Maggio 13, 2024

163 thoughts on “SCRITTURA SENZA GENERE

  1. Credo che l’argomento di questo post sia particolarmente stimolante e possa offrire spunti per un bel dibattito.
    Annullare il genere nelle lingue può davvero favorire le pari opportunità?

  2. Ringrazio ancora una volta Diego Marani e Giuseppe Scaraffia per avermi inviato i loro pezzi. E Stefano Salis della redazione di “Domenica”, per avermi autorizzato a pubblicarli.

  3. Ricapitolando…
    il Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità del Parlamento europeo ha pubblicato un opuscolo che propone di bandire ogni riferimento sessista dalle lingue europee.

  4. Non ho capito bene questo post. Vale solo per le donne? e io, dovrei rinunciare ai miei titoli nobiliari?

    Massimo, per cortesia, delucidami.

  5. …A CALDO:PERCHè LIVELLARE LE DIFFERENZE? A ME SEMBRANO COSì BELLE!penso a quel giorno in profumeria quando hanno proposto anni fa il primo profumo unisex…..che tristezza ma se pure gli animali hanno un odore diverso da maschio a femmina.No non sono proprio d’accordo,le differenze di genere sono una ricchezza e non c’entrano nulla con le opportunità.
    Tornerò domani per articolare meglio, a freddo, le risposte.
    bacioni

  6. Mi sono fatta un sacco di risate grazie ai gustosissimi esempi degli articoli di Marani e Scaraffia, ma a domanda seria rispondo seriamente: secondo me, una cosa è lasciare cadere in disuso (e non dittatorialmente “abolire”) termini effettivamente obsoleti, come “signorina” (“signorino” una volta si usava mentre oggi non si usa più senza che qualcuno si sia dato la pena di proibirne l’uso!), mentre cosa ben diversa sarebbe tentare di eliminare le differenze di genere sul piano linguistico: mi sembra un’idea impossibile, assurda e infinitamente sciocca, ma forse proprio per questo perfettamente aderente ai nostri tristi tempi in cui la forma vale sempre più della sostanza.
    Lieta di avere fatto la vostra conoscenza.

  7. Io abolirei i titoli di studio.

    “Buongiorno ingegnere!”
    Buona giornata a lei, caro avvocato”.
    O altrimenti li estenderei a tutti.

    “Salve fornaio”.
    “Un saluto a lei, muratore”.
    “Buona giornata anche a voi, morti di fame”.

  8. Caro Massi,
    da un punto di vista strettamente giuridico l’opuscolo non è altro che uno degli atti adottati dagli stati membri dell’UE in conformità al cd PATTO EUROPEO PER LA PARITA’ DI GENERE (CFR: conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006). Con il Patto europeo per la parità di genere gli Stati membri hanno confermato il loro
    impegno per l’attuazione delle politiche volte a promuovere l’occupazione delle donne e garantire un equilibrio migliore tra la vita professionale e la vita privata allo scopo di rispondere alle sfide demografiche. Le priorità strategiche individuate sono: combattere i divari tra uomini e donne nel mercato dell’occupazione agendo sull’istruzione, sulla formazione, sulla flessibilità e sui bisogni specifici dei gruppi meno favoriti; favorire un miglior equilibrio tra donne e uomini nella suddivisione delle responsabilità private e familiari; garantire l’attuazione effettiva del quadro legislativo nelle normative nazionali degli Stati. Promuovere lo sviluppo dei servizi di custodia dei bambini.
    —-
    Nello specifico l’opuscolo di sole 15 pagine, declinato in tutte le lingue ufficiali dell’Ue, racchiude una serie di “orientamenti intesi ad assicurare che in tutti i DOCUMENTI parlamentari sia utilizzato come norma e non come eccezione un linguaggio neutro dal punto di vista del genere”. Nell’opuscolo, pubblicato dal segretariato generale del Parlamento europeo, non ci sono obblighi, né tantomeno viene messo al bando alcun termine; c’è solo un “invito”, che il segretario generale Harald Romer rivolge “a tutti i colleghi”, ad attenersi alle linee guida “per la redazione di tutte le pubblicazioni e comunicazioni scritte” interne all’Istituzione. I ‘colleghi’, evidentemente, non sono gli eurodeputati, ma solo il personale tecnico che redige i documenti, un dettaglio sfuggito all’opinione pubblica e ai commentatori. L’abolizione dei termini ‘Signora’ e Signorina’, ad esempio, non è affatto una regola di comportamento imposta nei riguardi delle europarlamentari, bensì solo una direttiva su come riportarne i nomi nei documenti scritti che le riguardano. Da notare che l’invito a seguire le linee guida non concerne i traduttori, per i qual vi è “la necessità che, nel tradurre nella propria lingua, si attengano fedelmente e accuratamente ai testi originali”, rispettando le intenzioni dei loro estensori.
    Quindi: l’opuscolo da un punto di vista giuridico riguarda i dati ANAGRAFICI e i DOCUMENTI ed è una semplice estrinsecazione formale e documentale delle direttive sulle pari opportunità.
    ——
    L’uso della lingua non ne è coinvolto. D’altra parte il Patto promuove la diversità tra uomini e donne proprio al fine di attuare le pari opportunità.
    L’opuscolo, al contrario, parte da una constatazione legata alla realtà:
    nei luoghi di lavoro, infatti, la discriminazione DOCUMENTALE tra uomo e donna nelle ASSUNZIONI e nel vaglio dell’accesso al mercato del lavoro, ha un’incidenza altissima soprattutto tra gli stati membri (prima fra tutti l’Italia) che solo con moltissimo ritardo e grandi dispendi di tempo recepise le direttive comunitarie.
    Accedere a un’assunzione senza che il datore di lavoro sappia a quale sesso si appartenga valutando solo le caratteristiche lavorative e i meriti, dovrebbe agevolare – secondo l’UE – un incremento delle assunzioni femminili.
    L’opuscolo va inserito in questo solo contesto e non è – allo stato – che un consiglio o un invito.

  9. @ Salvo: io abolirei i titoli di studio.
    Concordo e abolirei pure i “lei” e i “voi”, ma imporrei solo il “tu”; pretenderei un linguaggio più corrente nei rapporti orali, prima che la Lega imponga l’uso del dialetto lombardo.

  10. @Renzo. Ringrazia il cielo che non c’è Gregori. Però sai, io prima di dare del tu a un tipo come te ci penserei due volte, non vorrei ti prendessi troppe confidenze.

  11. @Gergori mi aspetto che arrivi da un momento all’altro, caro Salvo.
    Ebbene, non darmi del tu. Mi accontento che ti rivolga a me come usa da te: Baciamo le mani!

  12. Rem tene, verba sequentur.
    Dovrebbe essere così.
    Invece VERBA TENE, RES SEQUETUR.
    Cioè viviamo in un mondo ammalato di parole al punto di aver perso la corrispondenza tra esse e le cose.
    Per meglio dire: inutile il politically correct se le ingiustizie permangono, se una donna viene pagata meno di un uomo, se viene licenziata perché incinta, minacciata se ha intenzione di avere figli, stuprata e condannata a non vedere mai in galera i suoi torturatori.
    Vero è che eliminare il sessismo dalla lingua potrebbe essere il primo passo per cambiare lo spirito oltre che la lettera, ma rendere la lingua artificiosa come ai tempi del fascismo – contorsionismi verbali per evitare le parole straniere, scrivere: FINORA SI è DETTO… MA SI DEVE DIRE… – , significa togliere la creatività alla lingua, la sua plasticità naturale, deviarne il corso naturale.
    Mah…

  13. Io sono per l’utilizzo casuale del vocabolario, con la scelta della prima parola che capita sotto gli occhi a seguito delle diverse aperture del volume fatte a caso. Ci provo:

    cellulosa il difatti ghironda una rimessa lus cippo e correggere imbelle manarese ber divincolamento lo bragozzo censura teosofia un pensile viaggio uno artigliato gli elettrizzante malvaceo e meristematico adagino i vauro pettine tapis roulant coni sinderese le tantochè imitabile auriga treggia zafferano monorimo la scavezzare d da

    Da parte mia ho solo sparso alcuni articoli, un paio di congiunzioni, due parole intere più una terza spezzata in tre parti (la tv mi avrà pur insegnato qualcosa).
    Nei dialoghi faccia a faccia, invece, abolirei il linguaggio articolato, troppo discriminatorio, a favore di mugolii, grugniti, gesti sconnessi.
    Un distinto saluto infine agli egregi fornai, agli eccellentissimi muratori, agli emeriti morti di fame e ai magnifici salvi.

  14. Sostengo senza riserve l’idea di Failla: la massima comprensione prima di tutto…Che il politichese sia una lingua a sé è risaputo, ma mi sembra giusto che ora venga codificata.

  15. L’argomento sarebbe serio, e ho apprezzato moltissimo l’intervento di Simona Lo Iacono. Non condivido invece la Ricciola quando asserisce che tra parole e cose non vi è relazione. La relazione c’è e le conseguenze si vedono in questi primi commenti.
    Si fa sempre confusione e mistificazione. Si procede sempre con la regola del tutto o nulla, per renderci il dibattito più facile. Anche io come Maria Giulia amo la differenza – non tanto di genere che è soggettivo, ma ciò che crea il genere e cioè il sesso. So femmina per dinci bacco! Siamo sicuri che il sesso arrivi dappertutto? Siamo sicuri che sia determinante la zinna per la mia richiesta di concorso pubblico da avvocato? Come dice Simona questo invito concerne i contesti giuridici e professionali e assolutamente no le scarpette col tacco o con i lacci.
    – Quello che mi fa arrabbiare è rendermi conto del fatto che, siccome l’unione europea ci ha di meglio di cui parlare che di Madame Bovary, ed essendo abbastanza chiaro ciò che diceva Simona, è evidente che chi presenta la questione in quel modo prende poco sul serio il problema della disparità di genere sul lavoro e nella vita civile. Che da parte di quel popò de progressisti non mi stupisce.
    – Per la domanda di Massimo: si io credo che aiuti anche se parzialmente, perchè specie in un contesto come quello nostro si ha bisogno di soluzioni concrete (a voja a chiamamme sora psicologa, co tutto il rispetto: se non mi apri un asilo, o perdo il lavoro non è che ci faccio molto) ma un po’ fa. Fa pensare cerca di ragionare sul perchè certe differenze ci siano – e certe parole per esempio non ci siano. Induce a creare nuove parole. agisce un po’ sulla mentalità.
    Voglio fare un esempio che viene dal mio contesto professionale, che mi ha fatto notare una lettrice del mio blog. Nei libri di psicologia evolutiva non si parla più della relazione tra mamma e bimbo. Ma della relazione tra mamma e “caregiver” perchè dagli anni ’80 in poi, si è cominciato a non dare più per scontato che chi fornisce le cure a un piccolo sia la famosa mamma, ma possa essere anche qualche d’un altro tipo – ir babbo.
    Eh ma nelle traduzioni italiane ci tocca mettere caregiver, perchè proprio all’italiani questa cosa nella zucca non gli ci entra. O traducono mamma, oppure copiano la parola. Davvero non c’è relazione tra termini e modi di dare spazio reale al genere?

  16. @ Leonarda Oliveri
    Grazie per il tuo commento e benvenuta a Letteratitudine (spero di rivederti ancora).
    Anche a me gli esempi di Marani e Scaraffia hanno fatto molto divertire…

  17. @ Simona
    Cara Simo, grazie per il tuo prezioso intervento chiarificatore…
    Estrapolo questo pezzo del tuo commento perché credo che possa favorire la discussione: “Accedere a un’assunzione senza che il datore di lavoro sappia a quale sesso si appartenga valutando solo le caratteristiche lavorative e i meriti, dovrebbe agevolare – secondo l’UE – un incremento delle assunzioni femminili”.
    Tu cosa ne pensi, Simo?
    Ritieni che la non precisazione del sesso di appartenenza possa effettivamente agevolare un incremento delle assunzioni femminili?
    E secondo voi?

