Aprile 20, 2024

309 thoughts on “CITTA’ PER LE STRADE. ROMA E ALTRI LUOGHI

  1. Cai amici, sono molto lieto di (aver contribuito) e di poter dare spazio a questo bel progetto promosso dalla Azimut libri.
    Un progetto, e un’occasione, che ci consentono di parlare di città e strade, quartieri urbani e letteratura

  2. Mi piace evidenziarlo anche qui, tra i commenti…
    Città per le strade è un progetto editoriale NO PROFIT: i proventi degli autori, dei curatori, degli agenti, e dell’editore saranno devoluti ad ospedali, associazioni, centri che si occupano dell’infanzia.

  3. L’idea è questa: realizzare una serie di raccolte di racconti incentrate su alcune città e sulle loro strade… sui loro quartieri, sui loro luoghi. Una sorta di stradario, come ho scritto sul post… un “Tuttocittà” dei narratori. I quali, peraltro, non hanno alcuna limitazione espressiva se non quella di collocare la propria storia in un quartiere o in una via della città.

  4. Sono già stati pubblicati i volumi “Milano per le strade”, “Napoli per le strade” e un primo volume dedicato a “Roma”. A me è stato chiesto di curare il volume secondo dedicato alla Capitale: Roma per le strade.

  5. ho accettato con entusiasmo coinvolgendo nel progetto scrittori romani (nati a Roma) o residenti a Roma (con l’eccezione del sottoscritto… l’unico autore non romano e non residente a Roma presente nella raccolta).
    Sono narratori che conosco personalmente e con i quali, anche nella fattispecie, ho cercato di portare avanti la stessa esperienza di condivisione che caratterizza Letteratitudine.

  6. I protagonisti di “Roma per le strade” (vol. II), sono i seguenti (elenco in ordina alfabetico): Dora Albanese, Adelia Battista, Gaja Cenciarelli, Rita Charbonnier, Francesco Costa, Laura Costantini – Loredana Falcone, Mario Desiati, Andrea Di Consoli, Pasquale Esposito, Massimiliano Felli, Gianfranco Franchi, Andrea Frediani, Luca Gabriele, Enrico Gregori, Luigi La Rosa, Silvia Leonardi, Lia Levi, Dacia Maraini, Piera Mattei, Massimo Maugeri (infiltrato!!!), Italo Moscati, Stefania Nardini, Antonio Pascale, Sandra Petrignani, Rosella Postorino, Tea Ranno, Carlo Sirotti, Cinzia Tani, Filippo Tuena.

  7. Roma per le strade (vol. II) sarà presentato (in anteprima nazionale) il 29 OTTOBRE 2009, alle ore 18, presso la libreria Melbookstore, in via Nazionale, 254 a Roma.
    Oltre ad Adriana Merola (titolare della case editrice con Guido Farneti), Massimiliano Felli (caporedattore di Azimut), saranno presenti (quasi tutti) gli autori.

  8. Invito tutti gli autori coinvolti nel progetto Città per le strade – dunque gli autori delle raccolte su Roma, Milano, Napoli (tutti coloro che potranno, almeno) – a intervenire qui per spiegarci cosa hanno voluto raccontare, perché hanno scelto quella particolare strada (quel particolare luogo) e che tipo di approccio narrativo hanno adoperato.

  9. Poi, naturalmente, mi piacerebbe coinvolgere tutti voi.
    Per cui… vi invito – se vi fa piacere – a scrivere, qui tra i commenti, un microracconto sulla vostra città.

  10. Per quanto riguarda questa raccolta, “Roma per le strade” (Vol. II), i proventi degli autori, dei curatori, degli agenti, e dell’editore saranno devoluti al reparto pediatrico del Policlinico “Umberto I” di Roma.

  11. Caro Massi, Hai toccato un tasto dolente. Io sono nata a Roma in un palazzo della spina, la sequenza di palazzi che correva da Piazza Pia a Piazza Rusticucci. Sono abbastanza vecchia per ricordare la bellezza dei Borghi, l’ anima popolare del mio quartiere. Mi duole il cuore quando vedo Via della Conciliazione, un via senza anima sorta sulle rovine dei bellissimi Borghi spazzati via dal piccone mussoliniano. Ho scritto tempo fa un racconto lungo, sui Borghi e i “Borghiciani”, racconto che ha ottenuto una segnalazione ad un Concorso indetto dal Comune di Roma in memoria del Sindaco Petroselli. Se vuoi te lo mando in regalo, senza alcuna pretesa, come un omaggio alla mia Roma, dalla quale, per motivi di lavoro, manco da molti anni. Saluti a tutti. Franca Maria.

  12. Molto interessante l’idea del progetto. Lodevole il fine benefico. Vi faccio tanti auguri, rammaricato di non poter essere a Roma il giorno della presentazione.

  13. Intrigante l’idea del “Tuttocittà” dei narratori. Più tardi proverò a rispondere alle tue domande, Massimo.

  14. Caro Massimo, caro Massimiliano e cari tutti, fa paicere vedere come Città per le strade susciti dibattito e ci sia fervore intorno alle presentazioni di questi giorni. Non sono a Roma perchè proprio mercoledì avremo la nuova presentazione di Milano per le strade allo spazio Coop come comunicato da tempo. Ci sarà Vincenzo Consolo e ci dovrebbe essre di nuovo anche Dario Fo insieme a tutti gli autori, a parte Alessandro carrera che si trova per lavoro negli Usa. Naturalmente siamo tutti moltiìo presi dai preparativi. ma andrà certo bene perchè tutti i partecipamti all’ompresa ne sono davvero coinvolti. Grandi auguri anche per Roma e quanto all’idea di continuare con le città io penso che sia ottima

  15. ehiiii, complimenti a te e a tutti gli autori. domande azzeccate come sempre. appena posso, rispondo

  16. “E’ acqua” direbbe la ninfa Aretusa. “No. E’ voce. Vento di scogliera” sussurrerebbe Teocrito. E Archimede: ” E’ fuoco che si rifrange dallo specchio”…
    Tutti potrebbero dirvi di Siracusa, se non fosse che non ha che una dimensione: il sogno.
    Provate a percorrerla nel caldo che tremola dai selciati inverginati. O con sguardo puntato alle schiere dei santi di Piazza Duomo. Ai resti dei templi che ammiccano. O alle rivolose stradine di Ortigia.
    Direste: non esiste. O esiste solo per essere sognata.
    Non la racconterò, ma vi riporterò un canto:
    “Giace della Sicania al golfo avanti
    un’ isoletta che a Plemmirio ondoso
    è posta incontro, e dagli antichi è detta
    per nome Ortigia. A quest’isola è fama,
    che per vie sotto il mare il greco Alfeo
    vien, da Doride intatto, infin d’Arcadia
    per bocca d’Aretusa a mescolarsi
    con l’onde di Sicilia…”
    (Virgilio, Eneide, libro III)

  17. A costo di rischiare di sembrare banale, dico che secondo me le le città di oggi sono più caotiche rispetto al passato. Tutte. Nessuna esclusa. Se c’è un elemento aggregante è il caos. Il gran caos. Lo dico perché di città ne ho girate tante.
    Complimenti comunque per l’iniziativa.

  18. E a tutti: bravissimi. Questa è la città più bella. Quella raccontata dalle storie.
    Vi leggerò con commozione pescando da ognuno di voi un frammento di Roma.
    Un bacio a ciascuno, e l’augurio per giorno 29 di una grande festa! In cui a essere celebrata sia la città, sì. Ma anche lo sguardo condiviso.
    Una felice, sognosa notte.

  19. Aggiungo però che la letteratura le rende di certo più vivibili. 🙂
    Ancora complimenti e auguri per il progetto.

  20. La grande ricchezza di questo progetto (il cosiddetto “tuttocittà”) noi stessi di Azimut l’abbiamo scoperta via via, confrontando i vari collettanei che sono nati progressivamente.
    Tante città viste “sub specie litterarum”, cioè attraverso una lente che ne fa emergere innumerevoli dettagli, ne scopre ciò che è più peculiare. Ma anche il contrario: ne sottolinea inaspettate affinità.
    Il tema della violenza che attraversa il volume dedicato al Brasile e torna in quello su Napoli, per esempio. Due realtà del sud che s’incontrano a dispetto delle migliaia di chilometri.
    Oppure il colore tutto particolare che hanno i racconti milanesi. Più sfumati, più “grigi” (sarà un luogo comune, certo. Del resto il LUOGO è il nodo del discorso in questi volumi; e un luogo cruciale, anche se immateriale, è il LUOGO COMUNE, appunto: la rappresentazione o auto-rappresentazione di una città nell’immaginario collettivo).
    Cosa c’è di peculiare – partiamo da questo – nei racconti su Roma?
    Cosa ha Roma di particolare, dunque?
    Beh, io per prima cosa, diciamo a livello di pura statistica, noto una rilevante presenza di racconti metaletterari. A cominciare dal meraviglioso ritratto di Sandro Penna che ci regala in apertura Dacia Maraini. Roma “città della letteratura” dunque? Che può essere rappresentata efficacemente se si ricorre al metaletterario, alla letteratura che racconta se stessa?
    Cesare Segre, in “Tempo di bilanci”, implicitamente spiegava questa faccenda sostenendo che Roma è stata, nel Novecento, il faro del mondo della letteratura, il centro istituzionale, meta degli scrittori del sud che venivano a viverci, luogo deputato di premi letterari…
    E oggi? Lo è ancora? Può una qualsiasi città moderna esserlo?
    La butto lì. Pensiamoci. Se vi va.

  21. La grande ricchezza di questo progetto (il cosiddetto “tuttocittà”) noi stessi di Azimut l’abbiamo scoperta via via, confrontando i vari collettanei che sono nati progressivamente.
    Tante città viste “sub specie litterarum”, cioè attraverso una lente che ne fa emergere innumerevoli dettagli, ne scopre ciò che è più peculiare. Ma anche il contrario: ne sottolinea inaspettate affinità.
    Il tema della violenza che attraversa il volume dedicato al Brasile e torna in quello su Napoli, per esempio. Due realtà del sud che s’incontrano a dispetto delle migliaia di chilometri.
    Oppure il colore tutto particolare che hanno i racconti milanesi. Più sfumati, più “grigi” (sarà un luogo comune, certo. Del resto il LUOGO è il nodo del discorso in questi volumi; e un luogo cruciale, anche se immateriale, è il LUOGO COMUNE, appunto: la rappresentazione o auto-rappresentazione di una città nell’immaginario collettivo).
    Cosa c’è di peculiare – partiamo da questo – nei racconti su Roma?
    Cosa ha Roma di particolare, dunque?
    Beh, io per prima cosa, diciamo a livello di pura statistica, noto una rilevante presenza di racconti metaletterari. A cominciare dal meraviglioso ritratto di Sandro Penna che ci regala in apertura Dacia Maraini. Roma “città della letteratura” dunque? Che può essere rappresentata efficacemente se si ricorre al metaletterario, alla letteratura che racconta se stessa?
    Cesare Segre, in “Tempo di bilanci”, implicitamente spiegava questa faccenda sostenendo che Roma è stata, nel Novecento, il faro del mondo della letteratura, il centro istituzionale, meta degli scrittori del sud che venivano a viverci, luogo deputato di premi letterari…
    E oggi? Lo è ancora? Può una qualsiasi città moderna esserlo?
    La butto lì. Pensiamoci. Se vi va.

    Massimiliano Felli

  22. scusate, non mi ero firmato nel precendente invio…
    P.s. molto carina la citazione proposta da Mariano. Nel mio racconto ad esempio (e chiudo su questo perchè è meglio che non sia io a parlarne) la campagna rappresenta l’alterità rispetto alla città, ed è un luogo quasi spaventoso per un cittadino abituato al clamore. Ma d’altra parte viene inglobata dalla città stessa, che si espande e ramifica.
    M.Felli

  23. @ Franco Romanò
    In bocca al lupo per la presentazione di “Milano per le strade”… e porta i saluti di Letteratitudine a Dario Fo, Vincenzo Consolo e tutti gli autori coinvolti nel progetto.
    Anzi, invitali a intervenire qui (se hanno tempo e piacere…).

  24. @ Franca Maria Bagnoli
    Carissima Franca, grazie per il tuo intervento.
    Ti invito a inserire qui, tra i commenti, il tuo racconto romano. Oppure, se preferisci, inviamelo per mail.

  25. Altra cosetta carina sulla campagna, che butto lì.
    Il geografo Coppola, che si occupa di geografia umana, in suo libro scriveva che – in sostanza – non si può più parlare di città e campagna, ma di SISTEMI URBANI GIORNALIERI. Che si individuano in base alla PENDOLARITA’. Cioè: oggi la “città” vera e propria la si individua descrivendo un cerchio il cui raggio è la distanza che ogni mattina un pendolare arriva a percorrere per andare al lavoro in centro. In ROMA PER LE STRADE c’è un simpaticissimo racconto intitolato “Giusto venti minuti”, di A.Pascale, che parla appunto di questo, in modo ironico. Pensate a quello che vi dicevo quando lo leggerete.

  26. @ Massimiliano Felli
    Massi, grazie anche a te per questo tuo primo intervento. È vero: “Roma per le strade” è molto metaletteraria… e molto poetica (aggiungerei).
    Nei prossimi giorni mi piacerebbe fornire indicazioni sui singoli racconti.
    Anzi… per la verità mi piacerebbero che li fornissero gli stessi autori (chi può ovviamente). Tu l’hai già fatto con il tuo. Bravo.

  27. Poi, Massi, citi Cesare Segre, il quale in “Tempo di bilanci”, sosteneva cheRoma è stata, nel Novecento, il faro del mondo della letteratura, il centro istituzionale, meta degli scrittori del sud che venivano a viverci, luogo deputato di premi letterari…
    Poi domandi (e ti domandi)
    E oggi? Lo è ancora?
    Secondo te, Massimiliano?

    Sarebbe bello fare un confronto con Milano 🙂

  28. Cara Franca Maria, bellissima l’idea di testimoniare lo smantellamento mussolininiano di Borgo in un racconto. Posso permettermi di suggerire la colonna sonora più adatta per l’occasione? E’ una canzone scritta apposta, in quegli stessi anni: http://www.youtube.com/watch?v=ZchsAzKNPbI
    si possono mettere i link, vero Massimo? (ops)

  29. Massi, puoi mettere tutti i link che vuoi… anzi:
    1. mi hai fatto tornare in mente un’idea che mi era venuta in testa qualche giorno fa
    2. potremmo immaginare (o proporre) una “colonna sonora” per ogni racconto.
    Che ne dici.
    (Che ne dite?)

  30. Caro Massimo,
    sono ancora in viaggio, ad Hanoi precisamente dopo un giro in Malesia ed Indonesia per la settimana della lingua italiana.
    Sarò di ritorno a fine mese.
    Mi dispiace non potere partecipare alla presentazione. Sara’ per un’altra volta.
    Un carissimo saluto da Dacia Maraini

  31. Ho fatto tanti auguri a Dacia (di buona prosecuzione) per il suo viaggio, dicendole che non mancheranno altre occasioni per presentare, insieme, “Roma per le strade”.

  32. eh, bella domanda… Rispondo con un’osservazione, intanto. Il libro che ha fatto maggior scalpore negli ultimi…quant’è, un paio d’anni?… è Gomorra. Un libro che si occupa di una città, e ne svela gli aspetti più reconditi, nascosti. Quindi le grandi città sono il soggetto per eccellenza della letteratura che voglia raccontare l’oggi in modo critico.
    Così come il nostro Napoli per le strade, che naturalmente è una visione della città che integra quella di Gomorra.
    Roma?…beh…
    Certamente molti dei racconti, a parte la metaletterarietà, vanno al cuore del discorso, al cuore della città, e quindi al cuore dei problemi della nostra società (penso ad esempio a quello di Rosella Postorino, molto intenso e molto toccante per un giovane – per inciso: si parla di precariato…eh…stiamo tutti nella stessa barca…).
    Per il resto, il tema città e letteratura si iscrive nel discorso più generale sulla società. Magari ci fosse ancora una città veramente vissuta dai suoi scrittori. Una Lisbona anni ’20 in cui tutti sanno che Pessoa è lì, nel “Cafè A Brasileira” a bersi una cosa, e ci possono andare a parlare. Oggi dove vai, all’outlet a spiare Moccia che si prova un cappelletto nuovo?

  33. non disperare, massimiliano felli. si può andare a roma, in libreria, a spiare massimo maugeri e te che parlate di “roma per le strade” insieme ad altri prestigiosi autori.
    io vi penserò da qui: da un profondo nord lontano dalle grandi città 🙂
    buona notte

  34. stavolta non posso trincerami dietro la mia ritrosia a parlare di me. sono stato chiamato in causa come uno degli autori dell’antologia e me ne asumo, quindi, la responsabilità. ma, innanzitutto e senza piaggeria, desidero ringraziare Massimo per avermi convocato e Azimut per ospitarmi in questa bellissima raccolta nella quale compaiono autori di primissimo piano.
    sono romano, nato a roma. romano figlio di genitori romani. mi sposto malvolenteri perchè non mi piace granché fare del turismo. se per caso mi sposto, devo tornare presto. talvolta noi romani, odiamo questa città. ma solo a noi è consentito dirlo. perché i romani, come la loro città, sono un po’ stronzi. o gli piace farlo.
    per noi è normale stare qui e passare davanti al colosseo. però ai turisti gliela facciamo pesare, e anche pagare. perché, appunto, siamo un po’ stronzi.
    “oddio bonino – dice il fioretino – ero alle poste e c’era la ressa. davanti a me sette persone. un si finiva punto!”. il romano lo guarda e dice: “se, te saluto, ‘o sai quanti ce n’avevo io davanti a me alle poste de roma? cinquantaaaa!!” e gli pianta il palmo della mano davanti agli occhi per fargli capire meglio che si tratta di 5 decine. sì, perché ai romani piace primeggiare e sbruffoneggiare pure nella disgrazia.
    detto questo, il mio racconto è il più breve dell’antologia. il motivo è che non volevo fare né una passeggiata né un ricordo. allora ho scelto un escamotage, rendendo voce narrante del mio racconto un qualcosa che, per forza, deve avere vita breve. un passaggio veloce, per poi recarsi altrove. di più non dico, sennò è finita la soprpesa.
    perché mi sembra ovvio che tutti quelli che passate di qui, l’antologia la comprerete, vero? avete capito che i soldi vanno a Pedriatria del Policlinico? Il quale, tra l’altro, è il più grande ospedale del mondo…o forse d’europa…magari d’Italia….insomma, comunque sta a roma e quindi a noi ce piace così com’è senza che ce rompete troppo li co… commeri 🙂

  35. Basta leggere come mi chiamo per capire come io sia la presenza più improbabile in questa antologia (su questo tornerò poi con una citazione). Motivo ulteriore per essere grato a Massimo ed alla Azimut per avermi fatto questo dono.

