
Il giorno che parla a chi resta: il Lunedì dell’Angelo tra i riflessi della letteratura
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di Claudio Fabella

Il Lunedì dell’Angelo non si impone con la solennità della Pasqua, ma ne raccoglie il respiro più lungo, quasi un’eco che si distende nel tempo. È un giorno soglia, dove l’annuncio non ha ancora trovato il suo compimento, ma si lascia intendere nei dettagli del quotidiano. Lì dove la liturgia si ritira, la memoria inizia a lavorare: il miracolo ha già avuto luogo, ma il mondo, ancora stordito dal buio, impara lentamente a riconoscerne il segno. Questo tempo sospeso, in cui la resurrezione diventa racconto e il sacro si deposita nel linguaggio umano, si fa luogo privilegiato della letteratura, che da sempre abita le soglie, i passaggi, le attese.
La figura angelica che segna questo giorno non entra in scena con fragore. Il suo gesto è piccolo, ma definitivo: appare nel chiarore dell’alba, sussurra alle donne che il corpo non è più lì, che la morte non ha vinto. Non c’è celebrazione, solo uno spazio di commozione silenziosa. È proprio in questa sobrietà che la letteratura, seppur in maniera indiretta, ritrova l’essenza di ciò che vuole raccontare: non l’evento eccezionale, ma il suo riflesso nell’anima di chi lo ha attraversato. Il sepolcro vuoto non è soltanto un’immagine teologica, ma diventa, nei testi che si misurano con la resurrezione, la figura dell’assenza che promette, dell’assenza che parla. È un invito a vedere nel vuoto non la fine, ma l’inizio di una nuova presenza.
In linea generale, e senza scendere in dettagli che richiederebbero altri tempi e altri spazi, è evidente che la letteratura ha accolto in varie forme il riflesso di questo giorno “minore” che contiene però una profondità archetipica, immersa nella tensione tra il bisogno di spiritualità e il radicamento nella terra. Il ritorno ai gesti semplici, al cibo condiviso, al camminare nella natura, diventa una forma di liturgia domestica, un modo per affermare la vita oltre la sua fragilità. Una resurrezione che non si manifesta nella sua grandiosità, ma si deposita nelle pieghe dell’umano: nell’incontro, nell’infanzia, nell’amore che persiste.
Il Lunedì dell’Angelo è il giorno in cui il prodigio si ritrae, ma resta visibile a chi sa vedere. È il tempo che segue il miracolo, ma che ancora ne risente, come un corpo che si scalda lentamente al sole dopo la notte. Questo giorno particolarissimo, più che un giorno festivo, si rivela dunque come una figura del tempo umano: tempo della transizione, della lenta assimilazione, dell’interiorizzazione del divino attraverso le cose della vita. La letteratura, che vive di queste sfumature, trova in esso uno dei suoi simboli più eloquenti: una speranza che non si impone, ma attende; una luce che non abbaglia, ma accompagna; una parola che, nel silenzio, continua a dire che non tutto è perduto.
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