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venerdì, 1 dicembre 2017

STORIE (IN) SERIE n. 17 – Le eroine nelle serie TV

Copertina Addicted FRONTEStorie (in) Serie # 17

(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)

Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato alla omonima manifestazione “Storie (in) Serie” (in corso di svolgimento al Teatro Kismet di Bari). Come di consueto, l’articolo è curato da Carlotta Susca, da pochi giorni in libreria con il volume “Addicted. Serie tv e dipendenze” (LiberAria)

* * *

Le eroine nelle serie TV

di Carlotta Susca

Le protagoniste delle serie TV non hanno nulla da invidiare alla loro controparte maschile: in un momento storico in cui la parità di genere, benché lontana dall’essere effettiva in molti settori, è comunque un obiettivo scontato, le narrazioni audiovisive non solo ospitano donne protagoniste, ma sono anche in grado di conferire complessità ai personaggi femminili secondari.
Per il secondo appuntamento di Storie (in) Serie al Teatro Kismet di Bari, il focus è stato sulle eroine, ospite Ilaria Feole (redattrice di Film TV e autrice del saggio Wes Anderson: genitori, figli e altri animali, edito da Bietti). Come sempre la rassegna, multimediale sin dalla sua ideazione, alterna il commento alla proiezione di spezzoni tratti dalle serie TV: per introdurre l’appuntamento dedicato alle eroine, l’incipit è stato tratto da Game of Thrones, in particolare dall’episodio 4 della terza stagione in cui Daenerys Targaryen, madre dei draghi (e molto altro: i suoi epiteti sono lunghi ed elaborati), trae in inganno il suo interlocutore che la disprezza e ottiene un esercito in cambio della promessa – non mantenuta – di cedere il suo drago più grande («Un drago non è uno schiavo», si giustifica). Al comando «Dracarys», il figlio obbedisce alla madre incenerendo il suo avversario: seguono una battaglia e l’inquadratura dal basso di una vittoriosa stratega.

Dal kolossal fantasy tratto dall’universo di George R.R. Martin al parto della mente di David Lynch, di cui avevamo già parlato a proposito del potere delle immagini: Twin Peaks, tornato nel 2017 a ventisei anni dalla conclusione della seconda stagione, consegna allo spettatore il regalo di vedere finalmente Diane. Nelle prime due stagioni «Diane» era solo il nome a cui l’agente Cooper si rivolgeva registrando i suoi appunti riguardanti l’indagine sulla morte di Laura Palmer, la presenza di islandesi rumorosi al Great Northen Hotel, la bontà di caffè e torta di ciliegie. Con il revival del 2017, e annunciata dal commento dell’agente Rosenfeld (Miguel Ferrer, scomparso quest’anno) «So dove beve», Diane fa la sua straordinaria apparizione nel sesto episodio: inquadrata di spalle, Laura Dern, una delle muse di Lynch, si gira verso la telecamera. Il suo personaggio si rivela sboccato e coinvolto in una delle tante trame sulla moltiplicazione identitaria che costellano Twin Peaks, ma quell’apparizione, l’incarnazione di Diane, finalmente, condensa il personaggio in una figura reale, addirittura familiare e con un passato: quello dell’attrice in Inland Empire o in Wild At Heart (i cui riferimenti al Mago di Oz tornano nelle scarpe rosse di Diane).

Da questa eroina onirica si è passati alle rappresentazioni degli anni Ottanta, la nostalgica Stranger Things (con una protagonista bambina dotata di poteri sovrannaturali) e la patinata GLOW, in cui lo spettacolo delle donne wrestler intreccia rivendicazioni paritarie alla rappresentazione della Guerra Fredda sul ring (erano gli anni in cui Ronald Reagan tuonava contro «l’impero del Male»).

Eroine del quotidiano sono invece Diane Nguyen, la ghost writer di BoJack Horseman (qui la straordinaria sigla), che affronta il tema dell’aborto con un realismo degno di Raymond Carver, almeno nei contenuti (il disegno è invece improntato allo straniamento) e le protagoniste di Big Little Lies, fra cui Nicole Kidman, che rappresenta le violenze domestiche e i meccanismi psicologici di rimozione e negazione (perché nulla esiste davvero finché gli altri non se ne accorgono).

La distopia messa in scena in The Handmaid’s Tale, con lo sfruttamento della fertilità femminile in un patriarcato ottuso è tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood: i suoi personaggi femminili sono stati progressivamente abituati a subire violenze ma si riorganizzano – lentamente, con timore – per tentare almeno una rete di solidarietà. È la traccia di un’altra donna, incisa all’interno dell’armadio, a consegnare alla protagonista June (Elisabeth Moss, già in Mad Men) un motto: Nolite te bastardes carborundorum (“Non lasciare che i bastardi ti buttino giù”, in un latino maccheronico).

Eroine in cluster sono quelle di Sense8, la serie TV Netflix delle sorelle Wachowski e di J. Michael Straczynski: gli otto protagonisti hanno individualità definite da natura e cultura ma sono capaci di comprendersi coabitando nello stesso spazio mentale, per cui riescono a prestarsi abilità e pensieri.

Con l’elogio della connessione si è concluso l’appuntamento di Storie (in) Serie dedicato alle eroine. La rassegna a cura mia e di Michele Casella torna giovedì 7 dicembre al Teatro Kismet di Bari con Fabio Deotto (La Lettura – Il Corriere della Sera); l’appuntamento sarà a tema “Fantascienza: utopie, distopie, precognizioni”.
Qui l’evento su Facebook

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Sigle e video citati (e linkati) nell’articolo



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© Letteratitudine

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Scritto venerdì, 1 dicembre 2017 alle 16:38 nella categoria SERIE TV (e dintorni). Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

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