Aprile 19, 2024

229 thoughts on “BUON 25 APRILE

  1. Io domani festeggero’ questa Festa di tutti gli Italiani qui a Lubiana. Guardando la Bandiera nostra che ho sempre affianco, sentendomi sempre suo, cioe’ vostro, dei miei Connazionali tutti. E anche pensando di essere gia’ qualche ora prima che la fantacronaca di Gentile non-accada, li’, tra i festeggianti della Liberazione a Roma. Disposto ad aiutare Napoli, Palermo, Torino, Genova, Milano, Trieste. Tutti. Il campanilismo mi sta sullo stomaco. Parola di Perugino.
    E Viva l’Italia! Di sempre.

  2. Massimo: la simpatica Zauberei ha scritto che la tua rubrica ‘non è un asilo nido’. Lo fosse lo chiameremmo veramente (con la felice intuizione di un adepto) Tetteratitudine. Ora vorrei sollevarti dalle tue (giuste) preoccupazioni sulle ingerenze dei maleducati. Ti lancerò pertanto io qualche insulto che ho in serbo da tempo: Max, sei un pinzillaccheratore, burgundo e frappone! Dopo questa tremenda sequela di improperi, sono sicuro che nessuno vorrà mai scriverne altri per non sembrare una mammoletta. Ora
    Ritroviamoci ad Ortigia,
    dove Venus Callipigia
    dalle acque scintillanti
    dea appare a tutti quanti,
    ed intorno a un sacro desco
    rallgriamoci col pesco
    di paranza sopraffina
    dalla sera alla mattina;
    innaffiandola col Greco
    in un dì straordinario
    canteremo con la eco
    di un affetto letterario.
    Buon ponte!

  3. Gianmario sei ‘poeta!
    Il mio 25 aprile lo passerò in campagna, causa Sacro Vincolo der Matrimonio. Ivi ammetto che mi divertirò, ma rosicherò anche perchè perdo la seconda cena de Letteratitudine. Ahò destino.

    Beppe Grillo incontra in me una vivace riottosità. Nullo reggo.

  4. Buon 25 aprile, sperando che non ce lo tolgano.
    Grillo e il V-day oggi? poco opportuno. Le elezioni hanno dimostrato purtroppo che la satira politica non paga e non cambia le cose: Molti di coloro che ridono ascoltando Crozza, Grillo. Paolo Rossi e i Guzzanti, poi in cabina elettorale si trasforma nella solita pecora.
    Sono così sfiduciato che non mi va di fare gli auguri a qualche conoscente che incontrassi per strada, sospetto di chiunque ormai.

  5. buon 25 aprile.
    per chi l’avesse scordato, è la festa della liberazione dell’italia dall’invasore nazista. io tra poco esco e vado alla risiera di s.sabba, unico campo di sterminio operante in italia) dove ogni anno si svolge una cerimonia per ricordare.
    avevo pensato di postarla in camera accanto, questa cosa, ma visto che massimo me ne dà l’occasione, la metto qui. questa, tra l’altro, è letteratura.

    LO AVRAI CAMERATA KESSELRING

    IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI

    MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ A DECIDERLO TOCCA A NOI

    NON COI SASSI AFFUMICATI

    DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO

    NON COLLA TERRA DEI CIMITERI

    DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI

    RIPOSANO IN SERENITÀ

    NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE

    CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO

    NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI

    CHE TI VIDE FUGGIRE

    MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI

    PIÚ DURO D’OGNI MACIGNO

    SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO

    GIURATO FRA UOMINI LIBERI

    CHE VOLONTARI S’ADUNARONO

    PER DIGNITÀ NON PER ODIO

    DECISI A RISCATTARE

    LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

    SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE

    AI NOSTRI POSTI CI TROVERAI

    MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO

    POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO

    CHE SI CHIAMA

    ORA E SEMPRE RESISTENZA!

  6. ma come si fa a scegliere il 25 aprile per il proprio Vday, dio mio, si tratta proprio di megalomania, insensibilità, ignoranza storica. Spero che per Grillo sia un totale flop!!!

  7. Dal mio ritiro, eremo voluto e desiderato, apro finestre solo per simpatia e piacere, selettivamente quindi, e respiro aria buona quando mi affaccio qui.
    Massimo, rispondo al tuo invito ricambiandoti gli auguri, e porgendoli affettuosamente a tutti i letteratitudiniani.
    cri

  8. @Gea, gradevole e puntuale,
    grazie per aver pubblicato la “Lapide ad ignominia” di Calamandrei, l’avrei fatto io.

    Non basta scrivere sul “Sole” ed avere tanti titoli per esser condivisibili.
    Non condivido nulla dell’intervento di questo signore, e spero che il suo cognome non sia riconducibile ad un altro storico e nefasto.

    Se è vero che la sconfitta del “Fronte Popolare” nel ’48 impedì una deriva totalitaria all’Italia (che non sarebbe stata consentita dagli accordi di Yalta), e anche, storicamente, vero che la presenza del Pci si rivelò elemento di stabilità e presidio democratico in una nazione devastata dal Fascismo e con i suoi epigoni nascosti e sostenuti nei gangli della nascente Repubblica.
    Il 25 aprile ha significato per anni, più che il 2 giugno, la festa della Costituzione, quella magnifica carta che ha rappresentato per la prima volta una nazione vera dopo 2500 anni.

    Quand’è che la “Carta”viene messa in discussione la prima volta? Quando la politica usurata e degradata passa la mano all’impresa. Quando l’imprenditoria trova, come nel 1922, un nuovo soggetto a cui affidare i propri interessi.
    Quando questo nuovo “bidello”, chiamando a se il visceralismo della politica (fascismo e leghismo) riesce ad anestesizzare una società ottusa dai nuovi bisogni indotti, particolari e personali, amplificandoli.
    Quando lui, il nuovo portiere del palazzo, si sostituisce all’amministratore che lo ha nominato.
    Quando “sdogana” i fascisti e i loro voti con la forza del danaro e ne usa la mobilitazione strategica.

    Quand’è che il “25 aprile” viene messo in discussione?
    Quando gli italiani affidano la richiesta di conciliazione nazionale ad un “milanese” che, detestando la storia politica e democratica di una nobilissima città quale è stata storicamente Milano, la fa assurgere a vessillo di una nuova ragione che oppone gli interessi particolari e commerciali alla costruzione di una patria di uguali.

    Uno slogan becero veniva recitato nelle contromanifestazioni fasciste fino a pochi anni fa : “Il 25 aprile è nata una puttana e l’hanno messa nome Repubblica Italiana”. Era recitato da molti di quelli che a maggio del 2008 siederanno sulle poltrone più alte di quella “puttana”.

    Buon 25 aprile a tutti, in particolar modo alla memoria di mio nonno, ucciso dalle conseguenze di tanto olio di ricino, una pratica politica molto in uso, prima del 25 aprile di tanti anni fa.

  9. Ma come si fa, in un paese che è riuscito a produrre Berlusconi e la Lega, ad avere un avvenimento storico, una data, un qualcosa, che accomuni tutti gli italiani? I due movimenti fondanti dell’Unione Italiana, il Risorgimento e la Resistenza, hanno visto, in entrambi i casi, italiani opposti a italiani. E l’odio, specialmente per quel che riguarda la seconda, l’ha fatta, e la fa, da padrone. Una data poteva essere il 4 Novembre, giorno della vittoria nella I Guerra mondiale e quindi conclusione del Risorgimento. Non è neanche Festa Nazionale.
    Il 2 Giugno, Festa della Repubblica? Forse sarebbe l’ideale, ma non mi pare abbia fatto molta presa.
    Certo, a vedere lo sventolio di bandiere, potrebbe essere adottata, come festa unificante, la data della vittoria nella Coppa del Mondo del 1982 (le due prime vittorie erano fasciste, l’ultima un po’ scarsa). Probabilmente tutti gli italiani sarebbero d’accordo.
    Orso (ora e sempre resistenza) Marsicano

  10. Lavoro a venti metri da via Rasella e abito a un chilometro dalle Fosse Ardeatine.
    E’ una vita, dunque, che sono “costretto” a guardare e, talvolta, a pensare.
    “La guera è guera”, dice da sempre il mio grande amico fotoreporter Rino Barillari. Ma lui abbina questo belligerante motto al nostro lavoro, al tentativo di portare a casa (redazione) un risultato anche quando la situazione lo impedisce.
    La “guera vera” non piace a nessuno, o meglio, non piace alla stragrande maggioranza del genere umano. Purtroppo, ovunque, una volta che la guerra c’è, esistono solo le leggi e la morale del conflitto. Salta tutto per aria, non c’è più alcun parametro umano.
    Orrore, dunque, per le Fosse Ardeatine e per i milioni di innocenti sterminati in tutto il mondo.
    Orrore, però, anche per quella carriola lanciata contro i soldati tedeschi in via Rasella. Se non altro perchè chi la lanciò sapeva che ci sarebbe stata rappresaglia. Lanciò lo stesso e non si consegnò. Oggi sul suo petto splende una medaglia da eroe. Non giudico, ci mancherebbe, “la guera è guera”. Ma alla parola “eroe” abbino al volo il nome di Salvo D’Acquisto e non quello di dinamitardi che ammazzano, fuggono e mandano al macello 335 innocenti.
    Ritengo l’alleanza nazi-fascista la sventura più drammatica avvenuta nel nostro Paese. Il regime di Mussolini (anche nel parere di storici agnostici e obiettivi) ebbe una decisiva propulsione verso il sociale. Del resto, sempre perché “la guera è guera”, l’Italia uscì a pezzi dal conflitto 15-18 nonostante lo avesse “vinto”. E nemmeno gente del calibro di Giolitti riuscì a rimettere in sesto il Paese.
    Il malcontento e la fame sono sempre il brodo di coltura ideale per le dittature e gli “uomini forti”. E per Mussolini, quindi, l’ascesa fu facilitata.
    Credo sia inutile parlare della catastrofe che il fascismo provocò dal 1938 in poi, guerra in primis.
    Ben venga dunque la Liberazione. Anche se sto ancora a disagio quando vedo i filmati dell’epoca con le donne che lanciano fiori e figlie dentro le camionette degli americani. Fino al giorno prima nemici, e poi salvatori. Salvataggio tra l’altro che, come sempre accade, non fu a titolo gratuito. Chi ne ha dubbi dia un’occhiata in Iraq.
    Me la cavo pensando che il salvataggio americano mise riparo a un orrore mastodontico. Resta il fatto che, ancor oggi, mi girano i coglioni a via Rasella così come mi girano alle Fosse Ardeatine.
    Preferisco pensare che, se il 25 aprile, la sorte ci ha “liberato” di Zauberei tenendola lontana dalla cena, non dev’essere un caso. Ecco, il senso pieno e catartico della Liberazione.
    🙂

  11. Condivido in pieno gli interventi di Didò e di Orso. Forse oggi gli unici avvenimenti che uniscono gli italiani sono le vittorie della nazionale di calcio (e neanche tanto). In un momento in cui nel Paese trionfano le forze separatiste al Nord e al Sud, con le vittorie della Lega e di Lombardo eletto presidente della regione Sicilia, mi pare ci sia ben poco da festeggiare. Pericolosi fermenti razzisti si alimentano contro gli immigrati, a Roma sono stati utilizzati come strumento becero di campagna elettorale, dimenticando che i fatti delinquenziali appartengono all’uomo e non solo ad albanesi e marocchini. In una società sempre più cosmopolita, multietinica e plurilinguistica inutile barricarsi dietro il senso di appartenenza. A che serve sentirsi padani, terroni o figli dei fiori (o figli di mignotta, chè forse dà un maggiore piacere di libertà anche quello). Siamo cittadini del mondo che devono imparare a rispettarsi l’un l’altro attraverso la conoscenza dei vari usi e costumi (vallo a spiegare a Calderoli) e rispettando leggi severe uguali per tutti. Trovo anacronistico festeggiare ancora il 25 aprile, se poi può diventare una bella occasione per Simo, Maria Lucia e company di ritrovarsi a Roma con gli altri del gruppo di Letteratitudine davanti a una tavola bandita, ben venga.

  12. Mala tempora… Ormai il passato non conta più, per molti il tempo ha lavato le macchie e le colpe (semmai le reputino tali), ormai la Resistenza è resistenza al nuovo invasore, lo straccione del Bangladesh, il romeno che stupra, che scassina e sgozza, o, nella migliore delle ipotesi, ruba il lavoro agli italiani. Il presente, purtroppo soltanto il presente, e la sicurezza del proprio microcosmo sono la cura della maggioranza beota degli italiani per i quali il ricordo del 25 aprile è patetico romanticismo, roba da vecchi. Non è un paese per…. il 25 aprile

    c’è da riconoscere che la destra italiana conosce l’italiano medio più della sinistra, o l’ha saputo “educare” portandolo ai livelli della propria mediocrità.
    il dilemma è questo: é becera più la classe politica che ha vinto il 13 aprile o l’italiano medio?

  13. bandita= imbandita (cacchio, Gregori mi fai ridere con le tue battute su Zauberei e mi fai sbagliare).

  14. Il calcolo del cittadino medio si effettua prendendo un cittadino massimo, uno minimo, fare la somma e poi dividere per due: quasi sempre ne uscirà fuori il titolare di un bar della bassa padana incazzatissimo

  15. Grazie, Gea!
    Piero Calamandrei e’ uno dei Padri di questa Costituzione inapplicata e tormentata da fanatici, separatisti, localisti e globalisti. Invece a me la Magna Charta (!!) sembra una vox clamantis in desertu, pertanto la sento mia nel profondo del cuore. Viva dunque anche la nostra Costituzione. La Carta degli Italiani che gli Italiani non sanno applicare alla vita quotidiana. Ma io ci spero sempre, finche’ sta li’.

    Finche’ Costituzion esiste
    l’Italiano vive e resiste!

    Nuovamente Buon 25 aprile a tutti (a tutti quelli che lottano per mettere in pratica la Costituzione)!
    Sergio

    P.S.
    Sarebbe giusto che qualsiasi modifica costituzionale debba esser per legge approvata dai due terzi del Parlamento (Camera e Senato). Cosi’ la lascerebbero in pace, i fanatici di cui sopra.

  16. Come potrebbe esserci una memoria condivisa nel caso di una guerra civile? Chi deve dimenticare?
    L’Antifascismo degli Inglesi è stato contro i Tedeschi, quello degli Italiani contro altri Italiani (molto più che contro i Tedeschi).
    La Resistenza è stata, nel ricordo, un pò gonfiata perché era l’unica cosa su cui poter appoggiare la Repubblica antifascista ed anche se è stato un fenomeno piuttosto limitato, nel tempo e nelle dimensioni, si è cercarto di farla bastare lo stesso. Molti sono rimasti fascisti per dimostrare che”non si cacavano sotto degli Inglesi” e io sinceramente credo alla buona fede di tanti di loro, specialmente i più giovani.
    L’Unità d’Italia è stata fatta contro i meridionali che sinceramente non avevano nessun motivo per cambiare il re Ferdinando II (che era italiano e napoletano, non francese) con il re Vittorio Emanuele II verso cui non si levavano grida di dolore cui dovette rispondere con l’invasione del regno di Napoli (neanche fosse Bush con l’Irak), si sarebbero levate le grida di dolore piuttosto in seguito, con il Sud ridotto come l’Irak de-baathizzato, ridotto a una tomba scoperta da mafiosi e camorristi ( che prima dell’unità non c’erano) nei confronti dei quali sono buoni centocinquant’anni che scadono i termini di custodia cautelare quelle poche volte che vengono arrestati.
    Oltretutto il paese era cattolico a stragrande maggioranza e l’unità è stata fatta contro la Chiesa da un massoneria da cui venivano esclusi i credenti (al contrario della massoneria inglese, da cui vengono esclusi gli atei), la quale poi s’è spartita il bottino dei beni sequestrati agli ordini religiosi e al Vaticano come una massa di sciacalli, lasciando peraltro il Paese indebitato (i soldi se li sono presi loro, i “fratelli” d’Italia).
    Bene, memoria condivisa su che cosa?
    E’ giusto che la memoria non sia condivisa.
    La memoria non si può inventare, gli storici italiani devono imparare a scrivere la verità invece di riempire i libri di scuola con falsa mitologia. La Vertà è un fine, non è un mezzo.

  17. La memoria non si può condividere, lo penso anche io. Quello che si può condividere è il rispetto. E già dire “quello è morto dalla parte giusta e quall’altro dalla parte sbagliata” rispetto non è.

  18. non è o.t. perchè massimo ha chiesto, anche, di raccontare la propria giornata.
    beh, io ho appena finito di leggere ”il quaderno delle voci rubate” di remo bassini. in questo momento. e ho riacceso il pc nonostante un temporale in corso perchè DEVO condividere la gioia di un libro bellissimo.
    triste, tenero, profondo. leggendolo mi suonava in testa il de andrè anarchico dalla parte degli ultimi, l’albergo a ore, vecchie canzoni francesi.
    e ho pensato a piero chiara che, secondo me, sarebbe felice di sapere che qualcun altro narra con amore piccole storie di bar con saracinesche mezze abbassate, benzinai, puttane, matti, amicizie silenziose e dolori profondi.

  19. Strano, mi sento italiano nel cuore, ma il 25 di Aprile, o il due di Giugno, non mi dice nulla; nessun risveglio, nessuna lacrima o esaltazione, legame che mi sussurri che sono italiano.
    Sarà che ne ho abbastanza delle parate; le facevano anche i monarchici, i fascisti, i nazisti, i liberatori di ogni epoca; sarà che la vita riprende, dopo, il solito corso di sempre a favore dei furbi, opportunisti e difensori dell’abilità altrui, per ricavarne quel poco al prezzo della propria dignità, dimenticata e venduta più volte al padrone di turno.
    In esse viene celebrato il consolidamento di un potere, ma anche la conquista della libertà nell’unione di un popolo.

    Sebbene libertà e identificazione non abbiano la stessa origine, si riscontrano insieme sul cammino della loro realizzazione.
    La prima è da ritenere un diritto universale, appartenente quindi a ogni individuo di questo mondo già dalla sua nascita, mentre l’identificazione richiede di più, perché è frutto di un processo, nello svolgimento del quale deve maturare il senso di appartenenza volontaria a un gruppo umano.
    Libertà è quindi ancor oggi una conquista che, per ottenerla, s’abbisogna di una identificazione forte con un ideale sentito e sostenuto ad ogni prezzo.
    Il loro futuro dipende dalla maturità raggiunta dai suoi sostenitori e saputa rimandare alle generazioni successive.
    Capita, spesso, che esse vengano tradite e abusate da alcuni scaltri faccendieri che, nell’ebbrezza della loro vita, resa facile e propizia per immaturità dei cittadini, la usino per scopi personali e impropri delle loro origini.
    Allego una mia poesia intitolata:
    Libertà, uguaglianza, giustizia:
    per i giovani, e i rimasti tali, d’ogni epoca.

    Libertà, uguaglianza, giustizia,
    Per noi e i nostri cari,
    Scandiscono i rivoluzionari d’ogni tempo.
    Quali emozioni risvegliano queste parole in tutti noi
    Pari alla realizzazione di un sogno
    Alimentato sin dalla nostra infanzia.

    Allora, non immaginavamo che il sostenerle
    Avrebbe causato tante vittime tra i nostri compagni
    Che i nuovi eletti, camerati fedeli per gli stessi ideali,
    Ci avrebbero tradito e ridotto al loro servizio.

    Del vecchio tempo non è rimasto che il ricordo
    Degli anni giovani, trascorsi nel realizzare
    La più grande e nobile avventura dell’uomo
    Per raggiungere ciò che tutti insieme
    Scandivamo con una sola voce alta e imponente
    Che risuonava magica nei nostri orecchi
    E imperante nei nostri cuori:
    Libertà, uguaglianza, giustizia.

    Solo dopo, negli anni della maturità,
    Ci accorgiamo di aver seguito uno stimolo ingannevole.
    Uno stimolo che ogni generazione giovane
    Sente fortemente, come un richiamo alla sua vita
    Che nessuno può ignorare.

    Avanti, avanti, giovani di tutto il globo
    Realizzate i vostri sogni, anche se dopo
    Resteranno solo un ricordo vago e lontano.
    Il non viverli è uguale a non tentare la propria vita
    Per realizzare “ognuno per sé” il suo destino.

    Saluti, Lorenzo

  20. Il mio pensiero a riguardo e’ semplice: tra il 1943 e il 25 aprile del 1945 il Governo legittimamente in carica era quello di Badoglio, che pero’ subiva l’illegale occupazione di una parte di territorio nazionale da parte della Repubblica di Salo’. Dunque il 25 aprile del ’45 fu la riunificazione della Nazione nonche’ la sua liberazione dall’occupante nazi-fascista.
    Il 2 giugno e’ la Festa della Repubblica che ne nacque un anno dopo per plebiscito popolare.
    Io sostengo entrambe le feste e sventolo il Tricolore repubblicano con orgoglio e sentimento di appartenenza nazionale.

