Letteratura e cinema sono molto legati. Lo sono sin dalla nascita del grande schermo. Un legame molto stretto, il loro.
Simbiotico.
Carta e pellicola che camminano mano nella mano per raccontare storie al mondo.
Bella immagine, vero?
Chissà se deve più il cinema alla letteratura o la letteratura al cinema!
Secondo voi?
Pensateci.
Quante volte vi è capitato di andare al cinema per vedere il film tratto da quel libro che avete tanto amato?
Quante volte, dopo aver visto un film che vi è piaciuto, siete andati ad acquistare il libro da cui è stato ispirato?
E vi è mai capitato di essere delusi da uno spettacolo cinematografico al punto tale da aver voglia di andar via prima della fine?
Magari vi è capitato, anche se poi siete rimasti perché avevate letto il libro. Così come è accaduto alla voce narrante (o meglio, cantante) della bellissima A day in the life dei Beatles.
I saw a film today oh, boy
The English army had just won the war
A crowd of people turned away
But I just had to look
Having read the book
Having read the book, canta John Lennon. “Avendo letto il libro” (perché avevo letto il libro).
Qui di seguito vi propongo il video.
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Sì, ci sono film mediocri basati su romanzi stupendi. Così come ci sono libri deludenti che hanno ispirato film eccezionali.
Ma in generale… sono meglio i libri o i film tratti dai libri?
È meglio La terra trema di Visconti o I Malavoglia di Verga? Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa o quello del già citato Visconti?
Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Fino ad arrivare ai nostri giorni.
Parliamo di Caos calmo. Meglio il romanzo di Sandro Veronesi o il film di Grimaldi?
Vi rammento la trama del libro.
Pietro Paladini è un uomo apparentemente realizzato, con un ottimo lavoro, una donna che lo ama, una figlia di dieci anni. Ma un giorno, mentre salva la vita a una sconosciuta, accade l’imprevedibile, e tutto cambia. Pietro si rifugia nella sua auto, parcheggiata davanti alla scuola della figlia, e per lui comincia l’epoca del risveglio, tanto folle nella premessa quanto produttiva nei risultati. Osservando il mondo dal punto in cui s’è inchiodato, scopre a poco a poco il lato oscuro degli altri, di quei capi, di quei colleghi, di quei parenti e di tutti quegli sconosciuti che accorrono a lui e soccombono davanti alla sua incomprensibile calma. Così la sua storia si fa immensa, e li contiene tutti, li ispira fino a un finale inaudito eppure del tutto naturale.
Nanni Moretti riesce davvero a impersonare così bene Pietro Paladini, il protagonista della storia? Ve lo immaginavate così mentre leggevate il libro? Certo, se avete già visto il film – ma non avete ancora avuto modo di gustarvi il romanzo – credo che nel momento in cui inizierete la lettura il personaggio che vedrete con gli occhi della mente avrà per forza di cose la faccia di Nanni Moretti. E vi sembrerà strano immaginarlo dentro la macchina anziché seduto su una panchina.
E poi c’è un altro caso recente.
Io sono leggenda. Anche in questo caso mi viene da domandarvi: meglio il romanzo di Richard Matheson o il film dove il protagonista è interpretato da Will Smith?
Anche in questo caso vi rammento la trama del romanzo.
Robert Neville torna a casa dopo una giornata di duro lavoro. Cucina, pulisce, ascolta un disco, si siede in poltrona e legge un libro. Eppure la sua non è una vita normale. Soprattutto dopo il tramonto. Perché Neville è l’ultimo uomo sulla Terra. L’ultimo umano sopravvissuto, in un mondo completamente popolato da vampiri. Nella solitudine che lo circonda, Robert esegue la sua missione, studia il fenomeno e le superstizioni che lo circondano, cerca nuove strade per lo sterminio delle creature delle tenebre. Durante la notte Neville se ne sta rintanato nella sua roccaforte, assediato dai morti viventi avidi del suo sangue. Ma con il sorgere del sole è lui a dominare un gioco crudele e di meccanica ferocia, scandito dalle luci e dalle ombre di un tempo sempre uguale a se stesso e che impone la ripetizione di un rituale sanguinario. In questo mondo Neville, con la sua unicità, si è già trasformato in leggenda.
Parliamone.
(Massimo Maugeri)
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Vi ricordo che per fare quattro chiacchiere su argomenti vari la porta de la camera accanto è sempre aperta.
Be’, mi pare ci siano spunti per una bella discussione.
Di seguito vi ripropongo le domande del post.
Ne approfitto per augurarvi buona giornata!
Deve più il cinema alla letteratura o la letteratura al cinema?
Quante volte vi è capitato di andare al cinema per vedere il film tratto da un libro che avete amato?
Quante volte, dopo aver visto un film che vi è piaciuto, siete andati ad acquistare il libro da cui è stato ispirato?
Vi è mai capitato di essere delusi da uno spettacolo cinematografico al punto tale da aver voglia di andar via prima della fine?
In generale… sono meglio i libri o i film tratti dai libri?
È meglio “La terra trema” di Visconti o “I Malavoglia” di Verga?
È meglio “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa o quello del già citato Visconti?
Parliamo di “Caos calmo”. Meglio il romanzo di Sandro Veronesi o il film di Grimaldi?
Io sono leggenda
Meglio il romanzo di Richard Matheson o il film dove il protagonista è interpretato da Will Smith?
Il paragone secondo me è solo in parte legittimo. Cioè è ovvio che è legittimo e sono sicura che ne verrà fuori una discussione ficherrima, ma in verità si tratta di due cose super diverse, che approfittano di una sola cosa condivisa, e cioè il plot. Il romanzo gioca sulle sinfonie possibili che genera l’immaginazione del lettore, il cinema è la sinfonia risultante di molte immeginazioni che cooperano. Il cinema non ha l’autorialità della parola scritta. C’è la sceneggiatura, c’è la regia, ci sono gli attori, c’è la fotografia, ci sono i costumi. (Off. Topic. Questa orchestrazione di pensieri diversi rende il cinema parecchio interessante in una prospettiva psicoanalitica, credo che sia questo a conferirgli il potere simbolico che tanto frutta nelle stanze di terapia)
Ora, per molto tempo io ho pensato che, prima meglio leggere un romanzo e poi la sua traduzione cinematografica. questo perchè fondamentalmente amavo di più i romanzi, e pensavo il cinema in funzione di essi, proteggendo così il gusto della lettura senza interpretazioni indotte. Avevo paura che, se leggevo Anna Karenina nell’immediato pensavo alla Garbo etc. In quel modo però la lettura del film era subordinata a quella del romanzo, il mio giudizio di valore vincolato a una presunta prospettiva dell primo autore del plot: qui lo tradisce, qui è fedele.
Ma se pensiamo al plot come un oggetto che una volta che è stato creato diviene libero e posseduto di volta in volta dallo sguardo di chi lo cerca, allora secondo me leggere un libro prima di un romanzo è fare un torto al film. Si toglie freschezza, novità. Si filologizza l’esperienza cinematografica, la si fa oggetto di studio, di comparazioni. Io non credo che il cinema sia questo. questo è troppo mediato, invece il cinema è immediato, flirta con le parti inconsce del se. se ci metti il libro di mezzo diventa tutta una faccenda dell’io.
(come fa Massimo il cinema a essere più importante per la letteratura di quanto essa lo sia per il cinema? la letteratura c’è da mooolto più tempo e ci ha ancora un sacco di plot da sfruttare:))
Buona giornata!
Buona giornata a te Zau. E grazie per il commento.
Buona giornata a tutti voi. Torno in serata
@ Massimo…e poi scappo in udienza..credo che non si possa generalizzare. Ho letto Caos calmo ma non ho ancora visto il film (io e Maria Lucia tentiamo di trovare un orario comune da due settimane)…quanto agli altri, spesso il film è incapace di comunicarti non tanto la trama o l’intreccio, quanto il potere evocativo delle parole. Quell’essere occhi su occhi col libro, annusandone la pagina. Il contatto con la lettura è più lento di quello con l’immagine ma conosce strade che dalla mente arrivano al cuore (passando per orecchie, lingua, palato…).Ecco, posso dirti che nel Gattopardo di Visconti ( che pure trovo incantevole, così come – li hai visti? – il rifacimento di Orgoglio e pregiudizio, o Ritratto di Signora) ciò che mi colpisce è la privazione del linguaggio letterario. Di quel tocco che mi fa percepire dietro la pagina un uomo, il suo respiro, il suo contatto intimo col lettore. Il film , poi, diventa un’altra creatura, che quasi si slega dal creatore anche se ha pregi propri.
Pensa a Montalbano ( o di recente ai film tratti dai libri di Gianrico Carofiglio). Sì, godibilissimi, ma a me resta la sensazione, nel passare al film, che nell’immagine si sia perso qualcosa.
Al contrario se dal film passi al libro ( ma mi è capitato di rado) è forse il ricordo dell’immagine a piantarsi nel cuore. Ma in questo caso il film dev’essere di eccezionale livello.
Non ne farei quindi un problema di confronto tra arti. Piuttosto (per me) di nostalgia.
Dunque, rapidamente: e’ il cinema che deve tutto alla letteratura, non c’e’ dubbio. Eppure il cinema non riesce quasi mai a rendere giustizia alla letteratura. Unico caso di trasposizione fedele e ben riuscita che io ricordi e’ Il nome della Rosa di Jean Jacques Annaud. Vidi il film prima di leggere il libro, mi innamorai dell’atmosfera e corsi a comprare il capolavoro di Umberto Eco. Ovvio che il libro ha una profondita’ che il film non riesce a trasmettere, ma i due prodotti sono di altissimo livello. Di solito non e’ cosi’. Il cinema si prende delle necessarie liberta’ (anche delle liberta’ non necessarie, a volte) dettate dal diverso mezzo espressivo. Da harrypotteriana sfegatata posso dire che nessuno dei film tratti dai libri della Rowling riesce a trasmettere tutte le emozioni legate alle avventure del maghetto. Per esempio, l’ultimo film “HP e l’ordine della Fenice” pretende di concentrare in poco piu’ di due ore 800 pagine di avventure, di riflessioni, di intrecci e di magia. Ne esce fuori un bignamino che non puo’ assolutamente soddisfare chi ha letto (e riletto) uno dei libri chiave della saga. In quanto a Caos Calmo, ho letto il libro e non mi sono strappata i capelli. Va da se’ che il film non andro’ a vederlo perche’, in base alla regola che un libro e’ sempre meglio del film che ne viene tratto, faccio due piu’ due e boccio sulla fiducia il Moretti sodomita e la Ferrari discinta. Per inciso, la scena di sesso tanto strombazzata, nel libro e’ assolutamente laida, poco credibile e volgare. E’ il motivo per cui il romanzo di Veronesi non l’ho comprato. L’ho letto in prestito e devo dire, dal basso della mia umile esperienza, che per essere un premio Strega si meritava almeno un altro paio di ripassate di editing pesante. Chi l’ha letto sapra’ forse spiegarmi a che serviva quella e-mail delirante (un chiaro esempio di esercizio di scrittura creativa da corso parrocchiale) che il protagonista trova nel computer della moglie morta: pagine e pagine inutili ai fini della vicenda, con un folle strafatto di canne che delira riguardo ad un cane. Bah! e doppio bah!
Laura
p.s. Riguardo al voler andar via prima della fine di un film, mi e’ successo con La Pianista. Non ricordo il regista, la protagonista era, mi pare, Isabelle Huppert. Ecco, li’ mi ci hanno trascinata e mentre la vicenda si dipanava tra sedute sado-maso, concerti e automutilazioni mi sono chiesta che cavolo ci facevo li’ a vedere quella roba. Pero’ sono rimasta fino alla fine, fedele alla regola che non puoi parlare di una cosa, se non l’hai almeno assaggiata. E il sapore della Pianista e’ decisamente… schifido (neologismo costantiniano).
Laura
Cara Laura, mi trovi pienamente d’accordo.
Il cinema deve tutto alla letteratura e credo non mi sia mai capitato di vedere prima un film e poi leggere il rispettivo romanzo. Piuttosto preferisco aspettare, comprare il libro e poi vedere il film. A mio avviso il discorso è dei più semplici: il libro porta a supporre, a immaginare, a figurarsi posti e persone, creando identità e situazioni che trovano posto nel nostro immaginario e che sono i migliori che la nostra mente riesce a produrre. Per questo i film risultano spesso deludenti, immaginavamo quel personaggio in un modo diverso, quegli ambienti più particolari.
Ovvio, non sempre è così. Ricordo per esempio “La casa degli Spiriti”, il film mi piacque almeno quanto il libro. E poi, per riallacciarmi alle domande di Massimo, anche il Gattopardo secondo me è stata una trasposizione cinematografica molto riuscita.
Caos calmo: ho letto il libro e anche io non sono impazzita. Mi è piaciuto, sì, ma senza troppi slanci. Sinceramente non mi ispira proprio vedere il film, e Moretti in quella parte….boh!! A voi sembra credibilie? A me (uccidetemi pure) come attore non è mai piaciuto, immaginarlo nella scena semiporno-erotica mi mette semplicemente i brividi. Di paura. 🙂
Il libro ha una profondità ed uno spessore che il cinema non può nemmeno tentare di raggiungere. Mi piace definire la relazione tra cinema e romanzo con una frase: “il film è il romanzo in forma di racconto”.
Ritengo che il cinema tratto dai libri sia una piccola finestra sulla letteratura. Spesso mi è capitato di acquistare un libro dopo averne visionato il film. Tuttavia per la stragrande maggioranza della gente accade il contrario. La pellicola cinematografica appaga lo spettatore piuttosto che incuriosirlo e in questo mondo senza tempo disincentiva l’acquisto dell’opera scritta.
Solitamente se leggo il libro sono spinta a vedere il film, ma non accade mai il contrario, o quasi. Perchè il film mi ha già suggerito emozioni che voglio essere io stessa a scoprire tra le pagine del libro.
Si dice che da libri mediocri vengano tratti film stupendi, anche perchè guarda caso i romanzi mediocri sono già simili a sceneggiature. Invece il romanzo a tutto tondo è scritto in modo che difficilmente se ne può trarre una buona sceneggiatura per un film. Come è possibile sceneggiare il vissuto dei protagonisti? Anche il regista più volenteroso avrà dei seri problemi.
Un film, che, anche se incompleto, mi è piaciuto abbastanza è stato Profumo, storia di un assassino, che ha reso solo in parte il problema centrale del libro, però l’ho trovato ugualmente un film dignitoso. Anche se, torno a dire che i flussi di coscienza sono quasi impossibili da sceneggiare.
Nel confronto libri-film non può che spuntarla il libro. Almeno secondo me.
Vedo che anche gli altri la pensano in questo modo. Però dobbiamo ammettere che noi che scriviamo qui siamo tutti amanti dei libri.
Chissà cosa pensa la maggior parte della gente, che è quella che legge poco!
Bel post Max. Bravo.
Smile
La questione è se il film debba o meno ripercorrere il libro. La narrativa gioca sulla fantasia del lettore, mentre un film impone la “dittatura” del regista. Ne deriva, a mio modesto avviso, che la cosa migliore sia il “liberamente tratto” (slegarsi anche nel titolo). In pratica trasmettere l’idea del libro, ma narrando in maniera differente le cose, alterando i personaggi e anche le epoche. Insomma, dare qualcosa di nuovo rispetto a riproporre su schermo ad uno spettatore ciò che la sua fantasia da lettore aveva sicuramente reso meglio.
Ovviamente, questa è la mia opinione in merito.
Libri e film giocano con “regole” diverse. Bisognerebbe apprezzarli con metri diversi. Raffrontare, non confrontare. Perché siamo abituati a porci questa domanda e non, per esempio, se sia meglio il Macbeth di Shakespeare o quello di Verdi?
Nota: bisognerebbe includere (tra le “regole” dei rispettivi giochi) anche il rapporto col pubblico, di lettori o spettatori, e rubricare certi film “di cassetta” tratti da libri alla voce “porcate”, ed escluderli dal raffronto. Tipo, Io sono leggenda (o La macchia umana, o fate voi): porcata, non brutto film tratto da un buon libro. Il padrino di Coppola, invece, non fa rimpiangere quello di Mario Puzo, secondo me.
Poi: ci sono rari casi in cui l’autore del libro si caccia in difficoltà che il regista del fim può evitare. Immaginate che la voce narrante di un romanzo sia quella di una bambina di dieci anni che passeggia in un campo di fiori, e parla di achillee o centauree. Dettaglio prezioso, ma stona nel vocabolario del personaggio. Nel film vedo i fiori senza che serva nominarli. E il film vale più del libro (sì, è un quiz: di che titolo sto parlando?)
Ovviamente, i buoni autori e i bravi registi (quelli che sanno quello che fanno, non quelli che confezionano un prodotto secondo ricette a base di precotti) sanno entrambi evitare queste trappole.
Il cinema deve tutto alla letteratura ? Forse si, ma quanto conosceremmo certi libri senza il cinema ?
E’ molto difficile che un film mi prenda più del libro dal quale è tratto. Tuttavia, tra Burgess e Kubrick, scelgo il secondo.
Grimaldi credo abbia il merito di aver scelto degli attori che già “erano” i personaggi, senza nulla togliere alle loro capacità.
Nel contesto nel quale si trova il protagonista, molti avrebbero avuto reazioni inconsulte.
