Marzo 28, 2024

156 thoughts on “SCUSATE LA POLVERE, di Elvira Seminara

  1. Come ho già scritto sull’incipit del post, altre volte qui a Letteratitudine, abbiamo affrontato il tema della morte.
    Lo riprendiamo per discuterne da un punto di vista diverso.

  2. Parto subito con una domanda: c’è la possibilità di affrontare il tema della morte in maniera… ironica?
    La risposta è affermativa. Dal punto di vista letterario ce ne fornisce un valido esempio il nuovo ottimo e divertente romanzo di Elvira Seminara: “Scusate la polvere”, edito da Nottetempo.

  3. Il libro, raccontato in prima persona, comincia proprio da un particolarissimo incontro tra la protagonista (Coscienza, detta Enza, Enzima, Cosce, Zen, a secondo dei casi) e il fantasma del marito defunto…
    Sul post ho riportato l’incipit del romanzo e il link per leggerne un ampio stralcio…

  4. Insieme all’autrice discuteremo, dunque, di questo romanzo – che conferma il grande talento narrativo di Elvira Seminara, già apprezzato ne “L’indecenza” e ne “I racconti del parrucchiere” – e su alcuni dei temi da esso affrontati. Anticipo che, oltre all’approccio ironico sul tema della morte, “Scusate la polvere” offre molti spunti di riflessione (su alcuni tic e manie dei tempi moderni, ad esempio; oppure su alcune nuove forme di lavoro) e ci invita a diffidare dalle apparenze… perché non sempre le cose sono così come appaiono a prima vista.

  5. 4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?

  6. 5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?

  7. L’idea del trapasso e dell’ineluttabilità della fine ha da sempre attraversato la storia dell’arte e della letteratura. Nella letteratura classica, giusto per fare qualche esempio, se ne sono occupati poeti come Giuseppe Ungaretti con la sua “Agonia”, Igino Ugo Tarchetti con “Memento”, e ancora Leopardi con il suo “Pianto Antico”, o Pascoli con “La Tovaglia”…

  8. Con riferimento alla letteratura contemporanea – e allontanandoci dalla cultura occidentale – merita di essere citata l’autrice giapponese Banana Yoshimoto alla quale il tema della morte è molto caro. Dai suoi libri, peraltro, si evince anche la diversità di approccio – sul tema in questione – della cultura giapponese rispetto alla nostra..

  9. Passando al cinema, potremmo ricordare alcuni film d’autore (che affrontano la profonda angoscia e la non accettazione della morte). A titolo di esempio: “Il posto delle fragole” e “Sussurri e grida” dalla regia di Ingmar Bergman; “La camera verde” di François Truffaut.

  10. In una delle domande chiedo: c’è la possibilità di affrontare il tema della morte in maniera… ironica?
    Mi vengono in mente diverse rappresentazioni cinematografiche realizzate con approccio ironico. Basti pensare ai film d’animazione di Tim Burton, come “Night Before Christmas” o “La sposa cadavere” o ancora al vecchio “Beatlejuice”.

  11. Divertente è anche il film “La morte ti fa bella” di Robert Zemeckis, come anche le seguitissime serie tv di “Ghost Whisperer”, “Medium” e molti altri.

  12. Vi segnalo due libri:
    1) La morte spiegata ai miei figli – di Roberto Fantini (ed. Sensibili alle foglie)
    2) molto immodestamente il mio libro “Ultimi – inchiesta sui confini della vita” (Tullio Pironti Editore) uscito a gennaio 2010.

  13. ho letto il bellissimo romanzo di Elvira Seminara e lo consiglio a tutti. leggero ed intelligente. divertente e profondo.
    la voce di Enza mi suona ancora nelle orecchie.
    insomma ve lo consiglio.
    ciao

  14. D’accordo con Letizia. Libro letto e consigliato.
    Ho avuto il piacere di assistere a una presentazione romana di ‘Scusate la polvere’.

  15. Questo è un argomento che mi ha sempre interessato molto. Leggerne in chiave ironica è davvero interessante.
    L’anno scorso ho letto “Stecchiti” di Mary Roach, che tratta in maniera altrettanto ironica di cadaveri e loro “impiego”.
    Non so se il libro di Seminara abbia sfiorato anche il post mortem, o se ha focalizzato l’attenzione nel “mentre” del morire.
    Credo proprio che lo leggerò, sono parecchio incuriosita.
    Alle domande poste da Massimo non è facile rispondere.

    – Ho potuto sperimentare personalmente più volte che ai funerali si ride.
    Che sia un’autodifesa della psiche per attutire l’angoscia della perdita?

    – Le differenze culturali sono tante, dai riti indù legati al credo della reincarnazione, a quelli di molte tribù africane in cui l’avvenimento luttuoso non comporta soltanto dolore, ma viene festeggiato come occasione per venire in contatto con il mondo dell’oltretomba attraverso specifiche e coinvolgenti funzioni.

    – Sorriso e morte? Mi vengono in mente le foto di Witkin… brr…

    – Si racconta della vita della persona scomparsa, se ne ricordano gli aspetti salienti, spesso nascono gli aneddoti che ne storicizzano il vissuto.
    Certamente è un modo per conservarne il ricordo vivo, quasi glissando la morte.

    – È difficile uscire dal “ciò che sembra”, accade quando la mente non si accontenta più del dato e si mette alla ricerca di altro e dell’oltre.

    cb

  16. Anche a me, come a Cristina, interessa molto l’argomento e mi fa piacere partecipare alla discussione.

  17. Avevo già sentito parlare bene di questo libro della Seminara. Ora che ho ascoltato la puntata in radio e letto il pdf delle prime pagine non ho più dubbi: sarà uno dei miei tre/quattro libri da “vivere” nel mese di agosto.

  18. Domande/risposte.
    1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?
    L’ironia aiuta sempre. Anche a me è capitato di vedere, in qualche funerale, persone con le lacrime agli occhi che rievocavono aneddoti divertenti che riguardavano la persona cara appena scomparsa.
    Dunque la mia risposta è sì.

  19. 2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?
    Credo che le culture orientali, ma anche quelle africane e sudamericane, abbiano un rapporto più “aperto” e di “confronto” con la morte.
    La cultura occidentale tende a rimuovere la questione. E’ come se ci fosse un invisibile input che spinge a vivere come se fossimo immortali.

  20. 3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?
    Penso al sorriso dolce che accompagna il ricordo delle persone che non sono più con noi.

  21. 4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?
    Forse come contrappesso al dolore della perdita. Ma anche le altre opzioni sono valide.

  22. 5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?
    Il “ciò che sembra” purtroppo governa le nostre esistenze e incide nella nostra emotività. Alcune volte capita pure che “ciò che sembra” non si trasformi mai in “ciò che è”.