  21. @Enrico Gregori,
    condivido l’angoscia e il dolore di chi faceva ragionamenti “diversi” e forse non troppo tali. Condivido anche il parallelo tra quelli di via Rasella e il buon Salvo D’Acquisto: gli eroi sono quelli che pagano di persona.
    Purtroppo la storia non si fa coi “se” altrimenti avremmo una “Storia Americana” con cinque emendamenti in trecento anni.
    Subiamo, di questa italica genia, il genio e la sregolatezza.
    Se Mussolini fosse rimasto socialista; se Berlinguer e Moro fossero vivi; se Craxi avesse costruito il suo potere solo sulla sua formidabile intelligenza; se Zauberei si fosse trasferita in Svizzera…

  22. @Mario,
    la Resistenza fu “Guerra civile”, come lo fu quella americana; per fortuna in quella americana e in quella italiana, seppur con distinguo di alcune atrocità, comunque rimarchevoli, vinsero i buoni, o quelli che ideolgicamente lo erano, altrimenti Condi Rice oggi avrebbe l’anello al naso e sarebbe la vice-colf alla Casabianca.

  23. Spero soltanto che d’ora in poi Grillo non diventi il simbolo del primo maggio. Mi parrebbe uno scippo insopportabile. I suoi urlacci non dovrebbero diventare l’emblema di una giornata che ha ben altro significato.
    Personalmente affanculo manderei lui con i suoi strilli qualunquisti.

  24. 25 aprile: riunificazione, liberazione e fine della guerra civile. Abbiamo seri ed ottimi motivi per festeggiarlo.
    2 giugno: nascita della Repubblica – la quale checche’ se ne dica e’ l’unica cosa buona che abbiamo fatto in Italia dopo il Risorgimento. Due cose buone in centocinquant’anni sono pochine, anche per questo e’ meglio ricordarsele, senno’ che festeggiamo?
    Grillo: e lui che c’entra? Conta come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni.

  25. Dimenticavo:
    XX settembre: Roma italiana
    1861: finalmente tutti insieme, fuori dai piedi i tirannetti locali o stranieri.

    In totale fanno 4 cose buone.

  26. condivido quel che ha scritto Enrico, soprattutto sul fatto che gli eroi veri pagano con la loro pelle. gli altri interventi mi son parsi un po’ inutili, ovvero poco migliori di questo.

  27. Di inutile c’e’ solo il nulla. E i nichilisti sostengono addirittura che pure esso serva a qualcosa.
    Dunque direi sia meglio evitare di legittimare o delegittimare gli interventi altrui: tutti servono a qualcosa perche’ ci sono e perche’, appunto, questa e’ una Repubblica e noi ne siamo pari cittadini. Ognuno coi propri pregi e difetti.

  28. P.S.
    Ho sbagliato il calcolo (spiritoso eh!) delle cose buone che gli Italiani hanno fatto dal Risorgimento in poi: sono cinque: Risorgimento, 25 aprile, 2 giugno, XX settembre e I maggio. Eh, mica si puo’ eliminare il I maggio, anche se preso in prestito dagli Inglesi!

  29. Paola Distilo:
    leggendo la tua non trovo un nesso per il futuro.
    Il passato è sempre pieno di errori, perché raccoglie le azioni fatte dall’uomo nella sua permanente mediocrità e limitatezza, mentre il futuro ci offre una nuova occasione di agire meglio.
    I regni passano e con loro gli aspetti buoni e cattivi, questa è la caratteristica storica che ne possiamo trarne.
    Il prossimo futuro si presenterà con prospettive del tutto nuove nel tentativo di globalizzare l’umanità in un popolo nella conoscenza che abbiamo tutti un’origine e una fine comune.
    Diamoci da fare, affinché i grandi errori del passato non si ripetano e il progetto universale, auspicato e a volte tentato invano da altri predecessori, diventi realtà per il nostro comune bene.
    Altrimenti, saranno guai per tutti i popoli e non solo per l’italiano, di destra o di centro o di sinistra che sia.
    Hai mai pensato alle atrocità e imposizioni applicate dagli inglesi agli scozzesi?
    Per quel che so, il meridione era, nel suo insieme, sotto il regno di Napoli, incolto e retrogrado, anche sotto lo stato della Chiesa.
    La resistenza fu una necessità, perché aiutò gli alleati a combattere i tedeschi occupatori; fu inoltre dimostrazione per gli alleati che il popolo italiano era pronto a superare il fascismo; da lei sorse la repubblica, che faremmo bene difendere dalle demagogie moderne che sorgono nelle menti egoiste e per scopi personali.
    Infine, ognuno ha la sua memoria personale che lo distingue da un altro da custodire, è sempre stato così, ma nell’insieme dei fatti, accaduti e subiti, dobbiamo riconoscere lo svolgersi di un processo evolutivo, e, guardando verso il futuro, impegnarci, affinché non contenga gli stessi errori del passato.
    Saluti.
    Lorenzo

  30. Gia’, Lorenzo, ma il passato e’ esistito e il futuro ancora no. Il passato e il presente sono tutto quel che abbiamo concretamente in mano. Dunque bisogna, logicamente, imparare da cio’ che abbiamo e la memoria ci aiuta a farlo. A questo servono le ricorrenze: a vivere meglio il presente ed ipotizzare un futuro altrettanto migliore – anche se uomini restiamo sempre, dunque difettosi per natura nostra.

  31. Minimalisticamente (com’era, credo, nello spirito originario del post):
    Né con i Grillini, né con quelli del “tradizionale” 25 aprile, anche se avrei voluto essere con entrambi.
    Mi sono svegliato alle 15 (sic!) a causa di una andata a letto a tardissima ora e di una precedente giornata stressante. Fatto toilette, pranzato, andato ad un appuntamento di lavoro (arisic!), una pizza ed eccomi qua.
    Sono a lutto per la morte di una gatta (parto), ed incazzato perché ho perso un’agendina (fortunatamente quasi vuota, domani mi compro una Moleskine). Ho stabilito il record negativo (cioè, positivo) di spesa giornaliera, 11,20 euro.
    Starei con i Grillini, anche essendo iscritto all’albo dei giornalisti, ed anche se credo che le corporazioni siano nel DNA della civiltà occidentale (già nell’antica Roma c’era la corporazione dei barbieri-cerusici).
    Il 25 aprile andrebbe anche festeggiato per la liberazione dal nazi-fascismo, anche se dico che bisogna tener conto del fatto che i liberatori di allora hanno poi creato la prigione di Guantanamo (e prima ancora di Abu Ghraib).
    Forse allora, meglio privilegiare il 2 giugno, che è una festa tutta nostra…

  32. Caro Pippo,
    innanzitutto bentornato su Letteratitudine (fatti sentire piu’ spesso, eh!), poi quel che penso io degli Statunitensi ormai qui lo sanno tutti: sono antiamericano perche’ mi sembra di aver capito la loro strategia neo-colonialistica e per altri motivi d’ordine culturale e civile. Pero’ va detto che siamo stati noi Italiani a volerci far colonizzare culturalmente (e militarmente) dagli Stati Uniti; noi Italiani abbiamo accettato dei compromessi inaccettabili e umilianti. E’ colpa nostra se molti di noi hanno un senso dello Stato e una dignita’ nazionale troppo deboli, non e’ colpa degli Americani. Loro pensano a fare mercato del mondo, se noi ci stiamo a fare da mercato per le loro cretinate sono cavoli nostri, non colpe loro. Loro – beninteso: loro insieme ai nostri partigiani e a molti nostri militari monarchici, agli Inglesi alle truppe ausiliarie Francesi – ci hanno liberato dalla dittatura nazi-fascista, questo va riconosciuto storicamente, non possiamo dimenticarcelo. Ma adesso dobbiamo opporci strenuamente alla loro peggiore colonizzazione: quella linguistica e culturale, quella comportamentale, sociale, artistica. Dobbiamo continuare la storia di una Nazione, l’Italia, che ha alle spalle migliaia di anni (non dico ”riappropriarci della nostra Storia” perche’ dobbiamo solo fare attenzione a non perderla, che c’entra la riappropriazione?).
    Questo credo non significhi, per noi Italiani, esser legati ai nostri difetti antichi, ma trovare dei modi migliori di gestire la nostra italianita’, salvando il ”buono” e cambiando, a modo nostro, il ”cattivo”. E termino con un esempio confacente al problema che evidenziavi tu: quello dell’Ordine dei Giornalisti. Come esistono gli altri ordini, deve esistere anche quello dei giornalisti, ma va gestito onestamente e non per creare una casta, un gruppo di potere fisso, una forma di familismo legalizzato. Il problema e’ ”come” si porta avanti un ordine, non l’ordine stesso.
    Per gli scrittori, invece, vorrei che in Italia ci fosse un sindacato di categoria forte e battagliero, visto lo strapotere della controparte (gli editori).
    Ciao, Auguri
    Sergio

  33. P.S.
    Pippo, cosa ne pensi di una legge che stabilisca l’occorrenza di una maggioranza di due terzi (maggioranza qualificata) del Parlamento per cambiare anche solo una virgola della Costituzione? Mi pare pazzesco che con la maggioranza semplice si possa disfare tutto di una Carta Costituzionale. Coi due terzi lasceremmo almeno in pace la miglior Italia racchiusa in un sogno stupendo. Se non abbiamo il coraggio di applicarla almeno non la disonoriamo a ogni pie’ sospinto!

  34. Io ho appeso il tricolore al balcone, ma in un paese di 7.400 ABITANTI sono stata la sola!

    Ho scoperto però che il 25 Aprile viene festeggiato anche in Australia e questo mi ha fatto molto piacere.

    Ho messo un giore davanti al monumento ai caduti della seconda guerra mondiale e pregato per tutti i partigiani morti e per gli alleati angloamericani che ci hanno liberati!

    Dimenticavo: ho ascoltato tutte le canzoni dei partigiani: Bella Ciao Fischia il Vento Bandiera Rossa!

  35. “Dedichiamo questa manifestazione (40.000 in p.zza San Carlo, a Torino) a coloro che stanno manifestando nell’altra piazza, noi siamo la naturale continuazione dei nostri nonni, di quei valori di quella gente che ha combattuto, ha perso la vita per lasciarci una nazione più libera o quasi. Se avessimo un decimo di cuore di quelle persone o un centesimo di coglioni di quelli noi compiremo un lavoro per loro”.

    “Il presidente Napolitano dovrebbe essere il presidente degli italiani, non dei partiti. I partiti non ci sono più”.
    “Il presidente della Repubblica, ‘Morfeo’ Napolitano, dorme, dorme, poi esce e monita. Il referendum sulla legge elettorale andava fatto prima delle elezioni non dopo perché farlo dopo è come mettersi un preservativo dopo che si è trombato”.

    “Vorrei un giornale pagato da chi lo legge e non dai finanziamenti pubblici”
    Sono stati indetti ben tre referendum per l’abolizione dei finanziamenti pubblici all’editoria, per l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti e della legge Gasparri.
    “Non esiste e non può esistere un Ordine. Chiunque deve essere libero di scrivere. Perché mai ci deve essere un Ordine dei giornalisti e non un Ordine dei poeti?”.
    “Basta con le cose del passato, se vogliamo un Paese giovane e dinamico dobbiamo dire basta”.

    Berlusconi?
    “Pensate… se Obama da presidente fosse anche il proprietario della Fox, della Abc e di altre televisioni”. “Se Rete4 non va immediatamente sul satellite, come stabilito per legge, l’Unione Europea ci costringerà a pagare 300 mila euro al giorno da gennaio 2006”. “Voglio tivù come la televisione australiana, come la Bbc, pagata da chi la guarda”.

    “Siamo stufi che nei giornali e nelle tivù comandino banche, Confindustria, che dicono ai giornalisti quello che devono fare o scrivere. Telefonano alla sera per dare le scalette”.
    “Vorrei che nascesse un giornale pagato da chi lo legge e la stessa cosa vale per le televisioni”.

    L’Ordine dei giornalisti?
    “Siamo gli unici al mondo ad avere un ordine dei giornalisti fondato nel 1925 da Mussolini per tenerli in braghe di tela. Già Einaudi diceva che non era necessario un Ordine dei giornalisti. L’informazione deve essere libera e la rete li farà fuori tutti lo stesso. Via le cose del passato, mettiamolo nelle cantine se vogliamo essere un Paese dinamico e veloce”.

    ”Ci sono 113 basi Nato presenti in quasi tutte le regioni tranne due, la Valle d’Aosta e l’Abruzzo, forse perché non capiscono la lingua”.

    “Abbracciamo e ringraziamo coloro che ci hanno permesso di essere oggi qui su questo palco. Grazie ai partigiani di 63 anni fa, oggi siamo noi i nuovi partigiani della libera informazione”

    ===

    “Sono d’accordo con Beppe Grillo. Non è un antipolitico”, ha detto Adriano Celentano in un messaggio registrato e diffuso oggi pomeriggio dal palco del V2-day. “Bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi – ha affermato il cantante – per controbattere le falsità che ogni giorno ci propinano”. Un saluto a Grillo è stato portato anche dal magistrato di Catanzaro, Luigi de Magistris.

  36. @ didò:
    so benissimo che il corso degli eventi non può essere giudicato alla luce dei “se” e dei “ma”. ho fatto delle semplici considerazioni, condivisibili o meno, come sempre a titolo personale visto che alla fine dell’intervento compare la mia firma. non aspiro ad alcuna forma di proselitismo perché è giusto e sacrosanto che ognuno abbia le proprie idee. credo che l’importante sia che le idee si formino al di là delle strumentalizzazioni. in Italia e attraverso l’Italia ci sono state numerose infamie e fare una classifica delle medesime ha poco senso. o io, almeno, non me la sento di distinguere tra l’orrore delle leggi razziali e quello delle foibe.
    auguro buon divertimento a chi ha tempo e voglia per simili distinguo.

  37. A Grillo’s voice.
    Egregio Grillo’s voice, guarda cos’ha scritto Francesco Merlo su repubblica.
    ……………………………
    ECCO una bella sfida per la nuova stagione della politica italiana: riprendersi questa piazza che Beppe Grillo riempie ma non merita, e non solo perché, in piena crisi artistica, non riesce più nemmeno a fare ridere. Il punto è che Grillo, per galleggiare nel malumore, ormai deve spararla sempre più grossa. E infatti, in questa escalation, ieri è diventato un altro di quegli irresponsabili italiani che di tanto in tanto vorrebbero riprendere e continuare il lavoro feroce dei partigiani – “ah se solo avessimo più cuore e più coglioni” – scambiando la tragedia della guerra civile con le gag da Bagaglino: “Siamo noi la nuova Resistenza”.

    Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui. Come tutti i demagoghi italiani, vorrebbe abbattere la stampa
    Crede di essere una somma di Totò e del professor Sartori, uno che prende drammaticamente sul serio la propria scienza politica

    E come tanti altri anche Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui: “Pennivendoli di regime”. E sogna un capo dello Stato meno “Morfeo” e dunque più decisionista, purché ovviamente nel consiglio di reggenza di questo virile presidenzialismo ci sia lui, Beppe Grillo.

    Grillo non lo sa, ma il giornalismo, che come tutti i demagoghi italiani anch’egli vorrebbe abbattere, serve anche a mostrare la realtà che sta dietro il dito dell’inaudito. E dunque a segnalare che ieri a Torino la piazza era, come sempre in Italia, molto migliore di lui, nel senso che il malumore del suo “pubblico” non è solo l’umore andato a male di Grillo. E non soltanto perché lì, in mezzo a quei cinquantamila, c’è anche tanta gente che vorrebbe ancora divertirsi a vederlo recitare; gente che – dicono al Sud – lo “buffonia”, lo prende in giro, gli fa credere d’esser lì per la sua sapienza politologica e invece è lì soltanto perché in piazza San Carlo non si paga il biglietto.

    Insomma alcuni – quanti? – dei suoi fans sono “portoghesi” che sperano di ridere gratis partecipando a uno spettacolo di comicità. E nessuno li comprende meglio di noi che, pur di sentire cantare Ventiquattromila baci o Azzurro, siamo disposti a “buffoniare” Celentano. È così anche per Grillo. L’importante è che, tra una stupidaggine e l’altra di filosofia etica, ci faccia ridere e magari anche ghignare con i suoi lazzi, le sue pernacchie, la sua strumentazione di comico.

    Abbiamo un rapporto speciale con i comici, noi italiani. Molti di loro ci hanno insegnato trucchi e scorciatoie di grande intelligenza. Abbiamo imparato molte più cose da Totò che non da Gramsci. Totò, con il suo “vota Antonio, vota Antonio”, ci diceva per esempio che la campagna elettorale dei suoi tempi somigliava già ad un canovaccio da commedia dell’arte. Ma nient’altro Totò sapeva e voleva e poteva fare. Questo Grillo invece crede di essere una somma di Totò e del professore Sartori, una specie di Sartori totoizzato, uno che prende drammaticamente sul serio la propria scienza politica. E invece tutto può fare Grillo tranne che saltare la propria ombra, che rimane l’ombra di un comico (in crisi).

    Nella rabbia dell’Italia giustamente insoddisfatta della politica, Beppe Grillo è dunque la carnevalata. I suoi sberleffi, le sue parolacce, le sue linguacce sono i coriandoli di piazza. E si capisce che “mandare a fare in culo” possa apparire più piccante che partecipare a una celebrazione – rituale per quanto solenne – della Resistenza.

    Aggiungiamo adesso, senza alcuna reticenza, che in quella piazza ieri c’erano umori che non solo non si identificano con gli schizzi di bile nera di Grillo, ma sono, in parte, anche umori nostri. In tutti i movimenti – direbbe Alberoni – c’è chi fa cassa. Da Masaniello a Canepa a Bossi a Grillo… c’è sempre qualcuno che diventa l’espressione sgangherata di malumori forti e legittimi. E la buona politica dovrebbe calarsi dentro di essi; per tirare fuori, ad esempio, il buon umore dal malumore dei produttori del Nord che stanno con Bossi perché si sentono ipertassati e non protetti.

    Così tra i piazzaioli di Grillo ci sono professionisti, docenti, giovani e giovanissimi che coltivano buoni sentimenti e disagio, e magari in qualche caso sono il meglio della gioventù, quella che non trova espressione nei codici della politica e va dunque a cercare un detonatore o un pantografo che percepisca e ingrandisca il segnale.

    Due parole infine sulla lotta di liberazione contro i giornali che sarebbero fascisti, fogli di regime eccetera eccetera: roba per il vaffa. Tutti vedono che i giornali italiani sono un esempio di caotico pluralismo che produce più informazione di quanta si possa raccogliere e metabolizzare. Insomma in Italia c’è una sovrapproduzione di informazione che, in menti sciagurate e mediocri, produce ingorghi alluvionali. I casi sono due: o Grillo non riesce ad infilarsi in questo gorgo oppure, lì dentro, si ingolfa la sua intelligenza.

    Vogliamo dire che Grillo scambia per prepotenza d’altri la propria incapacità di capire che la realtà è l’insieme di centinaia di punti di vista. Nulla di nuovo e nulla di grave, anche perché i giornalisti non sono sacri. L’importante è non attaccare il diritto degli altri a ficcare il naso nella realtà. Se dunque non gli piacciono i mille giornali che lo raccontano in mille modi, tutti diversi da come egli vede se stesso, Grillo faccia lui un giornale che gli somigli di più, che sia specchio del suo narcisismo: un giornale che canta, insulta e sputa in aria.

  38. Puer essendo del mestiere ho sempre avuto notevoli perplessità sulla funzione dell’ordine dei giornalisti.
    A pelle mi viene da dire che, se esiste solo in Italia, non è detto che sia per forza una bestialità. A mio avviso è inutile e sbagliato in quanto esercita poco quella che secondo me dovrebbe essere la sua funzione essenziale, ossia controllare e punire i giornalisti che si rendono responsabili di comportamenti contrari alla deontolgia professionale. Insomma, secondo me, l’Ordine dovrebbe rivolgersi ai giornalisti ma tutelando i lettori.
    Mi verrebbe anche da dire che, abolendo l’Ordine dei giornalisti, si potrebbero poi abolire quelli degli ingegneri, degli avvocati, dei medici, dei commercialisti consentendo, dunque, a un maniscalco di operare a cuore aperto un paziente.
    Ovvio che è un paradosso, ma l’abolizione dell’Ordine, comunque, non consentirebbe affatto che tutti siano liberi di scrivere. Un giornale, un telegiornale, un’agenzia di stampa et cetera, avrebbero comunque la possibilità di assumere chi vogliono. Insomma, il “mercato” non verrebbe in alcun modo liberalizzato.
    Peraltro, con la qualifica di “collaboratore”, scrivono sui giornali numerosi soggetti che giornalisti non sono. Se il nome è “illustre”, viene anche pagato molto di più di un giornalista regolarmente assunto e stipendiato.
    Forse l’Ordine dovrebbe dare un’occhiata anche a questo fenomeno. Se non altro perché con il “mensile” di un collaboratore illustre, si potrebbero assumere 4 giornalisti disoccupati.

