Marzo 29, 2024

405 thoughts on “LA CAMERA ACCANTO 3° appuntamento

  1. Siamo al terzo appuntamento de “La camera accanto”. Il luogo dove VOI potete farvi promotori di dibattiti e discussioni su argomenti di vario genere.
    O per una semplice chiacchierata.

  2. Ah bello mi piace che continua questa cosa.
    Enrico gregori ha le barbabietole alle caviglie.
    Per il resto niente, un saluto a tutti.

  3. Carlo, dai, provaci. Tra arcimboldo e bosch… certo è strana come proposta, ma dalle donne bisogna prendere quello che viene. Da Gea qualunque cosa. Ne vale la pena. 😉

  4. @ evento
    mi riferivo alle descrizioni incrociate di enrico e zaub. in un attimo di perversione ho pensato che sarebbe carino vederle rappresentate graficamente dal nostro vignettista ufficiale.
    ci sta pure un filino di cubismo, con tutti quei nasi e quelle chiappe.

  5. pfui – sulle tette sono inattaccabile.
    Anche Enrico Gregori tutto sommato.
    PPPP
    ciao:)

    (Massimo la battuta del tatto era veramente notevole:)))

  6. Interessanti questi discorsi sulle tette. In onore del sito potremmo chiamarle: tetteratitudine.

  7. Salvo, perdona la mia dislessia sul tuo nome nel commento precedente.
    Come si fa ?
    Non so se su ordinazione presso qualche libreria si riesce.
    Ormai credo solo su http://www.ibs.it (et similia) oppure se non riesci mi mandi un indirizzo e te ne mando una copia.
    Grazie per l’attenzione, comunque.

  8. Non c’azzecco molto con internet. Dai, mandamelo gratis. Io te ne spedisco uno mio e siamo pace. Almeno abbiamo trovato i nostri primi lettori.
    salvo zappulla. trav. via I maggio 14 96010 Sortino (SR)

  9. Questa mattina la mia gatta ha ucciso un fringuello e io, codarda, nascosta dietro alla tenda ho assistito passiva all’evento, guardando solo a tratti e immaginando la “distruzione” tenendo gli occhi fortemente chiusi.
    Sob!
    🙁

  10. Che ne pensate di questo articolo?
    (Da Repubblica.it)
    http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/scienza_e_tecnologia/matrix-reale/matrix-reale/matrix-reale.html

    Ve ne riporto un pezzetto.

    “Tra noi e Matrix solo pochi anni”

    di GIOVANNI GAGLIARDI


    ROMA – Matrix potrebbe essere più vicino di quello che crediamo. Il mondo virtuale descritto nella saga cinematografica dei fratelli Wachowsky, in cui un computer riesce a ricreare una realtà talmente perfetta da ingannare l’uomo, è distante solo pochi anni. Lo afferma un ricercatore dell’americano Brookhaven National Laboratory al sito dell’autorevole settimanale New Scientist.

    E’ da secoli che visionari di tutti i tipi cercano di calcolare quanto è lontana la nascita della vera A.I., ovvero l’intelligenza artificiale. Nel 1950 Alan Turing, il padre della moderna scienza dei computer, ha proposto l’ultima prova: un umano si impegna in un dialogo con una macchina e un altro umano dovrebbe distinguere l’uno dall’altro. Una variante è il “Test di Turing grafica”, nel quale un giudice umano è incapace di distinguere il mondo reale da quello generato dal computer.

    “Per noi interazione significa poter controllare un oggetto, la sua rotazione, per esempio, in tempo reale – dice McGuigan -. Già oggi i computer possono produrre scene artificiali capaci di ingannare l’occhio, ma per replicare i movimenti servono ore, mentre il realismo richiede almeno 30 frames al secondo”.

    (…)

    (4 aprile 2008)

  11. @ massimo:
    non ho tatto è vero, ma anche se l’avessi non lo userei di certo per saggiare la consistenza di zauberei (anche se lei non vede l’ora). la mia opinione deriva semplicemente da quando le vidi annegare nella minestra quando andammo a cena insieme.