  23. visto che si parla di ironia e morte, lascio una citazione.

    “È morto col sorriso sulle labbra. Altrui.”

    (Roberto Gervaso, La volpe e l’uva, 1989)
    🙂

  24. “Ci sono tre cose da cui bisogna guardarsi: lo zoccolo di un cavallo, il corno di un toro e il sorriso di un inglese”.

    (Seumas MacManus)

  25. “Ci vogliono settantadue muscoli per fare il broncio ma solo dodici per sorridere. Provaci per una volta”.

    (Mordecai Richler, Solomon Gursky è stato qui, 1989)

  26. “Riuscire a sorridere di tutti i piccoli fastidi ed inconvenienti quotidiani sarebbe già l’anticamera della felicità”.

    (Giovanni Soriano, Maldetti. Pensieri in soluzione acida, 2007)

  27. un sorriso a tutti ed in particolare ad Elvira Seminara di cui leggerò senz’altro il romanzo ” Scusate la polvere “

  28. Il tema del post mi fa venire in mente un film giapponese del regista Yojiro Takita: “Departures”.
    Takita nel 2009 ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero (tratto dal romanzo Nôkanfû Nikki di Shinmon Aoki) anche se da noi non ha avuto molto successo. Forse perché il tema della morte allontana la gente.
    Eppure questo filme racconta la morte con una delicatezza che commuove e che riesce anche a far sorridere.

  29. Ad Elvira Seminara vanno subito i miei auguri per il nuovo romanzo. Come -se non sbaglio- ha già scritto qualcun altro, mettere insieme leggerezza e profondità non è facile. Doti che mi pare sono riconosciute a questo libro. Per cui lo leggerò con molto piacere.

  30. 1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?
    (Credo di sì, ma non subito. Nella prima fase credo rimanga lo spazio solo per l’enorme dolore. Purtroppo)

  31. 2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?
    (La nostra cultura -come è stato detto- rifugge la morte. Ma già all’interno della cultura occidentale ci sono differenze. Gli anglosassoni sono un po’ più aperti rispetto a noi. La stessa festa di Halloween è una forma di esorcismo, con sorriso, della morte).

  32. 3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?
    (Ne trovo poche, per quanto mi riguarda. Ma è un mio problema)

  33. 4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?
    (La leggerezza ti libera dalle zavorre. Vale per tutto, anche per la fine. Ma leggerezza non vuol dire superficialità.)

  34. 5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?
    (Buona parte delle nostre vite sono state determinate da incroci di equivoci e pregiudizi. Il “ciò che sembra” è un manto invisibile che ci portiamo tutti addosso senza saperlo).

  35. I miei migliori auguri a Elvira. Questo libro mi ha tenuto compagnia durante il periodo di una funesta vacanza in Sardegna. Una settimana ininterrotta di pioggia, trascorsa in albergo a leggere “Scusate la polvere”. Per fortuna, ci ha pensato il romanzo a risollevarmi il morale.

  36. Ne approfitto per salutare e ringraziare: Rita Pennarola, Anna Maspero, Letizia, Roby, Cristina Bove, Marco Vinci, Alessandro, Susanna, Pier Luigi Zanata, Amelia Corsi, Salvo Zappulla…

  37. @ Elvira Seminara
    Cara Elvira, come prima cosa vorrei chiederti… come nasce questo libro?
    Come è venuta fuori l’idea? Avevi già scelto “l’approccio ironico” prima di iniziare a scrivere, o è nato a mano a mano che riversavi la storia sulla pagina?

  38. @ Elvira
    Ti andrebbe di rispondere alle domande del post?
    (Te le ripropongo)

    1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?

    2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?

    3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?

    4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?

    5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?

  39. Domani approfondiremo la conoscenza dei personaggi e qualche altro “elemento” connesso al romanzo.
    Di seguito vi propongo qualche recensione su “Scusate la polvere”…

  40. Carissimo Massimo,
    parlare della morte con ironia. Ma non solo. Inserirla nella crisi, post mortem, di una coppia, e quindi auscultare una doppia fine. La fine di una vita. La fine di un rapporto.
    E’ una coincidenza geniale.
    Non solo per gli esiti esilaranti, basati sui giochi di parole, su una dimensione della lingua che è, ancora e in modo originario, seduzione, invenzione, divertita combinazione. Ma anche perchè la coppia è il luogo idelae della metamorfosi, della crisi, della fine e dell’inizio.
    Trovo quindi che Elvira abbia saputo in questo libro accostare molti toni, trapungerli di ossessioni e dolentissimi dubbi. La ricerca dell’altro anche dopo, una elaborazione del dolore mista a un’ansia indomita di verità e coraggio.
    Una scoperta, questa morte, in fondo appassionante come la vita, e come la vita, contraddittoria, velata, mascherata.
    Bravissima Elvira!

  41. Credo che il più grande narratore della morte attraverso il sorriso sia stato Benigni con “La vita è bella”.
    La fine e il suo orrore stravolto dallo sguardo canagliesco di un bambino, e per questo ancora più drammatico, graffiante, doloroso.
    Un contrasto solo apparente, in verità, perchè in ogni dimensione dell’esistenza convive il suo contrario, e ribadirlo vuol dire perpetuare il miracolo dell’evoluzione, la sintesi dell’arte, che è svelare, anzi rivelare.

  42. Un altro esempio – stavolta letterario – del felice connubio tra ironia e morte è “La morte della Pizia”di Dürrenmatt.
    La Pizia è una vestale stanca e vecchia che desidera “morire con dignità, almeno quello, senza fare sciocchezze” perché “da tempo ormai quel che accadeva in Grecia non le importava più.” La Pizia di Dürrenmatt “si cucinava il semolino e lo lasciava lì perché si addormentava”.
    E inoltre….
    “Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro”.

  43. Tornando a Elvira…
    Elvira associa la levità del racconto alla parabola del lutto, lo fa evanescente come un fantasma, ma sotto sotto crea le condizioni per commuovere attraverso la scoperta finale.
    Morte e sorriso, dicevamo, ma forse, e soprattutto, amore, amore inteso come unione anche oltre, e forza, travolta ma pur sempre feroce, di resistere anche alla fine.
    La vita attraverso le sue componenti universali, ma al tempo stesso modernissima, nevrotica, asserragliata da mancanze e irrequietezza.
    Un andare trasversale, sempre sulla soglia, in cui però la radice eterna della fine costringe a reinventarsi, a rivedersi, e al tempo stesso a rivedere l’altro.
    E poi…un romanzo sulle donne e sul loro modo di stare insieme, strampalato, creativo, polveroso quel tanto che basta per far pensare a una levissima cenere di cipria.