Ricordo che non c’è solo la perdita della moglie, ma anche e soprattutto la situazione lavorativa (riorganizzazione aziendale a seguito di fusione non paritaria – che tipicamente miete molte vittime spesso non facilmente ricollocabili), la scoperta di quanto il rapporto con la moglie con la figlia fosse incompleto ed altro che non voglio aggiungere per non togliere il gusto della visione del film. Ebbene Moretti ha esattamente quell’espressione “di uno di passaggio” che mi sarei immaginato.
Tecnicamente ho visto molte sbavature, ma fanno parte del film tanto quanto la vicenda.
non e’ una domanda da farsi, secondo me leggere un libro e’ una sensazione unica, perche’ con la propria fantasia si puo’ immaginare anche di piu’ delle scene di un film, comunque diciamo che molti film da libri sono stati fatti molto bene – cio’ non toglie, ripeto, leggere e’ sempre leggere-
caos calmo, non ho letto il libro ma ho visto il film, a mio avviso fatto molto bene, fa capire veramente i sentimenti del protagonista – anche se a me, come silvia leonardi, moretti non fa impazzire, devo riconoscere pero’ che se l’e’ cavata molto bene – inquanto alla scena erotica, credetemi, si e’ visto di peggio, non capisco perche’ ne parlino tanto, in alcuni film si e’ rasentata la pornografia e non ne hanno fatto intorno tanto baccano – stavolta proprio non capisco – forse perche’ moretti non lo immaginavamo calarsi in una scena un po’ spinta ??!!?? –
comunque finisco col dire che la lettura da’ emozioni diverse dal semplice vedere un film…………
saluti come sempre a tutti voi – ciao ciao anna di mauro
In linea generale preferisco leggere il libro ed immaginare i personaggi che l’autore ha saputo ben profilare. Mi piace sottolineare una frase o un paesaggio che mi ha particolarmente colpito, così da poter ritrovare subito la pagina che mi ha attratto. Ad un amico per quanto caro, preferisco ricomprare il libro che desidera, piùttosto che prestargli il mio, anche perché ” i più non ritornano…”infatti non ho più dei volumi ai quali ero molto legata e che non ho potuto più ritrovare.Spesso sono rimasta delusa dal film, tratto da un romanzo che amavo, la psicologia del personaggio viene solo sfiorata o deformata. I dialoghi non sono più gli stessi, lo sceneggiatore li ha modificati o sfoltiti per esigenze di copione. Vi sono poi dei film che mi hanno fatto sognare e che non mi stancherei mai di rivedere, infatti ogni volta riesco a notare qualche frammento che avevo trascurato. Uno di questi, che reputo un capolavoro, è ” Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Con quanta poesia e bravura, il giovane regista ha saputo descrivere la sua Sicilia incantata, (che oggi non è più la stessa). Nel film, il paese con la sua gente sono così reali, che la pellicola poteva essere girata in uno dei tanti paesi di quel magico irripetibile tempo; come Vaguarnera o Piazza Armerina, con la loro ricca umanità di persone così simili e così diverse. Due films, che non mi ha deluso rispetto ai romanzi (di due opposte nazioni),sono “il dottor Zivago” e ” Via col vento”, ormai considerati dei classici per merito dell’ottima rispettiva ambientazione e per glii attori ben scelti e molto credibili nel recitare la propria parte. Certamente, mi verrà in mente qualche altra pellicola degna di nota che segnalerò in seguito.
Tessy
Jerome K. Jerome, nei “Tre uomini a zonzo” (Lo so di che si parla, non ho sbagliato post!) a pg. 76 edizione Bur – 1950 dice:
“E infine in questo libro non ci saranno descrizioni di paesaggio…Nulla è più facile della descrizione dei paesaggi; nulla è più difficile e più superfluo a leggersi. Quando Gibbon doveva fidarsi dei racconti dei viaggiatori per una descrizione dell’Ellesponto, e quando il Reno era familiare agli studenti inglesi sopratutto attraverso i , di Giulio Cesare, si conveniva a ogni globe-trotter, dovunque andasse, di descrivere come meglio poteva le cose che aveva veduto. Il dottor Johnson che coi suoi occhi aveva visto il panorama di Fleet Street e poco più, poteva leggere le descrizioni delle brughiere dell’Yorkshire con piacere e con profitto. Per un londinese che non avesse mai visto niente di più alto che lo Hog’s Back, nel Surrey, una descrizione dello Snowdon doveva essere molto appassionante. Ma noi abbiamo cambiato tutto…o meglio la propulsione a vapore e la macchina fotografica hanno cambiato tutto per noi.”
…
Un po’ lunga e pesante la citazione.
E’ la stessa paura che i poeti e i narratori avevano nell’800 per il Dagherrò? Ma la fotografia era qualcosa di totalmente diverso dallo scritto: narrava l’attimo. Il cinema cerca di stampare negli occhi, in due ore 6/700.000 parole? Neanche questo credo.
Il cinema è immediatezza dei sentimenti, a cinema si piange, raramente lo si fa in poltrona con un libro (io ho pianto con Pierre Daninos, il maestro di molti umoristi francesi, ma dalle risa); quando lasci la parola scritta per commuoverti, ridiventa inchiostro.
@Paolo S. è alquanto in sintonia con quello che penso.
Il cinema, comunque, anche quando non è liberamente o in modo coatto legato ad un libro è una storia di lettere, lo sceneggiatore (povero figlio minore) è sempre uno scrittore.
L’operazione, nell’80% dei casi commerciale, di una trasposizione da libro riesce male perchè il regista dovrebbe dividere la sedia con l’autore; “Montalbano” funziona, checchè se ne voglia dire, perchè si trovano tracce dei mozziconi di Camilleri sul set.
Poi la sensibilità del regista, il suo innamoramento autentico per il testo. Valerio Zurlini mi fece innamorare di Buzzati e non viceversa, la Magia del “Deserto…” la ritrovai nelle pagine, tutta.
Poi il cinema ha la musica; non sempre possiede Morricone, Previne, Bacalov o Piovani, ma quando uno di questi geni vi interviene, il cinema diventa letteratura altra.
“Picnic ad Hanging Rock ” è uno degli esmpi di come il cinema possa far diventare letteratura una storia mediocre di una casalinga visionaria australiana che per un attimo ha potuto credere di essere una scrittrice.
“Il Padrino”, e qui l’esempio mi sembra ancora più alto, di come un “bravino” scrittore possa passare alla storia.
Delusioni.
@Elektra, la dice lunga “Però dobbiamo ammettere che noi che scriviamo qui siamo tutti amanti dei libri.”
Posso pensare che chi ama i libri entri a cinema con la puzza sotto il naso? “Vediamo un po’ ‘sto stupido dove vuole arrivare!” : I bibliofili sono dei censori incredibili
@Elektra, quando parlo di delusione non parlavo di te, perdono.
@Evento,
mi hai fatto ricordare le vite contrapposte dei film “2001 Odissea…” e “Solaris”, quest’ultimo fu un flop, eppure veniva da un grande romanzo! Basta sto zitto!
Perchè stai zitto, didò. Vai che vai bene !
E Frankestein ? E Dracula da Murnau a Stoker. Quest’ultimo dal teatro ha portato Shakespeare al cinema. E’ così importante operare una scelta ?
Io, da amante dei libri, spesso scelgo cinema e teatro per un primo contatto. Non credo di far torto a nessuna arte.
E Wenders con Buena Vista Social Club, giusto per tirare in ballo anche la musica ?
Certo la descrizione della biblioteca nel testo di Eco, il nome della rosa, non può essere sostituita dalle corrispondenti immagini del film, ma nemmeno la scena della confessione del frate dolciniano davanti all’inquisitore poteva essere descritta nel testo così bene.
L’importante è che le idee nascano, Sul come circolano credo non ci
possano essere preclusioni.
errata corrige “I commentari” di Giulio Cesare
E’ vero!
Picnic ad hanging rock è divino, il film intendo.
Il romanzo è di una noia mortale, una delusione su tutti i fronti.
Come anche Giro di vite, il film è bello, pauroso, pieno di pathos, il romanzo è statico, datato. L’ho lasciato a metà.
Confesso la mia colpa 🙂 trovo che Veronesi scriva benissimo, magari in alcune pagine è un po’ prolisso ma quello fa parte della sua evidente monomaniacalità. E’ uno di quegli scrittori che vuole andare a fondo nell’esplorazione dei sentimenti, una volta arrivato in fondo di solito inizia a scavare. “Caos calmo” per me è un libro bellissimo, uno dei pochi libri italiani recenti che mi hanno appassionato. Sulla polemica della scena osé del primo capitolo, ohmamma, il solito blablabla da Sora Gina. Il protagonista ha un’erezione mentre salva la vita di una donne che sta per affogare. Ma ci vuole tanto a capire l’ovvio simbolismo? Ovvero che Veronesi oppone alla morte l’eccitazione sessuale come atto vitale? Insomma, vorrebbe scoparsela, eiaculare, ovvero dare o ri-dare la vita. Eccheccacchio! Invece molti stanno ancora lì bigotti a strofinarsi le manine: èpeccato, èpeccato … Immagino sappiate che quella della stimolazione dell’oragano maschile è la più antica tre le tecniche apotropaiche (questa piacerà a Piperno). Gli antichi romani per scongiurare la morte in battaglia si toccavano i testicoli, sede immaginaria della sorgente vitale.
Oh, poi, sul film: non l’ho visto, ma trovo che Nanni Moretti sia un attore già pessimo nei suoi film, quindi boh mi attira come un calcio negli stinchi…
“Io sono leggenda” è un libro godibilissimo che ho letto in due giorni. Metafora schiettissima della chiusura mentale tipicamente americana. Per certi versi ricorda la trama del film “The others” a mio modesto parere una delle pellicole più belle degli ultimi anni. Il tema dello scontro con “Gli Altri”. L’emarginazione dalla società dei più forti, degli immortali.
In questo caso vedrò il film con piacere, confido nel caro vecchio Will, sia come interprete che come organizzatore (produttore) dei suoi film, tra l’altro è un gran pezzo di gnocco, anche questo va detto, o no? Vabbè io lo dico.
Oh, invece, importantissimo, qui http://fragmenta.blogosfere.it/2008/02/cuore-cervello-e-lamiere.html#more c’è l’intervista a Didò. E’ bellissima e non per merito mio. Il nostro amico è un grande. Leggete e partecipatevi in massa please, l’alternariva potrebbe essere il taglio di entrambe le braccine.
Un caro saluto e bacio a tutti voi. :-PPPPP
Didò è proprio unico, questo lo sapevo già. E gli mando un baciozzo!!!
la questione del rapporto cinema letteratura non va posta in senso
estetico/competitivo, ma analogico e d’interazione partendo dal fatto
che sono sempre sostanzialmente due linguaggi diversi.
Detto questo certamente La terra trema, dei film tra quelli citati mantiene un ritmo narrativo e linguistico che apre ancora di più il testo lettrarario alla immmaginazione del lettore/spettatore.
Il dialetto dei pescatori ha una vivezza visiva ed una espressività che nessun atto letterario può raggiungere.
Un caro saluto
Perché detesto l’Ikea? Semplice. Tu guardi il mobiletto perfettamente montato, poi compri il kit con tanto di istruzioni. Vai a casa e manca una vite, per montare una barra ci vuole la laurea in architettura, quel ripiano esposto all’Ikea l’hanno montato in tredici e tu sei da solo come uno stronzo. Alla fine, stremato e con le palle che girano come eliche dell’elicottero, hai montato un mobile che con quello esposto non c’entra un cazzo. Forse è meglio, forse è più utile, forse funziona meglio di quello dell’Ikea, forse lo abbatti a calci.
Questo, più o meno, penso sulla trasposizione cinematografica delle opere letterarie.
Cinema e narrativa hanno due linguaggi diversi. cercare analogie e/o similitudini mi sembra un’impresa senza speranze.
Detesto quelli che provano a rifare i beatles in versione originale. escono fuori solo cacate. mi convince di più chi prende, ad esempio, “something” e la stravolge a jazz.
Vabbè, ho detto una raffica di cazzate. Ma non è che didò può avere l’esclusiva!
MEGLIO I LIBRI …SEMPRE
@ F.M.Rigo:
la scena di sesso di Caos Calmo su cui si fa baccano non è quella delle prime pagine, durante il salvataggio. Lì c’è solo un’erezione da adrenalina. La scena è quella di brutale sodomia nel prato, intorno a pagina duecento e qualcosa (se hai letto il libro, dovresti averla presente) che Grimaldi ha trasposto in interni e spostato da una posizione animalesca a quattro zampe a una meno d’impatto faccia al muro (così mi dicono). Su quella scena si è disquisito ed è quella scena che io credo sia una delle peggio scritte di tutta la letteratura italiana.
Laura
@ laura:
il film non l’ho visto. ma, alla fine, lo prende in culo la protagonista o lo spettatore?
@ evento
non avrei saputo spiegare meglio il concetto che ho introiettato fin dalla più tenera età: le arti hanno linguaggi differenti, il paragone è arbitrario. e poi trattasi di duplice mediazione. il regista (o lo sceneggiatore, dipende) legge un libro, lo introietta a suo modo, lo traduce in pellicola che lo spettatore legge con i suoi occhi, il suo cuore, il suo vissuto. è chiaro che quel che ne esce può non aver nulla a che vedere con il punto di partenza, ma non vale il giudizio usando il libro come metro.
ci sono ottimi film tratti da libri mediocri, e film osceni tratti da libri fantastici. è ovvio che se il successo di un film porta qualcuno a leggere il libro da cui è tratto questo è un successo. ma ci sono buone chances che la persona in questione ne abbia una delusone pazzesca, se non è in grado di compiere il percorso di scissione dei concetti e dei linguaggi.
l’obbligo base per una trasposizione dovrebbe essere la fedeltà non al testo, ma al concetto e alle atmosfere di base, cosa che per esempio non è riuscita con ”io sono leggenda”.
a quel punto rimane un’opera avulsa dall’originale, che può essere giudicata prescindendo dal libro, con cui non ha punti di contatto se non l’idea di base di una trama.
io non ho visto ancora ”caos calmo”. ho letto il libro, però. e mi è piaciuto parecchio. condivido con fausta l’analisi, contrasto con lei su nanni moretti, che a me fondamentalmente piace, nonostante.
vi saprò dire. a priori ho una certezza: mi ci accosterò con spirito aperto, cercando di non pensare all’opera letteraria da cui nasce.
sarebbe come paragonare cavoli e patate, o due figli tra loro: sbagliato e inutile.
@ gea:
“introiettato” si presta
🙂
dio come ho scritto male…
bleah
🙂
scemo
🙂
A me la scena del libro a cui fa riferimento Laura è piaciuta. Non torneremo ai tempi della censura de L’amante di lady Chatterley, spero.
Non penso che il paragone sia arbitrario. Tutt’altro. Ci sono terribili film che hanno reso un pessimo servizio a ottimi libri e film grandiosi ridicolizzati da romanzetti insulsi.
“Orgoglio e pregiudizio” (quello in b/n con L.Olivier), “Ragione e Sentimento”, “Casa Howard”, “Camera con vista”….ecco i titoli di alcuni film che ho amato e che letti dopo aver visto la pellicola mi hanno un po’ spiazzato. La colpa è mia però, perchè a volte mi immedesimo a tal punto nelle storie e mi affeziono talmente ai personaggi e mi affascinano così tanto i film in costume, che poi non trovando le descrizioni precise tra le pagine del libro in questione resto delusa…
Invece “Molto rumore per nulla”, dalla omonima commedia di Shakespeare, non tradiva l’originale, nonostante l’ambientazione toscana. oppure perchè il teatro, quando letto e non interpretato, scatena maggiori fantasie?
“La casa degli spiriti” invece è insuperabile come libro, non come film, nonostante il cast stellare.
Comunque “Caos calmo” l’ho letto tempo fa, posso solo esprimere un parere negativo…il film ancora non l’ho visto, però…
La scena del film non è niente di trascendentale. Certo uno ci arriva talmente caricato da tutto il tam tam che c’è stato che, appena si presenta la Ferrari, quando ancora ha tutto addosso, rischia una eiaculazioe precoce. Peraltro molto più sensuale la Golino a mio avviso. Peccato che nel film la parte della svitata-stressata-in cura le riesca particolarmente bene.
Nel libro la scena in questione è descritta peggio che nel film. Non è facile descrivere in un testo una scena di sesso.
Io dico che innanzitutto sono contenta per l’effetto che la trinca ha avuto sul Nostro, che magari vederlo trombare non è proprio sta gran cosa, ma è segno che è incoercibilmente di umore migliore.
Sulla questione cinema e libri già ho detto. Poi hanno detto altrettanto bene Paolo S e Gregorie la geissima:). Ma a parte il loro commento e forse quello di qualcun altro che mi è sfuggito, in generale vedo un po’ di letturo centrismo, ecco. Come se davvero un film fosse soltanto la trasposizione di un libro. Un libro tuttalpiù è una scusa, un prestito, poi ci sono l’ira di Dio di cose, e il libro non ci entra più niente. Sono anche due modi diversi di fruire l’oggetto.
Ah, Laura ho capito, vabbé nulla di nuovo sotto il sole, ricordo ancora quando ero bambina non si faceva che parlare dell’Ultimo tango per la stessa ragione.
@ a zaub:
mai pensato di pubblicare un dizionario zauberei-italiano? diventeresti ricca
Davvero enrico:)
Evidentemente ci sarebbero molte persone interessate…
( me sa che te eri distratto:)))) pppp)
Mah, quasi quasi ‘sto film lo vado a vedere. Del libro vi ho già detto, ma la verità è che Moretti, a pelle, proprio non mi convince.