  39. Mi spiace se qualcuno se l’è presa per quanto ho scritto.
    Ma non erano certo insulti, solo constatazioni, che quindi confermo.

    @Enrico
    L’OdG, secondo me, è un’inutilità. Il paragone con professioni quali il medico, l’avvocato etc, per ovvi motivi, non regge. Proprio per niente.

  40. Per Lorenzo Russo:
    Caro Lorenzo, per quel che ne so io, la mafia è un fenomeno post-unitario (prima dell’unità d’Italia il racket delle estorsioni semplicemente non esisteva), la grande migrazione dal Sud al Nord è un fenomeno post-unitario, prima i meridionali non sentivano alcun bisogno di emigrare evidentemente perchè non morivano di fame, non solo, prima dell’unità il Regno di Napoli e il Lombardo-Veneto avevano già le ferrovie mentre il Piemonte di Cavour no, non solo, le industrie che c’erano al Sud sono state chiuse, i macchinari smontati e portati a Torino per risarcimento delle perdite di guerra e per non fare concorrenza a quelle dei vincitori, non solo, la Chiesa usava i propri beni per organizzare le mense per i poveri e ciò funzionava da ammortizzatore sociale, ciò che i massoni liberali che si impossessarono abusivamente dei beni ecclesiastici in seguito si guardarono bene dal fare. Ricordati una cosa Lorenzo: nessuno fa la guerra per farti un favore, se la fanno, la fanno per comandare al posto tuo, a casa tua. Quanto all’arretratezza del Meridione, prima dell’Unità il territorio delle due Sicilie era molto più vicino allo standard europeo del tempo, di quanto non lo sia oggi, per non vedere questo bisogna avere gli occhi chiusi. Ora non c’è niente, è una specie di cimitero. Nell’Ottocento c’era industria e artigianato oggi no, lo vuoi capire o no? I mafiosi li scarcerano apposta, i termini di custodia cautelare non scadono “per caso” da centocinquant’anni, e i mafiosi stessi non sparano a caso, sparano solo sulle partite I.V.A. A me dispiace che sia così e so che molti italiani credono alla storia che trovano sui libri di scuola in perfetta buona fede, ma questo Paese è marcio nel midollo delle ossa, il Boss Bernardo Provenzano, lo Stato non l’ha arrestato, l’ha mandato in pensione.
    Ciao e scusami se ti rattristo, buone feste lo stesso.
    Paola

  41. V-day e Festa della Liberazione.

    Il V-day è la prosecuzione del giorno della liberazione.

    I vecchi politici sono ciechi e blaterano sul senso del giorno della liberazione, che loro stessi hanno svuotato di significato.

    In un Italia derubata da banche, dalla casta politico-economica, dove il diritto fondamentale alla salute viene continuamente calpestato, la vecchia logica politicheggiante cerca il nemico ora a destra ora a sinistra.

    I comunisti temono i fascisti, a destra si temono i comunisti. Il 25 Aprile, a causa di questi politici che hanno barattato ogni lume di ragione con una dogmaticità settaria, si trasforma puntualmente in una ridicola parodia dove si rievocano gli stessi contrasti del dopoguerra, ma in una dimensione anacronistica dove non hanno più senso di esistere.

    Mentre il mondo dell’informazione, che ha ereditato gran parte della sua struttura dal periodo fascista, lascia morire ogni presupposto della democrazia e della libera economia, questi personaggi vogliono salvare il teatrino personale di manifestazioni e contromanifestazioni che inscenano ogni anno il 25 Aprile.

    Centinaia di migliaia di famiglie derubate a piene mani dai loro risparmi. Sempre nello stesso ordine di grandezza, persone si ammalano per comportamenti criminosi delle industrie. I morti sul lavoro fanno notizia solo se si muore in quattro nello stesso posto lo stesso giorno.

    I media avrebbero potuto evitare tutto ciò. Avrebbero potuto informare in tempo i cittadini. Invece, da cane da guardia del potere, i media sono diventati il cane da compagnia dei potenti. Hanno preferito tacere sempre e comunque. La loro ignavia si è trasformata in colpevole complicità.

    Oggi è nostro compito fare si che la democrazia per la quale i partigiani e gli alleati hanno combattuto, possa tornare ad esistere.
    È nostro diritto, e nostro dovere, lanciare un grido contro i palazzi del quarto potere.

    Questo cancro che uccide la nostra libertà e la nostra dignità, non arriva nè da destra, ne da sinistra. Leviamoci dalla testa, una volta per tutte, queste idee obsolete, diventate il vero oppio degli italiani. Il vero cancro è l’incestuoso rapporto tra politica, mafia, economia, stampa.

    Il 25 Aprile siamo noi. Noi non siamo un partito, noi non siamo strumentalizzatori colorati di rosso o di nero.
    Noi siamo il popolo italiano, che rivendica il proprio diritto alla sovranità, alla democrazia, alla vita, alla dignità.

    Noi siamo coloro che sono stati liberati ne 1945 con la vita di migliaia di persone, e che vogliono che questo sacrificio non sia stato invano.

    Vogliamo dire basta a queste tangenti legalizzate al mondo dell’editoria. Vogliamo liberarci da un ordine dei giornalisti, diretta emanazione di quello nato in epoca fascista.

    Forse la nostra non sarà una soluzione ottima. Ma per rimanere puliti, dobbiamo imparare a lavarci anche con l’acqua sporca.

    Questa è un’apocalisse morbida. Siamo uccisi e derubati lentamente, e i media ci prendono in giro con i nostri stessi soldi.

    Il 25 Aprile, noi rinnoveremo la liberazione, con la speranza che i padri della nostra democrazia ne possano essere orgogliosi.

    (Giovanni mi dispiace per te ma il flop sei tu…spero che hai anche capito il nesso tra libera informazione e il 25, ciò che ho riportato è stato scritto al banchetto dove abbiamo traccolto 6000 firme in una giornata, in una città addormentata come pescara! è una rivoluzione senza armi … ma come vedi critiche e polemiche a parte, spezzoni del grillo che urla fanculo a destra e a manca, nessun tg o quotidiano ha intervistato o riportato pareri delle persone che hanno firmato. INFORMATI SULLA RETE!)
    minerva

  42. e comunque, anche tra voi sono stati pochi chi ha commentato poi le proposte del referendum tutti impegnati ad esaltare o denigrare la figura del gurù grillo. Indipendentemente dal torto o dalla ragione, ma chi tra di voi riesce a fare un pensiero sulle proposte referendarie? chi mi sà dire che forse i finanziamenti andrebbero modificati o del tutto cancellati? a cosa serve l’ordine? siete scrittori giornalisti poeti? cosa serve sta rubrica? ieri hanno firmato anche dei giornalisti che lavorano da anni ma nn pagano l’iscrizione all’ordine… sono contrari anche loro! parliamo di questo nn di grillo. NN ce ne può fregar di meno del grillo parliamo di cose serie, lui le ha solo indicate siamo noi che dobbiamo poi proporre e far nascere un italia più decente…lui è solo un disincantatore…siamo noi che dobbiamo svegliarci dal torpore che ci porta solo a lamentarci senza risultati.

  43. Dunque sono tornata definitivamente alla base.
    Salve a tutti!
    – Gregori caro, per fortuna non è sempre er venticinque aprile- Giorno in cui ho cominciato a bere e magnare verso le ore 13 e smesso verso le ore 23.
    Lo so che nun è tanto morale, ma tant’è.

    Per quanto concerne la questione Grillo, Minerva. Ti dico semplicemente le cose che non mi piacciono affatto di Grillo, e di molti dei suoi:
    1. A prescindere dalle proposte mi fa schifo il lessico e il qualunquismo. Nonostante la desolazione che nmi procura la situazione politica in Italia. Sapendo distinguere la qualità di e la tragicità di diversi momenti storici, sia per chi stava da na’ parte che chi stava dall’altra delle fosse ardeatine, provo uno schifo etico, nei confronti di chi si permette di paragonare questi anni con quelli di allora. Proprio mi metto le mani nei capelli e penso che allora, se arriva uno stronzo e ci dice che siamo dei Bamboccioni, magari tutti questi torti non li ha, considerando che in altri anni non si magnava altro che cipolle. Questo urlare non ci salverà.
    2. Finiamola con questo populismo da strapazzo che attacca gli albi, e magari certi stipendi alti, e quant’altro pensando di fare chi sa quale favore alla comunità. Gli albi di tutte le professioni servono a tutelare i professionisti e tutti coloro che a essi devono fare riferimento. E’ l’albo che permette di denunciare uno spichiatra che si tromba un paziente disabile. E’ l’albo che permette di giudicare chi scrive stromzate usufruendo di una competenza che non ha e violando delle regole che ci sono per tutelare i cittadini. Gli albi vanno protetti e fatti funzionare.
    3. Sono molto perplessa su questa zelante e demagogica speranza che, aumentando il potere giudiziario si faccia un favore ai cittadini. Montesquieu ha scritto una roba che si chiama Esprit de Lois e che spiega per benino come i tre poteri in uno stato debbano starsene separati e dividsi tra loro. Se il potere giudiziario diviene eccessivo, ogni stronzo che vuole fare un colpo di stato, costruire una maggioranza fasulla eccetera – mi viene a rompere i coglioni sul fatto che a tre anni ho rubato dei pomodori.
    La la democrazia prevede che uno che abbia ammazzato dei regazzini possa entrare in politica.
    Il problema è convincere la gente a non votare chi ha un passato contestabile. Se si pensa che questo è giusto.

  44. @zauberei

    1. non si può liquidare solo come qualunquismo. vengono fatti nomi, cognomi, date, e riferimenti precisi.

    2. gli albi professionali sono corporazioni di nessun servizio al professionista stesso e servono solo a proteggere il monopolio della legittimità. per punire chi viola la legge o la morale, basta lo Stato.

    3. potere esecutivo, giudiziario e legislativo, non sono mai stati separati veramente. e questo non per congiura dei potenti, ma perché è tecnicamente impossibile. anche nelle migliori democrazie, come per esempio in Francia dove i giudici dipendono dal potere politico.

  45. Non è necessario essere iscritti all’ordine per tutelarsi, già dovrebbero farlo i sindacati …sbaglio? la libertà di parola e di espressione nn è soggetta a nessun ordine, tantomeno ai giornalisti che dovrebbero essere liberi di esprimersi invece di essere assoggettati in un sistema rigido che nn garantisce nulla, ne al lettore nè al giornalista stesso. (tant’è che emilio fede lavorano ancora , mica sono aboliti dall’ordine….)
    cmq concordo che le urla nn ci salveranno per questo dobbiamo andare oltre a grillo. Dovremo iniziare a ragionare con la nostra testa, grillo urla perchè a parte che è il suo effervescente modo id essere , ma sopratutto per scuotere, per smuovere, la gente….e da noi che parte il cambiamento nn certo da grillo che ci urla : “fai qlcosaaaaaaaaaaa”
    per quanto riguarda il discorso della libertà è vero che nn abbiam i fucili puntati ne siamo sotto dittatura, mentre, noi oggi lo siamo e neanche ne ne accorgiamo!

    cmq per la cronaca che nn leggerete su nessun giornale:

    “I primi dati delle firme raccolte sono di 450.000 firme. Nella storia repubblicana non è mai successo. Nessuno è riuscito a raccogliere un numero simile di firme autenticate in un solo giorno.”

    se è successo chiedetevi il perchè…. ne se ne può più!

  46. Mi piacerebbe interagire con molti di voi, ma mi è impossibile.
    E allora dico:
    Attenzione, non sempre la verità è bianca o nera (a volte sì, però).
    Grillo ha ragione a urlare contro il sistema giornalistico che spesse volte è stato servile, ma sbaglia a non sottolineare (o a non sottolineare abbastanza) che il suddetto sistema giornalistico (ordine o non ordine) non ha impedito a fior di giornalisti di dare (forse anche troppe volte) la vita per inseguire quel sacrosanto dovere di informazione che fa di un giornalista un professionista con la P maiuscola.
    Poi non c’è dubbio che un “ordine” (come ha sottolineato Enrico Gregori) deve servire a garantire gli “utenti del servizio professionale” e non i professionisti. Altrimenti, sì, diventa casta e non “ordine”.
    Allo stesso modo Merlo sbaglia nell’affermare che Grillo riesce a radunare 40.000 (o 50.000) persone perché – in soldoni – dà uno spettacolo gratis. Dire questo significa “non riconoscere la realtà”. E la realtà è che Grillo – al momento – non ha alcun bisogno di aprire un nuovo giornale. Attraverso il web è riuscito a ottenere molti più risultati (apprezzabili o stigmatizzabili, dipende dai punti divista) di quelli che avrebbe ottenuto con una nuova testata giornalistica.

  47. @ Minerva
    Domandi: “cosa serve sta rubrica?”
    ‘Sta rubrica, ‘sto blog e ‘sto post non serve nessuno perché è assolutamente libero.
    Chiunque può lasciare commenti che vengono pubblicati senza moderazione, a differenza di altri blog molto più famosi di questo.
    ‘Sta rubrica è talmente libera che consente a un nuovo arrivato di poter scrivere “cosa serve sta rubrica?”
    Benvenuta a Letteratitudine, Minerva.
    Spero che ritornerai anche per altri post.

  48. Ora devo chiudere.
    Mi piacerebbe che i partecipanti alla riunione romana di ieri potessero aggiornarci un po’.
    🙂
    Carlo S. mi ha inviato delle belle foto. Spero di riuscire a metterne on line almeno un paio.
    A dopo!

  49. ei nn te la prendere per “sta’ rubrica” è un mio modo di provocare, ma la trovo interessante, e a volte lascio anche commenti… un abbraccio a tutti

  50. Come esistono gli altri ordini, deve esistere anche quello dei giornalisti, ma va gestito onestamente e non per creare una casta, un gruppo di potere fisso, una forma di familismo legalizzato. Il problema e’ ”come” si porta avanti un ordine, non l’ordine stesso.

  51. P.S.
    Infatti cio’ che mi scandalizza non e’ tanto la (spesso cattiva come gli altri ordini) gestione dell’Ordine dei Giornalisti, ma i legami fra alcuni giornalisti e il potere in tutte le sue forme, l’esistenza degli intoccabili. E questo e’ possibile cambiarlo solo promuovendo una moralita’ italiana migliore a tutti i livelli professionali.

  52. Grazie, Zau (piove anche da me e nello stesso senso, oltre che nel cielo vero)… be’, pero’ anche fare delle leggi adeguate serve a qualcosa: lo strapotere di singoli e logge varie va arginato anche con le buone (e semplici e divulgate) leggi. Perche’ se esiste una buona legge, il cittadino puo’ appellarvisi; altrimenti ciccia: si arrangia!
    Ciaobbella
    Sergio

  53. @Gregò,
    noi due c’eravamo capiti. Il tuo intervento sul “25 aprile” è stato di un’eleganza dialettica inoppugnabile e per questo anche condivisibile, non pensavo ci fosse voluta una sanzione successiva. E, tra l’altro, ti dirò, checchè ne possano pensare i matre a pensér della “mia” sinistra, io sono d’accordo con le corporazioni professionali, provengo da un mestiere, che oggi è semplicemente detto “imbianchino”, ma nel ‘700 era “dipintore” e la mia confederazione decise, nel XVIII secolo, quale dovesse esse il colore di Torino, spiazzando la “confederazione (l’Ordine di allora) degli architetti. Gli ordini tutelavano l’etica e la deontologia, brutte parole oggi.

  54. massimo maugeri, non sempre la verità e bianca o nera.
    però ti consiglio di leggere il rosso e il nero di stendhal.
    è molto istruttivo.

  55. sergio sozi, l’ordine dei giornalisti deve esistere ?
    obé, se lo dice un combattente come te sarà vero.

  56. @Zaub,
    la tua sorveglianza della lingua romanesca mi ti colloca sull’altare della patria capitolina, ultimo baluardo godereccio (ho magnato fino alle 23) sull’invasione dei succhiatori di “Cassuéla”.
    Ora hai un compito doppio, sia come strizzacervelli (psicologa), sia come conoscitrice dello stomaco umano:chiedi a questi quà de “la cena”, che se sò magnati, e de’ chi hanno parlato male (vuoi stare a tavola e non parlar maledi chi non c’è?).
    Forza Zaù. Interroga i giudici, intervista giornalisti, esamina le docenti.
    Spettegola. Spettegola.Spettegola.

  57. Per Paola Distilo
    A chi dar ragione, a me a te, a un altro?
    Non ho mancato di chiudere la mia con una conclusione personale chiarificatrice che ripeto qui appresso:
    “Infine, ognuno ha la sua memoria personale che lo distingue da un altro da custodire, è sempre stato così, ma nell’insieme dei fatti, accaduti e subiti, dobbiamo riconoscere lo svolgersi di un processo evolutivo, e, guardando verso il futuro, impegnarci, affinché non contenga gli stessi errori del passato”.

    I miei antenati paterni erano di Messina e portavano il titolo di “Baroni del Regno di Napoli e Sicilia”, loro sì che stavano bene.
    Mi raccontavano delle ingiustizie esistenti a scapito del popolo comune, che viveva in uno stato di servilità, lontano quindi dall’essere libero e potersi realizzare.
    Mio padre, dal suo parlare mazziniano e quindi repubblicano, avversava la monarchia, perché era cosciente che in essa stavano bene solo i suoi sudditi, servi del potere, mentre lui, giovane e aperto alle nuove correnti liberatorie, sosteneva il processo del rinnovamento generale culturale e politico, possibile solo con l’inclusione del popolo all’istruzione e amministrazione.
    Ammirava i filosofi tedeschi come Kant, Lessing, Heidegger, Schopenauer, ma anche Nitsche, Kafka, le cui affermazioni illuminarono le menti dei popoli del loro tempo ed influirono l’andamento politico in tutta l’Europa.
    Nella storia si nota che ogni costruzione creata dall’uomo degenera nel corso del tempo e abbisogna di una corrente opposta; a mio parere, accade affinché il processo evolutivo si rigeneri e non si fermi.
    Ciò non avviene, senza ripercussioni varie e anche catastrofiche, a favore dell’uno e a scapito dell’altro.
    L’illuminismo è un processo reazionario contro una situazione sociale diventata ingiusta, oppressiva e stagnante del suo tempo, così come il comunismo lo è contro il capitalismo oppressivo e sfrenato.
    Il capitalismo potrebbe reggersi più a lungo e non creerebbe la necessità di opporsi, come succede oggi, se curasse meglio i valori fondamentali umani, come l’equità, la morale ed l’etica.
    Ogni epoca genera la successiva e così via fino ad oggi.
    Da persone coscienti ed istruite come siamo, è nostro compito riconoscere il flusso della nostra dimensione e sostenere sempre i processi rinnovatori, sopportando anche le perdite e i sacrifici che spesso comportano.
    Una perdita subita, una sconfitta sopportata crea più incentivi a reagire per migliorarci, che una vittoria conseguita con la forza e l’abuso.
    Il contrario significherebbe ritornare all’epoca primitiva e incolta, dove solo il più forte sopravviveva ed era in uno stato permanente di confronto e paure.
    Di questi incentivi abbisogna il Mezzogiorno, ma sta al popolo sostenerli e pretenderli per il suo bene, quando la sua politica è corrotta, sorda e menefreghista.
    Tutti dovremmo rattristarci per l’attuale situazione nel Mezzogiorno, anche gli italiani del Nord, ben sapendo che una gran parte di loro sono originari del Mezzogiorno.
    Saluti,
    Lorenzo

  58. Buona domenica a tutti.
    Ho aggiornato il post inserendo le foto della cena romana di un gruppo di letteratitudiniani svoltasi il 25 sera.
    Le foto mi sono state gentilmente inviate dall’amico Carlo S. (che ringrazio).
    Si accettano commenti.
    🙂

  59. vi posto un pò di informazione libera, giusto per farvi avere un idea sul silenzio stampa, cmq se volete approfondire potete andare sul blog di beppe grillo e anche su meetup si ogni città , per controllare e verificare cosa fanno attivamente i grilli del posto!

    sono state raccolte 1.300.000 firme in un giorno, perché 120.000 persone hanno ascoltato per sei ore in piedi sotto un caldo estivo economisti, ambientalisti, operai, matematici e anche Beppe Grillo. Ma il V2-day è stato un successo enorme, straordinario soprattutto per la reazione dell’informazione. Per il silenzio dell’informazione. Per la comicità dell’informazione con i telegiornali che hanno dedicato tre minuti all’orango Petronilla di Roma e neppure un secondo al V2-day. Cinque minuti allo squalo bianco della California e neppure un secondo a due milioni di persone che sostenevano un referendum popolare.
    L’informazione di regime è stata il miglior sponsor del V2-day.

    grazie a tutti!

