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Archivio del 3 marzo 2008

lunedì, 3 marzo 2008

LA DONNA CHE PARLAVA CON I MORTI di Remo Bassini

Il 12 settembre 2005 lessi questo articolo di Piero Colaprico pubblicato su Repubblica.it.

Vi riporto l’incipit.

Sarà stata un’intuizione. O forse sarà davvero che esiste una medium che ascolta con le proprie orecchie le voci dei morti. Ma non c’è dubbio che ieri mattina, molto presto, una donna di 55 anni abbia guidato un corteo di subacquei sulla riva del lago di Como e abbia detto: “E’ qui”. E là c’era davvero l’auto, inabissata, di una trentenne scomparsa da tempo. Un robot con telecamera ne ha letto la targa. La stessa telecamera ha inquadrato l’interno, ed ecco il giubbotto beige. Ogni dubbio è sparito e questa mattina si cercherà di recuperare quello che resta di Chiara Bariffi, inghiottita nel nulla nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2002.

Come ha fatto la donna, che si chiama Maria Rosa Busi, 55 anni, a dire: “E’ qui”?

Lei sostiene che gliel’ha detto la ragazza morta: “Voleva essere trovata”.

Ecco. Quando ho letto per la prima volta il titolo del nuovo romanzo di Remo Bassini, La donna che parlava con i morti (Newton Compton, Roma, 2007, pp. 238, euro 9,90) ho pensato subito a quell’articolo. E quella donna: Maria Rosa Busi.

La donna che parla con i morti.

Su Books and other sorrows di Francesca Mazzucato, Leandro Piantini – riferendosi a questo romanzo – scrive che Bassini “si slancia nel mondo tenebroso dell’occulto, del paranormale, dei morti che non sono morti del tutto ma ritornano, e con cui si può entrare in comunicazione”.

Su Queer (Liberazione), Franz Krauspenhaar ne parla così:

“Remo Bassini non è solo uno scrittore di valore, è anche un prodigio e una macchina – umanissima – da scrittura: è direttore de La Sesia, storico bisettimanale di Vercelli e provincia, collabora con Il Corriere Nazionale, commenta sul suo seguitissimo blog e ne La poesia e lo spirito,- il blog letterario multiautore fondato da Don Fabrizio Centofanti – scrive romanzi di buon successo. Per il suo ultimo libro, quarto di una fortunata serie, ha scelto un titolo d’inquietudine un pò anni 70, La donna che parlava con i morti, (…) un romanzo giallo di tinte (come da copertina) ma dai sapori popolari e al contempo raffinati. La storia inquietante di una donna e della provincia italiana profonda nella quale vive, una serie di personaggi difficilmente dimenticabili. E soprattutto la scrittura felice di Remo Bassini: a volte vorticosa, sempre funzionale e fatta spesso di pennellate veloci, precise, multistrato. Godibile ma anche capace di strapparti un replay, per ricatturare – felicemente- un momento, una sfumatura particolarmente interessante”.

Su Famiglia Cristiana Laura Bosio scrive di questo romanzo evidenziandone l’ambientazione nella provincia italiana: “La provincia ha una grande, sotterranea vitalità. Non è soltanto un luogo fisico: è un luogo dell’anima, la “provincia” che tutti noi ci portiamo dentro, con i nostri sogni, i nostri fallimenti, le nostre aspirazioni e le onde della nostra vita più segreta. E’ una provincia di risaie, di campagne umide e di piccole città, quella raccontata nel suo ultimo libro, “La donna che parlava con i morti” (Newton Compton), da Remo Bassini: romanziere civile, ruvido e dolce, capace di illuminare con la sua scrittura precisa, veloce, a tratti vorticosa, un’Italia minore e insieme “esemplare”, dove il passato ramifica le sue radici inquiete in un presente disorientato. E con il passato fanno i conti tutti i personaggi del suo romanzo, a partire dalla protagonista, Anna Antichi: esistenze spezzate da lutti familiari, tormentate da rimpianti e rimorsi, e turbate da un fantasma insanguinato che torna a pretendere attenzione e affetto. Un giallo, a voler assecondare sempre più labili definizioni di genere, ma soprattutto una coinvolgente storia di morte e amore che ricuce gli strappi della memoria per ritrovare i fili di un possibile futuro.

Vi propongo un dibattito su due linee. La prima è in riferimento all’articolo di Colaprico di cui sopra, la seconda è più strettamente legata al romanzo di Bassini.

Così vi domando:

Cosa pensate dei cosiddetti medium? Credete a chi dice di parlare con i morti? Avete aneddoti da raccontare, in proposito?

E poi… Remo Bassini è ospite di questo post ed è pronto a dialogare con voi.