  18. @ Gaetano Failla
    Scrivi: “cellulosa il difatti ghironda una rimessa lus cippo e correggere imbelle manarese ber divincolamento lo bragozzo censura teosofia un pensile viaggio uno artigliato gli elettrizzante malvaceo e meristematico adagino i vauro pettine tapis roulant coni sinderese le tantochè imitabile auriga treggia zafferano monorimo la scavezzare d da”

    Cos’hai bevuto, stasera?:-)

  19. A me sembra una sciocchezza. Voglio u n rapporto paritario con gli uomini. Questo è importante e irrinunciabile. Poi che mi si chiami “Signora Bagnoli, così come si chiama Renzo “Signor Montagnoli”
    poco importa. Il “Tu” è bellissimo, sempre se è reciproco. In ospedale un medico mi dette del tu. Per tutta la conversazione continuai con il “Tu”. Il medico capì e non batté ciglio. Buona serata a tutti. Franca.

  20. @ zauberei
    che ci sia una relazione fra cose e parole è un fatto stradimostrato da ogni possibile branca della linguistica, anche quelle storiche. Ma fai bene a ricordarlo, visto che molti su questi argomenti “vanno a braccio”.
    Però imporre nomenclature, titoli, nuovi termini, o qualsiasi fatto linguistico per decreto è una buffonata. Mi sa molto di politically correctness americana (qualcuno ricorda le “bombe intelligenti”, o ancora meglio i “danni collaterali” o il “fuoco amico”?)
    L’idea del politicamente corretto è buona. Anzi era buona. Poi si è visto, nei decenni, che le cose non cambiavano soltanto cambiandone il nome. Ma la moda è continuata e continua e, come ho mostrato negli esempi di cui sopra, è divenuta appannaggio anche di movimenti politici reazionari, che cambiano le parole per non cambiare la realtà. Anzi, per intortare l’uditore e convincerlo che la realtà sia già cambiata. Chi vuole e può veramente cambiare non comincia dalle parole. Altrimenti è velleitarismo, frustrazione o malafede a guidarlo.
    Ciò detto, la precisazione che l’opuscolo (di “SOLE”???!!! 16 pagine) riguardi solo i documenti interni alla macchina burocratica dell’Unione smonta a mio avviso tutta la questione.
    A presto

  21. @ Zauberei
    Il riferimento a Madame Bovary e ai testi letterari è evidentemente una divertente provocazione che va al di là dell’opuscolo redatto dal Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità del Parlamento europeo.
    L’idea del Domenicale credo sia stata la seguente: proviamo a ipotizzare una scrittura letteraria senza genere e proviamo ad applicare questa ipotesi sui testi letterari del passato. Cosa ne verrebbe fuori? Insomma, una sorta di gioco provocatorio che a me – personalmente – ha fatto molto divertire.
    Tuttavia le problematiche che ci stanno dietro non sono divertenti. E credo che le disparità ci siano ancora (come fa notare Maria Lucia nel suo commento).
    Tu poni una domanda legittima: davvero non c’è relazione tra termini e modi di dare spazio reale al genere?
    La giro agli altri…

  22. Caro Massi,
    le statitistiche dicono di sì,soprattutto nel cd “primo periodo” ossia quando la donna non è ancora madre ed è “competitiva” (dai 18 ai 30 anni). Nel secondo periodo le statistiche mettono in evidenza un affievolimento nell’aggiornamento nella donna (a causa dell’intervento della prole) e quindi meno professionalità rispetto all’uomo che invece, nella medesima fascia di riferimento, vede crescere aggiornamento, professionalità e titoli.
    Un esame delle domande di lavoro prive di genere aiuta l’assunzione della donna nel primo periodo.
    Nel secondo periodo, invece, indipendentemente dal genere, la maggiore professionalità raggiunta dall’uomo fa propendere per un incremento della domanda in suo favore.

    La mia opinione personale è che, indubbiamente, il datore di lavoro evita la donna lavoratrice per moltissime ragioni: incidenza più forte delle assenze per gravidanze , allattamento, malattie della prole e relativi oneri economici.
    L’ambiente di lavoro non consente, poi, di seguire gli infanti se non con costi esorbitanti per il nido (spesso non contemplato dagli istituti pubblici) o l’aiuto delle collaboratrici. In ultimo la normativa autorizza la donna ad astenersi per malattia dei figli solo fino al compimento del terzo anno di età.
    La maggior parte della popolazione femminile desiste, o persiste con costi personali (economici ed emotivi) molto alti.
    Un’anagrafe “lavorativa”che non prende in considerazione il sesso – anche nella seconda fascia di età – aiuta ma non esaurisce il problema, purtroppo.

  23. Cara Simo,
    grazie per il commento.
    Scrivi: “indubbiamente, il datore di lavoro evita la donna lavoratrice per moltissime ragioni: incidenza più forte delle assenze per gravidanze , allattamento, malattie della prole e relativi oneri economici”.
    Ahimé, temo sia ancora vero…

  24. @ Lorenzo Amato
    Scrivi: “Chi vuole e può veramente cambiare non comincia dalle parole. Altrimenti è velleitarismo, frustrazione o malafede a guidarlo”.
    Come ho scritto sul post l’Unione Europea ha sempre avuto a cuore il tema delle pari opportunità, anche – e soprattutto – tra i generi.
    Uno dei programmi comunitari più importanti, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, si chiama “Equal” e molte risorse finanziarie sono state spese anche per favorire la pari opportunità fra donne e uomini:
    http://www.fondosocialeuropeo.it/fse_equal.shtml

  25. Che Massimo ce lo sa che su certi temi sono sensibboli – oltre che ripetitiva. Dunque eviterò di ripetere per esteso ciò che penso del politically correct. Lo ripeto sur sintetico e cioè che secondo me giova, e in Nord America ha giovato assai, che qui ci si creda o no. Io per mio comincio a essere satolla dell’adolescenzialità del politicamente scorretto. Vojo dire pure io sporco negroooooo uffa mamma non mi fai essere libero.
    Ma dirò un altro paio di cose. Massimo: se io ritengo che un problema sia davvero serio, non indugio esclusivamente sulle barzellette. Se mi concentro solo sulle barzellette. Nè io penso che la questione sia solo una provocazione. E’ invece un sintomo tipico di un certo contesto intellettuale, dove quando si pensa alla lingua si pensa automaticamente alla letteratura. Al punto che ecco qui quello gioca colla sijora Machbeth e tu, prendi un tema che non è letterario ma essenzialmente politico e lo metti in un contesto letteralizzante. Non ti critico perchè lo fai, e tutto è buono quando fa riflettere e quindi ti sono grata. Ma appunto, fa riflettere. Perchè non c’è solo un uso letterario della lingua, ma un uso vitale e pragmatico, la codifica dei significati incide sulla nostra vita, è la nostra prassi. E le parole e le cose sono in un rapporto di circolarità: io sono d’accordo con chi allora dice che imporre mutamenti linguistici dall’alto sia una forzatura – anche se non è questo il caso – ma allo stesso tempo ritengo che agire sulla lingua con suggerimenti non sia così inutile.
    E rimango dell’avviso che chi mette la questione esclusivamente sul piano der giocherello letterario distorce le cose in un modo che non è solo ludico ma va nella direzione di un sentimento.
    reazionario.
    Dopo di che so pure contenta che giri la domanda mia:) vedemo:)

  26. simona,
    rimango sempre ammirata dalla tua capacità di centrare e definire i dibattiti, apprezzo molto la tua intelligenza, che anche qui circostanzia l’iniziativa UE.

    Il problema generale, che è dietro questo particolare, è sempre quello: gli uomini, chi più chi meno, amano le donne, ma tutti le amano un po’ meno come pari nel lavoro e in tutto quanto implichi un’affermazione dell’intelligenza. La storia di Ipazia insegna, lei è stata lapidata (la chiesa era almeno consenziente) non perché fosse adultera ma perchè era filosofa e matematica.

    Questo dell’uso delle parole è un discorso serio al quale si possono proporre soluzioni buone, o comiche, o fastidiose. Per esempio non ho mai metabolizzato “la poeta” come molti pensano si debba dire. Mentre mi piace scrivere “nota dell’autore” anche se l’autore in proposito è donna. Credo che la lingua debba tenere presente, oltre la cultura che esprime o quella che in ogni direzione intende condizionare, anche i suoni, la sua specifica musicalità. Francamente “la poeta” mi sembra che suoni malissimo.
    Del resto le lingue hanno la loro storia e le loro particolarità. L’estone, ad esempio, non ha differenze di generi, in giapponese invece, se ben ricordo, persino “io” si pronuncia in modo diverso , a seconda se a parlare sia un uomo o una donna. Le lingue sono organismi delicati. Credo che interventi drastici le oltraggino, per quanto troppe “brutte” parole, in senso estetico intendo, s’introducono chiassosamente ogni giorno nel nostro linguaggio, e non c’è modo di discuterne o contrattarne l’invasione.

  27. Sinceramente vi invidio, voi che avete tanta voglia di dibattere su una proposta che reputo semplicemente demenziale: abolire i generi in letteratura mi sembra quasi offensiva, oltre che farmi ridere se provo a pensarci.

  28. Non ho mai pensato il contrario. Ma mi sono immaginato un mutamento linguistico imposto a tutte le lingue dell’Unione anche negli ambiti quotidiani. E questo provocherebbe un effetto deleterio di rendere ridicolo il tutto, inclusi magari gli sforzi positivi che l’Unione pur starà facendo a livello pratico (immagino, in realtà non ne so nulla tranne quel che dici tu).
    Alcune lingue sono favorite, come il finlandese (del quale Diego Marani è esperto, visto che ci ha scritto su due libri, ovvero Nuova Grammatica Finlandese, e l’ultimo dei Vostiachi). Il finlandese infatti non ha generi grammaticali né naturali. L’inglese sta nel mezzo, visto che non ha i generi grammaticali, ma solo quelli naturali (i pronomi, soprattutto). Ma l’italiano? Cosa implica in italiano “eliminare i generi” dalla terminologia lavorativa? Si deve dire “deputato” anche alle donne? Oppure no? Senatori tutti? Non senatrici? Oppure è proprio distinguendo che ci si può considerare ‘femministi’? A me viene più spontaneo pensare che si rispetti di più la donna quando, in una lingua come l’italiano, nella quale i generi coinvolgono tutti gli aspetti nominali e molti di quelli verbali di ogni frase, si CREI la distinzione nominale che determini il genere del lavoratore/lavoratrice. Cioè una donna che fosse eletta alla Presidenza della Rep. Italiana per me sarebbe Presidentessa. Non sarebbe una discriminazione chiamarla ‘Presidente’?