    In un atto di immodestia, potrei sentirmi il tramite culturale tra Napoli per le strade e Roma per le strade. A mio avviso ogni città batte la sua moneta per ciò che offre. Roma è una prostituta che chiede dedizione. Napoli vuole un pezzo del tuo corpo. Milano la tua mente. A Roma devi appartenere. Essa ti accoglie tanto più se sei una persona comune. I grandi Roma li ha sempre derisi. Con me è stata assai benevola.

    Roma è la metropoli più paesana che io conosca. Ha una dimensione del privato vissuto e scandito in ogni strada ed ogni vicolo. La scenografia è grandiosa ed espone tutti i segni della sua storia millenaria. Eppure permane una atmosfera dimessa e popolana. E’ il privato che interessa. Le grandi decisioni, anche se prese nei suoi palazzi, sembrano sempre non riguardarla. Ogni abitante di questa città esce di casa la mattina improvvisando una parte. Una rappresentazione del presente, una retorica del quotidiano. E’ una vita vagabonda, ognuno è di passaggio. Tuttavia, proprio in ragione di ciò, ha una urgenza di dimostrare amore quasi per dare un senso alla vita stessa.

    Ho scelto l’itinerario di un autobus e non ha importanza quali siano le strade reali. Il punto di partenza è dentro di noi, ma quello di arrivo lo sto ancora cercando. Ho chiesto ad un clochard di raccontarmi la sua storia. Sicuramente è più interessante della mia.

    Ora mi permetto di accostare Azimut e Bompiani, Felli/Maugeri ed Eco. Spero che nessuno se ne abbia a male.
    “Ricordo (avendo lavorato per una ventina d’anni con lui) certe scenate omeriche (Bompiani andava celebre per le sue scenate, che terrificavano anche chi vi assisteva senza essere coinvolto, anche chi sapeva che lui le costruiva a freddo) nei confronti di un tecnico che talora, avendo un titolo troppo lungo da mettere sul dorso del libro, decideva di risparmiare sull’autore mettendo solo le iniziali del nome di battesimo. Bompiani diventava rosso in viso e dava in escandescenza: non si scrive «A.Moravia», come se fossimo in caserma o al municipio. O nome e cognome per intero o solo cognome: «Questo è un Autore, capisce?», gridava, «non è un numero qualsiasi, è un Autore!». E lo gridava anche se l’autore era un Anacleto Brambilla o un Pasquale Esposito che pubblicava per la prima volta, e forse per l’ultima; non importava, essere Autore era una dignità tra le più alte (e lui era l’editore che lo aveva unto).” Da VALENTINO BOMPIANI QUANDO I LIBRI AVEVANO L’ANIMA di Umbero Eco

  36. Salve, Massimo e Massimiliano.

    Una testimonianza. Ho acquistato il primo libro Roma per le strade l’anno scorso, alla fiera della piccola e media editoria di Roma. Quest’anno, probabilmente, acquisterò il secondo, nel medesimo posto. Essendo autore azimutiano, si penserà che è il minimo che possa fare. Invece no: è stato un piacere e lo sarà ancora.

    Invio a parte un racconto. Si intitola IL PAESE. Un paese della provincia di Bari. Non credo di andare fuori tema. In passato le città erano paesi e forse tutti si rassomigliavano. Spero venga riportato e apprezzato.

    Grazie comunque per l’ospitalità.

  37. @ pasquale:
    beh, grazie per l’accostamento! mutatis mutandis, le nostre logiche sono le stesse, in effetti.
    E grazie per averci raccontato la storia del “Principe dell’87”.
    Ecco, appunto, il problema dei mezzi pubblici. Certamente i mezzi pubblici sono un osservatorio privilegiato, un vero e proprio spaccato di una città, o meglio di quella parte più attiva e viva della città. Perchè non pensare a un racconto-fiume che segua passo passo, fermata per fermata, una linea di autobus o di metropolitana. sarebbe interessante farlo con la metropolitana A: una bella differenza tra chi sale da Porta Furba e che sale da Spagna, no?
    Ah, a proposito di mezzi pubblici: NON POTETE PERDERE QUESTO LINK. una scena del bel film di Scola dedicato a Roma e a i suoi abitanti. E alla sua…poesia: http://www.youtube.com/watch?v=RP9OLG3C0nA

  38. Complimenti vivissimi a Massimo ed a tutti per la splendida iniziativa.
    Vivere la città, le città, attraverso la letteratura è una cosa bellissima. Guardare la città, le città, attraverso i racconti è una cosa splendida.
    Devolvere i ricavati della vendita di queste antologie per uno scopo benefico, ed a favore dei bambini, è più che lodevole.
    Bravi!

  39. Provare a scrivere un racconto sulla mia città è impensabile. Non saono disposta a tediarvi a tal punto 🙂
    Però posso provare a rispondere alle domande di Massimo.

  40. In generale come sono cambiate – se sono cambiate – le nostre città in questi ultimi anni?
    – Difficile dirlo. Per certi versi sono cambiate in meglio, per altri versanti sono peggiorate. Il traffico automobilistico, per esempio, mi pare che dilaghi ovunque. Esiste un’interessante classifica annuale del SOle 24Ore sul grado di vivibilità delle città italiane. Lo sapevate?

  41. Tendono ad assomigliarsi per effetto di un meccanismo globalizzante, o mantengono inalterati i loro tratti distintivi? Oppure, paradossalmente, le differenze si sono accentuate?
    – Tendono ad assomigliarsi. L’effetto globalizzazione si fa sentire un po’ ovunque. Entrando in un McDonald’s non credo faccia più differenza il fatto che tu ti trovi a Bologna, a Milano, o a Siracusa.
    Però ogni città, nonostante tutto, credo che conservi la sua anima.
    Ed è quest’anima che mi aspetto di trovare in questi vostri racconti.

  42. Vivo a Roma da quattordici anni ma resto sicilianissima d’indole e formazione. Ciò non mi impedisce – anzi! – di nutrire verso questa città un amore che – nonostante l’ormai lunga frequentazione – continua ad assomigliare a un innamoramento. Sarà perché sono “forestiera”, sarà perché la guardo con gli occhi di chi non vuole vederne i difetti, sarà che quando cammino per le sue strade mi sembra di provare una gran leggerezza, la felicità che viene dalla contemplazione di una bellezza quieta, antica…

    E allora, per una forestiera innamorata della Capitale, quale altro “quartiere” se non piazza di Spagna ne può diventare l’emblema? Perciò ho deciso di ambientarvi il mio racconto per Azimut.
    Naturalmente correvo il rischio della più trita banalità:
    Un appuntamento a piazza di Spagna?
    Certo, davanti alla Barcaccia.
    Alle dieci?
    Ma sì, alle dieci.
    Puntuale?
    Puntuale.
    E poi?
    Eh, poi…
    Poi è la vita che passa la spugna sul cerone della banalità e quello che appare può essere ben altro.

    Grazie per avermi coinvolta nel progetto, Massimo. A giovedì da Melbook.
    Tea

  43. ciao massimo, ecco qui come vedo la cittá dove vivo, Dresda.
    —-
    Vivo in una cittá che un giorno fu rasa al suolo. Era la fine di una guerra tremenda, che come raccontano i monumenti di Dresda “dalla Germania è partita e a Dresda è tornata”.

    E poi fu ricostruita. Quasi tutta, cosí com´era. E passeggiare dentro le strade di Dresda è come calcare un immenso teatro, di pietra, d´oro e di cartone. Come vivere in una quinta barocca che nasconde quello che c´è stato, quello che non c´è piú quello che non ci sará mai.
    A volte nevica, a Dresda, e si cammina su un tappeto bianco e nero di sassolini antiscivolo e dopo la neve spunta un sole gelido e brillante e sembra tutto fermo, tutto pulito, tutto brillante e nuovo.
    A volte a Dresda ci si incontra con i vecchi casermoni della DDR, con le rampe di scale arancioni che si stagliano sulla parete grigia.
    A Dresda in autunno tutto è rosso e giallo e marrone e cade, sventolando, sul pavé duro e scomodo, che in bici ti ammazzi e barcolli e traballi e bestemmi e sudi.
    A Dresda in estate i bambini giocano nudi nelle fontane, piscine improvvisate che spruzzano in giro bimbi di ogni colore con le mutande zuppe d´acqua e le scarpette bagnate.
    A Dresda a volte fa freddo e il freddo di Dresda accappona la pelle, passa dalle piume del giacchetto, dalle maglie della sciarpa, dalle cuciture del cappello. Screpola le labbra e arrossa gli occhi, fa camminare a testa bassa velocemente verso la fermata del tram. La luna, anche lei impallidita dal freddo guarda giù e vorrebbe anche lei una coperta, un tè caldo e un libro di storie.
    l’orologio che dice quanto manca a che passi il 7 per Löbtau sembra congelato anche lui, il conto alla rovescia dei minuti resta bloccato su 4 e lo guardi e lo riguardi e il 3 non arriva mai, bloccato dal gelo negli ingranaggi. Batti i piedi, niente, le dita sono prigioniere dei calzini. Si vede uscire il vapore dal naso, come un drago addormentato.

  44. @ letizia:
    grazie mille per le tue parole lusinghiere! Comunque ci stiamo organizzando per far fare un ripresa video della presentazione. Chissà, tra poco potrai seguirci in differita, scaricando il file. (Vedremo come fare, vi avviseremo).

  45. Grazie a te, Tea.
    Il tuo racconto è molto molto bello. Davvero. Non vedo l’ora di conoscerti personalmente.

  46. Anch’io non vedo l’ora di conoscerti, Massimo. Ne sarò contenta.
    Ho avuto modo di frequentare per molto tempo il reparto di pediatria (chirurgia pediatrica) del Policlinico Umberto I, ho avuto modo di sperimentare l’eccellenza di alcuni chirurghi, la disponibilità e attenzione di tanti medici verso bambini provati dalla malattia. E’ dunque con cognizione di causa che lodo la vostra iniziativa di devolvere i proventi del libro alle strutture che si occupano di infanzia. E vi ringrazio molto per questa vostra scelta.

  47. Complimenti da parte mia per questa bellissima iniziativa a scopo benefico. Se penso alle città mi viene subito in mente ‘Le città invisibili’ di Calvino, ma Roma è tutt’altro che invisibile. Sono curiosa di leggere questa raccolta che sarà senz’altro di ottima fattura, così come mi pare dai flash che ho letto qui.

  48. Non scriverò un racconto, ma sono andata a caccia di citazioni sulle città. Ne riporto alcune sperando di fare cosa gradita.

  49. Cambiare la struttura urbanistica di una città significa cambiarne la morale. (Raffaele La Capria)

  50. Città s’addimanda una radunanza d’uomini per vivere insieme felicemente. E grandezza di città si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura ma la fortuna degli abitanti e la potenza loro. (Giovanni Botero)

  51. Guardare alla sezione di un qualsiasi piano di una grande città è come guardare qualcosa di simile alla sezione di un tumore fibroso. (Frank Lloyd Wright)

  52. La città è qualcosa di più di una congerie di singoli uomini e di servizi sociali, come strade, edifici, lampioni, linee tranviarie e via dicendo; essa è anche qualcosa di più di una semplice costellazione di istituzioni e di strumenti amministrativi, come tribunali, ospedali, scuole, polizia e funzionari di vario tipo. La città è piuttosto uno stato d’animo, un corpo di costumi e di tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti organizzati entro questi costumi e trasmessi mediante questa tradizione. (Robert Park)

  53. Occorre appena ricordare che le metropoli sono i veri palcoscenici di questa cultura che eccede e sovrasta ogni elemento personale. Qui, nelle costruzioni e nei luoghi di intrattenimento, nei miracoli e nel comfort di una tecnica che annulla le distanze, nelle formazioni della vita comunitaria e nelle istituzioni visibili dello Stato, si manifesta una pienezza dello spirito cristallizzato e fattosi impersonale così soverchiante che – per così dire – la personalità non può reggere il confronto. Da una parte la vita viene resa estremamente facile, poiché le si offrono da ogni parte stimoli, interessi, modi di riempire il tempo e la coscienza, che la prendono quasi in una corrente dove i movimenti autonomi del nuoto non sembrano neppure più necessari. Dall’altra, però, la vita è costituita sempre più di questi contenuti e rappresentazioni impersonali, che tendono a eliminare le colorazioni e le idiosincrasie più intimamente singolari; così l’elemento più personale, per salvarsi, deve dar prova di una singolarità e una particolarità estreme; deve esagerare per farsi sentire, anche da se stesso. (Georg Simmel)

  54. Uscire dalla città, a piedi, è faticosissimo. T’investe la lava bollente del brutto, del rumore, strade sopra strade, tremendi ponti di ferro, treni, camion, Tir, corsie con sbarramenti, impraticabili autostrade, un vero teatro di guerra. (Guido Ceronetti)

  55. Queste che seguono sono tutte di Italo Calvino:
    – D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
    – Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.
    – Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.

  56. Poi, Massimo c’è quest’altra citazione di Calvino che risponde a una delle tue domande.
    …..
    Viaggiando si può realizzare che le differenze sono andate scomparendo: tutte le città tendono ad assomigliarsi l’una all’altra, i posti hanno mutato le loro forme e ordinamenti. Una polvere senza forma ha potuto invadere i continenti. (Italo Calvino)

  57. Cari Massimo e Massimiliano, rispondo molto volentieri all’invito.

    Come è nato il mio racconto inserito nella vostra ricca antologia?
    Come è cambiata la città?

    Rispondere alla prima domanda è semplice: succede che una domenica mattina, l’anno scorso di questa stagione, con un sole che illumina ma non brucia, decido di concedermi alcune ore d’ozio, in quella splendida villa, la Villa che fu già dei Borghese, e ora e di tutti, dove non vado mai. Proprio perché luogo che conosco ma che non frequento, la villa mi fa acquistare quella vista diversa, uno sguardo da turista che non vuole perdere un solo dettaglio di quanto vede, mentre tutto gli sembra importante o misterioso e suggerisce storie. Quindi il racconto procede per indizi e tuttavia quello che infine scopro non lo dico per intero, per non dare alla storia un risvolto sociologico, fuori delle mie corde. Qui completo la rivelazione, la mia finale supposizione: di certo quei musicisti questuanti non erano italiani, ma venivano dall’Est dell’Europa.

    Rispondo così alla seconda domanda. Questo certo è cambiato. Venti, trent’anni fa, i musicisti ambulanti strimpellavano canzoni, le cantavano anche con forte mimica, teatrali. Altri si affidavano alla pianola con i fogli dell’oroscopo. C’erano anche musicisti che avevano studiato, ma con tutte le caratteristiche dell’artista fallito.
    Questo proporre musica pura e buona musica, è fenomeno nuovo.
    Questi giovani poveri ma colti che sognano di fare anche fortuna, e per le strade improvvisano i loro provini, mentre raccolgono qualche decina di euro, sono fenomeno dell’immigrazione recente.
    Però nello stesso tempo Roma rimane sempre se stessa, non è facile stravolgere i caratteri di una città come Roma.
    Amo molto questa mia città, con lo scontento, le liti e la sofferenza che procura un amato autosufficiente e indolente.

  58. Tanti auguri a tutti gli autori!!! E complimenti e tanti auguri di successo per questo libro così importante!!!

  59. Latina è un piano cartesiano.
    Una trama ponderata di linee rette e circonferenze.
    Tutto è lineare e piano a Latina; potremmo quasi cercare la sua equazione ché da qualche parte deve pur esserci!
    Al centro, gli angoli bianchi e il cielo azzurro convivono senza troppo amore mentre la palude sonnecchia sotto kg di cemento e travertino.
    Le rotonde nella periferia disegnano curve lunghe e morbide decorate da alberelli neonati, prati secchi e casermoni; strade senza vita.
    Da Latina puoi vedere i Lepini e la Semprevisa, col suo cappuccio bianco d’inverno e bruno d’estate, veglia su di noi.
    Sermoneta, Norma e Cori si affacciano dalla montagna come ad un balcone a guardare quella piana più larga che lunga distesa fino al mare.
    Eppure,…
    eppure…
    non so se avete presenti le paludi: all’apparenza luoghi vagamente putrefatti e pestilenziali, poi, nel XX° tutti a fare bird-watching?
    La palude inganna.
    Non è assolutamente facile viverci, in palude.
    Devi azzeccare il punto fermo, devi avere una fortuna sfacciata e beccare quel misero punto argilloso in un mare di melma! Eppure, se lo trovi e ci costruisci sopra, vedrai ogni benedetto giorno il sole rifrangersi in mille specchi d’acqua e te ne andrai a dormire con le stelle e la luna sotto i tuoi piedi.

