Aprile 18, 2024

129 thoughts on “PENTELITE

  1. Pentelite non è acquistabile… nel senso che non viene messo in vendita. Come precisato: è elargito in omaggio ai collaboratori, alle associazioni culturali, alle biblioteche e ai circoli di lettura che ne fanno richiesta.
    Insomma… un progetto senza scopo di lucro nato in un piccolo comune siciliano con l’obiettivo di contribuire alla crescita culturale e letteraria.

  2. Come ha scritto Salvo nella sua prefazione, alcuni dei collaboratori di questo numero di Pentelite sono stati “intercettati” proprio qui a Letteratitudine.
    E dunque Pentelite ha una sorta di “aura letteratitudiniana”.
    Proporrei di ribattezzare il volume con il nome di Pentelitudine… è possibile, Salvo?
    🙂

  3. Scherzi a parte…
    Scrivete! Partecipate alla discussione (anche se non pongo domande, stavolta).
    Magari, da questo post, potrebbero nascere idee per il prossimo volume di Pentelite…

  4. Ne parliamo, ovviamente, con lo stesso Salvo Zappulla e con Maria Lucia Riccioli (che ha co-curato questo nuovo numero)… auspicando gli interventi di tutti coloro che ne hanno contribuito alla realizzazione.

  5. Pingback: PENTELITE
  6. Una proposta. Visto che il libro non è in vendita e non ha scopo di lucro, perché non inserite qui qualcuno dei contributi citati sul post?
    grazie

  7. Bellissimo Pentelite! Ormai è un appuntamento annuale a cui è difficile rinunciare. Anche quest’anno sembra pieno di interventi interessanti (dico sembra perché non mi è ancora arrivato).
    Per me è sempre un piacere e un onore esserci.
    Complimenti a tutti e, quindi, a Letteratitudine 😉

  8. Non ho ancora visto il Pentelite 2010, però penso che sia un valido prodotto culturale, al di là della pur benemerita manifestazione a cui è collegato. Come ha scritto bene Salvo, i contributi di saggistica sono un omaggio a grandi autori di questo nostro paese che spesso è fucina di geni non solo letterari, stranamento però non adeguatamente stimati proprio da noi italiani. In particolare mi riferisco a Bonaviri e a Rigoni Stern al cui grande talento non è corrisposta una diffusione capillare delle opere almeno a livello nazionale. Stranamente il primo è figlio della Sicilia, una regione di primaria importanza per la letteratura, mentre l’altro nel cognome non nasconde le origini cimbre, quindi due personaggi apparentemente agli antipodi, eppure italianissimi, e di grande valore, che non hanno avuta la fortuna di avere il riconoscimento del Nobel, per quanto più che meritato. In fondo questo premio planetario avrebbe coronato una carriera letteraria di altissimo spessore, ma è giusto ricordare che sempre di premio si tratta e che i giudizi di Stoccolma a volte sono influenzati da variabili non solo culturali. Quello che conta è invece il grande patrimonio di conoscenza che ci hanno lasciato, una testimonianza che non perirà con il tempo, perchè hanno scritto opere che giustamente fanno rientrare questi due scrittori fra i grandi classici, romanzi e racconti belli ieri, oggi e sempre.

  9. Una curiosità, invece. C’è un filo conduttore nel libro? Come sono stati scelti i temi dei capitoli?

  10. Un grazie a Massimo per l’ospitalità e un caro saluto a tutti gli intervenuti. Mi risulta che Pentelite non sia ancora arrivato alle persone che hanno contribuito alla sua realizzazione, ma a quanto pare il Comune, data la scarsa disponibilità finanziaria, ha incaricato il messo comunale di recapitarlo, a piedi, personalmente. Pare che il poveretto in questo momento sia stato segnalato dalle parti di Trapani. Abbiate fede.

  11. Cos’è Pentelite? Qualcuno lo chiama Pentelìte facendo pensare a una malattia contagiosa: la pentelìte. Invece si tratta di un libro squisitamente letterario che pubblichiamo a conclusione di una manifestazione culturale di tre giorni: la Mostra-Mercato dell’editoria siciliana, e ad esso è abbinato anche il Concorso Letterario Città di Sortino. Si suddivide in due sezioni, la prima riguarda la saggistica e contiene scritti di letteratura, la seconda parte è riservata ai finalisti del concorso.

  12. Nella prima parte vi scrivono scrittori più o meno affermati (a parte Renzo Montagnoli che ci è stato suggerito dalla mutua), in modo da dare la possibilità agli autori dei testi relativi al concorso di farsi conoscere.

  13. Grazie a Letizia, Vincenzo e Marco Vinci per aver avviato questo dibattito. Io proporrei agli autori stessi di postare i loro testi (sempre se Massimo è d’accordo).
    Grazie alla nostra Morenuccia, colonna portante di Pentelite. Ricordo che già lei preparava i primi articoli nel lontano 1942, quando io, ancora in pantaloncini corti muovevo i primi vagiti letterari.

  14. @Marco Vinci. Il filo conduttore è focalizzare gli eventi letterari a nostro parere meritevoli di attenzione, fare gruppo, condividere il piacere di ritrovarsi dentro un libro. Quest’anno in particolare il fulcro dello stesso è stato dato proprio da Letteratitudine, quasi a sancire un anno di piacevoli conversazioni. Tutti purtroppo non potevano starci. Alcuni avevano già collaborato lo scorso anno, ad altri chiederemo di collaborare nel prossimo.

  15. Vi posto alcuni testi contenuti all’interno di Pentelite.

    La prima è la poesia vincitrice della sezione Poesia in lingua italiana 2010. A mio parere straordinaria.

    Stefano
    di Maria Cuffari

    Rughe precoci sulla tua fronte,
    solchi che l’aratro della vita
    ha già preparato
    per future mietiture.
    Per me,
    madre terra,
    ferite che bruciano
    e scendono vicino al cuore.
    Nel mio ventre sacro
    custodirò i tuoi semi,
    sparsi senza conoscenza
    e restituirò spighe vive,
    gonfie di vita,
    nutrite da ataviche energie.
    Covoni grandi,
    che solo braccia forti
    potranno raccogliere e
    trasformare in pane.
    Allora le tue rughe
    saranno strade
    e i tuoi figli
    poseranno i piedi
    sulle orme che tu hai lasciato.

    Maria Cuffari, vive a Milano. Vincitrice del Concorso città di Sortino, sez. Poesia in lingua.

  16. Questa è la prima parte dell’articolo di Rita Charbonnier, che ci racconta il suo rapporto con la Sicilia, tutto è troppo lungo da postare.
    (La divina Charbonnier che calpesta il nostro suolo è un evento da ricordare)

    La mia Sicilia, tra storie antiche e moderne

    di Rita Charbonnier

    …e dagli antichi è detta
    Per nome Ortigia. A quest’isola è fama,
    Che per le vie sotto al mare il greco Alfeo
    Vien da Doride intatto, infin d’Arcadia
    Per bocca d’Aretusa a mescolarsi
    Con l’onde di Sicilia.
    (Virgilio, Eneide, III, trad. Annibal Caro)

    Giunsi in Sicilia per la prima volta vent’anni fa. Avevo superato le selezioni di ammissione alla Scuola di Teatro dell’INDA di Siracusa e per me iniziava una straordinaria esperienza formativa. La mia idea di quella che poteva essere Ortigia era piuttosto una farneticazione; me l’avevano descritta come una piccola isola collegata alla città da un ponte che io, chissà perché, avevo trasformato con l’immaginazione in un ponte levatoio. Giovane, sprovveduta e incline a fantasie bizzarre, ero convinta di trovare un luogo verdeggiante e selvaggio, con un paesaggio da savana e le scimmiette arrampicate in cima ai baobab. L’impatto con la realtà fu ben più emozionante.
    Presi ad aggirarmi tra edifici barocchi e pietre millenarie, assaporando gli echi di una civiltà raffinata e antichissima e ritrovando nella memoria i miti che quella civiltà produsse. Miti che, come è noto, obbediscono talvolta al bisogno umano di controllare gli incontrollabili fenomeni della natura – e così una fonte d’acqua dolce, vicinissima al mare, diviene una ninfa sfuggita alle attenzioni di un dio troppo audace. Quella ninfa era lì, davanti a me, pacificata. Feci il bagno in mare nei pressi e rimasi stupefatta nel percepire le correnti fredde che premevano dal basso. Ripensai alla storia di Aretusa come a una bellissima metafora della trasformazione che due amanti devono subire individualmente, prima di diventare una coppia.
    Non c’erano solo i miti ad accendermi la mente, ma anche la realtà quotidiana delle generazioni di persone che in quei luoghi avevano vissuto, tra fratellanze, conflitti e rappacificazioni – tra pesca, mercati, botteghe artigiane, spettacoli e sedute di preghiera. Riuscivo a percepire le loro presenze e li immaginavo intenti nelle loro attività, vestiti di tuniche e calzari. Ho sempre creduto che ogni luogo conservi una scintilla dell’umanità che l’ha frequentato e che basti ascoltare con un poco di attenzione per riuscire ad avvertirla. A Siracusa non avevo nemmeno bisogno di fare attenzione.
    Al vertice dell’INDA c’era ancora il professor Giusto Monaco, studioso eccelso e uomo eccezionale. Si diceva fosse in grado di recitare a memoria, in greco antico, tutte le tragedie classiche giunte fino a noi – e naturalmente di disquisire sui loro significati. Era circondato da un’aura naturale di rispetto. Non lo chiedeva; gli era dato. Non c’erano alternative. Dall’alto della sua cultura, mai esibita, sovraintendeva alle umanità scomposte dei teatranti, o aspiranti tali, con signorile discrezione…

  17. finalmente! benvenuta, pentelite! cominciavo a credere che fosse solo un delirio di un certo… zappilla… zippulla… non so se qualcuno lo ha mai sentito…

  18. adesso provo a fare un intervento serio ( ma fino alla fine non garantisco…)
    Vorrei ringraziare i due curatori della rivista per avermi ospitata tra le sue pagine. La rivista è bellissima, a cominciare dalla copertina. Ed è la prova che non sempre la provincia italiana dorme: dipende dalla passione, dall’entusiasmo, dal talento dei suoi abitanti, capaci di catalizzare energie dalle provenienze più disparate e trasformarle in qualcosa di tangibile e bello.
    In questo caso, quei catalizzatori si chiamano Maria Lucia Riccioli e … oopsss… continuo a non ricordare il nome dell’altro bravissimo curatore… sarà perchè lo confondo con un leggendario San Salvo da Sortino, le cui reliquie rivenute nelle catacombe di Siracusa si venerano ancora nella chiesa madre del paese…

  19. Grazie per la risposta e per i contributi che sono stati offerti in lettura e che ho letto con piacere.

  20. Scusa Massimo, m’interessano maggiori informazioni sull’estemporanea di pittura organizzata dall’ACIPAS sul tema della legalità.
    Qualcuno può dirmi qualcosa in più?
    Saluti

  21. Pentelite è un appuntamento ormai consolidato… pensate che in tempi miei più verdi avevo anche partecipato al concorso letterario “Città di Sortino”, che raccomando proprio perché esente da raccomandazioni!
    Lavoro serio, amore per la cultura. Da ammirare il volontariato di Salvo e di tutti coloro che durante questi anni hanno collaborato al concorso e alla rivista.

