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sabato, 30 maggio 2015

LE DONNE DI CASSOLA

Diamo nuova linfa alla rubrica di Letteratitudine intitolata “Ritorno ai classici“, pubblicando uno stralcio dall’introduzione di Anna Bravo a Carlo Cassola, Un cuore arido (Oscar Mondadori, Milano 2015).
Inoltre, in occasione del 50° anniversario della nascita della collana “Oscar Mondadori“, pubblichiamo questa intervista a Elisabetta Risari (Responsabile Editoriale Classici Mondadori) che ringraziamo.

* * *

LE DONNE DI CASSOLA (stralcio dall’introduzione di Anna Bravo a Carlo Cassola, Un cuore arido, Oscar Mondadori, Milano 2015)

Fra i narratori italiani Cassola spicca per la frequenza con cui elegge a protagonista una donna, per l’ascolto che dedica alle figure femminili e per la sua visione del rapporto fra i sessi: “coesistenza” necessaria ma non per questo armoniosa, che contiene in sé il germe del conflitto, e di un conflitto a armi dispari. La Anna di Un cuore arido mostra uno dei modi possibili di affrontare questo squilibrio.
Ciononostante nel 1974 un testo di riferimento del femminismo italiano colloca Cassola fra I padri della fallocultura,[1] responsabili di aver descritto una femminilità subalterna, equivoca, debole e insieme pericolosa, e di aver imprigionato le donne nella dicotomia cultura/natura, dove al maschile spettano l’attività e il pensiero razionale, al femminile la passività e la ripetizione.
L’accusa riflette l’atmosfera di quei primi anni Settanta. Sull’onda del femminismo, sempre più donne avevano preso atto che i discorsi in circolazione non rendevano loro giustizia su niente o quasi e, dopo aver rotto il vecchio vincolo di fedeltà al mondo degli uomini, si applicavano a smontarne ideologie e stereotipi – nella quotidianità, in politica, nella cultura. A cominciare dalla pretesa maschile di rappresentare il soggetto unico e universale. La consapevolezza che i soggetti sono due, uomo e donna, e che il primo non può parlare per il secondo, era un “arrivano i nostri” della libertà così seducente da rendere simpatici ancora oggi certi eccessi di cipiglio e la perentorietà di alcune generalizzazioni.
Ma quel giudizio resta ingeneroso. Alle due autrici Cassola aveva risposto che le sue protagoniste erano donne degli anni Trenta e Quaranta. Donne, dunque, soffocate dal greve virilismo fascista innestato su una cultura patriarcale e su una religiosità bigotta. Donne intimorite dalla sessualità maschile, angosciate dal dilemma fra respingerla (e perdere il fidanzato) o compiacerla (e magari perderlo ugualmente, insieme alla rispettabilità). E se durante la guerra i ruoli maschili e femminili erano spesso cambiati, con il ritorno alla normalità si erano in buona parte ristabiliti. Come si poteva pretendere che le donne di allora fossero «campioni di razionalità e di modernità»?[2]
È una giusta affermazione di principio, ma fa torto al Cassola narratore, che in virtù dell’adesione alle sue donne riesce a vedere molto al di là dell’associazione femminilità-natura, o del paradigma dell’oppressione, secondo cui la storia è una catena di sopraffazioni maschili e di sofferenze femminili senza scampo. Le sue ragazze e spose sanno negoziare il proprio assenso alle norme, manipolare i rapporti, farsi valere, trasgredire cercando di non pagarne il prezzo. Possono vincere o perdere, resta il fatto che sono soggetti che cercano di decidere la propria vita, che a volte si fanno complici del maschile, che creano le proprie reti di relazione e esercitano facoltà e veti – avere un potere limitato non equivale a non averne affatto. Negli scenari cari all’autore, scenari del quotidiano, del privato, delle cose all’apparenza piccole e tenute ai margini, l’impronta femminile è visibilissima. Ne escono narrazioni punteggiate di scarti e ambivalenze – ciascuna donna i suoi scarti, ciascuna le sue ambivalenze.
La Anna di Paura e tristezza ha poco in comune con la Anna di Un cuore arido, che la precede di quasi dieci anni. È una bimba poi ragazza contadina, costretta a spostarsi dalla campagna alla città. Bellissima, luminosa, vivace, si misura fra ansie e speranze con il nuovo ambiente, cerca di decifrarne le regole per capire cosa si sente di accettare e cosa no. Nella campagna e nella polverosa dimora nobiliare in cui è a servizio sembra non succedere niente, ma nel suo cuore scorre molta vita presente e passata. La tenerezza provata da bambina nel rapporto con un ragazzino sfollato; la gratitudine verso la madre che ha trovato il coraggio di averla pur in assenza di un marito; la scoperta di abitudini sconosciute; l’innamoramento. Il prescelto è un alabastraio che la affascina e la turba, ma che di lì a poco parte per il servizio militare. E la forza di lei si disfa. Quando un contadino del paese, un vecchio corteggiatore cui si è data per inerzia, la mette incinta, sente di aver perso ogni valore, e finisce per rassegnarsi a un matrimonio di riparazione. Tradendo se stessa e uscendone sfigurata – corpo appesantito, bocca vuota di denti, capelli radi nascosti sotto un fazzoletto, la salute perduta per le gravidanze e il lavoro ininterrotto.
Un’altra Anna, quella di Fausto e Anna (1952 e 1958), è diversa da tutte e due le sue omonime. Nel romanzo, l’amore fra un velleitario ragazzo della borghesia e una ragazza del piccolissimo ceto medio si logora nell’indecisione di lui, che vorrebbe essere aspettato indefinitamente; al contrario Anna va avanti con la sua vita, si sposa, ha una bambina, e a Fausto riserva sì un posto nel suo cuore, ma un posto residuale, quasi un omaggio a un passato che, pur restando amabile nel ricordo, non deve interferire con il presente. (continua…)

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