  60. Una carta straccia,mille colori …. un sole amaro. I versi di Pino Daniele.Mi ritorna in mente non come una canzone di tanti anni fa ma come una nenia,una sirena incantatrice. Sonnambula vago tra volti dormienti,”stupidiati” da un sole cocente e il brillio del mare,motorini come frecce impazzite,come cavalli pazzi su una zampa sola,il circo del sabato sera,fantasmi incravattati e panze all’aria,puledre che hanno perso il segno dell’innocenza in cambio di una sfacciata sfrontatezza,signore avviluppate in nubi profumate come in un giubbotto antiproiettile. E guai a chi le guarda storte. Facimm’ a chi arriva prima,a chi è chiù furbb . E la felicità è un posto macchina al parcheggio,comprensiva di un titolo di dottò anche a chi non ha studiato. E i morti ammazzati?E chi li vede al sabato sera,basta che non ci danno fastidio nelle zone nostre della città,perciò che centra l’accoltellamento a Mergellina,agli Chalet?E che ne so. Mò pure i morti ammazzati sconfinano,qualcuno dovrebbe istruirli. Il napoletano parla assai,ma non ti dice niente,s’impiccia di tutto quello che c’è all’angolo della via,tanto per bloccare il traffico,hai visto ch’erè,ma ch’è stato nè?Poi tira dritto,l’anno scorso è morto un senzatetto per il freddo,fra la gente,senza corpo,senza voce,un mucchio di respiri scalciati via dal vento e la pioggia,come un pallone sgonfio preso a calci dall’indifferenza. La notte in taxi la guardo dai vetri appannati,la mia città,se sono sola ne ho paura,non la riconosco,mi minaccia ad ogni oscurità liquida,mi chiude gli occhi mentre mi costringe a tenerli spalancati sull’eventualità sconosciuta. So tutto di lei eppure mi sfugge ancora,come una madre che mi ha ripudiata,la sogno di notte e di giorno la detesto,e me ne do la colpa. Ci fosse una risposta oltre il luccichio dell’onda,oltre il pensiero di un’isola lontana,potessi pulire quella carta straccia,lisciarla con le dita e donarla bianca a chi dopo di me verrà,mi lascio il taxi alle spalle con tutte le discussioni fatte,le domande hanno messo rami dentro di me,li uso per salire fino a casa. Giusto un attimo per voltarmi,sulla portiera il nome del taxi giallo Eraclito “Panta Rei”….ma chi è costui?Non erano diventati tutti bianchi i taxi? Non c’è niente da fare:la strega mi sorprende sempre come un innamorato pieno di fantasia,prima di un bacio traditore.
    Napoli la mia città,la strega.
    ………………………………………….
    “La stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché queste mutandosi sono quelle e quelle a loro volta mutandosi queste.” Eraclito

    @Massimo Maugeri
    A Massimo e agli altri autori un grande in bocca al lupo per questo libro sicuramente bello,con i miei più cari complimenti per l’iniziativa.

  61. Prima di tutto, e a costo di ricalcare le impronte dei miei illustri “colleghi”, sono grata a Massimo per la bellissima opportunità che mi ha dato. Perchè scrivere in mezzo ai grandi ti fa sentire che un giorno, forse, chissà…e soprattutto perchè scrivere e poter essere d’aiuto a bambini malati ti fa pensare che almeno, la tua scrittura, qualcosa di buono la produce.
    Sono siciliana, vivo a Roma da dieci anni. Il mio racconto è nato dalle storie di mia madre sul suo lungo periodo trascorso a Roma, alle superiori prima, all’università poi, quando la periferia era appunto periferia, abbandonata dal percorso dei mezzi di trasporto, che sembravano non varcare certi confini e ti lasciavano quel chilometro buono a piedi per raggiungere casa. E poi ai percorsi in autobus, in quel quartiere che ho sempre sentito mio, Montesacro. Nei primi anni a Roma non ho mai preso la macchina, un po’ per timore di perdermi (pensare che oggi la uso appena posso), un po’ per il gusto di smarrirmi tra facce, colori, umori, gente di tutte le razze, culture, idee. Così, di personaggi ne ho incontrati. Ho fatto un mix per il mio racconto: storie di mamma, viaggi in autobus.
    E adesso non vedo l’ora di incontrare tutti gli altri!
    tranne, ovviamente, Enrico Gregori, il giornalista capellone :-))

  62. Caro Massimo, carissimi tutti, mi sento fortemente in imbarazzo a parlare del mio racconto inserito nel libro (per me veramente un esordio editoriale, e trovandomi accanto a nomi famosi); ma devo ringraziare Massimo non solo per questa splendida opportunità che mi è stata offerta direttamente da lui, ma perché in fondo se non fossi incappato casualmente in Letteratitudine un paio di anni fa non solo non avrei mai pubblicato alcunché, ma probabilmente non avrei neanche mai scritto uno straccio di racconto.
    Infatti non l’avevo mai fatto: il mio primo è stato scritto per gioco, e per un gioco nato su questo blog più di un annetto fa, ma da allora ho cominciato a prenderci gusto, ed ormai i miei racconti “in rete” sono stati diversi.
    Si può dire che Letteratitudine mi ha quindi tenuto a battesimo, e sono felice che il primo libro che esce portando anche la mia firma sia curato da Massimo e insieme ad altri amici “letteratitudiniani” e per una casa editrice che ha anche portato questo blog sulle pagine stampate. E per una nobile e benefica iniziativa anche (il che non guasta mai).
    Ma sono stato invitato a parlare di Roma e della genesi del mio racconto, quindi veniamo al dunque. Anche se sono genovese (e genovese continuo a sentirmi), sono trapiantato a Roma dall’età di dodici anni, nel lontano 1966. Da allora ho sempre vissuto nel quartiere di Monteverde (nuovo per la verità, oggi chiamato più propriamente “Gianicolense”), ma a Monteverdevecchio, quello “storico”, ho frequentato le scuole – medie e liceo, e per quelle strade ho bazzicato per tutta la mia adolescenza, e ancora spesso capito in quelle vie con grande piacere. Scegliere di ambientare lì il mio racconto legato a Roma mi è venuto pertanto naturale. Volevo poi giocare con un personaggio che avesse realmente vissuto in quelle strade, e farlo interagire in qualche modo con un personaggio d’invenzione (Emma, che viene dichiarata di pura fantasia sin dal suo primo apparire nella storia).
    La scelta del personaggio reale è caduta su Escher perché mi ha sempre meravigliato la presenza nei suoi disegni di molti motivi architettonici (ma forse ancor di più di un certo “climax”) con l’architettura di alcune case di Via Poerio e dintorni, e questo ancor prima di venire a sapere (molti anni fa) che realmente Escher aveva abitato in quella strada. Quando ho scritto il racconto ho scattato diverse fotografie, ne avevo scelte tre e le avevo inserite nel manoscritto, che considero pienamente completato dalle immagini, e mi sarebbe piaciuto che comparissero anche nel libro. Sapevo che sarebbe stato difficile; non è stato possibile e questo è il mio solo rammarico.
    La storia dei pavimenti della casa di Escher è vera, l’avevo trovata alcuni anni fa in qualche giornale e l’ho ritrovata su internet. Ho voluto inserirla nella mia storia, perché in fondo nessuno li ha mai visti, e rimane quindi anche avvolta in a sorta di mistero.
    Vero sembra anche il fatto che la decisione dell’artista di lasciare questa città e questo Paese (che amava) fu definitiva nel momento in cui vide suo figlio vestito da “balilla”.
    Spero che a qualcuno questo racconto possa interessare e magari anche piacere. Io non saprei giudicare, in fondo non mi sento mai pienamente soddisfatto di ciò che faccio e in questo caso, forse per la particolare importanza dell’occasione, ancor meno.
    Però il libro è bello (grazie perlomeno agli altri autori) e vale la pena comprarne anche più copie, magari per regalarle ai vostri amici a Natale, ed aderire così all’iniziativa in favore del Reparto di Pediatria del più grande ospedale romano. Io lo farò senz’altro, già giovedì stesso se possibile, in questo incontro con i diversi nuovi amici che debbo a Letteratitudine.

  63. bello… roma, la mia malattia… penso che mi leggerò di corsa questo libro, anche se so che poi starò un po’ male, perchè io ho il “mal di roma” da almeno 10 anni, da quando me ne sono andata da là, dopo 12 anni di una vera e propria storia d’amore. Con le case, le strade, la luce, il fiume, la pioggia e pure con i tetti e i sotterranei… perchè me la sono girata tutta, anche sopra e sotto, e conosco quello che nemmeno molti romani hanno mai visto…
    i tetti di S.Pietro in vincoli, qualcuno di voi li ha mai visti? da là si vede tutto, ti sembra di prendere il colosseo con una mano, di potertici tuffare dentro. E il mondo che c’è sotto piazza venezia, o sotto s.giovanni in laterano? muri e pitture là dove non ti aspetteresti, perchè roma sta anche almeno tre o quattro metri (in alcuni casi anche dieci) sotto, rispetto a dove cammina adesso la gente.
    ci ho passato settimane, mesi, e mi sono infilata in cunicoli assurdi, strisciando, con le torce elettriche, e a volte trovavi “sorprese”, qualche sorcetto e qualche “capoccetta”…
    C’era un teschio, sotto S.Marco a piazza venezia, che ci guardava dalla sua bella nicchia, con ancora i capelli attaccati, e noi lo salutavamo tutti i giorni, chissà se sta ancora là. Bè, si sa, gli archeologi sono tutti un po’ fuori di testa…
    E sotto san Clemente, qualcuno c’è mai andato? è uno dei posti magici di Roma, con il mitreo, e la confluenza di due corsi d’acqua naturali, e girano voci che là c’è un’energia strana, sotterranea, che scorre.
    Dovrei parlare della Puglia, ma per me la Puglia è terra, mare, campagna, paesaggio. La città, invece, è una soltanto, e purtroppo è lontana.

  64. a parte le mie paranoie nostalgiche, bella iniziativa, massimo, e complimenti a te e a tutti gli altri. in bocca al lupo per la presentazione! (quanto mi piacerebbe esserci…)

  65. Ringrazio moltissimo Letizia, Amelia, Margherita (bellissime citazione… ci rifletteremo su), Valerio, Gaetano…
    [p.s. questo mio commento l’ho appena recuperato dalla lista “spam”… il sistema è imperfetto: non prendetevela se dovesse capitare anche a voi]

  66. Alcuni degli amici autori, protagonisti di questo libro, sono già intervenuti.
    Li saluto affettuosamente e li ringrazio: Enrico Gregori, Pasquale Esposito, Tea Ranno, Piera Mattei, Silvia Leonardi, Carlo Sirotti…

  67. Caro Massimo, cari amici, in breve: il mio racconto “Delitto a Campo de’ Fiori” nasce su un episodio realmente accaduto negli anni Settanta, un delitto d’amore in mezzo a tanti attentati, delitti, agguati, atti terroristi. Un delitto d’amore che coinvolse il fratello di un amore famoso, come autore del delitto, e un ragazzo paciere come vittima, piacere per amicizia e per amore…Campo de’ Fiori era quel che era, e non c’era l’happy hours…leggere per credere. Grazie Massimo e grazie Azimiut per avermi invitato a scrivere e a partecipare. Alcuni anni fa ereditai un programma tv che doveva fare l’amico Gigi Magni. Feci quattro puntate: Roma di giorno e Roma di notte, a volte l’underground era di giorno…Si chiamava “Roma cinema” e conteneva interventi di Vincenzo Cerami, Moana Pozzi e…illiustri sconosciuti…una Roma bruta, brutale, gentile, a volte gentilissima, ciao Italo

  68. A proposito di radio, caro Italo. Alle 21:30 andrò in onda sulle frequenze FM della milanese Radio Hinterland, in compagnia di Luca Corte. La puntata è ascoltabile in diretta via Internet (dopo vi darò i riferimenti) e nei giorni seguenti sarà ascoltabile in podcast qui su Letteratitudine.
    Ovviamente parleremo di Roma per le strade: ospite della puntata Adriana Merola.
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/

  69. @ Giorgia Lepore
    Carissima Giorgia, grazie mille per i tuo bellissimo intervento nella duplice veste di scrittrice-archeologa.
    In questa raccolta di racconti compare pure una Roma sotterranea in un bel racconto (di Gianfranco Franchi intitolato “Genius Loci”. Siamo nel quartiere di Monteverde… e sotto Monteverde… c’è qualcosa che ha a che fare con la Basilica di San Pancrazio…

  70. Grazie Massimo. Cerco di ascoltarti anche se sono al lavoro.
    Errata corrige: “fratello di un attore” (e non di un amore); “pacere” (e non ” piacere per amicizia”). Fantastici lapsus! Amore e piacere! In tempi d’ oggi e di delitti…
    A presto.

  71. IL PAESE
    Racconto di Felice Muolo
    ————-

    Il paese vecchio sorgeva sul mare: un labirinto di case, chiese e strade lastricate prive di marciapiedi. Il paese nuovo si estendeva a scacchiera verso le colline, con strade asfaltate corredate di marciapiedi. Entrambi erano bianchi, dipinti a calce.
    Abitavo al primo isolato a sud, al confine tra le due parti. Sotto il pavimento di casa, c’era una cisterna in cui finiva l’acqua piovana. Qui mia madre gettava la palla di turno quando io, i miei fratelli e nostro cugino giocavamo in casa. Mio padre ogni tanto vi buttava un capitone affinché mangiasse piccoli vermi rossi che si formavano nell’acqua. D’estate, la cisterna era quasi sempre al secco e l’acqua si attingeva dalle fontane pubbliche trasportandola a braccia con anfore di rame zincato.
    Tornando a casa all’imbrunire, i carri trainati da cavalli, muli e asini sostavano davanti casa, dove iniziava l’asfalto. I conducenti scendevano da cassetta e infilavano scarpe di gomma ai quadrupedi, affinché non scivolassero sulle strade del paese. Sotto alcuni carri era legato un cane, da tutti penzolava una lampada a petrolio. Spesso gli animali approfittavano della fermata per scaricarsi gli intestini. Alcuni di essi sfoderavano lunghi, turgidi sessi che stupivano me, i miei fratelli e nostro cugino seduti sul marciapiede a goderci lo spettacolo.
    I miei nonni abitavano al secondo piano del mio stabile. Il suo portoncino aveva il battente molto in alto. Quand’era chiuso, lo prendevo a pugni e a calci per farmi sentire in casa. Con una poderosa spallata si apriva anche. Non avevo ma visto una chiave girare nella sua toppa.
    Di sera tardi, rientrato dall’osteria, nonno sedeva sui due gradini davanti a esso. Fumava l’ultimo sigaro della giornata, prima di decidersi ad affrontare le scale. Io, i mie fratelli e nostro cugino spesso lo tiravamo per le braccia e lo spingevamo da dietro nella salita.
    L’orto in cui lavorava mio padre era dietro lo stabile. Qui mia nonna allevava quattro cinque galline e un gallo. Ogni giorno, al tramonto del sole, per evitare che i ladri li rubassero, noi ragazzi acciuffavamo gli animali assonnati, li ficcavamo in una cesta di vimini e li trasportavamo nel retro del portoncino. L’indomani mattina provvedeva mio padre a riportarli indietro. Batteva il gallo nella sveglia.
    Ogni giorno, rovistavamo nel cumulo della spazzatura del mulino della farina che sorgeva nel nostro quartiere. Scartando topi morti, cartacce e cicche, recuperavamo pezzi di spago che nostro nonno usava per la manutenzione della scala di corda che affittava agli imbianchini.
    Il fiore all’occhiello del paese era la piazza. Non dove si vendeva il pesce, né quella della frutta ma l’altra, la più grande, dove si passeggiava. Uno stradone la sezionava in due parti rettangolari contornate da due file di alberi. Al centro di una c’era il monumento dei caduti, nella seconda una fontana.
    Il cinema era qui di fronte. Io, i miei fratelli e nostro cugino la domenica ne aspettavamo l’apertura davanti all’ingresso. Era stato una stalla. Nonno sempre lo ripeteva. Mio padre precisava che lo era ancora. Lo frequentavano pescatori, calzolai, barbieri, falegnami, muratori, contadini, malandrini, spazzini e ragazzini. Donne e impiegati, nessuno. Durante la proiezione dei film, gli spettatori mangiavano e bevevano di tutto, lanciando rifiuti addosso a chi capitava. Parlavano ad alta voce, si azzuffavano, ruttavano, scoreggiavano, bestemmiavano, si prendevano a scoppole, fischiavano, applaudivano e dalle file dei sedili più in alto partivano sul pavimento inclinato rivoli di piscio.
    Noi ragazzi vedevamo minimo tre volte il film ogni volta, sperando che spettatori all’impiedi, stufi di esserlo, ci comprassero i posti.

  72. Ecco, qui sopra ho recuperato il racconto di Felice Muolo. Lo leggerò e commenterò con calma più tardi.
    Mi predispongo per la diretta radio.
    (Preannuncio che sono raffreddatissimo, con tanto di tosse… ma che importa? Tanto siamo tra amici!)

  73. Ho letto il tuo racconto “paesano”, Felice. Molto bello, fa da contraltare a quelli “cittadini”: sa di antico, si respira una vita ordinata (e tranquilla) fondata sul lavoro e sulle piccole cose.

  74. buona diretta, massimo. s.pancrazio, certo che la conosco, anche là sotto ci sono dei “buchi” bellissimi…

  75. uh,mi dispiace tanto,ci vuole molto riposo e un pò di tachipirina, e tanti pensieri positivi degli amici come una rete calda di buona guarigione!

  76. Vi ho ascoltati! Mi dispiace, Massi, per la febbre…Coraggio! Sei stato bavissimo! E così Luca e Adriana Merola! In bocca al lupo a tutti e un abbraccio ai romani che conosco (Enrico, Tea, Pasquale, Silvia, Luigino, Francesco, Adelia, Carlo, Piera, Lia, Laura…Vi leggerò tutti, un bacio!)

  77. Ancora grazie, Simo: un bacio a te.
    E grazie anche a Giorgia: ci ho fatto caso adesso… la W è una emme maiuscola rovesciata: quindi WM significa che… mi sento sottosopra. 🙂
    Buonanotte a tutti.