  22. La mia collaborazione con il volume “Pentelite 2010” nasce dall’intreccio fortunato di alcuni eventi:
    la scoperta di Letteratitudine avvenuta circa due anni fa; un breve viaggio in Sicilia compiuto nell’estate del 2008 e conclusosi a Mineo, il paese di Bonaviri; un incontro a Sortino, nell’estate successiva, con Salvo Zappulla – accolto dalla sua amicizia – il quale mi ha guidato anche in un luogo meraviglioso situato nei pressi di Sortino: Pantalica.

  23. Anch’io non ho ancora ricevuto il volume, ma ieri c’è stato uno sciopero delle poste, quindi si può ancora attendere fiduciosi…
    Molto bella la copertina. Immagino sia una foto relativa all’importante Museo dell’Opera dei Pupi di Sortino.
    Ho già letto in bozze i contributi presenti nel volume: tutti di notevole interesse.

  24. @Gaetano
    Non conosco molto bene la Sicilia, l’unico viaggio da turista lo feci in un gennaio di quasi vent’anni fa. Ma fu splendido. Ed anch’io ricordo Pantalica come uno dei posti più suggestivi che mi sia mai capitato di visitare. E solo ora ricollego di dover essere passato per forza da Sortino, andandoci.
    Anche se a me non mi ci ha portato Zappulla!

  25. Ciao Carlo; a proposito di Pantalica, forse avrai già letto il libro di Consolo “Le pietre di Pantalica”: un viaggio in Sicilia compiuto da un grande autore siciliano.

  26. @Gaetano: a me manca solo la Sicilia e poi ho visitato tutta l’Italia. Per ora mi documento sull’isola gustandomi i testi dei suoi narratori e chissà che un giorno possa approdare anch’io sulle coste della Trinacria, magari accolto a braccia aperte da Salvo Zappulla.

  27. @Giorgia. Giorgia? Non sapevo ci fosse anche Giorgia. L’avrà inserita l’assessore a mia insaputa, “caldeggiata” da Berlusconi.
    @Rosella. L’estemporanea di pittura è curata dall’associazione antiracket, ed è rivolta ai ragazzi di scuola, ed ha come tema la legalità.

  28. Ciao Renzo; la Sicilia è un incanto. Sebbene il caldo estivo sia talvolta difficile da sopportare, per i miei gusti il miglior modo di “sentire” la Sicilia è nella luce abbagliante dell’estate, nelle sue ombre, nei suoi odori.

  29. Mi dice che il mio precedente commento è in attesa di approvazione. Così non si capisce molto. Dunque vediamo di raccapezzarci: il Rossella, pardon è dovuto al fatto che erroneamente, nel post censurato l’avevo chiamata Rosella.

  30. E forse ho capito perchè non me lo fa passare, ho nominato Lui, il Silvio.
    Formulo diversamente la stessa risposta: Giorgia? Non sapevo ci fosse anche Giorgia. L’avrà inserita l’assessore a mia insaputa, “Caldeggiata” da Berluschino (così lo freghiamo. Caspita, non sapevo dettasse legge anche qui!)
    @Rossella L’estemporanea di pittura è curata dall’associazione antiracket, ed è rivolta ai ragazzi di scuola, ed ha come tema la legalità

  31. Subhaga Gaetano Failla

    OLTRE IL GIARDINO DELLE ESPERIDI
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    Giuseppe Bonaviri è morto a Frosinone il primo giorno di primavera del 2009. Era nato a Mineo (Catania) l’11 luglio 1924. Autore di circa quaranta opere di prosa e di poesia, d’un volume di saggi e d’una autobiografia (due titoli come consiglio iniziale di lettura: La divina foresta e Il vicolo blu), Bonaviri è stato più volte candidato al Nobel (pochi anni fa, secondo notizie ufficiose, non ha conseguito il prestigioso premio per un solo voto) e tradotto in molte lingue, tra le quali il cinese e l’arabo. Di lui hanno scritto in Italia, tra i tanti che si potrebbero citare, Vittorini, Calvino, Sciascia, Manganelli, Gramigna, Manacorda, Pampaloni.
    Ho avuto la fortuna di incontrare Bonaviri a Frosinone, dove abitava, e di scambiare con lui lettere e telefonate. Una mia lunga intervista (svolta con la collaborazione di Valeria Failla) dal titolo “Con Giuseppe Bonaviri nel Giardino delle Esperidi” è stata pubblicata nel numero 26 (aprile- maggio 2005) della rivista “Orizzonti”.
    Scrive Borges in “Frammenti di un vangelo apocrifo”:
    “Non giudicare l’albero dai suoi frutti né l’uomo dalle sue opere; essi possono essere peggiori o migliori di quelli.”
    È molto raro scoprire una grande opera e al contempo un grande uomo creatore di tale opera. Questo miracolo è avvenuto con Giuseppe Bonaviri. Scrivevo nell’introduzione alla mia intervista:
    “In tempi così carichi di stili aggressivi, di arroganza politica, di idiozie televisive incontrare un uomo siffatto, con un’aura di bontà, di semplicità e saggezza è davvero inconsueto. Alla mia partenza, mi ha atteso sulla porta per donarmi un sorriso e un ultimo saluto.”
    Il frequentatissimo litblog Letteratitudine, del Gruppo Editoriale L’Espresso, ideato e guidato da Massimo Maugeri, ha dedicato a Bonaviri un’ampia sezione dove sono rintracciabili numerosi contributi e documenti (anche filmati).
    Nell’estate del 2008 ho compiuto un breve viaggio in Sicilia, visitando anche Mineo e la casa natale di Giuseppe Bonaviri. A Mineo mi è capitato un ulteriore evento fortunato: l’incontro con Agrippino Perrotta, il gentilissimo Segretario della “Fondazione Giuseppe Bonaviri”, il quale mi ha accolto nella sede della Fondazione con una cordialità che la nostra civiltà sta purtroppo smarrendo.
    Da quel breve viaggio è scaturito il mio racconto “La scorza degli agrumi”, che riporto di seguito (già pubblicato on-line su Faranews numero 105-6). Esso si conclude con la visita a Mineo. Avevo il cuore gonfio di tristezza, dopo aver ricevuto la notizia della recente perdita della vista da parte di Bonaviri. Il racconto ricorda, nella sua struttura, l’haibun, un modello di scrittura della tradizione letteraria giapponese che concepisce l’inserimento saltuario di haiku nel tessuto narrativo in prosa.
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    LA SCORZA DEGLI AGRUMI
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    “Ebbi una sensazione di strappo violento quando la nave
    ruppe l’atmosfera. E i miei pensieri si frantumarono.”
    (G. Bonaviri, Martedina)
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    Giungemmo sul pianeta azzurro d’estate.
    La terra brulicava di vita e di luce, vaste distese di fichidindia accendevano i nostri occhi e i campi arsi. Il cielo sfolgorava di raggi gialli e blu e le valli assetate si tuffavano nel mare d’infiniti orizzonti, di ferite e solchi – liquide cicatrici, vascelli, morsi sulla costa, denti che strappano. Il pianeta azzurro, per comprenderlo davvero, andava visto, e ascoltato, toccato, mangiato, e bisognava inebriarsi dei suoi profumi, e perfino – secondo alcuni – si doveva sentirne gli umori segreti e le voci senza parole.

    Vapori d’acqua.
    Fanciulle che giocano,
    d’antiche terme.

    E la vita si frantuma in animali, belve, pesci, giganti, acque bollenti, battaglie, lievi giochi di donna, occhi e ombelichi – sotto teli cotti dal sole del mezzodì – il cielo e la terra, l’amore, si ricompongono in minuscole pietre colorate d’Armerina.
    E poi, giù, dopo una breve sosta di parole multisonore, attraversiamo distese lunari che sfiorano l’atmosfera, e sassi, ulivi e ulivastri, fichi danzanti, profumi di gelsomino, nepitella, l’afrore della vita in decomposizione, il nettare acre della morte e trasformazione, fiamme, il firmamento ha le stelle nascoste dalla lama accecante d’un’unica stella – sprofondiamo verso la costa, storditi.
    Dicono che la sopravvivenza sia un male necessario, e che l’aria debba essere plasmata con dita forti, e la linfa nera della terra sia succhiata da labbra fredde, e che i corpi trasudino cellule smarrite, che il sudore abbia il sapore di carne infetta, al lavoro, per vivere ancora, sul mare di Gela.
    Fuggiamo, distogliendo spaventati lo sguardo, dalle ciminiere, dalle case ammazzate, dal sole che azzanna strade morte, e ci appare Akragas, e percorriamo in alto con l’urgenza della fuga i macigni infuocati del tempio, della voglia antica, eterna, di naufragare nel cuore pulsante del cosmo, negli innumerevoli cuori dell’universo, ovunque – poggio la mano sul mio cuore, depongo l’orecchio, ascolto, il battito, il battito. Vi è poi un rifugio imprevisto, nell’ombra, nella frescura d’acque, di gebbie, giardini, vasche e ruscelli, arance e limoni, pomodori e zucche, mandarini e fichi, melanzane e pompelmi, e l’unghia incide la scorza degli agrumi e il profumo solca la superficie dell’anima e l’oasi nascosta di Kolymbetra ci ristora dall’arsura dionisiaca delle vie più in alto, e mangiamo furtivi due pomodori e un fico che s’apre come vulva accogliente, e già la carne e il sangue della terra sicula, oltre labbra denti bocca stomaco, diventa il nostro stesso sangue, carne mortale ed eterna trasformazione.
    Un cane ci guarda, ha la lingua penzoloni in cerca di quiete.
    Poi, chiediamo a un vecchio se l’acqua d’una fontanella è potabile, e l’uomo ricorda la sua infanzia, quando il giardino di Kolymbetra era ancora lontanissimo dalle voci dei turisti, e i frutti di quell’oasi maturano al contatto delle sue mani.

    Acqua che cura.
    Le bocche si aprono
    su fonti d’oro.

