soprattutto di affermare il primato della balena sull’uomo con l’esaltarne lo spirito di specie e dotandola di un’intelligenza non diversa da quella dei suoi cacciatori, se non maggiore. (continua…)

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sabato, 11 aprile 2020

I PROMESSI SPOSI di Alessandro Manzoni (Leggerenza n. 19)

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È in quella età “lurida e sfarzosa” del Seicento in cui nascevano le prime versioni di fiabe quali La bella addormentata e Cenerentola, dove un nobile si innamora di una bella popolana, invertendo così l’ordine sociale costituito, che Alessandro Manzoni pensò di adattare una storia che quell’ordine restaurava nel suo pieno regime: la storia, che egli chiamava “cantafavola” nelle lettere agli amici, di un signorotto tanto gentiluomo quanto prepotente che pretende di mettere letteralmente le mani su una povera villanella non perché invaghito di lei ma per via di una scommessa stabilita con un cugino della stessa pasta, perpetrando perciò un sopruso e affermando il primato medievale del signore padrone di terre e terricoli.
Come Verga mezzo secolo dopo nei Malavoglia e come presto faranno in Francia Balzac, Dumas e Zola, in Inghilterra Dickens, l’autore dei Promessi sposi, portando in Italia il romanzo moderno, non è delle classi dominanti che intende rappresentare la dispettosa condizione di superiorità, volta pure a giustificare una volgare scommessa tra il conte Attilio e don Rodrigo sulle sorti di Lucia Mondella, perché è a quelle più umili che volge lo sguardo, volendo esplorare per primo il “ventre” di una società che però, a differenza che in tutti gli altri autori di interessi sociali, non è la sua, né lo è il tempo narrato. Sua è invece la città che fa da sfondo, insieme con il territorio del ducato di Milano e parte della repubblica veneziana, a una vicenda che è “un misto di storia e invenzione” e che sostiene un romanzo storico ma nello stesso tempo sociale e anche intimo, così soddisfacendo i tre principali generi letterari dell’Ottocento romantico. (continua…)

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martedì, 17 marzo 2020

CENT’ANNI DI SOLITUDINE di Gabriel García Márquez (Leggerenza n. 18)

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L’incipit di Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez è oggi un crisma della letteratura di ogni tempo: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”. Un repentino balzo temporale in avanti seguito da un vertiginoso salto nel passato tra prolessi e analessi entro un’antinomia di sorpresa e nonsenso che accosta inopinatamente il plotone di esecuzione e il ghiaccio.
Una delle tante sorprese, in un romanzo nato in stato di grazia nella sola culla possibile, il Sudamerica del realismo magico, arriva quando l’autore dapprima rivela che Aureliano Buendia sarebbe morto di vecchiaia e successivamente narra come il colonnello fosse invece riuscito a scampare alla fucilazione. Si tratta di un andamento attentamente e argutamente studiato. In tutto il romanzo infatti l’ordine cronologico degli avvenimenti lascia sempre il posto a quello diacronico in un vorticoso rovesciamento diegetico nel quale non solo l’esito di una vicenda anticipa anche di molto il suo svolgimento, ma la stessa successione degli eventi risponde agli scarti propri di una mossa del cavallo, favorendo svolte impresagite e risultati d’effetto. Quando per esempio Aureliano Buendia dichiara che non sono tempi per pensare ai matrimoni, il lettore non immagina quali siano i tempi certamente drammatici che facciano da impedimento agli eventi più lieti fin quando García Márquez non dà conto dell’adesione di Aureliano al partito dei liberali in guerra contro i conservatori: ponendo peraltro in questo modo la questione pubblica come prioritaria rispetto a quella privata e offrendo altresì una ulteriore bipolarità che sotto traccia lega la storia di una famiglia e di una comunità che cresce attorno ad essa ai destini di un Paese travagliato dai torbidi della guerra civile. (continua…)

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lunedì, 24 febbraio 2020

SE QUESTO È UN UOMO di Primo Levi (Leggerenza n. 17)

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Scomparsi quasi tutti i sopravvissuti della Shoah, non resta che la memoria scritta a ricordare lo sterminio nazista, per modo che Se questo è un uomo di Primo Levi appare sempre più quello che il suo autore voleva che fosse: una testimonianza documentale di denuncia degli orrori dell’olocausto, un libro di storia dal vivo del Lager che, inteso a far conoscere al mondo il suo inferno, risulta autonomo rispetto al secondo titolo di venti anni dopo, La tregua, che contiene il racconto del ritorno e ne costituisce il seguito, quando il Lager è ormai alle spalle: giacché è proprio il Lager il motivo di interesse di Levi, che rivelandone le atrocità combatte la sola battaglia che il popolo ebraico abbia ingaggiato contro il Reich. Vincendola e continuando tutt’oggi a vincerla.
In un recidivante clima di negazionismo qual è quello attuale, questo libro così poco saggio e così poco romanzo, originale per l’estemporaneità del dettato che narra e riflette allo stesso tempo, adduce infatti una tale mole di dati di fatto da formare l’atto di prova più inattaccabile circa l’esistenza dei forni crematori e l’atto di accusa più granitico sulla vita quotidiana all’interno della Buna, il campo di concentramento nazista di Monowitz sorto da una fabbrica di gomma dove Levi fu tenuto prigioniero per un anno prima della liberazione. (continua…)

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venerdì, 17 gennaio 2020

LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di Carlo Collodi (Leggerenza n. 16)

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La storia di un burattino (primo titolo delle Avventure di Pinocchio) appare a puntate sul supplemento per bambini del “Fanfulla” nel biennio in cui, tra il 1881 e il 1882, è ambientata l’altra storia scolaresca a sfondo pedagogico raccontata anni dopo da Edmondo De Amicis in Cuore. Il periodo è quello della deprecatio temporum che coglie la cultura nazionale di fronte all’Italietta postunitaria chiamata a darsi un futuro e ad offrirlo innanzitutto alle generazioni più giovani ammaestrandole al bene e istruendole al rispetto della legge e dello Stato. Carlo Lorenzini (che una distorsione storica ha mutato, benché fiorentino dalla nascita, in Carlo Collodi, derivando il cognome dal paese della madre alla quale era morbosamente legato) scrisse quelle che in volume sarebbero diventate nel 1883 Le avventure di Pinocchio in preda a un doppio risentimento: generale per le deludenti sorti dell’Italia ben poco magnifiche e progressive, nonché di Firenze non più capitale da dieci anni, e personale per la misera vita solitaria condotta da celibe a stecchetto, tra grandi ubriacature, insuccessi di scrittore e sfortunate serate al tavolo di gioco. (continua…)

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sabato, 21 dicembre 2019

L’ULTIMO DEI MOHICANI di James Fenimore Cooper (Leggerenza n. 15)

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All’origine del western c’è James Fenimore Cooper, che non inventò il Far West né il mito della frontiera ma inaugurò un’epopea, quella dei pellirossa e dei visi pallidi, durata fino a quando il politically correct non ha equiparato quelli a questi e decretato il tramonto non solo dei film spaghetti western ma di un modello culturale ispirato a un mondo wilderness figlio dell’uomo di natura rousseauiano. Cooper (del tutto ignorato da Elio Vittorini nella sua antologia Americana, disprezzato da Mark Twain e considerato tutto sommato un malriuscito Walter Scott americano frammisto al più facilone Honoré de Balzac) pubblica il suo principale romanzo nel 1826, quando nessun autore si è ancora accorto in America dei pellirossa se non chi, come Washington Irving, ne ha tratteggiato i costumi osservandoli però con gli occhi antropologici dei coloni europei, olandesi in particolare. Quando Cooper scrive L’ultimo dei Mohicani, il West è ancora una frontiera non molto lontana dal Mississippi, una terra fatta di trail per carovane guidate da settlers puritani ancora poco addentro alle sconfinate praterie dell’Ovest. Eppure – ed ecco il fatto veramente nuovo – in Cooper il West c’è già come oggi lo conosciamo, ma innestato nell’Est, lungo l’Hudson, tra lo Stato di New York e il Canada. (continua…)

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lunedì, 2 dicembre 2019

I TRE MOSCHETTIERI di Alexandre Dumas (Leggerenza n. 14)

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Il più tradotto romanzo francese di sempre, del genere cappa e spada ma prima ancora storico e sociale, costituisce il migliore modello sul quale misurare il feuilleton, che nell’Ottocento serviva gli scopi dell’attuale serie Tv e che in Alexandre Dumas toccava anche punte spaghetti western. Capolavoro di ingegno letterario e di superficialità narrativa, I tre moschettieri è l’esempio di romanzo di consumo e intrattenimento che oggi diremmo del tipo di Camilleri. Diverte, annoia, emoziona, spinge ad abbandonarlo e poi a riprenderlo, ma di certo non lascia indifferenti. È un libro che letterati del passato e del presente, da Massimo Bontempelli a Benedetto Croce, da Umberto Eco a Pietro Citati, per restare in Italia, hanno amato rileggere anche a distanza di molti anni, attratti dal suo mistero che generazioni di critici di tutto il mondo non sono riusciti a svelare e che fonda forse la sua grandezza. (continua…)