  44. Il problema della morte non è la morte, ma la metabolizzazione della morte. O meglio nel mio caso non è stata l’accettazione della fine a dover essere metabolizzata, ben preparata com’ero sul distacco e sul senso dell’umana esistenza, intendo dire che oltre a tutti i libri letti ed il filosofeggiare sui compiti dell’anima, la fede mi ha indirizzato verso la scissione fra corpo fisico e spirito, la fine mortale del primo e l’immortalità del secondo, bensì stavo dicendo lo sforzo di dover metabolizzare innanzitutto le scene di morte. Inoltre ho come uno strano destino, quello di dover fare Caronte al momento dell’addio, non dimentico di certo lo sguardo fisso e vitreo di chi mi rivelava la sua impreparazione all’aldilà: era come se mi chiedessero che cosa avrebbero trovato al di là della sponda!
    Si accavallano uno sull’altro come fossero brevi sequenze di un film montato a singhiozzo, i ricordi, le scene. Il becchino con il depliant delle bare, la casa affollata di gente che sostava per ore davanti la bara a conversare dei cazzi propri – assurda e tribale usanza siciliana – , amicizie scomparse per ventenni e riesumate per l’occasione, c’era persino chi si presentava per la prima volta, tutti lì a commemorare una persona frequentata nella prima repubblica o addirittura mai frequentata, il rumore del refrigeratore notturno messo sotto la bara dalle pompe funebri, gli strani pensieri erotici che a modo loro combattono tànatos ( capita che nel momento di dolore si ha una gran voglia di fare l’amore), la san vincenzo de paoli ( marcissero loro con le raccolte milionarie che vende fiori inesistenti), il mio discorso finale sull’altare scritto per ricordare la personalità di mia madre ed i commenti di chi s’identificava nell’evento con frasi del tipo “chissà se anche i miei figli scriveranno così quando morirò”, ciò detto dimentichi della persona defunta e sentendosi i protagonisti del momento. E ancora le telefonate dove tutti consolano mentendo, i soldi che non bastano mai, in quei giorni scese ininterrottamente la pioggia, profonde pozzanghere d’acqua riflettevano gli orli di un cielo gonfio di nubi: fu solo nel pomeriggio del funerale che vidi il sole squarciarle. Del resto andai incontro all’inverno e ad una profonda solitudine.
    Ritengo che uno dei quadri più significativi su questo tema sia stato dipinto da Renè Magritte: vi ricordate delle sue bare affacciate al balcone come fossero il cappotto di legno di inquietanti presenze? Adesso dipingo oggetti di terracotta, caraffe per l’acqua e il vino, servizi di piatti, vasi, mi sono buttata in una strana oggettualità dai colori marini, i rossi corallo, i blu, i verdi, gli azzurri, le ocre, ho bisogno di una vita nuova.
    Leggerò Scusate la polvere di Elvira Seminara, m’interessa la protagonista Coscienza.

    ciao

  45. Segnalo per dovere di cronaca un libricino di qualche anno fa: “Tre metri sotto terra” di Massimiliano Nuzzolo. Un libro che condensa i temi di discussione suggeriti da Massimo Maugeri (ironia e morte), piglia in giro il buon Federico Moccia e cita al contempo Max Aub ed Edgar Lee Masters.

  46. “Aiutatemi, le porte del cielo mi stanno seppellendo!” diceva E. A. Poe sul letto di morte, era l’iperbole massima dell’evento nefasto.
    Il suo contrario: “… I miei antenati si rivolterebbero nella tomba e dovrei rimboccare la lapide a tutti…” di Groucho Marx.
    Nel mezzo Pirandello che col M.Pascal gioca fortemente con l’assenza e anche con la morte – visto che comunque un cadavere c’era, riconosciuto al posto suo.
    Noi che lavoriamo col sorriso (chi interviene ha scritto per 30 anni di umorismo) siamo abituati ad eludere la morte, a rasentarla o ad annullarla (avete mai visto morire qualcuno in Disney?).
    Persino in “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, Spielberg, coerente con la filosofia dei cartoon salva tutti.
    La morte non va presa sul serio, e come dice Woody Allen: “Preferirei non esserci quando arriva.”
    Ma c’è, è ammantata di tristezza, perché solo chi vive sa che esiste, chi muore non sa’ neanche di esserlo. Allora meglio sorridere, fino all’attimo che fugge, cominciando a scrivere l’epitaffio.
    Jannacci già rideva – forse esorcizzando – della sua morte: “Vorrei andare al mio funerale, per vedere l’effetto che fa…” e Totò, il re triste della risata, quante volte l’ha esorcizzata?
    Marx (ancora Groucho) fece scrivere sulla lapide: “Scusatemi, se salutandovi non riuscirò ad alzarmi”.
    La morte non va presa sul serio.

  47. E’ possibile esorcizzare morte e lutto col sorriso e soprattutto con l’ironia?
    Bella domanda.
    Se penso al bel romanzo di Elvira o agli altri libri o film citati in questo post, direi di si.
    Da sempre cinema e letteratura ci aiutano a entrare, se possibile esorcizzandoli, dentro i grandi temi del dolore umano: morte, lutto, guerra, malattia.
    E spesso ci riescono, sfruttando appunto l’ironia o il paradosso, se non a volte proprio la comicità palese.
    Ben diversa è la situazione quando il lutto investe la nostra intimità, attraverso la morte di persone a noi care.
    La nostra cultura in questo non ci aiuta affatto, ogni nostro rituale tende ad enfatizzare il dolore e la tragicità.
    Non c’è ironia né leggerezza nella morte occidentale, soprattutto nei paesi di chiara matrice cattolica.
    Se potessi scegliere, vorrei morire tra gli indiani d’America.
    E quando, ormai vecchia e saggia, sentissi nell’aria che la mia fine è vicina e i miei occhi, deboli alla visione di questo mondo, fossero già spalancati e guardassero speranzosi all’aldilà, allora salirei in cima alla montagna, chiamando a raccolta le mie ultime forze, mi distenderei sotto un albero, dentro una foresta, e lì aspetterei di essere restituita natura alla natura.
    Ma non sono un’indiana d’America e ritornando al libro di Elvira, del quale ho avuto modo di parlare anche in altri blog, vorrei sottolineare il profondo legame che mi ha tenuto stretta alla protagonista.
    La tenerezza che mi ha ispirato Enza, mentre cercava disperatamente, seppur con leggerezza, di conoscere la verità su suo marito e l’altra donna.
    E la molla che la spingeva ad andare avanti e inoltrarsi in una ricerca per molti versi dolorosa era la voglia di lasciarsi andare finalmente all’elaborazione del suo personale lutto.
    Riuscire finalmente a piangere un uomo che aveva creduto estraneo. Riuscire a conservare, puro, un sentimento.
    Fra qualche ora vado in vacanza, peccato avere già letto il libro di Elvira.
    Buon agosto a Massimo e a tutti gli amici intervenuti.