  29. @ Piera Mattei
    Condivido quel che scrivi. Peraltro fai l’esempio dell’estone, lingua ‘sorella’ del finlandese, che citavo io. Anche l’ungherese (e il careliano, il lappone e tutte le lingue ugrofinniche) non hanno i generi. Neanche in cinese, peraltro, che lingua ugrofinnica non è.
    Per rispondere a Massimo: non mi risulta che l’assenza dei generi da queste lingue abbia mai influenzato il ruolo della donna in quelle società. Oggi la Finlandia è paese ‘femminista’, ma cento anni fa non lo era di certo. Eppure i generi non c’erano neanche allora. Peraltro la Finlandia è quel che è a imitazione della Svezia, e lo svedese invece i generi li distingue. Insomma, la relazione può anche esserci, ma a prima vista non mi pare…

  30. Cara Zau, debbo dire che non sono d’accordo con te. Spingere il politically correct a suon di decreti è un artefizio, e una gran minchiata.
    Il termine nuovo che si cerca di imporre se non si appoggia su un’idea che deve stare già alla base di chi lo usa non serve a nulla. Usare termini come non vedente, portatore di handicap, di colore (quale?) sono delle grandi prese per il culo che servono soprattutto a sciacquare la bocca di chi poi non fa nulla per abbattere barriere architettoniche o razziste. A volte il termine che dovrebbe sostituire uno che ha assunto valenza di dispregiativo diviene col tempo uno spregiativo esso stesso. Conosco negri che oggi preferiscono identificarsi con il vecchio termine “negro” piuttosto che con “nero” o “di colore”. Poi si finisce come il povero barzellettiere di palazzo Chigi che non sapendo più che pesci prendere chiama Obama “abbronzato”. Poveretto! Ma lo capisco.
    Io credo solo nei cambiamenti che vengono dal basso, non in quelli che si cerca di calare dall’alto, che vengono prima o poi a puzzare di insincero.
    E questo soprattutto nella lingua: le parole non vengono mai prima delle idee, del sentire, del condividere. Le parole nuove nascono solo quando quelle vecchie non significano più nulla.

  31. Per il momento devo chiudere qui.
    Ringrazio Zauberei, Piera Mattei, Giuse, Lorenzo Amato, Carlo S. per i nuovi commenti.
    Ci mediterò sopra e tornerò a intervenire domani sera.
    (Interessante il confronto tra Zaub, Lorenzo e Carlo).

    Auguro a tutti voi una serena notte.

  32. Trovo tutto ciò piuttosto ridicolo, in una società che è sessista fino al midollo, più di quanto non lo fosse vent’anni fa e nella quale recitare un ruolo adatto al sesso è quasi la prassi. Molta pessima narrativa gioca intorno a ruoli triti e ritriti che d’altra parte anche le riviste propongono, per non parlare della tv. Eliminare il genere vorrebbe dire far morire di fame tanti scrittori:-))) che su tali differenze esibite in modo geometricamente sfasato campano e l’usare termini neutri sarebbe ridicolo, come molti cambiamenti del vocabolario di questi ultimi decenni. L’operatore ecologico è restato uno spazzino; l’operatore scolastico fa sempre il bidello e le… operatrici erotiche ambulanti, nel caso fossero così chiamate, saranno sempre delle battone. Così un uomo sarà ( per fortuna) diverso da una donna e le zitelle resteranno tali ( e guai a chi mi chiami signora! Se lo si fa, che sia Signora inteso non come appendice di qualcuno! :-)))

  33. Ma stiamo scherzando?
    Rendere “neutri” anche solo i documenti di lavoro interni all’UE non soltanto è inutile, ma decisamente ridicolo.
    Guardatevi intorno. Stiamo andando incontro a una società di donne maschilizzate e di uomini effemminati.
    Non mi piace per niente.E lo dico da donna.
    Ci mancava solo l’epurazione documentale.

  34. @Massimo: il discorso del dialetto sarebbe troppo ampio da affrontare con un semplice intervento. Ci sono dei pro e dei contro, ma personalmente sono dell’idea che il dialetto non debba essere abbandonato, proprio per non cancellare tradizioni e storia di una comunità.

  35. Il mio timore è che l’invito della UE divenga nel tempo normale prassi all’interno del parlamento europeo, quindi da prassi passi a legge e da legge si estenda alla vita quotidiana degli stati membri. Nell’evoluzione pretestuosa ed apocalittica della mia visione si finirebbe per combattere il problema dalla parte sbagliata, come i politici usano spesso fare, castrando radici e tradizioni linguistiche a cui io, personalmente, non sono disposto a rinunciare. Inoltre gli esempi che ho letto in questo post sullo sviluppo del linguaggio del politically correct rafforzano maggiormente la mia idea sulla scarsa utilità dell’invito UE.
    Preferisco di gran lunga l’azione concreta atta a mutare la soverchiante mentalità discriminatoria di oggigiorno piuttosto che agire sui cavilli della lingua. Che ci lascino almeno quella, l’ultima nostra libertà.

  36. Sono d’accordo con Jean. Anche a me sembra un segnale molto discutibile questo lanciato dall’Ue.
    Ed aggiungo: che nessuno provi a sottrarre il Madame alla signora Bovary!!!! 🙂

  37. Cosa ne pensate?
    Tutto il male possibile. Trovo insopportabile questa “guerra”, insopportabile e ridicola.

  38. ops aggiungo che ‘i libri già scritti’ non devono essere toccati neanche per cambiare una virgola!!!!ci mancherebbe solo questa!

  39. … ridicolo?
    Anche perchè non esistono “pari opportunità”. E’ la natura stessa ad impedirlo. Esistono “differenti opportunità” che ciascuno dovrebbe esser libero di sviluppare senza impedimenti.

    Ad esempio, mi risulta che la marina americana preferisca, per i sommergibili, equipaggi femminili, in quanto, per loro natura, il corpo femminile consuma meno ossigeno.

    Mentre non vedo molte donne interessate alla carriera di minatore o operaio di fonderia…

    Ricordo un’analoga idiozia proveniente dal governo svedese. Credo fosse il 2001. Volevano abolire gli orinali “verticali” nelle scuole e chiedevano ai maestri di insegnare anche ai maschi a “farla stando seduti” per non far sentire discriminate le compagne…

    Ma continuiamo pure, stringiamo, costringiamo, pieghiamo la natura umana.
    Poi chiediamoci perchè, come negli Stati Uniti, anche qui da noi ogni tanto ci sia qualcuno che si alza una mattina e spara sulla folla.

  40. Telegrafica: ma che biblica cazzata!! Con tante cose importanti a cui pensare davvero, ’sti quattro deficienti non hanno niente di meglio da fare? Grande Simonoir! Concordo e sottoscrivo.

  41. A me pare un’iniziativa civile e moderna volta non a “rendere tutti uguali” ma a ridurre le discriminazioni. Rimango un po’ perplesso dalle perplessità femminili che ho letto qui sopra.

  42. Trattano la lingua come la natura: un oggetto da amministrare secondo le loro velleità ideologiche. E invece alla natura apparteniamo, nella Lingua abitiamo ed essa ci rivela a noi stessi. Dio ci liberi da questi progressisti, peggio delle cavallette. Umanità minima, pensiero debole.

  43. Mi pare di capire che queste direttive hanno suscitato le critiche di un gruppo di eurodeputate italiane. Viene da pensare che noi donne italiche siamo ancora un po’ troppo legate all’antico retaggio che scinde l’esser signora dall’esser signorina. Del resto l’Italia è un paese di Mamme e Angeli del focolare. Lo sanno tutti.

  44. Carlo essaccio:)))
    Ce lo so che te sei allergico alla correttezza politica! Sei un bruttone:)
    PPP
    Invece guarda – la adoro persino per la sua presunta inefficacia – perchè essa è una specie di muro bianco contro cui risaltano meglio certi pensieri rispetto alla proteiforme variegata e ampiamente paracula scorrettezza politica. Tipo alla tivvù che il trend dei comici di sinistra è adesso prendere per il culo quelli di destra facendo le battute triviali di quelli di destra. Ma di cosa si ride della grettezza o della battuta? Con la correttezza politica passi per deficente, ma te ne puoi fottere, e lo sfondo risalta agevolemte. Certe cose nun se dicono eppunto. Nel momento in cui sono dette sono lesive. L’intenzione ficnhè non è atto tutto sommato sono cazzi tui. Tra un razzista silenzioso che non combina niente di male perchè ipocritamente tace. E un politicamente scorretto che lui è di sinistra e allora dice tanto umoristicamente donna schiava a letto e chiava, sotto il profilo concreto mi interessa di più la serie dei comportamenti visibili. Se il fascisto si tace mejo er fascisto.
    Anche perchè ecco – con un dibattito così arriva sempre quello che dice, ma no SICCOME la differenza c’è E’ OVVIO che si rispecchi nelle possibilità professionali – come sostanzialmente scrive l’abbacinante Marco R. Capelli.

  45. Zauberei, le differenze ci sono e le rivendico. Non devono esserci nelle possibilità professionali. Assolutamente no. Però noto troppe “uome” in giro. L’obiettivo deve essere rimanere donne senza rinunciare alle pari opportunità. In tal senso non credo che questo opuscolo possa aiutare in maniera significativa.

  46. Frastornata come altri che sono passati da qui, ritengo che sia operazione inutile, pericolosa e irreversibile l’abolizione del genere dalle lingue, quando la vita si sostanzia su argomenti e ambiti più “concreti”, in cui combattere il sessismo è cosa ben più ardua di farsi chiamare dottore piuttosto che dottoressa. Un bacio al padrone di casa (e anche a Zaub, a Carlo, a Laura, a Simona, a Cristina, a Salvo…e insomma…a tutti gli amichetti miei)

  47. Marisa R.
    Le differenze ci sono e le rivendico anche io, e anche io ritengo non debbano esserci nei contesti professionali.
    “Debbano”. Appunto.
    “Però noto troppe uome in giro”. Ecco questo io già lo contesto. Che cosa è da uoma e cosa no? Io forse non sono uoma perchè metto le scarpette colla punta tonda, e sono regolarmente maritata? oppure rischio di essere categorizzata uoma perchè guardo negli occhi gli uomini quando ci parlo? E magari dico anche “cazzo”? oppure no sono donna, perchè si sa le donne sono tutte passione e sentimento e dicono cazzi ogni due per tre mentre l’omo si sa è trascendenza? Oppure posso essere aggressiva solo a seconda dei contesti per esempio in fatto di corna so femmina in fatto di governo no – perchè è cosa da maschi? E ancora, quand’anche ci fosse una metafisica del maschile e del femminile – cosa su cui c’è bibliografia sterminata dunque la questione non è proprio di così facile soluzione – qual’è il problema della eventuale troppezza? troppe per chi? per te? per loro? Diamo per scontato che ste famose uome so sfigate?
    Invece l’artre so contente.
    Se prescrivi una relazione tra sesso e univoca interpretazione di genere, poi non ti puoi arrabbiare perchè la società codifica questo tuo desiderio – creando così discriminazioni. vuoi fare la maestra dalla penna rossa ma l’ingegnere mon dieu no? Ottimo – tutto il mio rispetto – (paradossalmente potrebbe essere il mio caso) ma giuridicamente ed eticamente – parla pe’ te.

    Ecco a cosa serve la riflessione sulla correttezza politica e le eventuali esortazioni che possono venire dall’alto, a stanare le posizioni delle diverse mentalità. La scorrettezza politica nun je la fa. Esiste come negazione. del giusto – ma di per se non avanza valori – se non disvalori.
    Un saluto alla Silvissima Leonarda:)))

  48. No, Zauberei. Una donna che dice parolacce non è “uoma”. Al limite può essere considerata una persona volgare, né più né meno di un uomo. Quello che intendevo dire è altro, ma adesso vado di fretta. proverò a scrivere di nuovo stasera.