  78. Carissimo Massimo mi piace molto questa iniziativa collettiva sulle città e sullle strade, sui luoghi narrati.
    Ogni città ha una sua storia ed ogni strada i suoi odori, i suoi colori; sarà bello respirarli e lasciare incantare gli occhi dell’animo.
    Ho sempre considerato i reportages degli scrittori come ispezioni inimitabili degli spazi vissuti, Moravia descriveva un’Africa e un’India che raramente si ritroverebbero sulle guide turistiche o nei semplici articoli giornalistici.
    In bocca al lupo a tutti gli autori e non vedo l’ora di ‘camminare’ sulle strade delle vostre città ‘vivibili’, più che invisibili.
    P.S. Auguri a Massimo per la guarigione 🙂
    Notte a tutti.

    P.S. L’iniziativa è stata pubblicizzata su Lo Schiaffo.

  79. Massimo, come stai? spero proprio di vederti giovedì. Non mi costringerai a venire a Catania, per incontrarti, no? Senza di te che lancio sarebbe?
    Cara Simona, ho molta nostalgia di te, di voi, di Siracusa. Troveremo il modo d’incontrarci, presto?

  80. Grazie per la pubblicazione del racconto, Massimo, e auguri di pronta guarigione.
    Colgo l’occasione per annunciare che il prossimo dicembre sarà pubblicato, a un anno esatto dall’ultimo, il mio sesto romanzo. Per scaramanzia, e non approfittare ulteriormente, non aggiungo altro.

  81. caro massimo, auguri di pronta guarigione e in bocca al lupo per giovedì. spero di poter sentire la trasmissione radio di ieri in podcast al più presto.

  82. Massimo, non fare scherzi…come stai?
    Imbottisciti di farmaci, curati con l’omeopatia, fai gli impacchi freddi, ma non mancare!! Ti aspettiamo!
    Un bacio e guarisci prestissimo!

    Un saluto affettuosissimo a Simona Lo Iacono! Sarebbe bello averti domani tra noi 🙂

  83. MASSIMO! mi raccomando riguardati………………….va bene il Sacro Fuoco dell’Arte ma qua si esagera…

  84. voglio salutare anch’io il grande Italo Moscati, che ha coniugato, nel suo racconto, il cinema e la letteratura, il tutto con un tocco del fascino ormai quasi esotico della Roma anni ’70. Altro spunto di riflessione: dalle calviniane città in-visibili alle città in progress. Viste come organismo vivo, che cambia nel tempo, e “invecchiando” può anche mutare di carattere. Roma è ancora la Roma ‘paesana’ in cui tutto conoscono tutti? La mia impressione (ma io non vivo a Roma, quindi è una prospettiva esterna) è che non sia più così.

  85. questo è un bel argomento. ROMA LA CITTà ETERNA… si forse questa nomina va ancora bene. ma in realtà sta andando tutto a rotoli il mito della bella Roma. dentro ormai c’è il degrado. che si consuma lentamente e noi all’interno non ce ne accorgiamo… io ne parlo come persona che ci vive. forse sono troppo pessimista. ma ci sarà qualcuno d’accordo con me.

  86. Bellissima iniziativa! Non solo perchè permette di guardare alle città come Roma non con gli occhi di un turista ma da dentro, dai cittadini che ci vivono ogni giorno, e con occhi speciali quali sono quelli di chi scrive, ma soprattutto per il fatto “del dono” .
    Io ho partecipato quest’anno a un progetto per l’Aquila: ricostruire una biblioteca caduta durante il terremoto, il progetto intitolato Alice nelle città per l’aquila si è trasformato in un libro, il ricavato servirà appunto a tale ricostruzione. Qui trovate un video/presentazione: http://www.youtube.com/watch?v=THV_SSrSZaw, per chi volesse comprare il libro il link è http://www.laquilainsieme.it/
    Ciao Lucia

  87. Massimo, vorrei anzitutto salutare calorosamente – e con riconoscenza – Adriana Merola, Massimiliano Felli e tutti gli azimutiani, oltre che ciascun lettore.
    Il progetto editoriale non è solo meritevole di elogio per le finalità sottese, ma anche per l’opportunità data agli scrittori “emergenti” di farsi notare e apprezzare.
    Riguardo alla descrizione della mia città: Vicenza, dico subito che essa (Vicenza), oggigiorno, non la si può affatto considerare una comunità, come la si considerava un tempo.
    Difatti, camminando per il corso principale e le piazze, orlati di palazzi palladiani, conservati magnificamente (detto per inciso), e per le varie contrà e vicoli, si respira un’atmosfera oserei dire sordida rispetto a trenta, quarant’anni fa, che rimanda ai cancri di memoria dickensiana. Tanto malefici quanto inesorabili.
    Anche a Vicenza, insomma, come in ogni altra città “progredita”, gli strumenti forniti dalla tecnologia e dalle nuove, moderne concezioni urbanistiche non fanno che legare gli abitanti in spazi sempre più angusti, cercando magari d’inculcare in loro nuovi modi di vedere e interpretare “il mondo” e – soprattutto – di comunicare coi propri simili. Se di comunicazione si tratta. Perché le piazze, il corso e via dicendo vengono sostituiti spesso e forse volentieri dalle piazze e dalle vie interne ai centri commerciali, per esempio. I quali offrono certamente parecchie comodità, ma sono pervasi da un senso atroce di solitudine, di artificio e di anonimato, foriero di aridità sentimentale ed esistenziale.
    Ci si dovrà adeguare, naturalmente. Eccetto che gli abitanti e tutti coloro che governano la città vogliano o siano in grado di ricomporre quello spirito di genuina comunicazione dialogica, soffocato lentamente proprio dalla tecnologia e dalle tante modernità.

  88. Arrivo buona ultima e me ne scuso. Quando Massimo Maugeri ci ha proposto di partecipare a questa iniziativa ci siamo sentite lusingate e incredule. Abbiamo accettato con gioia immensa, primo perche” era un onore per noi essere chiamate in un simile consesso. Secondo perche’ parlare della nostra citta’, quella dove siamo nate e cresciute, era un’occasione che non potevamo perdere. Roma e’ infinita, fornisce spunti a migliaia e non basterebbero tremila scrittori a raccontarla. Noi ci siamo focalizzate sulla periferia, sulla realta’ dove dagli anni ’60 in poi si e’ spostata la romanita’ piu’ popolare, quella sfrattata dal meraviglioso centro storico dagli interessi economici e dai palazzinari. I romani hanno subito una vera e propria deportazione verso l’esterno della citta’, a ridosso del raccordo anulare. Ed e’ li’, nelle borgate, che a nostro parere si ritrova lo spirito piu’ vero, piu’ plebeo, piu’ umano dell’essere romani. Con tutti i difetti (tanti) e tutti i pregi (non pochi).

  89. Grazie, Massimo.
    Ma non trovi strano che il mio racconto sia passato inosservato? Qualcosa non funziona, non certo il racconto. Scusa la presunzione.

  90. Ciao, Massimo. Ciao a tutti. Che peccato non poter essere a Roma, l’iniziativa mi piace veramente.
    Qua sotto un raccontuolo su Verona.
    Un caro saluto

    «Piccola… La vedi com’è storta? Lo vedi quanta fatica fa a camminare?».
    Davanti a loro c’è una vecchia che avanzava ondeggiando lentamente, gobba e fragile, lungo via Leoncino, costeggiando l’Arena.
    «Hai visto, mamma? È bravissima: sembra che cada a ogni passo, e invece resta in piedi e va anche avanti…».
    Procedono tenendosi per mano, madre e figlio. Guardano la schiena della vecchia, la sua giacchetta lisa e i suoi capelli così radi, arruffati e neri di tintura da farla somigliare a un tipo speciale di pulcino Ogm: un pulcino grandissimo, mai visto.

    Seduti sugli scalini del municipio, due ragazzini si stanno baciando.
    La vecchia si ferma.
    «Ma non vi vergognate?», urla con un tono che contraddice la sottigliezza del suo collo, dei suoi polsi e delle sue caviglie.
    I ragazzini la guardano.
    Lui ha una maglietta bianca. Dalle maniche corte escono due lucide lunghe braccia dalla pelle marrone.
    Ha i capelli neri, un fiacchissimo accenno di barba.
    Lei ha la testa coperta da un fazzoletto.
    Il bambino guarda la madre, e poi il ragazzino, e poi la vecchia. Infine, osa alzare gli occhi anche verso la ragazzina col fazzoletto. Forse gli piace ma si vergogna. Di sicuro, comunque, non capisce bene le cose, e stringe un po’ di più la mano della madre.
    «Dovreste vergognarvi», riprende a strillare il vecchio pulcino gigante. «Ai miei tempi non ci si baciava mica per strada! E tutti questi stranieri, poi!».
    Alla vecchia piace non fare più lo sforzo di camminare. Le piace, in fondo, l’idea che chi passa per piazza Bra, la piazza Bra della sua gioventù e degli anni della sua maternità, quando portava i bambini ai giardinetti, la possa sentire e vedere. Pensa che questo spettacolino le spetti; perché è ora di finirla.
    A larghi passi le si avvicina un uomo massiccio.
    «La g’ha rasòn», dice con rabbiosa convinzione al pulcino gigante. «La guarda là, sulle panchine visìn a la fontana. Tuti immigrati. Ormai in tuta la piassa no ghé n’è uno che ‘l parla veronese».
    «Ah, sì, lo so», risponde la vecchia. «E dopo dicono che siamo razzisti. Le galere sono piene di stranieri, non si può più girare tranquilli, spacciano droga, fanno rapine. Non dico mica che sian tutti cattivi. Ma insomma, c’è da aver paura a andare in giro».
    «E ela, po’, che l’è ‘na dona!», dice l’omone. «Mi sarò anca pensionato, ma so’ ancora bon de defendarme. I’è le done, mi digo, che le me preocupa, poaréte».

    Il bambino guarda e tace.
    La mamma vorrebbe dire qualcosa, si schiarisce la gola e poi decide che no, fa lo stesso. È già troppo tardi, è già tutto successo.
    I ragazzini riprendono a baciarsi.

    Il pensionato gira la testa: «Là gh’è un vigile, ‘speta che lo ciamo. Ah, bon, el sta vegnendo qua lu’».
    Il pulcino gigante si assesta sulle gambe come per ritrovare un equilibrio di cui i muscoli sembrano avere perso la memoria.

    «Cosa c’è?», chiede il vigile.
    «I ragazzi, qua, son seduti sulle scale del municipio », dice la vecchia. «Non si può stare seduti sulle scale del municipio», spiega guardandosi in giro. «E in più si stanno anche baciando, e qua c’è pieno di bambini che vedono».

    Il bambino guarda la mamma.
    La mamma continua a tacere.
    «Ragazzi», dice il vigile appoggiando piano la mano sulla fondina bianca della sua pistola. «Non potete star seduti qua. Via, andate via!».
    «Sì», dice l’omone. «Andè via de qua, che de neri ghe n’emo in bisogno anche sensa voàltri. Èto capìo, ah, ragasso?».
    I ragazzini si alzano.
    Hanno un panino in mano. Per baciarsi l’avevano messo sulle ginocchia.
    Guardano il vigile, l’omone, il pulcino gigante, la mamma, il bambino.
    E stanno fermi, lì in piedi, mentre si avvicina un gruppetto di tre donne che spingono tre vecchi rinsecchiti, tutti contorti nelle sedie a rotelle.

    «Sorry?», dice il ragazzo.
    «Parli italiano?», dice il vigile.
    «Ah, adesso i fa quei che no i capisse!», dice il pensionato.
    «Eh, sì», dice la vecchia. «Troppo comodo!».
    Il bambino guarda la mamma.
    La mamma tace.

    «Sorry, I don’t speak Italian. Maybe you do speak English, don’t you?», dice il ragazzo.
    «No», dice il vigile. «Non parlo inglese».
    «Lo parlo mì, l’inglese», dice l’omone agitando un dito con un movimento ampio. «El-vi-gi-le-l-ha-dito-che-ga-vì-da-nar-via-dai-scalini-e-tra-l-al-tro-no-se-pol-gnanca-magnar-i-paneti-su-le-scale-dei-mo-nu-men-ti, qua a Verona. Anderstènd? No scalini. Sca-li-ni. No l’è mia dificile, ah. No sca-li-ni-no-pa-ni-ni-no-ne-ri-no-stra-nie-ri. Andè a magnar panini a casa vostra. Ciaro?».

    La ragazza col fazzoletto in testa prende la mano del ragazzo con la maglietta bianca e le braccia lunghe lucide e nere.
    Mentre se ne vanno verso via Mazzini, lui mette una mano nella tasca posteriore dei jeans di lei.
    Il vigile saluta e si incammina nella direzione opposta.

    «Ala visto?», dice il pensionato al pulcino gigante.
    «Ho visto sì», dice la vecchia. «I vien qua e dopo no i sa gnanca na parola de italian, e dopo vorìa vèdar se a casa lori i pol darse i basetti in piassa come qua. Qua noialtri le lasciamo libere, le nostre ragazze. Mica come loro, che se al padre non gli piace il moroso allora ammazza la figlia e la moglie lo difende anche».

    Il bambino e la mamma riprendono a camminare.
    Il pulcino gigante saluta l’omone, annuisce con solida energia, e comincia a muoversi di nuovo con lentezza, scombinando lentamente la distribuzione dei pesi che era riuscita a organizzare.
    Il bambino si gira a guardarla.
    «Mamma, guarda! Vòltati!», dice. «La vecchia non è più storta! Adesso la schiena si è raddrizzata!».

  91. @Massimo un grande in bocca al lupo per il tuo viaggio,spero sfebbrato,e per una bellissima giornata a Roma fra amici e autori interessanti!
    p.s.grazie di cuore per l’apprezzamento per il mio raccontino estemporaneo,e chissà se per il domani non ci sia un posticino anche per me…
    un abbraccio

  92. Torre

    Siamo dei provinciali molto snob: non ci piace andare a Napoli, per noi è una maledizione doverlo fare. Ci secca lasciare la nostra cittadina, relativamente tranquilla ed ordinata, per ficcarci in quel bailamme di traffico, fumi e rumori; sì, la cosa ci fa inorridire.
    Una striscia di terra lunga sette-otto chilometri, larga al massimo un paio, compressa tra il mare e le pendici del formidabil monte sterminator Vesevo (sì, Lui ha abitato proprio da queste parti, alla fine, ma questo è un altro discorso). O forse no, non andrebbe messo fra parentesi, perché Villa delle Ginestre è ancora là, anzi si è rifatta da poco, pare ci vogliano mettere una sconfinata collezione di testi, leopardiani, appunto.
    Quella fetentona della Muntagna ce l’ha buttata giù completamente diverse volte, la città, ma l’abbiamo sempre ricostruita. Fu terribile nel 1631 e nel 1794. Ma, quest’ultima volta, c’era il Parroco Santo a guidare la ricostruzione, e promise che la città non sarebbe più stata distrutta, e finora così è stato. Come ricordo, c’è rimasto il vecchio campanile della Pontificia Basilica, interrato ed inclinato dalla lava, più basso della chiesa. E l’ha mantenuta, la promessa, don Vincenzo.
    Ce n’è traccia anche nelle commedie di Eduardo, ogni tanto dice che deve venire qua. E poi Lucre-zia d’Alagno, la bellissima favorita di Alfonso d’Aragona (anche le sue pronipoti non sono affatto male, in genere), le “semolelle”, pani di semola da farcire di tonno o alici; il corallo, e molti dei fiori di Sanremo che si vedono per televisione vengono proprio da qua, la Banca che continua a crescere alla faccia delle crisi ricorrenti; il dialetto strettissimo, forse per differenziarci da quello smi-suratamente largo dell’altra Torre, confinante e da sempre vera rivale. Il tutto in un clima incantevo-le, c’era un sanatorio, agli inizi del secolo scorso, che ora è la sede dell’ASL.
    E a me, quando rivendicavo i miei natali partenopei, raccontavano l’aneddoto del cane torrese e del cane napoletano, maledetto e santo amore per il denaro.
    E così ogni notte mi vado a coricare, con altri novantamila matti disgraziati, sotto questa specie di bomba atomica innescata che è il vulcano. Si sta benissimo, chi ti viene a disturbare?
    Giuseppe Della Monica

  93. Caro Massimo e cari Amici di “Roma per le strade” e non solo, sono chiuso in sala di registrazione per la quinta e sesta puntata del “Crollo del Muro” di sabato e domenica; e non ce la faccio ad arrivare alla presentazione del libro. Peccato. Ci tenevo. Mi auguro a presto, anzi a prestissimo, magari per un altro libro della AZIMUT (amici che saluto). Cercherò il libro in libreria e lo comprerò. Un saluto, e grazie dell’attenzione, Italo

  94. @ Federica Sgaggio

    Conosco Verona per averci lavorato tempo fa. Vi ho lasciato anche un po’ del mio cuore, legato com’ero ad alcuni amici e alla loro vivacità contagiante. Nel frattempo è cambiata eccome, culturalmente e socialmente, come ogni altra città non solo veneta. E il tuo agile raccontuolo ne dà una descrizione vorrei dire iperrealistica. Tant’è che sembra una tela, un dipinto da cui traspaiono mille rughe, mille angosce e tanta, tanta inquietudine. Quell’inquietudine che si respira dappertutto, tra gli autoctoni e i “foresti”, e che offusca la vista e la mente perfino di coloro che pretendono di agire con lungimiranza. Cordialmente, A. B.

  95. La presentazione di ieri è andata benissimo. Notevole l’affluenza di pubblico… e una grande esperienza di condivisione con i partecipanti.
    E’ stato davvero molto emozionante. Ringrazio ancora una volta Azimut per la splendida occasione e tutti gli amici scrittori per il loro grande contributo.
    Sono un po’ laconico, scusate… ma come vi ho detto sono itinerante.
    Vi racconterò meglio in seguito.