  48. Curioso anch’io di leggere il romanzo della Seminara. Lo acquisterò in giornata. Buon agosto a tutti.

  49. Carissimo dottor Maugeri,
    porgo le mie felicitazioni più vive alla bravissima Elvira Seminara, mia conterranea, che ebbi il piacere di ascoltare qualche anno fa in occasione del suo libro- reportage “Sensi”. Già allora gustai la freschezza stilistic, quel volo di parole rasente il gioco, ma anche il dentro, il buio, la luce.
    Quindi con vero piacere vorrei ascoltarla ancora. Presenterà il libro a Catania?
    Quanto alla morte lei lo sa, dottor Maugeri, per noi anziani è una scommessa, uno scongiuro, una partita di dadi quest’oggi ben spesa. Pare che la farò franca, per adesso, domani, chissà.
    Ma a poter scegliere me ne andrei come i seguaci della religione Sikh, fondata ufficialmente nel XV secolo in India, le cui radici provengono dalla religione induista. Per i sikh infatti l’anima è immortale, con la fine del corpo essa procede attraverso il creato per congiungersi con Dio.
    Dunque la morte di una persona cara non è un evento tragico, è un momento di lode in cui l’anima si muove per incontrare il Supremo.
    Ecco, io vorrei andarmene così, con quel sorriso di cui la signora Seminara ha voluto soffondere le pagine, lasciandomi alle spalle solo l’amore speso.
    Tutto il resto, sbagli, desideri, mancanze e falle, stelle cadute e approssimate a spegnersi, che importa.
    Facciamo festa, allestiamo un banchetto, mangiamo sui resti di chi ci ha solo preceduto. Inutile negarlo, siamo tutti destinati a cadere nelle braccia di questa maliarda conquistatrice di destini.
    Un abbraccio quindi, divertito e trasognato, in questa Catania di lapilli e cenere dell’Etna.
    Anch’io mi associo, a nome mio e del mio vulcano: scusate la polvere.
    Il suo professor Emilio

  50. Plaudo alla fantasia e agli estri verbali di Elvira Seminara…
    Dal suo o-blòg ci manda reportage sulle curiose occorrenze di questo pianeta, poi ci spaventa con “L’indecenza” indagando sulle crepe del nostro quieto (?) vivere e adesso esplora con calviniana leggerezza i crepacci del dolore, del tempo che passa inesorabile e ci costringe ad affidarci ai serial fillers o piuttosto a convivere con i crepacci del nostro viso, del cuore e dell’anima. Come? Grazie alle vere amiche, non importa se sgangherate, e a un sano non prendersi sul serio.

  51. Godibilissima discussione d’agosto, con l’ultima frase del commento del professor Emilio – tra i tanti piacevoli commenti – davvero notevole: “Anch’io mi associo, a nome mio e del mio vulcano: scusate la polvere.”
    Auguro tanta buona fortuna al romanzo di Elvira Seminara, e dico la mia, sperando di non impolverare la chiacchierata…

    La risata, nel momento stesso della sua espressione, sospende qualsiasi significato, è una interruzione di senso. Così la morte, in quanto in assoluta assenza di relazione con la nostra esistenza – ricordando Epicuro: quando ci siamo noi non c’è la morte, e viceversa – è senza senso. Non può avere, poichè priva di contesto, nessun significato.
    E dunque, ridere della morte è un purissimo paradosso: si compie un’opera del tutto insensata, come quella di sommare due inesistenze o nullità, due zeri, il tentativo assurdo cioè di collegare una insensatezza con un’altra… (quando filosofeggio mi viene da morir dal ridere…).
    Grazie a Massimo e cari saluti,
    Subhaga Gaetano Failla

  52. Eccomi Massimo e carissimi amici, scusate il ritardo oltre la polvere ! E’ stato un rischio, certo, mettere in scena la morte a ritmo di balera, ma soprattutto perché in Italia non c’è tradizione in questo senso. Scriviamo moltissimo di morte, ci balocchiamo anche troppo con intimismi funebri e sentimenti coniugal-terminali, ma a differenza degli americani e degli inglesi (penso ad Alan Bennett, a Fay Weldon) lo facciamo senza ironia, senza levità.
    A me piaceva l’idea di raccontare un lutto con la spregiudicatezza di un Almodovar, evocando fantasmi tra gli elettrodomestici, mettendo insieme spiriti e spirito…Non a caso ho rubato il titolo, SCUSATE LA POLVERE, alla grandissima Dorothy Parker, o meglio all’epitaffio che volle sulla sua tomba. E basti dire che la polvere per cui si scusava era quella della sua salma incenerita !
    Ecco, è quel cinismo innocente della mia protagonista Coscienza, il suo smarrimento vendicativo, lucido ma anche ludico, che segnano il battito del libro. Il suo disincanto che fora l’incantesimo.
    Che dirvi ? Braccate le orme di Coscienza, detta Cosce ma anche Zen (c’è tutto l’arco di possibilità di una donna già nel nome, no?), seguite le sue ballerine (nel senso di scarpe) da Parigi a questa Sicilia magica, perdete il vostro buon senso, il facile conforto dei luoghi comuni ! Divertitevi a smontare le palizzate di streotipi legati alle vedovanze, che lei converte in vedodanze… Abbandonatevi alla sua ilare stizza contro il mondo fedifrago, seguitela in questa sua rovinosa e amabile strage di tutte le retoriche, dalla giovinezza sempiterna alla natura benigna !
    Entrate in questa sua casa dell’equivoco, piena di polvere, fischi e allergie…Ma prima toglietevi le scarpe, come fanno le sue amiche. E lasciatevi andare a questa risata liberatoria e contromarcia. A questa storia malincomica, scritto così con la M.
    a presto, anzi prima
    elvira

  53. Che vi dicevo ? sono già qui, perché mentre scrivevo si sono aggiunti altri due post…Grazie a marialucia, così come a Simona, a Mavie, a Marco, a Rossella…Perchè mi costringete a chiarire. Una cosa è l’invenzione della morte in letteratura, cioè finzione, evocazione pura, costruzione fantastica, tassello del congegno narrativo, altra cosa è la perdita vera e biografica subita e sofferta fuori dalle pagine. E’ la prima quella affronto nel romanzo. Sconfinando nel territorio della vita, certo. Se non altro perché un sorriso è sempre un ottimo farmaco – il più biologico! – contro il dolore.