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lunedì, 25 novembre 2019

IL PROCESSO di Franz Kafka (Leggerenza n. 13)

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Sorprende come nel 1915 un giovane praghese di 32 anni possa sentire più urgente la questione della giustizia che non l’orrore della guerra e scrivere un romanzo che non completa e non pubblica a ridosso di un altro appena uscito su un motivo ancora più elusivo qual è la perdita d’identità fino alla mutazione genetica. Il processo, uscito solo nel 1925, è un romanzo più escapista che disforico: l’autore sfugge il suo presente per sottrarsi alla realtà ma si ferma nei dintorni inestricabili e omologhi di un tema che tuttavia sottende un significato di giustizia da intendersi anche nel senso di giustizia umana, quindi di pace sociale. Nell’arresto immotivato e senza un perché di Josef K. (dove l’iniziale adombrerebbe l’autore) traluce l’insensatezza di una “guerra europea” che viene sostenuta e combattuta con lo stesso animo dell’accusato sottoposto a un processo privo di un’accusa, da vincere ma senza chiedersi il motivo per cui battersi e le cause che lo hanno determinato. Epperò invece della vittoria prevale via via la rassegnazione nel cui ambito la lotta contro la sopraffazione non è che una volontaria discesa agli inferi, tra disperazione e disumanità, non diversamente dal corso degli eventi bellici che culminano nella perdita di venti milioni di vite umane.
Il tisico Franz Kafka ingaggia la sua guerra personale e solitaria contro l’ingiustizia nel mondo immaginando non più un uomo che improvvisamente e irrazionalmente si trasforma una mattina in un ragno come Gregor Samsa in La metamorfosi, metafora delle incognite della vita e delle prospettive angoscianti che essa tende, ma supponendo un uomo – l’uomo contemporaneo messo di fronte all’assurdità di una guerra mondiale – al quale una mattina qualunque viene notificato un ordine di arresto (dunque, nel traslato, di sequestro della coscienza) per una colpa che però gli è taciuta, per modo che il fatto nuovo che cambia di colpo la vita non arriva più da un fenomeno naturale, quanto si voglia metafisico, bensì da una volontà umana ispirata a un criterio altrettanto stocastico di sorte funesta ma da comprendere anch’essa nell’ordine degli accadimenti possibili e quindi fisici. (continua…)

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martedì, 5 novembre 2019

LA COSCIENZA DI ZENO di Italo Svevo (Leggerenza n. 12)

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Si potrebbe per La coscienza di Zeno ripetere il famoso incipit di Giovanni Macchia nel commento alla Recherche, definita «la grande opera di un malato». Come Proust, anche Italo Svevo appartiene infatti a quella temperie primonovecentesca che scopre la malattia come tema letterario assieme alla morte, al mito dell’adolescenza, alla memoria, al transeunte del tempo, all’introspezione psicologica. Sono questi tutti motivi presenti nel romanzo triestino che con l’Ulisse di Joyce e appunto Alla ricerca del tempo perduto ha introdotto il “monologo interiore” e nel caso dello scrittore irlandese (amico peraltro di Svevo) il “flusso di coscienza”, quali mezzi stilistici ed espressivi più aggiornati per portare l’uomo del nuovo secolo al superamento del realismo ottocentesco e porlo davanti a se stesso dove scoprirsi preda di un mal-aimé da indurlo al cupio dissolvi e all’amor fati, sull’orlo dell’abisso aperto dalla perdita dell’identità personale e dell’aderenza alla realtà e davanti ai mostri della Grande guerra e alle illecebre freudiane dell’inconscio.
E La coscienza di Zeno è certamente l’opera di un malato: immaginario, si crede il narratore autodiegetico e tuttavia reale negli effetti, non tanto corporali quanto psicologici, che conseguono a uno stato di déracinément. Nel 1923, quando il libro esce, Joyce ha pubblicato da un anno il suo capolavoro mentre Proust è giunto al quinto volume della Recherche: è il tempo pieno in cui l’autore europeo del nuovo credo lascia al narratore di esprimersi in prima persona come se fosse sdraiato sul lettino dello psico-analista, la figura di medico che la nuova scienza ha proposto come deputata a indagare il lato sconosciuto della mente umana, seguendo la lezione di Freud che invita il paziente a non osservare, com’è stato in passato, nessi di causalità e regole di autocontrollo ma a dare libero corso al flusso dei pensieri affidandosi al precetto della spontaneità. Lo stream of consciousness nasce dunque in medicina e arriva in letteratura, dove La coscienza di Zeno si costituisce come un diario autobiografico che lo psico-analista prescrive al cinquantasettenne Zeno Cosini quale terapia al suo “male oscuro” (forse la depressione, la nuova malattia del secolo), rivolgendogli la famosa frase «Scriva! Vedrà come riuscirà a vedersi intero». Non gli chiede espressamente di fare uno sforzo di memoria per recuperare i ricordi dell’adolescenza e metterli per iscritto in salvo – la scrittura servendo nel nuovo clima culturale proprio a salvaguardia della memoria -, ma soltanto di scrivere liberamente di sé: cosa che Zeno fa cominciando da una tara inopinata e a confessare i tanti tentativi di liberarsi del fumo che giudica non un vizio ma una malattia. (continua…)

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mercoledì, 2 ottobre 2019

I FRATELLI KARAMAZOV di Fedor Dostoevskij (Leggerenza n. 11)

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L’ultimo grande romanzo di Fedor Dostoevskij, il più ambizioso, il più ricco e articolato, I fratelli Karamazov, richiede un lettore molto esperto e preparato, che sia il perfetto “lettore modello” immaginato da Umberto Eco. La complessità è tale che anche un’autrice avvertita come Elena Ferrante in L’amica geniale commette l’errore di considerare la parte relativa al processo la più avvincente perché aperta a entrambe le ipotesi di colpevolezza e innocenza, secondo se parli la pubblica accusa o la difesa dell’imputato, mentre in realtà il lettore sa già che l’assassino è stato Smerdjakov il cuoco e arriva al processo solo per aspettare il verdetto dei giurati. Che peraltro lo stesso Dostoesvkij anticipa quando all’inizio del dibattimento parla di «esito doloroso e fatale».
A ben vedere Dostoevskij non ha voluto un giallo, dove il responsabile si scopra canonicamente alla fine, ma un romanzo sociale e pure intimistico che poi diventa nella seconda parte, dopo l’arresto e con l’interrogatorio preliminare nella taverna di Mokroe, un legal thriller psicologico. Anziché il whodunit Dostoevskij ha cercato il whydunit, il perché del delitto invece di chi lo ha commesso. Il romanzo è di fatto una lunga interrogazione sul perché delle cose. Il giallo non c’è, altrimenti non si sarebbe avuta la confessione di reità del cuoco di Fedor Pavlovic, il padre ucciso, resa a Ivan Karamazov e soltanto a lui due giorni prima che metta in atto il proposito di suicidarsi. Morto il vero colpevole, Smerdjakov, rimane come unico testimone e depositario della verità il solo Ivan Fedorovic, dapprima convinto come la gran parte della responsabilità del fratello Dimitrj, ma poi pronto a riferire ai giurati quanto ha appreso da Smerdjakov, tanto da consegnare loro come prova i tremila rubli rubati in casa della vittima. (continua…)

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sabato, 21 settembre 2019

DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA di Miguel de Cervantes (Leggerenza n. 10)

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Nel proposito di beffeggiare e irridere i libri di cavalleria, Cervantes ne rilanciò in realtà il gusto sostenendone anche il successo a teatro, dove l’epopea dei cavalieri erranti riebbe nel Seicento vigore soprattutto in Spagna. Contrario a quella vena letteraria che dal dodicesimo secolo e almeno per quattro secoli fino all’Orlando furioso aveva soggiogato il pubblico europeo con uno smisurato profluvio di opere su celate e velate, Cervantes si rivelò piuttosto il più accanito lettore del genere post-stilnovistico in un’epoca in cui quella svenevolezza per la cavalleria medievale era però cessata e da almeno centocinquant’anni non si vedevano cavalieri armati e ancor meno erranti: ciò dopo la diffusione delle armi da fuoco il cui uso in battaglia metteva fine al coraggio e all’ardore del singolo combattente, tale che don Chisciotte, come lo stesso Orlando ariostesco, trova che possa essere abbattuto anche da una palla sparata da un codardo e biasima il proprio tempo per «la spaventevole furia di queste indemoniate macchine dell’artiglieria».
Occorre partire da qui per guardare alle suggestioni del Don Chisciotte: il cavaliere “dalla Triste figura”, poi ribattezzato “dei Leoni”, che depreca il presente e si vanta di aver riportato in vita «l’esercizio della cavalleria di ventura ormai dimenticato» e il suo autore che condanna il lungo passato credulo e ingenuo ma dà un’opera che infiamma il tempo in cui vive proprio della seduzione per un genere letterario che con lui risorge anziché tramontare. Tuttavia il trasporto di Cervantes per le storie di fantasia, picaresche e di cappa e spada, non è tanto rivolto a un genere quanto alla letteratura in sé nel cui spirito parteggia dunque per le ragioni di don Chisciotte che, rendendo vera e reale l’epica romanzesca, si dichiara convinto della storicità dei cavalieri erranti esaltati nei libri di cavalleria e perciò della verità della letteratura. In un vertiginoso gioco combinatorio, in sostanza, Cervantes dà credito e fondamento alla letteratura, come mimesi aristotelica e fonte di riproduzione della realtà, immaginando un personaggio convinto dell’esistenza dei cavalieri romanzeschi di ventura, da Lancillotto ad Amadigi di Gaula, e quindi pazzo: di quella pazzia che è però epifanica della verità. (continua…)