  96. Caro Massimo,
    buongiorno! Stamattina mi sono svegliata starnutendo, e spero che la causa non sia tu 🙂 scherzi a parte, ieri sono stata benissimo, è stato emozionante e coinvolgente. E soprattutto, le persone di mia conoscenza che erano lì non hanno fatto che complimenti per la presentazione, sono rimasti tutti entusiasti. Quindi, mi ripeto ma ci vuole, grazie grazie grazie.
    Baci a tutti

  97. @Massimo
    Grazie a te per l’attenzione.
    Mi fa piacere che la campagna perugina sia andata bene.
    Buon fine settimana a te ed a tutti.

  98. Sono stata alla presentazione ieri da melbookstore ed è stato molto interessante conoscere più approfonditamente il vostro progetto che è coinvolgente… è vero! Lamento però il fatto che non abbiate previsto del tempo per le eventuali domande e allora te ne faccio una qui. Vorrei sapere quale criterio hai adottato nella scelta dei racconti. E questo è un inizio… a presto spero Brigidina

  99. Salve a tutti, sono uno degli autori raccolti nel volume curato da Massimo Maugeri. Roma per le strade. Roma come dimensione dello spirito. Cme perenne fonte di ispirazione. Il mio racconto s’intitola “Schiarita sul Cimitero Protestante – appunti per un’educazione sentimentale”. E da come si evince, la zona su cui mi sono soffermato è propro quella del Cimitero di Porta San Paolo, comunemente definito “Cimitero dei Poeti” per la presenza di Keats, Shelley, Bellezza, Gramsci e tantissimi altri nomi illustri dell’arte e del pensiero. Torno ancora carico delle meravigliose emozioni regalateci dalla serata di ieri sera a Melbookstore – prima presentazione romana del libro, alla presenza di molti degli autori presenti nel libro. Un grazie di cuore alla casa editrice che ha creduto nel progetto. Un grazie a Massimiliano Felli, editor e scrittore di singolare talento e intelligenza. Un grazie a tutti gli amici e gli allievi presenti in libreria. E’ stata una di quelle serata davvero magiche, quelle che ti lasciano la strana sensazione che qualcosa si sia fermato come per incanto. Che gli attimi condensati tu possa portarteli dietro, dentro, intorno, per riviverli in solitudine domani, e domani ancora, e nei giorni a venire. Grazie alle parole emozionate di Lia Levi, e al suo ricordo felliniano del cinema e di una Roma ancora in formazione. Grazie ad Adelia Battista per la meravigliosa passeggiata con Dario Bellezza tra i vicoli di Trastevere. A volte sembra che lo spirito del poeta aleggi ancora tra quelle stradine. Grazie a Dacia Maraini, per il suo incipit che è musica viva. Grazie a Sandra Petrignani per la sua riflessione sulla bellezza e sul malessere delle periferie. Grazie a Filippo Tuena, per la singolare figura che ha rappresentato nelle sue pagine. Grazie a Piera Mattei per la sua Roma eterna, che ogni giorno ridiventa parola. Grazie a Tea Ranno, per il suo incontro a Piazza di Spagna. Il suo è un racconto velato di una poetica nostalgia. Grazie a Rita Charbonnier, che di Roma ci ha fatto udire la voce profonda, attraverso la sua maravigliosa parola e la sua abile interpretazione. Grazie davvero a tutti coloro che hanno preso parte alla serata. Io sono siciliano, e per me Roma rimane scoperta, costruzione. Sogno della mente. E’ così che vorrò sempre continaure a viverla. Un saluto a tutti, e grazie soprattutto a te, caro Massimo

  100. Beh, a giudicare dall’affluenza direi che sia andata tutt’altro che male. La presentazione di Adriana e Massimo è stata interessante, gli autori che hanno letto i loro brani anche, alcuni momenti veramente toccanti (Lia Levi, a mio parere, per tutti). Certo, qualche discussione in più direttamente con gli autori intervenuti sarebbe stata piacevole, ma bisogna ammettere che il tempo rubato dalle letture, visto il numero dei presenti, è stato parecchio, e le ulteriori discussioni avrebbero certamente sforato l’orario di chiusura della libreria.
    Io ammetto di essere stato un pò emozionato nel mio ruolo di “esordiente” tra tante belle penne, e francamente aspettando il mio turno mi ero preparato mentalmente un piccolo preambolo per presentare il mio racconto, agganciandolo proprio a quanto aveva detto Adriana riguardo alla Roma “che attrae e respinge” allo stesso tempo, alla Roma dei non romani, ed altre piccole note a margine cui il personaggio del mio racconto (M.C. Escher) si prestava. Alla fine vi ho rinunziato, un po’ per l’emozione, un po’ perchè l’ora si stava facendo tarda e non volevo rubare altro tempo ad altri autori, e mi sono limitato a leggere il mio incipit.
    Ma è stata una piacevole serata, finita (come spesso succede in questi casi) in gloria in trattoria tra amici scrittori. Peccato che un Masssimo non proprio in piena forma fisica non riuscisse ad essere dei nostri.
    Ma ci sarà un’altra occasione.

  101. Conosco il progetto che accoglie scrittori a me carissimi, sia per la loro scrittura che come amici…
    Lia, Piera, Adelia, Francesco, Tea, Pasquale… Laura, Lory, Enrico e tutti voi cantori della città che eterna è non perché non finirà ma perché risuona nell’arte con melodie e singhiozzi ininterrotti… Massi, complimenti per il tuo progetto. E basta febbre, ci servi vivo!
    -)

  102. L’iniziativa è molto bella e io che di città ne ho viste poche, leggendo di Milano… Roma… ho quasi timore a parlare di una città piccola col nome lungo: Caltanissetta. Niente vestigia di antica gloria, niente templi, niente di niente e, se tiri su col naso, forse ancora odore di zolfo dopo anni che le miniere sono state chiuse. E’ lecito parlare di una città così, piccola con piccole storie? Basta a giustificarlo che si tratta – come direbbe Vittorini – di una “città nel mondo”? Basterà dire che vi si impasta il pane migliore del mondo? Potrei darmi le arie e aggiungere che in quella città – piccola come si è detto – ci si conosce un po’ tutti e se ti azzardi a “scipparmi”, lo vado a dire a tuo padre che le le suona.

  103. @Complimenti per l’iniziativa a scopo umanitario e per la qualità degli scrittori intervenuti.
    Complimenti anche per il bellissimo primo piano in copertina.

  104. Non sapevo di essere diventato anonimo (sarà colpa della dieta che mi sta facendo scomparire).

  105. Magnifico il commento di Simona Lo Iacono su Siracusa. Bellissima iniziativa la collana di raccolte di racconti sulle citta’ italiane e dunque complimenti vivissimi ad Azimut e agli autori tutti.
    Per quanto mi riguarda, io, che nel cuore ho tre citta’ – Roma, Spello e Perugia – e anche qualche altro posto per via di origini familiari – il barese – ho scritto una raccolta di racconti sulle Regioni italiane. Ma sono troppo lunghi da esser copiati qui, ohibo’.
    Allora aspetto di poter leggere il libro e invio abbraccioni a tutti voi, Massimo in primis.

  106. P.S.
    Solo non capisco cosa c’entri con Roma un seno femminile in primo piano. Non ne colgo il significato insomma.

  107. @Giorgia. Il modello no, ma quantomeno cercare di darmi sembianze vagamente umane. Ma quanto rompi! Sei proprio antipatica.

  108. Cari amici, ringrazio tutti per i commenti.
    Scusate la mia assenza, ma – come ho avuto modo di scrivervi – in questi giorni sono stato in viaggio.
    Provo a rispondere a qualche commento…

  109. @ Salvo e Sergio
    La copertina è stata realizzata da Adriana Merola la quale, oltre a essere l’editrice di Azimut – insieme a Guido Farneti -, è anche pittrice e disegna tutte le copertine della casa editrice.
    Per Adriana – come lei stessa ha avuto modo di illustrare pubblicamente nel corso della presentazione di giovedì pomeriggio da Melbookstore – la copertina simboleggia la Roma donna e madre (“la lupa”), la Roma sensuale e giunonica (quella della “dolce vita” felliniana). Da qui le strade che si inerpicano su questo busto di donna (prosperosa)…

  110. @ Brigidina
    Cara Brigidina,
    intanto grazie per essere stata dei nostri. E’ vero, tempo per fare domande non ce n’è stato (e lì in libreria ci stavano quasi per chiudere dentro)… ma ci tenevo tanto a far intervenire gli autori presenti.
    Mi chiedi quale criterio ho adottato nella scelta dei racconti…
    Be’, come ho scritto sul post più che i racconti ho scelto gli autori.
    Sono tutti scrittori romani (nati a Roma) o residenti a Roma (con l’eccezione del sottoscritto… l’unico autore non romano e non residente a Roma presente nella raccolta). Sono narratori che conosco personalmente e con i quali, anche nella fattispecie, ho cercato di portare avanti la stessa esperienza di condivisione che caratterizza Letteratitudine.
    Ho spiegato loro il progetto (che – ripeto – è a scopo benefico) chiedendo di contribuire con un racconto. Qualcuno di loro me ne ha inviato perfino un paio… in quel caso ho scelto quello che – a mio avviso – si prestava meglio a comporre il “mosaico narrativo” della raccolta.
    Ma per me, la bellezza del progetto era (ed è) incentrato soprattutto nello spirito di condivisione. È con questo spirito che – con ciascuno di questi amici scrittori – ho letto, commentato (in qualche caso anche rivisto) i racconti pervenuti.
    Sono molto contento. E l’esperienza della presentazione è stata molto emozionante.

  111. @ Silvia
    Ti prego… dimmi che non ti ho contagiato l’influenza…

    Sono partito quasi febbricitante e ho cercato di evitare saluti troppo affettuosi. Che io mi ricordi ho salutato con “bacio all’italiana” solo Enrico Gregori (e dietro sua insistenza)…
    😉

  112. Mi piacerebbe fornire qualche “suggestione” su ciascuno dei racconti della raccolta. Giusto una frase… un po’ come ho fatto nel corso della presentazione.
    Spero di riuscire a farlo più tardi.
    Intanto, auguro buona domenica sera a tutti voi.

  113. @ Giorgia
    Ma eri presente tra il pubblico… o devo sperare in un ulteriore miracolo del web?
    Comunque non vorrei che il mio spirito di condivisione sconfinasse in “senso batterico”.
    😉
    A dopo!

  114. Caro Massi, cara Adriana Merola,
    tempo fa in occasione di una conferenza sull’allattamento materno e sui diritti dell’infanzia, ebbi modo di approfondire la simbologia del seno nei secoli e nell’arte. Vi riporto qualche appunto buttato giù allora per sottolineare il valore simbolico della copertina realizzata da Azimut…

    Diceva infatti Novalis che “Il seno è il petto delle donne elevato a mistero”. Anche l’iconografia sottende questa verità.
    Un florilegio di simboli per le numerose suggestioni che il seno della donna suggerisce. Vi è stato un tempo, nel Medioevo, scrive Alfonso
    Maria Pluchinotta, in cui il seno era considerato “il luogo della follia”; allora si cercava di guarire questo male oscuro strizzando il seno delle donne che ne erano affette. Una concezione della malattia psichica
    sicuramente derivata dallo stato emotivo che il seno riesce a suscitare.
    Ed emozioni e fantasia sono molto vicine alla creatività e all’arte.
    Quale immagine dal potere altamente evocativo, il seno affonda le sue radici, con la sua funzione fisiologica, nell’alba della vita per arrivare, proposto scoperto oppure sapientemente velato, alla visione della moda. Può essere elemento innocente o peccaminoso se si fa riferimento
    alla morale; utile oppure causa di sofferenza se lo si considera dal punto di vista medico.
    Immagine sempre doppia e dal duplice aspetto simbolico- culturale: polo della positività e perciò della bellezza, della salute, della gioia e nello stesso tempo della negatività intesa come malattia, paura, psicosi.
    Le donne preistoriche rappresentate nella pietra avevano seni enormi a simbolo di fertilità. Nell’iconografia di Maria lactans la Madonna che mostra il seno sottolinea il suo ruolo di Madre di tutti gli uomini, assurgendo a signum della Chiesa con il suo potere di nutrimento spirituale. Dal XVII al XIX secolo, soprattutto nell’area mediterranea, si afferma l’iconografia di una Madonna che mostra uno o entrambi i seni
    come nella statua policroma di impronta tipicamente devozionale di
    scuola ispano-campana del XVI con l’immagine della Vergine (che mostra due seni, di cui uno accarezzatodal Figlio e l’altro offerto simbolicamente a chi la osserva).
    La complessità simbolica relativa al seno rende qualsiasi minaccia verso questa parte del corpo, malattia in primis, particolarmente sentita e mostruosa.
    Il seno, infatti, è stato ed è anche luogo di paura.
    La violenza contro il seno infatti è sempre percepita come un atto sacrilego. L’asportazione di un seno costituisce la ferita suprema. Le sante rappresentate col seno tagliato non facevano altro che rispecchiare questa paura delle donne. Secondo la leggenda, sant’Agata, il cui martirio consistette nell’amputazione del seno, si rivolge al suo carnefice dicendogli «Non ti vergogni di tagliare ciò che tu stesso hai succhiato dalla madre».
    L’opera di Francesco di Simone da Santacroce, raffigurante Sant’Agata, dei primissimi anni del Cinquecento, conservata ai Musei Civici di Padova, ci mostra la santa che porta il suo seno, simbolo di fertilità e di maternità, su un vassoio.
    —-
    Quindi credo che la copertina abbia davvero un potere evocativo molto forte e denso di storia e simboli.
    Mi pare anche che il seno con la sua duplice valenza (positiva come segno di fertilità e bellezza e negativa come retaggio di paure) si presti molto bene ad assurgere a sintesi delle molte e bellissime voci che l’antologia raccoglie.
    Un abbraccio e ancora buon lavoro ad Azimut

  115. Ripasso per vedere gli sviluppi e i resoconti. La presentazione a me è piaciuta molto per le parole che sono state dette e per quelle che sono state lette. Racconti diversissimi di autori romani de’ Roma, ma anche di romani acquisiti, quali Rosella Postorino o Luigi de Rosa. Come ho già scritto, io Roma la amo. Non mi capita mai di maledire di essere nata qui piuttosto che altrove. Roma io la considero una donna. E’ troppo bella, truccata, disordinata, sboccata per non essere una donna. E qui veniamo alla copertina che pare tanto abbia toccato Rita Charbonnier. Ognuno ha la propria sensibilità e tutte le sensibilità vanno rispettate. Ma anche io sono una donna, lavoro in un ambiente (la televisione) che della mercificazione del corpo delle donne ha fatto un’apoteosi. Mi batto da sempre per i diritti delle donne e non mi vergogno di essere femminista anche oggi che pare sia diventato decisamente fuori moda. Tutti i libri che ho scritto insieme a Loredana Falcone hanno per protagoniste delle donne. Eppure… Eppure a me quella copertina è piaciuta subito, a colpo d’occhio. L’ho vista e l’ho riconosciuta. C’è Roma in quella copertina e Adriana Merola non avrebbe potuto fare un lavoro migliore. Quel seno (per inciso di libri con in copertina uomini più o meno discinti io ne ho visti sugli scaffali delle librerie e di solito non mi soffermo davanti alla collezione Harmony) è Roma che accoglie da sempre, allatta da sempre come fece la lupa con Romolo e Remo. Non trovo nulla di volgare in quell’immagine. Come ha giustamente detto Simona prima di me, il seno è la quintessenza della femminilità e quello della copertina è un seno prosperoso ma casto, un seno coperto, un seno come se ne vedono tanti passeggiando per le strade di Roma. La mercificazione del corpo femminile esiste e va condannata, ma non è questo il caso.
    Chiudo ringraziando Adriana Merola per le belle parole che ha dedicato a tutti noi autori e per l’entusiasmo che ha dimostrato in questa iniziativa.
    Laura

  116. Scusate il fuori tema, ma è per dare maggiore visibilità alla notizia.
    E’ morta Alda Merini.

  117. Non solo la copertina non mi ha disturbata, ma mi sembra geniale. Sono dunque d’accordo con Simona Lo Iacono e Laura Costantini.
    Complimenti alla Azimut per la copertina.

  118. Giovedì uscendo dal Melbookstore ho comprato una copia del libro. Massimo aveva inviato le bozze, ma su carta la lettura resta tutt’altra cosa. Il libro mi è piaciuto ancora di più.
    Provo a parlarne, come lettore soltanto, come non facessi parte degli autori che hanno dato il loro contributo.
    Non tutti erano presenti il pomeriggio del 29 alla libreria. A meno che non fossi distratta non ricordo la faccia e la voce di Antonio Pascale al quale invece, nella lettura a casa, sono debitrice di un quarto d’ora di puro divertimento. E sono tornato a leggerlo una prima e una seconda volta il suo “Giusto venti minuti”, perché mi piace ridere delle disgrazie vere, ma raccontate pianamente, senza cattiveria né rabbia.
    Ora però mi accorgo di essermi messa in un pasticcio, perché per quanto tutti i racconti mi siano piaciuti non potrò parlare di tutti, qui. Allora accennerò a quelli di Massimo Maugeri e Massimiliano Felli. In entrambi ritrovo un protagonista che vorrebbe mostrarsi sicuro del fatto suo, in realtà lo è così poco da cadere in equivoci strani, o in trappole tese dalla paura. Bravi, bravi davvero tutti e due.
    Voglio citare almeno due o tre scrittrici, grandi non solo a mio giudizio. La signora della narrativa italiana Dacia Maraini, amica da anni lontani, Lia Levi con cui non ci perdiamo di vista. Lia, al solito ama raccontarci della sua giovinezza, Dacia parla degli anni d’oro in cui Roma era veramente una capitale della cultura, ma la notte era per pochi nottambuli, di cui uno si chiamava Sandro Penna.
    Ma ho letto con gioia tutti, in particolare Luigi La Rosa e Francesco Costa (amici per i quali ho in serbo anche apprezzamenti diretti e dai quali, in un prossimo appuntamento, mi aspetto commenti e critiche al mio lavoro) Gaja Cenciarelli e la coppia Costantini-Falcone.
    Ancora grazie, Massimo. Grazie per aver curato il libro, grazie per non essere mancato alla presentazione, con l’influenza appena rintuzzata.
    Ringrazio Adriana Merola per la passione che ha dato alle sue parole.