  60. @ Minerva
    Hai scritto: “ei nn te la prendere per “sta’ rubrica” è un mio modo di provocare, ma la trovo interessante, e a volte lascio anche commenti… un abbraccio a tutti”

    Non me la prendo, tranquilla.
    È vero, eri già intervenuta altre volte. Che dirti, intervieni più spesso e potrei considerarti davvero una dea.
    😉

  61. @ Mario Platania
    Stendhal? Chi è Stendhal?
    Scherzi a parte, fai bene a consigliare “Il rosso e il nero”. È un ottimo libro. E scommetto che tu sei milanista.

  62. Ciao, Mario Platania,
    non sono un radicale, sono uno che ha le idee chiare sui diritti e che ha vissuto in piu’ Paesi europei (Germania, Inghilterra, oggi Slovenia), quindi lotto per far ottenere agli Italiani cio’ che gli altri Europei hanno gia’ da quarant’anni. Dunque combatto, come hai giustamente osservato, per delle conquiste sostanziali ma ottenibili tramite due operazioni parallele: 1) La convinzione e relativa condivisione di tutti gli interessati; 2) L’ottenimento di norme giuridiche. E questo perche’ in Italia la ”moderazione con fermezza” e’ la miglior arma per ottenere le cose, non lo ”sfascio tutto”. Cosi’, poiche’ gli Ordini professionali esistono in ogni Nazione europea (o comunque vi troviamo Associazioni di Categoria analoghe, similari), credo che in Italia noi dovremmo ”semplicemente” (virgolette sarcastiche) moralizzare i nostri Ordini. Compreso quello dei giornalisti. Moralizzare non e’ uno scherzo, visto il malcostume nostrano e il motto ”forte coi deboli e debole coi forti” caratterizzante un po’ tutte le categorie professionali…
    Salutoni Cari
    Sergio Sozi

  63. Belle foto!
    Per omaggiarne l’odor d’allegra combriccola (gabbia di matti? Manca solo Tognazzi!), copio qui sotto la poesia che Gianmario ha postato sopra:

    Ritroviamoci ad Ortigia,
    dove Venus Callipigia
    dalle acque scintillanti
    dea appare a tutti quanti,
    ed intorno a un sacro desco
    rallgriamoci col pesco
    di paranza sopraffina
    dalla sera alla mattina;
    innaffiandola col Greco
    in un dì straordinario
    canteremo con la eco
    di un affetto letterario.

    Sergius Latronis Buccimpero

  64. (In quanto assente un piccolo contributo dovevo comunque darvelo, no? Speriamo di vederci tutti, prima o poi…)

  65. Io festeggerò il 25 aprile e la Liberazione ascoltando Grillo, perché sebbene non sia simpatico a molti (e di questi tempi soprattutto ai giornalisti), è innegabile che la rabbia scurrile di Grillo rappresenti la rabbia di una parte degli italiani (piccola o grande che sia) che tende a non identificarsi più con questa Italia.
    Forse il V2-Day organizzato proprio nella data del 25 aprile è un tentativo per cercare
    riempire una ricorrenza che molti italiani non sentono più così forte (ahimè, ha ragione Zauburei ha rabbrividire pensando al paragone con le Fosse Ardeatine), o forse è una più semplice strumentalizzazione come altri sostengono.
    Sta di fatto che sento parlare tanto di Grillo è così poco delle sue proposte. Ieri su un giornale c’é chi tentava di minare la figura del comico scrivendo delle sue proprietà, di quante auto possiede e di quali modelli. E’ contro questo tipo di giornalismo che la gente scende in piazza. Fortunatamente su Letteratitudine le parole di Grillo & Company sui giornalisti, che ancora in Italia sanno fare il proprio mestiere, trovano un’ulteriore conferma.

    @Zauberei
    Posso capire il tuo odio nei confronti del populismo, ma mi piacerebbe ricordare che è proprio il populismo sugli stipendi e i privilegi dei parlamentari che ha portato gli schieramenti di queste ultime elezioni ad inserire nei programmi elettorali i tagli alle spese della politica (ammesso poi che tutto tramuti in legge).
    Oltretutto, mi spiace dirlo, il tuo commento del 26 aprile utilizzava lo stesso lessico con cui Grillo ama tanto esprimersi e che contro il quale ti sei scagliata.
    Eri nella mia top list, miseriaccia! 😉

    @Minerva
    “Ma il V2-day è stato un successo enorme, straordinario soprattutto per la reazione dell’informazione. Per il silenzio dell’informazione. Per la comicità dell’informazione con i telegiornali che hanno dedicato tre minuti all’orango Petronilla di Roma e neppure un secondo al V2-day. Cinque minuti allo squalo bianco della California e neppure un secondo a due milioni di persone che sostenevano un referendum popolare.
    L’informazione di regime è stata il miglior sponsor del V2-day.”

    @Giorgio Melfi
    Interessante l’articolo di Merlo su Repubblica eppure ho l’impressione che si cerchi disperatamente di delegittimare il fenomeno con una ben orchestrata cortina di fumo. L’odio che si percepisce dall’articolo credo ne sia la conferma.

    Purtroppo hai perfettamente ragione. L’indifferenza dei media è stato un grosso punto a sfavore della categoria dei giornalisti. Tuttavia scommetto che del V2Day ne parlerà giovedì sera Santoro (forse, provocatoriamente, perché il suo pulillo Travaglio era presente al V2-Day?)

    Infine, non vorrei disilludere la convinzione generale sul flop “elettorale” di Grillo, ma davvero qualcuno pensava che Grillo avrebbe cambiato l’Italia e spazzato via la nostra più o meno affezionata classe politica con un solo comizio (quello del primo V-Day)? Possibile che tra tutte le parole dette da Grillo nessuno abbia ascoltato le più significative? Ovvero il suo desiderio di lavorare oggi per forgiare una classe politica futura?

    Comunque, complimenti a Massimo Maugeri. Sei riuscito ad infervorare gli animi con una discussione molto delicata.

  66. Ops, ho toppato una parte del post

    @Giorgio Melfi
    Interessante l’articolo di Merlo su Repubblica eppure ho l’impressione che si cerchi disperatamente di delegittimare il fenomeno con una ben orchestrata cortina di fumo. L’odio che si percepisce dall’articolo credo ne sia la conferma.

    @Minerva
    “Ma il V2-day è stato un successo enorme, straordinario soprattutto per la reazione dell’informazione. Per il silenzio dell’informazione. Per la comicità dell’informazione con i telegiornali che hanno dedicato tre minuti all’orango Petronilla di Roma e neppure un secondo al V2-day. Cinque minuti allo squalo bianco della California e neppure un secondo a due milioni di persone che sostenevano un referendum popolare.
    L’informazione di regime è stata il miglior sponsor del V2-day.”

    Purtroppo hai perfettamente ragione. L’indifferenza dei media è stato un grosso punto a sfavore della categoria dei giornalisti. Tuttavia scommetto che del V2Day ne parlerà giovedì sera Santoro (forse, provocatoriamente, perché il suo pulillo Travaglio era presente al V2-Day?)

  67. Il mio 25 è trascorso in modo anonimo. Quindi, sana invidia per il gruppo romano.
    Che belle foto!
    Smile

  68. Io credo che per il momento a Grillo converrebbe stare ben lontano dalla politica. Si è ritagliato il ruolo di “picconatore” delle distorsioni del sistema. Ruolo che non svolgeva più nessuno, o quasi.
    Secondo me è meglio per lui e per tutti che continui per questa strada. Smile

  69. ngiorn!
    Jean de Luxemburghio, hai ragione su tutta la linea, o meglio – hai ragione a farmi notare le cose che mi fai notare. Sui toni anche, anche se erano parzialmente voluti.
    Il fatto è che, neanche io sono contenta delle cose, degli stipendi alti dei parlamentari, o di altre cose che Grillo dice. Ma mi sento, in quanto soggetto umano e politico, ricattata emotivamente, non presa per la testa – ma per la carne. Non so se mi spiego. Non mi si chiede di ragionare ma di avere la bava alla bocca. Non si vuole il mio cerlvello ma il mio livore. Minerva parlava di “pensare con la propria testa”, ma questo è l’ultimo dei modi.
    La sensazione che ho, è di una contestazione globale che si fa forza di una brillante intelligenza senza che sia affiancata da una altrattanto necessaria competenza. Quando mi è capitato di ascoltarlo, ho sempre sempre sempre avuto la sensazione di essere raggirata.
    Poi che lui abbia una funzione storica e sociale non lo discuto.
    Anche la Lega ce l’ha. Ma non per questo ho molti apprezzamenti da riservare a chi la compone. Inoltre, come la lega, Grillo ha conquistato potere con meccanismi molto molti simili. Questo lo dico anche perchè pensare che Grillo faccia dell’antipolitica è un’altra pia illusione – Grillo fa politica e con mezzi piuttosto rodati.

    Ma tu Luxemburghio mi sei simpatico lo stesso:)

  70. @Zauberei
    Infatti la “contestazione globale” è un sentimento che sentono solo i giornalisti, come un anno fa lo sentivano solo i politici. Chiunque abbia assistito al V2-Day ha potuto udire con le proprie orecchie la difesa al lavoro di centinaia di giornalisti che ogni giorno compiono il loro dovere.
    Oltretutto i grillini non vogliono il vostro livore. Il livore è per Grillo e per i suoi seguaci. Quello che chiedono realmente è il vostro cervello. E’ la critica dove si esige una critica, piuttosto che un silenzio compiancente o, peggio, un sostegno.
    Considerando che l’Ordine dei giornalisti, allo stato attuale, non tutela degnamente l’informazione e neppure molti giornalisti, bensì è divenuto scudo per taluni che meno avrebbero i titoli per chiamarsi tali (spero che in questo tu sia d’accordo con me), ecco che vengono meno i fini per cui l’Ordine è stato costituito. Dunque, se nell’Ordine dei giornalisti troviamo capaci ed incapaci che senso ha l’esistenza stessa dell’Ordine? Non sarebbe più costruttivo, come alcuni giornalisti sostengono (vedi ad esempio Pierluigi Visci, il direttore del Resto del Carlino), prendere atto dei problemi e sfruttare l’onda di Grillo e dell’indignazione popolare o populista 😉 per sedersi ad un tavolo e tentare di risolvere i problemi esistenti e innegabili? Non è chiedere molto. Invece si riscontra un preferibile silenzio o addirittura del facile qualunquismo (termine additato frequentemente a Grillo).
    Se uno non è d’accordo con Grillo va benissimo, tuttavia qualcuno di voi giornalisti è in grado di spiegarmi razionalmente perché, escluso questo e pochi altri blog, un evento come questo non è stato trattato dai media, come sarebbe diversamente accaduto se fosse stato un Berlusconi, un Veltroni, dei sindacati o la lega a richiamare tanta gente in piazza?

    P.S.: Il termine antipolitica è stato coniato ad arte da una parte della nostra politica e dei nostri giornalisti, sebbene, come dichiari tu, Grillo non ha mai fatto antipolitica bensì politica.

  71. Mentana ha mandato in onda almeno venti minuti del V-2 Day di Grillo. L’ho visto coi miei occhi. Silenzio stampa?

  72. Tornata ieri sera dalla fantastica Venezia, mi sono persa il bellissimo post e la cenetta letteratitudiniana…e naturalmente la conoscenza di illustrissimi ospiti di questo blog! Quando facciamo il bis?

  73. @ Sergio Sozi
    L’ho visto anche io. Tuttavia un Mentana non salva il resto della classe, più semplicemente la definirei una goccia nell’oceano. E’ quel poco di informazione che ancora qualcuno sente il dovere di fare. Altri servizi?

    Ciò non toglie il mio incondizionato appoggio e la mia solidarietà a quei giornalisti che ancora spendono la propria vita in nome dell’informazione.
    Se così non fosse avrei smesso da un pezzo di postare su questo blog.

    P.S.: alla stessa ora Chiambretti, su LA7, si è spinto in un’intervista con l’inviata di Al Jazeera Barbara Serra sul fenomeno informazione in Italia e, conseguentemente, toccando marginalmente il fenomeno Grillo. Su RaiUno il giorno successivo, ad inizio giornale, si è letta una nota “stringata” e senza servizi in cui l’ODG, sostanzialmente, dichiarava di non condividere la posizione di Grillo. Considerato l’evento mi è parso che in TV non se ne volesse parlare.
    Tuttavia nella gara di chi ne ha parlato e di quanto se ne è parlato, si tralascia il vero motivo che ha spinto il movimento dei grillini ad affollare le piazze italiane.

    Dimeticavo di rispondere alla domanda iniziale di Massimo sul perché nessuna ricorrenza nel nostro Paese è stata in grado di fondare una coscienza nazionale.
    Semplicemente perché siamo ancora a chiederci cosa scrivere sui libri di storia e quale fazione politica, piuttosto che un’altra, manifesterà alla prossima ricorrenza in piazza. Triste, forse tragico, ma è la mia impressione.

  74. secondo voi qual è il pregio principale di beppe grillo? e quale il maggior difetto?
    complimenti per il sito
    manu

  75. Il 25 aprile ero a Petra, in Giordania.
    Ho avuto modo di conoscere “il popolo giordano”, un melting pot di culture e religioni diverse che riescono a “convivere” pacificamente (perchè mai i vicini israeliani no ?), fieri, ognuno, delle proprie origini e delle proprie particolarità. Ho potuto muovermi tranquillamente lungo tutto il territorio giordano, senza che nessuno impedisse il mio tranquillo incedere. In quelle terre, pare, che la delinquenza sia considerata una “faccenda di poco conto”. Il singolo, l’individuo, si occupa, principalmente, della propria famiglia, quindi della propria tribù, quindi di chi ha bisogno di un aiuto. Lo Stato si occupa dei problemi di ogni singolo cittadino (musulmano, cristiano, machelita, ortodosso, ateo) con il “principio” fondante che “ogni cittadino deve contribuire al benessere dell’intero Paese”, altrimenti … sono guai.
    Stiamo parlando di un Paese Arabo, considerato, da molti di noi, retrogrado…
    L’Italia, se solo riuscisse a raggiungere il 50% di quanto riesce a fare la Giordania … lascio ad immaginare voi quale splendido Paese saremmo.
    Auguri a tutti.
    Andrea

  76. Ieri sera anche Santoro ha presentato ampi stralci delle grillate ad Annozero, in presenza di un maleducato piu’ che mai Sgarbi e di un calmo Travaglio.
    Secondo me i dati di fatto che presenta Grillo sono in larghissima parte veri e certificati. E’ il modo di risolverli che, spesso, non condivido.
    Esempio: L’Unita’ prende sei milioni di euro all’anno dallo Stato. Dato sicuro, credo, come quelli degli altri giornali. Invece di proporre (come fatto da Grillo) di eliminare questi finanziamenti pubblici, costringiamo i giornali ad assumere piu’ giovani e a pagarli, tutti e meglio, a creare altre iniziative editoriali (collane di libri, per esempio) eccetera. Insomma: facciamo si’ che questi soldi non finiscano nelle tasche delle solite elite di intrallazzati, parenti, politici e tesserati, ma diano lavoro a chi voglia fare (e sappia fare bene) del giornalismo o della Letteratura ed affini.
    Lo stesso dicesi per l’Ordine dei Giornalisti: costringiamolo ad agire all’interno di un sistema di leggi vincolante che ne argini gli arbitri, non eliminiamolo, perche’ dopotutto e’ utile ai cittadini.
    E via dicendo.
    Insomma, non si tratta di respingere i dati di fatto di Grillo, ma di respingerne il fanatismo sfascistico, trovando pertanto delle soluzioni migliori ai problemi (giusti) da lui evidenziati.

  77. Andrea,
    hai ragione. Quel che tu dici avviene (con modalita’ diverse ma con spirito di coesione ed amore nazionale affine) anche qui in Slovenia. Avviene in quasi tutto il mondo tranne che in Italia, dove il malcostume e l’odio reciproco, la faziosita’ becera ed analfabeta sono tutt’ora la regola e non l’eccezione. Con l’effetto di rovinare anche i giovani e diseducarli tramite la maleducazione degli adulti e di molti dei vecchi.
    Non ci resta che essere diversi e lottare tranquillamente per deviare la rotta impazzita del nostro povero Popolo.
    Magari anche ricordando che oggi ricorre il bicentenario della nascita del nostro miglior eroe: Giuseppe Garibaldi. Il Nizzardo che ci voleva bene. Sul serio e coi fatti.
    Ciao
    Sergio

  78. Bello l’ultimo intervento di Sozi. Finalmente qualcuno che dice: “Sì, i problemi esistono, sediamoci ad un tavolo e troviamo una soluzione.”

  79. Come ho scritto sul post, domani ritorna il 25 aprile. Ho pensato di aggiornare il post dello scorso anno: un modo per darvi la possibilità di riguardarvi e rileggervi a 12 mesi di distanza.
    Qualcuno di voi – se vi ricordate – aveva colto l’occasione per organizzare un incontro romano…
    (le foto sono ancora qui)

  80. Siete sempre gli stessi?
    Qualcosa, forse, è rimasta uguale; qualcosa, forse, è cambiata.
    Il 25 aprile, in fondo, è rimasto sempre lo stesso.
    Oppure no…
    Che ne dite?

  81. Il 25 aprile dell’anno scorso nasceva sotto il “marchio” del V2-Day di Beppe Grillo.
    Vi ricordate?
    Già… Beppe Grillo…
    Se ne parla un po’ di meno, eh?

  82. Sul post c’è un interessante articolo di Stefano Ciavatta pubblicato sul quotidiano “Il Riformista”.
    Commentatelo se vi va… e poi discutiamo insieme di questo 25 aprile.

  83. Mamma mia…già un anno?
    Così presto?…Quel 25 Aprile a Roma è stato bellissimo!
    Lo rifacciamo?
    Un bacio a tutti quelli che ricordano con me. E a tutti quelli che – purtroppo – non c’erano, o non c’erano ancora.

  84. …Per il resto, sono sempre la stessa. Più commossa, forse. Più stupìta. Con qualche storia in più da raccontare.

  85. “La Resistenza fu un fenomeno che abbracciò tutta la nazione. Ci fu quella dei partigiani, quella dei militari e quella del popolo. Quindi è importante che quest’anno il 25 aprile sia celebrato in qualsiasi modo e in qualsiasi luogo ricordando l’una o l’altra delle componenti della Resistenza. L’importante è che ci unisca la consapevolezza e lo stesso impegno per conservare i valori della Resistenza che si sono tradotti nella Costituzione repubblicana”.
    “E’ importante dare peso all’unitarietà di tutte le espressioni che ha avuto la Resistenza ma senza svalutare o diffamare come purtroppo è accaduto e ancora accade l’esperienza partigiana che, piaccia o meno, dette un contributo fondamentale per restituire dignità, libertà e indipendenza al nostro paese”.

    C’è la necessità di “valorizzare tutte le componenti della Resistenza”.
    “Fu decisiva in questa lotta l’eroismo delle formazioni partigiane – dice Napolitano – ma anche la componente popolare che fu rappresentata dalle sofferenze e dalle atrocità inflitte alle popolazioni civili” che comunque si distinsero per la loro “solidarietà attiva” con il movimento partigiano. “Non fu di minore importanza la componente militare” con i soldati che “nonsi piegarono” ma combatterono “eroicamente e si unirono alle formazioni partigiane”. Senza dimenticare “l’odissea dei 600mila militari italiani internati in Germania che respinsero ogni lusinga rifiutando l’adesione al regime repubblichino.
    GIORGIO NAPOLITANO, Presidente della Repubblica

  86. Un attimo… chi è questo nuovo Jean de Luxembourg?
    Io sono il vecchio Jean de Luxembourg… quello storico che scrive più o meno saltuariamente da più di un anno su questo blog. Questa omonimia rischia di creare equivoci 🙂

    E di seguito posto i miei commenti, oggi un po’ acidi:
    @ francesco di domenico
    Come fai a dire che durante la “guerra civile” americana e quella italiana hanno vinto i buoni?
    Se avessero vinto i sudisti e le forze nazi-fasciste non credi che ti avrebbero convinto in qualche maniere a credere che erano i buoni a vincere? Dunque come valutare?

    @ Paola Distilo
    Il tuo intervento più che una difesa della verità mi è parso la difesa di una libertà un po’ parziale. Sbaglio?

    @ Sozi
    Condivido pienamente il tuo antiamericanismo e l’idea del compromesso italiano favorevole alla penetrazione culturare americana

    @ Melfi
    Il fatto che un giornalista di Repubblica parli male di Grillo dovrebbe convincermi a pensare che Grillo sia un inetto, un demagoga qualsiasi o un qualunquista? In Italia dobbiamo pensare con la testa dei giornalisti e prendere per verità inconfutabili le loro opinioni? Oppure possiamo riappropriarci del nostro diritto di pensare, di criticare e piuttosto valutare autonomamente ciò che, da una parte o dall’altra, viene detto o pubblicato?
    Preferirei tesi più convincenti invece che un semplice ripiegamento all’autorità di una buona penna.