Anche se alcuni registi provano a essere abbastanza fedeli al libro (James Ivory p.es.) il risultato per me non va misurato in base a tale fedeltà (che non sarà mai raggiungibile al 100%). A volte sono poi anche gli attori a farne qualcosa di memorabile (Hopkins e la Thomson in “Quel che resta del giorno” per restare ad Ivory, sono magistrali). Spesso i risultati migliori si hanno quando il film è qualcosa che si svincola con decisione dal testo scritto, assumendo una forma nuova e del tutto originale, in una sorta di reinvenzione anche se a partire dallo stesso spunto, che a volte è la trama, a volte solo il significato più profondo, altre volte un mix tra i due. Kubrik sembra abbastanza fedele al romanzo in Lolita, apparentemente molto meno a “Doppio Sogno” per il suo “Eyes Widw Shut” , ma in fondo la trama è rispettata forse più qui che là ed il significato rimane quello di Schnizler. Mi dicono che l’ultimo film dei Coen al contrario capovolge quasi il significato del romanzo di McCarthy “Non è un paese per vecchi”, ma non conosco nè il libro nè il film.
Sarebbe forse interessante forse un’operazione di questo genere: uno sceneggiatore butta giù una trama, molto abbozzata. Uno scrittore ed un regista si cimentano a trarne due opere diverse, per farne un confronto; ma senza poter dire che una della due cose è tratta dall’altra. O è una stronzata ?
@ carlo:
nonostante sia una tua idea non mi pare una stronzata
Carlo ci sono anche gli sceneggiatori che si distraggono e scrivono direttamente romanzi. Il risultato è noto.
Carlo S è fica la tua idea!
Però uffa io ridico una cosa che ho detto ma vedo che numme fila nessuno: il romanzo lo scrive pinco, il film lo fa un’industria di persone. spostare il peso sulla regia è erroneo.
Un sacco di registi per esempio Cukor, lasciavano che l’attore nella recitazione riscrivesse le battute. Le dicesse cambiandole. Per non parlare della fotografia, del montaggio! Sono cose fondamentali. Per non parlare delle imposizioni sulla produzione. La produzione può dettar legge su un sacco di cose.
Zaub è vero quello che dici. Dietro al film ci sono tante “scritture”. Ci sono, però, dei casi di registi che riescono a far convergere meglio il processo produttivo forse in virtù della loro personalità.
A me piace quello che dice Zauberei, che sa distinguere tra una semplice trasposizione cinematografica dal testo e una creazione nuova e originale che lo reinterpreta…E anche quello che dice Carlo S.Lo trovo vero.
Ma anche Evento dice bene…dipende molto anche dalla personalità dei registi e dalla loro sensiblità (forse anche letteraria).
Insomma…avete ragione tutti.
Propongo un nuovo tema: è più bello un Grego originale o un Didò in video? Insomma, magari nel trasporre i due si perde qualcosa. Per me l’unica è andare dritta al Zaube cinescope con un pizzico di letteraria Eventuonicità. E’ chiaro che il tutto deve essere sapientemente orchestrato dalle sapienti mani della regia faustifera. Vi sembra sensato, no? Bene, lo sapevo.
Aspè, mi è sfuggito un sapientemente. Ecco sapientemente, sapientemente.
Max, il tastino!
…difficile fare paragoni tra cinema e letteratura, un po’ come quando si tenta di tracciare una linea di confine tra “letteratura per ragazzi” e “letteratura per adulti” (???): su questo, aveva ben ragione il premio Nobel Astrid Lindgren a insistere che la vera differenza, in fondo, esiste solo tra buoni libri e cattivi libri, senza alcun limite d’età per il lettore.
Spostando il ragionamento sul quesito posto da M.M. agli amici di Letteratitudine, mi viene in mente che forse sono solo il talento, l’arte e lo sguardo (il punto di vista narrativo) a segnare film eccellenti o mediocri e/o buoni o cattivi libri. Un esempio concreto: ho appena visto il film di Julian Schnabel “Lo scafandro e la farfalla”, tratto dall’omonimo libro autobiografico di Jean-Dominique Boby, colpito dalla rarissima “Locked-in Syndrome”. Sconvolgente il libro, ancor più sconvolgente il film: che con insuperabile poesia e capacità di rendere il punto di vista del malato ha saputo raccontare in modo emozionante, con le immagini, un’esperienza difficilmente descrivibile. Vedere per credere: alcune trovate registiche sono davvero formidabili, e l’interpretazione dei protagonisti è magistrale (tra gli altri, c’è un imperdibile Max Von Sydow nel ruolo del padre di Jean-Do). Ecco, in questo caso mi sembra che il film abbia reso onore al libro e al suo autore.
Mammut95
Fausta,
ogni volta che chiedi di questo benedetto tastino non so perchè, ma mi torna in mente una scena di Troisi, credo in Ricomincio da tre (ma sono in dubbio con Scusate il ritardo), nella quale va a trovare l’amico Lello Arena caduto dalla bicicletta in ospedale.
L’amico gli aveva detto di lasciargli la bicicletta, sulla quale fino a poco prima era andato “sulla canna” ripetendo di essere in grado di farsi liggiero liggiero. Dopo il pezzo mitico del dottore che gli spiega le condizioni di Lello con marcato accento tedesco e dito indice eretto e minaccioso, nella penombra della camerata dell’ospedale Troisi si avvicina a tutti i letti sussurrando “Lello Lello” (nel tuo caso potrebbe essere “tasto tasto”) ed uno degli ammalati solleva la testa e gli dice “che Lello voi, sò Remigio” (g fiorentina).
Dunque: “Che tasto voi, nun se pò mette !”
@Zauberei
Non si dice trombare. Si dice fare l’amore col testosterone.
Ah sì Evento è “Ricomincio da tre” io sarei più Lello che chiede un goggetto d’acqua prima che Troisi vada via … mille goccetti d’acqua con Massimo che vuole andare dalla fidanzata e quello che insiste, un altro goccetto … tastino, tastino, goccetto, goccetto … uff lo so rompo come un moscerino nella zuppa
Attenzione Onan ha un link pieno di VIRUS non cliccate
Mi sono appena ripresa da un sonnellino ristoratore.
Cinema e Letteratura, sono due mondi diversi, anche se penso che ormai sia quasi difficile sostenerlo, la commistione c’è anche quando una sceneggiatura non fa alcun preciso riferimento ad un determinato testo.
Alcuni film inglesi sono straordinariamente efficaci a rendere il testo, e in alcuni casi, addirittura lo spirito della scrittura. Stessa cosa ( generalizzo) non si può dire per il cinema americano. Mi capitò, qualche anno fa di imbattermi in una trasposizione, pubblicizzata moltissimo, di Frankestein di Mary Shelley, con Robert De Niro nella parte del mostro: una troiata pazzesca! Ma brutto, brutto, brutto. Senza scampo, anzi (per Zaub) senza possibilità di rivalutazione Camp.
L’Odissea televisiva, quella con Ungaretti, pur strana in certe ricostruzioni scenografiche, è uno degli esempi felicissimi di come la parola può vivere e splendere anche in una rappresentazione cinematografica. Ma erano i tempi artigianali, oggi azzerati dal professionismo esasperato (leggiamo: freddo, asettico, pignolo, micragnoso) dell’industria del cinema, e anche della televisione. La logica degli effetti speciali, economici e di botteghino.
Per Moretti non spendo un euro.
@ fausta:
ma sono virus inefficaci visto che tu hai cliccato e il pc purtroppo ti funziona ancora
🙂 infatti grego, vedi, sono pimpante di prima, guarda come pimpo, pimp, pimp. Una domanda grego, ti prego sii sincero: tu fumi?
più pimpante, pimp, pimp
Veronesi è uno scrittore che apprezzo molto, emolto mi è piaciuto ‘Caos calmo’.
Amo m olto Nanni Moretti, e il film ‘Caos calmo ‘ mi è piaciuto.
Il libro è meglio, ma sono rimasta soddisfatta dal film, sostanzialmente per l’interpretazione eccellente di Moretti
nanni Moretti come sex symbol non mi dispiace.
E averlo visto nei panni di Pietro Paladini toglie quello che secondo me è un difetto del libro ‘Caos calmo’:quando leggi un libro di Veronesi, ti viene in mente inevitabilmente Veronesi stesso, nei panni del protagonista, dal momento che la componente autobiografica nei suoi romanzi è molto percebile.
E Veronesi che parla nei panni di un manager di un agrande multinazionale nel libro risultava poco credibile.
Da quel punto di vista, coem protagonista ho trovato più convincente Moretti.
@ fausta:
sono un fumatore atipico. fumo al chiuso. se non ho le sigarette me ne frego. ne accendo una dozzina al giorno e la maggior parte le butto a metà. ho cominciato a fumare a 16 anni. serve altro?
Sì, un bacino.
🙂
@ fausta:
no, so’ timido
🙂
Comunque lo sapevo, sapevo che fumavi. Si capisce da tante cose, scommetto che anche Zaube spippetta a volte. E’ una razza differente, quando li leggi te ne accorgi.
Te lo do io 🙂 mi raccomando non andare da Conan mentre vado a fare la spesa.
da quello che scrivi si capisce benissimo che fumi anche tu. però io ho smesso nel 1979 con quello che fumi tu
io non vado da Conan e tu vai alla Conad
Secondo me la Letteratura – se non fatta furbescamente gia’ come ”sceneggiatura sotto mentite spoglie” – da’ cose che le pellicole non danno e viceversa.
Oggi pero’ i libri non vengono piu’ concepiti, mi pare, da dei veri letterati, dunque gli effetti esclusivi del linguaggio scritto tendono a sparire e i libri assomigliano eccessivamente alle sceneggiature; il cinema intanto sta perdendo quelle peculiarita’ ”para-letterarie” che i grandi autori (scomparsi) avevano: uno per tutti ”Fahrenheit 451”.
A fare un bilancio complessivo, mi sembra che lo scadimento dei due linguaggi sia evidente. Un caso, questo, in cui le contaminazioni hanno tolto invece che donare. Ad entrambe le arti.
Sergio
Quello non è Conan: è Onan. Una volta ci si diventava ciechi. Ora si beccano i virus. Forse sul sito si può entrare col preservativo
Sì, Grego fumo quando scrivo, se cammino o mi nuovo no, nemmeno io all’aria aperta. Ho comprato la pizza, buonissima! Mo’ me la magno.
Sono sicura che Massimo amerà questo intervento.
Max, vado avanti?
Propongo un ennesimo topic: a voi vi va di vedere i testicoli di Giuliano Ferrara? Dice che presto ce li mostrerà.
Tre esempi su quella che è la mia esperienza :
Arancia Meccanica, match pari nel senso che il film è veramente molto bello, ma anche il romanzo di Burgess ha un suo ritmo che una volta entratoci è difficile uscirne;
Il paziente inglese vince nettamente il film. Il libro è piuttosto noioso e ripetitivo, il film invece anche se sdolcinato ha una costruzione notevole.
Anna Karenina ( nella versione con protagonista Sophie Marceau ), nettamente meglio il libro, il capolavoro di Tolstoj. Non solo perchè è più difficile forse riportare sullo schermo un capolavoro assoluto. Lo aveva fatto la rai in modo mirabile quest’inverno con Guerra e Pace.
Grego che vuol dire hai smesso con tutto quello che fumo io? Mi sfugge il nesso.
🙂
oltre agli esempi di carlo, che condivido pienamente, mi piacerebbe citare l’otello di orson welles. è shakespeare, ma è soprattutto welles.
ebbe una storia travagliatissima, come molti dei suoi film, ma è una cosa fantastica. una fotografia sconvolgente (il funerale in skyline sul crinale di una collina è indimenticabile) atmosfere dark e un’ impronta che del vecchio willie trattiene solo la grandezza.
e non è poco.
Ho sempre odiato “Arancia meccanica”, ricordo gli intellettualini anni 70 con la bava alla bocca per quel film, che nervi! Se non ti piaceva ti facevano praticamente arrestare. Infatti questo è il mio primo outing pubblico: mi ha sempre fatto schifo, lo trovo triste, misero, cupo, noioso come un comizio di Mastella … peccarità.
@ fausta
ti adoro, ma giù le mani da kubrick.
🙂
@ fausta:
ecco, quelli ai quali non piace arancia meccanica meriterebbero un comizio di mastella al citofono. mi sembra una pena equa
Sottoscrivo pienamente le opinioni di Gea ed Enrico riguardo a Kubrik ed Arancia meccanica: il libro di Burgess vale la metà del film (uno dei rari esempi)!!!!
(@ Fausta: mò beccati ste citofonate- in alternativa potrai ammirare i testicoli di Ferrara)
@ gea
Brava: l’Otello di O.W.!!!! E pensa al Don Chisciotte che avrebbe potuto fare! I pezzi che sono circolati da soli fanno immaginare già tutto.
Wells e Kubrik: 2 pilastri , mostri sacri, la storia del cinema, guai a chi li tocca !!!!
la tragedia dello scontro tra creatività e danaro.
chi ci rimette è l’umanità intera.
pensando alla quantità di soldi sprecata per immani puttanate viene un po’ da piangere, vero?
Ringrazio tutti per i numerosi commenti.
Qualcuno ha fatto notare – e a ragione – che il confronto tra un libro e un film (anche se raccontano la stessa storia) non è corretto perché trattasi di espressioni artistico-narrative diverse.
Sono d’accordo. La mia domanda, in effetti, aveva intenti provocatori.
Ma è anche vero che la contaminazione c’è. E se in un modo o nell’altro cinema e letteratura, film e libri, sono vasi comunicanti ritengo legittimo, benché provocatorio, fare paragoni.
Sissì lo so che avreste reagito così, tranne Lolita a me Kubri non fa. Odissea? No, nemmeno quella, una visione così malinconica e gelida di Dio dell’infinito, che tristess. Eyes wide shut? Omammamia l’unico film dove l’australiana non era capace. Che altro c’è … brrrrrr, coso lì, quello del motel innevato … vabbè Gea ci ameremo comunque.
In Italia è molto amato, buon per lui.
Elektra e Didò, giustamente, fanno notare che la maggior parte dei commenti sono pro-libri anche perché questo è un blog letterario. Verissimo.
@ Fausta
Puoi esprimere le tue opinioni in piena libertà. Se non ti piace kubrick non c’è nulla di male.
Però, secondo me, Nicole Kidman in “Eyes wide shut” è stata bravissima. Soprattutto nelle scene iniziali.
Come ha scritto Roberto Alajmo su “Giudizio universale”: “La scena indimenticabile è quella in cui Nicole Kidman è inquadrata di spalle, davanti allo specchio, leggermente dal basso. Nuda. Da lì si capisce che recita meglio lei col culo che Tom Cruise col bel faccino che si ritrova.”
🙂
Mi trovo in una posizione un po’ strana. Ho letto “Caos calmo” di Veronesi (a me è piaciuto), ma non ho ancora potuto vedere il film di Grimaldi.
Ho visto il film “Io sono leggenda” con Will Smith (che non sarà eccelso, ma non mi è parso nemmeno una porcheria), ma non ho ancora letto il libro di Matheson.
Cosa mi consigliate di fare?
Do (dò) priorità al libro di Matheson o al film di Grimaldi?
In pratica nel commento precedente vi sto chiedendo di paragonare un film e un libro che raccontano storie diversissime.
Però!
(off topic)
Vi ricordo che per fare quattro chiacchiere su argomenti vari la porta de la camera accanto è sempre aperta.
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/01/07/la-camera-accanto/#comment
matheson.
è imprescindibile.
e capirai perchè il film, per quanto carino, non sia accettabile come trasposizione del libro.
toute autre chose, come diceva mia madre.
🙂
@ Gea
Seguirò il consiglio.
Ma com’è che – in un modo o nell’altro – vincono sempre i libri?
😉
Gli altri sono d’accordo con Gea?
Zaub ha ragione quando scrive che la psicoanalisi va a braccetto con il cinema ed è soprattutto con i films da incasso da botteghino che ci si accorge di questa tesi, quelli dove la gente comune i film li ha fatti per mano di attori e registi.
Domenica sera ho visto Parlami d’amore di Muccino, le sale strapiene per vedere la storia di un figlio di tossicodipendenti che incontra una donna che si occupa di analisi, la quale lo addestra magistralmente per fare zumpapà con una sua coetanea dai giri loschi e pieni di vizzi come la coca e il tavolo verde, giusto per aumentare altre crisi, oltre quelle che gli ha procurato un infanzia disastrosa. Alla fine comunque il ragazzo finisce per fare zumpapà con la tardona analista.
Tutto questo avviene sulla solita panchina dei giardini pubblici. La stessa panchina di Moretti in caos calmo: evidentemente passavano tutti di lì, si sono seduti, hanno conversato, hanno riflettuto, una specie di seduta terapeutica generale dalla quale vengono fuori gli tzunami psichiatrici della nostra società, sesso droga e rock and roll con tanto di candidatura ai premi oscar per la bravura.
Siamo messi veramente male. Personalmente preferisco Via col Vento e quel gran figone di Clark Gable e lei fa:- Domani è un’ altro giorno!