Seguono degli estratti gentilmente concessi dall’autore e dalla Newton Compton.

(Massimo Maugeri)

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Incipit

Si parlava poco di lei. Quando se ne parlava i vecchi dicevano, ma solo in certe occasioni, banchetti funebri, domeniche nebbiose trascorse tra amici e parenti a mangiar castagne, dicevano, questi vecchi, che era «come una santa». Santa Nunzia del bosco. O dei castagni.
Aveva poco più di vent’anni quando lasciò il Palazzone per andare a vivere come in clausura nel cascinale in fondo alla valle, costruito in una sola estate dai muratori venuti da lontano con muli e cavalli da tiro, in fretta, e un capomastro che urlava, e gente armata su cavalli e mule, a controllare.

E di lei per anni e anni si disse, ma si seppe poco. Si seppe, ma si disse poco del suo peccato: aveva tradito il marito, tre volte più vecchio di lei, per un giovane, bel fattore che poi fu trovato morto, dissero per disgrazia, in un torrente.

La pena per Nunzia la decisero, con la benedizione del marito disonorato, i suoi due cognati; clausura a vita, controllata a vista da due contadine, carceriere spietate in cambio di un piatto di minestra, vino buono, un letto per dormire e per altri piaceri, chissà.

* * *

Seconda parte

Lo scrittore maledetto

Aveva il mondo in tasca e non lo sapeva. Ma quella notte di marzo, piovigginosa, che sapeva di glicini in fiore, Mario ebbe la percezione, chiara, quando imboccò il piccolo viale alberato che puntellava la sua bella villa, che il suo mondo non era più quello di prima.
La villa era l’ultima. Ancora trecento metri. Sembrava più vicina, però. Perché illuminata, da una luce che non sembrava vera. Una luce, irreale, implacabile, che annuncia il dolore più grande, il peggio del peggio del peggio. Erano le quattro del mattino ma c’era gente attorno a quella luce. Che abbagliava, quasi. E un’ambulanza e due pattuglie dei carabinieri, anche.

Si mise a correre, lui, come un pazzo. Non aveva preso l’auto, uscendo, dopo cena.
Il corpicino di Giuliano era già stato avvolto in un lenzuolo. Corse e si fermò quando intravide, circondata dai vicini, Margherita, seduta sui gradini, con la bocca spalancata e le labbra che sembravano paralizzate da una smorfia eterna, nel tentativo disperato di immettere aria nei polmoni incapaci a respirare. Il corpo impazzisce e non dà retta più quando un figlio piccolo muore, suicida.

L’aveva trovato lei. Impiccato con un lenzuolo, nella sua stanzetta. Sul letto l’ultimo libro che aveva scritto suo papà. Con la dedica: “A Giuliano, che capisce il suo papà”.
Mentre correva, Mario, per un attimo, ma poi cacciò quel pensiero, ripensò e rivide una moneta: per terra, che non aveva raccolto, ore prima, quando era uscito. Non era nella sua tasca, quella moneta.

Avrebbe dovuto: se lui non si fosse dimenticato chi era.

Nell’altra tasca, invece, ballonzolava il cellulare. Con un messaggio, che non lesse mai Mario: di Chiara, l’ultima fiamma: “Sei il mio stallone, mi hai fatto vedere le stelle stanotte”.

Vedeva altro, lui, ora. Che chiudevano il portellone dell’ambulanza. Con rabbia.

* * *

In mezzo a queste due maledizioni c’è Anna Antichi, la protagonista

* * *

«Allora, signorina Anna Antichi, lo mettiamo su questo ufficio di investigazioni private?»
«Mi scusi, invece di dire stronzate mi dica piuttosto chi le ha dato il numero del mio cellulare».

Non le sto dicendo stronzate, le sto facendo una proposta…»

«Non sono molto intenzionata a farmi scopare da lei, mi dice chi le ha dato il numero o…».

«E la smetta, chi crede che me l’abbia dato? Fabrizio no?».

Il quasi urlo di quell’omone alto, coi capelli bianco-neve, lo sentì anche una donnina che stava uscendo dal camposanto e che si girò a guardarli. Anna si accese una sigaretta.

«Mi dà fastidio, può spegnere, ce la fa a resistere dieci minuti? Sia gentile».

«Negativo. Se lo scordi, senta mi sono rotta, dica quello che deve dirmi».

«Mi ascolti. Ho un enfisema, spenga quella sigaretta per favore, glielo sto domandando per favore, la prego».

«E non si decidono a mandarla in pensione?», disse Anna lanciando lontano la sigaretta, con l’arte dell’indice che fa pressione sul pollice.

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