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lunedì, 2 settembre 2019

ROBINSON CRUSOE di Daniel Defoe (Leggerenza n. 9)

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Il naufragio di Robinson Crusoe è il più desiderabile, tale da poter essere considerato l’antecedente storico delle odierne trasmissioni Tv di survival dove i concorrenti sono chiamati ad affrontare prove di sopravvivenza nella certezza di ogni comfort. Robinson capita in un’isola lussureggiante, ricca di acqua e di risorse, priva di belve feroci e di ogni tipo di insidia naturale, dotata di un clima tropicale che la preserva dal freddo, tanto grande da potere essere percorsa a piedi e comodissima per le numerose opportunità che offre, compreso un terreno dove coltivare addirittura il grano. Non solo: ha l’impagabile fortuna che la nave naufragata si areni con tutto il suo carico a portata di zattera e che una seconda nave faccia la stessa fine e gli consenta così nuovi approvvigionamenti. Ha armi e polveri con cui cacciare, derrate alimentari, conserve, liquori, utensili, tessuti, vestiti e ogni altro mezzo necessario a chi debba vivere in un luogo non antropizzato: ciò che non riesce ai naufraghi spagnoli finiti in un’isola vicina e, perché privi di tutto, soggetti al dominio dei selvaggi in un impronosticato rovesciamento di poteri.
Un naufragio tipicamente inglese quello di Robinson che piacque infatti molto ai connazionali di Daniel Defoe, determinato a mettere i lettori di fronte alla natura meno minacciosa e oscura, anzi la più irenica ed edenica, testimoniale della creazione divina. L’autore che, esattamente trecento anni fa, inaugurò il romanzo moderno come oggi lo conosciamo intese non terrorizzare i lettori britannici rappresentando l’incubo di una morte lenta e inesorabile che giungesse per le privazioni indotte dalla forza primordiale della natura, ma al contrario volle dimostrare loro quanto la stessa natura risulti benigna all’uomo che si affidi alla Provvidenza. Il tema al centro del dibattito filosofico settecentesco circa lo “stato di natura” nel quale l’uomo sia visto agire senza i condizionamenti moderni viene da Defoe affrontato con un romanzo che, indulgendo a un tono a volte predicatorio e un po’ quaresimalista, più esattamente intriso di quel puritanesimo che l’autore professò in atteggiamento anti-cattolico, dà una risposta soterica nella prospettiva di una salvezza celeste e di una regolazione cosmica del destino umano che guarda non allo stato di natura illuministico come esperimento teista delle qualità innate nell’uomo, ma alla natura dell’uomo nel rapporto di scambio con Dio. «Invocami nel giorno del dolore e io ti libererò e tu mi glorificherai» è il passo biblico che Robinson assume come un credo nelle proprie azioni e motivo della sua condizione.
(continua…)

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martedì, 13 agosto 2019

IL GRANDE GATSBY di Francis Scott Fitzgerald (Leggerenza n. 8)

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Considerato, secondo i diversi aspetti, un romanzo sentimentale (dell’amore inesausto e inappagato), utilitaristico (del bene individuale che si ottiene col successo economico), fatalistico (del caso che decide il destino comune), sociale (degli scontri di classe in un tempo di insorgenza del socialismo), oblomoviano (dell’inettitudine esistenziale), libertario (della licenza dei costumi e della permissività etica), Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald è tutto questo insieme, ma la sua vera natura letteraria rimane un rebus. Trattandosi anche di un poliziesco, giacché conta un suicidio, due morti ammazzati e qualche altro solo ipotizzato (l’omicidio misterioso imputato a Gatsby), il romanzo uscito nel 1925 – con un modesto riscontro di pubblico invero, a motivo forse della sua poliedricità – sembra echeggiare un genere americano, l’hard boiled, che è di largo seguito negli anni Venti, e nello stesso tempo evoca il gusto per l’introspezione interiore, retaggio del Primo Novecento europeo e modello portato alla massima espressione da Henry James, del quale infatti Fitzgerald è ritenuto il legittimo successore, anche per la sua vita divisa tra un continente e l’altro.
Sospeso perciò tra psicologismo e crudo realismo, Il grande Gatsby si serve di un fondo evanescente e ancipite che è forse il suo elemento costitutivo e nel quale si riconoscono, in un’epoca che ha appena superato i traumi della Grande guerra, da un lato l’amor fati proprio della coscienza europea di inizio secolo e da un altro, in un ben diverso spirito, l’età del jazz e dei telefoni bianchi, del benessere sociale e del banausismo sfrenato di un’America che corre ignara verso la crisi del ’29. Il romanzo si situa a metà e sembra tenersi come in bilico tra due crinali, sottendendo uno stato di precarietà nel quale va anzichenò visto un miracolo di equilibrismo. (continua…)

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domenica, 26 maggio 2019

CONVERSAZIONE IN SICILIA di Elio Vittorini (Leggerenza n. 7)

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Non si comprende oggi Conversazione in Sicilia se non si torna al 1937 quando Elio Vittorini comincia a scrivere il suo capolavoro che dall’anno dopo uscirà a puntate su “Letteratura” e nel 1941 in volume, costituendo con il concomitante Don Giovanni in Sicilia di Brancati il primo romanzo che mira al cuore del fascismo. Sono gli anni ruggenti del consenso di massa al regime, sebbene all’orizzonte comincino a profilarsi nubi di guerra, e in Spagna è appena cessata la guerra civile. Vittorini ha 29 anni ed ha interamente completato quello “scarico di coscienza” avviato nel ’29 e durato fino al ’36, quando rompe con il fascismo e viene espulso dal partito, decisiva rivelandosi proprio la guerra franchista.
Il 1936 è l’anno nel quale Vittorini ripudia Il garofano rosso, romanzo ispirato a un sentimento del “fascismo di sinistra” – del fascismo inteso come aggettivo e non ancora come sostantivo – che lo ha portato, attraverso Alessio Mainardi, a sentirsi rivoluzionario, ma anche a vagheggiare di essere màs hombre. Scaricata finalmente la coscienza anche delle influenze strapaesane di Malaparte, dal quale era rimasto soggiogato, non si libera però da una febbre che lo smania. Sente di essere chiamato a “nuovi doveri”, diversi da quelli che hanno infiammato la sua adolescenza, e avverte l’aria di un’offesa portata al mondo alla quale si addice a dare riparo scrivendo appunto Conversazione in Sicilia, il libro che su tutti gli altri riconoscerà come il suo più proprio. (continua…)

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domenica, 5 maggio 2019

L’ISOLA DEL TESORO di Robert Louis Stevenson (Leggerenza n. 6)

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Per essere un romanzo destinato ai ragazzi, L’isola del tesoro conta troppi morti ammazzati e molti in circostanze volute per suscitare impressione. Il fondo splatter non aduggia tuttavia un libro che, come gli omologhi ambientati in un Settecento aperto alla conoscenza e alla Wilderness (da Robinson Crusoe a I viaggi di Gulliver a L’isola misteriosa, tutti intesi a esplorare il mondo, trovare terre nuove e isolate, mettere alla prova il coraggio e lo spirito di avventura), è un classico che offre ad ogni età e ad ogni rilettura nuove suggestioni. Letto da ragazzi, ci si identifica con Jim Hawkins, il giovane protagonista e io narrante, impavido e simpatico, mentre da adulti sono altri i motivi di interesse: i rapporti di forza tra il “partito della cabina” e quello della tolda, i rovesciamenti di ruolo, la condotta dei pirati, la caccia al tesoro sepolto, la morfologia dell’isola che Robert Louis Stevenson descrive nei dettagli, in ogni anfratto e ansa, nelle caverne e nelle colline, tanto da farsi a volte dispersivo e stucchevole solo per riuscire più credibile.