Gia’, siamo messi male, Rossella, perche’ spendiamo miliardi per film da quattro soldi e non facciamo emergere i bravi scrittori (dice anche Gea). Il motivo secondo me e’ questo: l’immagine la fa da padrone sempre, ha gioco facile: colpisce direttamente senza passare per il cuore o per il cervello. Comunque, quel che si ottiene e’ questo: libri-pellicola ma non pellicole-letterarie. Peggioramento di entrambe le arti. Con le dovute eccezioni (forse anche Eyes wide shut e poc’altra roba).
P.S.
Sto parlando dell’attualita’ sia filmica che libraria, beninteso. Nel passato era diverso: piu’ separazione fra i generi, piu’ creativita’ da parte sia di registi che di scrittori. Ognuno a casa sua come deve essere, anche se dialoganti.
A Fausta:
parlavi dell’Odissea di Franco Rossi, con Ungaretti che introduce, quella che ando’ in tv a puntate quand’ero piccolo? Se parlavi di quella a me piace da matti. L’ho acquistata in videocassetta e rivista piu’ volte. Il Grande Cieco non dovrebbe lamentarsene piu’ di tanto: stesso afflato divino, stessa brutale fenomenologia e ritualita’ dell’Evo Antico. Ottima. Con bravi attori, inoltre. Altre non ne conosco.
Massimo,
tu chiedi ”com’e’ che infine vincono sempre i libri?”
In questo esempio la mia, modesta, risposta (dimmi come si farebbe a rendere cose cosi’ filmicamente):
”Squacquerando, a tarlettante compagnia simile entro vetusto baule in pantagueliche orge sfrenata, la densa comitiva ribalda e godurante spiattellàvasi – a mareggiate a corrucciati cavalloni a ribollenti enfiamenti – nei compassati grigetti del centro perugino, sì sfettucciando in frappe e nastrini la semper tacitoide concaocèano celeste – o meglio cobaltacea. Quel paracriminante dì avea di festa avviluppata la testa, tanto che niùn azzardossi a spencolare in, seppur certo dignitosi, per la febbrile atmosfera inopportunissimi rimbrotti o lagnacci, tantomeno sciorinando sussurricoli imbestialiti atque perfidevoli.
Possiam loquire che tutto era spento e zitto nel grigio perusin maggiorato, che sovente ammuta o sbranga la bocca tranne quando c’è pubblica beltà, ergo minorili lazzi catapultavan risate imbriache puranche verso le prioriche mura dell’augusto palagio, i cui sbadiglianti cannon le tette forse piluzzicavano alle svenevoli alabarde, colubrinesche chiappe anco tentando anzichenò. Birraglia sciroccata o comatosa, nei loci di più confortevoli truogoli bàcchici détti hostarie, se obliava, se strafocava alla bolsa faccia del grinzoso priore Nuccio, ché però in libera sortita ei li aveva lassati – o Semper Beneamato et In Graziadèi Panzuto Capoccia di Perugia la ribusta!”
A Sergio
L’Odissea di Franco Rossi con Ungaretti è straordinaria, forse Fausta si riferiva ad un’ altra edizione, trasmessa, credo su Mediaset ma non sono sicura, due o tre anni fa e prodotta negli Usa: cosa da suicidio! Brutta, volgare e stupida. Un insulto.
@ tutti
Ma!!..Ho letto un pò di interventi su quetso post, e ..che dire! Si può forse e ragionevolmente affermare quello che l’ovvietà delle moltitudini di cervelli che si son fin qui espressi sta pian , piano tirando fuori. Spesso con interventi ovvi ma legittimi cioè con (spero) totale libertà di pensiero e di scelta. E’ ovvio ..ognuno dice la sua, e si sa, se si deve parlare proprio di Cinema, quello con la C maiscola, non è che se la passi meglio dei libri, o comunque dei romanzi, perlomeno quello d’autore. In Italia del resto i libri non vanno tanto a ruba, a parte qualche eccezzione come “La Casta” per la quale a mio avviso non c’è bisogno di farci un film -Ci siamo dentro tutti a tale copione di film – per il resto ci sono dei bellissimi o noiosissimi libri per mezzo dei quali spesso qualche regista trova o per ispirazione, o qualche volta per mancanza di idee proprie un motivo per farci un film.
Non credo che sia poi cosi distante un libro da un film, trovo semmai più distante la cosa inversa . Un libro lo si legge, lo si interpreta e lo si vive ognuno come crede pur rimanendo comunque e per chiunque lo legga uno schema ben preciso dato appunto dalla storia stessa o dala linea guida attraverso la quale il suo contenuto si evolve e si snoda. Sta poi all’autore , con il suo modo di narrare le situazioni , i personaggi, l’organicità stessa dell’intera opera, a far si che il lettore ne venmga coinvolto e che consideri tale lettura appassionante o meno. A me per esempio mi è capitato di leggere “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, “Harry Potter”, “Il silenzio degli innocenti “, ” Il nome Della Rosa”e tanti altri che magari nei prossimi post mi verranno alla mente, e( giudizio strettamente personale) mi sono piaciuti molto di più le loro realizzazioni cinematografiche che quelle letterarie. Non perché i vari autori del caso non debbano essere considerati bravi, poiché, anch’io nel mio piccolo scrivo, e so bene quanto ci si debba spremere e quanto valore abbia mettere il nero dell’inchiostro su delle pagine bianche, e soprattutto quanto valore abbia saperle scrivere bene al punto che qualunque interlocutore( il lettore) ne apprezzi il contenuto ma…non va certo demonizzato o sminuito il lavoro che un regista coaudiuvato pure dalla produzione e quant’altro svolga a volte in maniera sublime circa la realizzazione di un film. Bisogna saperlo ben interpretare, bisogna insomma saperlo fare ed è proprio questa la enorme diferenza fra un buon libro, ispiratore ed un ottimo film da esso ripreso. Innegabilmente però, mentre dal libro al film come dicevo or, ora non c’è tuttosommato una grande competizione su qual’è meglio e qual’è peggio – i libri forse perché sono di più, ma sostanzialmente vincono la partita – tra il film ed il libro, almeno secondo me e almeno secondo quanto ho avuto modo di aprofondire, la partita prorpio non si pone. Vi sono infatti in questo caso molte forzature, e..si sa ,spesso questi pseudo libri sono il frutto di un’estrema commercializzazione di un certo prodotto più che di un film o cose similari . Magari, nell’ingenuità del comune pensare, spesso succubi di un certo martellamento mediatico tendiamo a comprare e a far si che tutto ciò funzioni, ma…NON E’ LETTERATURA , è soltanto un voler spremere il limone fino in fondo.
Perciò, scusatemi se forse con questa mia vi risulterò patetico ma …questa mi sembra che sia l’evidenza dei fatti .
Una nota che però pone indubbiamente a favore del libro è sicuramente quella , forse più banale, ma non per questo meno importante e cioè a dire che leggere un buon libro , che ti appassiona e ti fa immaginare dentro di te un film che solo tu dentro il nostro cevello possiamo vedere e perchè no, pure personalizzare. Diversamente invece bisogna aspettare che qualcuno , ( in questo caso un bravo regista) ci faccia conoscere attraverso film o rappresentazioni teatrali , mostri ciò che noi non abbiamo avuto voglia di fare cioè….LEGGERE.
valterceccherini
@Faustina, ti amo e amo Kubrick, ma Arancia Meccanica è una cagata pazzesca (prevenire è meglio che combattere, guai a toccare kubrick agli intellettualini; ma Dio ha fatto tante cose belle, te, me, l’aria sulla IV corda, però ha fatto anche Gregori: mica si può diventare buddisti per questo, poi magari ci si reincarna nel cognato!)
…
Ma parlate solo di Veronesi e Moretti? State facendo caos, calma.
…
@Maugeri,
non c’entra niente, ma qualche volta organizzi il giochetto delle 5 cose da salvare oltre un libro ed una donna, prima dell’apocalisse?
Qualcuno ricorda “La prima notte di quiete” di Valerio Zurlini?
Cinema da poter trarre un libro, con l’unico Delon mirabile che si ricordi.
…
@Evento, non rispondere, l’hai sicuramente visto, non fai testo, so già che ti è piaciuto!
‘Notte!
in E.W.S. si vedeva che Kubrick stava male. Forse il suo peggior film fatta eccezione per qualche scena.
Ciao Miriam,
eh si’: piu’ le distanze fra la nostra vita reale e quella degli Antichi si allungano, meno qualcuno riesce ad interpretare correttamente le opere antiche. Registi, intellettuali, commentatori, persino filologi classici. Meglio lasciare i Grandi dove stanno e fare altro. I soldi pei film, poi, sono troppi e quelli per i buoni autori troppo pochi. ”Ribellarsi e’ giusto”, si diceva una volta. Certo, pero’ io specificherei: ”Ribellarsi alla dittatura delle immagini e della musica”.
Ciao, Pasquale,
provoco (non te personalmente ma cosi’, le idee in genere): e se gli scrittori pensassero di piu’ a fare meglio il loro lavoro, a leggere e ad essere competenti nella Storia della Letteratura italiana, invece che scrivere copioni e sceneggiature in forma di romanzo?
E se i cineasti penassero a cercare delle sceneggiature piu’ credibili e soprattutto ”originali” invece di andare ad attingere sempre dai libri?
Pardon: pensassero.
Sergio sono assolutamente d’accordo con te. In un commento precedente ironizzavo proprio su uno sceneggiatore che “si distrae” e scrive un romanzo.
Ribellarsi, poi, è giusto. Nel mio piccolo cerco di farlo ogni giorno alle cose di cattivo gusto. Apprezzo la qualità in ogni forma d’arte. Solo confrontandomi con essa riesco a capire quanto posso migliorare.
Didò, non dico nulla, solo che Vanina era bella.
con questo ricordo giovanile vi auguro buona notte.
Dimenticavo…Sergio quella Odissea che hai ricordato la amo (anche se sul libro sono di parte).
Anche io ti adoro Didò, non ci resta che odiare Arancia insieme.
Sozi, no, intendevo 2001 odissea nello spazio, brrrrr che tristess quel film. Solo a parlarne mi si riempiono di brina i capelli.
L’Odissea vera, non si discute, che scherziamo.
🙂
Ma secondo me i libri non vincono affatto.
Vincono qui, perchè questo è un posto dove scrive gente a cui piacciono i libri e addirittura ne scrive di propri. Non c’è tra i commentatori qualcuno che si occupi seriamente di cinema. Ma fuori da qui la questione è un’altra.
Vincono qui, perchè a parte Ceccarini, tutti fate paragoni tra libri ottimi che per la loro bellezza hanno suscitato il desiderio o il desiderio economico di farne un film. Ma Questo è solo un piccolo ramo di cinema, innanzitutto esistono torme di film che vengono da libri tuttalpiù discreti. Ma soprattutto perchè il cinema è una scrittura diversa, e si probabilmente la trasposizione la intralcia, intralcia la sua processualità. a meno che la rilettura si allontani molto dall’originale: i miei amici studiosi di Schakesperare, vanno pazzi per il Romeo e Giulietta di LUhrmann – ritengono che sia la più schakesperiana delle trasposizioni, e si che è ambientata al giorno d’oggi in USA. Questo in ogni caso, non legittima un paragone che dica, sono meglio i libri sono meglio i film. Molti film di grande valore non partono da romanzi. E hanno un potere simbolico e una pluristratificazione di concetti pari a tutte le altre forme espressive.
Sulle fortune e sfortune del mercato cinematografico ed editoriale, distinguerei quel che capita in Italia da quel che accade altrove. In Italia si scommette pochissimo su qualsiasi manifestazione estetica che non sia la celebrazione di qualcosa che è già stato fatto. Gli autori di qualsiasi formazione non producono niente che scavalchi niente, o quasi, e spesso le nostre produzioni già poco incentivate, puzzano di un’italianità desolante – questo nel cinema è molto vero. Ma anche altri settori: provate ad andare a teatro a Roma: ortre il beretto a sonagli c’è er deserto. Pirandello, Goldoni: il solito Ronconi che te sbomballa dieci ore di fratelli Kazamarov.
Fuori di qui è un pullulare di film e scritture e sperimentazioni, di rischi e scommesse: dire cose nuove, dire cose diverse, creare: rischiare la bruttezza nel tentativo di allargare orizzonti di senso. Per ogni film americheno che viene qui – e che spesso io trovo meraviglioso nella sua funzionalità, negli incastri dei montaggi, dei dialoghi, ce ne sono 100 che rimangono in Nord America e che sono fitti di concetti e prove e sensazioni interessanti.
E mo’ che ho pensato al film americheno. La commedia americana ben strutturata: ecco quella roba li secondo me, non è realizzabile con un libro: perchè sulla profondità verticale intellettuale concettosa il libro può competere, è la sua formula, ma sul glamour beh è molto più tosta, scivola molto più facilmente nella minchiata.
Buona giornata:)
Ma fuori non è così:
“ma fuori non è così” l’ha scritto il gatto, io non ci entro niente.
zaub me sa, soramia, che nun hai letto tutto quanto scrissi. comunque hai detto cose giuste
Perchè io zero?
Ho appuntamento col mio elettrauto, meglio che col psicanalista!
…
“Il mio avvocato telefonerà al tuo!”
“Ehi, io non ho un avvocato, digli di chiamare il mio medico!”
Quiz.
Ma certo, parliamo da profani di cinema, non da esperti. Credo sia proprio questo lo spirito del post, dire cosa se ne pensa a livello personale, anche sfiorando l’ovvio, come ricorda valterceccherini. Dunque non possiamo affermare in senso assoluto se vincano i libri o il cinema, anche perchè di esempi calzanti ne sono stati fatti, e c’è caso e caso. Diciamo che possono darsi una buona mano a promuoversi a vicenda. Il resto è un gusto personale.
-io didò nullò capito!
-eventissimo chiedo venia, ho cercato un po’ il vecchio commento tuo ma nun lo trovavo
– silvietterrima ci hai ragione. Forse il richiamo all’espertitudine era fuori luogo. Però il fatto è che mancano i non lettori ecco. Tutti pareri de appassionati di lettura. Chi sa che dicheno l’appassionati di cinema nei blog de cinema!:)
Il surrealismo non va compreso, altrimenti casca dalle nuvole.
Ho letto gli interventi più corti, lo confesso, non ce la faccio a leggere tutto (a proposito, Fausta, chi si rivede?! ciao…se vai al mio link scopri chi sono, se te lo ricordi).
Mi pare comunque di desumere che, quando viene tratto un film da un libro famoso, si tratta di un’operazione commerciale quasi d’obbligo, dal momento che alcinema ci si assicura almeno i lettori del libro. Di solito infatti i film vengono ricavati da sceneggiature anonime e non da testi famosi.
Un esempio di commistione totale, di felice mescolanza, fra cinema e scrittura è Manituana dei Wu Ming, soprattutto il capitolo londinese. Kubrick e Dickens si dividono le pagine, e il lettore è investito da percezioni visive e sonore, come mai prima. Tutto il libro è così, le citazioni letterarie e cinematografiche sono indistinguibili, si compenetrano e agiscono sul nostro bagaglio culturale quasi inavvertitamente. Sembra di leggere un film epico denso di immagini e di scene, ma il testo è lontano dall’essere una sceneggiatura e le descrizioni sono ridotte all’osso. Forse è una nuova forma di scrittura che nasce proprio dal nostro presente: immagini, parole, pensieri e musica.
Zaub, in sintesi, l’importante è che le idee nascano e non ha importanza come vengano diffuse dalle diverse arti, le quali, peraltro, hanno linguaggi specifici.
Il rapporta tra cinema e libro era importante quando la cinematografia nasceva dalla letteratura. ora che molti scittori fanno riferimento allo stile cinematografico nella loro scrittura questo legame mi interessa molto meno.
andrea villani
@SErgio Sozi
Sui films forse si o forse no e per i post e per i posteri.
Mi rendo perfettamente conto che il discorso è complicato, ma la logica dei fatti (vissuti empiricamente) testimonia fra le pagine dei libri di storia che un ‘onda di inciviltà negli ultimi settant’ anni ha camminato a ritroso svuotando, sostanzialmente, l’esistenza di alcuni lustri generazionali di contenuti morali, con la conseguente mancanza di solidarietà fra la ragione e verbo divino, poiché l’appello al Cristo làtita implicito nel fondo dell’autocoscienza.
Il sottofondo di droga, di sesso libero, di consumo del gluteo ed i relativi errori delle profane religioni e dei culti basati sull’idolatria, hanno consegnato all’uomo moderno una grande povertà, trascinando nel caotico buio più profondo la cultura, l’intelletto, il semplice raziocinio, quanto rimane all’uomo per la sua normalità e lucidità.
Di questo ne sono responsabili tutti coloro che con la le loro lotte a favore della destabilizzazione del padre sono rimasti, sostanzialmente, cultori di forme pagane che non li hanno allontanati dall’edonismo che hanno affermato di combattere.
Questa è un’opinione personale che, ovviamente, non s’impone sulle politiche esistenziali di chicchessia ma che pretende, consentimi, un’altrettanta libertà e democrazia di pensiero.