  54. Tantissimi auguri a Elvira Seminara per il romanzo. Quello che ho riscontrato nei suoi ultimi commenti mi incentiva ulteriormente il mio desiderio di leggerlo.

  55. Il tema è molto importante, impegnativo e difficile da trattare. Ci proverò e spero che qualcuno di voi mi aiuti ad affrontarlo con leggerezza. Mio padre, il mio eroe e il mio grande amore mi ha lasciato da ben 50 anni. Io ne avevo 12 la sua morte improvvisa e disastrosa ci ha trovati impreparati e da quel momento essa ha rovinato le nostre vite: quella di mia madre, di mio fratello di 9 anni, la mia e quella dei miei nonni.
    Non ho rielaborato il lutto nè, a distanza di tempo, sono riuscita a vivere con distacco il lutto più nero della mia vita. Mio padre mi è mancato: quando avevo dodici anni, quando ne avevo 22 ed ho incontrato l’amore; mi è mancato da adulta e mi manca ancora oggi che sono una donna ormai matura.
    Naturalmente mio padre non è mancato soltanto a me, ma anche a tutti i miei familiari. Ricordo mia madre che ha iniziato a fare lo sciopero della fame e si stava lasciando andare; ricordo mia nonna che una sera, dopo alcune settimane dalla morte di suo figlio, mentre eravamo seduti intorno al canmino, scambiò l’urlo del terremoto per un segnale trasmesso da mio padre; ricordo mio fratello, di 9 anni, che non ha più riso nè giocato più per diversi mesi; infine ricordo mio nonno che, al contrario, rideva per la morte di suo figlio e noi dicevamo che era impazzito.
    Scusate se vi ho parlato di me e ho vomitato il dolore che ancora porto dentro, ma io la morte, soprattutto dei miei familiari la vivo così. Non oso pensare di dover lasciare mia madre o qualche altro mio familiare!
    Invidio per questo quanti riescono a elaborare un lutto e non si trascinano dietro gli strali della nemica morte.
    naturalmente non ho sofferto soltanto per la perdita di mio padre, ma anche per la morte di molti amici e di tutti coloro che ci hanno insegnato qualcosa.
    Come vedi, caro Massimo, sono ritornata per spargere sul tuo blog un po’ di tristezza estiva.
    Scusatemi ancora e “VIVA LA VITA” e “abbasso la morte che verrà”.
    ilarì3

  56. Grazie per il tuo messaggio, carissima Ilarì. Capisco benissimo cosa provi, cosa senti. Come ho scritto nei miei commenti, per il dolore è ineliminabile di fronte agli eventi luttuosi che ci coinvolgono in prima persona.

  57. Non so se nei prossimi giorni potrò tornare a partecipare alle discussione. C’è un’ipotesi di viaggio in corso che sto trattando con amici e parenti.
    Nel dubbio auguro sin da adesso buona estate a Massimo e a tutti i frequentatori di questo magico spazio.

  58. Seguo sempre le Sue discussioni ma non intervengo quasi mai (anche perche’ spesso le mie riflessioni sul tema sono già ampiamente condivise da commenti che trovo già postati).
    Stavolta il tema mi sollazza particolarmente perchè per me la morte fa parte della vita e vorre che tutti potessero avere e vivere in pari dignità e serenitò entrambe queste situazioni, e così mi sono decisa.

    Non solo la letteratura ha affrontato e trattato più volte ed in chiavi diverse l’argomento morte. Ricordo con gradissimo piacere il capolavoro di Roberto Benigni “La vita è bella” in cui l’intero tema dell’olocausto con i milioni di morti causati è trattato in chiave comica.
    Credo che scindere l’aspetto emotivo da un fatto ineluttabile come la morte sino a lasciare andare con un sorriso il caro che ci lascia non sia cosa facile ma possibile. Spesso è proprio chi ci stà lasciando a farci sorridere perche’ la mente lascia i ricordi belli in modo più indelebile di quelli brutti.
    Per provare a rispondere alle sue domande:

    1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?
    – L’ironia fa ridere di se stessi e degli altri, facendoci prendere tutto con più leggerezza che non è pero’ superficialità. Allontana pensieri negativi che portano chi sopravvive ad un lutto in un tunnel depressivo da cui spesso è molto difficile uscire.
    “Meglio non dire/fare così sesnnò da lassù ci bacchettano” l’ho sentito dire tante volte anche io. E funziona.

    2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?
    – Ci sono differenze enormi fra la nostra e le altrui culture. I maori non parlano dei loro morti perche’ impedirebbe loro di trovare pace eterna.
    I nativi americani hanno un culto rispettosissimo della morte, convinti che chi trapassa diventi spirto guida potentissimo.
    Noi creiamo luoghi dove esibire la nostra vicinanza a chi non c’è più proprio per l’incapacità di lasciare andare davvero chi muore. Senza capire davvero che è il ricordo stesso delle persone a renderle immortali non un mazzo di fiori nelle feste comandate.
    Lasciare andare completamente una persona pero’ credo sia impossibile: significherebbe dimenticarla del tutto e quindi sarebbe come se non fosse mai esistita e questo non lo trovo tanto giiusto.

    3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?
    – Nella mia esperienza personale ho sempre visto un sorriso aleggiare sul volto di chi mi ha lasciata. Probabilmente la serenità di quel momento, che coincide con il raggiungimento del Padre per chi crede, e con una sorta di liberazione dalle catene etico-morali imposte dalle regole del vivere nella società, per tutti; credenti e non.

    4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?
    – Una parente è deceduta circa 2 anni fa per lunga malattia. Al suo funerale non vi sono stati preti, chiese ne cerimonie religiose perche’ credo di religione protestante o metodista ora non ricodo bene,
    Ebbene, sia la figlia che il marito avevano una serenità ammirevole ed invidiabile proprio perche’ non hanno mai vissuto con la paura della morte. Hanno offerto un rinfresco ai tanti parenti ed amici venuti da lontano ricordando con foto e racconti i momenti migliori della defunta, proprio perche’ di lei restasse ricordo bello e scevro da pene.
    Sanno che la sua vitù era compiuta. Il suo senso lo aveva e lo aveva portato a compimento, indipendentemente dalla quantità di anni vissuti (che non erano molti essendo morta ben prima dei 60 anni).
    Spero che sia una risposta valida alla domanda, questo mio esempio

    5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?
    Oggi apparire pare contare ben più dell’essere. E’ difficile svincolarsi dal cio’ che sembra.
    L’unico modo per vedere cio’ che realmente “è” e non “cio’ che sembra” credo sia vestirsi di realismo ed umiltà, provare a conoscere una persona al di là della prima occhiata e vedere cosa c’è davvero dentro il pacchetto più o meno incartato……Difficile da fare in un epoca in cui tempo se ne ha sempre meno e sempre più trascorso dietro il paravento di schermi di Ipad, Ipod e computer vari.
    Un saluto a tutti ed una buona estate.
    P.S. non ho letto i libri citati ma li ho segnati nella mia lista. Ringrazio tutti per i consigli.
    P.

