
Mary Flannery O’Connor (Savannah, 25 marzo 1925 – Milledgeville, 3 agosto 1964) è stata una scrittrice statunitense.
In questi giorni si sta celebrando il centenario della sua nascita.
La scrittrice Romana Petri ha dedicato a Flannery O’Connor il romanzo “La ragazza di Savannah” (Mondadori), uscito il 25 febbraio di quest’anno.
In Italia, la maggior parte dei libri di Flannery O’Connor sono pubblicati da Minimum Fax.
Flannery O’Connor è considerata una delle voci più geniali e influenti della letteratura americana del Novecento. Minimum fax pubblica in esclusiva tutte le sue opere; oltre a Il geranio e altre storie, sono usciti i romanzi La saggezza nel sangue e Il cielo è dei violenti, le raccolte di racconti Un brav’uomo è difficile da trovare e Punto Omega, e una silloge dei saggi e delle lettere raccolti nel volume Un ragionevole uso dell’irragionevole.
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Flannery O’Connor nasce il 25 marzo 1925 a Savannah, Georgia, in una famiglia cattolica del Sud degli Stati Uniti, in un’epoca in cui il Paese stava ancora risentendo degli effetti della Guerra Civile. Cresce in un ambiente che ne segnerà profondamente la visione del mondo: la sua scrittura, infatti, riflette la complessità del Sud, le sue tradizioni, la fede, ma anche la violenza che lo attraversa. È un Sud che non è solo un luogo geografico, ma anche una condizione spirituale, un crocevia di contraddizioni, un terreno fertile per un’analisi cruda e senza fronzoli della società americana.
L’arte di Flannery O’Connor non ha bisogno di essere mascherata da eleganza, e la sua scrittura non ammette compromessi: è essenziale, a tratti sgradevole, provocatoria, ma nel profondo è sempre un atto di rivelazione. I suoi racconti si concentrano su individui in conflitto con se stessi, con il proprio destino, e talvolta con Dio. La violenza, che può sembrare gratuita, è sempre il mezzo attraverso cui i suoi personaggi raggiungono una sorta di consapevolezza, spesso sconvolgente. In ogni suo gesto narrativo c’è un’intenzione precisa: quella di scuotere, di risvegliare dal torpore, di spingere il lettore ad affrontare la sua parte più oscura.
Il racconto Un brav’uomo è difficile da trovare (A Good Man Is Hard to Find) rappresenta uno dei suoi picchi più alti, con quella sua miscela di follia e grazia, di disillusione e riscatto. La violenza che emerge in questa storia non è mai fine a sé stessa, ma è il motore che porta alla luce una visione del mondo cruda e inesorabile. E anche quando si scivola verso il grottesco, c’è sempre una scintilla di trascendenza, un barlume di speranza che si annida anche nei luoghi più bui. O’Connor non giustifica mai il male, ma suggerisce che, forse, dentro ogni essere umano esista la possibilità di una salvezza.
Il suo legame con il cattolicesimo è evidente in ogni pagina, ma non è un legame che abbellisce o mitiga la realtà. Al contrario, la fede diventa una lente per osservare la disperazione umana, senza veli né illusioni. O’Connor non scrive per confortare, ma per interrogare, per mettere in crisi ogni certezza. Le sue storie sono spesso popolati da figure che, nel momento di maggiore crisi, si trovano di fronte a una rivelazione che può sembrare una punizione o una benedizione. È il momento in cui, per usare le sue parole, “la grazia arriva sempre come una violenza”.