Ciao
Amici miei – Ugo Tognazzi
“La supercazzola con scappellamento a destra, come se fosse antani”
” Nessuna passione al mondo, nessun amore o odio, è paragonabile alla passione che si prova alterando la copia di qualcun altro.” H.G.WELLS
****
” I film dovrebbero avere un inizio, una parte centrale e una fine, ma non necessariamente in quest’ordine”. Jean-Luc GODARD
Meditate genti, meditate, la molto affaccendata…
Tessy
Si tratta di linguaggi diversi e provare a compararli è un’operazione che umilia il cinema. La letteratura, di norma, è il prodotto di un autore singolo che media attraverso la scrittura. Il cinema, che non si limita (o almeno non dovrebbe farlo nei suoi esiti più alti ed autonomi) a raccontare una storia, è il frutto di un lavoro collettivo (che parte dal tecnico del suono per giungere all’attore e all’autore delle musiche.. con tutto quello che c’è nel mezzo) e di un’infinità di mediazioni, non ultimo tecniche: ed il suo valore (quando c’è) è proprio li. Ma le arti e i linguaggi tendono naturalmente alla contaminazione: per questo ci sono film che parlano di libri, di musicisti, di storia, o di matematica, e libri che parlano di film, o di musica, o di arte e artisti.
Ma a chi mai verrebbe da chiedere se è meglio la Gerusalemme Liberata di Tasso o la traduzione pittorica che ne ha fatto Luca Giordano?
Se mi parli del Gattopardo ti rispondo serenamente: non mi è piaicuto per niente né il fillm né il libro, di una pesantezza mortali. Ma se mi parli di Garcia Marquez e della Allende, sono sicurissimo: i libri!
Probabilmente il film è molto più efficace del libro quando si presenta in forma di parodia. “Frankenstein Junior” di Mel Brooks è un capolavoro di comicità e di humour nero che supera di gran lunga le atmosfere cupe e prometeiche di “Frankenstein” di Mary Shelley.
Pino hai appena citato un mio cult.
Caro Dott. Maugeri,
meglio i libri o i film tratti dai libri? Interessante e stimolante domanda. Se può esserle utile, ho pubblicato un piccolo intervento sulla mia rivista “Esperienze letterarie” (n. 4, 2006), nel fascicolo monografico dedicata appunto a “Letteratura e cinema” . EccoLe la sintesi:
Di getto. Quasi un gioco?
Letteratura e cinema. Quale rapporto? Si può ipotizzare una «fedeltà» fra testo letterario e linguaggio cinematografico? Il breve intervento intende solo rinnovare l’attenzione su questi punti e, nella parte finale, ripropone dieci casi di film tratti da romanzi o racconti che per motivi diversi hanno attirato l’attenzione dell’autore. Pag. 97-105 (cfr. http://www.italinemo.it)
A presto e complimenti per la Sua iniziativa
Marco Santoro
Prof. Marco Santoro
Università di Roma “La Sapienza”
Un grazie cumulativo per i vostri nuovi interventi
@ Prof. Marco Santoro
Gentile professore, La ringrazio moltissimo e mi complimento per la rivista che dirige. In effetti mi farebbe davvero piacere poter leggere la sua monografia sul tema “Letteratura e cinema”. Spero possa avere la possibilità di farmela pervenire, anche per posta elettronica.
Ancora grazie.
Massimo Maugeri
Vincono i libri sempre? il mio parere è: No.
Un esempio per me è “Colazione da Tiffany”. Il libro di Capote è bello, più crudo del film, la verità è che fa riferimento a persone molto più “fricchettone” di quelle che sono state riportate nel film. Eppure la pellicola ha una magia che il libro non riesce a riportare. E’ vero, è più patinato, però c’ha la musichetta indimenticabile, il gatto bagnato che fa piangere, c’ha la disperazione palpabile di Audrey. Insomma mi tocca di più. Ha un sapore che rimane in bocca, forse sarò esageratamente venusiana (quindi attaccata a schemi di estetica ellenica) ma a me i film con ambientazioni fredde, squallide, me fanno venì la gastrite.
Questo per dire che in genere il film tende a restituirci un libro nella sua versione estetizzata. Anche se si tratta di estetica del brutto. Ce lo racconta per inquadrature e immagini. Questo ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Non darei la palma d’ora necessariamente ai libri. Il cimena può essere sublime. Alcuni generi sullo schermo risultano più efficaci. Il thriller ad esempio, a volte le storie ambientate in epoche passate. Bisogna tener conto che il cine è un’arte a sé, non nasce affatto con la scrittura. I primi film avevano copioni molto vaghi. Anche oggi la scrittura per il cine è diversissima dalla letteratura. I dialoghi spesso sono più belli nei film. Eppoi c’è la parte dell’immagine, raga, un film dipende dall’obiettivo che usi per girare le scene e da come le monti poi, da come riprendi il labbro di un attore … cacchiarola non facciamo generalizzazioni.
Ci sono un sacco di libretti mediocri che hanno ispirato grandi film. Soprattutto in America dove le pellicole sono SEMPRE tratte da romanzi.
In Italia ci sono esempi illustri.
“Morte a Venezia” non è affatto brutto nella sua versione cinematografica.
vabbé quando mi viene in mente qualche altro film stupendo … ecco, vogliamo parlare di “Blade runner”? Scusate a quel film manca qualcosa?
No, no, sono due cose diverse, meravigliose entrambe.
Raga, mi Riferivo a 2001 odissea nello spazio, non a l’Odissea di Omero, okay?
Baci.
Meglio il libro, sempre.
no
🙂
meglio i libri miei semmai.
gea, ti amo, che è quel no?
🙂
non sempre i libri sono meglio dei film.
risposta categorica (non molto stile mio, ma quanno ce vò ce vò) ad affermazione categorica.
non tua, luce dei miei occhi.
di francesca.
non avevo palle di scrivere, e mo’ mi tocca farlo il doppio. lo vedi com’è?
🙂
Fausta, non è possibile questo feeling tra me e te! Dici sempre le cose che volevo dire io un attimo prima (però io alle 5.43 pm guidavo un bussettino piccolo piccolo). Pensavo di amare eventounico, invece sono etero, amo te! Pero George Peppard era troppo pirla da “Tiffany”.
con tutto l’amore che nutro per audrey hepburn e ”tiffany” in particolare, la palma per l’interpretazione migliore va, senza ombra di dubbio, al nameless cat.
🙂
Gea verissimo! Sfido chiunque a non avere dimenticato completamente i primi piani degli attori, alla fine, quando lo tengono in braccio sotto la pioggia. Gli occhi del mondo in quella scena erano tutti puntati su di LUI. Al diavolo gli altri, il fulcro della storia è il gattone rosso.
Miao
Didò, quando vado a trovare zia Wanda a Napoli ci dobbiamo incontrare, devo assultamente salire sul tuo bussettino. Sì George moscio, ma che mi frega, ci sei tu.
🙂
http://www.youtube.com/watch?v=ahR-G_yLB5M
qualcuno ha un plasil?
🙂
…be’… certi discorsi, fatti da un’attrice, acquistano un certo valore. Io comunque per il cinema non muoio, ma per certi libri si’: mi fanno esser me stesso, i libri, e contemporaneamente lo scrittore. Un film invece di solito o ti toglie personalita’ (dunque funziona, e’ efficace) o te la lascia (percio’ tu lo critichi razionalmente. Significa che la pellicola NON funziona).
Eniuei (anyway): pupe e pupi: io de cinema ce capisco ‘na mazza tondatonda, ma un libbbbro ‘o valuto ar volo. Dopo cinque pagginette lo in quadro (inquadrare: termine filmico, o no?).
Spiritosamente vostro
Sergio
o un kleenex, almeno
🙁
P.S.
In questi giorni sto valutando ”L’ora dell’incontro” di Giampiero Rigosi. Lo faccio piu’ per motivi professionali che altro. E noto che belle strizzate d’occhio gli autori giovani danno al cinema. Troppe strizzate… mi sembra. Ma devo prima finirlo, il Rigosi.
@Fausta: dobbiamo vivere un amore di nome Wanda?
@Gea,
d’accordo, anche se a rivederlo ultimamente in tv il gatto mi era sembrato un po’ finto, ma quella pioggia blu…
…
Avete notato che il dibattito si è lievemente spostato sul cinema?
Probabilmente c’è solo Sozi a difendere la primigenitura del libro, peccato che sia giovane (rispetto a me, beninteso signore), avrebbe apprezzato Anton Giulio Majano e i suoi “teleromanzi” (che schifo”Fiction”).
@Evento, dai, “La Cittadella” di Cronin era un libro raccontato in tv, di Alberto Lupo non ne nascono più.
Gente: quando comanda il libro, Sua Maesta’ il Libro, il cinema si nasconde. Oggi che sono spariti i giganti e i nani mostrano i muscoli e’ tutta un’altra cosa! Forse si deve attendere la prossima generazione, che, se vorra’ sopravvivere al mondo plastificato che le abbiamo preparato, dovra’ per forza tornare alle cose ”serie”: ai grandi autori, sia di pellicole che di cellulosa. Celluliode & Cellulosa. E cosi’, tornando a leggere tornera’ a vivere dignitosamente, percio’ a sentire, patire, amare, pensare, vedere l’Italia e il Mondo, coi propri occhi e la propria personalita’. Forte. Mooolto piu’ forte dei rottami che ci sono ora.
Una generazione di uomini interi, naturali, artistici. Chiedo troppo?
Ai posteri l’ardua sentenza.
S.
Teleromanzi e fotoromanzi, sceneggiati, originali televisivi. Questa e’ la mia lingua. ”Fiction” sta nella pattumiera da quando e’ nata come parola, Dido’. Io sono molto piu’ vecchio di quel che pensi. Se esser vecchi vuol dire non essersi rassegnati a questa bestialita’ che e’ la giovinezza. Almeno per quanto mi riguarda.
Lottiamo per la stessa cosa, qui. Si chiama Letteratitudine, ‘sto ”feudo”. Guai ai nemici della cellulosa, anche se hanno la cellulite non e’ cosa (eh! eh! eh!: rima e pazzariellamento, Dido’!)
(E celluloide da mangiar all’androide).
..un lexotan…
Un saluto a voi tutti.
A proposito di “Caos calmo” – libro e film – vi riporto quanto scritto da Luciano Genta su Ttl di sabato scorso nella rubrica dedicata alla classifica.
“La notizia della settimana è il ritorno in alta classifica di Caos calmo: sommando le due edizioni, rilegata e tascabile, avrebbe 74 punti, sarebbe terzo assoluto. Il fatto era più che prevedibile: è assodato che il cinema aiuta a vendere, il film con Moretti ha rilanciato il romanzo di Veronesi. Questa volta però si sono aggiunte le polemiche della Chiesa e le chiacchiere dei giornali sulla scandalosa scena erotica. Tornano i tempi degli Adulti con riserva rimpianti da Berselli. Comunque sia, per Nanni (e Sandro) è il caso di dire: una gran botta di culo”.
–
Be’, quanno ce vo’… ce vo’!
😉
@ Sergio
Ne riparliamo quando faranno il film o la serie tv su Euterpe.
🙂
–
@ Gea
prima tenta con la valeriana
🙂
Sempre su “Caos calmo”…
vi “posto” alcuni passaggi del recente articolo di Daria Bignardi pubblicato su “Vanity Fair”.
—
Caos calmo di Sandro Veronesi è un libro molto bello, ed è bello che grazie al film con Moretti se ne torni a parlare. È un romanzo contemporaneo, profondo, scritto benissimo e poco italiano: non sfigurerebbe accanto a un’opera di Jonathan Coe o Nick Hornby o Ian McEwan o Paul Auster, che a noi italiani ci bagnano sempre il naso.
Ora c’è questa immagine della panchina che piace molto: l’idea di fermarsi, di aspettare, di non farsi portar via dalla marea di quel che ci si aspetta da noi è proprio accattivante. Fermarsi: tutti lo vorremmo, ma chi ha il coraggio di farlo? Si comincia alle elementari con «chi va via perde il posto all’osteria» e si passa la vita a correre per mantenere le posizioni acquisite. Ricordo uno slogan di qualche anno fa che diceva: «Oggi chi non va abbastanza veloce è come se fosse fermo», come se lo stare fermi fosse un’eventualità disgraziatissima. Anche la moda dello slow (slow food, slow design, slow sex) non prevede che si stia tutto il giorno seduti su una panchina nel centro della città, se non si è degli homeless o dei disadattati.
(…)
Caos calmo racconta la storia di un manager quarantenne al quale muore improvvisamente la moglie. Lui non si agita né si dispera: si limita a lasciare il lavoro e a trascorrere le giornate su una panchina di fronte alla scuola di sua figlia, aspettando che esca. Gli amici, i colleghi, il fratello, la cognata vanno a trovarlo. Lo abbracciano, si commuovono, si agitano: ma alla fine è sempre lui ad ascoltarli e a consolarli.
Sandro Veronesi domenica ha scritto su Repubblica che un giorno, mentre lavorava al romanzo, è uscito perché gli era venuta voglia di un caffè, ma quando è arrivato di fronte al bar ha cambiato idea, è tornato a casa e ha mangiato una mela. Che questo fatto banale gli ha fatto capire che cambiare idea rispetto alle cose si può e si deve. Leggendolo, ho capito perché tra le altre cose mi è tanto piaciuto il suo libro: perché è un romanzo profondamente maschile. Per le donne cambiare idea, cambiare strada, sono sentimenti molto più familiari che per gli uomini. Lo è meno quello di fermarsi, di guardare e aspettare.
Ma qui, lo sappiamo, entriamo in un territorio che ha più a che fare con la filosofia, con la spiritualità e la meditazione che con la psicologia. Immagino che al Dalai Lama non farebbe tutta questa impressione la storia di Pietro Paladini, che si ferma, si siede, guarda e ascolta. A noi invece affascina e ipnotizza come un’impresa troppo coraggiosa per le nostre forze, come una scelta impossibile senza un evento traumatico che ci travolga.
Va be’. Euterpe restera’ li’, Massimo, ben avvolto nella carta, il suo domicilio naturale, e dunque non ne ”riparleremo” mai di sicuro. Per me sarebbe gia’ magnifico se un editore maggiore del mio si accorgesse di lui.
E ora vi do’ la mia buonanotte tramite pochi versi di Quasimodo, invitandovi pero’ a trovare un superregista che li sappia riprodurre e migliorare:
–
ELEGIA
–
Gelida messaggera della notte,
sei ritornata limpida ai balconi
delle case distrutte, a illuminare
le tombe ignote, i derelitti resti
della terra fumante. Qui riposa
il nostro sogno. E solitaria volgi
verso il nord, dove ogni cosa corre
senza luce alla morte, e tu resisti.
–
(Da ”Giorno dopo giorno, 1947)
–
Che aspettiamo a farci un film?
P.S.
Volevo dire semplicemente che se le parole a volte non si possono tramutare in immagini, le immagini possono essere sempre tramutate in parole. A chi, dunque, il primato?
Abbiamo riproposto il post anche da noi
http://cinemascoop.splinder.com/
complimenti per il dibattito
Non ho letto il libro. Dopo l’anamnesi che ne ha fatto Maugeri comincia ad interessarmi, è da lungo tempo che vivo una vita slow e che mi fermo sulle panchine, e ragiono. A volte faccio persino delle foto, per fermare il tempo di quel mondo, quel tempo, che cinque minuti dopo non sarà lo stesso (pericoloso farlo davanti ad una scuola, un poeta può essere scambiato per pedofilo).
Non vedrò il film. Non subito. Chissà perchè mi piace che i film di Moretti sedimentino e vi finisca il chiasso intorno. Ma mi pongo un quesito: la curia, la Cei, insomma la parrocchia non aveva niente di meglio che attaccare il sesso del film di Nanni?
Eminence, non avrebbe di più da fare? Controllare i perizoma delle veline in tv in prima serata; gli sboccati comizi di certi politici; usare il cilicio con quella Sara del libro “Saradisperata” (che ho conosciuto grazie al divertente blog di Gregori), dove il meretricio ora si chiama baratto!
Suvvia, eminence, dica al Peppino tedesco di ricordarsi di quando insieme ad Hans Kung scriveva “La Teologia della liberazione”: sto aspettando il secondo capitolo.
Gea ma perché il plasil? Te piace o te fa vomità? Non capisco. In ogni caso “Colazione” è incredibile perché non invecchia nel modo di raccontare come ancora oggi si vive a New York. Infatti lì è come il film manifesto. Se cambi di poco il vestiario racconta gli anni vissuti da tutti noi … anche il gatto ce sta.
Basta il resto è fuffa, me so gasata.
Concordo su Colazione da Tiffany colla Fausta Righessa
Concordo però pure cor Didò, per la faccenda delle palle di Nanni.
era per l’insertino di you tube che grondava miele al punto di essere nauseante.
dopodichè lo adoro.
e su quel finale continuo a piangere nonostante le trecento visioni.
avevo persino una gatta di nome Gatto, molti anni fa.
sono schizofrenica, embè?
chi l’ha detto che bisogna essere coerenti?
🙂
Libri-Film 3-1
Il gol della bandiera da parte della cinematografia è dato da un paio di film cult (a me viene in mente il Padrino dove l’ottimo romanzo di Puzo è comunque surclassato dalla qualità del film, e, ma forse un livello sotto sia come film che come romanzo, ad esempio Il nome della rosa, già segnalato in uno dei primi post).
Sono curioso di vedere la versione cinematografica de Il cacciatore di aquiloni.
Però in genere, per me, Libri-Film 3-1 e senza favori arbitrali…
insisto: non esistono brutte trasposizioni di bei libri o belle trasposizioni di brutti libri. esistono film belli o film brutti. that’s all folks!