    Ed echeggia l’ansia di ricongiungersi alla madre infinita, da una minuscola dimora smarrita, ai margini del tempio, nel groviglio di strade, giù, Kaos e uomini dalle menti sbriciolate in centomila schegge di specchio, Pirandello resta sperduto lì vicino, alla ricerca senza respiro dell’Uno.
    Osserviamo il sole adagiarsi al tramonto tra le colonne del tempio, e il respiro si placa, la pelle riposa dopo il fulgore del giorno, e il ritmo dell’arteria nella gola è lontanissimo.
    Di corsa poi inseguiamo l’ultima luce verso la costa, verso Porto Empedocle, e il filosofo, rimasto impigliato tra cemento armato e clamori d’attracchi marini, bisbiglia ancora “…fui fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare”, e cantano le parole sulla soglia incantata della divina foresta di Bonaviri.
    Corriamo verso la spiaggia, oltre ghirigori d’automobili e frastuono balneare, sfioriamo appena le reti da pesca raccolte a sera. Ed è lì, laggiù, protèsi con la mano, affannati a fermare l’ultimo sole oltre il monte sul mare, e cerchiamo un nome, un suono, parole colorate, profumo d’alghe.
    “Dov’è la Scala dei Turchi?” chiediamo ripetutamente, tra ombrelloni chiusi, sabbia, pneumatici, scogli, strade di nuovi fantasmi cartacei siciliani, e gli ultimi uomini sulla spiaggia tornano a piedi nudi volgendo le spalle al tramonto, alla luce d’arancia sanguigna rimasta immersa nelle loro pupille sognanti.
    È lì, è lì la scala dei turchi, un nome che ruba dalle nostre visioni visioni di vascelli, di attracchi furtivi, di sciabordio d’acque, di vesti bagnate, fulgidi arabeschi, urla e singhiozzi, fuochi nascosti, fragori di metallo, e ancòra il sangue e gli umori mischiati del maschio e della femmina, spinto l’umano a rinascere per forza, a morire, a nascere, di nuovo, all’alba, luce che strappa, dal mare, dal mare.
    Slaccio i sandali, li prendo in mano, le mie radici si spostano sulla spiaggia, ricevono il sale umido, l’aria salmastra mi annienta, gloria al creato, alle voci di uomini e donne, alle creature che corrono con scarpe ginniche sulla sabbia dura, al sentiero che s’infila tra pietre levigate e cespugli, e rinasce in un bagliore negli occhi il fiore violaceo dei capperi striscianti sulla via dei templi, gloria alle sedie a sdraio bianche dei villeggianti, all’acqua che bagna i nostri piedi, alle lievi nuvole infiammate sull’orizzonte.

    E nell’affanno
    verso la meta buia,
    la prima stella.

    Nell’incerto sguardo del crepuscolo i sogni già s’addensano, il mare s’inabissa, si confonde, si innalza, nella baia, nell’ombra nera delle alghe, il respiro si mischia con le parvenze, e appare grandissima, immensa, vasto fantasma bianco che scaturisce dai flutti, profumo – dissetarmi con quell’acqua salata, divenire essenza – profumo di ventre marino, si erge nella luce che crolla, ragnatela di immagini addormentate sulla tela, appare la roccia bianca, come l’ultima visione del marinaio di Poe.
    Danziamo increduli sulla roccia, passi fragili sull’orlo, sopra acque sussurranti nenie, e lì infine seduti, con le mani e i piedi tinti di bianco, è più facile ricordare.
    Poi torniamo, camminiamo nel sonno, ci stendiamo sulla riva, sono ormai tutte giunte le stelle, e chiudiamo per un poco gli occhi, e ne conserviamo oltre le palpebre una manciata – sono buone compagne le stelle.
    E bisogna pure berla e mangiarla questa terra – frittura di paranza nel ristorante, grovigli di spaghetti e frutti di mare, bevo e mangio un’ostrica, prolungo la sua vita tra denti lingua e oltre, Nerodavola, cassata, sorbetto al limone, e poi un biglietto d’indicazione stradale, un obolo per il traghettatore, sulla strada buia del ritorno, verso la montagna.
    Ci sveglia il nuovo giorno, l’ultimo d’un lampo di Trinacria.
    Durante la giornata bisogna raggiungere ancora una delle nostre fugaci dimore. E sulla via incontriamo un mondo già sognato, oltre Caltagirone, oltre strade deserte, ci innalziamo in cerchi concentrici verso la collina – il sole ha di nuovo incendiato le valli brulle – dall’alto il volo del falco ci guida verso le pietre di Mineo, favola d’un cosmo intriso di spiriti degli alberi, di fughe verso la costellazione di Betelgeuse, e vulcani, e pane che scotta, e l’infanzia dell’uomo, le capre, la fame, il sangue mestruale, ossa precipitate nello spazio interstellare, pulviscolo di fiori.
    Giuseppe Bonaviri ci accoglie con la sua assenza.
    Vago trasognato in cerca d’un indizio, il sole brucia i miei passi cauti, chino l’orecchio verso un bisbiglio, echi di voci s’impastano nell’aria, vortici elettromagnetici, colori, profumi di zolle, turbinio di piante, di versi d’uccelli, linfa, linfa di questa vita, la stradalunga nasconde i tuoi vagiti, dal sasso scaturisce il riso e il pianto, la folgore, la parola – la luce si è ritirata nei tuoi occhi, la luna piange questa notizia – e Silvinia ti manda un sorriso, l’infinito azzurro.

    La vecchia porta
    e le finestre chiuse.
    S’apre il cielo.

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    Calabria, al ritorno, 5 agosto 2008
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  32. Questo servizio di Gaetano lo reputo tra i più interessanti, un omaggio dovuto al grande scrittore di Mineo, da parte di una persona che lo ha conosciuto ed amato. Bravo Gaetano.
    Comunque se qualcuno volesse leggere Pentelite, può fare richiesta al nostro Sindaco, il quale sarà lieto di farlo spedire gratuitamente.

  33. @Gaetano. Dimenticavo. Le foto in copertina appartengono a quattro dei nostri consiglieri comunali.