  49. Cara Zauberei,
    l’ho detto e lo ridico: oramai il politicamente corretto è diventato il rifugio dei reazionari. Chi cambia le parole spesso non cambia la sostanza. Non dico sia questo il caso specifico, ma oramai in genere è così.
    Voglio anche tirar di nuovo fuori i termini di prima: chi dice “danno collaterale” intende dire “c’erano due presunti terroristi quindi insieme a loro ho arrostito dieci negri del cazzo (o arabi, musi gialli, o islamici, o qualsiasi altra cosa sia stata inventata dal pentagono e dalla gloriosa cultura di destra negli ultimi decenni)”. Ecco, fra le varie opzioni, preferisco che uno dica le cose male ma le faccia bene, che non viceversa.
    Se invece di dire “negro” dici “di colore” ma poi voti leggi che rendono la vita impossibile agli immigrati ONESTI, allora sei razzista. Se dici “negro”, magari per scherzo, ma a quelle leggi ti opponi, cosa sei? Non lo so, ma certamente qualcosa di meglio del primo caso.
    Se poi alle donne piace l’eliminazione sistematica dei riferimenti sessuali nei titoli lavorativi, e poi votano per chi mette al Ministero delle Pari Opportunità una donna che, come tutti sanno, è arrivata lì con la bocca, allora hanno le idee molto confuse. Ecco, le italiane indubbiamente hanno le idee più confuse di molte ‘colleghe’ europee, questo sì. Ma non è certamente l’opposizione al mutamento linguistico il sintomo della confusione, ma il modello di donna che le tv ci propinano tutti i giorni: madre e/o santa (le nostre sitcom e serie tv italiane, le più patetiche del mondo), o puttana (le veline, letterine, calendariste, spogliarelliste, marchettare, incarnate nel loro successo sociale e morale dalle nostre attuali ministre).
    Vi assicuro che in qualsiasi altro paese europeo tutto ciò sarebbe inconcepibile. Anche in quelli che, come la Francia, hanno lingue declinate al maschile e al femminile, come la nostra…

  50. Mi piacerebbe leggere l’opuscolo. Sapete dirmi dove posso trovarlo?
    A me, a pelle, non pare una cosa così assurda.

  51. Allora le assunzioni vengono fatte per caratteristiche lavorative e meriti?! Io ero rimasta alle raccomandazioni e ad altri espedienti. Ogni giorno si impara qualcosa. Dunque togliendo il genere di appartenenza automaticamente si cancelleranno anche i raccomandati?
    Forse questo è un problema solo italiano. Però, in effetti, come dice Simona, il problema è anche legato all’età. Se una donna giovane trova lavoro con pochi problemi, una più matura e con famiglia è veramente messa male. Così le cose si complicano, non solo il genere ma pure l’età. E’ veramente un discorso difficile. Si torna sempre al solito punto, se vogliamo che le donne possano continuare a lavorare anche dopo aver figli, è importante trovare il modo di permettere loro di crescere i propri figli senza difficoltà. Così non sarebbe più necessario far finta che non siano donne, togliendo il genere nei documenti. La sostanza è sempre la stessa, che mi chiamino dottoressa, dottore o Barbie, quello che conta è che mi paghino le visite.
    Mi hanno restituito il computer, finalmente. Ciao a tutti

  52. Interessante e animata la discussione sui generi, come se qualcuno temesse di perdere un valore conquistato, uguale se ne avesse diritto o no.
    Fino a quando la realtà non ci offrirà un’altra soluzione, ritengo il provvedimento inutile.
    Credo che dovremmo sostenere con più serietà e forza d’adempimento l’educazione del maschio e delle femmine al rispetto reciproco. Che cosa sarebbe un maschio senza la sua femmina e così viceversa?
    La teoria del vivere insieme in armonia viene offesa giornalmente, quando per esempio un gruppo di maschi, ritrovandosi in una discussione e dopo aver esaurito i riferimenti verso lo sport, automaticamente parlano delle donne in forma disprezzante come se esistessero solo al loro servizio e le loro conquiste, più sono meglio è, fossero dovute unicamente ai loro pregi fisici, valutati solamente sulla potenza che ritengono elevata.
    Sappiamo poi che in realtà raramente un maschio riesce a soddisfare veramente i bisogni fisici della donna, la quale poi si consola nell’inebriarsi d’affetto verso il suo maschietto, debole per natura.
    Lo stesso vale per le giovani donzelle, quando in gruppo rivolgono prelibatamente il loro tema sulla grossezza e durezza del pene.
    I conflitti sono quindi programmati, quando non sia l’amore e il rispetto a definirli e mantenerli.
    Togliere, ora, la loro distinzione suona come un risolvere un problema che andrebbe risolto con una migliore educazione, senso di responsabilità e quindi cultura.
    Sarebbe meglio inventare un terzo genere, con il quale definire le mansioni lavorative, di modo che si finisca finalmente con le discriminazioni che colpiscono ancora maggiormente le donne.
    Ritengo che i problemi esistenti non siano risolvibili nel sistema economico attuale, dove il profitto decide su un’assunzione o meno di una donna, di un disabile, di un anziano ancora volenteroso di lavorare.
    Di questo, non si parla, e quindi il problema rimarrà irrisolto e ogni nuovo provvedimento preso non servirà ad altro che camuffare una necessità di primo ordine, sostituendola con un’altra superflua e lasciar così passare il tempo deviando per un momento l’attenzione dai discriminati.
    Saluti
    Lorenzo

  53. – intanto viva gli uomini approvatori donne con punte tonde ma sboccate nell’eloquio! 🙂
    – Marisa R. Qualunque cosa tu dica poi però la devi giustificare come meta – come assoluto. E devi giustificare anche la necessità del quantum delle troppe insomma. La parolaccia era naturalmente un esempio piuttosto spicciolo. non riesco a immaginare un esempio che non sia spicciolo, se non sessista. Sono curiosa.
    – Amato Lorenzo Amato:)
    Alcune cose
    1. se uso una parola che cazzo la uso a fare? Se c’è nero – perchè devo dire negro? sono due parole che hanno lo stesso oggetto ma una nel lingiaggio corrente ha addosso un sapore dispregiativo – se la scegli ti scegli anche questo tono. Sei sei nel mondo e nella lingua e non hai tredici anni, e io Dio bbono non sono la tua mamma, sii bravo e usa la lingua con cognizione di causa. Ma infatti di solito lo fai. (non te de persona, mi capisci spero dico te generico) Lassa perde che di solito la troppa disinvoltura rinvia a cose poco carine.
    2. Possiamo considerare le forme di razzismo come oggetti di diversa grandezza e occasionalmente correlabili. Non mi pare una trovata particolarmente sconvolgente considerare l’uso della parola negro meno grave del fatto che qualcuno pista di botte uno perchè nero. Non ci vuole molto. Tuttavia non è raro il caso in cui si può scegliere di frequentare tra uno che parla di negri, uno che pista i negri di cui parla, e uno che poraccio non fa nè l’una nè l’altra cosa, ma una delle due la farebbe volentieri, e altri che in buona fede e senza eccesso di sforzi non usano una terminoilogia offensiva nè malmenano qualcuno. Io frequento questo ultimo genere di persone. Dagli altri mi discosto – seppur con lontananze diverse. O con diversi gradi di sputo.

  54. io dico che ogni iniziativa finalizzata a perseguire l’obiettivo delle pari opportunità merita di essere sostenuta. se una correzione linguistica va in questa direzione, sono d’accordo. però non sono molto convinta degli effetti.

  55. Come al solito quando si parla di “genere” in Italia si scatenano reazioni isteriche da parte soprattutto dei maschi. Gli interventi di Marani e Scaraffia sono inutili. Perché abbiamo fatto parlare due uomini e non due donne? E poi basta guardare al pensiero femminista e alle diverse correnti per comprendere che, anche se le istituzioni remano contro, è già in atto da parte della cultura femminista un tentativo di “abituare” il così detto sesso forte (o per meglio dire il “sesso prepotente” cioè gli uomini) ad utilizzare anche il femminile e o il doppio linguaggio (maschile/femminile). Trovo poi l’intervento del signor Marani che, al giorno d’oggi, ha ancora bisogno di riferirsi alle donne parlando di “Tardone” o “zitelle” sia segno di un maschilismo e di un pensiero fallocentrico e fallocratico ancora troppo presente nell’incultura machista.
    Marino Buzzi

  56. Provo a tirare un po’ le fila della discussione per come si è svolta finora.
    In una prima fase ho notato una sorta di schieramento… “di genere”. Quasi una sorta di contrapposizione tra pensiero “maschile” e “femminile”.
    Poi le opinioni si sono incrociate e mescolate, a prescindere dal genere di appartenenza.
    Parafrasando quella specie di slogan provocatorio che ho scritto sull’immagine in alto, mi verrebbe da dire: no gender in the opinions.

  57. Evidenzio questa frase di Letizia Sondrio: Mi pare di capire che queste direttive hanno suscitato le critiche di un gruppo di eurodeputate italiane. Viene da pensare che noi donne italiche siamo ancora un po’ troppo legate all’antico retaggio che scinde l’esser signora dall’esser signorina.

    E quest’altra di Lorenzo Amato: le italiane indubbiamente hanno le idee più confuse di molte ‘colleghe’ europee, questo sì. Ma non è certamente l’opposizione al mutamento linguistico il sintomo della confusione, ma il modello di donna che le tv ci propinano tutti i giorni.

    Cosa ne pensate?

  58. per Zauberei,

    mi pare che tu dica una cosa semplice, cioè che è meglio non usare parole offensive nei confronti di persone o minoranze (o maggioranze, o comunque gruppi ‘altri’). Ma vedi quel che mi fa solennemente incazzare del politicamente corretto è proprio la trasformazione di termini neutri in termini offensivi. Ci sono decine di esempi del genere. Quello più divertente me lo ha offerto mia cugina americana, ovvero mezza americana mezza cinese. Parole sue: prima non era un problema che le si dicesse che lei era ‘oriental’ (in quanto cinese). Ora invece è diventato offensivo, quindi si offende anche lei. Perché dire a un cinese che è ‘orientale’ è offensivo? Mah, chi lo sa. È come dire a un italiano che è meridionale, e nel contesto europeo è verissimo. O che uno svedese è settentrionale (o nordico). Sono generalizzazioni che hanno la loro utilità. Ma… attenzione, arriva qualche genio della linguistica ideologica, che cambia le parole, e tadaaah, il termine neutro diventa offensivo. Con il risultato (ridicolissimo) che la cosa si riflette in italiano, contesto linguistico diversissimo. Es. mia zia (americana) che si arrabbia perché parlando di ‘nativi americani’ li ho chiamati en passant ‘indiani di America’ (in italiano). E questo mentre elogiavo affascinato la loro cultura. La zia in questione non sapeva di cosa stavo parlando. Ha captato “indiani” e si è arrabbiata. Salvo poi arrabbiarsi in altra occasione quando mia sorella parlava di … indiani d’India!
    Ma insomma, signore e signori, lasciateci parlare! Che idea di lingua avete se pensate che tutto si riduca al lessico? Non conta nulla ciò che le persone esprimono con la lingua, ma solo il come? Ho conosciuto troppe persone educate e perbenino e politicamente corrette per sapere che la parolina bella, la locuzione apparentemente non offensiva, nascondo l’ipocrisia più marcia, e l’ipocrisia nasconde il razzismo e l’odio, quello vero, quello più pericoloso, quello che si nasconde e cova, e con altre belle paroline giustifica il male peggiore. No, per me la merda è merda. Si chiama così, io la chiamo così, e se volete usare altri termini fatelo, ma non imponetemi patetici eufemismi.

    Infine. Questi ‘eufemismi’ sono disdicevoli in generale, ma nel nostro caso parliamo di mutamenti linguistici profondi. E chi li deciderebbe e normatizzerebbe? Il parlamento o la commissione europea? Cioè una commissione extraitaliana? Assurdo. Se gli strapagati parlamentari europei vorranno adeguarsi, problemi loro. Ma un qualcosa del genere applicato a tutta la burocrazia italiana provocherebbe un contraccolpo culturale antieuropeo, magari strisciante (battutine, ironie) ma grave e di lunga durata. E giustificherebbe tutti quelli che dicono che lassù non hanno veramente nulla da fare…

  59. In relazione all’oggetto del post:
    “seghe mentali, di tipico taglio anglosassone”

    Scusate se sono stato prolisso.

    Ciao

  60. Ho letto tutti i commenti. Ci sono opinioni opposte. Personalmente, mi sento più confusa di prima.E non so che pensare. Però fa riflettere il fatto che una questione apparentemente banale faccia discutere così tanto e con opinioni così diverse.