  59. 5 AGOSTO – Elvira Seminara, autrice di L’indecenza (edizioni Mondadori, 2008); I racconti del parrucchiere (Gaffi Editore, 2009); Scusate la polvere (edizioni Nottetempo, 2011).

    Scrittrice e giornalista, colta, barocca, affascinante, con la sua scrittura si muove agilmente tra giallo e commedia. Sarà presentata da Iria Cogliani.
    http://fieradautore.it/gli-autori/elvira-seminara/
    http://fieradautore.it
    http://fieradautore.it/calendario/

  60. Un caro saluto e grazie a: Simona Lo Iacono (ancora grazie, socia!), Rossella G., Francesco Di Domenico (Didò), Mavie Parisi, Lucio, il prof. Emilio, Maria Lucia Riccioli, Gaetano Failla…

  61. @ Elvira Seminara
    Carissima Elvira, bentornata a Letteratitudine! E complimenti per gli ottimi riscontri (sia in termine di critica che di lettori) di cui il tuo nuovo romanzo sta beneficiando.
    Se hai tempo e voglia ti inviterei a raccontarci qualcosa di più sui personaggi che popolano questo tuo libro…

  62. Caro dottor Maugeri, anche io caramente la saluto.
    Ma non mi disse se la signora Seminara presentò il suo romanzo in quel di Catania.
    Avvenne? E io – dannazione – persi l’evento?
    Il suo professor Emilio

  63. Il dibattito è ancora aperto.
    Invito tutti coloro che ne avessero voglia e disponibilità, a rispondere alle domande del post (che ripropongo di seguito):
    1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?

    2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?

    3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?

    4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?

    5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?

  64. Caro prof. Emilio, bentrovato!
    In effetti il libro di Elvira Seminara è già stato presentato a Catania.
    Se non sbaglio (come riportato nei commenti sopra), la “prossima tappa” sarà a Messina, il 5 agosto (domani!), nell’ambito della “Fiera d’Autore”.
    Grazie sempre, prof. Emilio!

  65. Ah, fosse vero ….colpire i cuori, caro dottor Maugeri!
    Mi basterebbe aver toccato quello dei cari ed evanescenti lumi delle mie ombre! Ma mi assediano, che vuol farci? E non hanno pietà.
    Quindi, e quietamente, attendo che mi dìa altre notizie…i prossimi appuntamenti in libreria, caro ragazzo. Quelli della signora Seminara. Ma avrei piacere di apprendere anche dei suoi.Non me ne vorrà, la cara Elvira.
    Sempre affezionato,
    professor Emilio

  66. Messina…e chi potrebbe arrivarci mai, caro Dottor Maugeri?
    L’artrite, i reumi, il mal di nostalgia e un insostenibile morso al cuore, sol che il vulcano non mi proietti più la sua bava addosso.
    No, non potrei farcela. Dissestato e con quest’afa che fa prosciugare la poca acqua rimasta in corpo.
    Declinerò, ahimè, e resterò in attesa di più accessibili eventi.
    Mi sa che l’unica polvere, qui, sia quella di queste ossa che presto scricchioleranno sotto terra.
    Mi abbia suo, dunque. E da sempre.
    Il professor Emilio

  67. ragazzi avevo fatto un lunghissimo post dedicato a voi, per dirvi grazie delle sollecitazioni ma soprattutto per aver affrontato le ombre che il tema evoca sotto la pelle. E’ questo, letteratura. Testimonianza e svelamento.
    Avevo scritto tanto di più, anche risposto all’ultima domanda di Massimo, ma si è cancellato tutto e ho perso la pazienza. Perdonatemi. In Coscienza, (op.cit!) non ce la faccio a riscrivere tutto…. A domani !

  68. Penso che affrontare e superare totalmente un lutto sia difficile. Ci sono perdite poi, che ti colpiscono tanto nel profondo, che è impossibile non pensarci più o far finta di niente. Bisognerebbe pensare che chi muore ci sta solo precedendo e non dovremmo disperarci, ma solo lasciarli liberi di andare, ma tutto questo è molto difficile da mettere in pratica, perché i sentimenti non si possono tenere alla catena. La cosa importante, su questa terra di passaggio, è lasciare un dolce ricordo di noi tra quelli che ci hanno conosciuto. Così continueremo a vivere e i nostri cari ci sentiranno vicini e quando parleranno di noi sorrideranno e ci sorrideranno. Non c’è peggiore condanna che essere dimenticati. E’ come non avere mai vissuto.

    Maria Rita Pennisi

  69. Ho letto il libro in modo vorace in queste prime giornate di vacanza estiva, praticamente l’ho preso al ritorno da Siracusa e non me ne sono staccato più fino a quando non sono arrivato al finale, rivelatore e inaspettato. Ne ho ammirato soprattutto il piglio ironico e l’intelligente scrittura. Come tutti i buoni libri, si può leggere a strati. Il primo strato, la panna, è quello divertente e divertito, in cui con un tono leggero si mettono alla berlina i tic e i comportamenti grotteschi e intellettualistici di certi ambienti un po’ snob, soprattutto femminili. E qui esce la brava giornalista di costume e l’esperta studiosa di comunicazione di massa. Ma il libro contiene uno strato più profondo, il pan di Spagna, e si può leggere in chiave allegorica: il marito che finisce in un fosso rappresenta, appunto, la profondità, il pensiero forte, i valori primari (non è un caso che è un agronomo e quindi si occupa della terra) l’attaccamento alla vita e alla procreazione. È un paradosso che il maschile sia identificato con la Terra, simbolo da sempre femminile. Enza, invece, Coscienza, rappresenta l’opposto, l’incoscienza. Essa gira a vuoto, colta da un’Alzheimer morale e culturale, non sa niente della “profondità” (oserei dire della “fossità”) del marito, del suo bisogno di materna paternità, del suo bisogno di discendenza, sta in superficie a immaginare banali tradimenti ed improbabili innamoramenti, a scrivere tesi di laurea che contaminano e fondono svariati contenuti ma che non riescono a cogliere il senso vero delle cose.

    Questo è il mio commento a caldo dopo una prima veloce lettura. L’ho già postato su IBS.