  34. Un caro saluto a Carlo e un grazie a Maria Lucia che ha corretto le bozze sobbarcandosi una gran mole di lavoro.

  35. Mario Rigoni Stern. Le stagioni di un uomo
    di Renzo Montagnoli

    1° Novembre 1921 – 16 giugno 2008.
    Sono queste due date che nel registro del tempo identificano la nascita e la morte di uno dei più grandi narratori che abbia avuto il nostro paese.
    Mario Rigoni Stern ha vissuto in questo periodo le stagioni della natura e quelle dell’uomo, così simili tranne per il fatto che prime si ripetono, mentre le altre rappresentano la parabola dell’esistenza.
    Mai come in lui si è potuto riscontrare l’identità fra uomo e natura, mai come in lui i romanzi e i racconti sono stati una lunga, attenta e riflessiva autobiografia.
    Profondamente legato alla sua terra natia, a quell’altopiano dei Sette Comuni a cui pervennero i suoi avi Cimbri molti secoli fa, ne è stato il cantore e l’araldo, lo storico popolare e il consacratore delle tradizioni.
    Eppure nella sua infanzia nulla lasciava presagire questa naturale inclinazione per la narrativa, ma certi talenti hanno bisogno di qualche elemento catalizzatore per potersi rivelare e nel giovane Stern questo è stato rappresentato dalla guerra, a cui aderì volontariamente, sotto l’influsso di una martellante propaganda del regime che gli fece credere che fosse il destino di ogni uomo e, nel caso specifico, la vocazione di un popolo forte, guerriero, addestrato e istruito per la gloria di una nazione che rivendicava le tradizioni dell’antico impero romano.
    Combatté così nel battaglione Vestone della divisione Tridentina prima ai confini con la Francia, poi in Albania, in Grecia e in Russia. A ogni teatro di guerra, pur non lesinando gli sforzi per compiere il suo dovere, quelle certezze infuse dalla retorica cominciarono a incrinarsi di fronte alla brutalità del conflitto, alla nostra inadeguata preparazione e, soprattutto, al pensiero che un uomo contro un altro uomo non esalta le sue qualità, ma le deprime, le svilisce.
    Per quanto nella campagna di Russia riuscisse a meritare una medaglia d’argento al valor militare, questa sua trasformazione da indottrinato a uomo di libero pensiero ebbe il suo compimento proprio nel corso della drammatica ritirata, raccontata in modo sorprendente per capacità di analisi e per partecipazione emozionale e per scopi non solo di memoria, ma anche pacifisti.
    Nelle rigide temperature della steppa, in mezzo alle tormente di neve, fra un combattimento e l’altro per aprire la via che riporta a casa sbocciò un Mario Rigoni Stern rinnovato, al punto che in epoca successiva ebbe a dire queste parole:
    Il momento culminante della mia vita non è stato quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita…
    Riuscì a tornare, ma non con tutti i suoi settanta alpini, sempre impressi nella sua memoria, compagni di sventura che poi riunì in un commovente abbraccio in un romanzo di notevole bellezza.
    Dopo un periodo di prigionia nei lager tedeschi, terminata la guerra, s’impiegò al catasto di Asiago, si sposò ed ebbe tre figli. Nel frattempo decise di raccontare la sua esperienza di quella drammatica ritirata e nacque così uno dei suoi capolavori, Il sergente nella neve, che venne pubblicato nel 1953 grazie all’interessamento di Elio Vittorini, da lui conosciuto due anni prima.
    Questo romanzo non è semplicemente il frutto di un’esperienza vissuta personalmente, non è cioè e la cronistoria di un evento occorso all’autore, ma per la capacità di analisi, di estrapolazione dei fatti e per il messaggio pacifista che ne emerge raggiunge vette di universalità su tematiche di interesse generale che lo rendono un’opera di ampia e rilevante completezza.
    L’autore ha saputo ricreare l’atmosfera in modo tale che il coinvolgimento è totale; si legge, e poco a poco si è presenti al caposaldo, ci si trova intorno al tagliere con la polenta di segale, si vivono le pericolose ore dello sganciamento, e infine si cammina, si combatte, si patisce la fame, si soffre il freddo, si prova l’angoscia della lunga ritirata.
    Già questo è molto, ma Il sergente nella neve è assai di più, è un’opera dove è sempre presente la natura, ammirata anche quando è inclemente e con pagine in cui si respirano lo sgomento e l’attrazione per la grandezza nell’universo, ed è inoltre un’ode sommessa a una virtù ormai purtroppo desueta, la pietà.
    Così, fra un combattimento e l’altro, descritti magistralmente, c’è il tempo per le riflessioni di fatti appena accaduti e che nel trascorrere del tempo (l’opera verrà ultimata qualche anno dopo quel tragico 1943) si sfumano per scoprirne gli aspetti più reconditi. E’ il caso del pasto consumato in un’isba insieme a dei soldati russi, in una pausa della battaglia di Nikolajewka. Al riguardo la riflessione di Stern è quanto semplice ed efficace: “In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini.”
    C’è tutto il senso della pietà, prima per se stessi e poi per gli altri, c’è quella comprensione della propria e dell’altrui debolezza, c’è una ritrovata umanità che supera ogni barriera e confine.
    E’ un grandissimo messaggio di pace di un uomo che, partito volontario per la guerra, ne ritornerà maturato, ma soprattutto consapevole dell’autentica dignità di ogni essere umano.
    Quello che poi sorprende in questo primo romanzo è la capacità di prosa poetica che ha l’autore, con quelle descrizioni brevi, ma ispirate, del firmamento, del Don, della pianura ghiacciata. Sono stacchi che non sono avulsi dalla narrazione, ma che si innestano nella stessa in modo preciso e solo quando serve, a riprova di un’esperienza professionale innata.
    Al riguardo Rigoni Stern si supera nelle ultime pagine con quella ritrovata serenità nel caldo di un’isba e con le ragazze russe che filano la canapa cantando le loro canzoni popolari.
    Nonostante il successo, occorsero ben nove anni prima che Rigoni Stern vedesse pubblicato un altro suo libro, Il bosco degli urogalli, una raccolta di racconti, per lo più imperniati sulla caccia, in cui il contatto dell’uomo con la natura diventa centralità e di fatto dà vita a un filone di grande pregio in cui l’autore asiaghese diventerà insuperabile. La lunga marcia sulla neve per avvicinarsi alle prede, il silenzio dei monti nel freddo dell’alba, i boschi in cui si svolge la contesa donano un tocco di magia grazie a una vera e propria prosa poetica e danno l’idea di un ritorno dell’uomo alle origini, quando era in armonia con la natura.
    Anche questo libro fu un successo, ma non ne seguirono subito altri, soprattutto perché il lavoro impegnava e fu solo nel 1970, quando lasciò l’occupazione, che poté dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore.
    Nascono così nel 1971 Quota Albania, sulla sua esperienza bellica, e nel 1973 Ritorno sul Don, in cui in parte completa la narrazione della campagna di Russia e in parte racconta un viaggio in quelle terre che videro la drammatica ritirata, effettuato però una trentina di anni dopo.
    Sono buoni libri, ma non ripetono qualitativamente Il sergente nella neve e Il bosco degli urogalli.
    Bisognerà attendere ancora cinque anni, il 1978, quando uscirà un altro capolavoro, Storia di Tönle, premiato con il Campiello e con il Bagutta.
    E’ un nuovo filone, quello della memoria, delle origini della sua gente di Asiago, una comunità che in Stern assurge al valore di unica e autentica patria.
    Tönle Bintarn è un contadino, un pastore, un contrabbandiere per necessità che per sfuggire a una condanna vaga per tutta l’Europa austro-ungarica, adattandosi a fare a qualsiasi lavoro, ma sempre con la speranza di tornare, l’unica vera forza che lo sostiene nonostante le fatiche e le privazioni. Questo piccolo grande uomo è legato inscindibilmente alla sua terra, all’alternarsi delle stagioni sia della natura che della vita. Non c’è evento che possa fermarlo, non c’è nulla che possa dissuaderlo, perché lui è ed esiste solo in funzione di quella piccola patria fra i monti.
    Ritornerà, subirà i contraccolpi della Grande Guerra e della Strafenspedition, di cui sarà vittima senza che ci siano carnefici. La violenza di un conflitto non lo ferma, sempre va, sempre resiste, per poter tornare a quei luoghi a lui indissolubilmente legati e che sarà costretto a vedere distrutti, profanati dalla malvagità degli uomini.
    In lui non c’è odio, ma solo tristezza e come in una storia dove c’è sempre un inizio e una fine, Tönle Bintarn sa quando tirarsi da parte e comprendere che per lui è arrivata l’ultima stagione.
    E’ un romanzo di rara e stupefacente bellezza, un omaggio di Stern alla sua gente e che verrà degnamente completato nel 1985 da L’anno della vittoria, che racconta invece del ritorno della comunità ai suoi luoghi natii, dopo essere stata costretta a lasciare l’altopiano ed Asiago a seguito dell’attacco austriaco.
    Sono pagine di intensa commozione, con donne, vecchi e bambini, che, a guerra finita, s’incamminano per raggiungere le loro vecchie case, che troveranno distrutte in uno sconvolgimento che interessa anche i prati, i boschi, le sommità dei loro monti, al punto da faticare a riconoscerli. E poi ci sono trincee, proiettili inesplosi e tanti, tanti, troppi morti insepolti.
    I giorni sono difficili, senza più un tetto, senza forse un futuro, ma la comunità viene prima di tutto e a poco a poco si ricompattano, si aiutano, si danno da fare, riacquistano quella dignità di uomini liberi e di popolo che la diaspora sembrava aver soffocato.
    E’ gente mite, laboriosa, il cui contatto continuo con la natura è un’inderogabile necessità; non saranno molti quelli istruiti, ma tanto hanno da insegnare a tutti, noi compresi, come il simpatico vecchietto Tana che, durante un’escursione con due compaesani, si imbatte nei resti di un accampamento austriaco, al centro del quale troneggia una forca.
    La sua osservazione al riguardo è di una logica ferrea ed estremamente umana: “ Da noi li fucilavano, qui li impiccavano. E invece la loro colpa era di aver avuto paura e di voler vivere.”.
    E’ un pacifismo che viene dall’animo, senza retorica, come molte altre pagine di questo stupendo libro.
    La storia di Tönle è un romanzo sull’uomo, sul suo innato sentimento per la terra dove è nato e vissuto, sulla nostalgia che prevale su ogni evento e che fa della battaglia per il ritorno a casa un inno al concetto di patria come luogo dei propri affetti.
    L’anno della vittoria è invece un’opera corale, dove uomini come Tönle, riuniti, esaltano il concetto di comunità, di identiche radici, indissolubili, inalienabili, tali da superare ogni difficoltà purché sempre solidali, in un’unica grande famiglia per cui vale la pena di vivere e di lottare.
    Successivamente, nel 1986, esce Amore di confine, una raccolta di quarantaquattro racconti, del tutto autobiografici, che rinsaldano il concetto di comunità. Nella varietà delle trame, nell’apparente semplicità dello stile dello scrittore che, fra le sue caratteristiche, ha una propensione colloquiale che induce il lettore a pendere dalle sue labbra, anche questo libro riveste caratteristiche qualitative di indubbio elevato livello.
    Occorrerà però attendere ancora qualche anno per vedere un altro capolavoro. Nel frattempo Stern scrive un libro un po’ particolare, Arboreto salvatico, ricco di annotazioni botaniche, ma non tanto da costituire un testo specializzato e quindi essere di poco agevole lettura; ogni tanto ci sono richiami a fatti di cui l’autore è stato protagonista o testimone che impreziosiscono l’opera, così come i richiami a quanto altri hanno scritto della natura, come nelle commoventi ultime pagine, dedicate al ciliegio. C’è così la visione di una vecchia casa contadina, vuota e abbandonata, ora posta in vendita per costruire un condominio per i villeggianti, così che il vecchio ciliegio che nei pressi vi dimora da tantissimi anni e che porta le ferite della prima guerra mondiale sarà inesorabilmente abbattuto.
    Nell’autore c’è l’autentico sincero dolore di Ljubov Andreevna quando è costretta a vendere i suoi amati alberi nel Giardino dei ciliegi di Cechov.
    “Mio caro, dolce, meraviglioso giardino…Vita mia, giovinezza mia, felicità mia. Addio!…Addio.”
    Con il ciliegio di Asiago che verrà abbattuto se ne va un amico, un testimone e protagonista di gioventù, se ne vanno ricordi, emozioni passate, se ne va un pezzo dell’autore.
    Per quanto opera minore, Arboreto salvatico resta un testo di assai piacevole lettura e in cui sono presenti tutte le caratteristiche di Rigoni Stern, ma soprattutto quella indispensabile perfetta unione dell’uomo con la natura.
    Nel 1995 esce Le stagioni di Giacomo, premio Grinzane Cavour, il capolavoro di cui accennavo prima.
    E’ un romanzo struggente su una gioventù che non poté conoscere le gioie della vita tipiche della sua età, su un mondo di miseria e di fame in cui tuttavia fiorivano la solidarietà e il mutuo soccorso, su un fascismo retorico e tronfio che non solo non permise a tanti, a troppi di vivere dignitosamente, ma che sacrificò inutilmente in una guerra non sentita proprio quei figli che avrebbero dovuto rappresentare l’avvenire.
    Giacomo, l’amico di Mario Rigoni Stern, non può essere bambino, ma si deve adattare a qualsiasi lavoro pur di sopravvivere. Così segue le orme del padre diventando un recuperante, cioè raccogliendo quanto di bellico è rimasto sull’altopiano. E’ un lavoro duro, pericoloso e anche poco remunerato, ma è l’unico possibile, perché il regime, nonostante le promesse, non è in grado di creare nuove occasioni di occupazione, se non per periodi limitati e sempre legati al suo mondo irreale dove conta solo l’apparenza.
    Giacomo è la tipica figura del ragazzo diventato troppo presto uomo, ma che, nonostante le avversità, riesce a cogliere i valori della vita, con quel senso di umiltà che è proprio di chi è povero di beni materiali, ma ricco d’animo.
    Conoscerà anche l’amore, un sentimento delicato delineato in modo magistrale, una storia che non potrà aver seguito, perché la tempesta della guerra non restituirà il protagonista al suo altopiano.
    Questo è un romanzo che dovrebbe entrare di diritto nei programmi scolastici, affinché i giovani di oggi abbiano quella memoria di un passato ancor recente che a loro è stata preclusa da un insensato sistema che promette un inarrivabile benessere di tipo solo materiale.
    Come al solito stupisce lo stile di Mario Rigoni Stern, quella capacità di narrare come se fosse davanti al lettore e con pacatezza gli raccontasse la vita di questo suo grande amico.
    Le stagioni di Giacomo si concludono con il gelido inverno della campagna di Russia.
    Successivamente usciranno altri libri di racconti, tutti di buon livello, come Sentieri sotto la neve, Inverni lontani, Tra due guerre e altre storie, L’ultima partita a carte, Aspettando l’alba e altri racconti, I racconti di guerra, libri di sicuro interesse e di piacevole lettura, ma che non possono essere definiti dei capolavori, per quanto perfettamente inseriti nel ciclo letterario dell’autore.
    Rigoni Stern è da tanto che scrive, gli anni cominciano a passare, i ricordi poco a poco prendono il sopravvento sul presente. Non si è inaridita la vena creativa, ma non riesce a cogliere qualche cosa di nuovo. E’ forse tempo di bilanci, di riflessioni su ciò che si è fatto e su cu quello che invece si è dimenticato, o ci è stato impossibile fare.
    Il talento e la creatività hanno un ultimo guizzo in un’opera di sublime bellezza e così nel 2006 esce Stagioni.
    Questo volume infatti parla stagioni, sempre uguali nel loro avvicendarsi e pure sempre così diverse.
    Ma non si tratta solo dei periodi dell’anno, bensì anche di quelli di una vita e in questi riemergono i ricordi dei predecessori che già vissero quelle stagioni.
    Mario Rigoni Stern ci offre un’opera straordinaria, frutto di esperienza di vita, di profondo rispetto e amore per la natura.
    Le sue parole scendono sulla carta svolazzando come fiocchi di neve, le osservazioni, le memorie si accavallano, dando luogo a una narrazione in apparenza discontinua, ma che finisce con l’avvincere in modo inequivocabile.
    L’autore comincia con l’inverno (Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita) e la neve è lo sfondo di scenari che si avvicendano, fra il presente del bosco e il passato della drammatica campagna di Russia, emblemi della natura e della violenza dell’uomo.
    Gli eventi del tempo trascorso sono giustamente mediati, quasi un intermezzo del presente, invece vivo, vitale, emergente dalle pagine con il profumo dell’aria, i richiami degli animali, lo scenario che prende corpo e che idealmente sembra che compaia di fronte agli occhi.
    Ecco, questa capacità di trasmettere, di dare vita a immagini che toccano tutti i sensi è semplicemente sbalorditiva e suscita un’emozione che cresce pagina dopo pagina.
    Dopo l’inverno viene la primavera (Sensi e fantasia ti aiutano a scoprire la primavera del bosco, che è misteriosa, segreta, viva), con l’odore fresco dell’erba bagnata, con i trilli delle allodole, con il risveglio di tutta la natura, ma anche con il percorso nel bosco dello scampato al lager tedesco, l’inizio esaltante della ritrovata libertà; i ricordi in una stagione viva sono più numerosi e così si passa da una visita a Versailles durante il crepuscolo alla figura del nonno adorato, che fumava i sigari Virginia e che ora riposa con i suoi vecchi compagni “nati sotto Francesco Giuseppe e morti sotto Vittorio Emanuele”.
    L’estate ha le sue caratteristiche (L’estate in montagna è sempre breve; anche la notte estiva è breve a rinfrescare l’aria; la luna calante e il crepuscolo dell’alba, con le due diverse tonalità, creano una luce sparsa sulle cime e nell’alta valle, ma dentro il bosco la notte ancora non si dissolve.), con le femmine del cervo che si appartano per dare alla luce i piccoli e con il taglio rituale del bosco, ma anche con memorie più estive, come la storia di Nello del Dosso o le vacanze nel Salento, o in Croazia.
    E infine arriva l’autunno (Le foglie degli aceri montani hanno preso la luce dall’ambra e la brezza del mattino le stacca dai rami, adagiandole al suolo).
    Il sottobosco è rigoglioso ed è la stagione buona per la caccia, magari per una battuta a Naturno, quasi un rito di origini antiche; ma è anche un’ultima stagione, con il toccante episodio dello zio Arrigo che, ormai molto anziano, si trascina faticosamente sull’altipiano a rivedere i luoghi dove ha combattuto durante la prima guerra mondiale, a rievocare e a risentire l’incombenza della morte, quasi il tentativo di esorcizzarla ora che per lui la vita volge al termine.
    A questa stagione si accompagna una dolce malinconia e il libro si chiude, così com’era iniziato, con le avvisaglie di neve, un perpetuarsi di stagioni, di nascite e di morti, un infinito ciclo vitale.
    Leggere questo libro è come scrutare dentro l’anima dell’autore, riscoprire con lui i valori di un’esistenza semplice, in perfetta sintonia con la natura.
    Non c’è una pagina che sia inferiore all’altra e tutto è in perfetto equilibrio, come la vita di un uomo che è in pace con tutto e con se stesso.
    Stagioni è stato il canto del cigno, il messaggio finale che compendia tutta l’opera di un autore fecondo che ha lasciato una traccia indelebile nella letteratura.
    Poi è venuta la malattia e l’ultima stagione si è avviata alla conclusione.
    Mi sarebbe piaciuto conoscere di persona Mario Rigoni Stern, sarebbe stato un mio grande desiderio sedermi davanti a lui e guardarlo negli occhi.
    Sono sicuro che avrei potuto vedere Giacomo che con suo padre va alla ricerca di residuati bellici su un altopiano ancora sconvolto dalla guerra, fra trincee appena celate dalla natura che lenta riprende il suo posto. E poi si sarebbero susseguite altre immagini, come il ritorno degli sfollati in un’ Asiago completamente distrutta, il loro iniziale scoramento, ma poi la volontà di ricominciare, tutti insieme, uniti come una grande famiglia, oppure il sorriso del vecchio Tönle che continua a camminare lungo le strade dell’impero austriaco per guadagnare qualche cosa per sé e per i suoi, con il pensiero sempre rivolto alla sua terra. Né avrebbe potuto mancare la figura dell’alpino Giuanin, che chiede al sergente maggiore Mario Rigoni Stern “ Sergentmagiù ghe rivarem a baita?”
    Sono immagini vive, sempre presenti in me, perché l’autore le ha vissute così intensamente da saperle trasmettere con le sue parole.
    Mario Rigoni Stern ha scritto della sua vita, ma ha saputo cogliere nel particolare quell’essenza eterna che è propria di ogni uomo. Non c’è finzione nei suoi libri, non c’è invenzione, ma solo una realtà che l’ha toccato e che lui con la sua sensibilità è riuscito a tradurre magistralmente in parole. Anche il fatto più umile, quello che potrebbe essere quasi insignificante diventa così “il fatto”, non un fatto, assurge a motivo di profonde riflessioni, viene recepito come parte di noi, come evento che potrebbe toccarci.
    E’ forse questa la grandezza di questo autore, cioè questa capacità di saper cogliere nel particolare tutto quello che può essere un patrimonio comune, e lo fa con delicatezza, con accenti spesso poetici, riuscendo a infondere, nonostante argomenti anche dolorosi, una grande serenità, la stessa serenità che albergava nel suo cuore.
    E’ morto verso gli inizi dell’estate astronomica, ma a me piace pensare che avrebbe desiderato incamminarsi in un bosco innevato, raggiungere un bell’abete, sedersi appoggiando la schiena al tronco, nell’attesa di quell’ultimo sonno che tanti soldati ha colto nella ritirata di Russia.
    Avrebbe ascoltato il cinguettio di qualche uccello e il sospiro del vento fra i rami e quando si sarebbe accorto che il corpo ormai gelido avrebbe intorpidito anche i sensi, sono sicuro che avrebbe detto queste ultime parole:
    “Giuanin, sèma rivà a baita.”.