  119. Non vorrei entrare nel merito del dibattito copertina,ma solo dire che appena l’ho vista mi ha suscitato grande curiosità,può darsi che l’obiettivo,fra gli altri che spesso sono sottoposti all’interpretazione personale,dell’autrice della copertina e della azimut sia stato questo .Legittimo e anche consono all’oggetto,accendere curiosità con una copertina non solo non mi pare un grave danno ma un giusto obiettivo per un libro che deve essere notato fra tanti a prima vista con lo sguardo poi con la validità dei racconti,e non ultimo, con l’intento nobilissimo che si propone con la vendita.Grandi auguri a Roma per le strade!
    Un grande dispiacere invece per noi tutti per la morte della grande e sensibile Alda Merini.

  120. Cari amici permettetemi di stemperare gli animi con questi versi della Merini.
    ………………………………….
    Non ho bisogno di denaro.
    Ho bisogno di sentimenti,
    di parole, di parole scelte sapientemente,
    di fiori detti pensieri,
    di rose dette presenze,
    di sogni che abitino gli alberi,
    di canzoni che facciano danzare le statue,
    di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
    Ho bisogno di poesia,
    questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
    che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
    ……………………………………………………….
    Con affetto e un pensiero ad una voce forte e intima del nostro panorama letterario e umano.

  121. La copertina del libro: i seni così pieni sono una forma quasi astratta, di volume e consistenza materna, come era nelle intenzioni, mi sembra.

    Poi, scusate, sto pensando ai molti seni esposti agli sguardi dei fedeli nelle chiese…
    Forse lascia perplessi la sovrapposizione della pianta disegnata, il troppo detto di una Mamma Roma…

  122. Io credo che Adriana Merola abbia fatto una splendida presentazione del libro e dei suoi scopi. Lo ha fatto con una grazia ed una umiltà che negli ultimi tempi è difficile trovare, pur con un mestiere che le viene dall’esperienza concreta. Massimo è stato acuto e cortese da par suo nonostante la febbre. Mi permetto di segnalare che tutti i racconti letti sono stati apprezzati e si è realizzata quella polifonia tra voci note e voci meno note auspicata da Adriana. Non rimarco i racconti di coloro che conosco personalmente perchè mi sembra di pessimo gusto. Devo però complimentarmi con Rita Charbonnier, che conoscevo solo virtualmente, perchè è andata ben oltre la lettura con la sua intensa interpretazione del testo. Tutti gli altri hanno fatto del loro meglio scrivendo ed in qualche caso leggendo per la prima volta. Tutti i numerosi presenti all’evento hanno voluto godere fino alla fine della presentazione. Mi sembra sia stato un successo di squadra e per questo sono ancora più grato a Massimo.

  123. Grazie a te, caro Pasquale.
    Tu mi riporti al giorno della presentazione. Come vi ho accennato, per me è stata una vera festa. E un’occasione di condivisione.
    🙂
    Ho invitato gli autori presenti a leggere un piccolo brano dei loro racconti.
    Prima della lettura, pronunciavo una frase. Una per ogni racconto.
    Una piccola “suggestione” volta ad anticipare il brano che sarebbe stato letto.
    Vorrei condividere queste “suggestioni” con voi.
    (Nei commenti a seguire, tra qualche minuto).

  124. Dacia Maraini ci racconta di una dolcissima passeggiata romana con il poeta Sandro Penna e Alberto Moravia, dalle parti di corso Vittorio Emanuele.

  125. Antonio Pascale ci offre un divertentissimo e ironico racconto sul traffico di Roma e sui trasporti pubblici.

  126. Mario Desiati, dà vita a un bel racconto/denuncia, molto forte, su come persino le mutilazioni fisiche possano essere oggetto di bieca mercificazione.

  127. Quando cammino a Roma capisco, mi rivelo a me stessa ci dice Gaja Cenciarelli nel suo ottimo “Le vie del corpo”: racconto di una passeggiata romana fuori e dentro di sé.

  128. Massimiliano Felli ambienta la sua storia sulla Via Appia: un racconto sui preconcetti e su come il senso di insicurezza e l’eccessiva paura possano giocare brutti scherzi.

  129. Andrea Frediani con i suoi “eroi di ieri, eroi di oggi” ci offre il racconto intenso, personale e struggente di una passeggiata della speranza al Gianicolo.

  130. Rita Charbonnier, mischiando il suo talento di scrittrice con quello di teatrante, ci offre un eccellente e succoso monologo (teatrale) di ispirazione moraviana (ambientato nei pressi di Via Giulia).

  131. Gianfranco Franchi ci regala un racconto (fantastico… in tutti i sensi), ambientato nei pressi di via Fonteiana, che ha per protagonista un’affascinante Roma sotterranea.

  132. Il racconto di Enrico Gregori è il più breve di tutti, ma anche uno dei più intensi: una voce narrante leggiadra che volteggia su Roma, come un foglio di quaderno, e… con finale a sorpresa.

  133. Silvia Leonardi ci racconta di un incontro avvenuto su un autobus, a Montesacro: un dolcissimo dialogo sull’onda struggente dei ricordi.

  134. Tea Ranno ci presenta uno dei luoghi simbolo di Roma: Piazza di Spagna; lo spunto narrativo di questo racconto – bello e dolente – è… un incontro… o meglio l’attesa di un incontro tra i ricordi di ciò che avrebbe potuto essere e non sarà.

  135. Lia Levi, attingendo alla sua memoria, ci racconta – col talento che la contraddistingue – di Monteverde vecchio nella Roma post-guerra e del sogno di rinascita simboleggiato dall’apertura di un cinema.

  136. Italo Moscati ci racconta, con scrittura sferzante, di un fatto di sangue consumatosi a Campo de’ fiori negli anni Settanta: un delitto d’amore che coinvolse il fratello di un attore famoso, come autore del delitto, e un ragazzo – che tentò di fare da paciere – come vittima.

  137. Francesco Costa ambienta il suo bel racconto a Villa Pamphili… luogo per lui carissimo, magico, che gioca un ruolo fondamentale anche nella sua vita di scrittore.

  138. Luca Gabriele ci offre un racconto lirico e drammatico che ha per protagonista una trans costretta a prostituirsi: “Alida delle rose”.

  139. Dora Albanese ci porta a spasso per piazza Re Di Roma, nei pressi di un Beauty Point, nel giorno di un anniversario, a descriverci luoghi e persone con la sua scrittura fresca e genuina.

  140. Adelia Battista, attinge alle sue esperienze personali e ai suoi ricordi, raccontandoci di un bellissimo incontro con Dario Bellezza, nel quartiere di Trastevere.

  141. Quello di Stefania Nardini è un racconto molto toccante ambientato nel quartiere Appio Tuscolano. L’anno è il 1939: il tema è quello della deportazione degli zingari.

  142. Che rapporto c’è fra centro e periferia a Roma?
    Inizia con questa domanda il bel racconto di Sandra Petrignani, dedicato al quartiere africano, con cui ci porta a spasso dall’Africa all’Argentina passeggiando per la città.

  143. Laura Costantini e Loredana Falcone ambientano la loro storia a quattro mani a Torrespaccata: un delizioso racconto su antichi pregiudizi e piccoli (e moderni) episodi di bullismo.

  144. Quello narrato da Cinzia Tani è un bellissimo sogno: quello di una Roma “alternativa” che si ferma e consente di scoprire che, anche in una grande metropoli, la natura parla e ha tanto da dire (se avessimo la possibilità di ascoltarla).

  145. Carlo Sirotti ambienta la sua bella storia a Monteverde vecchio nel periodo fascista… presentando un personaggio (un artista) che ha realmente vissuto in quelle strade (siamo a Via Poerio)… e facendolo interagire in qualche modo con un personaggio d’invenzione.

  146. Pasquale Esposito, con grande classe, ci fa salire su un autobus in compagnia di un clochard, facendoci compiere un percorso all’insegna della dolcezza e dello struggimento.

  147. Con un racconto molto poetico, Luigi La Rosa ci porta dalle parti di via Caio Cestio e del Cimitero Protestante… comunemente inteso come “Cimitero dei Poeti”.

  148. Rosella Postorino ci racconta com’era, per lei, Roma all’inizio: il racconto forte e intenso di un approdo nella capitale.

  149. Viale dell’Obelisco. Domenica mattina.
    Inizia così il bel “racconto musicale” di Piera Mattei, ambientato a Villa Borghese… dove giovani immigrati offrono per le strade la loro musica in cambio di qualche spicciolo.

  150. Andrea Di Consoli, da par suo, ci offre un coraggioso e sferzante racconto di denuncia
    Sia il tema, che l’ambientazione si evincono facilmente dal titolo: “Il Corviale è un pitone di cemento”.

  151. Filippo Tuena ci offre i suoi ricordi di una Roma a metà anni Cinquanta, zona Parioli: un guardarsi allo specchio della memoria da cui scaturiscono pennellate narrative raffinate e godibili.

  152. Ecco fatto.
    Mi scusino, gli amici scrittori, se le “suggestioni” che ho cercato di trasmettere non rendono giustizia ai loro racconti.
    E mi scusino, coloro che leggeranno queste mie frasi, le inevitabili ripetizioni (nell’uso di alcuni aggettivi, per esempio).
    Diciamo che ho cercato di fare del mio meglio. :-))

  153. Adesso, visto che non sono giunte obiezioni da parte vostra, scorrerò all’indietro i racconti nel tentativo di limare qualche “spigolatura”.
    (Domani cancellerò anche questo commento).

  154. Mi preme, ancora una volta, ringraziare la casa editrice Azimut per la splendida iniziativa a scopo benefico, tutti gli amici scrittori che hanno aderito donando un loro racconto… e tutti coloro che hanno partecipato a questa discussione offrendo spunti e punti di vista.
    Davvero grazie a tutti.

  155. grazie, Massimo! sei bravissimo!
    Volevo chiarire tuttavia che nel mio racconto mai si parla di immigrati. Il racconto s’interroga tutto il tempo su chi siano
    -una giovane pianista Classica
    -un ottimo Trombettista Jazz
    Una corrozzina trasportata qua e là da una ragazzina ,anche lei musicista, offre una possibile risposta.
    GRAZIE ANCORA!

  156. Grazie a te, per la precisazione cara Piera.
    In questo caso si è trattato di una mia… “autosuggestione”. 🙂

    Porgo scuse anticipate agli altri autori, per ulteriori eventuali imprecisioni.

  157. Sul seno: ringrazio tutti coloro – Simona Lo Iacono eccetera – che abbiano interpretato in differente modo il seno della copertina, ma, alla luce delle tendenze odierne iconografico-pubblicitarie – non posso fingere di considerarlo tuttora qualcosa di diverso da un richiamo sessuale moderno e ”modernamente” erotico. Insomma lo disapprovo, con gentilezza e senza nulla togliere a nessuno degli intervenuti e ai creatori della copertina. Comunque resta che lo disapprovo e punto. Rispettosamente come sempre.

    Giorgia Lepore,
    sono umbro di origine romana. Mio nonno materno si chiamava pero’ Francesco Nitti ed era di Castellana Grotte. Dove io sono andato in vacanza per cinque anni almeno un mese ogni anno. Ce l’ho nel cuore, Castellana…. e Putignano, Noci, Turi… ehh! Pellecchia a Bari negli anni Ottanta, sul lungomare.
    Ce l’ho nel cuore il cuore pugliese. E meridionale. Io sono un meridionale mancato, signora Lepore!

  158. P.S.
    Sarei molto curioso di vedere cosa ha scritto la Maraini sul mio corregionale – umbro – Sandro Penna. Il quale visse a Roma, per sfuggire alle grinfie della Perugia tremendamente gretta degli anni Cinquanta.

  159. l’unica pecca di “Roma per le strade volume 2” è la destinazione del ricavato. Piuttosto che il reparto di Pediatria del Policlinico Umberto Primo, sarebbe stato meglio scegliere il reparto di Psichiatria.

  160. Alda Merini:
    ti devo rimgraziare, ohibo’, per la notizia, Gaetano: condoglianze sincere alla poesia italiana, che perde una poetessa, un membro della comunita’, checche’ se ne dica. L’ho letta poco ma ne ho apprezzato alcune vibrazioni. Forse scriveva con stile troppo colloquiale per i miei gusti, ma comunque con vere e profonde emozioni.

  161. Mi sembra che la copertina abbia un impatto coerente con il suo concept, per come l’ha pensata Adriana e per come la percepisco io, che non trovo nulla di volgare, di fuori luogo, di lesivo alla femminilità. Nessuna mercificazione del corpo, solo un seno che è accoglienza e maternità a fare da sfondo a un mosaico di storie che diventa il “tuttocittà” letterario di Roma. Non a caso, a velare quel seno c’è proprio un pezzo di stradario, a rassicurare il lettore sull’intento della copertina, che non è erotico o sessuale.
    A me è piaciuta molto e anche a mia zia, che ha 74 anni e a mio zio che ne ha 76. 🙂

  162. Mi scuso con tutti, con Massimo in primis, per non essere intervenuta prima. Che dire? Sono profondamente felice e orgogliosa di aver partecipato a questo progetto. Roma è la mia vita e quella di entrambi i rami della mia famiglia da circa dieci generazioni. Roma mi appartiene, come io appartengo a lei. Ce l’ho tatuata su ogni centimetro di pelle. Non è un caso se il mio racconto si intitola “Le vie del corpo”. E questo mi ha dato modo di “leggere” e “sentire” le strade che s’inerpicano sul corpo di una donna prosperosa (mi riferisco alla copertina di Adriana Merola) come il corrispettivo visuale perfetto di ciò che provo nei confronti della mia città e del modo in cui la vivo: Roma è carnale e prepotente, timida e schiva, è strafottente ma mai ipocrita. È sorniona, guarda, osserva, non le sfugge niente. Si nasconde, resta in agguato, è vendicativa e prima o poi colpisce chi non la ama. Può risultare invivibile, insopportabile, ma è sempre, *sempre* un viaggio indimenticabile. Per me lo è ogni giorno, e lo è dentro e fuori di me, come ho scritto nel mio racconto.

    Vorrei ringraziare tutti, davvero tutti quanti hanno preso parte a “Roma per le strade vol. II”, contribuendo a renderla un’antologia di grande spessore e di notevole dignità letteraria. Il merito è, oltre che degli autori, di Massimo che ha saputo – con pazienza e dedizione – raccogliere testimonianze e creazioni preziosissime. Il merito è di Massimiliano Felli. Il merito è di Adriana Merola e Guido Farneti – persone splendide, amici cari, e professionisti seri: i libri Azimut sono garanzia di cura e qualità.

    Mi sono ritrovata in una raccolta insieme a tante persone con cui condivido da anni un percorso professionale e letterario quindi non posso far altro che ringraziare di nuovo chi me ne ha dato la possibilità. Aggiungo un grazie speciale a piera mattei, che mi ha letta e apprezzata.

    Vi segnalo – ammesso che non sia già stato fatto (in tal caso chiedo venia, ma non ho avuto il tempo di leggere tutti i commenti) – questa breve intervista di Isabella Moroni a Massimo Maugeri, Enrico Gregori, Pasquale Esposito, Laura Costantini, Loredana Falcone, Stefania Nardini, e a me, su “Art a part of culture”.

    http://www.artapartofculture.org/2009/10/29/roma-per-le-strade-2-azimut-ripete-la-magia-di-guardare-roma-con-occhi-di-scrittore-di-isabella-moroni/

    Un abbraccio a tutti.
    A te, Massimo, un bacio.

  163. Caro Massimo,
    grazie per l’invito alla presentazione del libro su Roma, era un ambiente bello e simpatico. Bello pure il libro, un caleidoscopio di vedute a soggetto unico con qualche punta di eccellenza letteraria. Ti mando un altro post con il raccontino sulla propria città. Una domanda per Sergio Sozi: che faceva Sandro Penna oltre a scrivere poesie? Io non lo so.
    Ciao a tutti
    Maril

  164. Racconto

    L’ULTIMA A SUD, VERSO IL MARE

    “Tre casettine dai tetti aguzzi, un praticello, un esiguo ruscello…”, al solito, la nenia di Palazzeschi mi frulla in testa come sempre, quando mi avvicino al paesello.
    Oddìo, proprio paesello non è più, se non altro per le dimensioni acquistate negli ultimi decenni. La mentalità è rimasta quella di quando ero bambina, però. Chissà perché le mie sinapsi associano Velletri, la cittadina dove sono nata e vivo, alla poesia dei libri di scuola!
    Proprio mentre scendo dai tornanti oscuri della Via dei Laghi appare all’improvviso, e non posso evitare, come sempre quando passo di qua, un sospiro di meraviglia per il panorama superbo: a destra le montagne dei preappennini, dietro ed a sinistra i boschi ed altri fiabeschi borghi, davanti la collina di Velletri, la pianura ed il mare. Oceani di vini rusticamente nobili e densità di ristoranti a chilometro quadrato più alta di quella umana. Un paesaggio da cartolina o per manifesto, che si vuole di più? La fama dei Castelli Romani è più antica di Cristo sulla terra, soprattutto qua, nell’ultimo vezzo di questa collana pittoresca. A sud, più distante da Roma rispetto alle altre, azzardo l’ipotesi che proprio per questo motivo si era meglio preservata dalla contaminazione dei nuovi barbari degli ultimi decenni i quali, avendo divorato in fretta le delizie di quella meretrice della capitale, presto hanno rivolto lo sguardo alla “cintura metropolitana” (graziosa denominazione per il territorio che, nel corso dei secoli, ha protetto Roma da tutti i punti cardinali) per trovare più generose mammelle da svuotare.
    Forse. E seppure è così, fino agli anni ’60. Forse.
    Adesso, quello che si trova più facilmente, sono schiatte di imprenditori e politici incapaci di concordare due verbi per esprimere compiutamente il pensiero (magari non c’è pensiero da esprimere), ma abili nel fare quattrini (o nel farlo credere) e schiere di combattive signore nei ranghi di crocerossine, beate sorelle di qualcosa, alacri scrivane che si contendono la penna sugli sgangherati e servili giornali locali.
    Severa?
    No. Pentita.
    Perché, mia ex intemerata contadinella, ti è toccata in sorte la maschera del più becero modernismo solo per velare lo spirito bigotto dei tuoi padroni segreti.
    Mio Dio, mi pento di aver desiderato, quando avevo il potere dei sogni ma non lo sapevo, che arrivasse il vento del futuro a risvegliare il mio paese dall’oblìo dei secoli. Mi pento di aver invocato, nell’angustia giovanile, la scaltrezza forestiera ad agitare le fronde di questi antichi boschi. Penso questo mentre ti guardo, città, dalla macchina che segue ogni curva già studiata e non posso giudicare se sei cambiata in meglio o in peggio.
    Ti supplico solo di non svendere la tua storia.
    Maril

  165. Ciao. Non ci conosciamo, mi chiamo Cristiana. Ero tra il pubblico alla presentazione del secondo volume di “Roma per le strade”, ho avuto così l’opportunità di conoscere personalmente Laura e Loredana e di guardare tutti voi all’opera. Il libro lo sto leggendo, è molto bello e i racconti sono delle vere e proprie esplosioni di emozioni: tutte diverse ma tutte concentrate su queste tortuose e nello stesso tempo delicate vie della mia città. L’obiettivo che vi siete posti è grande e sono stata felice di contribuire almeno all’acquisto delle penne, come si è accennato durante la presentazione.
    Vi ringrazio ancora per questi bei momenti di cultura e faccio ancora i miei complimenti a tutti voi.
    Cristiana Iannotta

  166. @ piera mattei:
    grazie Piera per le belle parole spese per il mio racconto! Della mia stima per te già ti ho detto via mail, credo. O lo farò a voce, al prossimo appuntamento! Speriamo presto.