    @ Minerva
    Bella la tua provocazione.

    @ Zauberei
    Si continua a parlare bene o male di Grillo, ma perché non si coglie l’esplicito invito di Minerva? Lasciamo da parte il linguaggio colorito di Grillo e parliamo piuttosto delle proposte.
    E poi, perché il Italia il populismo viene sempre snobbato dagli intellettuali. Forse non fa chic?
    Una proposta, o una protesta, giusta può non essere tale se diviene populista?

    @ Jean de Luxembourg
    Perché mi hai derubato del nick? XD

  87. Ma che scemo che sono…
    mi sono accorto solo ora che questi sono i commenti dell’anno scorso sul 25 aprile…

  88. Sono molto critico e amareggiato per un’Italia che fa del XXV aprile solo una giornata di retorica. Molti non sanno nemmeno il suo significato e, dispiace dirlo, gli ideali della Resistenza si sono nel tempo ampiamente annacquati.
    Domani sarò più preciso, pubblicando un editoriale al riguardo sul blog L’armonia delle parole ( http://armoniadelleparole.splinder.com/) dove da inizio settimana commemoro questa data.

  89. **********
    Alla vigilia del 25 aprile torna a farsi sentire il capo dello Stato
    La Russa: “Ricorrenza condivisa”. Maroni: “Data incancellabile”
    Napolitano: “Ideali validi per tutti”
    La fondazione di Fini: “Partigiani patrioti”
    **********
    ROMA – “Il 25 aprile è una data incancellabile da cui nacque l’Italia libera e democratica”. Alla vigilia della festa della Liberazione, la netta presa di posizione del capo dello Stato sembra aver fatto affetto. Dopo giorni di distinguo, di partigiani “buoni e cattivi”, le voci che arrivano dalla maggioranza sembrano parlare un linguaggio simili a quello di Giorgio Napolitano. Che oggi torna a levare la sua voce.

    E così il ministro dell’Interno Bobo Maroni parla di “data incancellabile” e perfino il ministro della Difesa Ignazio La Russa la definisce “una ricorrenza condivisa”. “Sul 25 aprile niente equivoci: il Pdl
    lo celebra sta dalla parte dei valori dell’antifascismo e della resistenza” taglia corto il ministro Gianfranco Rotondi. Fino ad arrivare a FareFuturo, la fondazione di Gianfranco Fini, che si spinge oltre: “Forse è arrivato il momento se, anche da destra, soprattutto da destra, si comincia a pensare, con convinzione, senza infingimenti, che i partigiani sono stati buoni italiani. Che la resistenza è stata roba di patrioti. E non di traditori.

    E Napolitano, anche oggi, torna a parlare. Ribandendo che il messaggio della Resistenza “vive nella Costituzione”, ammonendo ” a non ripetere gli errori del passato” e spiegando come possano riconoscersi “nell’eredità spirituale e morale della Resistenza, che vive nella Costituzione, anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti”.

    In quella Carta dice il presidente della Repubblica, si possono riconoscere anche quanti non parteciparono alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ma quei principi accettano come validi e indiscutibili.

    (24 aprile 2009)
    http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/politica/25-aprile/maroni-data/maroni-data.html

  90. Amici, a tutti consiglio di leggere per il 25 aprile La ballata della piccola piazza di Elio Lanteri. Sarà un modo poetico e delicato, soprattutto, di vivere una festa civile. Per non dimenticarci da dove arriviamo. Alberto

  91. @ Jean de Luxembourg
    Ho riproposto il post dell’anno scorso con i vecchi commenti, proprio per invitarvi a rileggervi. Mi fa sorridere il fatto che non ti sia riconosciuto e che ti sia autoaccusato di furto di identità:-)
    Ti domando: il Jean de Luxembourg del 25 aprile 2009 è uguale al Jean de Luxembourg del 25 aprile 2008

  92. Le giornate commemorative, come questa del 25 aprile, servono sempre a RICORDARE cos’è stato. Noi festeggiamo la “liberazione”, la conquista della libertà, la stessa libertà che ci permette di scrivere qui, in questo spazio in cui possiamo liberamente esprimere le nostre idee.
    Per chi l’ha sempre conosciuta, la libertà di espressione non è una “conquista”; tuttavia è bene saperlo e trasmettere questa consapevolezza.

  93. Io penso sempre alla poesia di Quasimodo che riecheggiava la Bibbia, un salmo meraviglioso che divenne un mottetto celeberrimo di Palestrina…

    Super flumina Babylonis
    illic sedimus et flevimus
    dum recordaremur tui, Syon
    in salicibus, in medio eius
    suspendimus organa nostra.

    Alle fronde dei salici, come per voto, appendemmo le nostre cetre…

    Dobbiamo ai partigiani, al sangue di tanti sconosciuti, la libertà che ci permette di prendere le cetre e cantare.
    Peccato che ultimamente i canti lascino a desiderare. La libertà è un bene prezioso e la memoria spesso labile.

  94. @ Massimo
    Ti dirò che ero un po’ preoccupato perché mi identificavo fin troppo con i commenti del presunto omonimo. Per fortuna ho capito l’inghippo prima di impazzire. Hai mai provato la sensazione di incontrare te stesso? Per qualche istante ne ho subito il profondo disagio.
    Difatti i miei post 2009 non sono tanto differenti da quelli del 2008, per fortuna. E devo dire che per sommi capi sono rimasto lo stesso. Stesse idee, stesse concezioni. Non so sei sia un bene o un male.

  95. Come leggete sul post è anche un modo per darvi la possibilità di riguardarvi e rileggervi nel tempo.
    Siete sempre gli stessi?
    Qualcosa, forse, è rimasta uguale; qualcosa, forse, è cambiata.
    Il 25 aprile, in fondo, è rimasto sempre lo stesso.
    Oppure no…
    Che ne dite?

  96. 25 aprile 2010: 65 anni dopo

    Una data da tenere sempre in mente
    da celebrare con i giovani e la gente.

    Una data in cui si festeggia la Liberazione
    dagli stermini e dalla pesante oppressione.

    Una data che in molti abbiamo impressa
    da chi la Libertà ha molto compromessa.

    Una data in cui i Partigiani hanno messo a disposizione la loro vita
    per un’Italia che era lacera, sanguinante, e profondamente disunita.

    Ora gridiamolo forte che non vogliamo ritornare indietro nel tempo
    e avere un unico padrone che le masse credevano e credono fosse o sia un portento!

    Ora che quasi tutti abbiamo capito l’inganno e i giochi di potere
    non permetteremo più che un altro dittatore a terra ci faccia sedere.

    25 aprile un ricordo lontano ed anche vicino
    una data da far celebrare ad ogni bambino.

    25 aprile ieri, oggi e nei giorni che verranno
    fatti da riferire a coloro che ancora non sanno.

    25 aprile nella nostra mente e nei nostri cuori
    immagini da rivivere, da custodire come tesori.

    La storia ci insegna che un popolo che ha ereditato la democrazia e con essa la libertà, se vuole mantenerle non deve mai abbassare la guardia, dando per scontato che esse dureranno nel tempo.

    Pertanto NO allo spezzettamento di un’Italia che dovrà essere sempre “…una Repubblica democratica…. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”( Art. 1 – principi Fondamentali Costituzione della Repubblica Italiana).

    La resistenza al Nazi-Fascismo fu determinante per la formazione della nostra Repubblica.
    L’eredità da ricordare, per alcuni da riscoprire o addirittura da imparare ( alcuni giovani, età 20-30 anni, contattati per la raccolta di firme in difesa della Costituzione italiana ,non sapevano cosa essa fosse) in un momento in cui la stessa unità italiana sembra essere messa in discussione, deve essere considerata il patrimonio della democrazia nel nostro Paese.
    I partigiani allora sapevano che morire, per la difesa della libertà politica e personale da ogni forma di oppressione totalitaria, era una causa forte per cui valeva la pena di lottare.
    Oggi noi siamo disposti a vigilare, a difendere i loro frutti o preferiamo mangiare ciò che ci passa il convento?

    Ed ancora, nelle scuole di qualche decennio fa ed in quelle di oggi Educazione Civica veniva o viene considerata una materia di studio o un semplice optional?

    Non dimentichiamoci mai che la vera politica è quella che deve essere al servizio del Paese e di tutto il popolo e non protesa alla salvaguardia del proprio potere e degli interessi corporativi soltanto di e per alcuni.

    BUON 25 aprile a tutti, ora e nei giorni che verranno!

    SALVIAMO LA NOSTRA COSTITUZIONE
    PRIMA CHE ABBIA UN UNICO PADRONE!
    ilarì

  97. 25 aprile 2010

    Un ricordo
    abusato
    dimenticato
    sconosciuto,

    un ricordo
    riproposto
    sostenuto
    rivissuto,

    un ricordo
    dignitoso
    che
    non può
    essere contraffatto
    e
    rispolverato
    da chi
    non crede
    nella democrazia.

    Esso
    va custodito,
    dentro
    la culla
    della nostra
    memoria
    e
    protetto
    da chi
    vorrebbe
    sbiadirlo
    o
    cancellarlo
    per sempre.

    ilarì

  98. Dedicata ai miei nonni, a mio padre, a tutti coloro che hanno amato ed amano la Pace e la Libertà;
    a tutti coloro che in passato hanno lottato ed oggi lottano perchè questi valori in ogni parte del mondo
    vengano fatti rispettare.

    Libertà

    Per Te ho scelto la trasgressione.

    Per Te mi sono schierato con i più deboli.

    A vent’anni ti ho amato così tanto da donarti
    me stesso e la vita.

    Per Te ho lottato e sofferto con dignità
    ti ho perseguita ovunque:
    nei fienili
    in prigione
    sui monti.

    Per Te non mi sono mai dato per vinto…

    finchè un giorno
    avvolta dal tricolore
    mi sei apparsa:
    finalmente eri mia e di tutti coloro che ti hanno amato
    tanto
    come ti ho amato io.
    ilarì

  99. 25 aprile 1945: la Liberazione.
    25 aprile 2010: quasi 70.000 persone sono private della Liberazione perchè detenute nelle carceri italiane. Persone costrette in condizioni disumane: la capienza massima dovrebbe essere di circa 40.000 posti. Per un canile non in regola ci sarebbe in Italia più scandalo: gli animalisti sono una categoria abbastanza forte. La grande maggioranza degli attuali detenuti (circa 50.000) è in carcere per reati contro il patrimonio (furti, truffe, rapine) o per spaccio. Molti di costoro, cioè, se liberi, o in regime di misure alternative alla detenzione ordinaria, non creerebbero grande pericolo per la collettività.
    All’inizio degli anni Novanta i detenuti in Italia erano circa 27.000. I posteri (se l’Italia nei prossimi secoli dovesse migliorare) si vergogneranno di noi per quel che si è fatto ai nostri stessi fratelli.
    La Liberazione: si creano nuovi e più solidi steccati, nuovi e vasti luoghi dove è negata la Liberazione, tra Nord e Sud, tra immigrati e italiani, tra poveri e ricchi, non percependo stupidamente il fatto (di facile comprensione per un bambino, ma non per un adulto) che siamo tutti ugualmente abitanti di questo piccolo mondo ammalato chiamato Terra.
    La Liberazione: sono aumentati, e di molto, i piccoli furti nei supermercati, compiuti da vecchi che non ce la fanno con la pensione, e da altri nuovi poveri. La Liberazione dai bisogni primari si è allontanata.
    La Liberazione: è notizia di ieri che in Italia è morta una ragazzina di 12 anni originaria della Repubblica Dominicana a causa delle esalazioni d’un braciere che serviva anche per cucinare. La famiglia non poteva più usufruire del gas domestico: ne era stata interrotta l’erogazione in quanto le ultime bollette risultavano inevase.
    La Liberazione: recentemente c’è stato il tentativo di riportare in auge il termine negro, compiuto da molti biancastri della Lega.
    La Liberazione: le donne sono costrette in gabbie di modelli televisivi e oggetto di “utilizzazione finale” (secondo la definizione del parlamentare e avvocato di Berlusconi, Ghedini) da parte di Berlusconi.
    Buon 25 aprile.

  100. Alcuni passaggi del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:
    “Il 25 aprile è non solo festa della Liberazione: è festa della riunificazione d’Italia”.
    “Quella unità rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un ancoraggio irrinunciabili”.
    Su Sandro Pertini: “E’ stato un onore per l’Italia, un onore per la Repubblica, averlo tra i suoi presidenti”.
    Il capo dello Stato ha esortato le istituzioni politiche ed educative “a far conoscere e meditare vicende collettive ed esempi personali che danno senso e dignità al nostro essere italiani” come appunto quello di Pertini. “Un impegno siffatto è mancato, o è sempre rimasto molto al di sotto del necessario”, ha detto.

    Altro passaggio:
    “Grande sollievo per la Liberazione ad opera di patrioti e partigiani”.
    “Chi può negare che l’apporto delle forze angloamericane fu decisivo per schiacciare la macchina militare tedesca, per scacciarne le truppe dal territorio italiano che occupavano e opprimevano?. Certamente nessuno, ma è egualmente indubbio che il generoso contributo italiano, contro ogni comodo e calcolato attendismo, ci procurò un prezioso riconoscimento e rispetto”.

    “Il nostro paese ha un debito inestinguibile verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l’onore della patria ricordando con rispetto tutti i caduti senza che ‘questo significhi neutralità o indifferenza. Si tratta in effetti”, ha ribadito il presidente della Repubblica, “di celebrare il 25 aprile nel suo profondo significato nazionale. E’ così che si stabilisce un ponte ideale con il prossimo centocinquantenario della nascita dello Stato unitario”. Infine, l’ennesimo appello a “una comune assunzione di responsabilità” tra le forze politiche per superare i problemi che si sono venuti accumulando nei decenni dell’Italia repubblicana, talvolta per eredità di un più lontano passato. Occorre”, ha concluso, “uscire dalla spirale di contrapposizioni indiscriminate”.

  101. Grazie caro Massimo, vado a vedere cosa si dice tra i vampiri… Brrr…
    Buona domenica e tanti abbracci,
    Gaetano

  102. non so voi, ma io sono incredula e un po’ spaventata dalla riscrittura della storia che si sta verificando. se fate un giretto a casaccio trovate notizie agghiaccianti secondo cui la resistenza l’hanno fatta i ‘mericani, praticamente.
    si vive male a volersene andare dal proprio paese e non poterlo fare. anzi si vive male quando quel paese non è più tuo.
    una mattina, mi son svegliato
    o bella ciao o bella ciao o bella ciao ciao ciao…

  103. lucy ha ragione. credo che fare resistenza oggi sia rimanere in questo paese nonostante tutto.

  104. Un paese che non ha una memoria affidabile è un paese con l’Alzhaimer. I nostri vicini francesi hanno la Rivoluzione e la Marsigliese e la lotta contro i nazisti è orgoglioso patrimonio comune.
    E noi?
    Tra pochi giorni c’è il centocinquantesimo anniversario dell’impresa dei mille attorno a Garibaldi: altri paesi ci avrebbero costruito una stabile e salda epopea nazionale. Noi l’avevamo (ricordo che nel 1960…avevo sei anni…a scuola ne parlammo). E il prossimo anno l’Italia compie 150 anni: sarà un anniversario triste e grottesco, s/celebrato dai separatisti della Lega.
    La Resistenza armata contro i nazi-fascisti…altro momento che poteva essere humus epico e fertile su cui costruire una patria di cittadinanza democratica. Nulla. Anzi, peggio: si sta capovolgendo tutto, i partigiani vengono messi alla sbarra degli accusati e i nazi-fascisti nella sedia dei testimoni dell’accusa.
    Ma cose del genere accadono in ogni campo: mafiosi che processano i giudici, delinquenti che fanno leggi contro gli onesti, banditi che minacciano chi fa inchieste giornalistiche, gente che viene accusata di qualcosa e dunque cancella dal Codice Penale la legge in base a cui era imputata, Tizio che nega d’aver detto ciò che un minuto prima ha detto davanti a tutti e molti si convincono che ha ragione lui e non le loro orecchie, gente cattiva e gretta che odia con turpe rancore chi compie un gesto di generosità, due telefonini a testa e un libro letto all’anno…
    Un paese così ha l’Alzhaimer.

  105. In Francia ci fu il governo collaborazionista di Petain, per cui non è detto (come sempre) che i Francesi siano stati meglio di noi.
    La Resistenza affrettò la fine della guerra in Italia, e molti partigiani si sacrificarono come carne da cannone. Napoli si liberò eroicamente da sola, ben prima che giugessero gli americani, con fucili e mazze contro i Panzer. Fuggiasco con l’oro della Patria, il dittatore non ci fece una bella figura. Come cittadino, vorrei solo che si chiarisse una volta per tutte come morì la Petacci. Alla storiella che ci hanno raccontato per anni, che volle morire col suo uomo, io non ci credo.
    Sull’unificazione (l’attacco senza dichiarazione di guerra ad un Regno pacifico, alleato ed imparentato coi Savoia, con grosse riserve auree ed all’avanguardia in Europa) c’è chi la fece e chi la subì. Ed è bizzarro che si lamenti chi la fece, assai più di chi la subì.

  106. A quanto pare il 25 aprile non è più una data da festeggiare.
    Forse essa è da dimenticare perchè obsoleta e da sostituire con un’altra più leggera, meno impegnativa e magari anche più divertente?
    Come risponde a riguardo “il popolo sovrano?”
    By, ilarì

  107. MILANO – Sarà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ad aprire ufficialmente le celebrazioni per il 25 Aprile con la posa, alle 10,30, della corona d’alloro davanti al sacello del milite ignoto, sull’Altare della Patria. Ma il corteo celebrativo principale si svolgerà nel pomeriggio a Milano: partirà da porta Venezia e si snoderà fino a piazza Duomo. Vi prenderanno parte il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, e il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Ci saranno anche il candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia e quello del terzo polo Manfredi Palmieri; non sfilerà invece il sindaco Letizia Moratti, che parteciperà solo al momento conclusivo in piazza. In ogni caso sul palco i politici non prenderanno la parola.

    TENSIONI E E POLEMICHE – Le celebrazioni della Liberazione dall’occupazione nazifascista arrivano quest’anno in un tema particolarmente teso. Nei giorni scorsi atti vandalici e provocazioni hanno avvelenato la vigilia e da alcuni esponenti del centrodestra sono arrivate prese di posizione contro una celebrazione considerata non rapresentativa di tutti gli italiani. E’ toccato al ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, richiamare tutti all’ordine invitando anche gli esponenti del centrodestra a riconoscere il valore della ricorrenza.

    FINI AD HERAT – Intanto oggi il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è recato ad Herat per una visita ai militari italiani impegnati in Afghanistan. Fini, che indossava il giubbetto mimetico dell’esercito, è stato accompagnato dal deputato di Fli Gianfranco Paglia, ex parà della Folgore impegnato nella missione in Somalia e ha incontrato i membri del locale Provincial reconstruction team (Prt) e i soldati del contingente italiano nella base di Camp Arena. «Oggi è la festa della Liberazione – ha detto parlando ai militari -. Credo che ognuno di voi sia la dimostrazione di come la lotta per la libertà non conosce confini geografici e di come in nome della libertà occorre continuare il massimo dell’impegno»

    25 aprile 2011

    Fonte: Il Corriere della Sera

  108. Mi hanno colpito le parole di Giorgio Bocca. Una delle strategie per togliere valore alla lotta partigiana è l’equiparare meriti e colpe, unificare i piani di lotta. Quando la Resistenza è precisa opposizione al nazifascismo. Culla della Costituzione della Repubblica Italiana.
    E i manifestini al Campidoglio con BUONA PASQUETTA augurato da uno sciagurato manipolo di squadristi… che tristezza.

  109. Oggi è anche San Marco. E soprattutto Lunedì dell’Angelo, il giorno in cui tutti hanno saputo della Resurrezione.
    Che sia davvero Pasqua per questo paese, povera patria “schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos’è il pudore. Si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene… Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni… cambierà, forse cambierà… la primavera intanto tarda ad arrivare”.
    Battiato, Povera patria.

  110. @Maria Lucia
    Mi è piaciuto moltissimo il tuo intervento del pomeriggio con la citazione da Giorgio Bocca. Ma infatti= come se fosse la stessa cosa essere morti cercando di schiacciare la Libertà ed essere morti per la Libertà di tutti.
    E’ assurdo.
    Ma i giovani conoscono questa differenza?
    Mi spaventa la loro ignoranza, davvero. Mi accorgo che sono “qualunquisti” senza saperlo e senza sapere né cos’è un’ideologia, né distinguere tra un’ideologia e l’altra. Forse non solo “i giovani”.
    Un abbraccio e un augurio a tutti

  111. Credo che i valori originari del 25 aprile si siano persi strada facendo. E soprattutto credo che c’entrino poco con l’Italia di oggi.