  36. Anche Renzo è stato preziosissimo per la riuscita del libro, andando a scrivere di uno scrittore e di un uomo che ho amato moltissimo ed ha lasciato un grande vuoto con la sua scomparsa. Mario rigoni Stern non sarà dimenticato facilmente. Grazie Renzo, di cuore.

  37. @Gaetano: Bonaviri, che piace molto pure a me, è uno straordinario autore di fantastico, ma di una forma particolare, perchè attraverso un percorso metafisico rioesce a dare una rappresentazione realistica della natura umana. In lui non esiste una vena satirica, ma eventualmente solo un velo di ironia con cui riesce a esprimere metaforicamente il più grande sconosciuto fra gli esseri viventi: l’uomo.

  38. E poi c’è l’intervista alla grande Giorgia Lepore che ha esordito con un romanzo che reputo tra i più belli che abbia letto negli ultimi anni.

    Questo lo posto io.

    Una passeggiata nella Storia con Giorgia Lepore.
    L’abitudine al sangue

    di Salvo Zappulla
    Un uomo programmato per diventare macchina da guerra. Nel regno di Bisanzio non è concesso trasgredire gli ordini dell’Imperatore. E se quell’imperatore è tuo padre, la devozione alla causa deve essere totale. Ma Giuliano è un uomo di pensiero, oltre che d’azione, e sa volgere lo sguardo verso l’alto alla ricerca di una Guida che sappia trasmettergli valori ben più nobili delle guerre, le terre da conquistare, nemici da decapitare. Non se la sente di sterminare un intero popolo e fa la sua scelta: coraggiosa, determinata, irrimediabile. Giorgia Lepore, archeologa e scrittrice, in questo suo romanzo d’esordio (L’abitudine al sangue, Fazi Editore, pagg. 295, €18,00) racconta una storia di grande valore spirituale, intensa, commovente, drammatica. Un romanzo storico molto sui generis. Una favola piuttosto, una favola di quelle che i grandi vogliono sentirsi raccontare, per poter sperare che le cose belle nel corso della Storia siano accadute veramente e possono accadere anche nel futuro. Giuliano, il protagonista, è di uno spessore tale, di una forza così prorompente da renderlo unico nel suo genere. Un eroe, capace di grandi riflessioni e grandi azioni. Si carica sulle spalle le miserie dell’umanità intera, non si arrende mai e quando sente di traballare ricorre alla sua profonda fede. Incarna quanto di meglio possa esprimere un uomo, spinge all’emulazione, al desiderio di ricongiungersi con Dio. Anche gli altri personaggi che ruotano attorno a lui sono destinati a lasciare il segno. L’autrice ci pone e si pone significativi quesiti esistenziali: fino a che punto l’uomo è padrone del proprio destino? E fino a che punto è vittima del ruolo cui è stato destinato? Tutta la storia regge, si dipana senza sosta alcuna, intriga, coinvolge, appassiona. A un certo punto la narrazione procede a due voci e qui Giorgia ha dato il meglio di se stessa. L’una fa da sostegno all’altra, un duetto di irresistibile coralità, due echi che si richiamano, si inseguono, si cercano regalandoci pagine di splendida letteratura.

    Giorgia Lepore, archeologa, ricercatrice presso la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Paleocristiana e Altomedievale dell’Università di Bari. Oltre a numerosi articoli e saggi su riviste specializzate, ha pubblicato la monografia Oria e il suo territorio nell’altomedioevo (2004), e contributi presenti nel volume Puglia Paleocristiana (a cura di G. Bertelli. 2004). Vive a Martina Franca. L’abitudine al sangue è il suo primo romanzo, pubblicato con Fazi editore.

    La incontriamo mentre sgranocchia un panino con mortadella di mammut, seduta su una tomba etrusca.