  12. @ enrico
    Roma – Genoa 3-2; da genoano ti faccio i complimenti. Rigore ineccepibile. Però il genoa meritva almeno il pareggio (se non di più), ammettilo. Poi sono contento lo stesso anch’io: sconfitta utile (alla Roma) per uno scudetto che non vorrei mai vedere sulle maglie dell’Inter (come della Juve o del Milan). Anche se questo è un ragionamento (ahimè, lo ammetto) degno del guitto di arcore.
    Saluti giallorossoblù.
    PS: attento a non inciampare con le tue barbabietole nelle tette di Zaube. A meno che non vogliamo farci un frappè.

  13. Ah, max grazie, la camera l’adoro, lo sai, l’unica cosa che so fare bene è cazzeggiare.
    Ciao Zube, come va? Sai che ancora litigo con quel bigotto sul mio blog? Avrei desiderato il tuo sostegno ma temevo di rovinarti un pomeriggio 🙂
    Grego, te so’ mancata eh? Una cifra, lo so, lo so, te se messo a piagne, poi te sei spojato e lanciato nella fontata de Piazza Barberini cor perizoma leopardato.
    Ma eccomi sono tornata, estic …zi il famoso capo indiano ha detto … 🙂
    Va Be’ me volete o me ne devo da anna’?
    Baci a reti unificate come ed Presidente
    Famo un gioco?
    Descriveteme a parole vostre Salvo Zappulla, dai.

  14. Caro Massimo, sul mio sito ho segnalato il nuovo volume poetico” Il Sogno del Cavallo”e di seguito la prefazione del poeta Mario Comporti, che è anche un luminare della ricerca medica. In questi giorni sto concertando con l’Editore alcune presentazioni. La copertina é tratta da un quadro del M°
    Enzo Santini che il 9 aprile p.v. porterà il libro nei locali della sua mostra parigina.Spero che il disegno ti piaccia. In quanto al contenuto …….si salvi chi può….Un salutone
    Tessy

  15. Fausta cara tutto bene ok!!!
    Quando desideri vis polemica di sostegno basta che mi chiami – però sul mio blog, non su quello di massimo.

  16. @Rigo, Righetta, diglielo ch’eravamo insieme, non si spiegherebbero le nostre assenze simultanee!

    Guagliuni & Guaglioncelle, rieccomi (ce la potevi risparmiare Didò, restavi dov’eri)! Che avete fatto? Il riassunto della cena? Già c’è stato?
    Ho letto solo di “zizze in brodo” (a Napoli le facciamo col pomodorino, tante volte – come dice Enrico Vaime – adagiate su un letto di rucola con nuance di parmigiano; ma quando ero giovane io la rucola non c’era, noi di sx le preferivamo nature!)
    Altro che cazzeggio, ahi voglia Massimone a dire che non è una camera erotica, appena aperto ho trovato “zinne dé qua, zinne dé là”: è Gregori che alza il livello di scontro, o siete voi che lo abbassate?

  17. Bene. Torno al lavoro, un whisky e mezz’etto di Tetteratitudine (mitico Salvo, che pubblica il suo indirizzo impavido, come se fosse Pennysilvanya av. 1600-Washington-Dc) mi bastano!
    Torno al lavoro (che mondo, dove gli ex-imbianchini deambulanti su bus scrivono libri!),Cat Stevens mi accompagna prima di diventare Yussuf Islam, molto prima (Sitting, Lady D’Arbanville, Wild World);
    salve amici, vi voglio bene, non vi lascerò facilmente, a meno che Sn Pitro non decida diversamente!

  18. @Rigo.
    Ti devo descrivere? Mi pare di aver visto una tua foto da qualche parte.
    Se fossi Gregori direi che sei una gran gn… Ma siccome sono io, dico che sei uno schianto. Quel bambino di colore che tieni per mano, ti rende ancora più affascinante.