(continua…)

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domenica, 28 aprile 2019

IL GATTOPARDO di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Leggerenza n. 5)

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Senza il pregiudizio ideologico apposto dalla critica di sinistra, sia accademica che militante, Il Gattopardo non sarebbe stato ricordato in chiave politica ma unicamente come romanzo storico, secondo le intenzioni del suo autore. Invece continua a gravare su di esso una doppia ipoteca reazionaria e riduzionista: la prima voluta da un’ottica aristocratica che non vede né il progresso né i proletari, ma solo la conservazione di un retaggio di casta; la seconda imposta da un gurgite sicilianista che, secondo Sciascia, porta Tomasi a comprendere i mali della Sicilia come “vizio di astrazione geografico-climatica” che ne ricondurrebbe la causa essenzialmente al tormento del caldo torrido, indicato invero dall’autore quale “autentico sovrano della Sicilia”, “collera divina”, “grande lutto”, “maledizione annuale”, segno di cattiva giornata.
Astrazione che è però anche storica nella rappresentazione della Sicilia che il principe (offrendo la miglior prova di sicilianismo) fa a Chevalley, da un lato con l’imputare alle dominazioni straniere le gravi condizioni sociali dell’isola e da un altro con il deplorare le caratteristiche endemiche dei siciliani che amano il sonno, condannano il fare e si credono il sale della terra. In questo quadro le critiche al romanzo sono fondate, perché Il Gattopardo non concede scampo alcuno alla “irredimibilità” (termine coniato da Tomasi e fatto proprio da Sciascia) della Sicilia, strozzata in un’impossibilità di sviluppo che è anche un arroccamento volontario. Il romanzo storico cui per anni, almeno dal referendum costituzionale, pensa l’autore palermitano è inteso a celebrare i fasti di una classe sociale per millenni al potere allo scopo di intonarne il de profundis: alla ricerca delle cause del declino, Tomasi trova che i primi segni di cedimento della aristocrazia siciliana si siano avuti in occasione della campagna di Garibaldi: evento al quale la Sicilia assiste in un’accidiosa insipienza, incapace anche di formarsi un’opinione condivisa. (continua…)

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domenica, 14 aprile 2019

LO STRANIERO di Albert Camus (Leggerenza n. 4)

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Alberto Moravia nel 1929 con Gli indifferenti, Jean-Paul Sartre nel ‘34 con La nausea e Albert Camus nel ‘42 con Lo straniero hanno interpretato, lungo una stessa stagione e rilanciando temi sveviani e joyciani primonovecenteschi, l’inquietudine esistenzialistica nelle forme rispettivamente dell’insensibilità, dell’isolamento e dell’assurdo. Il romanzo di Camus richiama quello di Moravia per l’insensatezza di un omicidio qui solo maldestramente tentato e lì consumato senza ragione, mentre si accorda a quello di Sartre per il fondo di diario filosofico condiviso con quello narrativo.
L’incipit – «Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so» – è spia infatti di un diario quotidiano che però diventa subito racconto, reso al passato prossimo, di fatti ricordati anziché annotati, ma mantiene la sua natura di riflessione filosofica sul significato delle azioni umane anche quando, all’inizio dell’ultimo capitolo, il tempo della narrazione coincide di nuovo con quello della scrittura – sicché leggiamo dell’incontro con il prete: «Non ho niente da dirgli, non ho voglia di parlare e dovrò comunque vederlo presto» – e quando soprattutto nell’intensissimo desinit così l’autore si congeda: «Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio». (continua…)

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domenica, 7 aprile 2019

IL NOME DELLA ROSA di Umberto Eco (Leggerenza n. 3)

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Quasi quarant’anni dopo, in una stagione letteraria che ha voltato le spalle al postmoderno sotto la cui stella fu concepito, Il nome della rosa di Umberto Eco conserva ancora la sua fragranza, ma si offre a uno sguardo diverso in ciò, che è stato non soltanto artefice del ritorno del romanzo storico in Italia dopo I promessi sposi e Il Gattopardo, le due prove più significative, ma propugnatore soprattutto di un genere inusitato qual è il romanzo storicistico: non più l’ambientazione in un determinato periodo assunto come scenario, bensì la compenetrazione in esso negli effetti che i rivolgimenti storici causano sulle vicende umane e sulle altre discipline, a cominciare dalla teologia.
Eco non si limitò a calare i fatti narrati in un contesto d’epoca, operando – come scrisse nelle “Postille” del 1983 – alla “costruzione del mondo”, ma si impegnò da  medievalista a ricostruirli, lavorando quindi anche alla “progettazione” dello stesso mondo: nella durata di sette giorni spiegò l’anno 1327 interpretando un’intera stagione e – portando il macrocosmo della storia euopea sul piano del microcosmo di un’abbazia montana posta in un’imprecisata zona del Novarese – illustrò come lo spirito del tempo influenzasse le dinamiche umane. Un’operazione storicistica di alta chirurgia letteraria perché, per tenersi rinserrato nella cinta dell’abbazia, Eco non si fece tentare dalla facile centrifuga dei grandi eventi del momento, rappresentati dalle gesta dei Templari, solo da quindici anni messi al bando e ghiotta materia esoterica lasciata appena in filigrana, né dalla febbre riviviscente delle Crociate e neppure dalla morte cinque anni prima di Dante Alighieri. E volle immaginare un’abbazia benedettina, cluniacense perché autonoma da tutte le altre, per tenersi a ridosso della congregazione dei post-dolciniani, da una ventina d’anni sterminata ma rimasta fomite di associazioni ereticali storicamente attive nella zona tra Novara e Vercelli, dei “fraticelli”, l’ala fondamentalista e massimalista dei francescani “spirituali”, come pure dei “patarini”, dei “bogomili” e dei vicini “catari”. (continua…)

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domenica, 31 marzo 2019

MADAME BOVARY di Gustave Flaubert (Leggerenza n. 2)

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Mezzo secolo dopo l’affermazione dei princìpi della Rivoluzione francese, l’idea di libertà – perlomeno riferita a quella di espressione – era ancora in discussione se un romanzo come Madame Bovary doveva affrontare un processo per oltraggio alla morale pubblica e religiosa oltre che ai buoni costumi. Il romanzo di Gustave Flaubert venne assolto solo per insufficienza di prove, più precisamente perché i brani sotto accusa costituivano una parte molto ridotta rispetto alla mole del romanzo, tuttavia il tribunale imperiale comminò “un biasimo severo” all’autore richiamando la letteratura e gli artisti in genere al dovere di non rappresentare il vizio ai fini di una buona educazione sociale. Vizio che specificamente era da vedere nell’adulterio: da parte almeno del potere giudiziario di uno Stato nondimeno rifondato sui crismi della massima libertà anche di giudizio, epperò convinto che «missione della letteratura debba essere quella di ornare e ricreare lo spirito elevandone l’intelligenza ed epurandone i costumi più ancora che di divulgare il disgusto del vizio offrendo il quadro dei disordini che possono esistere nella società». (continua…)

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domenica, 24 marzo 2019

I MALAVOGLIA di Giovanni Verga (Leggerenza n. 1)

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Com’è facile intuire, il titolo di questa rubrica mutua il verbo “leggere” e il sostantivo “gerenza”, che indica l’assunzione di responsabilità da parte del direttore di un giornale: per dire che, trattandosi di libri (in questo caso di romanzi, dove l’opinione conta più del postulato), i giudizi espressi non saranno che miei, quindi del tutto discutibili. Il proposito è di leggerne alquanti (più esattamente si tratta di rileggere, riguardando sempre capolavori ben noti), scegliendoli – anche questo personalmente e dunque discrezionalmente – dalla mia libreria: dove non c’è stato mai verso di ordinarli secondo qualche criterio, districati in quella confusione che tuttavia procura il sottile piacere di ritrovare libri dimenticati. Per modo che sarà un po’ il caso a scegliere i libri tra quelli che ho amato, a formare così un mio canone. Ognuno ha il suo, s’intende, e nessuno è preferibile a un altro, ma dal momento che molti libri figurano in molti canoni, ne deriva che per somme linee condividiamo un’unica grande biblioteca. La nostra: di contemporanei, di occidentali e perché no di italiani.