    Grazie Massimo e grazie Elvira
    Orazio Caruso

  70. Sto iniziando a leggere il libro di Elvira Seminara e mi sto divertendo un mondo. Brillante e scrittura di qualità. Quello che ci voleva per me in questo momento.

  71. Molto stimolanti anche le domande di Massimo Maugeri. Mica facile rispondere.
    In generale dico che e’ molto difficile sorridere della morte. Credo ci voglia molta forza d’animo. Oppure incoscienza.

  72. Fiera d’Autore di Messina: Elvira Seminara e il suo universo femminile

    Gentili Amici del Libro,

    questa sera, alle 20, Fiera d’Autore – la rassegna letteraria ospitata nel polo culturale della 72° Fiera Campionaria di Messina – presenta Elvira Seminara, che arriva nel polo culturale della 72° Fiera Campionaria di Messina con il suo bagaglio di storie di donne appassionate e infinitamente umane, storie che hanno trovato posto nei tre romanzi dell’autrice: “L’indecenza” (Mondadori), “I racconti del parrucchiere” (Gaffi Editore), “Scusate la polvere” (Nottetempo). Intelligenza, saggezza, ironia e forza d’animo nelle protagoniste dei romanzi della Seminara: sono le donne a sostenere le sfide quotidiane, quelle che fanno girare il mondo.
    Il primo romanzo della Seminara, “L’indecenza” (2008), racconta di una felicità coniugale troncata dall’arrivo di una colf ucraina, che genererà una crepa fatta di silenzio, rabbia e dolore. Con “I racconti del parrucchiere” (2009) l’autrice esplora vite in divenire, mentre “Scusate la polvere” (2011) è una dark comedy in cui la protagonista affronta un lutto con l’aiuto di due amiche bizzarre.
    Durante l’incontro con Elvira Seminara, presentato da Iria Cogliani di Itam Comunicazione, l’attrice Mariapia Rizzo, del Teatro dei Naviganti, presterà la sua voce alla lettura di alcuni brani tratti da Scusate la polvere.

  73. @ Elvira
    Mi dispiace per l’incidente telematico di ieri. Spero che riuscirai a recupare, in qualche modo, il commento perduto.
    In questo momento (mentre scrivo) sarai in quel di Messina alla Fiera d’Autore.
    Raccontaci come è andata, se puoi…

  74. @ Elvira
    Se ne hai la possibilità ti chiederei di dirci qualcosa sul tipo di linguaggio che hai scelto di adottare e sull’inserimento di alcuni neologismi (sempre all’insegna del “divertimento”).

  75. Ne approfitto, ancora una volta, per sottolineare il contrasto (vincente e convincente) tra l’evento luttuoso e l’intelligente e ironica leggerezza che caratterizza “Scusate la polvere”.
    Scusate se è poco! 🙂

  76. Il buon umore aiuta a vivere meglio. Questo è uno dei motivi per cui leggerò di certo ‘Scusate la polvere’ di Elvira Seminara.

  77. Le domande mi incuriosiscono e vorrei provare a rispondere nella speranza di non scrivere banalità.
    Parto dalla prima.
    1. L’ironia può, in qualche modo, favorire la cosiddetta elaborazione del lutto?
    Magari non nell’immediato, non a caldo. Ma già a distanza di qualche giorno rievocare anche aneddoti divertenti che magari ci hanno visti coprotagonisti con la persona cara che ci ha lascito, può essere probabilmente d’aiuto.

  78. 2. Sul rapporto ironia-morte, e più in generale nel rapporto con la morte, riscontrate differenze tra la nostra (cultura occidentale) e altre culture?
    Certamente sì. come è stato già sottolineato dagli altri commentatori. La nostra cultura continua a guardare alla morte puntando troppo sugli aspetti del dolore, della paura e della perdita. Aspetti che sono un po’ sfumati in altre culture.

  79. 3. Quali sono le affinità tra sorriso e morte?
    La butto lì. Dico che è importante sorridere sempre.
    Il sorriso depista la morte.

  80. 4. In che modo la leggerezza può meglio interpretare la fine? Come elaborazione, come ricostruzione, come indagine del passato, o semplicemente come contrappeso al dolore della perdita?
    La leggerezza può aiutare a sopportare meglio la mancanza nel presente, valorizzando il passato, per meglio potersi proiettare nel futuro.

  81. 5. Spesse volte le apparenze ci portano a raggiungere conclusioni affrettate. Esiste un metodo per evitare che ciò accada, o siamo comunque sempre destinati a rimanere vittime del “ciò che sembra” (salvo ricredersi a seguito di approfondimenti)?
    Viviamo nell’epoca dell’apparenza. Ma sapete cos’è, secondo me, la cosa tragica? Che a volte il “ciò che sembra” diventa “il ciò che è”. Senza possibilità di rimedi, nemmeno a seguito di approfondimenti.
    Ma anche in questo caso ci può venire in soccorso la leggerezza. E un sorriso.

  82. Buona estate e buona Letteratitudine a Massimo Maugeri ed ai suoi seguaci.
    La parola “seguaci” è scritta con leggerezza. 🙂
    Ciao.

  83. Sì Massimo, eccomi, vado zelante e disciplinata alle domande ! Perchè ho scritto questa storia ?
    Mi metto una mano sulla COSCIENZA . Dopo aver letto il mio romanzo “L’indecenza”, moltissimi mi dissero che per l’ansia di finirlo erano arrivati tardi in ufficio o avevano rinunciato al cinema, mentre altri per l’angoscia non avevano dormito la notte, e da allora hanno orrore per i rampicanti, le torte allo yogurth e le colf dell’Est. Mi pare anche ci sia qualcuno che non dorme da allora, e visto che il libro è uscito tre anni fa mi dispiace molto. Insomma, in Coscienza, mi sentivo in colpa, e giurai a me stessa che la prossima volta li avrei risarciti con un bel libro sorridente. Ecco. La vita secondo Coscienza. Funziona, no?

  84. ok ok lo so, c’è un filo dark anche qua, come nell’Indecenza. E no a caso Coscienza fa un lavoro in nero…
    Ma ce n’erano altre, di domande. E io non sono “coliticamente e ” come la mia protagonista. Il linguaggio, dicevi ?
    Sì, ci sono molti giochi di parole ( e io adoro Quenau, Savinio, Roman Gary…) Gioco da sempre con le parole, assemblando, mischiandole, capovolgendo. Mi piacciono quelle ibridate, storte, distorte. Anche estorte da un contesto e immesse altrove. Ci sono in aria tantissime parole inesistenti, o parole vecchie che aspettano solo una nuova combinazione per vivere. Sappiatelo! , le parole non usate più, si spengono e muoiono. Ogni giorno in Italia scompare una parola. Ci sono bellissime parole in pericolo di estinzione. Io mi batto contro la mortalità verbale , penso dovremmo fare campagne sociali come fa la mia protagonista.
    Sarà che amo troppo le parole. Come diceva Chatwin delle sue adorate ceramiche, vanno accarezzate per non morire.