  112. Atrocità ce ne furono da entrambe le parti, come stupri ed omicidi… crimini di guerra, a qualunque colore vogliamo riportarli.
    Ma il valore della Resistenza non può essere messo in discussione, altrimenti accomuneremmo istanze troppo diverse.
    Oggi celebrare la Resistenza vuol dire ritrovare uno dei motivi della nostra unità e democrazia. Misconoscere il contributo dei partigiani vorrebbe dire appiattire tutto.

  113. Anche nel 2012 ho voluto riproporre questo “post annuale”.
    È un modo per darvi la possibilità di “riguardarvi” e rileggervi nel tempo.
    Siete sempre gli stessi?
    Qualcosa, forse, è rimasta uguale; qualcosa, forse, è cambiata.
    Il 25 aprile, in fondo, è rimasto sempre lo stesso.
    Oppure no…
    Che ne dite?

  114. Il 25 aprile «è la festa di tutto il popolo e la nazione italiana». E «nessuna ricaduta in visioni ristrette e divisive del passato, dopo lo sforzo paziente compiuto per superarle, è oggi ammissibile». Giorgio Napolitano pronuncia queste parole al Quirinale, aprendo le celebrazioni per l’anniversario della Liberazione.

  115. Parlando con gli esponenti delle associazioni combattentistiche e d’arma, Napolitano ha voluto ringraziare «in modo particolare i rappresentanti in questa sala di tutte le parti politiche in seno alle istituzioni nazionali, laziali e romane», sottolineando che «è una forza della democrazia promuovere l’unità fra tutte le forze politiche e sociali». Concetti ribaditi dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, secondo cui la crisi può «facilmente mettere a rischio l’unità e la coesione nazionale» e le celebrazioni del 25 aprile possono essere l’occasione «per ritrovare nella memoria comune i nostri valori identitari».

  116. Il 25 aprile si celebra l’anniversario della liberazione d’Italia dalla occupazione dall’esercito tedesco e dal governo fascista avuta luogo nel 1945. E’ quindi doveroso dedicare una pagina a questa ricorrenza perché ha segnato una svolta importante per il nostro paese.

    Dopo la liberazione d’Italia dai nazifascisti i i gruppi politici della Resistenza hanno ricostruito il nuovo stato italiano. Un nuovo stato basato sulla democrazia e sul rispetto delle libertà. Questa era l’idea in origine dello Stato italiano.

  117. Ogni anno in svariate città italiane vengono organizzati cortei e manifestazioni per festeggiare e ricordare la festa della liberazione. Torino e Milano furono liberate il 25 aprile del 1945: questa data è stata assunta quale giornata simbolica della liberazione dell’Italia intera dal regime fascista e, denominata appunto Festa della Liberazione che viene commemorata ogni anno in tutte le città d’Italia.

  118. Le truppe alleate giunsero nelle principali città liberate poi nei giorni seguenti. La liberazione di alcune città, inclusi svariati centri industriali di importanza davvero strategica, prima dell’arrivo degli alleati permise l’avanzata di questi in maniera più rapida e molto meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In vari casi avvennero drammatici combattimenti in strada; i sopravvissuti dell’esercito tedesco e gli irriducibili fascisti della Repubblica Sociale Italiana sparavano nascosti in vari edifici o appostati su tetti o campanili contro partigiani e civili. Tra le due fazioni avvennero vere e proprie battaglie (come a Firenze nel settembre 1944), ma di solito la loro resistenza si ridusse a una disorganizzata guerriglia, per esempio a Piacenza e a Parma.

  119. La notte del 26 aprile 1945 Benito Mussolini, insieme ai suoi gerarchi risiede a Grandola ed Uniti all’interno dell’ hotel Miravalle nella frazione di Cardano.

    Il 27 aprile del 1945 Mussolini, indossando l’uniforme di un soldato tedesco, venne catturato a Dongo, in prossimità del confine Svizzero, mentre tentava l’espatrio insieme all’amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, venne imprigionato e giustiziato il 28 aprile a Giulino di Mezzegra e successivamente il suo cadavere esposto a testa in giù, accanto a quelli della Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano.

    Il 25 aprile è la Festa della Liberazione: ricordiamoci che uomini e donne di tutte le età sono morti allora, per garantirci i diritti democratici dei quali oggi godiamo. Grazie a loro.

  120. Il senso della Liberazione mi sembra più che mai attuale: farne memoria vuol dire stare con gli occhi aperti, vigilare sulle derive autoritarie e demagogiche, sullo sfascio del paese, sullo stato della nostra democrazia. Capendo che i fascismi sono virus silenti ma non debellati, che la libertà va riconquistata per ogni nuova generazione e non è un diritto acquisito una volta per tutte, che l’unità nazionale è un valore, che in Italia devono essere attenzionate le voci mute di chi soffre e non sa più lottare…

  121. 25 marzo 2013

    Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato accolto dagli applausi della piccola folla in attesa del suo arrivo al Museo della Liberazione di via Tasso. Ad aspettare il Capo dello Stato c’erano anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, il premier, Mario Monti, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

  122. Ma non solo le autorità che, insieme alla presidente della camera, Laura Boldrini, con Napolitano avevano partecipato alla cerimonia all’Altare della Patria. Schierata davanti all’ingresso del Museo c’era infatti anche una scolaresca, che ha intonato per il Presidente della Repubblica prima l’Inno d’Italia, poi `Bella ciao´. Il Capo dello Stato ha salutato affettuosamente i ragazzi con un bacio e un abbraccio. «Siamo in giornate di un tempo di crisi ed è venendo in un posto come questo, in generale tutti i luoghi in cui è cominciata la resistenza, che abbiamo molto da imparare sul modo di affrontare i momenti cruciali: coraggio, fermezza e senso dell’unità che furono decisivi per vincere la battaglia della resistenza». Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano cosa pensasse di questo 25 aprile 2013, «in pieno tempo di crisi politica». Lo scambio di battute è avvenuto a via Tasso al termine di una visita che il capo dello Stato ha fatto al Museo della Liberazione.

  123. Tante le manifestazioni che si terranno in tutta Italia per ricordare il giorno del 1945 in cui i partigiani, con il sostegno degli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città del nord Italia. Manifestazioni a cui parteciperanno anche politici, compresi i parlamentari del M5S, che hanno però deciso di essere presenti alle cerimonie come semplici cittadini, non in prima fila e sui palchi. A Marzabotto, teatro della strage che si consumò nel settembre del 1944 con l’ uccisione da parte delle milizie nazifasciste di circa 800 persone per rappresaglia contro i partigiani della Brigata Stella Rossa, la cerimonia vedrà la partecipazione di Grasso, della leader della Cgil Susanna Camusso e di Cecilia Strada, ma anche della madre di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti, e del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini.

  124. A Milano il tradizionale corteo da porta Venezia a piazza Duomo e la successiva manifestazione saranno chiusi dall’intervento di Boldrini, che terrà un’orazione commemorativa anche a Genova: ci sarà il sindaco Giuliano Pisapia, che si augura una «manifestazione pacifica» proprio nel rispetto dello spirito della Festa, ma anche i presidenti della Provincia e della Regione. Il 25 aprile «non è solo memoria, ma attualità», sottolinea l’Arci, che assieme all’Associazione nazionale partigiani ha organizzato iniziative in tutta Italia. Un’impostazione condivisa dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane: la Festa sia anche «l’occasione per riflettere sulle sfide che attendono il Paese» e che devono essere affrontate «nel segno dell’unità».
    Mentre l’Osservatore Romano ricorda il «contributo determinante» dato nella lotta al nazifascismo da tanti religiosi.

    Non mancano però le contestazioni da parte di gruppi di estrema destra. Il gruppo di estrema destra `Milizia´ ha rivendicato con una telefonata all’ANSA alle 3:27 la copertura nella notte della scritta «Lode ai partigiani» su un muro del quartiere San Lorenzo a Roma.

  125. Festa del 25 aprile, via alle celebrazioni. Napolitano e Renzi all’Altare della patria

    Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deposto una corona d’alloro al sacello del Milite Ignoto, all’altare della Patria, nell’ambito delle celebrazioni del sessantanovesimo anniversario della Liberazione dal Nazifascimo.

    Alla cerimonia ha partecipato il presidente del consiglio Matteo Renzi, il presidente del Senato, Pietro Grasso e il vice presidente della Camera, Roberto Giachetti. Presenti inoltre il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il sindaco di Roma Ignazio Marino, il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, il prefetto Giuseppe Pecoraro e il questore Massimo Maria Mazza.

  126. COLLOQUIO RENZI-NAPOLITANO
    Breve colloquio tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del consiglio Matteo Renzi, a margine della cerimonia per il sessantanovesimo anniversario della Liberazione. Il Capo dello Stato ha parlato al presidente del consiglio che ha annuito a lungo. Renzi, al termine del colloquio con Napolitabo, si è intrattenuto anche con Roberto Giachetti, vice presidente della Camera, autore ieri della lettera con la quale invitava il premier a valutare l’ipotesi di tornare alle urne

  127. IL TWEET DEL PREMIER
    «Viva l’Italia libera»aveva scritto di prima mattina il premier Matteo Renzi in un tweet. «Un grazie – aggiunge Renzi – ai ribelli di allora. Scorrono i loro nomi: Silvano, Eda, Giorgio, Liliana, Elia e tanti altri. Viva l’Italia libera #unamattina».

  128. TENSIONE A ROMA
    Attimi di tensioni alla partenza del corteo dell’Anpi di Roma per il 25 Aprile, al Colosseo. Alcuni manifestanti che esponevano la bandiera israeliana sono quasi venuti alle mani con altri schierati dietro una bandiera palestinese. Alcuni carabinieri si sono frapposti tra i due gruppi impedendo il contatto. «Se c’è una bandiera palestinese non parte il corteo», ha urlato un manifestante. «Andiamo, la festa è nostra, viva il 25 aprile!», ha invece esortato il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici. Dalla parte opposta una donna ha raccontato: «I sionisti si sono sentiti offesi e hanno cercato di cacciarci via, uno anche mettendoci le mani in faccia». Il grosso del corteo – alcune centinaia di persone – è poi partito, ma diversi esponenti dei due gruppi rivali sono rimasti ancora nei pressi della stazione Colosseo della metropolitana.

  129. Una felice giornata del 25 Aprile caro Massi!
    Volevo ricordare che la Liberazione ha anche risvolti letterari! Ha infatti ispirato diverse opere letterarie e molti scrittori: sono tantissimi i libri, le frasi e le poesie sul 25 aprile, una data che è festa nazionale dal 1949, come da legge n. 260 del 27 maggio di quell’anno (“Disposizioni in materia di ricorrenze festive”): «Sono considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa nazionale, i giorni seguenti: […] il 25 aprile, anniversario della liberazione;[…]».

  130. Non possiamo non citare Enzo Biagi, di cui – nella raccolta curata da Loris Mazzetti intitolata “I quattordici mesi” – ci vengono proposti gli scritti del giornale Patrioti, di cui il giornalista fu direttore, con i ricordi dei mesi trascorsi da Biagi con i partigiani.

  131. Sempre di quei tempi, “Partigiani della montagna” di Giorgio Bocca, un libro scritto nel 1945 che viene presentato così dallo stesso giornalista: “È bene che si sappia cosa sia stata la Resistenza: non il mito di cui parlano i revisionisti, ma la rivelazione di ciò che un popolo può fare quando prende il destino del paese nelle sua mani”.

  132. Non mancano le poesie sul 25 aprile: la più famosa è forse “Per i morti della Resistenza” di Giuseppe Ungaretti («Qui vivono per sempre / gli occhi che furono chiusi alla luce / perché tutti li avessero aperti / per sempre alla luce»)….

  133. E come non ricordare il nostro conterraneol Salvatore Quasimodo …con “Alle fronde dei salici“ e col celebre incipit “E come potevamo noi cantare / con il piede straniero sopra il cuore”….

  134. Grazie, Simona, per i tuoi commenti sempre puntuali e ricchi di bellezza e informazioni.

  135. Siamo sempre di meno, quelli della mia generazione che quel 25 aprile si era ragazzi.
    Molti dei ragazzi di oggi ignorano le ragioni di questa ricorrenza.
    Per loro è un giorno di vacanza e questo è quanto.
    Provo enorme tristezza.

  136. Viviamo in un’epoca fondata sul principio della diseguaglianza.
    E laddove c’è diseguaglianza, non ci può essere libertà.

  137. L’Italia festeggia il 25 aprile. Alle 8:30 in piazza Venezia, a Roma, si è tenuta la cerimonia per il 71° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deposto una corona di fiori all’Altare della Patria. Erano presenti il premier Matteo Renzi, il presidente del Senato Piero Grasso, il vicepresidente della Camera Simone Baldelli, il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi.

  138. IL CAPO DELLO STATO IN VALSESIA

    Ma il centro delle celebrazioni quest’anno è in Valsesia, dove il Capo dello Stato fa tappa in alcuni centri della Resistenza, tra cui Varallo, medaglia d’oro al valor militare per il ruolo decisivo svolto nella lotta contro il nazifascismo. «Su questa data si fonda la nostra Repubblica», dice il Presidente dal palco del Teatro Civico di Varallo. La Libertà, ricorda il Capo dello Stato, «è nata qui, su queste montagne, con la prima “zona libera”, anello di quelle Repubbliche partigiane che hanno segnato la volontà di riscatto del popolo italiano; vere e proprie radici della scelta che il voto del 2 giugno 1946 avrebbe sancito». Mattarella dice che «è sempre tempo di Resistenza» perché oggi «guerre e violenze crudeli si manifestano ai confini d’Europa».

  139. “CONCORDIA NELL’UE”

    «Ovunque sia tempo di martirio, di tirannia, di tragedie umanitarie che accompagnano i conflitti, lì vanno affermati i valori della Resistenza», è l’appello del Presidente. «Non esiste una condizione di “non guerra” – aggiunge Mattarella -. O si promuove la pace e la collaborazione o si prepara lo scontro futuro». Il Capo dello Stato guarda all’Europa: «Non ci può essere pace soltanto per alcuni e miseria, fame, guerre, per altri: queste travolgerebbero anche la pace di chi pensa di averla conseguita per sempre. Settant’anni di pace ci sono stati consegnati dai nostri padri – dice -. A noi spetta il compito di continuare, di allargare il sentiero della concordia dentro l’Unione Europea e ovunque l’Europa può far sentire la sua voce e sviluppare la sua iniziativa».

  140. “ANTIFASCISMO COSTITUTIVO”

    «L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia», dice Renzi, in un’intervista a Repubblica. Secondo il premier, tuttavia, le candidature a Roma di Meloni e Raggi non mettono a rischio il senso della Liberazione: «Tutti ci riconosciamo nei valori della Costituzione». Per la presidente della Camera, Laura Boldrini, «essere antifascisti oggi passa per la difesa di quei valori che la Costituzione nata dalla Resistenza mette come prioritari: il lavoro, la salute, l’istruzione, la pace, i diritti individuali, l’ambiente, la solidarietà». Pietro Grasso è a Reggio Emilia (visiterà tra l’altro la casa dei fratelli Cervi a Gattatico) Laura Boldrini è a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, dove parteciperà al corteo per poi svolgere l’orazione commemorativa in piazza Matteotti. I segretari di Cgil e Cisl Susanna Camusso e Annamaria Furlan partecipano a Milano al corteo dell’Anpi.

  141. In occasione delle celebrazioni del 72° anniversario della Liberazione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Carpi.

    A Piazza dei Martiri, il Capo dello Stato ha deposto una corona d’alloro al Monumento dei Caduti.

    Ha quindi preso parte alla cerimonia celebrativa al Teatro Comunale dal titolo “25 aprile: Festa della liberazione: tra la storia dei padri e il futuro dei figli”.
    Dopo i saluti introduttivi del Sindaco di Carpi, Alberto Bellelli e del Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, sono intervenuti Germano Nicolini, già comandante partigiano e lo storico Adriano Prosperi.

    La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente Mattarella.

    Nel corso della cerimonia, gli studenti della Scuola G.Verdi hanno eseguito l’Inno Nazionale e “Bella ciao”.

    Al termine il Presidente della Repubblica ha deposto una corona alla Stele che reca i nomi dei campi di concentramento, di sterminio e deportati in Europa al Museo Monumento al Deportato presso Palazzo dei Pio.

    Presenti il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, il Sindaco di Carpi, Alberto Bellelli, il Presidente della Provincia di Modena, Carlo Muzzarelli, il Presidente della Fondazione ex Campo Fossoli, Pierluigi Castagnetti, i Sindaci della Provincia di Modena e numerose autorità locali.

    Carpi, 25 aprile 2017

  142. Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia “25 aprile. Festa della Liberazione: tra la storia dei padri e il futuro dei figli”.

    Rivolgo un saluto al Sindaco, ai cittadini di Carpi, al Presidente della Regione, a Germano Nicolini, al Professor Prosperi, ringraziandoli per i loro interventi. Un saluto alle autorità presenti, del Governo, del Parlamento, ai Sindaci. Un saluto particolare – mi consentirete – ai bambini delle prime tre file e al coro e alla banda che hanno eseguito magistralmente il nostro Inno nazionale.

    E’ quanto mai significativo celebrare, quest’anno, l’anniversario della Liberazione qui, a Carpi, in una terra che, durante gli anni della dittatura, fu ricca di sentimenti e di fermenti antifascisti, e che ha, poi, vissuto con intensa partecipazione la guerra partigiana.

    Nell’Appennino modenese, subito dopo l’8 settembre, si costituirono i primi gruppi di resistenti. Giovani e meno giovani, civili e militari, socialisti, monarchici, comunisti, cattolici, liberali, azionisti, si unirono nella lotta contro l’oppressione.

    Una scelta che costò un alto tributo di sangue: a cominciare dalla strage di Monchio, Susàno, Costrignano e Savoniero dove la barbara furia degli occupanti tedeschi sterminò, per rappresaglia, 136 civili, compresi bambini in tenerissima età.

    La Resistenza scrisse, tra queste montagne, pagine luminose di storia, come quella, breve ma gloriosa, della Repubblica di Montefiorino, una delle prime zone libere d’Italia. Uomini di diversa provenienza, come Osvaldo Poppi, Mario Ricci, il generale Mario Nardi, Teofilo Fontana, Ermanno Gorrieri, furono tra i protagonisti di questa avventura collettiva. Scrisse Gorrieri ricordando l’esperienza vissuta a Montefiorino:

    «Non si trattò soltanto di una zona liberata, in quanto soggetta all’occupazione delle forze partigiane, ma di un’anticipazione del ritorno a una vita democratica, attraverso le elezioni delle amministrazioni comunali democratiche».

    Resistenza, dunque, come lotta al nazifascismo, ma anche come embrione della nuova democrazia. Resistenza come primo, essenziale momento per la riconquista della libertà.

    Oggi a Carpi intendiamo particolarmente onorare, con la presenza e con il ricordo, le vittime di uno dei luoghi simbolo, in Italia, di quella violenza che la lucida follia del nazifascismo aveva eretto a sistema: il campo di Fossoli.

    In quelle baracche di legno, a pochi chilometri da qui, si consumò un atto decisivo della tragedia umana e familiare di migliaia di persone: perseguitati politici, oppositori del regime, ebrei, uomini della Resistenza.

    Ricordo qualche nome, per ricordarli tutti: Leopoldo Gasparotto, Teresio Olivelli, Primo Levi, Nedo Fiano, Odoardo Focherini, don Paolo Liggeri, don Francesco Venturelli.

    Vanno ricordati Carlo Bianchi, Jerzy Sas Kulczycki, Giuseppe Robolotti e tutti gli altri martiri, sessantasette in tutto, fucilati nel poligono di tiro di Cibèno.

    Nomi, provenienze, destini diversi. Storie di eroi e di vittime, di coraggio, di morte, di solidarietà. Tutte insieme, esprimono appieno il senso dell’unitarietà della tragedia che l’Italia visse in quegli anni.

    Con le sue fasi diverse il campo di Fossoli è parte rilevante della storia italiana. Un luogo della memoria tra i più peculiari e importanti nel nostro Paese, che un’opera, doverosa e meritoria, ha recentemente salvato dall’incuria e dall’oblio.

    La mancanza, a Fossoli, delle camere a gas e dei forni crematori non deve trarre in inganno: anche questo campo in terra italiana faceva parte, purtroppo a pieno titolo, del perfezionato meccanismo di eliminazione fisica dei cosiddetti nemici interni, dissidenti politici o appartenenti a razze follemente considerate inferiori.

    Con i suoi reticolati e le sue baracche, con i suoi macabri simboli – la stella gialla per gli ebrei, il distintivo rosso per i prigionieri politici – il campo di Fossoli era a tutti gli effetti una tragica tappa decisiva per la deportazione nei lager nazisti in Germania e Polonia. Da Fossoli – nodo ferroviario strategico – partirono dodici treni della morte con destinazione Auschwitz, Buchenwald, Bergen-Belsen, Mathausen, Ravensbruck.