  61. trovo l’argomento in sè e l’iniziativa ue piuttosto noiosi e inutili. gli articoli di marani e scaraffia, invece, mi sono parsi ironici e intelligenti.

  62. Perseo ha scritto: *Come al solito quando si parla di “genere” in Italia si scatenano reazioni isteriche da parte soprattutto dei maschi. Gli interventi di Marani e Scaraffia sono inutili. Perché abbiamo fatto parlare due uomini e non due donne?*
    commento Giovedì, 16 Aprile 2009 alle 11:11 pm
    *****************
    Caro Perseo, queste tue frasi polemiche mi fanno un po’ sorridere. Sull’argomento ne ha parlato anche una giornalista (Alessia Grossi) su L’Unità: l’unico quotidiano italiano ad essere condotto, guarda un po’, da una donna.
    Copio l’art. nel prossimo post.

  63. La direttrice (o il direttore?) dell’Unità è Concita De Gregorio.
    *************
    *************
    Al Parlamento europeo non c’è più una «Signorina»
    di Alessia Grossi
    Imprenditori e non uomini d’affari. Magistratura e non i magistrati. Personale di volo e non gli assistenti di volo. E ancora diritti umani e non diritti dell’uomo. In un pampleth di 15 pagine il «Gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità» del Parlamento Europeo ha dispiegato la propria proposta per un «linguaggio neutro» e non sessista. In breve, con l’opuscolo il Parlamento europeo arruola il politicamente corretto per la lotta alle disuguaglianze di genere, da applicare con i dovuti riguardi soprattutto alle traduzioni e alle redazioni di atti legislativi. Via perciò tutti quei vocaboli ed espressioni di uso comune declinati al maschile e pertanto riferiti soltanto ad un genere, quello maschile. Niente più signora o signorina, Madame, Frau, Fraulein, Mrs e Miss. Quando ci si rivolge ad una collega, inutile fare riferimento al suo stato civile, è sufficiente scrivere per intero nome e cognome della persona in questione.

    Secondo. Se il linguaggio è neutro, meglio eliminare tutti i suffissi quali “man”, per l’inglese, ad esempio, che mettono di mezzo l’uomo. È così che al posto di «sportsman» gli inglese scriveranno «athletes». Terzo le professioni e le funzioni. In molte lingue dell’Unione il sostantivo maschile ha incluso anche quello femminile per anni, finché non si arrivati a creare equivalenti femminili, vedi ad esempio «Cancelliera» o «(la) Presidente». Via questi termini, restano quelli maschili, con valenza neutra, declinando al maschile o al femminile l’articolo a piacimento. Insomma, si consiglia di scrivere «presidente», che sia riferito ad una donna o ad un uomo, purché sia una scelta stilistica e si utilizzi con coerenza sempre la stessa denominazione.

    Fuori moda, pesante e da evitare anche la duplicazione del soggetto. Esempio, non più «le cittadine e i cittadini», o «i lavoratori e le lavoratrici». Troppo pesante ed artificiosa questa forma come quella dell’alternativa presente in più documenti come: «lui/lei», «egli/ella» e via dicendo. E ancora. Sono da preferire le forme passive, ma con cautela, anche queste possono dare adito a «poco corrette» ambiguità. Questa però è solo una sintesi della richiesta del Parlamento Europeo, le quindici pagine dell’opuscolo approfondiscono ancora meglio il politicamente corretto «linguaggio neutro». Non ultime le pagine dei “distinguo” da lingua a lingua, essenziale per i traduttori che altrimenti potrebbero rischiare di tradire il testo in nome del tatto.
    25 marzo 2009
    http://www.unita.it/news/83318/al_parlamento_europeo_non_c_pi_una_signorina

  64. Concordo con te, Zauberei, ma forse non mi sono spiegata.
    Per me la relazione parole/realtà è fondamentale. Quando questo nesso inscindibile si perde iniziano i problemi, perché si crea una sorta di schizofrenia (sora psicologa, tu doces!).
    Catone ed altri erano fautori del “rem tene, verba sequentur”= quando hai il concetto, la cosa, le parole verranno, proprio per non fare dell’eloquio uno sfoggio vano di parole ed invece far sì che aderissero alla realtà.
    Un altro stile oratorio era quello, per intenderci, politichese o tuttofumonientearrosto: verba tene, res sequetur= tu intanto parla, sii padrone della retorica, getta fumo negli occhi, la realtà andrà da sé.
    Mentre invece la vita e il pensiero ci richiedono una corrispondenza forte tra parole e cose. Pirandello ad esempio distingueva scrittori di cose e scrittori di parole, per polemizzare contro certa poesia e narrativa vacua perché troppo attenta allo stile anziché alle cose da dire.
    Tutta questa pappardella per dire che concordo con questa direttiva purché si traduca in attenzione concreta verso le problematiche di genere e non sia la solita montagna che partorisce topolini…

  65. Invito tutt* a leggere il libro “Le prospettive di genere” a cura di Raffaella Baccolini edito dalla Bonomia university Press. Il discorso sul “genere” anche nella letteratura e nella quotidianità è molto più complesso di quello che si vuol far credere. I due articoli sopra citati lo hanno sminuito in maniera volgare e maschilista e mi dispiace che nessun* (a parte alcune amiche femministe e Luciana Tufani della Tufani edizioni) abbia preso posizioni. Le opinioni possono anche essere discordanti ma un problema esiste a tutti i livelli anche linguistico. Peccato che in Italia non si investa su queste tematiche che vengono considerate da troppe persone come inutili o come uno spreco di tempo. Nessuno mira a mutare capolavori della letteratura, è solo una questione di opportunità e di correttezza. Se poi in questo paese si continua a pensare con una mente “maschile” non prendiamocela con l’Unione Eurpea.

  66. Secondo me si sta un po’ divagando. Se ho capito bene l’oggetto del post è finalizzato a interrogarsi se questi indirizzi dell’Unione europea e l’opuscolo del gruppo di esperti favorisca il rispetto delle pari opportunità oppure no.

  67. @ Massimo, se vogliamo parlare seriamente, sarebbe l’ora che il nostro impegno lavorativo, qualunque sia, potesse essere valutato per i reali meriti e non per il sesso al quale apparteniamo.
    L’uguaglianza però, mi sembra una vera utopia, poiché per realizzarla giocano troppi elementi cotrastanti.
    Ho trovato gli articoli di Diego Marani e Giuseppe Scaraffia ironici ed esileranti, che altro si potrebbe dire di tale ennesima trovata?
    Non mi allieta affatto il pensiero di essere considerata – neutro -, mi sentirei un essere amorfo.
    Per dirla con Diego Marani e analizzando la mia natura squisitamente burlona, preferisco il termine giusto di tardona.” E lasciatemi divertire”..
    Mi scuso se sono irriverente. Si miei carissimi, mi sento una tardoncella scherzosa! Vi saluto con l’artrosica manina..
    La Tessy impertinente

  68. Non ho letto tutti i commenti, ma in generale mi sembra una buona idea quella di “ripulire” il linguaggio, in un certo senso. Perché comunque a me pare giusto che l'”evoluzione” dei tempi comporti anche questo cambiamento linguistico. Faccio un esempio: se in Italia si abolisse l’uso così frquente del “dott” eccetera e si parlasse soltanto, come si fa in Francia, di “Madame” e di “Monsieur”, si dimostrerebbe in questo modo che è possibile una “liberazione” dai “titoli”. Io non posso andare in un ufficio, per esempio, e chiedere del signor X, perché la segretaria dell’ufficio in questione è possibile che mi corregga e mi dica: “Forse voleva dire il Dottor X?”- “Sì, va bene, mi scusi, volevo dire il Dottor X”- Ma perché devo scusarmi? Non offendo nessuno se anziché “dott” dico il “Sig”. Boh, non capisco. Sostanzialmente non gli/ le manco di rispetto.
    Sul genere sono d’accordo, ma forse ci si confonderebbe, non so. In ogni caso, l’innovazione linguistica potrebbe essere la manifestazione “formale” di una “sostanziale” trasformazione; quindi positiva.
    permangono molti dubbi, ma non scarterei la possibilità.

  69. Leggendo il commento di Roby mi viene in mente un bellissimo racconto di Achille Campanile nel quale un signore sveglia nel cuore della notte il direttore di un grande albergo, gli mostra il biglietto da visita che conteneva antecedente al suo nome tutta una serie di titoli abbreviati: Cav. Avv. Ing…ecc ecc Antonio Martinetti”. Il direttore scatta sull’attenti di fronte a tante alte cariche ma quando scopre che Avv. stava per avventizio, Cav. per cavolfiore ecc ecc. e il tizio in questione cercava solo lavoro, lo caccia via in malo modo. Una metafora molto significativa per dire che i titoli contano molto in questa società.

    @Tessy. Cara tardona, come stai?

  70. @Martina, annaspo annaspo nella mente, per ricordarmi invano chi tu sia,
    amica mia, beccati allora un tenero buffetto..impertinente!
    @Salvo, sto benino, ( si fa per dire…) pare che Lassù ancora non vogliano
    assumermi, nemmeno come co.co.co e quindi da arzilla tardona staziono
    nella scomoda poltrona! ” e scrivo scrivo e ho tante altre virtù “.
    Ciao simpaticone
    Tessy

  71. ILorenzo Amato – hai ragione sugli estremismi del politically correct – ma mi chiedo se il problema sia il poltically correct o li cretini.
    In vertìtà la questione è un’altra ed è penso questa. La lingua rispecchia la società e le parole vestono dei colori che la società indossa, i sentimenti che un contesto culturale prova. I contesti culturali producono gerarchie e queste gerarchie si traducono in nomi. I nomi risentono perciò di tutte queste cose. Il problema è come agire su questa tendenza collettiva a gestire le differenze in gerarchie di valore.
    Cioè. Prima si usava dire con vivo disprezzo, “mongoloide” al punto che mongoloide (parola in effetti di allucinante rozzezza” ha sintetizzato addosso a se una discriminazione immediata. Allora si passa ad handicapppati. Ma la gente non migliora e dopo poco comincia a usare la parola handicappati con disprezzo al che la parola muta semanticamente. Allora si passa a portatori di handicap e via di seguito. Il politicamente corretto da solo non potraà mai correggere questa cosa, almeno non sempre – anche se su certe cose è stato in grado di apportare modifiche importanti in altri contesti – ma naturalmente l’intervento deve partire da altrove. Dal basso dell’origine semantica. Eppure rimane per me uno schermo di fondo utile – sull’abuso poi che se ne fa per carenza etica o carenza sinaptica posso anche concordare. Ma non posso certo parlare male del gelato al cioccolato perchè in molte gelaterie lo fanno male. Farebbero male probabilmente anche altre cose.

    . Massimo è una vita ch io sostengo questa cosa che tu rilevi anche in questo piccolo esperimento di sociologia internettesca: il conflitto non è mai tra maschi e femmine. Ma tra due culture. Con poi diversi versanti e sfumature scivolamenti nelle estreme o nel centro. Ma non è mai stata una questione di genere. Può esserlo stato in un certo momento storico in cui un certo gruppo di donne e solo quel gruppo ha avanzato delle discussioni, ma in linea di massima è questione di gruppi sociali, modi di vivere, costellazioni di valori.