    Dipende anche dalla storia che racconti, certo. Ad esempio, questa è una storia malincomica. L’ho appena scritto e il correttore automatico di Word l’ha subito trasformata in malinconica. Sembra una sfida tra me e lui, eccitante. Io la riscrivo con la M e allora resta così, ma sottolineata minacciosamente in rosso, che vuol dire Errore.
    Mi piace SCAMBIARE LETTERE . Fra me e le mie parole.
    A fine scrittura, una buona parte del mio testo è sempre svergognata in rosso.

  85. ERRATA CORRIGE! La voce della mia Coscienza mi dice che c’è un refuso nel commento di prima, terzo rigo : cioè manca una parola. La dizione esatta è “coliticamente scorretta” !
    Buone letture a voi e grazie ad Andrea, a Linda, a Orazio, a Rita, a Emilio e a tutti voi che avete animato con tanta ricchezza queste pagine ! Quando si dice flusso di …Coscienza !!!!
    grazie anche da Zen
    elvira

  86. Grazie a lei, Elvira Seminara. Quello che ha scritto in questi ultimi commenti mi ha fatto aumentare la voglia di leggere il suo libro..
    Provvederò domani.
    Adoro le storie malincomiche.
    [ottimo neologismo] 🙂

  87. complimenti per la discussione ed alla Seminara complimenti per il libro.
    A proposito delle affinità tra sorriso e morte penso a un famoso modo di dire legato ad un eccesso di riso : “morire dal ridere!”

  88. magari non vi avrò fatto morir dal ridere, ma spero di esser riuscito a farvi sorridere
    🙂
    ciao

  89. Di fatto questo è l’ultimo post prima della pausa estiva (domani pubblicherò il post di “buone vacanze e buon ferragosto”).
    Tuttavia la discussione rimane aperta, per chi avesse ancora qualcosa da aggiungere (o per chi volesse provare a rispondere alle domande del post e non l’avesse ancora fatto).

  90. Leggere tutti i commenti è un lavoro, ma l’ho svolto molto volentieri e non me ne sono pentita.
    L’argomento è interessante e fa riflettere.
    Ammetto di non aver mai pensato alla morte in termini umoristici e quanto ho letto qui può aiutare a vedere le cose in maniera diversa.

  91. Sono d’accordo però con chi sostiene che è quasi impossibile ironizzare sulla morte di un proprio caro. E’ molto più facile farlo su se stessi.

  92. Quello che voglio dire è che forse rispetto alla morte funziona di più l’autoironia.
    La frase di Dorothy Parker “Scusate la polvere”, l’interessata la fece scrivere sul suo epitaffio.
    Ma sarebbe riuscita a scriverlo sull’epitaffio di un proprio caro?

  93. Allora mi viene da pensare che l’ironia può aiutare a esorcizzare l’idea della morte rispetto alla relazione con la “nostra” fine, ma non con la fine degli altri.
    Cosa ne pensate?
    Ciao.

  94. Dimenticavo di dire che ho comprato il libro di Elvira Seminara e spero di iniziare a leggerlo domani.

  95. Beh, Massimo, credo che l’argomento morte sia connaturato all’argomento vita.
    Non si può parlare di vita senza pensare alla morte, ovvero alla fine o al cambiamento, giacché ciò che sta adesso accadendo tra un istante non sarà più: sarà morto.
    Ma è giusto. La natura (o chi per lei) ci ha visto giusto: l’evoluzione, la trasformazione, il ricambio perpetuano non solo la specie bensì anche lo spirito, le idee e via dicendo.
    Elvira Seminara penso non la pensi diversamente, come diversamente non la pensava Dorothy Parker.
    D’altronde, senza l’ironia (specie verso noi stessi e il nostro modo di agire) scivoliamo nella rigidà “mortuaria” se non nella depressione più tetra.
    L’ironia ravviva la vita e colpisce subdolamente la morte, il lutto, il dolore del distacco. Siamo polvere diceva la Parker e dice Elvira Seminara, ma dalla polvere nasce (o rinasce) l’uomo e ogni altro essere.
    Un caro saluto a te, Massimo, e a tutti i lettori.

  96. Confesso, prima che Doroty Parker il titolo mi ha richiamato mia suocera, fan delle grandi pulizie ad oltranza. Pur avendo appena finito di passare la cera accoglieva chiunque varcasse la soglia di casa sua con la formula standard, scusate la polvere.
    Nei ricordi d’infanzia di mio marito l’operazione più temuta riguardava il momento in cui, terminata la lucidatura di vetri e pavimenti, sostituiva gli spazzoloni con clisteri e quanto altro, e dava inizio alla dedicata fase della pulizia (esterna e … interna) dei figli.
    Il tempo, tiranno, ci ha portato via tutto, compresa la polvere.
    Da quando gli anziani di famiglia hanno cominciato a marciare indietro e ad uscire di scena, in punta di piedi, (proprio come le foglie dell’albero di Ungaretti) ci è rimasta solo una grande malinconia.
    Guardo indietro, verso le tavolate allegre e chiassose che ora sono rimaste deserte, affollate solo di ricordi. Sembra ieri. E mi accorgo che è durata un soffio.
    Guardo avanti. Quanta strada ci sarà ancora? Vedo la nebbia che mi impedisce lo sguardo, o forse sono solo le lagrime. Allora, piuttosto, scusate il bagnato. E stiamo attenti a non scivolarci sopra!

    P.S. scusate anche il ritardo, come mio solito non mi riesce mai di essere puntuale! Purtroppo ho attraversato un periodo piuttosto triste e travagliato. Procedendo proprio adesso all’elaborazione degli ultimi eventi (attinenti al tema in oggetto) mi accorgo che non c’è altro scampo, è inevitabile, solo aggrappandoci a una risata ci salveremo. Dunque grazie a Elvira Seminara, per l’invito a sorriderne, malgrado tutto.

  97. Con notevole ritardo, accenno solo un commento. Ho comprato subito il libro, appena indicato su questo blog.
    Elvira Seminare è grande, gioca con le parole con una conoscenza (e con una Coscienza…) straordinaria. Le impasta, le modella, ne ricava un composto ottimo per farne una torta: con la ciliegina in cima. Incantevole il racconto, dal ritmo travolgente, si legge d’un fiato per poi rileggerlo e lasciarsi avvolgere, appunto, dalle sue parole. Da non perdere.
    Solo un piccolo accenno alla copertina, meritava di più.

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