Un romanzo che vale riaprire e dal quale vale certamente partire è I Malavoglia, magari dopo una visita ad Acitrezza e una capatina a Casa Verga, a Catania. Se ne avrebbe motivo per chiedersi lì perché Acitrezza e qui quali libri lo scrittore leggesse. Una duplice domanda intrecciata che sbriga la questione se I Malavoglia fu davvero il frutto di una geniale ispirazione che improvvisamente colse Verga. Non lo fu. Già Carmelo Musumarra, italianista catanese e autorevole verghiano, scriveva che «Verga non dev’essere considerato come un fenomeno, ma soltanto come il risultato di un lungo processo evolutivo». Il fenomeno riguarda ovviamente I Malavoglia. Che Natalino Sapegno definisce «la scoperta più intelligente e feconda della nuova letteratura italiana» mentre Pietro Citati parla di «scoperta intellettuale» e del paradosso che coglie Verga: «Non aveva mai conosciuto l’intelligenza e fu salvato dall’intelligenza». Un’intelligenza ben poco feconda, in verità, perché il capodopera verghiano rimase un episodio mentre il verismo infiammò le lettere il tempo che sulla scena nazionale, voltando lo sguardo dalla società ai salotti e su sé stessi, apparissero i modelli decadentistici di Pirandello, Svevo e D’Annunzio. (continua…)

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sabato, 23 marzo 2019

LEGGERENZA – Tutte le puntate

imagen. 1: “I Malavoglia” di Giovanni Verga

n. 2: “Madame Bovary” di Gustave Flaubert

n. 3: “Il nome della rosa” di Umberto Eco

n. 4: “Lo straniero” di Albert Camus

n. 5: “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

n. 6: “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson

n. 7: “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini

n. 8: “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

n. 9: “Robinson Crusoe” di Daniel Defoe

n. 10: “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes

n. 11: “I fratelli Karamazov” di Fedor Dostoevskij

n. 12: “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo

n. 13: “Il processo” di Franz Kafka

n. 14: “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas

n. 15: “L’ultimo dei Mohicani” di James Fenimore Cooper

n. 16: “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi

n. 17: “Se questo è un uomo” di Primo Levi

n. 18: “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez

n. 19: “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni

n. 20: “Moby Dick” di Herman Melville

n. 21: “La peste” di Albert Camus

n. 22: “Argo il cieco” di Gesualdo Bufalino

n. 23: “Le anime morte” di Nikolàj Vasìl’evič Gogol’

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martedì, 5 febbraio 2019

LEGGERENZA: i grandi libri da riaprire (a cura di Gianni Bonina)

imageA partire dal 24 marzo 2019, una nuova rubrica dedicata ai grandi classici della letteratura curata da Gianni Bonina

[Tutte le puntate di Leggerenza sono disponibili cliccando qui]

(continua…)

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lunedì, 20 giugno 2011

L’E-BOOK E (È?) IL FUTURO DEL LIBRO

Vorrei riprendere la discussione sull’e-book già avviata a partire da questo post, offrendo come spunto per ulteriori riflessioni (e per un approfondimento del dibattito) la pubblicazione di questo nuovo volumetto che ho realizzato per i tipi della piccola casa editrice “Historica” (disponibile, ovviamente, anche in formato elettronico). Il titolo è già un punto di domanda: “L’e-book e (è?) il futuro del libro”.
L’intento non è quello di fornire approfondimenti tecnici sull’e-book, ma di divulgare opinioni emotive sull’argomento. Per far ciò ho coinvolto alcuni tra i più rappresentativi addetti ai lavori del mondo del libro – scrittori, editori, editor, critici letterari, giornalisti culturali – che hanno gentilmente messo a disposizione il loro parere (da qui il sottotitolo…).
Ho chiesto loro di ragionare sul “fenomeno e-book” ed esprimere un’opinione facendo riferimento alle seguenti domande: Cosa ne pensa dell’e-book? Come immagina il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie? E cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?
Dopo una parte introduttiva sulla evoluzione del libro elettronico e sugli e-book readers, e dopo una sintetica analisi di mercato, questo piccolo volume offre le “opinioni emotive” sull’e-book fornite da: Roberto Alajmo, Marco Belpoliti, Gianni Bonina, Laura Bosio, Elisabetta Bucciarelli, Ferdinando Camon, Daniela Carmosino, Antonella Cilento, Paolo Di Stefano, Valerio Evangelisti, Vins Gallico, Chiara Gamberale, Manuela La Ferla, Nicola Lagioia, Filippo La Porta, Gianfranco Manfredi, Agnese Manni, Diego Marani, Dacia Maraini, Daniela Marcheschi, Michele Mari, Raul Montanari, Antonio Paolacci, Romana Petri, Antonio Prudenzano, Giuseppe Scaraffia, Elvira Seminara, Filippo Tuena, Alessandro Zaccuri.

Vorrei coinvolgere nello sviluppo della discussione anche voi, proponendo come sempre alcune domande (e invitandovi a fornire la vostra risposta, se potete)…

1. L’e-book è davvero il futuro del libro?

2. Se sì, fino a che punto?

3. Che cos’è un libro: un supporto cartaceo, o il suo contenuto? O entrambi?

4. Tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su un e-book reader, quale dei due è… più libro?

5. Come immaginate il futuro dell’editoria e della letteratura tenuto conto del “peso crescente” delle nuove tecnologie?

6. Cosa ne sarà dei libri di carta? C’è il rischio che possano diventare “pezzi da collezione”?

7. Una diffusione “significativa” dell’e-book  potrebbe favorire l’incremento della lettura?

La discussione on line proseguirà – per chi potrà partecipare – alla Feltrinelli Libri e Musica di Catania (via Etnea, n. 285 ) giovedì 30 giugno 2011, alle h. 18.

Vi aspettiamo!

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare questo post di Lipperatura incentrato sull’attuale crisi dell’editoria determinata dal decremento della vendita dei libri (il post riprende un articolo pubblicato su Repubblica, con dichiarazioni di Marco Polillo – presidente dell’Aie – anche sul “fenomeno e-book”)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   207 commenti »

lunedì, 18 gennaio 2010

IL RITORNO DI STILOS

stilosSono particolarmente lieto di poter dedicare questo post a Stilos, noto magazine di libri e letteratura nato nel 1999 e diventato poi un quindicinale a diffusione nazionale. Dopo due anni di fermo, Stilos, ritorna in edicola. A dirigerlo sarà ancora il suo fondatore, Gianni Bonina, che ha trasformato il giornale in una rivista mensile di 148 pagine a colori e caratteristiche tecniche di alta qualità.
Mi piace sottolineare questa frase di Bonina: «in una stagione che ha segnato la chiusura di altre testate culturali e penalizza sempre più il mondo dei libri, Stilos vuole provare a dimostrare che, ovunque andrà, il mondo finirà sempre in un libro».
So che il ritorno in edicola di Stilos ha implicato (e implicherà) un grande sforzo economico. Ecco perché vi segnalo la possibilità di sottoscrivere un abbonamento al magazine (che peraltro comporta un risparmio sul prezzo di copertina).
Veniamo ai contenuti del magazine…
La compagine dei collaboratori è pressoché immutata (con i contributi fissi di Antonio Debenedetti, Andrea Di Consoli, Enzo Golino, Giuseppe Montesano…), ma l’interesse si è esteso anche, con rapide escursioni, a cinema, teatro, arti figurative e fumetti.
Ogni mese, inoltre, sarà scandito dall’appuntamento con le rubriche a tema libero di Benedetta Centovalli, Arnaldo Colasanti, Guido Conti, Andrea Cortellessa, Aurelio Grimaldi, Filippo La Porta, Giulio Mozzi, Sergio Pent, Silvio Perrella e Vanni Ronsisvalle.

Tra i vari collaboratori ci sarò anch’io. Nel primo numero troverete, infatti, una lunghissima e interessante intervista che mi ha rilasciato Melania G. Mazzucco sulla figura del pittore Tintoretto (in riferimento alla pubblicazione di questo suo romanzo e di questo suo saggio).
Tra le varie domande che ho posto a Melania, ci sono queste… che rivolgo anche a voi (con l’intento di avviare una discussione parallela a quella sulla rivista):

Esistono connessioni tra pittura e letteratura?

In cosa il pittore somiglia allo scrittore? E in cosa se ne differenzia nettamente?

A proposito, qualcuno di voi ha letto il romanzo “La lunga attesa dell’angelo” della Mazzucco (edito da Rizzoli)?

Una delle novità più rilevanti del ritorno in edicola di Stilos è la seguente: a ciascun numero sarà allegato un libro inedito in omaggio. Il primo sarà “Lo stivale di Garibaldi” di Andrea Camilleri, una gustosa parodia in dialetto siciliano di avvenimenti veri nella Sicilia postunitaria, illustrata da Piero Guccione.
Come in passato”, spiega una nota della società editrice, “Stilos intende privilegiare la letteratura e la nuova scena italiana, entro un impegno che auspichi il ritorno del libro al centro dell’interesse culturale e la sua riconsiderazione anche come strumento di impiego del tempo libero: contro le logiche del mercato, lo strapotere di televisione e telematica, le recrudescenze di tipo accademico, la riduzione dell’attività editoriale a fredda impresa speculativa”.
Credo che il ritorno in edicola di un magazine cartaceo di libri e letteratura meriti senz’altro di essere celebrato. Tanti in bocca al lupo a Stilos, dunque!