    Forse il punto saliente di questo post è: come amministrare la differenza? come tutelarla senza cadere nel sottile e onnipresente tranello della gerarchia? Quando possiamo essere sicuri che l’esplicitazione della differenza sia una sua protezione? Per questo mi piaceva l’intervento di Simona: riportava in concreto una differenza di livelli. Stabiliva dove non dire equivale a proteggere.
    In America quando si presenta presso un comitato scientifico un articolo – che sia di psicopatologia evolutiva, che sia di sotoriografia medioevale – l’autore è ignoto alla commissione. E’ così importante che l’identità – il sesso il cognome la geografia – arrivi al comitato scientifico? E’ la nostra identità qualcosa che deve arrivare ovunque? Anche su cose che potrebbero essere contro di noi? O anche troppo per noi? Cosa c’è di risibile in un documento che azzera il dato sensibile per favorire il dato intellettuale?

  72. Isabella, grazie per l’articolo.
    Tessy, sei fantastica.
    Zauberei, trovo questo tuo ultimo commento particolarmente interessante.
    Data l’ora tarda rimando ulteriori considerazioni a domani:-)

  73. @ Salvo
    è così anche in Austria. Chi non ha titolo, vale poco o niente.
    Conoscevo un signore con un nome brevissimo “Schauer” Come capo di una sezione della camera dell’artigianato, alla quale appartenevo anch’io, impiegavo tanto tempo di lettura per leggere le due righe contenente i suoi svariati titoli antecedenti il suo brevissimo nomuccio sul cartellino appeso davanti alla porta del suo ufficio.
    Sono anch’io dell’opinione, che i titoli sono una conquista che andrebbe dimostrata sempre di nuovo, quindi meglio non fregiarsi di loro, anche per non far poi brutta figura.
    Leggerti è un piacere e lo faccio sempre.
    Un saluto
    Lorenzo

  74. @ Zauberei
    come concordo assai, con il tuo intervento!
    Di certo è questione di cultura e sensibilità, nonché di serietà e onestà, come lo è d’altronde dappertutto. Ma i loro opposti sono ebbene la presuntuosità, vanità ed egocetricità, senza i quali non riusciamo a distinguere tra di loro e farcene un’opinione.
    Un caro saluto
    Lorenzo

  75. @ Tessy
    sei una persona da ammirare, per la tua dolcezza, umiltà, fede nel bene e soddisfazione, pur trovandoti in uno stato dove chiunque altro imprecherebbe la sua sorte.
    Lassù non ti vorranno ancora, per essere d’esempio a tutti noi, sul come conservare sempre serenità e gratitudine.
    Dimentichi i tuoi acciacchi, riversandoti nel tuo spirito che brilla di lucidità e vitalità a disprezzo del tuo corpo che già lo invidia.
    Un caro saluto
    Lorenzo

  76. @ Robertina
    la riforma linguistica dovrebbe essere l’ultimo passo da fare e credo addirittura che non creerebbe tanto stupore e avversioni se fosse dettata da una mentalità già mutata nel giusto senso.
    Con i titoli di studio o altri sono d’accordo con te, si dovrebbero tenere nel cassetto dei ricordi, di un tempo trascorso in un istituto o università o ovunque oggi i giovani vengano mandati ad arricchirsi di teorie, utili per l’esercizio di una professione ma mai per essere educati e coscienziosi del proprio agire.
    Un caro saluto
    Lorenzo

  77. Grazie, Lorenzo.
    Qui la discussione continua (se volete).
    Ho ricevuto dei contributi via email che spero di inserire in tarda serata o domani.
    Buon sabato sera a tutti.

  78. @Massimo,
    anche tu sei fantastico, anzi dolce come il giulebbe!
    @Lorenzo caro,
    se vuoi un po’ immaginare come sono, tenterò di descrivermi:- Hai presente uno spaventapasseri con una testolina di assurdi capelli ancora scuri e dei ciuffetti brizzolati che cammina con l’andatura dei ” Nuovi Mostri” di Striscia la Notizia? Nel 60, andai a Londra e visitai lo stesso Museo come fece L.Dawson. Allora ero ancora passabile…. piccola però, in versione tascabile.
    Se ci dovessi tornare ora, mi accadrebbe cosa scrive l’autore quando ci
    condusse la mamma della sua dolce metà:-
    ” Ho portato mia suocera a vedere la Stanza degli orrori da Madame Tussaud e uno degli addetti mi ha avvertito:- La faccia camminare continuamente, signore, stiamo facendo l’inventario.” LES DAWSON
    Brrrrr che paura!
    Ciao Massimo, ciao Lorenzo, ciao alla simpatica compagnia. Grazie
    Tessy

  79. facendomi un giro per la sempre più nauseante webtelevisiva e baronata rete italianetta ho scovato questo racconto di gordiano lupi. titolo: il frocio: inizia così: Sapevo bene che Marco Brandi era un fottuto frocio.

    http://www.scrittinediti.it/numeroquattro/tema.htm

    mi ha colpito la totale mancanza di stile del lupi e quel ‘fottuto frocio’ : se fosse stato ‘maschio di merda’ e avesse riguardato il numero impressionante di violenze su donne, gay e bambini, avrebbe avuto difficoltà a farsi pubblicare. d’altronde, non è l’alto numero di maschi al potere politico e editoriale (si veda il grinzane cavour e quanti ce ne sono di grinzane cavour) e di femmine-maschio e di clero viscerale e stantìo in the little little italy sia corresponsivo dell’incapacità ad arginare il fenomeno mafioso e baro-net-tale?
    🙂

  80. Caro Gian
    ho letto il racconto di Lupi su tua segnalazione e devo dire che è sull’onda di tanta letteratura che “interpreta” la voce del protagonista (vedi per esempio “Pericle il nero” di Ferrandino, meraviglioso esempio di scrittura che imita il vero).
    Quindi le espressioni che hai letto e che ti hanno turbato devi pensarle come recitate da un attore che deve mirabilmente recitare la propria parte e – per farlo – pronuncia qualche parolaccia. Al cinema non stupisce, perchè è strumentale alla storia. E così pure in letteratura il linguaggio è il veicolo per farti toccare con mano l’atmosfera, dolente o, come in questo caso, violenta, di ciò che si narra.
    Penso a tanti altri esempi (compreso Dante).
    La letteratura interpreta la vita e le sue brutture, e lo fa con la lingua che gli è propria per raccontarne le ferite e le ingiustizie.
    Lì l’esordio non è stigmatizzante di una condizione, tutt’altro.
    Esprime solo dolore.

  81. quindi se l’attore avesse esordito con ‘fottuto maschio di merda’ o ‘fottuto prete pedofilo’ o ‘bastardo democristiano mafioso’ sarebbe stato uguale? no, perché c’è poca letteratura che imita il vero delle cronache f(e)rocie…
    il dolore lo esprimeva benissimo anche il ‘seminario della gioventù’ di aldo busi, che poi è finito davanti ai giudici del Tribunale di Trento nel corso del processo intentatogli nel 1989 per “oscenità e sessualismo fine a se stesso” dalla Procura della Repubblica per il romanzo Sodomie in corpo 11,I segreti di Brokeback Mountain lasciamo perdere, lo ‘scandalo’ della zanicchi lasciamo perdere, pasolini lasciamo perdere ché quello è un frocio comunista. insomma: non è che se un maschio ‘interpreta’ la voce del protagonista va tutto bene e se un frocio semplicemente parla la sua voce, va meno bene? io credo di sì. d’altronde al commento ha risposto lei, una donna. io credo ancora ci sia molto tabù sui ‘maschi di merda’ e sulla non molta legislazione a favore delle donne.
    🙂

  82. Caro Gian
    in realtà farei la stessa osservazione anche se quell’espressione fosse utilizzata da un omosessuale, proprio perchè la parola è libertà.
    Anzi, è una delle ultime libertà.
    L’importante è che l’espressione forte o volgare non sia fine a se stessa ma strettamente legata al contesto e alla storia. Te lo dico da donna, ma anche da scrittrice, anzi…come vuoe la UE…da “scrittore”!!!!

  83. non ho detto questo: ho detto che è difficile trovare, purtroppo, un omosessuale che possa scrivere ‘maschio di merda’ ecc. e tu sei una scrittrice femmina e non uno scrittore femmina. ci mancava pure questa! come l’attore uomo al tempo dei greci.
    ci sarà anche il co……ne femmina? :)))
    da non credere!
    medioevo!
    annullare la cazzata del privilegio maschile e il servilismo mentale, ormai, della maggior parte delle donne (o femmine uomo?)
    si ride!!!!
    vabbè, chi se ne frega!

  84. @ Gian
    Caro Gianluca, grazie per i tuoi commenti e bentornato da queste parti. Comprendo il tuo punto di vista, ma sono d’accordo con Simona… nel senso che è sempre meglio considerare la voce narrante ancorata al personaggio descritto.

    Provo a rientrare in tema (con i riferimenti all’opuscolo Ue) inserendo i contributi che mi ha inviato l’editrice Luciana Tufani:
    http://www.tufani.it
    Li potrete leggere nei successivi commenti.

  85. Le Raccomandazioni di Alma Sabatini
    di Luciana Tufani

    Quando nel 1986 Alma Sabatini pubblicò le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, l’opuscolo venne accolto da una raffica di lazzi e frizzi. Quelle che, fatte proprie dalla Commissione nazionale alle pari opportunità, erano delle indicazioni su cui riflettere vennero recepite come un’imposizione e come un intollerabile attentato alla lingua italiana. Gli sghignazzi su termini considerati ridicoli solo perché non usati comunemente benché perfettamente corretti linguisticamente si sprecarono. Le Raccomandazioni e il successivo libro del 1987 di Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, erano già allora il frutto di numerose analisi sul linguaggio condotte da studiose di vari paesi – esemplare per l’Italia quella di Patrizia Violi, L’infinito singolare – da cui venivano ricavate indicazioni pratiche che si invitava a seguire.

    Da allora sono passati più di vent’anni ma poco è cambiato e le indicazioni sono state recepite e fatte proprie solo in alcuni ambienti, come ad esempio da qualche quotidiano o amministrazione comunale, ma nella generalità delle istituzioni pubbliche il neutro-maschile impera tenacemente e quasi non esistono documenti ufficiali in cui sia indicata la differenza di genere. Che si vada alla posta, in banca, all’ASL o in un ufficio qualsiasi ci si trova a dover compilare moduli in cui “il sottoscritto” può risultare unicamente “il” cliente, correntista, paziente, delegante ecc. oppure “il direttore”, “l’amministratore”, mentre in biblioteca o in internet possiamo fare ricerche unicamente per “autore”, “traduttore”, “curatore”.

    In altre lingue le forme di cancellazione o di svalutazione del femminile possono essere diverse ma i risultati non cambiano e, a quanto pare, poco è cambiato anche nell’uso se l’Unione Europea ha ritenuto opportuno stilare un regolamento comunitario che dia indicazioni in merito a come formulare i documenti ufficiali. Questo non vuol dire limitare la libertà di espressione ma, in qualche caso, far rispettare alcune regole di grammatica o delle elementari norme di buona creanza. Conoscendo la cautela dell’UE, dubito che le direttive siano dittatoriali e tanto meno rivoluzionarie ma come tali sono state vissute e hanno dato luogo a reazioni scomposte.

  86. Linguaggio di genere

    Due obiezioni che vengono spesso fatte quando si propone di usare il linguaggio di genere sono che le parole suggerite sono ridicole, che sono scorrette e che sconvolgerebbero la lingua italiana.
    Risponderò punto per punto, anche se molto schematicamente e semplicemente, a queste obiezioni. Quello che dirò non è affatto nuovo ma a quanto pare “repetita non iuvant” ed è necessario ricominciare sempre da capo tra il disinteresse quasi generale da una parte e il rifiuto di molti e, ahimè, di molte dall’altra.

    Sindaca, pretora ecc. vengono considerate ridicolissime, ma non vedo perché dovrebbero essere più strane del corrispondente maschile. Il motivo è che, avendo avuto in passato poche o nessuna sindaca, ministra e pretora, non era stato necessario usare il femminile e perciò non c’è l’abitudine a sentirlo e le prime volte suona strano, quasi sgradevole. Più verrà usato, più diventerà comune e non susciterà più alcuna reazione.