Giustappunto in occasione della sua recentissima scomparsa, la Rai ha mandato in onda un’intervista (probabilmente l’ultima prima del decesso) allo scrittore-regista Alain Robbe-Grillet. Con dotte argomentazioni ed esempi egli ha “sentenziato”….”film e libri non possono essere in alcun modo confrontati”.
E’ un’opinione, per carità. Però autorevole, direi
Su Veronesi devo esser sincero: il libro ”Caos calmo” non mi piaceva, dunque l’ho interrotto dopo una trentina di pagine. Invece ”La forza del passato” era un bel lavoro: intenso, scritto con, appunto, forza e personalita’. Il suo migliore, mi pare. Il film che ne venne estratto, con Sergio Rubini protagonista e un sempre ottimo Bruno Ganz, fu abbastanza buono. Ma il libro e’ gia’ di per se’ veramente ottimo e non avrebbe abbisognato di trasposizioni cinematografiche. Oltretutto la pellicola.
Ed eccovi una chicca: il protagonista che, nel libro ”La forza del passato”, parla del cinema:
”Gia’, perche’ io sono l’uomo che credeva di imparare le cose dal cinema. L’ho anche dichiarato pubblicamente, in un’intervista alla radio, neanche tanto tempo fa: ”Il cinema mi ha insegnato a vivere,” addirittura, o qualcosa del genere. Ecco, io sono l’uomo che per arrivare a vergognarsi di aver detto una stronzata del genere deve andare a sbattere contro un taxi, ferirsi, e farsi portar via su una barella.” (Sandro Veronesi).
Scusate per l’anacoluto: oltretutto la pellicola – dicevo – venne girata fra Trieste e la Slovenia, il capodistriano.
Abbiamo rivalutato la panchina ed i panchinari, abbiamo esaltato la slow life, lo slow food, lo slow sex. Una esaltazione della moviola.
Io, che slow lo sono sempre stato, di comprendonio però, ho come l’impressione che stiamo rivalutando tutto ciò che si muove intorno allo spettacolo. Ho sempre pensato che la vera rappresentazione sia dalla parte di chi guarda la scena, ma ora ne trovo conferma.
“I panchinari sulla panchina seguono slow l’azione alla moviola, ma la vera scena sono loro stessi.”
E’ una bella cosa questo recupero della lentezza (qualcuno un elogio lo ha già scritto…).
Di solito, quando incontri qualcuno, non ti chiede nemmeno “come va ?”. Risponde direttamente “eh lo so, di corsa come tutti”.
Ma di corsa chi ?
Ho chiesto uno slow coffee al bar e quando ho finito di ordinarlo mi hanno detto “signore, mi scusi, ma stiamo chiudendo”.
Famolo slow, dunque.
Il problema è trovare una donna che mentre lo fa non sta consultando il suo velocissimo smart-very-fast-ultra-sex palmare e ti dice “tra due fai retromarcia che devo spostare la macchina in doppia fila. Anzi fa una cosa anticipa i preliminari della prossima settimana così quando vengo lo facciamo fast”.
Bisogna sedersi per forza su una panchina. Se ti fermi per strada, ti travolgono. Stiamo calmi. E’ un caos.
Dovremmo fare un post sul confronto tra libri e film, ma con calma.
@ evento:
potresti andare “fast” dove dico io?
🙂
subito ?
very fast
ok
ma daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. sennò ci tocca raggiungerti a tutti quanti. non possiamo fare a meno di te
Enrì ti preferisco quando mi “mandi” a quando dici queste cose lacrimevoli 🙂
Saròdisperato (sempre) per i tuoi post, ma tu sei fast o slow ?
Sergio è quasi sloweno, didò fastare in piattaforma (ti ricordi Francè ?). Secondo me Zauberei è slost. Dipende da quanto tempo è al camp.
posso votare?
nice ‘n slow, baby, nice ‘n slow…
🙂
Si’: sono una tartaruga. Slovena. Giratemi un film: un luuuuungometraggio!
Sergio, dopo le tartarughe Ninja, quelle Sozji. I bambini impazziranno e quando chiederanno alle loro mamme stiamo pronti con…Euterpe. Eh ?
eventissimo!
Io non dispererei!
Io ci ho tutte amiche che so slou ma più slou che nun ze po’, io in primis naturallement. So slouissima, infatti mi pare di non combinare una sega. Ma bada che la slouitudine ci ha anche i suoi effetti negtivi. eh:)
@Enrico Gregori
L’hai visto ‘Non è un paese per vecchi’? Com’è? Vale?
Torno ai miei palmi.
@ onan:
non ancora e non so se e quando lo vedrò. del libro penso che sia un capolavoro
@Enrico
Come mai? Credevo ti ci saresti sparato come una fucilata di winchester!
Onan, non mi toccare Grego che me lo riempi di virus e io lo voglio tutto pulitino.
🙂
@ fausta:
sono sporco dentro
Rossella,
scusami per la tardiva quanto lapidaria risposta a quanto da te ultimamente scritto su quel discorso che stiamo portando avanti.
Eccola: a mio avviso la crisi attuale (la cui analisi fattuale io condivido contrariamente alla tua disamina delle cause) la crisi di oggi, dicevo, e’ dovuta principalmente alla doppia deriva materialistico-nichilista e non al neopaganesimo, che non vedo in giro. Purtroppo. Purtroppo perche’ le religioni di tipo pagano in confronto al nichilismo materialistico sarebbero per tutti noi una speranza, se non un punto d’arrivo.
Ciao cara
Sergio
Vero è quello a cui accennava Zauberei: la movie-therapy, la film-terapia (si dice così?) in cui si usano i film come stimolo per la psicoterapia (ad ogni pena il suo film…).
Sono d’accordo con Simonetta… ci sono ben pochi adattamenti degni del libro di partenza, ma non possiamo perdere di vista il fatto che i linguaggi sono differenti, che il lavoro di squadra del film è diverso da quello dell’autore che se tutto va bene fa solo lo sceneggiatore o il soggettista. A proposito: certi ultimi Montalbano sono raffazzonati e confusionari, non rendono giustizia ai libri nonostante la mano di Camilleri nella sceneggiatura.
Non mi alzo mai quando guardo un film: masochismo puro a volte, ma libri e film checché ne dica Pennac si terminano, per rispetto verso chi ti sta proponendo il frutto della sua arte, più o meno riuscito…
Film che adoro: essendo una austeniana convinta, RAGIONE E SENTIMENTO ()Sense and Sensibility) di Ang Lee, EMMA, PRIDE AND PREJUDICE in tutte le versioni (che sto collezionando).
L’età dell’innocenza: splendido a dir poco, perla rara che riesce ad essere più bello del pur bellissimo romanzo di Edith Wharton.
Il nome della rosa (brava Laura, approvo in toto i tuoi interventi sia su Eco che su Veronesi).
Washington Square e Ritratto di signora. Da vedere.
Oliver Twist.
Jane Eyre (versione antica con Orson Welles e Liz Taylor e Joan Fontaine e versione di Zeffirelli con Charlotte Gainsbourg e William Hurt. Che uomo!!! Un Rochester da paura).
Qualcos’altro mi verrà.
Buona lettura e buona visione…
Avrei piacere a sentire qualche altra opinione in merito a ”La forza del passato” di Veronesi. Chi si offre? Io mi sono gia’ espresso sopra.
Ragazzi che fate sabato e domenica? Mi date una mano a lavare Grego che è sporco dentro?
🙂
Sozi, scusa il ritardo domani ti scrivo.
“La forza del passato” per me è anche più bello di Caos. Devo dire che in quel caso il libro mi è piaciuto di più del film. Provavo una grande empatia per il protagonista, tra l’altro mi pare rispetto agli altri libri di Veronesi il più “compiuto” anche come trama. ha un andamento ben orchestrato, gli avvenimenti si susseguono con regolarità, l’attenzione rimane viva. Forse ilsuo libro più bello. “Brucia Troia” non sono riuscita a finirlo.
Bene, Fausta, domani. Intanto sono contento che i nostri gusti combacino.
‘Notte
Il Maniaco
(liberamente tratto da un racconto di Sergio sozi)
Euterpe Santoanastaso – Alessandro Gassman
Vlado Novak – Giancarlo Giannini
Marialisa Cosulich – Scarlett Johansson
Agata Vacotto – Silvia Leonardi
Musica Luis Enrique Bacalov
Regia di Carlo Mazzacurati
“Brucia Troia!”
No, io la frase riuscii a finirla, poi scappai via, lei si arrabbiò.
@ Sergio.
Ti accontento riportandoti la recensione di Antonio D’Orrico pubblicata proprio in occasione dell’uscita de “La forza del passato”
–
Di Sandro Veronesi hanno detto di tutto. Che è uno scrittore di regime (leggi Veltroni). Che è antipatico. Che ha venature cielline (!!!). Che è un figlio di… (nel senso metaforico dell’espressione). Che fa lo scemo per non andar in guerra. Che è un bestsellerista. Che è di Prato (e come dicono da quelle parti: io son di Praho e voglio esser rispettaho)… Ma si sono dimenticati di dire la cosa più vera e importante. Che Sandro Veronesi, 41 anni, architetto, padre di tre figli, è il più grande scrittore italiano della sua generazione e di quella successiva e di quasi tutta quella precedente. Il sigillo, per chi avesse ancora bisogno di conferme, è qui sulla mia scrivania, ancora fresco di stampa, ed è il suo nuovo romanzo, La forza del passato (in uscita tra una settimana da Bompiani, pagine 250, lire 28mila). Penso che Alberto Moravia, che lo ebbe caro, sarebbe stato contento di questo romanzo. E lo sarebbe stato per più ragioni. Per il plot, per la trama, tanto per cominciare. Uno scrittore, sposato, un figlio piccolo, specializzato in letteratura per ragazzi, scopre che il padre appena morto (era un generale dei servizi segreti italiani, amico di Andreotti, tanto da andarci a messa assieme) non era in realtà italiano ma russo, e si chiamava Arkady Fokin, ed era stato a soli 24 anni maggiore del Kgb, e aveva due lauree e parlava tre lingue, e giocava agli scacchi con la perizia di un gran maestro. E, naturalmente, era comunista. Arkady Fokin era quello che nel gergo dei servizi segreti americani si chiama L. T. (Long Term), e in quello dei servizi segreti sovietici si chiamava butylka vi morie (bottiglia nel mare). Quella di Arkady Fokin era una missione estrema: “trasformarsi in un italiano, entrare nei servizi segreti militati italiani e conquistare una posizione di comando tramite regolare carriera”. Una missione a lungo termine, una bottiglia lanciata nel mare nella speranza risicata, piena di incognite, che arrivi, un giorno molto lontano, a destinazione. Sì, sarebbe piaciuta molto a Moravia questa storia, specialmente ora che l’Urss non esiste più, e il comunismo sta come sta. Gli sarebbe piaciuto scoprire che quel ragazzo che andava ogni tanto a trovarlo (“ma ci andavo raramente e non ogni pomeriggio come avrei dovuto fare, perché ero timido, temevo di disturbare”, ricorda Veronesi), sarebbe stato capace di architettare una trama all’altezza di Le Carré. E Moravia sarebbe stato più che contento, direi felice, addirittura commosso, di scoprire che il protagonista occulto di La forza del passato è Pier Paolo Pasolini, o per meglio dire una sua poesia, precisamente quella che Orson Welles recita in una memorabile scena del film La ricotta (la scena più bella del cinema italiano, secondo Veronesi): Io sono una forza del passato, solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi… Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io assisto, per privilegio d’anagrafe, dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Quanti poeti ha una generazione? È la domanda che fece un Moravia urlante e bellissimo all’orazione funebre di Pasolini e si rispose: pochi, ancor meno che le dita di una mano. Era il 1963 quando il poeta Pasolini parlò della forza del passato e della fine (“ma quella vera, non quella che poi è stata di moda”, sottolinea Veronesi) della storia. È questo è il grande tema del romanzo di Veronesi (a partire dal titolo): “La cancellazione del passato. Nella formazione delle persone il passato conta sempre meno. Nei primi Anni Sessanta finì un’era che era cominciata con l’Illuminismo. Cominciò, come dice Pasolini, la Dopostoria. La parola d’ordine fu modernizzarsi, liberarsi dal passato. La mia è la prima generazione che ha vissuto in un tempo in cui esisteva già una cultura giovanile. Io quando guardo le foto di mio padre da giovane vedo che era vestito da vecchio, non esisteva vestirsi da giovani. C’è stato un cambiamento enorme. Se guardo i film di una volta vedo che nei night club ci andavano i vecchi (Mario Carotenuto, per intendersi, me lo ricordo benissimo), ora invece sono i giovani ad affollare le discoteche, l’equivalente dei night di allora. Ai giovani il passato non importa. O è stato fatto in modo che non gli importasse, perché il discorso è soprattutto politico”. Gianni, lo scrittore per ragazzi eroe della Forza del passato, cerca di raccontare ai suoi piccoli lettori quel mondo scomparso, a partire dalle merende dell’infanzia di una volta, tutte rigorosamente non confezionate: ricotta col cacao; pane burro e zucchero; nutella con le pere… Una trovata morettiana, ma anche proustiana, e di morettiano nel romanzo c’è anche il mezzo di locomozione del protagonista, una vecchia Vespa (come in Caro diario) con la tendenza ad ingolfarsi che ha un ruolo non minore nel dipanarsi della storia. Che cos’è un’altra delle tante citazioni a volte esibite, altre volte cifrate, che corrono lungo tutto il testo (si va dai versi di Vittorio Sereni a quelli di Pasquale Panella)? “No, in questo caso più che una citazione premeditata è una consonanza di generazione, di gusto. Di Moretti amo moltissimo le cose meno morettiane (meno citate, appunto), le difficoltà di comunicazione, ad esempio, come in quella scena in cui Michele Apicella, il protagonista dei film di Moretti, per non sentire i problemi d’amore tra il padre e la madre alza la radio a massimo volume e ascolta un disco di Loredana Bertè. Per quanto riguarda la Vespa direi che c’è una differenza fondamentale: Moretti gira in Vespa per Roma per romanticismo, io no, lo faccio per necessità, per arrivare nei posti in tempo. Ne farei volentieri a meno, senza rimpianti. Non c’è poesia nell’uso che faccio della Vespa”. Anche la presenza di Moretti nel romanzo di Veronesi avrebbe fatto contento Moravia. Quando uscirono i primi film del regista romano subito si disse che c’era qualcosa, e non solo il nome, che legava Michele Apicella al Michele protagonista degli Indifferenti. C’era qualcosa di Moravia in Moretti ed è quindi quasi automatico che c’è qualcosa di Moretti in Veronesi. Almeno in questo senso il passato non si cancella. Saranno anche stati pochi i pomeriggi che Veronesi andò a trovare Moravia, ma come le merende di quando era bambino non li ha dimenticati. “Se uno mi dice che discendo da lì, rispondo subito di sì, perché prima di rifiutare una cosa del genere uno ci pensa. Però poi bisogna riflettere. Il Michele di Moravia è del ’29 e per il suo tempo era un marziano, diciamo che è diventato attuale solo adesso, solo da poco. Moravia era un formidabile anticipatore della società, dell’Italia che sarebbe venuta. Io non ho mai pensato di essere un anticipatore”. Ora diranno che Veronesi oltre che scrittore di regime, antipatico e pratese, è anche un falso modesto. Però anticipatore lo è stato e proprio in quest’ultimo romanzo. Questa storia del padre spia comunista, Veronesi l’ha inventata prima che scoppiasse l’affare Mitrokhin, il dossier sugli italiani presunti agenti del Kgb. “È vero, infatti poi il dossier l’ho letto subito e con grande curiosità e l’ho trovato molto appassionante, un romanzo di Le Carré ma senza stile, una nuda collezione di destini”. Usa spesso la parola “destino” Sandro Veronesi, una parola amata dagli scrittori (inventori di destini, sognatori di destini). E nel suo destino personale c’era Pasolini. Quando Veronesi, a metà degli Anni 80, si trasferì a Roma fu ospite nello studio dello scrittore Vincenzo Cerami. Qui erano raccolti molti effetti del poeta assassinato a Ostia. “Per qualche tempo, addirittura, dormii nel letto di Pasolini. Ne ebbi una conoscenza anche di tipo feticistico”. Forse allora cominciò a nascere La forza del passato, è stato un lungo cammino ma ne è valsa la pena. Tante cose ci sarebbero ancora da dire su questo romanzo: le spinose pagine sul tradimento coniugale, il complesso personaggio, cultore della cucina di rosticceria, che rivela a Gianni la vera identità paterna… E sul suo stile, lieve e denso. Ma può bastare: i romanzi, belli, vanno letti. Quanti poeti ha una generazione? Si chiedeva un furente Moravia commemorando Pasolini morto. Ancor meno delle dita di una mano. E quanti narratori ha una generazione? Uno, Sandro Veronesi, ce l’abbiamo di sicuro, teniamocelo stretto, teniamocelo caro.
Antonio D’Orrico
@ fausta:
oppure sabato e domenica veniamo a spegnere te.
ps: te la sei cercata
🙂
@ Sergio (di nuovo)
provo a rispondere al tuo commento delle ore 1:42.
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C’è un uomo. Solo. Un uomo che passeggia nella notte fredda. Ha lo sguardo basso e sconsolato. Indossa un lungo cappotto grigio e tiene le mani in tasca. Accanto a lui rovine e detriti.
Voce fuori campo: Gelida messaggera della notte,
sei ritornata limpida ai balconi
delle case distrutte, a illuminare
le tombe ignote, i derelitti resti
della terra fumante..