    D. Giorgia: archeologa, scrittrice di romanzi storici, insegnante. In quale di questi ruoli ti identifichi meglio e quali soddisfazioni ti hanno dato?
    Diciamo che sono un po’… incostante, per usare un eufemismo. Vado a periodi, ci sono delle fasi nella mia vita, dei cicli, che ritornano. L’archeologia è stato il primo grande amore, decisi che avrei seguito quella strada quando avevo 15 anni. Però contemporaneamente scrivevo, solo che non avevo mai avuto il coraggio di arrivare fino in fondo. Perciò cominciavo qualcosa, poi la lasciavo sempre a metà. Con “L’abitudine al sangue”, invece, è stato diverso, l’ho scritto di corsa, perché avevo paura che se mi fermavo non avrei più continuato. Poi mi sono accorta che avevo per le mani una cosa compiuta e non me la sono sentita di lasciarla in un cassetto.
    Però, devo dire, quando qualcuno mi chiama “scrittrice” mi sento a disagio. Non mi considero tale, perciò dico che sono solo un’archeologa che ha scritto un libro. Per essere scrittori ci vuole ben altro.
    Passando all’insegnamento, il discorso è complicato… è un lavoro che non volevo fare per niente al mondo, troppo negativa l’esperienza con la scuola avuta da adolescente. Poi è capitato per caso… e mi è piaciuto. Mi è piaciuto al punto che ho cominciato a pensare di lasciare l’altro lavoro per insegnare. E poi invece sono tornata indietro, e poi di nuovo ci ho ripensato, e insomma è un tira e molla che dura più o meno da dieci anni. Il fatto è che mi piacciono tutte e due le cose, e le soddisfazioni non mancano da una parte e dall’altra, professionali sul versante archeologico, umane su quello scolastico. Per complicare le cose, si è aggiunta la scrittura, che mi ha dato una felicità nuova, diversa, che non avevo mai conosciuto. Però dura poco, giusto il tempo di finire il libro. Poi ti senti svuotata, come dopo un parto. Infatti, dico sempre che ho avuto la “depressione post partum” (che è una cosa serissima, però visto che sono madre di due figlie credo di potermi prendere il lusso di scherzarci sopra), quel misto di angoscia, ansia, paura; la strana sensazione che una cosa tua, solo tua, ora invece non lo è più.
    Insomma, sono un’archeologa che ha scritto un libro e che ha deciso di dedicarsi all’insegnamento. Almeno per ora. Magari tra qualche anno faccio altro, potrei sempre aprire un ristorante. Certe volte ci penso, un bell’agriturismo con vista sulla Valle d’Itria…

    Hai esordito in campo letterario con il romanzo “L’abitudine al sangue” edito da Fazi, a mio parere una prova di grande spessore. Giuliano, il protagonista, figlio dell’Imperatore, si erge come un gigante nell’economia del romanzo. Quanto di ciò appartiene al contesto storico, e quanto alle tue capacità inventive?

    Come dire se un figlio assomiglia tutto alla mamma o se ha preso tutto dal padre… è molto difficile rispondere a questa domanda. Il contesto, la conoscenza del contesto che per me è stata praticamente vita quotidiana, oggetto di studio per tanti anni, ha sicuramente condizionato moltissimo la mia fantasia. Mentre scrivevo, mi sembrava di mettere giù cose già sentite, ma al momento non capivo bene dove. Solo col passare del tempo mi rendevo conto che nelle descrizioni di Giuliano c’erano echi di quanto avevo letto nelle fonti, Ammiano Marcellino soprattutto, ma anche Procopio, Costantino Porfirogenito; che quando parlavo di Johannes e del monastero risentivo in testa le cronache monastiche altomedievali, e così pure per le descrizioni, i posti.
    Mentre scrivevo la parte del monastero stavo lavorando in un frantoio rupestre, e mentre scrivevo del posto dove dormiva Giuliano pulivo un giacitoio scavato nella roccia. Insomma, questo per dire che le suggestioni che derivano dalle mie conoscenze e dal mio lavoro hanno avuto un ruolo determinante.
    D’altra parte, però, la storia è inventata. Non mi interessava fare un romanzo storico “classico”; ho inventato un pezzo di storia che non esiste, il mio è un gioco, una favola, un’astrazione. Lo stesso personaggio di Giuliano riassume in sé molti protagonisti della storia bizantina, di cui ha alcune caratteristiche, senza però essere identificabile: Giuliano l’Apostata e Basilio II, per esempio. Tutto il romanzo è costruito così: ci sono innumerevoli riferimenti, anche precisi, però sono nascosti, criptati, messi insieme in un ordine nuovo.

    D. Ho trovato nel tuo testo pagine di intensa spiritualità, oltre a una prosa estremamente lirica, passaggi di profonda meditazione. E’ un libro il tuo da consigliare a tanti ragazzi che inseguono modelli effimeri. Qual è il tuo rapporto con Dio?

    Litighiamo spesso. Però poi facciamo pace.
    Scherzi a parte, il libro coincide con un preciso percorso in questo rapporto, e all’inizio non sapevo precisamente quale sarebbe stato il punto di arrivo. Scrivere non è per me un mezzo di espressione, ma uno strumento di conoscenza. Perciò, attraverso Giuliano, ho avuto modo di sistemare alcuni… dettagli.

    Assistiamo giornalmente a spettacoli indecenti da parte di chi dovrebbe invece dare il buon esempio, una corsa ad accaparrarsi il potere e gestirlo per fini tutt’altro che nobili. Quali sono i valori della vita?

    La vita in sé dovrebbe costituire già un valore, senza bisogno di valori aggiunti, no?
    I valori cambiano a seconda dei contesti, e delle situazioni. Onore, patria, sacrificio, famiglia, sono stati valori considerati assoluti in tempi a noi non molto lontani: per noi oggi forse sono solo parole.
    Per trovare valori assoluti si dovrebbe cercare cosa è rimasto invariato nelle varie fasi storiche dell’umanità, e cosa si trova di trasversale in civiltà e culture diverse. Ben poco, mi pare. Volendo fare una sintesi, mi viene in mente solo una cosa, che in sé ne riassume moltissime e ti rispondo con le parole di Giuliano: “ora so che è la mancanza d’amore la rovina del mondo”.
    Ma credo che definire l’amore un valore sia assolutamente riduttivo.

    D. Il protagonista del tuo romanzo rinuncia alla gloria, al regno promesso. Rifiuta di seguire un destino che altri hanno deciso per lui. E’ un eroe? Un perdente? Un sognatore?
    Tutte e tre le cose, immagino. D’impulso, mi verrebbe da dire che è soprattutto un perdente, uno sconfitto. Ma chi non sogna non perde mai, e i sognatori sono tutti un po’ sconfitti. E chi è un eroe d’altra parte perde sempre, perché se vince non è un eroe, ma un vincitore. E non è la stessa cosa.

    L’Imperatore, il padre di Giuliano, sembra un uomo privo di scrupoli. Lo è veramente? O è solo un uomo vittima del proprio ruolo?

    Il personaggio del padre è uno dei più complessi, contraddittori, e anche dei più belli.
    Vittima, sicuramente. Del proprio ruolo, della propria vita, ma anche dei suoi tempi, del suo destino, della sua incapacità di amare nella giusta maniera. L’amore, una malintesa idea dell’amore, può provocare disastri… Vittima della storia, si potrebbe dire. Di se stesso e del contesto. Credo che sia il paradigma di molti uomini di potere, del passato come del nostro tempo.
    E in qualche modo, seppure con modalità diverse, incarna l’impossibilità da parte di ognuno di essere se stesso, senza condizionamenti esterni. C‘è una frase di Giuliano: “Se fossimo stati altrove e altro da ciò che eravamo”… Un imperatore tiranno sarebbe stato un buon padre, un rapporto di potere sarebbe stata una semplice relazione padre-figlio.
    E poi attraverso di lui mi sono chiesta: esistono davvero persone che sono solo carnefici? Ora, come in passato? Non ho certezze su questo punto, e forse spero di non averle mai, spero di riuscire sempre a trovare una ”uscita di emergenza” per tutti.

    D. Illustra ai lettori un buon motivo per leggere il tuo libro
    Perché è bello.

  39. Anche da parte mia mi sento di dover fare i complimenti per l’impegno che Salvo mette nel curare, coccolare, vezzeggiare Pentelite e il suo concorso. Lo seguo da qualche anno e dico che merita la stima e l’affetto con cui, ho notato, lo circondate. Un cordiale saluto a tutti.

  40. Caro Salvo e Renzo, anch’io ho amato Rigoni Stern. Ho incontrato lo scrittore nel 1994, nel suo Altipiano, ad Asiago. E ho pubblicato una sua intervista nel 2006: aveva voluto rispondere alle mie domande per lettera, con la sua scrittura antica, a penna.
    Il 21 marzo, il primo giorno di primavera, è stato per me, per diversi anni, un appuntamento dedicato all’invio di due cartoline di auguri primaverili: una era per Bonaviri e l’altra per Rigoni Stern. Conservo gelosamente alcune lettere e cartoline dei due grandi scrittori.
    Ed è per me molto importante trovare riunito su “Pentelite 2010” un omaggio ai due grandi scrittori.
    Grazie.
    Renzo, leggerò con molta attenzione tra poco il tuo testo.
    P. S. Fuori tema:
    ho letto in questi giorni un romanzo breve bellissimo: “Pianoforte vendesi” di Andrea Vitali

  41. salvo zappulla… chi era costui?
    ———-

    C’era una volta un Salvo
    che scrisse un’ode a Silvio
    e il Salvo si salvò
    nel senso che fu assolto.
    Si può ben dire, o Salvo,
    che fosti di Silvio al soldo?
    O per amor salvifico
    Silvio ti fu salvator?
    Salvo, rimembra ancora
    di Silvio il silvano volto,
    quando in selva oscura
    salvezza ti arrecò.
    O Salvo, Salvo, Salvo,
    porta rispetto al Silvio,
    e non ti scordar che un giorno
    il c….apo ei ti salvò.

  42. @Giorgia. No. Dopo questa promiscuità tra me e Silvio sei squalificata vita natural durante.

  43. @Cinzia. Carissima Cinzia. Grazie anche a te. Cinzia Baldini è la vincitrice del nostro concorso anno 2009 per la sezione narrativa. Il nostro intento è anche quello di scovare talenti e farli emergere. Cinzia è destinata a far parlare di sé.

  44. @ Renzo
    Bellissimo e commovente il tuo testo su Rigoni Stern. Scrivi: “Il sergente nella neve” (…) “è inoltre un’ode sommessa a una virtù ormai purtroppo desueta, la pietà”.
    *
    Ricordo di aver avuto tra le mani una foto di Rigoni Stern da lui spedita molti anni fa ai ragazzini d’una scuola di Padova. Nella foto c’era lo scrittore con un cappello a larghe falde in testa, e il suo bel cane da caccia a fianco, entrambi in primo piano. Nel retro della fotografia aveva scritto a mano: “Quello con il cappello sono io”.

  45. Troppo buono Salvo…
    spero di meritare le tue lodi e grazie per l’opportunità che a me e a tutti gli “illustri sconosciuti” dai con la visibilità attraverso Pentelite… in questo periodo di oscurità totale non è poco :-)).