    Chi poi dichiara che le parole proposte sono grammaticalmente scorrette evidentemente non conosce la grammatica. Quello che è veramente scorretto è usare l’articolo o l’aggettivo maschile per un nome femminile e viceversa (es: la sindaco, il direttore Maria Bianchi). Mentre è pleonastico aggiungere donna per specificare (es: scrittrice donna). Il femminile più corretto per la maggior parte delle parole è in -a, quello in -essa è stato usato quasi sempre in senso derisorio (es: deputatessa, vigilessa) e rimane accettabile se è ormai entrato nell’uso senza alcun intento peggiorativo (es: professoressa); molte parole hanno il femminile in -ice ed ugualmente corretto come la forma in -a (es: direttrice, autrice) e inoltre non ha né ha avuto intento peggiorativo; altre parole sono uguali al femminile e la maschile (parole epicene) ed è sufficiente anteporre l’articolo corretto (es: la presidente, la vigile, un’artista, un’atleta), per analogia si dovrebbe usare l’articolo femminile per le parole inglesi usate in italiano (es: la premier, la tutor).

    In certi casi l’obiezione che viene fatta è che il femminile può creare confusione, ma non si vede perché una persona che fa l’editrice dovrebbe essere confusa con una ditta o una tecnica informatica o di laboratorio diventare una tecnica astratta quando è una tecnica in carne ed ossa. Quante volte è dal contesto che capiamo di che cosa si sta parlando, perché dovrebbe essere così difficile solo in questo caso?

    In alcuni casi sono le stesse direttrici, avvocate, presidenti a pretendere il titolo al maschile come se questo desse maggior prestigio. Non voglio infierire, per solidarietà di genere, quindi mi limito a constatare che se siamo ancora a questo punto è segno che c’è ancora molta strada da fare.

    Da quel che precede si vede benissimo che il cosidetto “linguaggio di genere” non è chissà quale nuovo linguaggio ma semplicemente un uso corretto della lingua italina che viene ben di più e ben più spesso stravolta in altri modi: con l’uso smodato di termini che diventano di moda e tutti utilizzano a proposito e a sproposito come fanno anche con parole straniere di cui ignorano il significato. Un esempio per tutti è l’uso e abuso di “intrigante” preso pari pari dall’inglese anche se in italiano non significa coinvolgente ma si riferisce a una persona che tesse intrighi. D’altronde non c’è da meravigliarsi per questo vezzo se persone di professione traduttrici usano “apologetico” invece di “in tono di scusa”.

    Infine, rispondo all’ultima obiezione: la lingua è un organismo vivente che si evolve e non si può imporre. In primo luogo, imposizioni non ce ne sono state ed è improprio il confronto con le norme fasciste: lì si trattava di vietare od obbligare, qui si tratterebbe di abituare all’uso di forme più corrette grammaticalmente e politicamente. La lingua si evolve, appunto, e si dovrebbe evolvere come si evolvono gli esseri viventi e come si evolvono i costumi. Non può rimanere come l’hanno creata nella notte dei tempi e come è stata tramandata, non può non riflettere un auspicabile miglioramento nelle relazioni umane. Ma un’evoluzione ci sarà veramente e rapidamente solo se quelle che sono delle evidenti storture del linguaggio che riflettono storture delle mentalità verranno gradualmente sostituite ed entreranno a far parte del comune sentire.

    Luciana Tufani

  87. Il femminile come linguaggio di genere
    di Luciana Tufani

    * usare la doppia desinenza e non il neutro-maschile

    es: le/gli bambine/i; la/il scrittrice/ore oppure le bambine e i bambini, le scrittrici e gli scrittori, oppure usare l’asterisco finale se cambia solo l’ultima lettera altr*, tutt*

    * cercare forme alternative invece del neutro-maschile

    es: chi legge invece di il lettore; l’umanità invece di l’uomo

    * desinenza in –a (anche più corretta grammaticalmente) invece che in –essa (peggiorativa) o inalterata al maschile

    es: sì: sindaca, avvocata, ministra, magistrata, recensora, assessora, architetta, tecnica, ingegnera, critica, medica, chirurga, filosofa, cancelliera, ferroviera, segretaria (nel senso di segretaria di partito), pretora, deputata

    no: sindachessa, avvocatessa, ministro, donna ministro, ministro donna

    sì: professoressa, dottoressa che ormai sono entrate nell’uso e non hanno più senso peggiorativo

    * desinenza in –ice accettabile perché non ha solitamente senso peggiorativo

    es: sì: direttrice, scrittrice, ricercatrice, operatrice, rettrice, programmatrice, autrici varie

    no: direttore, direttore donna, ricercatore, autori vari

    sì/no: direttora e le altre forme in –a che in questo caso risultano un po’ forzate e inutili

    * desinenza invariata (parole epicene= femminile e maschile uguali) evidenziare l’articolo femminile

    es: sì: la vigile, la presidente, la giudice, la poeta, la soprano, la studente, le studenti, la manager, la leader, la capoufficio, la caposezione, la capoclasse, la sacerdote (sacerdotessa se ci si riferisce all’antichità)

    no: la vigilessa, il vigile, il giudice, il soprano

    sì/no: la poetessa, la studentessa (si possono usare perché poetessa non sempre ha mantenuto l’originario significato negativo e studentessa è entrato nell’uso comune)

    * attenzione ai plurali che limitano

    es: “la più grande scrittrice” non fa capire che è “la più grande tra le scrittrici e gli scrittori” e non solo tra le scrittrici

    ● concordanza al plurale

    usare la doppia desinenza tutte/i

    oppure usare l’asterisco tutt*

    oppure concordare con la maggioranza femminile se sono più donne

    oppure concordare con l’ultimo termine dell’elenco

  88. Da quel che si legge sul blog sembrerebbe che sia stata colta da un attacco di grafomania. Spiego come sono andate le cose: venerdì 17, prima di partire per una breve vacanza, ho ricevuto una mail da Letteratitudine in cui mi si chiedeva di intervenire nella discussione sulle differenze nel linguaggio. Ho mandato 3 mail che avevo già pronte (una era una lettera aperta al Sole 24 ore che non era stata pubblicata dal Sole, l’altra un pezzo che avevo inserito su facebook e l’ultima un piccolo prontuario sull’uso corretto del femminile), scrivendo che se interessava anche la terza poteva venire consultata e le altre erano per far capire che cosa pensavo. Non credevo venissero inserite tutte in un’unica volta ma visto che è stato fatto va bene lo stesso. Della prima tengo a precisare che chi dirige il blog ha pubblicato solo una parte togliendo quelle in cui mi meravigliavo per la caduta di stile di un supplemento letterario solitamente serio e documentato.

  89. Avevo letto l’intervento di Luciana Tufani sul sito del Comune di Ferrara http://associazioni.comune.fe.it/index.phtml?id=1933
    Maugeri ha fatto benissimo a togliere l’ultima parte. Scaraffia e Marani nei loro articoli ,che possono essere contestati,come lo sono stati,non hanno offeso nessuno. La Tufani, invece,c’è andata pesante.Altro che che caduta di stile,le sue parole sono da denuncia.

  90. Luciana Tufani è il supplemento letterario del sole 24 ore… esso supplemento, che io prendo sempre, è bellissimo quando si tratta di fare analisi comparate sulla Secchia Rapita, interessante quando parla di Bernard Malamud, qualche volta comincia a essere inquietante quando parla di fenomeni di cultura contemporanea ed è illeggibile quando tracima nell’opinionismo spicciolo. In sostanza il Sole, è un giornale coerentemente reazionario.
    Quello che credo crei problemi, è la discussione nel luogo sbagliato e nei modi di sbagliati di un tema delicato. L’articolo citato da Massimo contestualizzava all’uso comune fino all’uso letterario una problematica terminologica riguardante esclusivamente il contesto giuridico, e la normativa per i contesti professionali. Io stessa che ho passione per la correttezza politica – come si può leggere sopra – riterrei l’applicazione pedissequa dei tuoi suggerimenti qualcosa di inefficace utile in certi contesti, ma alla fine per lo scollamento che ha sul sentire comune fondamentalmente tafazzesco.
    Un conto è non poter dire sporco negro. Sulla qual cosa sono d’accordo. Un conto è non poter dire donna ministro, la qual cosa mi lascia perplessa. L’uso della lingua rispecchia l’uso del sentimento. Lo scopo politico di qualsivoglia lotta per l’emancipazione deve essere io credo la modificazione di quei sentimenti che determinano un ordine sociale discriminatorio. Ma se la lingua è percepita come artificiale ci si rifugerà nella vecchia non si abbraccerà la nuova. Come sostanzialmente rivela l’umorismo di Scaraffia e compagni.
    Ciò non toglie, Matteo e Massimo, che questo tipo di umorismo possa risultare offensivo. Non tanto perchè sia non sia legittimo lo scetticismo su certi provvedimenti (anche se mi pare chiaro che ne è stata fraintesa più o meno volutamente la natura) ma perchè questo umorismo è la perfieria di un pensiero il quale è evidentemente sessista e prende parecchio alla leggera un problema che per molte donne e anche diversi uomini è serio e concreto.
    Io avrei insomma pubblicato tutto l’intervento di Luciana Tufani. Dopo tutto parlava per se e non a nome di Letteratitudine.

  91. Quel tipo di umorismo non mi è parso per nulla offensivo. Gli articoli li ho trovati molto divertenti, come tante altre donne che sono intervenute quì. Sulla parte finale del pezzo della Tufani sono d’accordo con Matteo. Massimo ha fatto bene a toglierlo. Secondo me in quanto responsabile del sito è responsabile anche dei commenti ricevuti se sono offensivi.Se qualcuno offendesse me e Massimo non intervenisse lo considererei corresponsabile.

  92. Strano che si consideri offensiva la lettera di Luciana Tufani e non gli interventi, bceri e maschilisti, di alcuni autori. In ogni caso queste sono le contraddizioni della nostra società. Inviterei a leggere la lettera di Luciana prima di criticarla perché la conosco bene e so che non è nel suo stile offendere gratuitamente le persone. Io, come essere umano, mi sento offeso da parole come “vecchia zitella” o “tardona” se poi qualcuno le trova divertenti sono afari suoi. Del resto siamo il paese che fa volare gli ascolti dei reality show in televisione e che non si lamenta mai del giornalismo asservito al potere. Che aspettarsi ancora?
    Marino Buzzi

  93. L’ho letta dal link lasciato da Matteo. Per me è offensiva. “vecchia zitella” o “tardona” le ho lette come divertenti provocazioni non riferite a nessuno in particolare. Vatti a leggere l’intervento autoironico della signora M. Teresa Santalucia Scibona del 17 aprile,mi pare perfetto.

  94. Annalisa evidentemente abbiamo due idee ben diverse di cosa significhi “rispetto”. Ho riletto anche io la lettera di Luciana e non ci trovo nulla di offensivo. Ha ribattuto al signore in questione con la pungente ironia di cui è capace. Se poi determinate cose possono essere dette da un “uomo” e non da una “donna” allora siamo messi peggio di quel che pensassi.