L’uomo s’inginocchia. Raccoglie un sasso e se lo rivolta tra le mani. Una ciocca di capelli gli ricopre l’occhio destro.
Ora alza il capo e chiude gli occhi. Una lacrima si allunga sullo zigomo sinistro.
Voce fuori campo: Qui riposa
il nostro sogno. E solitaria volgi
verso il nord, dove ogni cosa corre
senza luce alla morte, e tu resisti..
Apre le mani e il sasso cade, rotolando vicino ai suoi piedi.
🙁
Maria Lucia, tutto a posto?
🙂
A proposito di film tratti da libri vi segnalo che oggi dovrebbe uscire il film che TIM BURTON ha tratto da SWEENEY TODD, romanzo anonimo dell’800 (edito da Newton&Compton).
http://www.internetbookshop.it/code/9788854109896/anonimo/sweeney-todd-diabolico.html
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Il film è con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Timothy Spall e Sacha Baron Cohen.
Ispirato alla figura di un barbiere assassino impiccato a Londra alla fine del Settecento, il personaggio di Sweeney Todd deve molto all’intraprendenza di Edward Lloyd, un edicolante capace di creare un piccolo impero grazie alla pubblicazione clandestina di libri proibiti e alle edizioni pirata dei grandi successi del suo tempo. Il genere letterario che rese famoso questo strano editore assunse il nome di “Penny Dreadful” per via del prezzo di copertina estremamente basso delle sue pubblicazioni e per le abbondanti dosi di sangue e orrore che i libri di Lloyd dispensavano a un pubblico sempre sensibile al fascino oscuro della morte violenta. Inizialmente attribuito all’inventiva di James Malcom Rymer, uno scrittore già noto per i suoi romanzi gotici nonché stretto collaboratore di Lloyd, Sweeney Todd è in realtà un’opera collettiva, scritta in tempi diversi da autori diversi con il coordinamento dello stesso Lloyd e la partecipazione, molto probabile, di Thomas Prest, un altro degli autori di punta della “Penny Dreadful”.
Dopo numerosi musical che hanno avuto uno straordinario successo a Broadway, nel 2007 Tim Burton ha tratto da questo libro un film in cui Johnny Depp interpreta Sweeney Todd.
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Ne hanno parlato all gr2 di questa mattina (intervista a Cristiano Armati su SWEENEY TODD). Vi lascio il link:
http://www.rai.tv/mppopupaudio/0,,Grr%5E0%5E23251,0.html
So che il libro sta andando bene e che è in 22° posizione nella classifica di narrativa straniera di DEMOSCOPEA.
Se vi capita di vedere il film fatemi sapere com’è.
Qui il sito del film:
http://www.sweeneytoddmovie.com/
grazie Massimo, per aver pubblicato la recensione di D’Orrico.
Io sono d’accordo con lui.
Per quanto riguarda ‘La forza del passato’, è un altro libro di Veronesi che molto ho amato.Però a amio parere , il libro più bello di Veronesiè ‘Gli sfiorati’,un libo straordinario.
E qualcos adelle atmosfere di quel libro ho ritrovato in uno scrittore che secondo me è il più promettente in assoluto:Mario Desiati, autore dei bellissimi ‘Neppure quando è notte’, e ‘Vita precaria, amore eterno.
@ Laura
Grazie a te
🙂
Massimo caro,
Grazie per il tentativo – ohibo’ miseramente fallito – di unire il tuo conterraneo Quasimodo ad un film. Io pero’ intendevo dare forma a quello che diceva Quasimodo, non riprodurne la voce ”fuori campo”, di questo ne sarei stato capace anch’io. La poesia vera, Massimo, e la grande scrittura in genere, non e’ riproducibile con delle immagini. Ammettilo, dai. Come rappresenteresti la parola ”spirito” – senza voce narrante in una pellicola? Impossibile. Invece la parola scritta lo fa, capisci vecchio mio? Lo fa dicendo solo ”spirito”. Ma l’immagine non puo’ dire, l’immagine deve far vedere.
Bacioni
Sergio
Caro Dido’:
Nononono!
Voglio Giancarlo Giannini (o Gigi Proietti) nelle vesti di Euterpe, Gassmanino come Novak (e’ antipatico e scemo quanto lui), una straniera poi va bene per la Cosulich, scegli tu (chi la conosce? tanto deve far la parte di un essere insopportabile e chissenefrega). Poi mettici: Clemente Bellini interpretato da qualche tipo alla Filippo Timi (lo conosco personalmente, e’ perugino come me), la voce del professor Spitella (appare solo al telefono, ricordi?) la voglio di Foa o al limite di Giorgio Albertazzi, Romolo Testa, infine, il protagonista, mi piacerebbe vederlo con la faccia stralunata di Dario Fo.
Ecco.
Le musiche? Direi Nino Rota. Ma anche Bacalov. Regia del fantasma di Fellini e nessun altro fra i piedi.
Ah! Ah! Ah!
Ciao, vecchio mio!
S.
D’Orrico, orribilis sed indispenabilis (aoh, scherzo col latino). Brrr. Scontato D’Ortico, ma purtroppo vero: quello che e’ stato riportato da Massimo qua sopra e’ infatti un concentrato di luoghi comuni che oggi ci serve, visto il disorientamento dell’Italia. Ma sarebbe meglio fosse qualcun altro a parlare. D’Annunzio? Boh.
D’Orricus horribilis. Halleluja! Ne hai sparate meno del solito.
P.S.
Sarei contento se al posto di D’Annunzio si ergesse il fantasma vivente di Arbasino Alberto, ex scolaro di Gadda, a parlare di Veronesi. Sarebbe un assurdo comico. Bellissimo: invitiamoli entrambi a Letteratitudine, anzi lo faccio io: Arbasino milis ignotus!! Veronesi petronianus! Venite ibi, pargulos, a discettare della vostra perdizion letteraria. Venite, venite!
Caro Sergio,
è ovvio che la mia “voce fuori campo” era provocatoria. In linea di massima sono d’accordo con te, giacché scrivo e non faccio cinema.
Tuttavia penso sempre alla diversità dei punti di vista.
Tempo fa ebbi una discussione infinita con un mio amico appassionato di cinema.
Lui sosteneva che il cinema (quello con la c maiuscola) fosse la più completa delle arti, quella che riesce a inglobare l’immagine, il movimento, la scrittura, la recitazione e la musica.
Discussione infinita e mai conclusa.
Desidero ringraziare pubblicamente il prof. Marco Santoro dell’Università di Roma “La Sapienza” per avermi inviato il testo di un suo intervento pubblicato sul n. 4, 2006 della rivista che egli stesso dirige: “Esperienze letterarie”. Si tratta di un fascicolo monografico dedicato a Letteratura e cinema.
Pubblico l’intervento di Santoro nel commento che segue.
Di getto. Quasi un gioco?
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1. Non sono mai stato una persona incline allo stupore, nemmeno da ragazzo. Eppure, ricordo la mia sincera meraviglia, non priva di una notevole dose di incredulità, allorché un compagno del liceo (ultimo anno) sostenne di non essere particolarmente attratto dal cinema. La dichiarazione, sincera ancorché non priva di una qualche esuberanza provocatoria, lasciò ancor più basiti me e altri compagni, giacché esternata in primo luogo da un giovane certamente colto, preparato e fornito, si potrebbe dire, di un quoziente di intelligenza considerevole, in secondo luogo in occasione di una delle riunioni “impegnate” del mercoledì, che noi compagni di scuola eravamo soliti tenere per confrontarci su tematiche “serie”, da quelle culturali a quelle di politica, ecc.
Quel mercoledì si stava parlando, lo ricordo benissimo, de “La ragazza di Bube”, che avevamo letto tutti da poco tempo (benché pubblicato ormai da alcuni anni), dal momento che avevamo avuto l’occasione e, aggiungo, la fortuna di potere vedere il film in un cinema di terza (o forse di quarta?) visione: già, perché all’epoca (e non sto parlando proprio di tempi preistorici) esistevano le sale di prima, di seconda e almeno di terza visione (per non parlare delle sale parrocchiali, dove talvolta, molto raramente a dire il vero, poteva valere la pena di andare). La notevole differenza di prezzo fra le tre (o quattro) categorie era dovuta non solo alla maggiore o minore tempestività con la quale venivano proiettate le pellicole, ma anche ad una considerevole disparità di comodità. Si passava dalle poltrone piacevolmente imbottite, di colori gradevoli e disposte in file adeguatamente distanziate l’una dall’altra (onde si scongiurava il pericolo di essere colti dal desiderio quasi irrefrenabile di decapitare la testa dello spettatore troppo alto e talvolta anche ondeggiante assiso dinnanzi), da schermi ampi e lindi e da un sonoro fedele e, mi pare di ricordare, addirittura in certi casi già stereofonico, si passava a mano a mano, dicevo, da una tale situazione di confort al disagio più assoluto, narcotizzato soltanto nel momento in cui sul telo bianco (almeno così doveva essere in origine) cominciavano a scorrere le immagini del film.
Non v’è dubbio, lo confesso, che al di là della storia di Mara («la prima apparizione umana positiva di grande statura della nuova narrativa italiana», come ebbe a scrivere Calvino), al di là della sapiente regia di Luigi Comencini (ai nostri giovani e impegnati occhi ormai riscattatosi con “Tutti a casa” e con appunto “La ragazza di Bube”, dagli esordi segnati da “L’imperatore di Capri”, “Pane, amore e fantasia”, Pane, amore e gelosia, ecc., ma da tempo queste ultime pellicole potrebbero essere giudicate diversamente), al di là della presenza di George Chakiris (mitico protagonista dell’ancor più mitico “West Side Story”), ciò che catturò e tiranneggiò la nostra ammirazione fu la bellezza straordinaria di Claudia Cardinale, vera e propria chimera ingenua e nel contempo conturbante e intrigante per quasi tutti noi, sin dai tempi de “I soliti ignoti”, “Un maledetto imbroglio”, “Il bell’Antonio” e soprattutto “La ragazza con la valigia”.
Ma torniamo alla stupefacente e, nell’approdo conclusivo, provocatoria posizione del mio compagno di liceo. In effetti egli aveva finito con l’estremizzare e il radicalizzare un discorso partito da una iniziale considerazione in molti casi condivisibile, anche se per certi versi discutibile in relazione al film di Comencini. Egli infatti aveva esordito col sostenere che non solo non era possibile tradurre in linguaggio cinematografico un’opera letteraria, ma altresì che inevitabilmente un film finiva col banalizzare il più autentico messaggio, le complesse implicazioni, i molteplici piani narrativi e il pathos stesso di un romanzo o di un racconto. A riguardo egli ricordava alcuni casi a suo avviso esemplari: da “Il cielo è rosso” di Giuseppe Berto (portato sullo schermo da Claudio Gora, esordiente regista, se non erro) a “Filumena Maturano” di Eduardo De Filippo (divenuta “Matrimonio all’italiana” per la regia di Vittorio De Sica), dai vari romanzi di Fogazzaro a quelli di Moravia (in specie “Gli indifferenti”), per non parlare di alcuni autori “classici” della letteratura straniera: da Čechov a Dickens, da Doyle a Dumas padre, da Fitzgerald a Hugo, ecc, fino a giungere alle numerose quanto spesso ridicole trasposizioni del Michele Strogoff e di altri romanzi di Verne o di altri autori che non moltissimi anni prima avevano fatto “volare” la nostra fantasia.
A poco o a nulla valse controbattere che il panorama complessivo era ricco di altri casi. Ad esempio, “La lunga notte del ’43”, tratto da “Cinque storie ferraresi” di Bassani, grazie alla regia di Florestano Vancini, con eccellenti recitazioni di Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Gino Cervi ed altri, era riuscito ad emozionarci e a concretizzare, in virtù anche della suggestiva atmosfera di una Ferrara cupa e quasi minacciosa, l’ambiente e la tensione della tragica esecuzione di un gruppo di antifascisti. Ugualmente inutile fu ricordare la resa eccellente, anche se a tratti un po’ libera e indubitabilmente sganciata dalle implicazioni lessico-sociali del romanzo di Gadda, di “Un maledetto imbroglio”, pellicola nobilitata dalla superba interpretazione di Pietro Germi (per altro anche regista), Saro Urzì, Franco Fabrizi e altri e, sottolineavamo, dalla presenza della Cardinale. Di spessore davvero notevole la variopinta galleria di personaggi dai mille vizi e dalle poche virtù; lo stesso Ingravallo, a specchio del commissario gaddiano, fino al momento in cui la matassa si dipana, sembra svolgere la propria funzione all’insegna della routine, noiosa e in certo modo subita.
Sempre più arroccato sulle proprie posizioni fino ad opporre un granitico rifiuto a qualsivoglia tentativo di dialogo, il mio compagno riuscì comunque a fare incuneare in tutti noi il sospetto di una nostra eccessivamente incondizionata ammirazione nei confronti del cinema. Ma solo per un momento. Un istante di incertezza: incertezza repentinamente polverizzata dalle mille e mille scene di film che quasi prepotentemente cominciarono a impossessarsi della nostra mente, persino in maniera confusa e quasi caotica. Eravamo alla fine degli anni Sessanta: e non è qui il caso di dire altro. Chi ha vissuto quell’epoca potrà capirmi a volo e chi non l’ha vissuta … difficilmente potrebbe realmente capire. Erano gli anni, per tornare sul territorio proprio di queste pagine, di Bella di giorno, Gangster Story, Il laureato, Play Time, C’era una volta il West, 2001: Odissea nello spazio, Rosemary’s Baby, La via lattea, Butch Cassidy, Il clan dei siciliani, Dillinger è morto, Easy Rider, Il mucchio selvaggio, Z. L’orgia del potere, ecc. Andare al cinema era emozionante, come lo era il dopocinema, preferibilmente in pizzeria, con discussioni, polemiche, battute, apprezzamenti, elogi smisurati e spesso enfatici e, talvolta, altrettanto enfatiche e impietose censure. Una scena, una battuta, una sequenza veniva rivissuta infinite volte e ciascuno si affannava a svelarne un dettaglio sfuggito agli altri.
Palestra preziosa quanto suggestiva per sollecitare e rafforzare gli strumenti della critica erano poi i cineforum, in merito ai quali non può non venire alla mente la simpatica e dissacrante parodia di Scola in “C’eravamo tanto amati”. Ben altra cosa rispetto a quelli attuali. Si andava al cineforum per vedere il film, certo, ma non si riponeva minore aspettativa nel dibattito che sarebbe seguito, in occasione del quale, è vero, non mancavano coloro che erano ansiosi di sciorinare le proprie conoscenze e le proprie competenze “tecniche”, come non mancavano gli accaniti patrocinatori della coscienza “politica”, pervicacemente inclini a ricondurre le più diverse problematiche nell’alveo delle tematiche e delle tensioni ideologico-sociali. Ma numerosi erano coloro i quali erano pronti a rivisitare i passaggi più stimolanti della pellicola “proiettata”, per confrontarsi con gli altri, per accogliere suggestione interpretative e arricchire non solo le proprie conoscenze (anche specificatamente filmiche) ma altresì, o soprattutto, la propria coscienza civile e l’attitudine a rispettare le diverse opinioni.
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2. Se inaccettabile poteva e tuttora agli occhi miei e, ne sono certo, di moltissimi altri, può apparire il disinteresse per il cinema (ma, lo si è già chiarito, quella del mio giovane compagno era posizione provocatoriamente oltranzista), non si può negare che le perplessità in merito a come un’opera letteraria sia stata spesso “tradotta” in linguaggio cinematografico ha indubitabilmente fondamento. I casi più eclatanti sono quelli in cui persino la trama di un romanzo o di un racconto viene, verrebbe da dire, spudoratamente tradita e trasformata quasi sempre (sono davvero rarissime le eccezioni) in una vicenda banale, pur se talvolta spettacolare (e stendiamo un velo pietoso su un altro filone: quello dei cosiddetti film “storici”). Oltre alla maggiore o minore fedeltà alla “traccia”, v’è poi il problema della maniera in cui sia i protagonisti che i diversi personaggi, fino a giungere a quelli talvolta solo apparentemente secondari, vengono ri-disegnati in virtù o in conseguenza della loro “lettura” rielaborata sia dal regista che dagli interpreti. E che dire dell’effettiva resa di ambienti, atmosfere e mille particolari che nella traduzione filmica sono sottoposti a, direi inevitabili, mutamenti, se non addirittura a veri e propri “tradimenti”? Non è un caso, d’altronde, se, per evitare o quanto meno ridimensionare i rischi della “infedeltà” nei confronti dell’originale, sempre più spesso gli scrittori stessi sono stati e sono artefici della sceneggiatura del film: soluzione, questa, che ovviamente può essere praticata solo a condizione che lo scrittore sia vivente!