  46. Guarda che ci deve essere un errore. Io scrivo solo cose serie. Notoriamente, gli archeologi sono tipi un po’ pesanti…
    Va bè, lo sai che non sono brava nei complimenti. Preferisco gli scherzi.
    Un grande abbraccio a te e a Pentelite, che potremmo definire una tua “appendice cartacea”. Lo so che ci tieni molto, e penso che il tuo lavoro si veda ampiamente nei risultati.
    Contenta di esserci, e soprattutto di averti conosciuto.

  47. Bravo Salvuccio! Brava Mari! E’ una bellissima edizione questa di Pentelite e gli articoli sono tutti interessantissimi!
    E’ stato come trovarvi tutti in un solo luogo…un po’ come avviene qui!
    Un bacio!

  48. … senza dimenticarmi degli altri intervenuti: Letizia, Vincenzo, Morena, Marco Vinci, Renzo Montagnoli, Giorgia, Rossella, Gaetano Failla, Cinzia Baldini, Simona…

  49. Più in alto Rossella aveva posto una domanda… la metto in evidenza.

    m’interessano maggiori informazioni sull’estemporanea di pittura organizzata dall’ACIPAS sul tema della legalità.
    Qualcuno può dirmi qualcosa in più?


    Chi è in grado di risponderle?

  50. @Salvo: fingerò di non aver letto ciò che hai scritto. Hai confuso le date, e anche i pantaloncini. Non sei forse tu il fondatore e ideatore di Pentelite? E quindi… O è la tua veneranda età che ti fa perdere la memoria? 😉
    (però qui non è ancora arrivato il postino. e ora nevica di nuovo…)

  51. interessantissima iniziativa… di cui tuttavia sento parlare per la prima volta. Mi sembra di capire che tutto giri attorno al Sud Italia (dai partecipanti agli argomenti)… e per me che sono del profondo Nord, non c’è speranza? Come fare per saperne di più o – meglio ancora – per avere tra le mani la pubblicazione?
    cordialmente

  52. @Simo. Continua a mandare baci in abbondanza, che fanno sempre bene.
    @Morena, Tutti. Ho spedito 60 buste con Pentelite giovedi scorso e fino ad oggi l’unico che mi ha dato conferma del ricevimento è stato Marco Scalabrino di Trapani. Speriamo arrivino, se no sarebbe un bel guaio.

  53. A Rossella avevo già dato risposta. La estemporanea di pittura la cura l’Acipas, è rivolta ai ragazzi di scuola media, scuola Superiore e Università, di tutta Italia. Il bando viene diffuso nelle scuole o si può richiedere presso l’Istituto “G.M. Columba” di Sortino. Se qualcuno è interessato può telefonare e chiedere della Professoressa Teresa Gigliuto.
    @Paola. La nostra iniziativa è rivolta al mondo intero, e stiamo tentando pure di coinvolgere i marziani, non appena saremo sicuri che ci sia vita in quell pianeta. Se vuoi ricevere una copia di Pentelite scrivimi all’indirizzo mail che postero nel bando subito dopo, te ne farò omaggio con piacere.

  54. Associazione Culturale Pentelite

    Mostra-Mercato dell’Editoria Siciliana
    Sortino (SR) 01-02-03 ottobre 2010
    Concorso Letterario Nazionale “Città di Sortino”

    Nell’ambito della Mostra-Mercato dell’Editoria Siciliana che si svolgerà in Sortino (SR) dal 01 al 03 ottobre 2010, l’associazione culturale PENTELITE, con il patrocinio del Comune di Sortino, indice per l’anno 2010 il concorso letterario nazionale “CITTÀ DI SORTINO”.

    REGOLAMENTO
    Art. 1) Il concorso è suddiviso in tre sezioni, è aperto a tutti per opere inedite, senza limiti di età.
    A) Racconto breve, max 5 cartelle (12,000 battute circa), in lingua italiana, a tema libero,
    in cinque copie stampate di cui una sola firmata, completa delle generalità dell’Autore
    con scheda bio-bibliografica dello stesso.
    B) Poesia in lingua italiana, (una sola poesia, a tema libero, compresa in una cartella)
    in cinque copie stampate di cui una sola firmata, completa delle generalità dell’Autore
    con scheda bio-bibliografica dello stesso.
    C) Poesia in dialetto siciliano, (una sola poesia, a tema libero, compresa in una cartella)
    in cinque copie stampate di cui una sola firmata, completa delle generalità dell’Autore
    con scheda bio-bibliografica dello stesso.

    Art. 2) Le opere dovranno essere inviate presso la tipografia Tumino, via Carlentini 3/A, 96010 SORTINO (SR), entro il 30 giugno 2010. Farà fede il timbro postale. Se si vuole partecipare a più sezioni, occorre spedire le opere in buste separate (una per ogni sezione). Ogni autore partecipando si assume la responsabilità sull’autenticità delle stesse.

    Art. 3) Non è prevista alcuna tassa di lettura ma trattandosi di un concorso organizzato nell’ambito di una fiera del libro si chiede, allo scopo di incentivare l’editoria siciliana, che ogni concorrente acquisti un libro edito in Sicilia, inviando euro 15,00 insieme alla busta con il testo. Per quanti non avranno la possibilità di venire in Fiera a scegliere il libro, l’organizzazione provvederà a selezionarne uno e a spedirlo al recapito del concorrente.

    Art. 4) Il comitato di lettura formato dai professori: Nicoletta Coco, Sabina Corsaro, Giuseppe Pettinato, dagli scrittori Rita Charbonnier e Salvo Zappulla, selezionerà cinque opere finaliste per ogni sezione che verranno pubblicate nel libro “Pentelite” (insieme a scritti di autorevoli personaggi del mondo della cultura), giunto alla sua sedicesima edizione, edito da un editore siciliano partecipante alla Fiera. La pubblicazione delle opere non comporta diritti d’autore in quanto Pentelite non viene messo in vendita ma dato in omaggio ai collaboratori e a operatori culturali.

    Art. 5) Le opere finaliste verranno affidate ad una giuria popolare di venti lettori, i quali avranno il compito di votare le tre opere vincitrici. Il conteggio dei voti riportati (ogni lettore selezionerà un’opera) avverrà giorno 02 ottobre 2010, alle ore 19.00 nella Biblioteca del Comune di Sortino. Le buste consegnate dai venti lettori verranno aperte in pubblico. Nome, cognome e professione dei venti lettori verranno pubblicati nel volume “Pentelite”.

    Art. 6) Il primo classificato per ogni sezione riceverà un premio in libri di Euro 100,00 più 3 copie di Pentelite. Tutti i finalisti riceveranno in omaggio 3 copie di Pentelite.
    Ogni partecipante autorizza il trattamento dei propri dati personali ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196
    Art. 7) Per ogni altro aspetto non contemplato nel bando fanno fede le vigenti norme di legge. Per ogni controversia legale è competente il Foro di Siracusa.

    Per ulteriori informazioni telefonare al 3336981694 o scrivere al seguente indirizzo: salvozappulla1@virgilio.it

    Il Segretario Maria
    Sequenzia
    Il presidente
    Salvo Zappulla

  55. Sono stato attratto, leggendo i commenti, dai ritratti del mio conterraneo Mario Rigoni Stern, steso da Renzo Montagnoli, e del siciliano Giuseppe Bonaviri, stilato da Gaetano Failla. Ritratti esaustivi della vita e delle opere di due autori che a ragione vanno giudicati maestri di vita, oltre che maestri della narrativa.
    Molto interessante anche il ritratto, steso da Salvo Zappulla, dell’opera dell’esordiente Giorgia Lepore.
    Maria Lucia Riccioli assicura che il premio “Città di Sortino” rigetta qualsiasi raccomandazione, pressione, intrigo, che notoriamente “condiscono” i premi letterari, non solo i più famosi, tant’è che molti rinomati autori rifiutano categoricamente di parteciparvi.
    Le credo, e le rivolgo la mia ammirazione.
    Buona giornata a tutti, calorosamente.

  56. Tantissimi auguri al bel progetto di Pentelite anche da parte mia. Ho letto gli ottimi brani messi a disposizione.
    Grazie.

  57. @Amelia Corsi. Grazie anche a te.
    Mi scuso per l’anonimato ma scrivo da un computer d’emergenza, il mio si è rotto. In questo periodo non mi funziona nulla.
    Salvo Zappulla

  58. L’acuto spirito
    di Zappulla,
    lieto zampilla….
    dai siculi pori !
    Con lor Signori
    ringrazio Salvo,
    per l’inclusione
    nella brillante,
    colta Edizione.
    Ringrazio pure
    Maria Lucia,
    tenera e dolce,
    amica mia.
    La filastrocca,
    alquanto sciocca,
    si può buttare
    lungo la via….
    Però vi prego,
    siate gentili…
    per non turbare
    tale armonia,
    lasciate in piedi
    Tessy, la racchia
    Santalucia.

  59. Salve, avrei piacere di ricevere una copia del libro Pentelite, essendo appassionato della Sicilia e delle sue suggestioni letterarie e poetiche, oltre che dei suoi paesaggi di luce e di mare. Il mio indirizzo è: Emilio Sarli, Largo San Paolo 30, 84034 Padula (SA). Se mi comunicate l’indirizzo dell’Associazione ho il piacere di inviarvi una copia di un mio racconto, edito nel 2008 e ristampato nel 2009, sul petrolio in val di Noto. Grazie e saluti.

  60. Finalmente il messo comunale di Sortino è giunto stamattina nella lontana Biancavilla (Catania), ‘sperduta’ ai piedi dell’Etna.
    Non conoscevo fino all’anno scorso nè Pentèlite (badiamo all’accento!) nè Salvo Zappulla, il curatore della bella rivista. L’incontro con Salvo è avvenuto proprio in questa sede (galeotto fu Maugeri e il suo blog), quando commentò una iniziativa che nell’ottobre dell’anno scorso si stava cercando di organizzare a Biancavilla, il Festival dell’Utopia (i più fedeli frequentatori di questo blog ne avranno certamente sentito parlare). E’ stato un ‘incontro’ non proprio felice tra me e Salvo. Ma poi le cose cambiarono. Lui mi chiese di scrivere un articolo sulla nostra iniziativa e da allora abbiamo mantenuto proficui contatti. E’ il sottoscritto, quindi, uno dei collaboratori di Pentèlite (badate all’accento…) intercettati da Salvo qui sul blog di Massimo (che saluto con affetto).

  61. Ho letto già gran parte degli interventi raccolti nella prima parte della rivista. Ognuno dei frequentatori di questo blog a cui Salvo ha spedito delle copie della rivista troverà certamente di che leggere. E che articoli! Splendido l’intervento di Rita Charbonnier, specie quando la scrittrice romana ricorda quell’anonimo attore che dopo aver recitato al teatro greco di Siracusa, si distacca dalla Sicilia e da quella esperienza con rammarico, piangendo sul traghetto che lo riporta indietro.