A partire dal suo romanzo d’esordio La saggezza nel sangue (Wise Blood), fino alle sue celebri raccolte di racconti, O’Connor costruisce un universo narrativo popolato da esseri umani che, pur nella loro miseria, cercano di emergere, di comprendere, di redimersi. Ma la redenzione non è mai facile, e nemmeno sempre possibile. I suoi personaggi sono divisi tra la grazia e il peccato, tra la salvezza e la dannazione. In un mondo che sembra predestinato alla miseria, l’autrice non regala illusioni. Tuttavia, anche nei suoi momenti più oscuri, la sua scrittura lascia un piccolo spiraglio di luce. Ed è proprio questa luce che fa di Flannery O’Connor una figura unica, capace di affrontare le pieghe più oscure dell’animo umano con una lucidità straordinaria.
La sua vita, segnata dalla malattia, non può non avere riflessi sulla sua scrittura. O’Connor soffre per anni di lupus, una malattia autoimmune che la costringe a vivere una vita isolata, lontano dai centri mondani e dalle luci della ribalta. Eppure, anche in questa solitudine, la sua penna non si ferma mai. Anzi, forse proprio dalla sua condizione di isolamento, dalla sua continua lotta con la malattia, nasce quella sua visione lucida e dolorosa della vita, fatta di lotte quotidiane, di sofferenze che costringono a guardarsi dentro, a confrontarsi con la propria mortalità.
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A proposito di: “La ragazza di Savannah” di Romana Petri (Mondadori, 2025)
“La ragione per la quale si scrive un romanzo rimane sconosciuta a lungo” ha detto Romana Petri. “Si manifesta quando se ne diventa lettore. Quando dopo averlo lasciato sedimentare a lungo lo hai dimenticato. Dopo averci lavorato molto credo di averlo scritto per fare luce sulla genialità delle donne. Genialità così a lungo bistrattata. E per farlo ho scelto il genio assoluto. Questo romanzo, perché di romanzo si tratta, parla di lei, l’immensa Flannery O’Connor, a cento anni dalla sua nascita. È stato bellissimo e tremendo essere stata lei. Un’esperienza abbastanza sconvolgente. Solo leggendolo se ne capirà la ragione.”
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La scheda del libro: “La ragazza di Savannah” di Romana Petri (Mondadori, 2025)
Aveva un destino da signorina ben educata del Sud, e invece la ragazza di Savannah è diventata una scrittrice impavida (che a malapena si reggeva in piedi con le stampelle), ossessionata dalla frase perfetta e dal cibo come compensazione a una vita sentimentale negata, perché nessun uomo era disposto ad amare una storpia pur così vicina al Cielo. Romana Petri la tallona, la spia, ce la rovescia intera davanti e noi la assumiamo come un farmaco che ci salva, che ci impedisce nonostante tutto di avere paura.
Una ragazza americana di solidi principi, innamorata del padre, occhi blu scuro e lampi di tanto pensiero che li attraversano. Una ragazza che, quando esce di casa, si incanta davanti alle galline. Una ragazza che ha e non smette mai di avere Cristo come sublime interlocutore, e non è semplice il suo Dio. Quando arriva alla scrittura la riconosce dono divino. Quella ragazza è Flannery O’Connor, una delle più grandi autrici del Novecento. Entra nell’immaginazione di Romana Petri con i suoi umili e i suoi balordi, i suoi peccatori, la sua solitudine, lo splendore dei suoi pavoni e l’amore mai avuto. Pietosa sino all’empietà, intrisa d’una ironia che lascia stupefatti gli interlocutori, Mary Flan ritrova il padre nella stessa malattia, il Lupus, ma la combatte a colpi di incandescenti parole e senza mai lamentarsi. Si allontana dalla sua Georgia quando la chiamata della letteratura diventa forte come una investitura, una missione, ma questo sogno di libertà sarà infranto dalla malattia e dovrà tornare al ranch materno, da quella Regina che non capiva il suo genio ma l’ha assistita fino alla fine.
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Romana Petri vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, premio Comisso e premio speciale Anna Maria Ortese-Rapallo), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021) e Mostruosa maternità (2022), Rubare la notte (2023, finalista al Premio Strega 2023) e Tutto su di noi (2024).
Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).
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