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sabato, 30 maggio 2015

I 50 ANNI DI OSCAR MONDADORI E CARLO CASSOLA: intervista a Elisabetta Risari

I 50 ANNI DI OSCAR MONDADORI E CARLO CASSOLA

di Massimo Maugeri

In data 5 maggio, in concomitanza con il 50° anniversario della nascita della collana “Oscar Mondadori“, sono stati ripubblicati (negli Oscar, appunto) due romanzi di Carlo Cassola, “Un cuore arido” (1961) con introduzione di Anna Bravo e “Il cacciatore” (1964) con introduzione di Massimo Onofri.
Questa scelta non è casuale. Nel maggio 1965 il capolavoro di Carlo Cassola, “La ragazza di Bube“, fu pubblicato nei neonati Oscar Mondadori come primo volume in assoluto di un autore italiano (fu il secondo titolo dopo “Addio alle armi” di Hemingway).
In questi ultimi anni si è proceduto alla ripubblicazione delle opere di Cassola negli Oscar con il coordinamento scientifico di Alba Andreini. Il primo volume fu, appunto, “La ragazza di Bube” (collana “Classici moderni”).
Le introduzioni ai volumi che escono nella serie “Scrittori moderni” sono di volta in volta affidate a personalità del mondo letterario affinché rileggano i testi su nuove basi. Così “Il taglio del bosco” (2011) ha un’introduzione di Manlio Cancogni; “Fausto e Anna” (2012) di Eraldo Affinati; “La visita” (2013) di Massimo Raffaeli; “L’uomo e il cane” (2014) di Vincenzo Pardini (approfondimenti su LetteratitudineNews).
Già nel 2007 Mondadori aveva pubblicato un corposo volume dei “Meridiani” dedicato a Cassola. Intitolato “Racconti e romanzi”, il volume raccoglie una selezione – dagli esordi al 1970 – delle principali pubblicazioni uscite per Einaudi. La curatela di Alba Andreini, ricchissima di materiali inediti, ha segnato l’avvio di una fase scientifica fondata sull’analisi dei documenti nello studio dell’opera nel complesso e nei suoi singoli titoli.

Proprio con riferimento all’anniversario e alla ripubblicazione dei due sopracitati romanzi di Cassola in “Oscar Mondadori”, ho coinvolto Elisabetta Risari (Responsabile Editoriale Classici Mondadori) nella seguente chiacchierata online.

- Cara Elisabetta, intanto vorrei chiederti: in che modo si pone la collana Oscar Mondadori rispetto all’odierno mercato editoriale? E quali sono i suoi obiettivi?
Per ampiezza e profondità questa domanda da sola richiederebbe un trattato. Mi limito perciò a sottolineare che gli Oscar Mondadori festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario. Il primo Oscar infatti, Addio alle armi di Ernest Hemingway, uscì in edicola il 27 aprile del 1965. La settimana successiva toccò a La ragazza di Bube di Carlo Cassola.
Da allora gli Oscar sono diventati una sorta di casa editrice all’interno della Mondadori, si sono ramificati in numerose collane, partiti dalle edicole hanno poi invaso le librerie. In quella grande biblioteca che è oggi il catalogo degli Oscar – più di venti collane danno ordine a oltre quattromilaquattrocento titoli; milleduecento titoli all’anno tra novità e ristampe per un totale di oltre cinque milioni di copie – ogni lettore può ritagliarsi una biblioteca personale, leggere autori classici o moderni, trovare i libri su cui studiare o approfondire le sue conoscenze, scoprire quelli con cui divertirsi o passare il tempo libero, scegliere quelli da regalare o da collezionare: «negli Oscar c’è», come affermava la celebre pubblicità degli anni Settanta.

- I Classici possono, senza dubbio, essere considerati come longseller. In alcuni casi diventano bestseller, superando per numero di vendite persino le “nuove uscite” di autori noti. È così? Cosa puoi dirci in proposito? (continua…)

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sabato, 30 maggio 2015

LE DONNE DI CASSOLA

Diamo nuova linfa alla rubrica di Letteratitudine intitolata “Ritorno ai classici“, pubblicando uno stralcio dall’introduzione di Anna Bravo a Carlo Cassola, Un cuore arido (Oscar Mondadori, Milano 2015).
Inoltre, in occasione del 50° anniversario della nascita della collana “Oscar Mondadori“, pubblichiamo questa intervista a Elisabetta Risari (Responsabile Editoriale Classici Mondadori) che ringraziamo.