  167. Vi propongo una sorta di “giochino” finalizzato a scegliere la colonna sonora più bella per Roma. In fondo, Roma, essendo “caput mundi”, è anche la città di tutti.
    Andate in alto, sul post… e guardate alla fine. Troverete dei video con alcune canzoni.
    Vi invito a votare la vostra preferita e a spiegare le ragioni della scelta. La canzone vincitrice diventerà la colonna sonora di Roma secondo Letteratitudine.
    È solo un modo per divertirci insieme (se vi va…)
    Partecipate, eh!:-)

  168. Chiedo scusa se poi non ho risposto alle tue domande, Massimo. Però siccome il giochino sulla colonna sonora mi pare divertente partecipo scegliendo “l’arrivederci Roma” del grande Renata Rascel. Secondo me la canzone ideale per Roma potrebbe essere proprio la sua.

  169. La motivazione è che ha una ‘valenza storica’ superiore alle altre.
    p.s. ho scritto Renata Rascel. Ovviamente RENATO Rascel.

  170. “Roma nun fa la stupida stasera”, nella sussurrata versione di Giorgia: un brano classico, elegante e sentimentale, lento come una passeggiata.

  171. La classe e il tono poetico che ha saputo imprimere con la sua voce stupenda Giorgia a “Roma nun fa la stupida stasera”,non ho dubbi.La tradizione però legata alla modernità di un’interprete fresca e mai banale,e poi mi piace tanto come se Roma fosse una voce femminile che ti sussurra all’orecchio di lasciarti andare…fra le sue braccia immense e strette attorno a te.

  172. Debbo dire che Venditti e Barbarossa proprio “nun li reggo” per cui il dubbio rimane tra le altre quattro. Però la versione di Rascel di Arrivederci Roma è in un arrangiamento swingante molto datato, che snatura notevolmente una bellissima canzone. Opterei forse per De Gregori, che ci dà la versione più originale ed attuale di questa città, ma in fondo Giorgia ripesca tra i classici del grande Trovajoli (un vero maestro romano) con una interpretazione moderna e con grande classe e sensibilità (ci sarebbero ancora pure “i magnaccioni” che rappresentano la vera tradizione romana, mai morta, e che in fondo forniscono una immagine molto stereotipata ma in parte ancora viva della romanità). Comunque scelgo Giorgia e la sua versione di “Roma nun fa’ la stupida”, visto che anche nel libro di cui si parla coesistono una Roma storica e una Roma attuale, descritte con “classe e sensibilità”.
    Sì, Giorgia fornisce la colonna sonora ideale.

  173. Io scelgo De Gregori in quanto il testo della canzone è uno spaccato reale di quelle che sono le strade di Roma.
    lo riporto qui:
    C’è adrenalina nell’aria
    Carne fresca che gira
    Polvere sulla strada
    E gente che se la tira
    E a tocchi a tocchi una campana suona
    Per i gabbiani che calano sulla Magliana
    E spunta il sole sui terrazzi della Tiburtina
    E tutto si arroventa e tutto fuma
    Per le strade di Roma

    Ci sono facce nuove
    E lingue da imparare
    Vino da bere subito
    E pane da non buttare
    E musica che arriva da chissà dove
    E donne da guardare
    Posti dove nascondersi e case da occupare
    Che sono arrivati i Turchi all’Argentina
    E c’è chi arriva presto e chi è arrivato prima
    Per le strade di Roma

    E c’è un tempo per vendere
    E un tempo per amare
    E c’è uno stile di vita
    E un certo modo di non sembrare
    Quando la notte scende
    E il buio diventa brina
    E uomini ed animali cambiano zona
    Lucciole sulla Salaria e zoccole in via Frattina
    E tutto si consuma e tutto si combina
    Per le strade di Roma

    E a tocchi a tocchi una campana suona
    Per i ragazzi che escono dalla scuola
    E sognano di fare il politico o l’attore
    E guardano il presente senza stupore
    Ed il futuro intanto passa e non perdona
    E gira come un ladro
    Per le strade di Roma

  174. Adoro la città di Roma…Spero di trasferirmici presto….Tra l’altro a Roma è un pezzo del mio cuore: ho un amore.
    Scelgo il grande Venditti con “C’è un cuore che batte”
    Ciao

  175. Negli anni trenta il piccone mussoliniano si abbatté sulla famosa spina che formava i due vecchi borghi. Borgo Nuovo e Borgo Vecchio. Da Piazza Pia la lunga sequenza di palazzi, alcuni dei quali veri capolavori architettonici, correva dritta verso Piazza S. Pietro formando le due vie che sboccavano nella bellissima Piazza Rusticucci contornata da vecchi palazzi color ocra e frequentata da turisti e soprattutto dai residenti, i “borghiciani”. Piazza Rusticucci era un gioiello, splendido per l’armonia in cui si componeva la varietà di volumi, superfici e colori. Sempre molto animata, era la degna anticamera di S. Pietro sulla quale direttamente si apriva. Vi sostavano in permanenza le carrozzelle a cavallo guidate da vetturini
    dalla lingua svelta, bonaccioni e scanzonati. Il ristorante Europeo che godeva meritatamente la fama di garantire una cucina ricca e rigorosamente romanesca, era il luogo dove i “borghiciani” festeggiavano con memorabili pranzi feste religiose e avvenimenti privati. Caffè e negozi di articoli religiosi si affacciavano discretamente e gioiosamente sulla piazza.
    Il “genio” di Mussolini, abbattendo la spina, non compì soltanto uno scempio architettonico e urbanistico, ma anche uno scempio umano, disperdendo una comunità civile complessa ma aggregata, portatrice di pregiudizi ma anche di valori, ricca di molte virtù e di qualche vizio. Una comunità, comunque, molto vitale. I “borghiciani” si conoscevano tutti, direttamente o indirettamente. Erano capaci di grandi gesti di solidarietà ma non erano esenti da invidie e gelosie.
    Nonostante fossero tutti popolani, come si diceva allora, tenevano a conservare, più sul piano teorico che su quello pratico, gerarchie sociali fatte a loro misura e secondo loro criteri. Gli abitanti di Borgo Nuovo, che era più bella di Borgo Vecchio, si sentivano un gradino più su di quelli dell’altro Borgo. Poiché le due vie avevano molti negozi, la gerarchia investiva anche i commercianti: i macellai si consideravano più dei “fruttaroli”, i merciai e i negozianti di stoffe più dei macellai e dei “pizzicaroli”,gli orefici e i venditori di oggetti sacri più di tutti gli altri.
    I frati di S. Maria in Traspontina sfuggivano a qualsiasi catalogazione sociale.
    Rispettati da tutti i borghiciani, erano tuttavia trattati con familiarità e confidenziale disimvoltura. Non c’era famiglia dei Borghi che non avesse avuto a che fare con qualcuno di loro o per aggiustare qualche matrimonio traballante o per combinarne qualcuno o semplicemente per aver trovato, attraverso i frati, pellegrini o turisti a cui affittare un pezzo di casa.
    All’epoca del sindaco Nathan i Borghi si erano divisi: una piccola minoranza anticlericale si era schierata a suo favore, mentre la maggioranza papalina vedeva in Nathan una specie di Anticristo venuto a tentare una fede in verità non molto profonda, basata più che sull’interiore convincimento su abitudini e consolidate tradizioni. Il più accanito contro il sindaco era il vecchio sor Pietro, un uomo sanguigno e compagnone che il 29 giugno, festa di S.Pietro, mandava in molte botteghe di commercianti suoi amici grossi bicchieri di granite di caffè con panna.
    Il rancore del sor Pietro verso il sindaco divenne presto una specie di umoristico mito che contagiò perfino i frati. Frà Andrea, il sacrestano, si divertiva a stuzzicarlo: quando la mattina di buonora lo vedeva comparire in chiesa, lo accoglieva con un: “E allora, sor Pietro, che ne dite del sindaco?” “‘Tacci sua”- rispondeva, cupo, il vecchio. La storia durò un bel pò fino a che non la fece finire il parroco, ammonendo bonariamente frà Andrea. La Traspontina non era l’unica chiesa dei Borghi. C’erano S.Lorenzino, S. Angelo e S. Giacomino. Questa si affacciava su Piazza Scossacavalli che congiungeva per un breve spazio Borgo Nuovo e Borgo Vecchio e che aveva al centro una fontana tanto bella da imporre rispetto al piccone di Mussolini. Infatti fu smontata e ricomposta in una piazza romana davanti a S. Andrea della Valle.
    Mattina e sera le campane delle chiese facevano sentire le loro voci, voci acute e rapide come quella di S. Giacomino, pacate e gioiose come quella della Traspontina, basse e solenni come quella del campanone di S. Pietro. I “borghiciani” sentivano parlare le loro campane. “Polenta fritta, polenta fritta!” – annunciava
    S. Giacomino. ” ‘N do se venne?, ‘n do se venne?” chiedeva la Traspontina. “In boorgo, in boorgo!” – rispondeva il campanone.

  176. da quanto puzza Roma di smog, fascismo, razzismo ed indifferenza generale, direi che la canzone ideale è un’altra: “tu fai schifo sempre” dei Pandemonium
    E scusate il mio guastafestismo.

  177. Caro Massimo,non molto tempo fa ho scritto una poesia intitolata “Gay street” che si riferisce ai recenti attacchi omofobici avvenuti a Roma.
    La scelta a cui mi sottoponi è molto difficile.
    Scelgo Giorgia.

    A presto
    Silvia

  178. Bello il racconto di Franca Maria Bagnoli, io attendo molto volentieri (e con impazienza) le altre sue 2 parti.
    Peccato per il suo voto a Respighi, non valido perchè “fuori concorso”.
    Sono contento invece del voto di Nina per De Gregori, l’unico che mi aveva lasciato veramente indeciso anche se alla fine (per le motivazioni che ho già spiegato) la mia scelta era caduta su Giorgia.

  179. I vecchi Borghi. seconda parte Le feste dei Borghi richiamavano molta gente anche dagli altri quartieri. Nella Traspontina c’era una statua della Madonna del Carmine molto venerata. A luglio la statua veniva rivestita di tutti gli ori, dei cuori d’argento donati per grazia ricevuta e portata in una processione lunghissima e coloratissima che iniziava con gli uomini della Confraternita che portavano a spalla la statua della Madonna e si chiudeva, dopo un lungo percorso, con una folla numerosissima che cantava a squarciagola gli inni religiosi più popolari. Nei giorni precedenti le feste più importanti, i Borghi vivevano una grande animazione. Tutte le botteghe di alimentari esponevano una grande abbondanza di merci. Dalle porte delle macellerie pendevano lunghe file di agnelli e polli e i fruttivendoli costruivano sul marciapiede castelli di cassette colme di frutta. Per le vie era tutto un via vai di gente, eccitata dall’atmosfera di festa, indaffarata e allegra. I tram che passavano per i due Borghi dovevano procedere lentamente perché i binari correvano quasi rasente i marciapiedi, sempre affollati. Fu proprio durante una festa che il giovane figlio del carbonaio di Borgo Vecchio finì sotto il tram, morendo sul colpo. Il padre fece causa all’azienda tranviaria e la vinse ma non volle nemmeno una lira della rilevante somma che il giudice aveva stabilito come risarcimento. Per molto tempo le famiglie commentarono con rispetto il rifiuto del carbonaio che in tribunale aveva detto: “Nessuna somma può pagare la vita di mio figlio. Mi sembrerebbe di ucciderlo una seconda volta se accettassi del denaro fissato come una merce”. Fra tante feste i “borghiciani” aspettavano certe ricorrenze speciali che prevedevano l’illuminazione della cupola di S. Pietro, realizzata tutta con le fiaccole. Si trattava di un’operazione ardua : si dovevano collocare le “padelle” piene di olio lungo tutta la parte superiore dei colonnati, sulla balaustra della terrazza inferiore della cupola e su, su, per tutta la cupola stessa fino al suo terrazzino circolare superiore. Le padelle erano sistemate nei punti più difficili da esperti sampietrini che procedevano legati a corde come alpinisti. Ai posti più accessibili erano addetti giovani “borghiciani” che, oltre a soddisfare il gusto dell’avventura, potevano guadagnare una bella sommetta. Quando la sera della festa le padelle erano accese simultaneamente da decine e decine di mani, lo spettacolo che si offriva ai borghiciani, ai turisti e ai pellegrini, era davvero unico. Non era nemmeno uno spettacolo ma un evento estetico, religioso, sociale. Piazza Rusticucci raccoglieva la luce delle fiaccole che faceva rosseggiare i colori dei suoi palazzi.
    Il popolo dei Borghi aveva i suoi protagonisti le cui storie erano note a tutti. La sora Teta, la moglie del macellaio era soprannominata “il carabiniere” per il carattere autoritario e la durezza con la quale affrontava le situazioni. Una volta, avuto da una sua figlia ficcanaso, un indirizzo femminile trovato nelle tasche di un figlio scialacquone, giocatore d’azzardo e donnaiolo, irruppe nella casa indicata dal biglietto e, sorpreso il giovanotto a letto con una ballerinetta, lo schiaffeggiò sonoramente e ripetutamente alla presenza della povera ragazza che, al colmo dello spavento e dell’imbarazzo, implorava Teta che sventatamente si era portata appresso la figlia: ” Si calmi, signora, si calmi. Lo faccia per la signorina”. E guardava con occhi miti la perfida spia.
    Teta era molto devota; andava in chiesa mattina e sera ed era molto amica dei frati della Traspontina. Eppure una volta giocò un tiro mancino a frà Elia, vantandosene con tutto il quartiere, sicura che nessuno l’avrebbe tradita. Frà Elia le aveva chiesto il favore di cucire delle lenzuola per la comunità dei religiosi. Andarono insieme a comprare la tela ma, usciti dal negozio, Elia seguì Teta a casa sua con l’evidente scopo di assistere al taglio della tela. Offesa per la mancanza di fiducia, Teta chiamo la figlia maggiore e insieme a lei fece volteggiare abilmente il telo arrotolato. Giostrando velocemente con centimetro e forbici, dando ordini precisi alla figlia: “Reggi qua, taglia là”, fece sparire sotto gli occhi del frate tutto un lenzuolo. Compiuta l’operazione contò davanti al frate i teli preparati per la cucitura. “Uno, due…..sei e sette”. “Ma erano otto”- disse frà Elia. Teta lo guardò con un leggero sorriso. “Ve sarete sbajato a dì ar commesso er nummero dei lenzoli. Fregà, nun va fregato nisuno. Guardateve intorno, qui nun ce sta niente”
    Frà Elia se ne tornò al convento piuttosto frastornato. Il giorno dopo ritornò al negozio e protestò con il commesso che si offese e avanzò l’ipotesi che Teta avesse fatto sparire un lenzuolo. “No,no- disse frà Elia – la sora Teta è persona degna di fiducia. E poi ha tagliato la stoffa sotto i miei occhi”. “Brutto burino!- commentava intanto Teta con la sora Evelina- Nun s’è fidato. E io je l’ho fregato sotto l’occhi. Nun ho fatto bene, sora Evelì?”. “Benone avete fatto! Così s’impara” – e rideva, la sora Evelina, lei che non rideva quasi mai da quando, entrando nelle fontane del palazzo dove abitava, aveva visto pendere dal soffitto sua madre, con una corda al collo. Tutto il quartiere era rimasto scosso dal suicidio della sora Antonia, ma non se ne parlò per molto. I familiari non dissero i motivi, forse non li
    conoscevano bene nemmeno loro. E la gente provò pudore e rispetto per una sofferenza di cui non si conoscevano le cause ma che doveva essere stata grande se aveva spinto una donna mite e devota a buttare via la propria vita. I frati tacquero e non aprirono la porta della chiesa ad una bara che prese la via del cimitero quasi di soppiatto, accompagnata da pochi parenti.
    Di bare i “borghiciani” ne videro passare parecchie e con lunghi cortei, l’anno della “spagnola” che strappò ai vecchi Borghi molte persone, in maggioranza giovani. In quella occasione i borghiciani mostrarono il loro animo generoso. Le famiglie risparmiate soccorrevano quelle colpite. C’era sempre qualche donna disposta a fare le punture, spedire le ricette, fare compagnia all’infermo per il quale si preparavano brodi sostanziosi. E se servivano soldi, nessuno era costretto a chiederli. Arrivavano spontaneamente da molte famiglie. Anche la tubercolosi si prese una bella quota della popolazione giovanile. Una nipote di Teta che studiava canto se ne andò a venti anni. La gente cominciò a sussurrare che la causa della malattia fosse stato il canto, non perdonando, nemmeno nella tragedia, il coraggio, anzi, per loro, la scosideratezza della madre che non aveva esitato ad avviare la figlia ad una carriera piena di pericolose tentazioni. Amelia, la madre, aveva sopportato in silenzio questa malignità. Soltanto una volta, ad un’amica che cercava di consolarla con un argomento che a lei sembrava una bestemmia. “Forse Dio se l’è ripresa per sottrarla ad una vita di peccato”, aveva risposto.”Non nominare la Provvidenza invano. Sono sicura che Maria, cantando in teatro, non avrebbe perso la sua innocenza”.