Massimo Maugeri

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AGGIORNAMENTO DEL 10 MARZO 2010: È USCITO IL N. 2 di STILOS

stilos-n-2Il numero di marzo di Stilos, il magazine culturale dedicato alla letteratura e alle arti, è in edicola con due omaggi: un testo inedito di Marcello Fois e una monografia su Leonardo Sciascia.

Stilos propone un testo teatrale di Fois per atto unico dal titolo Stanze. La pièce rappresenta il dramma di due sorelle che si ritrovano in una casa e fanno i conti con il loro passato. In un’intervista, inclusa nel libro, l’autore sardo ne spiega lo spirito surreale e intimistico.

Il supplemento di 32 pagine su Sciascia, il primo dei Quaderni di Stilos, raccoglie testi rari e dispersi nonché cinque lettere inedite a Gaspare Giudice (il biografo di Pirandello) più scritti dei maggiori studiosi di Sciascia, fra cui Claude Ambroise e Massimo Onofri.

La cover story del nuovo numero di Stilos è poi dedicata a tre esordienti under 30: Silvia Avallone con Acciaio (Rizzoli), Valentina Brunettin con I cani vanno avanti (Alet) e Paolo Piccirillo con Zoo col semaforo (Nutrimenti), che, da Nord a Sud, mettono sotto accusa il sistema sociale e la qualità della vita delle città in cui vivono. Completa il servizio sulla nuova scena un’intervista ad Alessandro D’Avenia, autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori).

In anteprima anche un brano del prossimo romanzo di Dario Voltolini dal titolo Foravia, in uscita da Feltrinelli a maggio.

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AGGIORNAMENTO DEL 10 APRILE 2010: È USCITO IL N. 3 di STILOS

stilos-n-3Il numero di aprile di Stilos, il mensile dei libri, è in edicola con allegato un inedito di Giancarlo De Cataldo, il celebre autore di Romanzo criminale.

Non so che farmene degli angeli è il titolo del romanzo breve inedito dello scrittore-magistrato di origini tarantine e abbinato a Stilos. Si tratta di un testo scritto nel 2000 a quattro mani con la moglie Tiziana Pomes. «Ispirato da fatti veri, di persone vere», come afferma lo stesso autore in un’intervista al termine del volumetto, il romanzo è costituito da un diario incrociato di due bambini che osservano il mondo enigmatico degli adulti giudicandolo e intervenendo per cambiarlo.

Stilos dedica la cover story di aprile a Georges Minois, storico francese e uno dei massimi esperti in tema di religione. Minois è autore del saggio Il libro maledetto (Rizzoli, 2010) che ricostruisce la secolare vicenda del libro De tribus impostoribus (che tutti conoscono sin dal medioevo ma che nessuno ha mai letto) secondo il quale Mosè, Gesù e Maometto sarebbero stati degli impostori.

All’ambito religioso riportano le altre tre interviste: ad Armando Torno, editorialista del Corriere della Sera, autore de La scommessa; a Sandro Mayer, vicedirettore di Dipiù e direttore di Dipiù Tv e TvMia, autore de La grande storia di Gesù; a Vito Mancuso autore de La vita autentica.

Stilos dedica inoltre un dossier ai libri che sulla mafia sono apparsi in Italia tra il 2009 e il 2010. In un’intervista, Antonio Laudati, magistrato, coautore insieme a Elio Veltri del saggio Mafia pulita, sostiene che «la mafia ha cambiato volto. È quella dei colletti bianchi, del business e delle imprese. È diventata una regola dell’agire civile», afferma Laudati nell’intervista e conclude affermando che «può essere sconfitta solo col contributo di tutti». Vincenzo Ceruso, palermitano, nel suo saggio Il libro che la mafia non ti farebbe mai leggere racconta l’evolversi della nuova mafia.

Stilos è distribuito nelle librerie Feltrinelli e in edicola sempre al prezzo di 4 euro. È facilmente acquistabile sul sito www.stilos.it dove è anche possibile sottoscrivere un abbonamento.

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AGGIORNAMENTO DEL 10 MAGGIO 2010: È USCITO IL N. 4 di STILOS

Giorgio Bocca: “Italiani e cattolici fascisti inconsapevoli”
Su Stilos di maggio un’intervista al giornalista scrittore di Cuneo

stilos-n-4Roma,  maggio 2010. “Gli italiani sono dei fascisti inconsapevoli o fascisticamente tracotanti. Altro che popolo sovrano”. A dirlo è il celebre giornalista e scrittore Giorgio Bocca in un’intervista rilasciata al magazine culturale Stilos, in edicola e nelle librerie Feltrinelli da mercoledì 5 maggio.

Per Giorgio Bocca “il fascismo è nel Dna degli italiani, anche tra i cattolici”. È lo j’accuse che nel suo ultimo libro Annus horribilis (Feltrinelli) Bocca rivolge “non tanto a Berlusconi che ho conosciuto bene sin da quando lavoravo con lui, ma agli italiani”. Infatti secondo il giornalista “per noi italiani la politica, come la religione, come la giustizia, come tutto, significa sopravvivere usando furbizia e volubilità”.

Bocca nell’intervista ricorda poi il suo passato al Guf senza fare politica e la guerra partigiana che definisce “una grande illusione”.

E la cultura? “È terribile la debolezza intellettuale degli italiani. La voce della cultura in questi anni è stata flebile, a meno di considerare cultura la voce di Di Pietro che grida”.

Si segnala, altresì:

  • Un’intervista a Erri De Luca nel sessantesimo compleanno e nel momento di suo massimo successo in Italia
  • Interviste a Emanuele Trevi, Sebastiano Nata, Domenico Starnone, Giorgio Bocca, Gillo Dorfles, Paolo Nori Pieter Aspe, Dan Fante, Preeta Samarasan
  • Una ricerca sul Cenacolo di Leonardo dal quale risulta una nuova anagrafe del genio fiorentino
  • Uno speciale sui nuovi pamphlet
  • Un servizio sulle prime edizioni più ricercate e la classifica secondo le loro quotazioni
  • Le rubriche di Benedetta Centovalli, Arnaldo Colasanti, Andrea Cortellessa, Antonio Debenedetti, Cesare de Seta, Aurelio Grimaldi, Filippo La Porta, Giulio Mozzi, Sergio Pent, Silvio Perrella, Vanni Ronsisvalle

Stilos è distribuito nelle librerie Feltrinelli ed è disponibile in edicola dal 5 maggio al prezzo di 4 euro. È facilmente acquistabile sul sito www.stilos.it dove è anche possibile sottoscrivere un abbonamento.

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AGGIORNAMENTO DELL’8 GIUGNO 2010: È USCITO IL N. 5 di STILOS

cover-stilos-giugno-010Nel numero di giugno di Stilos:
Esclusivo: Roberto Saviano si racconta a Gianpaolo Mazza che è andato a trovarlo nella residenza segreta dove si trova.
«Per me la televisione è fondamentale perché mi ha protetto e mi protegge fisicamente» – e ancora – «il meccanismo di protezione militare lo devo alla mia esposizione mediatica altrimenti, in un paese come l’Italia, sarei ignorato» – dice Saviano – e poi aggiunge: «Non ho la spocchia degli intellettuali di considerare la televisione sterco del demonio».
Gli scrittori più amati, quelli che lo hanno formato, le letture preferite;  e poi gli hobby, la musica, il cinema, Lionel Messi, la personale visione del mondo: dal suo nascondiglio segreto, l’uomo più ricercato dalle mafie parla a un inviato di Stilos di se stesso, un giovane che sta diventando velocemente adulto e che, nelle ristrettezze delle sue condizioni, vive al massimo delle possibilità. Un uomo che ragiona sul suo stato, sulla sua “fortuna”, sugli invidiosi, gli amici e i nemici. E tra i primi figura senz’altro Vincenzo Consolo, che racconta per la prima volta come conobbe Saviano molto tempo prima di Gomorra, e di come finì per “adottarlo”.

In allegato alla rivista: un inedito di Enzo Siciliano.
A quattro anni esatti dalla morte dello scrittore, Stilos lo ricorda pubblicando un suo inedito dal titolo Tournée, gentilmente concesso dalla famiglia Siciliano: l’originale è andato perduto, tuttavia la famiglia ne conservava una fotocopia e Stilos ha provveduto a pubblicare il testo, rimanendo fedele all’autore e rispettando le correzioni indicate a penna sul dattiloscritto. Atto unico con due soli personaggi, una coppia di attori che lavorano poco recitando piccole parti e conducendo una vita di povertà e ristrette che esasperano la loro relazione, è stato scritto nel 1984 e mai pubblicato, ma nello stesso anno fu tuttavia portata in scena in occasione del “Festival del Partito repubblican” di Perugia.