* * *

LE DONNE DI CASSOLA (stralcio dall’introduzione di Anna Bravo a Carlo Cassola, Un cuore arido, Oscar Mondadori, Milano 2015)

Fra i narratori italiani Cassola spicca per la frequenza con cui elegge a protagonista una donna, per l’ascolto che dedica alle figure femminili e per la sua visione del rapporto fra i sessi: “coesistenza” necessaria ma non per questo armoniosa, che contiene in sé il germe del conflitto, e di un conflitto a armi dispari. La Anna di Un cuore arido mostra uno dei modi possibili di affrontare questo squilibrio.
Ciononostante nel 1974 un testo di riferimento del femminismo italiano colloca Cassola fra I padri della fallocultura,[1] responsabili di aver descritto una femminilità subalterna, equivoca, debole e insieme pericolosa, e di aver imprigionato le donne nella dicotomia cultura/natura, dove al maschile spettano l’attività e il pensiero razionale, al femminile la passività e la ripetizione.
L’accusa riflette l’atmosfera di quei primi anni Settanta. Sull’onda del femminismo, sempre più donne avevano preso atto che i discorsi in circolazione non rendevano loro giustizia su niente o quasi e, dopo aver rotto il vecchio vincolo di fedeltà al mondo degli uomini, si applicavano a smontarne ideologie e stereotipi – nella quotidianità, in politica, nella cultura. A cominciare dalla pretesa maschile di rappresentare il soggetto unico e universale. La consapevolezza che i soggetti sono due, uomo e donna, e che il primo non può parlare per il secondo, era un “arrivano i nostri” della libertà così seducente da rendere simpatici ancora oggi certi eccessi di cipiglio e la perentorietà di alcune generalizzazioni.
Ma quel giudizio resta ingeneroso. Alle due autrici Cassola aveva risposto che le sue protagoniste erano donne degli anni Trenta e Quaranta. Donne, dunque, soffocate dal greve virilismo fascista innestato su una cultura patriarcale e su una religiosità bigotta. Donne intimorite dalla sessualità maschile, angosciate dal dilemma fra respingerla (e perdere il fidanzato) o compiacerla (e magari perderlo ugualmente, insieme alla rispettabilità). E se durante la guerra i ruoli maschili e femminili erano spesso cambiati, con il ritorno alla normalità si erano in buona parte ristabiliti. Come si poteva pretendere che le donne di allora fossero «campioni di razionalità e di modernità»?[2]
È una giusta affermazione di principio, ma fa torto al Cassola narratore, che in virtù dell’adesione alle sue donne riesce a vedere molto al di là dell’associazione femminilità-natura, o del paradigma dell’oppressione, secondo cui la storia è una catena di sopraffazioni maschili e di sofferenze femminili senza scampo. Le sue ragazze e spose sanno negoziare il proprio assenso alle norme, manipolare i rapporti, farsi valere, trasgredire cercando di non pagarne il prezzo. Possono vincere o perdere, resta il fatto che sono soggetti che cercano di decidere la propria vita, che a volte si fanno complici del maschile, che creano le proprie reti di relazione e esercitano facoltà e veti – avere un potere limitato non equivale a non averne affatto. Negli scenari cari all’autore, scenari del quotidiano, del privato, delle cose all’apparenza piccole e tenute ai margini, l’impronta femminile è visibilissima. Ne escono narrazioni punteggiate di scarti e ambivalenze – ciascuna donna i suoi scarti, ciascuna le sue ambivalenze.
La Anna di Paura e tristezza ha poco in comune con la Anna di Un cuore arido, che la precede di quasi dieci anni. È una bimba poi ragazza contadina, costretta a spostarsi dalla campagna alla città. Bellissima, luminosa, vivace, si misura fra ansie e speranze con il nuovo ambiente, cerca di decifrarne le regole per capire cosa si sente di accettare e cosa no. Nella campagna e nella polverosa dimora nobiliare in cui è a servizio sembra non succedere niente, ma nel suo cuore scorre molta vita presente e passata. La tenerezza provata da bambina nel rapporto con un ragazzino sfollato; la gratitudine verso la madre che ha trovato il coraggio di averla pur in assenza di un marito; la scoperta di abitudini sconosciute; l’innamoramento. Il prescelto è un alabastraio che la affascina e la turba, ma che di lì a poco parte per il servizio militare. E la forza di lei si disfa. Quando un contadino del paese, un vecchio corteggiatore cui si è data per inerzia, la mette incinta, sente di aver perso ogni valore, e finisce per rassegnarsi a un matrimonio di riparazione. Tradendo se stessa e uscendone sfigurata – corpo appesantito, bocca vuota di denti, capelli radi nascosti sotto un fazzoletto, la salute perduta per le gravidanze e il lavoro ininterrotto.
Un’altra Anna, quella di Fausto e Anna (1952 e 1958), è diversa da tutte e due le sue omonime. Nel romanzo, l’amore fra un velleitario ragazzo della borghesia e una ragazza del piccolissimo ceto medio si logora nell’indecisione di lui, che vorrebbe essere aspettato indefinitamente; al contrario Anna va avanti con la sua vita, si sposa, ha una bambina, e a Fausto riserva sì un posto nel suo cuore, ma un posto residuale, quasi un omaggio a un passato che, pur restando amabile nel ricordo, non deve interferire con il presente. (continua…)

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