La difficoltà, o se si vuole l’impossibilità di rendere giustizia o meglio di rispettare il testo scritto, d’altra parte, non è addebitabile alle incongrue capacità di registi, attori e diversi artefici che a vario titolo concorrono alla realizzazione di un film. In realtà, è agevole annotazione, il fatto è che ci si trova dinnanzi a due “linguaggi”, testo scritto e testo audio-visivo, completamente diversi, dotati ciascuno di potenzialità, forme e procedure di comunicazione assai differenti e non omologabili. Se si aggiunge che un film è comunque una “traduzione” di un originale e, in quanto tale (c’è bisogno di dilungarsi sul tema?), autonoma e comunque espressione di nuova sensibilità creativa, ne consegue che il discorso sulla maggiore o minore “fedeltà” in sostanza ha poco senso. E poi, fedeltà rispetto a cosa? Ma se a ciascuno di noi, fortunatamente, è dato cogliere da un romanzo, da un racconto, ecc. emozioni, messaggi, suggestioni tanto personali da farci finanche materializzare le fisionomie dei personaggi, i colori e le dimensioni dei paesaggi, ecc., come si può pensare che la “lettura” del regista, degli attori, degli sceneggiatori, degli scenografi, ecc. possa essere la più autentica, la più conforme alla stessa volontà dello scrittore? Senza dimenticare che a loro volta anche gli spettatori, pur vistosamente pilotati dall’espressione di un volto, dalla tonalità di una battuta, dalla inquadratura di un ambiente, rielaborano il messaggio recepito secondo i propri individuali strumenti culturali e sentimentali (e ruolo non secondario in proposito ricoprono le colonne sonore).
Ciò detto e precisato, mi è difficile resistere alla tentazione di ricordare qualche film che mi ha colpito per avere almeno in parte, o in buona parte, tradotto il testo letterario in linea con la mia personale lettura. Poche “schegge”, per così dire, totalmente svincolate da ogni considerazione e giudizio strettamente attinenti lo spessore e lo specifico letterario delle opere da cui le pellicole sono più o meno liberamente tratte. Nel contempo nessuna ambizione di analisi critica cinematografica, in merito alla quale, va precisato, non potrei vantare alcuna esperienza specifica. Confido, pertanto, nella benevolenza del lettore che comprenderà perfettamente che tutto questo breve intervento è dovuto esclusivamente al mio amore verso il cinema.
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3. Come il più classico dei giochi che si possono fare con gli amici una sera a cena, tutti rigorosamente amanti del cinema e parimenti tutti rigorosamente né cineasti né critici cinematografici, ecco dunque un elenco di dieci film, con alcune sintetiche annotazioni.
Il primo che mi viene in mente è il celebre “Il Gattopardo”, per la magistrale regia di Luchino Visconti. Davvero incisive le interpretazioni di Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli, Serge Reggiani, ecc. Tutti grandi attori. Ma la performance maggiore la offre, ce la regala uno straordinario Burt Lancaster. Non avrei saputo e potuto immaginare il volto, i gesti, la mimica, lo sguardo del principe don Fabrizio di Salina diversi da quelli “rappresentati” dall’attore statunitense. E che dire di Tancredi? D’altro canto, per inciso, Visconti è riuscito a sollecitare probabilmente le migliori qualità artistiche sia in Delon che in Lancaster: basti pensare, rispettivamente, a “Rocco e i suoi fratelli” e a “Gruppo di famiglia in un interno”. Certo, il regista enfatizza la sintesi fra realismo storico e sfumature proustiane pur presenti nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; tuttavia riesce a comunicare le profonde implicazioni, non prive di nostalgica rassegnazione, del tramonto ineludibile delle idealità non solo risorgimentali, ma di un mondo ovattato e in qualche modo sordo alle tensioni e ai cambiamenti emergenti, imbrigliati comunque nel tentacolare trasformismo politico. Indimenticabile la lunghissima scena del ballo, segnato dal valzer inedito di Giuseppe Verdi, dove l’aristocrazia festeggia la scongiurata rivoluzione e, nel fasto e nell’allegria, dà corpo e testimonia la verità insita nella nota battuta: «se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».
“Il deserto dei Tartari”, tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati, è diretto da Valerio Zurlini nel 1976. La vicenda è ambientata nella cornice storica dei primi anni del XX secolo ai confini orientali dell’impero austro-ungarico e il regista ne accentua la concretezza, suggerendo in qualche modo quel che c’è al di là dei fatti e, se si vuole, della stessa opera letteraria. Se Jacques Perrin fornisce una prova di livello superiore al suo standard, “mostri sacri”, quali Vittorio Gasman, Jean-Luois Trintignant, Philippe Noiret e Max von Sydow ( ma occorrerà citare anche Giuliano Gemma, Fernando Rey Francisco Rabal), cooperano sensibilmente ad intrigare lo spettatore nell’attesa quasi beckettiana di un nemico incombente ma che non si materializza mai. Non era certo agevole riportare sullo schermo un quadro squisitamente “letterario”, godibile e assimilabile in termini di lettura, i cui personaggi sembrano avvolti in una nebbia indefinita che ne ostacola (ma non ne inibisce) la comprensione dei caratteri e delle psicologie: ebbene Zurlini con ammirevole sottigliezza allusiva riesce a non infrangere gli argini del suggerimento e scongiura la tentazione di rendere esplicito ciò che non andava manifestato.
Sarà forse per la presenza di Gian Maria Volonté, gigante a tutto tondo della recitazione, che coltivo un ricordo molto positivo del drammatico “Uomini contro”, tratto dal bel libro “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu. La problematica affrontata, inerente l’impiego spregiudicato e inumano delle truppe italiane durante la prima guerra mondiale e, più in generale, gli orrori della guerra, di qualsiasi guerra, poteva rischiosamente indurre a banale e superficiale populismo, tradendo il più autentico messaggio del romanzo. Ora, quantunque qualche cedimento (mi pare di ricordare, ma il ricordo risale ai primi anni Settanta) alberghi qui e là (principalmente sotto il versante delle implicazioni politiche), nell’insieme il regista, Francesco Rosi, è riuscito a realizzare un film che, che nel cogliere tra l’altro i drammi interiori dei personaggi principali, lo sgomento e spesso la rassegnazione dei soldati, coinvolti e immersi in una realtà per loro estranea e il tragico “macello” del conflitto, pervicacemente e ottusamente fomentato dalle alte gerarchie militari, concretizza in immagini buona parte delle suggestioni che all’epoca mi suscitò la lettura del libro.
Uno dei migliori exploit interpretativi della Loren, a mia memoria, può essere considerato quello nelle vesti della Cesira del noto romanzo moraviano “La ciociara”. D’altro canto il tandem De Sica-Loren ha lasciato un segno davvero significativo nel cinema non soltanto italiano. Il De Sica de “La ciociara”, confesso, non è quello che tanto mi aveva colpito con “Ladri di biciclette” o “Umbert D” o “Miracolo a Milano”; in ogni caso con il film tratto dal romanzo moraviano egli fornisce certamente una prova di notevole spessore, per altro sapientemente giocata fra conformità al testo letterario e abile esaltazione delle qualità interpretative dei tanti attori coinvolti. Da segnalare, a mio parere, l’ottima prova di Jean Paul Belmondo, che dà vita al personaggio di Michele in maniera impeccabile, almeno secondo il mio giudizio. Inutile ricordare qui, poi, la memorabile quanto terribile scena dello stupro.
L’edizione integrale di “Kaos”, che dura più di tre ore, non è mai arrivata nelle sale cinematografiche, dove è approdata invece quella decurtata dell’episodio “Requiem”. Ciononostante il film dei fratelli Taviani non è penalizzato oltremisura e riesce ugualmente a sensibilizzare lo spettatore in merito alle tradizioni antropologiche, culturali e storiche, del popolo siciliano. Le novelle di Pirandello, più volte utilizzate dal cinema, in questo caso acquistano un nuovo e intrigante spessore sullo schermo, arricchite di una corposità che affonda le radici nella vita ottocentesca della Sicilia e che è proiettata a riproporre storie, costumi e mentalità di cui rimane solo il ricordo o il racconto tramandato. Opera vistosamente unitaria, nonostante i differenti registri tematici, “Kaos” si avvale di una performance assai convincente di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (un recupero in qualche modo analogo a quello pasoliniano di Totò).
Ero giovanissimo quando lessi “Le ragazze di Sanfrediano” di Vasco Pratolini e forse per questo approfittai subito della prima occasione che ebbi per andare a vedere l’omonimo film in una sala parrocchiale al Vomero, quartiere napoletano, che fra le poche cercava di disancorarsi negli anni Sessanta da manifeste modalità di indottrinamento. Il film segna, mi pare, l’esordio di Valerio Zurlini (del quale mi piace ricordare almeno, oltre ai già citati “La ragazza con la valigia” e “Il deserto dei Tartari”, l’ottimo “Cronaca familiare” (tratto dal romanzo pratoliniano del 1947 e caratterizzato dal mirabile equilibrio tra ricchezza emotiva dell’esperienza privata e contesto storico-sociale) e “La prima notte di quiete”, che con garbo traduce il clima spensierato e ricco di aspettative nel quale si muovono i personaggi pratoliniani.
Su ben altro fronte si dispone il settimo film che desidero ricordare: “A ciascuno il suo”. Un grande Gian Maria Volontà e una non meno brava Irene Papas (ma come non ricordare anche Gabriele Ferzetti e Salvo Randone?) interpretano con straordinaria efficacia due personaggi per certi versi simbolici di una Sicilia oppressa e condizionata dal potere tentacolare e sfuggente della mafia. Il romanzo di Leonardo Sciascia è di struggente e spregiudicata denuncia e il film di Elio Petri, grazie tra l’altro alla colonna sonora di Luis Bacalov, enfatizzando alcuni aspetti, sollecita perentoriamente la coscienza dello spettatore su di un bubbone che troppi all’epoca desideravano occultare o quanto meno ridimensionare.
Tre film, infine, più recenti: “Sostiene Pereira” (1995), “L’amore molesto” (1995) e “Non ti muovere” (2004). Film molto diversi fra loro, eppure in qualche modo accomunati da un vistoso impulso a rispettare quanto meno le atmosfere dei rispettivi romanzi e i connotati nevralgici del travaglio interiore dei protagonisti, ciascuno teso a prendere dolorosamente coscienza, sia pure sotto versanti molto diversi, di un passato e di una realtà ora più o meno inconsciamente ovattati e anestetizzati (l’anziano giornalista del romanzo tabucchiano), ora rimossi (la Delia del libro della Ferrante), ora soffertamene traditi (il neurologo della Mazzantini). Ottime le “prestazioni” di tutti gli attori impegnati nelle tre pellicole; non v’è dubbio tuttavia che le prove di Mastroianni e, aggiungerei, Daniel Auteuil (Sostiene Pereira), Anna Bonaiuto e Angela Luce (L’amore molesto) e Sergio Castellitto e Penelope Cruz, davvero straordinaria (Non ti muovere) non possono che essere ricordate fra le migliori nello scenario della cinematografia italiana degli ultimi anni.
Qui mi fermo. Viva il cinema
P.S.: il compagno di scuola da cui sono partito, è tuttora mio carissimo amico. Non intendo svelarne il nome. Posso solo dire che, ovviamente, è da tempo un critico cinematografico molto acuto e raffinato e, non a caso, assai apprezzato.
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Università di Roma “La Sapienza”
Marco Santoro
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Abstract:
Letteratura e cinema. Quale rapporto? Si può ipotizzare una “fedeltà” fra testo letterario e linguaggio cinematografico? Il breve intervento intende solo rinnovare l’attenzione su questi punti e, nella parte finale, ripropone dieci casi di film tratti da romanzi o racconti che per motivi diversi hanno attirato l’attenzione dell’autore.
Caro Massimo, tutto ok… non so se i miei commenti arrivano. Faccio una prova.
Mio Dio, Massimo, il professor Santoro mi ha stupito, inorgoglito; mi ha reso felice con un percorso mirabile: ha fatto un film parlando di cinema.
Tra i tanti ha parlato di due perle ( una l’avevo già citata), “Il deserto dei Tartari e “Il Clan dei Siciliani”, oltre a tutte le scelte che condivido appieno, che ho proposto per decenni, sentendomi dire (per il “Clan”), che era cinema di serie B da snobetti e intellettualini di serie b.
Se il Prof. Santoro rivisita il blog, gli offro i miei ringraziamenti sinceri.
Secondo me, non esistono creditori o debitori, la letteratura non deve niente al cinema e viceversa. Però bisogna sottolineare il fatto che nascono prima i libri e poi i film, ed è sicuramente un dato da non sottovalutare. Il libro è già una ricca fonte di dialoghi, descrizioni e stati d’animo che il cinema non è sempre in grado di fotocopiare coerentemente. Recentemente ho visto (in televisione) “Jane Eyre” di Susanna White e mi ha colpito così tanto da voler comprare il libro. Errore madornale. Ogni frase del romanzo mi riportava alla memoria le immagini del film, arricchite da una descrizione più dettagliata degli stati d’animo dei personaggi. Però devo dire che il film e il romanzo, in questo caso, sono sullo stesso piano. E’ difficile trovare qualcuno che apprezzi più il film, avendo letto prima il libro perchè le aspettative della nostra immaginazione vengono deluse dalle scelte dei professionisti del cinema. E’ altamente improbabile vedere un film come ce lo eravamo immaginato nella nostra testa.
Ho visto “Caos calmo” ma non ho ancora letto il libro; in questo caso, il film non mi è piaciuto però sarei curiosa di leggere il romanzo di Veronesi. Consiglio il film “Il cacciatore di aquiloni” tratto dal romanzo di Khaled Hosseini.
Un punto che mi preme sotolineare: da Francesco di Domenico al Prof. Santoro mi pare affiori una necessità di rivalutare Valerio Zurlini e riproporre il suo cinema, così letterario (anche nella “Prima notte di quiete” che pur non provenendo da un romanzo forse è il più letterario di tutti: per le sue atmosfere nebbiose, per i suoi personaggi, per il richiamo a Vanina Vanini , per la trama stessa costruita come fosse un romanzo più che un film…).
Il Deserto dei tartari poi è uno dei miei film preferiti in assoluto, così come il libro di Buzzati in letteratura.
Però Zurlini non viene citato quasi mai tra i grandi registi del nostro cinema. Sicuramente molto meno di quanto merita.
@Carlo S., mi fa piacere che certi “dettagli” dell’ultima metà del Novecento siano stati colti.
Amo molto “Il Deserto…” in tutt’e due le versioni letteraria e filmica e ti chiedo, se mi puoi scrivere, passandomi il tuo indirizzo vorrei inviarti un gioco letterario fatto sull’opera di Buzzati: la scrittura del decimo capitolo.
Scrivimi al mio indirizzo:
francesco.didomenico11@tin.it
Cinema e Letteratura sono due rette parallele che non si incontrano mai. Anticamente ero un appassionato di cinema, da quando ho scoperto la letteratura penso al cinema con grande sufficienza. A parte pochissime eccezioni il cinema non riuscirà mai a trasformare le parole in immagini. C’è l’eccezione Kubrick che è vero ha migliorato L’Arancia Meccanica, ma che ha perso alla grande la sfida con Doppio Sogno. Tra I Malavoglia e La Terra Trema non c’è lotta. Verga è Verga. E dire che Visconti è uno dei migliori registi quando si tratta di portare al cinema la letteratura. Forse l’unica eccezione è il Tom Jones di Tony Richardson- John Osborne( si è meglio non dimenticare lo sceneggiatore) che secondo me è superiore al pur bellissimo romanzo di Fielding. Ma anche il Blade Runner di Ridley Scott è forse meglio del romanzo di Philip K Dick. Per il resto è meglio far scendere l’oblio. Pensate a Guerra e Pace e lì avrete i limiti del cinema.
A proposito di relazione tra film e libri. Imperdibile “Questo non è un paese per vecchi” di Cormac McCarthy. Sia il libro, che il film.
Se avete seguito la notte degli Oscar sapete già che il film ne ha intascato più d’uno.
Trovate informazioni sul nostro blog:
http://cinemascoop.splinder.com/
Meglio i libri che i film, ma tra “Il Gattopardo” di Visconti e quello di Tomasi di Lampedusa c’è una bella corrispondenza tra pellicola e testo ricercata (e raggiunta) dal grande regista. Mi vengono in mente altri casi meno felici, tra questi i film tratti “liberamente” dai romanzi del mio conterraneo Enzo Russo, scrittore della Mondadori, geniale giallista e soprattutto , come ama definirsi lui, narratore. Con Salvatores, invece, mi è capitata una cosa alquanto insolita: ho visto prima il film e poi ho letto “Io non ho paura”. E quel film l’ho amato, anche dopo aver letto il romanzo. Infine, un piccolo consiglio per gli acquisti. Avete mai visto “Old boy” del coreano Park Chan Wook (quello della trilogia delle vendetta)? è tratto fa un manga giapponese, creato nel 1997 da Tsuchiya Garon. I fumetti sono molto belli e il film è davvero splendido, forse il mio preferito di questi ultimi anni.
ciao, io ormai mi sono tolta il brutto vizio di vedere al cinema o in tv film tratti da libri..ne sono rimasta sempre delusa! ogni volta mi lascio tentare ma con caos calmo ho resistito, ho voluto conservare intatte quelle pagine così introspettive che io, con la mia fantasia, ho materializzato nella mia mente. Lo stesso vale per Parlami d’amore, ho letto il libro ma non sono andata a vederlo al cinema..anche se onestamente si nota che il libro è scritto già con l’idea di farne un film così come era per Non ti muovere della Mazzantini. Ho deciso di non andare a vedere neppure Un giorno perfetto della Mazzucco, il libro è stato da me molto apprezzato, ha infranto i miei sogni da mille e una fiaba con un finale crudo e vero, lontano dalla banalità del vissero felici e contenti. L’origine del mio distacco da film nati da libri deriva dalla visione de La casa degli Spiriti, ho amato tanto quel libro, lungo, intenso e vederlo ridotto in 2 ore mi ha rattristato*kiss
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