    Per molti italiani – circa cinquemila – Fossoli fu il primo passo verso l’abisso. O, come disse con grande efficacia il reduce Pietro Terracina, «l’anticamera dell’inferno. Un inferno per chi è morto nei lager e un inferno per chi è sopravvissuto».

    Primo Levi, che fece tappa a Fossoli prima di giungere ad Auschwitz-Birkenau, scrisse a proposito della repressione nazifascista:

    «Il nazismo in Germania è stata la metastasi di un tumore che era in Italia. Il lager era la realizzazione del fascismo. Non mi stanco mai di ripetere che dove il fascismo attecchisce, alla fine c’è il lager».

    Il lager: incarnazione, metafora e sbocco inevitabile di un’ideologia che aveva fatto della sopraffazione, della discriminazione, dell’oppressione e della guerra la sua stessa ragion d’essere.

    Non si può comprendere la Resistenza, il suo significato, la sua fondamentale importanza nella storia d’Italia se non si parte dalla sua radice più autentica e profonda: quella, appunto, della rivolta morale. Una rivolta contro un sistema che aveva lacerato, oltre ogni limite, il senso stesso di umanità inciso nella coscienza di ogni persona.

    Teresio Olivelli, nobilissima figura di martire della Resistenza, la cui storia dolorosa ha incrociato il campo di Fossoli, scrisse:

    «La nostra è anzitutto una rivolta morale. È rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione dell’esistenza».

    Una rivolta custodita, inizialmente, nell’animo di una minoranza, da pochi spiriti eletti, uccisi, perseguitati o isolati durante i lunghi anni del trionfo fascista. Ma che riuscì a propagarsi, dilagando tra la popolazione, dopo che gli eventi succedutisi all’8 settembre resero evidente, anche a chi si era illuso, anche a chi era stato preda della propaganda fascista, quanto fallaci fossero le parole d’ordine di grandezza, di potenza, di dominio, di superiorità razziale diffuse dal regime. Quanto esse contrastassero con i valori della dignità umana propri della nostra tradizione e della nostra cultura.

    Il velo della propaganda si squarciò: e agli occhi degli italiani apparve un Paese distrutto moralmente e materialmente, un esercito in rotta, una classe dirigente in fuga o, peggio, asservita a un alleato trasformatosi in atroce e sanguinario oppressore.

    Le stragi di civili, le rappresaglie, le fucilazioni e le impiccagioni, le torture, la caccia agli ebrei, le deportazioni, i lager. Nel momento dell’estrema difficoltà, il regime mostrava il suo volto più feroce e più vero.

    Il maggiore dei carabinieri Pasquale Infelisi, prima di essere fucilato, a Macerata, dai nazisti per il suo rifiuto di passare nelle file repubblichine, scrisse:

    «Non si può aderire a una Repubblica come quella di Salò, illegale da un punto di vista costituzionale e per di più alleata a uno straniero tiranno. (…) L’Arma, in tutta la sua gloriosa storia ha difeso sempre le leggi dettate da governi legalmente costituiti e ha protetto i deboli contro i prepotenti. Invece adesso si doveva fare l’opposto: difendere i prepotenti contro i deboli. Per i miei sentimenti civili, militari, e per la mia fedeltà all’Arma, accettare una cosa simile con un giuramento di fedeltà l’ho ritenuta un’azione indegna e umiliante».

    Come si comprende da queste parole, così nobili, non moriva la Patria in quei giorni, luttuosi e concitati. Tramontava, invece, una falsa concezione di nazione, fondata sul predominio, sul disprezzo dell’uomo e dei suoi diritti, sull’esaltazione della morte e sulla tirannide; una concezione di barbarie, che pure, per numerosi anni, aveva coinvolto tanti e affascinato tante menti.

    Il popolo italiano, nel suo complesso, seppe reagire alla barbarie. Recuperò gli ideali di libertà, di indipendenza, di solidarietà, di fratellanza, di umanità, di pace che avevano ispirato i migliori uomini del Risorgimento.

    Vi fu una reazione diffusa e corale. Vi furono le avanguardie che, prendendo le armi, costituirono le formazioni partigiane.

    Vi furono i militari italiani che, come a Cefalonia, si ribellarono al giogo tedesco, pagando un altissimo tributo di sangue, o che combatterono accanto ai nuovi alleati, nel nome degli ideali, ritrovati, di libertà e democrazia.

    Vi furono quei più di seicentomila soldati, che rifiutarono di servire l’oppressore sotto il governo di Salò e che vennero passati per le armi, torturati, deportati nei campi di prigionia in Germania.

    Vi furono gli operai che scioperarono nelle fabbriche, gli intellettuali che diffusero clandestinamente le idee di libertà, le donne che diedero vita a una vera e propria rete di sussistenza per partigiani, perseguitati e combattenti.

    Vi furono uomini liberi che sbarcarono nell’Italia occupata e versarono il loro sangue anche per la nostra libertà. A questi caduti, provenienti da nazioni lontane, rivolgiamo un pensiero riconoscente. Il loro sangue è quello dei nostri fratelli.

    Tra questi non possiamo dimenticare i 5000 volontari della Brigata Ebraica, italiani e non, giunti dalla Palestina per combattere con il loro vessillo in Toscana e in Emilia-Romagna.

    In tante famiglie italiane c’è una storia, grande o piccola, di eroismo. Chi salvava un ebreo, chi sfamava un partigiano, chi nascondeva un soldato alleato, chi consegnava un messaggio, chi stampava al ciclostile, chi ascoltava una voce libera alla radio: si rischiava la propria vita e quella della propria famiglia.

    Perché lo facevano? Coraggio, ideologia, principi morali, senso del dovere, disillusione, pietas umana, senso comune… Tante e diverse furono le storie, tante e diverse le motivazioni.

    L’insieme di tutte queste fu la Resistenza. Ed è per questo che, ancora oggi – senza odio né rancore, ma con partecipazione viva e convinta – ricordiamo quegli eventi così tragici e pieni di valore, senza i quali non vi sarebbe l’Italia libera e democratica, senza i quali non avremmo conosciuto una stagione così duratura e feconda di sviluppo civile, di promozione dei diritti, di pace.

    Risaltano, nella loro nobiltà e nel loro significato, le parole e il comportamento eroico di Angiolino Morselli, o di Giacomo Ulivi, le cui parole sono preziose. Io stesso le ho più volte ricordate incontrando scolaresche e studenti, perché sono un richiamo alla civiltà, al senso della convivenza e al valore della democrazia.

    Ci illumina ancora Primo Levi:

    «Se il nazionalsocialismo avesse prevalso (e poteva prevalere) l’intera Europa, e forse il mondo, sarebbero stati coinvolti in un unico sistema in cui l’odio, l’intolleranza e il disprezzo avrebbero dominato incontrastati».

    Oggi, anche di fronte alla minaccia di un nemico insidioso e vile, che vorrebbe instaurare, attraverso atti di terrorismo, una condizione di paura, di dominio, di odio, rispondiamo, come allora, come negli anni settanta, che noi non ci piegheremo alla loro violenza e che non prevarranno.

    Autorità, cittadini di Carpi,

    poche settimane fa un cittadino tedesco di nome Wolfgang Weil, è venuto appositamente dalla Germania su questi monti per chiedere scusa a nome di suo padre, che, come soldato della Divisione Göring, nota per la sua brutalità, prese parte all’eccidio di Monchio.

    È stato, il suo, un gesto di riconciliazione nobile, coraggioso, di grande valore, apprezzato.

    Le sue parole: «Se i discendenti delle vittime e i discendenti dei colpevoli si incontrano e parlano dell’inafferrabile, forse, allora, le ferite ancora esistenti in questo luogo possono guarire. È per questo che sono qui».

    Weil, cittadino tedesco e d’Europa, ha così concluso: «Mai più fascismo, mai più guerra».

    Sono parole che facciamo nostre, oggi, celebrando la ricorrenza della Liberazione, con lo sguardo e la volontà rivolti al domani in un’Italia libera e democratica, in un’Europa libera e democratica, unita e quindi in pace.

    Auguri per il 25 aprile. Viva l’Italia!

    (Carpi 25/04/2017)

  143. Il 25 aprile per me rappresenta il giorno della rinascita di questo paese, però ci siamo persi; il mondo intero si è perso. Dopo la caduta del muro di Berlino abbiamo immaginato un mondo nuovo. Pura immaginazione! Ci hanno ingannato e oggi non possiamo negare che il sentiero tracciato per noi dai potenti della terra sia pericoloso e non possiamo escludere che di questa frattura tra Usa e Israele da una parte, Russia e Islam dall’altra parte non porti ad un nuovo conflitto mondiale. La Libia e’ una polveriera ed è a poche miglia dalle nostre coste, L’Iran e la Turchia sono un pericolo. La nostra democrazia è in pericolo per cause interne, prima fra tutte la corruzione. La pace del mondo e’ in pericolo.

  144. Non è esattamente una Liberazione che unisce quella che si è celebrata a Roma il 25 aprile di questo 2018. E non solo perché due giorni fa, dopo mesi di negoziati mediati dall’amministrazione capitolina, la Brigata ebraica ha cancellato la sua partecipazione al corteo del 25 aprile per non sfilare accanto ai simboli palestinesi ammessi dall’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi) nonostante i tanti tentativi di tenere lontane da questo 73esimo anniversario le cause non italiane. Quando la sindaca Virginia Raggi è salita sul palco di Porta San Paolo e la piazza l’ha investita di fischi (perché icona di un partito avverso a buona parte dei manifestanti ma anche perché risoluta nel sottolineare di fronte a una schiera di bandiere palestinesi l’errore di aver preferito alla brigata ebraica un tema che «nulla c’entra con questa ricorrenza») quanto restava della memoria condivisa è andato in pezzi. La Raggi ha chiuso il suo discorso dicendo che «i fischi non riscriveranno la storia», due ragazzi sono quasi venuti alle mani per affermare se fosse più fascista il Pd o il Movimento 5 Stelle, i testimoni di ieri, come il comandate Gap Mario Fiorentini e Gianfranco Iacobacci, hanno dondolato un po’ sulle sedie sistemate all’ombra probabilmente assai a disagio per uno spettacolo non molto edificante.

  145. La giornata era iniziata con il richiamo all’unità nazionale del Presidente Mattarella che, intervenendo prima all’Altare della Patria e poi al teatro Casoli di Chieti, aveva ricordato come la Resistenza fosse «un movimento corale, ampio e variegato, difficile da racchiudere in categorie o giudizi troppo sintetici o ristretti», un movimento «a lungo rappresentato quasi esclusivamente come sinonimo di guerra partigiana, nelle regioni del Nord d’Italia o nelle grandi città» ma che invece «non avrebbe potuto assumere l’importanza che ha avuto senza il sostegno morale e materiale della popolazione civile». Una constatazione dunque quella del Quirinale, ma anche un auspicio a superare le divisioni e commemorare «la Patria che rinasceva dalle ceneri della guerra e si ricollegava direttamente al Risorgimento, ai suoi ideali di libertà, umanità, civiltà e fratellanza».

  146. Detto fatto, e così una mezz’ora dopo, al sacrario delle Fosse Ardeatine, i rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali erano tutti insieme ad abbracciare il sopravvissuto ad Auschwitz Alberto Sed, la figlia di una delle 154 vittime di Priebke, Rosetta Stame, la comunità ebraica romana riunitasi qui per una Liberazione diversa ma non alternativa rispetto a quella dell’Anpi. Insieme. La sindaca Raggi, il Premier Gentiloni, il ministro della difesa Pinotti, il Presidente della Regione Zingaretti, tutti testimonial per un giorno non del proprio cartello politico ma di una Storia comune sempre a rischio di revisioni.

  147. La seconda tappa era a via Tasso, l’ex famigerato carcere delle SS che è oggi il museo storico della Liberazione e espone alla finestra lo striscione «Verità per Giulio Regeni», dove, di fronte a un centinaio di persone con i vessilli della Brigata Ebraica e i cartelli per ricordare come durante la guerra il Mufti di Gerusalemme stesse con l’Asse, Zingaretti ha chiamato l’Italia a combattere il germe del revisionismo e la Raggi si è rammaricata per non essere riuscita a impedire l’introduzione nel corteo di temi estranei allo spirito della Liberazione («Non siamo stati all’altezza dei nostri predecessori di 70 anni fa»). Applausi, lungi, ripetuti. E la promessa, tanto del Campidoglio quanto della presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, di ritentare il prossimo anno con la speranza di un 25 Aprile unito.

  148. Poi il corteo dell’Anpi, lungo, lunghissimo, colorato, allegro, pieno di studenti inneggianti cori contro la Lega, bandiere rosse, bandiere della Cgil, bandiere di Emergency, bandiere dell’Opera Nomadi, bandiere palestinesi. Un serpentone che attraverso il quartiere Garbatella confluisce a mezzogiorno in piazza di Porta San Paolo, la piazza di Roma città aperta. In testa c’è il gonfalone dei partigiani e lo striscione retto dal presidente Fabrizio De Sanctis. E la frattura con la Brigata Ebraica, le Fosse Ardeatine, via Tasso, l’inclusione dei simboli palestinesi? De Sanctis risponde sbrigativo, puntando al palco: «Non raccogliamo polemiche, è brutto sfilarsi il 24 aprile, dobbiamo essere uniti contro il nuovo vento di razzismo e antisemitismo, il prossimo anno riproveremo a stare tutti insieme». Intorno canti senza tempo, «I morti di Reggio Emilia», «Bella Ciao», «Fischia il vento».

  149. Il palco è pieno degli uomini e le donne che hanno fatto la nostra Storia, raccontano, cantano. La piazza arroventata dal sole applaude, sventola cappelli e bandiere, i bambini si allungano sopra le spalle dei genitori. Arriva Zingaretti, tuona che «non ci sono prime, seconde o terze Repubbliche ma ce n’è solo una, quella anti-fascista nata nel 1945». Ovazioni. Poi tocca alla Raggi. Basta il suo nome per far partire i fischi. Le bandiere palestinesi come quelle rosse comuniste guadagnano le prime file. Lei si fa avanti, prende il microfono, ripete esattamente quanto detto due ore prima a via Tasso, che «l’Italia è stata liberata da comunisti, socialisti, cristiani, uomini, donne, ebrei» e che aver preferito una causa diversa dal tema della Liberazione all’unità dei partigiani, Brigata ebraica inclusa, è una brutta pagina per la città. I fischi coprono la sua voce, lei insiste «non è con i fischi che si riscriverà la Storia».

  150. In piazza c’è chi si insulta, chi difende il Pd, chi la sinistra dura e pura, chi il Movimento 5 Stelle. Non bastano le altre fratture, il Comune di Todi che ha negato il patrocinio della giornata all’Anpi perché “di parte” o il leader della Lega Salvini che ribadisce come questa festa non sia la sua. Ci si divide anche qui, male, dolorosamente. Quando, sciogliendosi, il corteo torna a cantare i sogni di un mondo migliore e i partigiani scendono dal palco tra gli applausi è un sollievo, una Liberazione.

  151. Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia in occasione del 73° anniversario della Liberazione

    * * *

    Un saluto cordiale a tutti, al Sindaco e, attraverso di lui, ai cittadini di Casoli, ringraziandoli per l’accoglienza così calorosa, aperta e affettuosa per la Repubblica.

    Un saluto al Presidente della Regione, alla Vicepresidente della Camera dei Deputati, al Vicepresidente del CSM, a tutti i sindaci presenti.

    Un saluto particolare all’Ambasciatore del Regno Unito, all’Incaricato d’Affari della Polonia, ringraziandoli per la loro presenza.

    Mi rivolgo ai partigiani e ai veterani della Brigata Maiella. Abbiamo sentito poc’anzi, ancora una volta, ricordare il valore e il contributo che hanno dato alla storia del nostro Paese.

    Vi è una storia che viene non soltanto trasmessa ma testimoniata dal vostro impegno, raccolto anche nell’ANPI.

    Vi è un significato particolare nel ricordare la Liberazione, il 25 aprile, qui a Casoli. Sono molto lieto di poterlo fare perché Casoli è stato uno dei centri nevralgici della Resistenza in Abruzzo, e celebrare qui la festa della Liberazione consente di sottolineare le pagine di storia, non sempre adeguatamente sottolineate e conosciute, scritte dalla Resistenza nel Mezzogiorno d’Italia.

    In questa Regione così bella e così fiera si svolsero, tra il 1943 e il 1944, alcuni degli episodi più drammatici e decisivi della lunga e sanguinosa guerra per liberare l’Italia dal nazifascismo e per restituire il nostro Paese al novero delle nazioni democratiche e pienamente civili.

    Da Ortona s’imbarcarono verso sud il Re e i membri del governo Badoglio, abbandonando precipitosamente Roma al suo destino di occupazione tedesca.

    Sul Gran Sasso fu detenuto e poi prelevato dai soldati tedeschi Benito Mussolini con un evento che portò alla nascita della Repubblica di Salò, che portò lutti e sangue tra gli italiani, sotto il controllo pieno e incondizionato della Germania nazista.

    La linea Gustav, fortissimo caposaldo della difesa tedesca tagliava in due l’Italia, dall’Adriatico al Tirreno, e riuscì a fermare l’avanzata degli Alleati verso Roma.

    Il “fronte italiano”, come venne chiamato dagli anglo-americani, si stabilì, per lunghi e durissimi mesi, tra Ortona, Cassino e Minturno, attraversando queste terre e queste montagne di cui oggi noi apprezziamo la grande bellezza ma che allora videro immani tragedie.

    Le battaglie che si combatterono in Abruzzo, sul versante adriatico, nel 1943, furono tra le più aspre di tutto il conflitto sul territorio italiano. Ortona venne soprannominata “la Stalingrado d’Italia”.

    La guerra, combattuta per anni in fronti lontani – Africa, Grecia, Balcani, Russia – irrompeva fragorosamente nel territorio italiano, coinvolgendo con il suo carico di distruzione e di morte la popolazione italiana.

    Iniziarono i bombardamenti aerei, i feroci combattimenti terrestri. E poi, per i civili, la barbara sequenza di saccheggi, deportazioni, sfollamenti, rappresaglie e stragi.

    In quel periodo la regione d’Abruzzo, con i suoi abitanti, visse una vera epopea, tragica e insieme eroica, diventando – insieme alle aree limitrofe – il teatro di operazioni belliche di primaria importanza per le sorti della guerra.

    Lungo la linea Gustav si riproduceva, in una scala ridotta, il conflitto mondiale che opponeva la Germania hitleriana e i suoi marginali alleati europei, a eserciti venuti da ogni parte del mondo: inglesi, americani, polacchi, canadesi, neozelandesi, nordafricani, indiani…

    Tra queste montagne, alte e innevate, sulle pendici del Gran Sasso, nelle valli della Majella, tra i paesi e i borghi d’alta quota, nacquero spontaneamente nuclei del movimento di Resistenza al nazifascismo. I primi in Italia.

    Tra essi vi erano intellettuali, contadini e pastori, militari tornati dal fronte, carabinieri. C’erano antifascisti di lungo corso ed ex militanti fascisti, che si sentivano delusi e traditi. C’era tanta gente semplice, decisa a difendere il proprio territorio dai saccheggi e dalle prepotenze. La riconquista della libertà e dell’onore ne costituiva l’elemento unificante.

    L’8 settembre del 1943, con le sue tragiche conseguenze, aveva rappresentato il simbolo più evidente – e, per alcuni aspetti, grottesco – della disgregazione dello Stato fascista.

    Ma in molti cuori e in molte coscienze l’adesione al fascismo si era già frantumata. A partire dai campi di battaglia, in Africa o in Russia, dove uomini male armati e male equipaggiati erano stati cinicamente mandati allo sbaraglio per gli sciagurati e velleitari sogni di potenza e di conquista della dittatura.

    L’occupazione nazista – spalleggiata dai fascisti di Salò, con i suoi metodi barbari e disumani, con le rappresaglie, le torture, le deportazioni, la caccia agli ebrei, le stragi di civili – aprì definitivamente gli occhi della popolazione sulla natura oppressiva e violenta del fascismo.

    Non era, quella fascista, la Patria che aveva meritato il sacrificio eroico di tanti soldati italiani. La Patria, che rinasceva dalle ceneri della guerra, si ricollegava direttamente al Risorgimento, ai suoi ideali di libertà, umanità, civiltà e fratellanza.

    Non fu, dunque, per caso, come ci ha raccontato con efficacia il professor Marco Patricelli, che ringrazio per il suo intervento interessante e coinvolgente, che gli uomini della Brigata Maiella scelsero per sé stessi il nome di “patrioti”. La stessa denominazione dei giovani che rischiavano la morte in nome dell’Unità di Italia.

    La Resistenza fu un movimento corale, ampio e variegato, difficile da racchiudere in categorie o giudizi troppo sintetici o ristretti.

    A lungo è stata rappresentata quasi esclusivamente come sinonimo di guerra partigiana, nelle regioni del Nord d’Italia o nelle grandi città.