  95. Vorrei aggiungere un’ultima cosa su Luciana Tufani. è una persona intelligente, dono raro per questi tempi, ed è una donna che lotta da sempre contro i pregiudizi e contro il pensiero fallocentrico e fallocratico della società. Porta avanti un progetto editoriale mai banale, scrupoloso e tutto al femminile e da sempre si occupa di tematiche legate al femminismo. Femminismo questa strana parola che oggi sembra non avere più senso. Siamo un popolo che si volta troppo poco indietro e che tende a dimenticare, ad appiattire tutto, a considerare “normale” un’offesa perché tanto chi la riceve è “solo” una donna o solo “un frocio”. Questo è il mondo degli uomini Signor*
    Benvenut*
    Marino Buzzi

  96. Perseo, io da donna non mi sono sentita offesa. Posso dirlo senza che mi si venga accusata di pensiero fallocentrico e fallocratico, o da donna non ho il diritto di esprimere quel che penso?
    Grazie

  97. E io posso esprimere il mio senza essere accusato di maschilismo? Siamo su due piani ideologici diversi io rispetto il tuo pensiero ma non rinuncio ad esprimere il mio senza, per questo, proibire a nessuno di dire come la pensa in proposito. Il mio era un discorso più ampio che andava oltre i tuoi interventi.

  98. Perseo, io non ti ho dato del maschilista, anche perché non lo sei, e non ci penso nemmeno lontanamente di chiederti di rinunciare a esprimere il tuo pensiero. Però riferendoti a me hai detto ‘Se poi determinate cose possono essere dette da un “uomo” e non da una “donna” allora siamo messi peggio di quel che pensassi.’ Io sono una donna,ma non sono ne maschilista ne femminista. Sono una persona.Comunque ti chiedo scusa. non ti volevo irritare. Quà la mano.

  99. Mi sembra strano che nessuna si sia sentita offesa dall’articolo di Marani. D’altronde ognuna è libera di pensarla come vuole.
    Se invece Marani o chi per lui si è sentito offeso vuol dire che finalmente ha colto l’ironia del mio intervento che nelle sue risposte sul blog gli era sfuggita. Mi ringraziava infatti per aver definita “garbata” la sua risposta in cui parlava di imbecilli e poveri di spirito.
    Non vorrei però che si continuasse a parlare dell’articolo del Sole che non merita certo tanta attenzione. L’importante sarebbe che, malgrado tutto, servisse a far riflettere sull’uso della lingua, come ribadisce più volte nei suoi interventi “zauberei” (a proposito, potrebbe mandarmi una mail al mio indirizzo personale che trova sul mio sito? mi piacerebbe conoscerla e scambiare delle opinioni e magari coinvolgerla in un’iniziativa che sto preparando).
    P.S.: Non c’entra col linguaggio di genere ma con l’assassinio della lingua italiana: bisognerebbe rifiutarsi di usare un termine orrendo come postato. Postato chi? se ci si rifersice a quando la lettera è stata inviata si dovrebbe usare iniviata, se a quando è stata pubblicata si dovrebbe usare pubblicata. Se non esistessero termini in italiano, capirei, ma visto che ci sono perché usare un neologismo così brutto e impreciso?

  100. Bhe, direi che il mondo è bello perché è vario.
    Concordo sul termine ‘postato’, ma credo che sia un’espressione gergale di internet

  101. @ Perseo, Marino Buzzi
    Orca, sbirciando nel sito di Luciana Tufani mi sono accorto che lavori all’ufficio stampa della Luciana Tufani Editrice. Non sapevo. Ora capisco ancora di più le ragioni dei tuoi interventi e ti rinnovo le scuse per le mie repliche che di certo ti avranno messo in imbarazzo.
    🙁

  102. Tranquilla Annalisa nessun problema voglio molto bene a Luciana ma è una persona abituata a difendersi da sola 🙂 Non lavoro più per lei ma siamo rimasti in ottimi rapporti. Ti invito, se hai voglia, a leggere la rivista che fa “Leggere donna”
    A volte quando mi faccio prendere dalla discussione supero il limite, è che il mio pensiero si oppone da sempre ad ogni forma di “violenza” (anche culturale) nei confronti delle donne (e delle minoranze).
    La discussione aiuta a crescere 🙂

  103. E’ stato un piacere discutere con te……. davvero 🙂
    cercherò “Leggere donna”. Ciao
    anna

  104. Volevo anch’io precisare che Marino non lavora più con me, è stato un mio stagista e adesso siamo ottimi amici (più che amici in realtà, gli voglio un gran bene ed è la persona con cui sono più in sintonia; è più che un figlio per me). Ho lasciato il suo nome sul sito, come quello di Patti, di Dario e di altr* collaboratrici e collaboratori per affetto e come memoria dei tempi passati. Appena ristutturato il sito inserirò Mirka che è la mia attuale, bravissima e preziosa collaboratrice.
    Torno però a ribadire che la discussione andrebbe condotta sul contenuto della mia seconda mail. Aspetto interventi e invito a leggere se non tutti gli studi femministi sul linguaggio, almeno “L’infinito singolare” di Patrizia Violi.

  105. sì, anche io sono d’accordo con te, massimo e con simona. ma io intendo dire altro. e altro non si vuol-può capire.
    🙂
    mi preoccupo, nel senso che preoccupo me con il lasciarmi andare a tale paranoico-pregiudizievole tornata di commenti omocentrici.
    in un paese realmente avanzato non dovremmo nemmeno più parlarne, dopo Petrolio, almeno, non dovrebbe avere molto senso. se ne parliamo è forse bene o male un sintomo che avanzato questo paese non è.
    ma d’altronde come si fa a scardinare quello che non è riuscito a scardinare un ‘suicidario’ pasolini. anche lui, ormai appiattito nella citazione improbabile e possibilmente rivoltata come un calzino di un senzapiedi?
    pazienza? niente affatto. a costo di sembrare popolare, con la faciloneria del frainteso, credo che paranoie linguistiche si ripetano e nagazioni freudiane, fuor di tema e a furor di popolo, tempèstino questo bel vestito di italia come strass di stress: mi riferisco a quello che dicevano molti media e procuratori ant-e mafia: non ci sarà il pericolo di mafia nella questione d’abruzzi. ex abrupto è come dire: rassegnatevi, cari italiani, che la mafia ci sarà. come quando ti si dice: non per offenderti ma quel vestito non ti sta molto bene. non per offenderti= ti vorrei offendere ma non posso.
    e via dicendo e scrivendo di scrittrici e scrittori, per quanto io non sia né l’uno né l’altra. semmai uno scrittorio di ciò che io stesso non leggerò mai.
    🙂

  106. Vi ringrazio per i commenti e mi fa piacere che gli animi si siano intiepiditi dopo un lieve surriscaldamento (in tal senso ho davvero bisogno della collaborazione e buona volontà di tutti).

  107. @ Luciana Tufani
    Possiamo darci del tu?
    Grazie anche a te per essere intervenuta. Ti dò il benvenuto qui a Letteratitudine. Tuttavia ci tengo a precisare una cosa.
    Hai scritto: “ho ricevuto una mail da Letteratitudine in cui mi si chiedeva di intervenire nella discussione sulle differenze nel linguaggio”.
    In verità non ti ho inoltrato alcuna richiesta diretta. Hai ricevuto la mia newsletter (insieme agli altri 10.000 iscritti), l’hai letta e – dato che l’argomento era di tuo interesse – hai deciso di inviarmi quei tre contributi. E di questo ti ringrazio.
    Avevo capito che eri interessata a pubblicarli tutti e tre, ma se ho capito male segnalami quelli da cancellare e provvedo subito a eliminarli.
    Per quanto riguarda la parte finale del primo commento, ti avevo già scritto per mail che preferivo evitare di riportarla (sia perché mi sembrava un po’ forte – pur rispettando l’opinione di chi la pensa diversamente – ma anche perché sapevo che avrebbe dato adito a inutili code polemiche… come in effetti è avvenuto).
    A me, fondamentalmente, interessava raccogliere pareri su questa iniziative dell’Ue derivante dalla pubblicazione dell’ormai noto opuscolo.

  108. Di tutto questo dibattito la cosa che mi ha sorpreso di più è la seguente (riporto quanto già scritto in un precedente commento).
    In una prima fase ho notato una sorta di schieramento… “di genere”. Quasi una sorta di contrapposizione tra “maschi” e “femmine”.
    Poi le opinioni si sono incrociate e mescolate, a prescindere dal genere di appartenenza.
    Parafrasando quella specie di slogan provocatorio che ho scritto sull’immagine in alto, mi verrebbe da dire: no gender in the opinions.

  109. Ringrazio ancora una volta Diego Marani e Giuseppe Scaraffia per avermi inviato i loro articoli (dietro mia espressa richiesta). I vostri articoli mi hanno consentito di avviare questo interessante confronto.
    Ringrazio tutti voi per i commenti pervenuti e per la sincerità con cui avete espresso le vostre opinioni, cercando (salvo qualche sbavatura di cui chiedo personalmente scusa a chi sia sentito offeso… da una parte e dall’altra) di rispettarvi reciprocamente.
    Ringrazio Luciana Tufani per i suoi contributi (Luciana, ti faccio tanti in bocca al lupo per la casa editrice e per il tuo impegno).

  110. Continuate pure a confrontarvi, se lo desiderate. Vi chiedo solo di sforzarvi al massimo per far sì che il confronto sia il più possibile rispettoso.
    Da parte mia l’intento è sempre quello di far dialogare anche chi la pensa in maniera diversa (o diametralmente opposta). Certo… potendo intervenire solo la sera mi rendo conto che il mio compito è improbo.
    Ma ci provo… 🙂

  111. Per Massimo Maugeri.
    Avevo già risposto, anche se in ritardo perché ero in viaggio, che la lettera al Sole poteva venire tagliata. Se ho spiegato come sono andate le cose è solo perché tre interventi potevano sembrare un eccesso di zelo da parte mia e perché la lettera troncata rimaneva in sospeso. Va bene anche così e non c’è bisogno di togliere né aggiungere nulla. Il prontuarietto può essere comunque utile, se a qualcun* interessa; basta che si sappia che non voglio obbligare a usarlo ma solo incoraggiare a riflettere e a non dare tutto per scontato e immutabile.
    Grazie degli auguri, ne ho proprio bisogno visti i tempi bui

  112. Alla Tufani volevo dire che ho trovato i suoi interventi molto stimolanti e interessanti.
    C’è da dire che spesso noi siamo legati ad una parola dall’abitudine oppure dalla nostra particolare sensibilità e magari facciamo fatica a disfarcene in nome di una nuova associazione senso-suono.
    La vera parità si avrà quando il rispetto reciproco sarà sostanziale.
    L’impegno in questo senso deve essere di tutti.

  113. Stessa cosa sulla narrativa di genere: se io leggessi un capolavoro senza sapere chi l’ha scritto, senza lasciarmi condizionare dal genere? Potrei parlare ancora di letteratura femminile, scrittura omosessuale, stile maschile?
    L’importante è rispettare l’autore/l’autrice, chiunque sia, la sua opera, le sue opinioni.
    Anche se trovo certo politically correct ipocrita ed esteticamente rivoltante.
    Anche se le differenze esistono. Non siamo uguali pur essendo pari nel diritto al rispetto.

  114. @maria lucia è vero ciò che dici,addirittura si può spingere il ragionamento alla stessa storia raccontata e ai suoi personaggi,la Winterson nel suo bellissimo Scritto sul corpo da voce ad un io narrante senza genere preciso e resta così fino alla fine del romanzo che è di per sè bellissimo.
    baci

  115. Mi fa piacere vedere che gli ultimi interventi tornano ad essere pertinenti al tema trattato.
    Vorrei segnalare che mi sono decisa a creare su facebook una “causa” sulla “Diffusione del linguaggio di genere” alla quale invito chi la condivide ad iscriversi.

  116. Vedo solo ora questo post che mi ha incuriosito (a proposito, con l’ausiliare avere, la desinenza del verbo va al maschile). Nella vita quotidiana spesso trovo nel linguaggio delle cose che non mi piacciono; questa per esempio: se devo salutare una tavolata dove siedono 99 donne e 1 uomo, perché devo dire: “Ciao ragazzi!”? Mah… Per il resto condivido in pieno l’opinione di Maria Lucia nel commento del 23/4, 4:01 pm.

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