Nella rivista segnaliamo inoltre:
Zanzotto: “La mia poesia” : a Pieve di Soligo, il paesino trevigiano dove vive,  Andrea Zanzotto il massimo poeta italiano vivente, ha ricevuto il nostro Fabio Pedone per parlargli del suo mondo, del suo ultimo libro Conglomerati e della sua poetica.
Francesco Alberoni: “L’amore al tempo dell’equivoco”: è perché immaginare le peripezia si una storia d’amore che alla fine si risolve in un epilogo felice per cui si possa dire che gli innamorati vissero “felici e contenti”? Perché non fare in modo che felici e contenti lo siano sin dal primo momento? Alberoni parla a Stilos delle strategie meno esplorate dei sentimenti
Mario Capanna: Rivoluzione ragionata : un libro per riflettere sul Sessantotto: da rifarsi, dice l’ideologo della contestazione, ma stavolta ragionando, senza più scendere in piazza o alzare barricate.

Stilos, il mensile dei libri, è distribuita in tutte le Librerie Feltrinelli, nelle Librerie della catena “La Nuova Editrice Librerie” in Abruzzo e ad Ascoli Piceno, nelle edicole del Gruppo Edicolè, nonché nelle principali edicole del centro di ogni capoluogo di provincia d’Italia.

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AGGIORNAMENTO DEL MESE DI LUGLIO 2010: È USCITO IL N. 6 di STILOS

stilos-cover-di-luglioIl numero di luglio di Stilos è in edicola e in libreria.

La cover story è dedicata a un’inchiesta sui centocinquanta anni dall’impresa dei mille: prendendo spunto dalla recente pubblicazione del libro “Terroni” del giornalista Pino Aprile, viene raccontato il lato oscuro dell’annessione del Meridione al Piemonte.

Nella rivista:
• una lunga intervista a Nicolai Lilin, che rivela a Stilos il suo punto di vista sulla guerra e sulla letteratura.
• Sebastiano Vasssalli e Giancarlo Carofiglio parlano dei loro ultimi libri.
• Giulio Ferroni critica il panorama culturale ed editoriale italiano e definisce la televisione oggi “cattiva letteratura”.
• Tzvetan Todorov e la lectio magistralis tenuta al Salone del libro di Torino.

Come ogni mese, il numero è arricchito da numerose recensioni e dalle rubriche di Benedetta Centovalli, Arnaldo Colasanti, Andrea Cortellessa, Antonio Debenedetti, Cesare de Vita, Aurelio Grimaldi, Filippo La Porta, Giulio Mozzi, Raffaele Nigro, Sergio Pent, Silvio Perrella, Vanni Ronsisvalle.
La sezione dedicata all’arte propone un’intervista di Andrea Caterini all’artista siciliano Piero Guccione; mentre le pagine dedicati ai fumetti e alla graphic novel curate da Sergio Rotino, presentano tra le altre cose, una recensione al romanzo grafico Groenlandia Manhattan (ispirato a una storia vera) della francese Chloé Cruchaudet.

Stilos è distribuita in tutte le Librerie Feltrinelli, nelle Librerie della catena “La Nuova Editrice Librerie” in Abruzzo e ad Ascoli Piceno, nelle edicole del Gruppo Edicolè, nonché nelle principali edicole del centro di ogni capoluogo di provincia d’Italia.
La rivista è ogni mese in edicola al costo di 4 € ma è possibile sottoscrivere l’abbonamento annuale per riceverla comodamente a casa, con tutti gli allegati e con notevole risparmio economico.

Si segnala anche il nuovo blog dedicato a Stilos.

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AGGIORNAMENTO DEL MESE DI AGOSTO 2010: È USCITO IL N. 7 di STILOS

stilos-6Dopo “Lo stivale di Garibaldi”, un secondo romanzo inedito di Andrea Camilleri, “Il palato assoluto”, metafora del primato della vita comune su quella di successo.
La storia di Caterino Zappalà, che diventa famoso e ricco grazie alla sua dote naturale di garantire la genuinità dei pasti, e dunque di decretare la fortuna o la rovina di un ristorante, e il sogno di avere una vita normale come vorrebbe la sua Annarosa. Un apologo in tono di fiaba e un paradosso sui valori che contano di più.
Ancora sul numero 7 di agosto due servizi di forte attualità: le reazioni in Italia alla morte di Saramago dopo l’attacco dell’Osservatore Romano, e le polemiche di ritorno sull’ultimo Premio Strega.
Sull’opera e la figura del Nobel portoghese, Stilos ha raccolto le opinioni di decine di scrittori e critici, verificando quanto anche in Italia i libri di Saramago dividano le coscienze.
Sul più importante trofeo letterario nazionale, oltre a una panoramica storica sul Premio e le sue particolarità, le interviste a due editori “interessati”: Stefano Mauri del Gruppo Mauri-Spagnol e Raffaello Avanzini di Newton & Compton. Accuse senza risparmio da entrambi: il primo parla di “squilibrio” nella scelte della giuria e il secondo di “giochi sporchi”.
Da segnalare ancora le interviste alla coppia che si cela sotto lo pseudonimo di Lars Kepler, l’ultimo fenomeno scandinavo, a Eugenio Scalfari, Pierluigi Battista, Antonio Calabrò, Stefano Bartezzaghi, Enrico Palandri, Marco Risi e Marco Baliani.
Stilos offre, in esclusiva, due racconti di altrettanti autori di successo: Federico Moccia e Loriano Macchiavelli. L’autore caro alle teen agers racconta di un suo viaggio a Tavolara per incontrare il re dell’isoletta sarda, mentre il pioniere della scuola bolognese del giallo testimonia la vicenda delle mondine del suo paese di cui narra l’epopea.
Inoltre, un appuntamento per gli amanti della letteratura classica: una ricognizione delle opere che negli ultimi tempi si sono occupate di Proust; e dunque un ritorno al genio europeo del primo novecento.
E ancora: recensioni, le rubriche dei maggiori critici e intellettuali italiani e le incursioni nel mondo dell’arte, del cinema, del fumetto e della musica.
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Fonte: comunicato stampa della redazione di Stilos

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È IN EDICOLA E IN LIBRERIA IL N. DI SETTEMBRE di STILOS

stilos-settembreIn questo numero:

Milano non è più la cap­i­tale ital­iana della cul­tura.

Lo dicono a Sti­los scrit­tori come Vin­cenzo Con­solo e Cor­rado Sta­jano, intel­let­tuali come Anto­nio Fran­chini, edi­tor quali Elis­a­betta Sgarbi e Valentina Fortichiari.
Ricorda Con­solo: “Quanti arrivai ebbi modo di fre­quentare Qua­si­modo, Mon­tale, Vit­torini. In quel peri­odo era davvero la cap­i­tale della cul­tura. Per questo decisi di trasferirmi”. Critico Sta­jano: “L’impressione è che gli edi­tori milanesi non abbiano più la pas­sione di un tempo e siano diven­tati dei con­tabili”. Fran­chini non vede molto romanzi ambi­en­tati a Milano: “ Roma, Napoli e il Nord-Est pos­sono vantare una mag­giore pre­senza di scrit­tori. Sono aree prob­lem­atiche. E le aree prob­lem­atiche pro­ducono più arte di quelle di rel­a­tivo benessere”.
Inter­ven­gono in questo spe­ciale ded­i­cato a Milano anche Daria Big­nardi e Piero Colaprico.

Alle­gato omag­gio al numero di set­tem­bre La vera sto­ria del papiro di Artemi­doro di Luciano Can­fora. Dopo mostre, libri, con­vegni e una svari­ata quan­tità di arti­coli di stampa, la decen­nale dis­puta filo­log­ica e arche­o­log­ica circa l’autenticità o meno del papiro si arric­chisce adesso di un nuovo capi­tolo, che nelle inten­zioni dell’autore è quello defin­i­tivo. Ricostru­endo l’intera vicenda, dal suo ritrova­mento in poi, Can­fora, suf­fra­gato anche dalle con­clu­sioni di una super­per­izia fotografica e dalla tes­ti­mo­ni­anza di un fun­zionario di polizia che ha svolto accu­rate indagini, e avval­en­dosi soprat­tutto delle ultime acqui­sizioni cui è per­venuto, apporta nuove argo­men­tazioni alla sua tesi, sec­ondo la quale si tratta di un falso: con­trari­a­mente all’opinione di insigni stu­diosi anche stranieri che ne sosten­gono l’autenticità.

La cover story di questo numero è ded­i­cata a un’inchiesta sugli e-book e al futuro dell’editoria con inter­viste a Bruce Ster­ling, Gino Roncaglia, Giuseppe Granieri ed Ettore Bian­cia­rdi, esperti e intel­let­tuali non tutti con­vinti che per il libro, come oggi lo con­cepi­amo, sia già stato into­nato il de pro­fundis. Il punto sulle ricerche, la situ­azione del mer­cato inter­nazionale e delle librerie, le prospet­tive dell’immediato futuro: la guerra tra e-book e libro è giunta all’ultima battaglia.