    E’ certamente vero che le “bande armate” operanti al Centro-Nord, costituirono il fenomeno più ampio, evidente e caratteristico della guerra di Liberazione ed è giusto ricordarlo.

    Ma gli studi storici hanno, via via, allargato l’orizzonte al contributo fondamentale che alla Resistenza diedero le forze armate italiane. Sia nei teatri di guerra lontani – ed è importante ricordare i drammatici episodi di Cefalonia, Coo e Corfù- sia sul territorio nazionale, dove circa 260 mila italiani combatterono a fianco degli Alleati, partecipando all’avanzata. Il prezzo pagato, tra gli italiani, fu di circa 21 mila morti e 19 mila dispersi.

    Il Generale Clark, soldato piuttosto ruvido e non certo avvezzo ai complimenti, riconobbe che «I quattro gruppi di combattimento italiani e i partigiani sostennero una parte importante nella vittoria, avendo così l’onore di partecipare alla liberazione del Paese».

    Da qualche tempo, e doverosamente, gli storici hanno puntato l’attenzione anche sui militari italiani deportati nei campi di concentramento in Germania, in condizioni terribili, per il loro rifiuto di servire sotto le insegne di Salò e dell’esercito nazista. A loro venne persino negato lo status di prigionieri di guerra.

    Furono più di seicentomila, una cifra enorme. Tra di loro molti generali e ufficiali superiori. Pochi cedettero in cambio di cibo e di condizioni di vita più accettabili. La stragrande maggioranza, la quasi totalità, rimase compatta, nonostante la fame, i patimenti, il freddo e i maltrattamenti. Circa cinquantamila non fecero più ritorno.

    Va rammentato anche che il movimento della Resistenza non avrebbe potuto assumere l’importanza che ha avuto nella storia d’Italia senza il sostegno morale e materiale della popolazione civile.

    Per essere “resistenti” non era necessario imbracciare il fucile. I terrificanti proclami tedeschi promettevano la fucilazione immediata e la distruzione della casa per chiunque avesse sfamato un soldato alleato, nascosto un renitente alla leva, aiutato un ebreo, sostenuto una banda partigiana. E i nazisti passavano con crudeltà dalle parole ai fatti. Senza fermarsi davanti a donne, bambini e anziani inermi. Chiunque, in quegli anni foschi, sfidò la morte con coraggio e abnegazione merita pienamente la qualifica di resistente.

    Come notava con molto acume Aldo Moro, in un discorso del 1975, il contributo delle popolazioni permise alla Resistenza di superare «il limite di una guerra patriottico-militare, di un semplice movimento di restaurazione prefascista». E di diventare «un fatto sociale di rilevante importanza».

    Una considerazione che getta ulteriore luce anche sull’importante contributo alla lotta di Liberazione delle popolazioni meridionali. Le tante insurrezioni, da Napoli a Matera, da Nola a Capua, alle tante avvenute in Abruzzo, attestano la percezione da parte degli italiani della posta in gioco: da una parte i massacratori, gli aguzzini, i persecutori di ebrei; dall’altra la civiltà, la libertà, il rispetto dei diritti inviolabili della persona.

    Nelle parole dell’anziana donna abruzzese, citata da Patricelli, fucilata per aver sfamato un inglese, c’è racchiusa molta parte del senso della storia della Resistenza italiana: più che approfondite teorie politiche, coltivate dalle élite, era il riconoscimento della comune appartenenza al genere umano a costituire l’assoluto rifiuto a ogni ideologia basata sulla sopraffazione, la violenza e la superiorità razziale.

    Nella lotta al nazismo, la popolazione d’Abruzzo fu particolarmente esemplare. Pagando un tributo alto di sangue che va adeguatamente ricordato, con riconoscenza e con ammirazione.

    La rivolta cominciò, subito dopo l’8 settembre, con episodi spontanei ma diffusi.

    All’Aquila nove ragazzi sorpresi con le armi in pugno furono fucilati sul posto dai soldati tedeschi. Nessuno di loro superava i venti anni.

    A Bosco Martese, sulle montagne teramane, si radunarono 1600 uomini in armi. C’erano trecento sbandati, un centinaio di prigionieri di guerra, inglesi e slavi, evasi dal campo di concentramento. Ma la maggior parte erano giovani provenienti da Teramo, decisi a combattere.

    Per più di ventiquattro ore riuscirono a tenere testa all’esercito tedesco, poi – di fronte a un nuovo attacco con armi pesanti e rinforzi – si dispersero tra i boschi, per continuare la lotta. Anche qui, un battesimo del fuoco. Commentò Parri, comandante nazionale dei partigiani: quella di Bosco Martese «fu la prima battaglia nostra in campo aperto».

    Insorse anche la città di Teramo. Pure qui il bilancio fu tragico: i capi dei rivoltosi, guidati dal medico Mario Capuani, sostenuto dai carabinieri della locale caserma, furono barbaramente trucidati.

    Si ribellò Lanciano. Uno dei protagonisti della rivolta, Trentino La Barba, fu orrendamente seviziato in pubblico da un soldato nazista, prima di trafiggerlo mortalmente.

    Furono quasi un migliaio le vittime civili di eccidi e rappresaglie. Pietransieri (125 morti), Sant’Agata di Gessopalena (36), Capistrello (33 morti). Francavilla, Arielli, Onna, Filetto, Lanciano, Montenerodomo, Pizzoferrato, Bussi sul Tirino, sono alcuni dei nomi dei paesi d’Abruzzo che conobbero la ferocia nazista contro la popolazione civile.

    Ma il terrore e le fucilazioni non impedivano, anzi, in qualche modo, aumentavano l’impegno degli abruzzesi a fianco dei liberatori: anziani, donne, ragazzi, sacerdoti. Chi poteva si impegnava attivamente. Rischiando di continuo la vita.

    Si aprirono così, tra questi monti, i sentieri della libertà. Pastori, cacciatori, guide locali accompagnavano generosamente soldati alleati e italiani, ebrei, fuggiaschi e perseguitati al di là della Linea Gustav, mettendoli in salvo. Tra questi ci fu anche il mio illustre predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, in fuga con un suo amico ebreo, Beniamino Sadùn.

    La grande scrittrice Alba De Céspedes, intellettuale e partigiana, ci ha lasciato una bellissima descrizione del popolo abruzzese in quegli anni, che vorrei leggere perché è forse una delle più belle testimonianze di ciò che ha fatto la gente d’Abruzzo in quel momento: «Entravamo nelle vostre case timidamente: un fuggiasco, un partigiano, è un oggetto ingombrante, un carico di rischi e di compromissioni. Ma voi neppure accennavate a timore o prudenza: subito le vostre donne asciugavano i nostri panni al fuoco, ci avvolgevano nelle loro coperte, rammendavano le nostre calze logore, gettavano un’altra manata di polenta nel paiolo. […] Non c’era bisogno di passaporto per entrare in casa vostra. C’erano inglesi, romeni, sloveni, polacchi, voi non intendevate il loro linguaggio ma ciò non era necessario; che avessero bisogno di aiuto lo capivate lo stesso. Che cosa non vi dobbiamo, cara gente d’Abruzzo? Ci cedevate i vostri letti migliori, le vesti, gratis, se non avevamo denaro». Queste parole sono splendide.

    Vennero poi le gesta della Brigata Maiella che ci conducono qui oggi a ricordare per tutta Italia la liberazione del 25 aprile.

    Partita dall’Abruzzo e finita nel lontano Veneto. Ce le hanno narrate, con efficacia e partecipazione lo storico Marco Patricelli e con la sua testimonianza scritta Antonio Rullo, che combatté con questa leggendaria Brigata, accanto a Ettore e Domenico Troilo, straordinarie figure da ricordare sempre. Desidero ancora ringraziarlo per il suo messaggio, che ha aggiunto calore e commozione al nostro ricordo. Saluto anche i figli presenti di Ettore e Domenico Troilo e li ringrazio per la loro presenza, così significativa, tra noi.

    La nascita del movimento della Resistenza, che mosse i primi passi in Abruzzo, segna il vero spartiacque della nostra storia nazionale verso la libertà. Chiuse la fase della dittatura e portò l’Italia all’approdo della libertà, della democrazia e della Costituzione.

    La vita democratica, dopo il cupo ventennio fascista, ha le sue radici nella lotta di liberazione. E la nostra Costituzione, sigillo di libertà e democrazia, come scrisse Costantino Mortati nel 1955, nel decennale della Liberazione, «si collega al grande moto di rinnovamento espresso dalla Resistenza».

    Vorrei concludere rivolgendo un commosso pensiero anche a tutti quei giovani soldati, provenienti da tante parti del mondo, che sono caduti sul suolo italiano per liberarci dal giogo nazifascista e che riposano nei cimiteri di guerra: non sono stranieri, ma sono nostri fratelli.

    Il ricordo della Repubblica li abbraccia insieme ai nostri caduti della Resistenza, cui è sempre rivolto il nostro pensiero riconoscente e ammirato.

    Viva la Resistenza, viva l’Italia libera e democratica!

  152. Vittorio Veneto – Teatro Da Ponte, 25/04/2019

    Un saluto intensamente cordiale a tutti, al Presidente della Regione, al Sindaco e, attraverso di lui, a tutti i vittoriesi, ai rappresentanti del Parlamento, a tutte le autorità, ai Sindaci presenti salutandoli con molta cordialità.

    Ringrazio per gli interventi già svolti. Abbiamo ascoltato delle cose di grande interesse e significato, in cui mi riconosco pienamente.

    Sono davvero lieto di essere a Vittorio Veneto, per celebrare qui la Festa della Liberazione, in questo luogo simbolo caro all’Italia, che vide i nostri soldati segnare la conclusione vittoriosa della Prima guerra mondiale, sancendo così il compimento dell’unità territoriale italiana. Unità territoriale che corrispondeva all’unità morale e spirituale dell’Italia, all’aspirazione a una Patria libera e indipendente.

    Quella stessa aspirazione – dopo poco più di un ventennio – animò i volontari della Libertà, in queste terre generose e martoriate del Veneto, negli aspri combattimenti contro l’oppressione nazifascista, con tutto il suo carico di sangue, lutti e devastazioni. E con pagine straordinarie di sacrificio, eroismo e idealità, che non possono essere rimosse e che vanno ricordate.

    Festeggiare il 25 aprile – giorno anche di San Marco – significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico.

    Se oggi, in tanti, ci troviamo qui e in tutte le piazza italiane è perché non possiamo, e non vogliamo, dimenticare il sacrificio di migliaia di italiani, caduti per assicurare la libertà a tutti gli altri. La libertà nostra e delle future generazioni.

    A chiamarci a questa celebrazione sono i martiri delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e di tanti altri luoghi del nostro Paese; di Cefalonia, dei partigiani e dei militari caduti in montagna o nelle città, dei deportati nei campi di sterminio, dei soldati di Paesi stranieri lontani che hanno fornito un grande generoso contributo e sono morti in Italia per la libertà. Questo doveroso ricordo ci spinge a stringerci intorno ai nostri amati simboli: il tricolore e l’inno nazionale (così ben cantato dal coro di ragazzi e adulti, complimenti al maestro Sabrina Carraro).

    È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, che compongono l’identità della nostra Nazione da cui non si può prescindere per il futuro.

    Il 25 aprile del 1945 nasceva, dalle rovine della guerra, una nuova e diversa Italia, che troverà i suoi compimenti il 2 giugno del 1946, con la scelta della Repubblica e il primo gennaio 1948 con la nostra Costituzione.

    Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace. L’Italia che, ricollegandosi agli alti ideali del Risorgimento, riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere. L’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni.

    Non era così nel ventennio fascista. Non libertà di opinione, di espressione, di pensiero. Abolite le elezioni, banditi i giornali e i partiti di opposizione. Gli oppositori bastonati, incarcerati, costretti all’esilio o uccisi. Non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere. Credere, in modo acritico e assoluto, alle parole d’ordine del regime, alle sue menzogne, alla sua pervasiva propaganda. Bisognava poi obbedire, anche agli ordini più insensati o crudeli. Ordini che impartivano di odiare: gli ebrei, i dissidenti, i Paesi stranieri. L’ossessione del nemico, sempre e dovunque, la stolta convinzione che tutto si potesse risolvere con la forza della violenza.

    E, soprattutto, si doveva combattere. Non per difendersi, ma per aggredire.

    Combattere, e uccidere, per conquistare e per soggiogare. Intere generazioni di giovani italiani furono mandate a morire, male armati e male equipaggiati, in Grecia, in Albania, in Russia, in Africa per soddisfare un delirio di dominio e di potenza, nell’alleanza con uno dei regimi più feroci che la storia abbia conosciuto: quello nazista.

    Non erano questi gli ideali per i quali erano morti i nostri giovani nel Risorgimento e nella Prima Guerra Mondiale

    La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva.

    L’8 settembre 1943 e gli eventi che ne susseguirono rappresentarono, per molti italiani, la fine drammatica di una illusione. Con la dissoluzione dello Stato, i morti, i feriti, le gravissime sconfitte militari.

    L’Italia era precipitata in una lenta e terribile agonia. Il Re era fuggito a Brindisi abbandonando Roma al suo destino, le truppe germaniche avevano invaso il territorio nazionale, seminando ovunque terrore e morte, a Salò si era insediato un governo fantoccio, totalmente nelle mani naziste.

    Fu in questo contesto che molti italiani, donne e uomini, giovani e anziani, militari e studenti, di varia provenienza sociale, culturale, religiosa e politica, maturarono la consapevolezza che il riscatto nazionale sarebbe passato attraverso una ferma e fiera rivolta, innanzitutto morale, contro il nazifascismo. Nacque così, anche in Italia, il movimento della Resistenza. Resistenza alla barbarie, alla disumanizzazione, alla violenza: un fenomeno di portata internazionale che accomunava, in forme e modi diversi, uomini e donne di tutta Europa.

    Alla barbarie si poteva resistere in tanti modi: con le armi, con la propaganda, con la diffusione di giornali clandestini, con la non collaborazione, con l’aiuto fornito ai partigiani, agli alleati, agli ebrei in fuga. Ma ci voleva forza d’animo e grande coraggio, perché ognuna di queste azioni poteva comportare la cattura, la tortura e la morte. Accadde, in forme e gradi diversi, in tutto il territorio nazionale soggetto all’occupazione nazista.

    Contadini, operai, intellettuali, studenti, militari, religiosi, costituirono il movimento della Resistenza: tra loro vi erano azionisti, socialisti, liberali, comunisti, cattolici, monarchici e anche molti ex fascisti delusi. Non fu un esercito compatto, non poteva esserlo, ma piuttosto una rete ideale, che operava, in montagna o nelle città, in ordine sparso e in condizioni di grande difficoltà e pericolo.

    Vi erano i partigiani, capaci di coraggio, di spirito di sacrificio e di imprese audaci; i soldati italiani che combatterono fianco a fianco con l’esercito alleato, coprendosi di valore. Accanto a essi, come componente decisiva della Resistenza italiana, desidero ricordare i tanti militari che, catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre, rifiutarono l’onta di servire sotto la bandiera di Salò e dell’esercito occupante e preferirono l’internamento nei campi di prigionia nazisti. Seicentomila: un numero imponente che fa riflettere sulla decisa prevalenza del senso di onor di Patria rispetto al fascismo fra gli appartenenti alle Forze Armate. Quasi cinquantamila di questi morirono nei lager in Germania, di stenti o per le violenze.

    Né va dimenticato il contributo fondamentale delle centinaia di migliaia di persone che offrirono aiuti, cibo, informazioni, vie di fuga ai partigiani e a militari alleati; e dei tanti giusti delle Nazioni che si prodigarono per salvare la vita degli ebrei, rischiando la propria.

    Nel tessuto sociale del Veneto, permeato dalle cooperative di braccianti e dalle leghe contadine, la Resistenza germogliò dal basso in modo pressocché spontaneo: gruppi di cittadini, spesso guidati dal clero locale, che cercavano di mettere in salvo prigionieri alleati, perseguitati politici, ebrei e chi voleva sfuggire all’arruolamento nell’esercito di Salò o alla deportazione in Germania.

    Spicca, nel territorio del Vittoriese, la personalità di don Giuseppe Faè, parroco di Montaner, vero cappellano dei partigiani. Arrestato insieme a collaboratori e familiari e condannato a morte, scampò alla fucilazione per intervento del Vescovo. Ma la sorella Giovanna, deportata in un lager nazista, non fece più ritorno.

    Attorno a don Faè muovono i primi passi coloro che diventeranno i capi partigiani di questa zona: Ermenegildo Pedron, detto “Libero”, Attilio Tonon detto “Bianco” e dal giovane sottotenente degli alpini Giobatta Bitto, detto “Pagnoca”, che agirono soprattutto nella zona del Cansiglio.

    In tutto il Veneto la guerra partigiana fu particolarmente difficile e dura. I tedeschi volevano preservarsi il Veneto come via di possibile fuga verso la Germania. Le formazioni partigiane, infersero all’occupante diverse e cocenti sconfitte, pur se i continui rastrellamenti operati dai nazisti e dai fascisti nell’inverno 1944-45, specialmente sul Grappa e sul Cansiglio, ne ridussero la capacità operativa.

    In quel drammatico periodo ci furono molte esecuzioni di partigiani e rappresaglie contro la popolazione civile. Come la terribile impiccagione di 31 giovani agli alberi del corso centrale di Bassano del Grappa il 26 settembre 1944, di cui ha parlato la professoressa Giulia Albanese, che ringrazio per il suo intervento appassionato e puntuale. Alcuni di questi giovani impiccati avevano meno di 17 anni.

    Il bilancio dei rastrellamenti pesò molto sulla Resistenza veneta: in pochi giorni vennero impiccati 171 combattenti per la libertà, 603 vennero fucilati, 804 deportati, oltre tremila fatti prigionieri e centinaia di case vennero bruciate.

    Ma nella primavera del 1945, rafforzate da nuovi giovani venuti a irrobustire le loro file e dagli aiuti alleati, le formazioni partigiane venete riusciranno a infliggere nuovi, decisivi colpi alle forze tedesche, fino alla Liberazione. In alcuni casi, come in quello di Vittorio Veneto, l’esercito tedesco negoziò direttamente la resa con i capi partigiani.

    Ringrazio la signora Meneghin per il suo appassionato intervento. E la ringrazio ancor di più per il coraggio dimostrato in quegli anni terribili della guerra partigiana. Concordo con lei: per la Resistenza fu decisivo l’apporto delle donne, volitive e coraggiose. In Veneto furono staffette, ma anche combattenti. Su di loro, se catturate, la violenza fascista si scatenava con ulteriore terrificante brutalità, come le sopravvissute raccontarono del trattamento della banda Carità, un gruppo di torturatori di inaudita ferocia che aveva sede presso Villa Giusti a Padova.

    Ne abbiamo già ricordate alcune e tante altre giovani venete di allora andrebbero citate per quanto hanno fatto, per il loro impegno. Per tutte ricordo Tina Anselmi, con cui ho avuto l’opportunità e l’onore di lavorare a stretto contatto in Parlamento.

    Fondamentale per animare il movimento resistenziale fu, in Veneto, il contributo del mondo della cultura e dell’università. Come è stato appena ricordato, l’Università di Padova, unico caso tra gli atenei italiani, fu insignito della medaglia d’oro al valore della Resistenza.

    Ricordo l’appello, di grande suggestione e di altissimo valore morale, che il grande latinista Concetto Marchesi, rettore dell’università padovana, rivolse ai suoi studenti in piena occupazione nazista, invitandoli alla rivolta: «Una generazione di uomini – scrisse Marchesi – ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano».

    Non furono queste solo parole. Perché Marchesi, comunista, insieme al suo allievo Ezio Franceschini, cattolico, diedero insieme vita a una organizzazione segreta, operativa (FraMa, dalle iniziali dei loro cognomi) capace di fornire assistenza logistica agli alleati, ai resistenti e agli ebrei. La FraMa ebbe i suoi martiri: il padre francescano Placido Cortese, torturato a morte nella Risiera di San Sabba, e la suora laica Maria Borgato, scomparsa nei lager tedeschi.

    Anche in Veneto, come in altre zone d’Italia, ci furono, dopo il 25 aprile, vendette e brutalità inaccettabili contro i nemici di un tempo, peraltro prontamente condannate dai vertici del Cln. Nessuna violenza pregressa, per quanto feroce, può giustificare, dopo la resa del nemico, il ricorso alla giustizia sommaria. Mai questa può essere commessa in nome della libertà e della democrazia.

    La Resistenza, con la sua complessità, nella sua grande attività e opera, è un fecondo serbatoio di valori morali e civili.

    Ci insegna che, oggi come allora, c’è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio.

    A queste minacce possiamo rispondere con le parole di Teresio Olivelli, partigiano, ucciso a bastonate nel lager di Hersbruck: «Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano».

    Buon 25 Aprile!!

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