  62. O l’articolo di Veronica Tomassini sull’ultimo libro dello scrittore padovano Giulio Mozzi, uno dei più importanti scrittori italiani delle più giovani generazioni, apprezzato autore di racconti, un genere che l’editoria bistratta a torto. Un articolo, quello di Tomassini, che ha quasi la forma di una lettera rivolta allo stesso scrittore.
    Nella mia libreria avevo già gli otto racconti di “Questo è il giardino” di Mozzi. Mi sa che comprerò anche quest’altro libro, “Sono l’ultimo a scendere”. Veronica ci dice che è anche un libro divertente, che le ha strappato delle risatine gustose.

  63. A proposito di Rigoni Stern, sul quale leggiamo un altro articolo su Pentèlite: sapevate che nel “Sergente della neve” (un libro sulla guerra, come saprete), non è presente la parola NEMICO? I russi, per Rigoni Stern, non erano affatto dei ‘nemici’.

  64. Aspetto che il volume giunga anche agli altri, così che ne possiamo parlare più diffusamente.
    Nell’attesa, desidero ringraziare Salvo per aver dato la possibilità alla nostra manifestazione, il Festival dell’utopia di Biancavilla, di venire accolta nelle belle pagine della sua rivista.

  65. Mi congratulo con Salvo e Maria Lucia per l’iniziativa. Un saluto a Massimo.
    Tra le buste spedite da Salvo e recapitate a piedi dal messo, sicuramente non ce ne è una per me, mi chiedo allora: come si fa ad avere Pentelite?

  66. Tessy, dolce sempre, racchia mai!
    🙂
    Un caro saluto a Mavie… oggi ti chiamo, cara!
    Saluti anche ad Ausilio e a tutti quelli che desiderano ascoltare il messo comunale di Sortino che bussi alla loro porta con… Pentelite!
    Purtroppo queste iniziative editoriali vengono portate avanti più con spirito di sacrificio e volontariato culturale che altro…

  67. Anonomo ero sempre. Oggi proprio non è giornata.
    Emilio. a giorni te lo spedisco. Il tuo lo puoi mandare all’indirizzo che c’è nel bando sopra.
    Antonio. Hai sviscerato già tutto il libro, non occore più agli altri leggerlo. Finalmente sappiamo che sta arrivando.
    Mavie, per te una copia con dedica da Maria Lucia, a siracusa giorno 20

    Salvo zappulla

  68. Ho potuto esaminare un numero di Pentelite e mi e’ parso una rivista molto ben fatta, curata ed intelligente. Bravo Salvuzzo!

  69. @ Sergio caro. Spero che il prossimo anno farai parte del gruppo. Ci manca uno della Slovenia e del Polo Nord, poi abbiamo abbracciato l’intero pianeta.

  70. Va bene, mi voglio sbottonare e rovinare. Manderemo a tutti quanti faranno richiesta da questo blog una COPIA OMAGGIO di Pentelite, per ringraziare Massimo dello spazio che ci dà e per sancire la collaborazione con Letteratitudine.

  71. Per chi non volesse rendere pubblico il proprio indirizzo, può scrivermi nella mail, sopra nel bando, facendo riferimento a LETTERATITUDINE

  72. Salve,Massimo, ciao Salvo, ho appena avuto la rivista (il volume) e ne sono entusiasta: bella la copertina, validi, godibili e non scontati gli interventi. Anche la scelta del panorama letterario contemporaneo mostra di non lasciarsi irretire dietro clichè facili e collaudati ma di sapere guardare al di là,liberi da condizionamenti. Bravo Salvo, brava Lucia. Più tardi leggerò i racconti e le poesie per farmi un’idea del premio.

  73. Ciao Marinella, con te rompo ogni indugio e ti mando un bacione. Grazie per il tuo autorevole parere.

  74. Carissimo Salvo,
    bellissima questa tua iniziativa, ormai storica. Una rivista annuale che compendi il panorama letterario e per giunta arricchita di commenti e interventi è un’idea fantastica, ma conoscendo l’ideatore “uomo dal multiforme ingegno” e la sua validissima collaboratrice, non mi stupisce. Ancora non ho potuto leggere questo nuovo volume, ma se me ne darai la possibiltà lo farò al più presto.

    Maria rita pennisi

  75. @ Salvo:”” Manderemo a tutti quanti faranno richiesta da questo blog una COPIA OMAGGIO di Pentelite. “”
    Tanto poi non arriva… Comincio a pensare che qualcuno abbia impallinato il messo comunale…

  76. Carissima Maria Rita, nessuno ancora mi aveva definito “uomo dal multiforme ingegno”. Grazie. Stamperò la tua e mail per mostrarla a quanti ancora insistono a ritenermi un babbeo.
    Mi farebbe piacere se anche tu l’anno prossimo entrassi a far parte del gruppo.
    Per il libro, fammi avere il tuo indirizzo e provvederò a spedirtelo.

  77. @ Renzo. Io continuo ad essere fiducioso, oggi altre tre persone mi hanno telefonato per confermarmi che i libri sono arrivati, però sono tutti residenti in Sicilia. A questo punto, insospettito, ho contattato il nostro sindaco il quale, molto amareggiato mi ha informato che stanno prendendo i dovuti provvedimenti: pare infatti che quel disgraziato del messo sia rimasto fermo a Messina e si rifiuti ostinatamente di attraversare lo Stretto a nuoto, nonostante l’Amministrazione comunale con grande tempismo e senso di responsabilità lo avesse fornito di pinne e tuta subacquea.

  78. D’accordo con le resistenze del messo comunale (nonostante un plico sia destinato anche a me), penso pure che fare il bagno con tutti quei cannoli nella pancia, accumulati nelle fugaci soste (tre ore a pasticceria) del percorso, non sia salutare.

  79. Carissimo Salvo,
    data la stima che ho per te, sarebbe davvero una gioia e un onore entrare a far parte del tuo staff. Accetto volentieri. Ci sentiremo presto in proposito. Appena possibile ti mando il mio indirizzo e. mail
    Affettuosamente
    Maria Rita Pennisi

  80. Mi giunge voce – sono notizie di corridoio – che il messo comunale (divenuto ormai il messo comunale più noto d’Italia) ha aperto una bancarella a Villa San Giovanni dove vende copie di “Pentelite 2010”. L’intento è quello di ricavare il minimo indispensabile per dotarsi di un’adeguata attrezzatura da sub che gli consenta di traversare lo stretto (ma perché non prende il traghetto?).
    Non sempre il pagamento avviene in denaro. Un’acquirente gli ha offerto, in cambio, una copia dell’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo per metterlo in guardia sui rischi della traversata medesima(sapete com’è… le “fere” sono sempre dietro l’onda).
    😉
    p.s. ogni scusa è buona per promuovere la conoscenza del capolavoro di D’arrigo
    http://it.wikipedia.org/wiki/Horcynus_Orca

  81. Grazie Massimuccio, mi hai salvato la vita.
    Cominciavo a pensare che si trattasse di un libro fantasma, che io stesso fossi un fantasma e non fossi mai esistito

  82. E ancora a: Antonio Lanza, Mavie Parisi, Sergio Sozi, Maria Rita Pennisi… e tutti gli altri che sono tornati a intervenire.
    Grazie a tutti.
    (Spero di non aver dimenticato nessuno).

  83. @salvo zappulla

    Anticipando qualcosina di Pentèlite, intendevo ancora di più stuzzicare l’appetito di tutti coloro che, a causa dell’inspiegabile ritardo del messo d’Italia, non hanno ancora ricevuto il graditissimo volume. 😀

  84. Salvo, oggi ho ricevuto “Pentelite 2010”! (Purtroppo non è vero, ma appena ho letto un riferimento alla Sua Grande Opera, mi è scappata una affermazione, e la sua rapida negazione, in stile silviuccio).

  85. Un caro saluto a tutti.
    Pentelite è una rivista molto interessante, ben fatta, ricca di contributi svariati ed io ringrazio Salvo Zappulla per avermi coinvolta anche nel Concorso letterario per quanto concerne il gruppo di selezione dei testi.
    E’ vero Letteratitudine è stato il luogo che ha dato modo a molti di noi di conoscerci e condividere iniziative ed interessi. Quindi mi complimento con Salvo e la curatrice (la solare e brava Maria Lucia) e mando un affettuoso saluto all’uomo dalla camicia celeste, alla dolcissima Simona e a tutti gli altri.
    Sabina

  86. @Antonio. Grazie per la tua testimonianza, sei in gamba.
    E un saluto ad Angelino che avevo dimenticato.
    @ Gaetano+ Renzo. Vi dò una buona notizia: abbiamo sostituito il messo. Quello nuovo è partito da Sortino stamattina, un ragazzo sveglio e dal passo svelto, opportunamente equipaggiato di pattini a rotelle e canotto gonfiabile. Se tutto va bene entro Pasqua i libri arriveranno anche da voi.

  87. Mi aggrego, mio malgrado, con notevole ritardo alla animata e simpatica discussione. Da parte mia, per alleggerire un po’ la croce del nostro SalvoZeta, posso confermare di avere ricevuto i volumi di PENTELITE già in data 8 febbraio u.s. Ma, capite bene, da Sortino SR a Trapani è tutta discesa. Quanto al volume, è decisamente bellissimo (i complimenti ai curatori, SalvoZeta e Maria Lucia Riccioli) e pregevoli sono gli elaborati e gli autori proposti da Sebastiano Burgaretta a Morena Fanti, da Marinella Fiume a Rina Brundu, da Rita Charbonnier a Renzo Montagnoli, da Simona Lo Iacono a Gaetano Failla e via via tutti gli altri. GRAZIE, dunque, a SalvoZeta per avermi coinvolto in questa splendida avventura e speriamo che, nonostante l’agguerrita concorrenza, si ricordi ancora di me per la prossima edizione. A tutti un cordiale saluto, Marco Scalabrino.

  88. Un caro saluto anche a Sabina e a Marco per la loro preziosa testimonianza. I libri arrivano, non si sa quando ma arrivano. So già che Gaetano e Renzo, malfidenti come sono, stanno pensando che non siano mai partiti.

  89. Salvo, sono talmente fiducioso dell’arrivo di Pentelite che ormai da giorni attendo sulla porta di casa il postino il quale, dopo avermi comunicato la triste notizia dell’ennesimo ritardo, mi abbraccia e asciuga le mie lacrime con una lettera o una bolletta (gli viene più difficile con le missive avvolte nel cellophan).

  90. Poco fa è arrivato finalmente Pentelite 2010! Il messo comunale (con ancora le pinne ai piedi usate per l’attraversamento dello Stretto) aveva un sorriso smagliante! E il libro è bellissimo! Grazie grazie Salvo! E complimenti sinceri! E grazie e complimenti anche a Maria Lucia e a tutti i partecipanti!

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