Il numero di set­tem­bre con­tiene inoltre inter­viste a Carlo Lucarelli, Gian­carlo De Cataldo, Gad Lerner, Marco Travaglio, Per Olov Enquist, Dmitry Glukhovsky e Luc Ferry.
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È IN EDICOLA E IN LIBRERIA IL NUMERO DI OTTOBRE di STILOS

cover_ottobre_stilosGli intellettuali italiani di fronte alla politica e alla società. Franco Ferrarotti e Mirella Serri discutono della loro condizione oggi. Per Ferrarrotti «ciò che distingue l’intellettuale italiano è la sua ambiguità che deriva dalla sua storia e dalla sua evoluzione». Per la Serri in Italia esiste sì il dissenso ma è frenato «da una forte tradizione di conformismo intellettuale determinato soprattutto dalla televisione lottizzata e dai giornali che non sono indipendenti».
Dopo il pronunciamento di Gheddafi a Roma, ci si chiede se gli autori islamici che pubblicano in Italia non facciano già da anni opera di indottrinamento. Rispondono Tahar Ben Jelloun e Khaled Fuad Allam. «Io ragiono, non voglio convertire nessuno» dice Allam.
Roma oggi. Bella e insipiente? Che ne è stato della dolce vita, del bar Rosati, del caffè Greco? Ne parlano Corrado Augias, Luca Canali, Ascanio Celestini, Roberto Cotroneo, Antonio Debenedetti, Giancarlo De Cataldo, Elido Fazi, Rosetta Loy e Valerio Magrelli.
Un saggio inedito in Italia di Lásló Földenyi, il filosofo ungherese che si interroga sullo stato della cultura oggi in Europa giungendo alla conclusione che è stata sostituita dall’informazione e dal mondo delle immagini.

Un dossier dedicato alla grande letteratura straniera sconosciuta in Italia o dimenticata: otto tra i migliori traduttori italiani parlano di autori e libri assolutamente da tradurre o ritradurre.

In anteprima su questo numero di Stilos: “Il bambino che sognava i cavalli” di Piano Nazio (ed. Sovera) dedicato a una storia che ha inorridito l’opinione pubblica: l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo per mano della mafia con la più terribile delle esecuzioni: lo “scioglimento” nell’acido.
Pino Nazio, giornalista, inviato del programma di Raitre “Chi l’ha visto?”, da cronista di razza, ha ricostruito la vicenda grazie alla testimonianza del padre del bimbo, Santino Di Matteo e conduce il lettore in un mondo, quello di “cosa nostra”, in cui la legge della violenza miete vittime anche tra gli innocenti. Una docu-fiction, quella scritta da Nazio, in cui la realtà non conosce omissioni.

Inoltre:

Viaggio nel mondo dei cantautori italiani. Discutono Giorgio Conte, Eugenio Finardi, Federico Sirianni, Piji Siciliani, Gianmaria Testa e Mirco Menna.

Carlo Lucarelli parla a Stilos del suo brigadiere Leonardi, il personaggio da fumetto che torna dopo quasi vent’anni.

Ida Di Benedetto discute con Aurelio Grimaldi di cinema e attori. “Il più grande di tutti i tempi è Gian Maria Volontè”.

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È IN EDICOLA E IN LIBRERIA IL NUMERO DI NOVEMBRE di STILOS

copertina-stilos_novembreQuanto vale la letteratura oggi? E cos’è la letterarietà? E’ vero che un libro tanto è più letterario e tanto più difficile è piazzarlo sul mercato? Sergio Pent riflette su questi temi giungendo a conclusioni sconfortanti: la letteratura è diventata merce da supermercato e vale nel segno di quanto si è visto nella cerimonia di consegna del Campiello: Bruno Vespa che guarda e ammira la scollatura della Avallone. Ne parlano anche Luperini, Canali, Tesio e Manica, quattro critici di diversissima estrazione.
Le cronache continuano a sciorinare rivelazioni sul cosiddetto “patto” tra mafia e stato. Pochi sanno però che ancor più di Massimo Ciancimino, un ruolo centrale lo ha avuto un mafioso, Luigi Ilardo, che nel 1995 stette per consegnare Provenzano alla giustizia, ma gli apparati più enigmatici dello stato lo fermarono. La sua vicenda è ora raccontata in un libro, Il patto, scritto da Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci che Stilos ha intervistato, che costituisce il più aggiornato libro sulla mafia dal Dopoguerra in poi.

Altri apparati, altri intrighi. Sono usciti in concomitanza due libri che riguardano il Vaticano: uno (di Perluigi Nuzzi), Vaticano S.p.A., di indagine interna, sostenuta dall’archivio segreto di un prelato che ha voluto rendere pubblici i retroscena dell’attività dello Ior; l’altro (di Corrado Augias), I segreti del Vaticano, di riscoperta esterna dei tanti fatti e misfatti che dentro il colonnato di San Pietro, sono diventati storia rovente. Stilos ha intervistato entrambi gli autori per fare nuova luce sulla Santa Sede.

Dopo Roma e Milano è la volta di Torino. La vecchia e nobile capitale italiana, oggi una città in formidabile crescita, viene passata a rassegna, nei suoi aspetti prevalentemente culturali, da nove torinesi Doc e di importazione, da Baricco a Barbero. Ne viene fuori l’immagine di una regina colta nel suo massimo fulgore ma incapace di osare e sognare.

Nel numero di novembre interviste a Pietro Citati sul suo Leopardi, a Scurati, Romagnoli, Rankin, Schlesak, Fuentes, Russo, Di Ruscio, Lattanzi, Bianchi, Cibrario, Zanetti.
E ancora le sezioni dedicate ai fumetti (con un’intervista a Joe Sacco), al cinema (con uno speciale su Valerio Zurlini), all’arte (con un’intervista ad Andrea Fogli , un articolo di Massimo Raffaeli su un quadro che ha amato e un altro di Giuseppe Montesano sulla fotografa scandalo Nan Goldin) e alla musica (con un articolo di Toi Bianca sulla presenza della musica nella narrativa di genere oggi).

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È IN EDICOLA E IN LIBRERIA IL NUMERO DI DICEMBRE di STILOS

stilos-dicembreNel numero di dicembre di Stilos Pupi Avati parla con Aurelio Grimaldi di cinema, ma anche di se stesso dicendo che da molti suoi insuccessi ha tratto ragion per film fortunati.
“Non ho mai chiesto fondi ministeriali – ha dichiarato – perché uno che ha fatto quaranta film non può chiedere l’aiuto dello stato ma deve farcela da solo. La libertà la perdo solo se il pubblico non mi segue. Il mio ultimo film, Una sconfinata giovinezza, è andato male. So bene che affrontava un tema doloroso, ma mi aspettavo molto di più, ed è stata per me una profonda sofferenza, una delusione. E ora, progettando il prossimo film, ho dovuto accantonare un progetto a me molto caro perché “troppo difficile”, e dopo questo insuccesso non me lo posso permettere. Nel cinema, come nella vita, la libertà te la devi conquistare da solo”.
Stilos propone anche interviste ad Andrea De Carlo, Alessandro Piperno, Eraldo Affinati, Gianrico Carofiglio, Raffaele Nigro, Sandro Veronesi, Diego De Silva, Bret Easton Ellis, John Burnside e Karl Ove Knausgard.
E inoltre servizi sui poeti italiani under 35, una tavola rotonda su Napoli, un reportage dal paese natale di Saramago, una conversazione tra Tracy Chevalier e Massimo Ortelio, il suo traduttore italiano.
E come sempre ampi servizi, articoli e recensioni di arte, cinema musica, teatro e fumetti.

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È IN EDICOLA E IN LIBRERIA IL NUMERO DI GENNAIO di STILOS

cover-stilos-gennaioNel numero di gennaio la cover story di Vincenzo Ruggiero Perrino è dedicata ai crolli di Pompei, e venti scrittori dicono la loro sullo vergogna della gestione dell’area archeologica.
Sette anni dopo essere stata eletta “capitale europea della cultura”, Mara Pardini chiede a illustri cittadini e estimatori di Genova cosa pensano della città e se quel riconoscimento sia stato davvero un’opportunità di crescita e sviluppo.
Il recente Nobel a Mario Llosa riporta l’attenzione sugli autori latinoamericani e li scopriamo molto cambiati.
Stilos propone anche interviste ad Giancarlo De Cataldo, Enrico Remmert, Amara Lakhous, Riccardo Iacona e Giampaolo Pansa, Brunonia Barry, Gerard Roero di Cortanze, Federico Rampini.
E come sempre ampi servizi, articoli e recensioni di arte, cinema musica, teatro e fumetti.

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OMAGGIO A ZYGMUNT BAUMAN

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OMAGGIO A TULLIO DE MAURO

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RATPUS va in scena ratpus

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Ricordiamo VIRNA LISI con un video che è uno "spot" per la lettura

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"TRINACRIA PARK" a Fahrenheit ...

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