    Nota: Teta era mia nonna

  180. Caro Massimo, complimenti per l’iniziativa!
    Tra le canzoni che hai proposto, quella che mi ha emozionato di più è “C’E’ UN CUORE CHE BATTE NEL CUORE DI ROMA” di Antonello Venditti.
    Mi sarebbe piaciuto segnalarti anche “NON SOLO A ROMA” di Francesco Baccini, ma, a quanto pare, non esiste alcun video in Internet.

    Ciao a tutti!

  181. Ho seguito alcun vostri suggerimenti e ho – di conseguenza – aggiornato l’elenco dei video romani.
    In questo momento siamo a quota dodici… e devo dire che c’è l’imbarazzo della scelta. :-))

  182. Roma è stata per anni un luogo mentale, poi ha cominciato a vivere nella mia memoria. Ci sono andato per la prima volta a 14 anni, durante una fuga da casa, era il 18 dicembre 1980 e suonavano il Talking Heads. Da solo in treno, partito da Modena in quell’avventura che non aveva ombre per me, così potente era il fuoco del entusiasmo. Ombre invece che restavano tutte nel petto e nei pensieri di mia madre che arrivò a mobilitare le forze dell’ordine nella mia ricerca. In quell’occasione non ho visto molto della città ma era come se si fosse aperto un mondo. Ci sono tornato nove anni dopo, durante il sevizio militare e ricorderò sempre una notte passata a vagare senza una direzione, con il timore di essere accusato di diserzione, dato che mancavo dalla caserma già da tre giorni ma le regole allora mi stavano strette, come le cravatte e i legami indissolubili. Con gli anni ha visto qualche amore e qualche avventura, di passaggio, in sosta per alcuni giorni o per incontrare esseri importanti che avrebbero condizionato il mio futuro. Oggi ho la certezza che ci vivrò, prima o poi ed avrò modo di conoscere intimamente lei, le sue strade e la sua gente.
    La colonnna sonora per me è doppia, si può? Arrivederci Roma cantata da Renato Rascel, per la straordinaria imitazione che ne faceva mio padre quando era di buonuomore, con la sua mimica esagerata e quel muovere le spalle che lo trasformavano nel giullare di tutta la comitiva. Riusciva a fare ridere di cuore, anche quando il cuore era gravato da pene pesanti. “Ridi” ripete ancora adesso “che abbiamo inventato il prodotto del sorriso”. La seconda canzone è, senza incertezze, Chitarra Romana, cantata dalla grandissima Gabriella Ferri, per la malinconia, per l’identità, per una genuinità borgatara che oggi, forse, si è trasformata in chincaglieria.

  183. Certo che anche il Barcarolo romano che canzone bella che è e Proietti, a dije ch’è bravo, nun se sbaja.

  184. roma caput mundi in romanesco diventa roma capoccia der monno… infame chi non vota per venditti.
    io lo voto 🙂
    buon fine settimana a tutti.

  185. roma nun fa la stupida stasera…….
    perchè?forse perchè a roma ho fatto il mio primo viaggio con salvo e mi suscita un pugno di emozioni e ricordi…
    eppoi è una canzone che fa sognare, fa capire com’è bella roma…
    ovviamente per me!!!

  186. Er Barcarolo Romano di Gigi Proietti , senza dubbio! Anche se la versione
    di Gabriella Ferri (ed è sua la canzone!) è molto più sentita…

    “Er barcarolo và…contro corente…e quanno canta l’eco…s’à risente…”

    Bellissima!

  187. Er maritozzo… er maritozzo, và nel gargarozzo e quanno se magna er profumo s’à risente… Chi la cantava? Nino Manfredi?

  188. @Maria Lucia. Invece di stare a cazz…ehm… a bighellonare nel blog di Maugeri, mettiti sotto a lavorare a Pentelite, chè siamo già in ritardo.

  189. Avessi avuto una maestra come te, forse non avrei ripetuto tre anni di fila la quinta elementare.

  190. I vecchi Borghi. Ultima parte.
    Nei vecchi Borghi non tutti erano innocenti. C’erano mogli che tradivano i mariti e mariti che tradivano le mogli. Della sora Checca si diceva che tradisse il marito perfino con i preti che frequentavano il Vaticano. Lei, una bruna dagli occhi maliosi, si lamentava del marito che la trascurava, sempre inchiodato com’era al suo negozio di “santaro”. “Ah, ma io nun m’ammalo pé lui- diceva Checca – un vermutte e una brioscia e me passano tutte le buggere”. Ma la gente era convinta che non fossero i vermuth e le brioches a farle passare le buggere.
    Succedevano cose proprio incredibili, nei vecchi Borghi. Achille, l’imbianchino, aveva amanti di qua e di là e la moglie, una donna magra e sempre spaurita, era costretta a fare la lavandaia a domicilio perché, con i pochi soldi che le dava il marito, non ce la faceva a tirare avanti i quattro figli. Achille, oltre che infedele era anche manesco e Peppina, la moglie, non si vergognava a confessare di prenderle dal marito. Eppure, nonostante lo temesse tanto, confidava alle amiche che quando Achille voleva fare l’amore con lei, lo costringeva a pagarla. “E che devo fa?- diceva- si paga l’amiche è giusto che paghi pure a me che so la madre de li fiji”.
    Quando era in vista un matrimonio tutto il quartiere era in movimento. Si scambiavano informazioni sullo sposo o la sposa, specialmente se erano di un altro quartiere o addirittura forestieri. Stando così le cose, suscitò un interesse enorme ed un vespaio di chiacchiere il matrimonio della figlia di un caffettiere.
    La ragazza, piccolina ma molto graziosa e raffinata, sposò un nobile forestiero di cui i borghiciani riuscirono a sapere ben poco. Fu un matrimonio di lusso, con la sposa in abito bianco, insolito per quei tempi, e lo sposo in marsina. La famiglia del caffettiere salì ai vertici della gerarchia sociale e vi rimase anche quando, tornati gli sposi dal viaggio di nozze, tutti i borghiciani seppero, chissà come, che lo sposo, la prima notte di nozze, era rimasto a sedere su una poltrona, invano incoraggiato e accarezzato dalla moglie che aveva indossato un’audace camicia da notte. Le notti successive furono uguali alla prima, tranne una insignificante differenza: lo sposo, la terza notte, aveva abbandonato la poltrona per il più comodo letto. In Borgo tutti sapevano ma la sposa vergine e la sua famiglia fingevano di non sapere che tutti sapevano e per orgoglio non chiesero mai alla
    Sacra Rota, l’annullamento del matrimonio. Tutti furono generosi con la sfortunata famiglia. Nonostante i commenti fossero tanti e piccanti, nessuno si azzardò mai a fare la più piccola allusione in presenza della sposa o di qualche membro della sua famiglia.
    Quando i borghiciani ricevettero lo sfratto per l’imminente demolizione delle loro case, maledissero le manie di grandezza di Mussolini. Erano convinti che nessuna bonifica urbanistica avrebbe potuto sostituire la bellezza delle loro vie che, scorrendo intorno a S. Pietro, larghe o strette, rumorose o silenziose che fossero, facevano dell’antica basilica un monumento vivo, immerso in una vita cittadina di cui il suo campanone scandiva puntualmente i ritmi.
    I più poveri dovettero allontanarsi, come emigranti, in squallide ed amorfe periferie. I benestanti cercarono casa nel quartiere Prati che non li accettò. La loro concezione delle gerarchie sociali fu mandata all’aria da impassibili portieri in divisa che, data un’occhiata ai loro interlocutori, scuotevano la testa e negavano che nei loro palazzi ci fossero appartamenti in affitto anche se un cartello affisso sul portone li smentiva clamorosamente. La prima a capire il vero motivo del rifiuto fu la sora Teta che, dopo aver peregrinato da un palazzo all’altro, dette sfogo alla sua rabbia popolana con l’ultimo portiere da lei interpellato. “Eh,già! Io e le fije mie nun portamo er cappello. Come potemo abbità nelle case de li signori? Teneteveli a caro, sti porci signori. Ve devono pagà bene pe’ tené segrete le loro porcherie.
    Manco morta verebbe a stà in un palazzo come questo”
    Soltanto due o tre orefici riuscirono a sistemarsi nel quartiere Prati. I borghiciani si dispersero, così, per tutta Roma. Molti di loro non si rividero più.

    Grazie a Massimo e a tutti gli amici. Mi avete reso felice. Spero di non avervi annoiato. Vi abbraccio tutti. Franca,

  191. Caro massimo, questa raccolta nel suo complesso mi ricorda Pasolini e la sua Mamma Roma. La scena più bella di quel film è per me il lento che la Magnani balla con suo figlio Ettore cantando “Violino Tzigano”. Questa è la canzone che ho associato da subito al libro. Trattasi forse di associazioni di idee ma già dalla prima volta che Adriana mi fece vedere quella splendida copertina con il seno in primo piano, ho rivisto nella mente quella scena. Ho visto la mamma che accoglie tutti, perchè Roma si sa che è una grande madre, la madre che ama e allo stesso tempo ha una grande malinconia delle cose che furono.

    “Suona solo per me,
    o violino tzigano.
    Forse pensi anche tu
    a un amore, laggiù
    sotto un cielo lontan.
    Se un segreto dolor
    fa tremar la tua mano
    questo tango d’amor
    fa tremare il mio cuor,
    oh violino tzigano.”

  192. Grazie Massimo per averci proposto dei bellissimi brani tutti degni di rappresentare Roma.

    Scelgo “Roma capoccia” di Venditti.

    L’autore descrive in maniera romantica ed empatica una Roma bella nei suoi suggestivi paesaggi e nelle sue artistiche testimonianze. Nell’ammirarla si sente migliore e, in quei momenti, dimentica i lati
    inquietanti che la sua città nasconde.
    La trovo attuale e coinvolgente.

  193. da non romana, è difficile.
    roma è un luogo dell’anima, oltre che fisico.
    ogni canzone che hai proposto ha una ragione valida, almeno una, per essere scelta.
    ciò nonostante, io sono per De Gregori. A parte la statura sua di poeta e musicista, ha quello sguardo disincantato che permette alla sua arte l’attualità dovuta.
    anche in altre sue canzoni c’è tutto questo. “Povero me”, per dire (ma forse il testo era stato scritto con Locasciulli):
    “Cammino come un marziano, come un malato,
    come un mascalzane, per le strade di Roma.
    Vedo passare persone e cani e pretoriani con la sirena.
    E mi va l’anima in pena, mi viene voglia di menare le mani,
    mi viene voglia di cambiarmi il cognome.
    Cammino da sempre sopra i pezzi di vetro,
    e non ho mai capito come, ma dimmi dov’è la tua mano,
    dimmi dov’è il tuo cuore?”
    L’ultima volta, però, con le amiche davanti a Fontana di trevi, abbiamo intonato “Vacanze romane”. Tutte commosse.
    Che a me veniva da chiamare “Marcello”. Dato che mi chiamo Silvia, ci stava a pennello.
    Un abbraccio.

  194. Massimo, tra quelle che hai postato di canzoni voto la mitica Gabriella Ferri. Era una donna che incarnava benissimo il senso di Roma.
    un abbraccio

  195. Un ringraziamento a Letizia, Mari, Annalisa, Salvo, Franca Maria, Luisa Congiu, Eventounico…

    @ Carmen Prinzi
    Grazie per essere intervenuta, Carmen. Un saluto a Salvo
    (Carmen e Salvo sono vecchi amici).

  196. @ Manuel Masi
    Bello il riferimento a “violino tzigano”.
    “Mamma Roma” di Pasolini mi sembra un film perfetto. Tra i video ho inserito la bellissima scena del ballo di Anna Magnani con il ragazzo che interpreta il figlio.
    Credo che la grande Anna interpreti perfettamente l’icona di Mamma Roma… che virtualmente ci invita a danzare con lei.
    (Andate a vedere il video!)

  197. renato rascel
    personaggio straordinario, parte di un periodo di crescita socio culturale di questo paese.
    saluti
    complimenti
    massimo maugeri
    la spezia

  198. ‘arrivederci roma’ di Rascel è citata anche nella ‘dolce vita’ di Fellini. voto per questa canzone. secondo me è quella che meglio simboleggia Roma

  199. Salve Massimo,
    dopo attente meditazioni, la canzone che scelgo per la colonna sonora di Roma è “Er barcarolo romano” cantata dal calore-colore di Gigi Proietti. Debora Pioli.

  200. oh, grazie mille!
    che onore per le Silvie, che Fellini abbia scelto questo nome a rappresentare, in quel film LA donna.
    un abbraccio forte.
    silvia

  201. C’è proprio l’imbarazzo della scelta…Roma caput mundi e quindi voto Roma Capoccia di Venditti.Un saluto a tutti.
    Paola.

  202. Sono davvero stanca per guardare i video, ma posso dirti, da veneta innamorata persa di Roma, che la colonna sonora della città è la capcità di chi ci cammina dentro di perdersi in lei, abolendo rumori, frastuoni. Nemmeno un mese fa ho voluto passeggiarci in mezzo, un sabato mattina d’aria fredda, lei era un po’ incerta sul da farsi, perfino i carabinieri di Piazza Navona si guardavano attorno indecisi, come spauriti di fronte a tanta dolcezza. Attraversare ancora una volta quei luoghi calpestati da miliardi di piedi in centinaia e centinaia di anni, ricolmi di turisti spesso distratti ma ancor più affascinati da una bellezza che non sai come descrivere, mi ha fatto sentire una volta di più cittadina romana. Come in un tempo lontano, quando “Caput mundi” accoglieva e assimilava, senza paura di perdere la propria identità, anzi prendendo il meglio da chi aveva la ventura di incrociarne il destino, e il cammino. Ancora una volta ho ascoltato il Tevere silenzioso, quel sabato mattina uggioso, ancora una volta ho guardato con rispetto un Marco Aurelio stanco di matrimoni distratti alla sua sinistra. Soprattutto, ancora una volta, ho bevuto alla fontanella dell’Acqua Marcia, immaginando quante lacrime avrei versato (io mi emoziono facilmente) se avessi visto di persona l’ara di Cesare quel giorno. L’ho lasciata, Roma, con un ultimo sguardo al Colosseo prima di sprofondare nella metro che mi portava in periferia, verso un pranzo affettuoso e l’aereo che mi riportava a Casa. Quel sabato mattina non sono andata a Villa Borghese, il mio luogo di elezione: troppi ricordi, talmente dolci da lasciarmi stranita nella confusione tra sogno e realtà. C’è un albero, fra quei viali, che riconoscerei tra mille altri, c’è la pace che ti lascia sola con i tuoi pensieri, cercando di convincerti che forse il sogno potrà diventare realtà. Quel sabato mattina non ho visto tanti altri luoghi, Roma è troppa, è immensa e sconvolgente nella sua bellezza, negli angoli che in tanti anni di amore per lei ho scoperto, lasciato e ritrovato più belli di prima. Non basta una lettera per dire di ognuno di loro. Li avevo abbracciati virtualmente la sera prima, dall’alto di Monte Mario.
    Poi l’aereo si è staccato dal suolo, ed io ho preferito sedermi dalla parte da cui non avrei visto la città dall’alto: il volo era troppo breve per consentirmi di asciugare le lacrime.
    Arrivederci Roma, chissà a quando, Good Bye, my love, Good Bye.

  203. Oh, adesso si’… voto per VECCHIA ROMA SOTTO LA LUNA NUN CANTI PIU’ GLI STORNELLI, LE SERENATE DE GIOVENTU’…
    Che bella! Mi ricorda le domeniche mattina con i maritozzi con la panna e papa’ che mandava Claudio Villa a tutto volume.

  204. Buongiornio a tutti. Per la colonna sonora avevo votato “I pini di Roma”
    ma ho cambiato idea. Voto “Barcarolo romano” cantato da Proietti. E’ bella la musica, è cantata benissimo e mi ricorda la Roma che fu: il mito del Tevere, le passioni, i drammi. Un mondo narrato anche dallo storico foglio “il Rugantino” . Un abbraccio a tutti da una vecchia “borghiciana”
    nostalgica.

  205. Finalmente letto “Incontro a Porta Pia” dell’uomo in blu.
    Ho cominciato per un vago senso di obbligo di cortesia, ho finito per divertirmi non poco.
    Roma secondo me è la più bella città Italiana, ma a volte mi ispira diffidenza… Sarà per il vituperabilissimo “Roma ladrona” (ma: “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”, l’ha detto Uno di Sora). Di Moravia ho letto solo i “Racconti romani” (notevoli) e “Gli Indifferenti” (detestabile sotto molti punti di vista), qualche racconto in rivista.
    Inoltre sono fortemente insofferente verso il ruolo culturale che ha svolto.
    Levami una curiosità, Max, il nucleo narrativo sono il fregio michelangiolesco e l’equivoco del vestito?
    Grazie cmq per la bella mezz’ora regalatami.

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