    @Didò. San Pietro? Peccatore come sei, pensi di poter arrivare lassù?
    Andrai all’inferno, nel girone dei lussuriosi.

  19. Non posso esimermi (per il mio ruolo istituzionale) dal fare una citazione per questo nuovo sito splendidamente ribattezzato Tetterattitudine.
    Dalla dedica su un libro comico. ‘Alla balia che mi ha allattato: mi ha iniziato al sorriso con le sue tette spropositate’.

  20. @Fausta? La pianti di farti considerare l’immaginario erotico degli scrittori siciliani?
    Salvo Zappulla? Come te lo descrivo uno con un nome e cognome da “Mario Puzo”? O dal commissariato di “Montelusa”?
    Sembra uscito pari pari da un racconto sciasciano.

  21. Ciao, Gianmario,
    il Buccimpero te salutat! E se lo desideri, lasciandomi in qualche modo un indirizzo di posta elettronica ti manderebbe volentieri un articolo ad argomento strettamente editoriale. Lo hanno avuto molti altri. Se vuoi, fammi cortesemente sapere. E’ roba forte, che picchia duro. Spero che tu abbia la panza corazzata.
    Ciao caro
    Il Buccimpero

  22. @ Buccimpero: credimi, la telepatia esiste, pensavo su quale lido stessi suonando la tua tromba squillante e ne ho udito il fragore. Ecco la mail, (per chiunque voglia scrivermi tenendo presente che sono un typosauro, un fossile che fatica, anche per mancanza di tempo, a star dietro a tutto, ma risponderà prima o poi) grazie per quanto vorrai mandarmi
    gianmario.ricchezza@virgilio.it

  23. @Maria Lucia, ti avevo mandato un bacione sull’altro 3D ma qui è meglio. Speriamo che Max metta un post anti-splatter così finalmente te ed io ci sfoghiamo:-)
    @Zaube, va bene, c’hai pure ragione c’hai, mica te posso venì a cercà a casa di Max, che è in Sicilia per giunta, ti chiamerò spesso, il tizio mi da il pilotto con la 164, sta in fissa, parla solo di quello 🙂
    @Grego, ti ricordi? Quella sera dovevo festeggiare il compleanno della mia amica Paola, tra l’altro eravamo vicini a voi, due passi da Piazza Vittorio. Un ristorante cinese col riso nera, bah, un mal de panza …
    @Salvo no, no, mica devi descrivere me, peccarità, erano gli altri che devono descrivere TE. Mi aiuta per l’intervista che te devo fà.
    @ Didò, ‘annaggia ai polletti dove eri finito? Dici che sei sempre con me e mi abbandoni? Che devo fa’ un matrimonio riparatore?

  24. @ Fausta:
    ricordo perfettamente, e ricordo anche che avevi “minacciato” di passare. Almeno potevo raccontare a didò se è vero che sei così gnocca. Che dire? Attenderemo un incontro…..suppletivo.
    🙂

  25. GIURATE CHE MI CONSOLERETE ANZICHE’ AZZANNARMI

    la cena, io la cena credevo che fosse fra un mese.

    🙁
    ad aprile

    :((

    ne famo n’altra presto ve?

  26. zau topolino del mio cuore
    non piangere..
    ce ne sarà una in aprile, credo, ma per esempio in quella io non potrò esserci per una serie di motivi.
    a maggio sì, però, ed è vero che ne faremo una intorno al 18, che è quando posso scendere?
    ho voglia di vedere se anche sui sandali abbiamo gusti simili..
    🙂

  27. Enrico, sapessi quanto hai ragione:
    io voglio dire, io ho paralizzato un’intera segreteria accademica urlando come un indemoniata minacciando prime pagine infamanti, per un esame che non risultava. NON MI VOLETE FARE LAUREARE!!!!
    Che io ero convinta di averlo fatto ecco
    E insomma è dovuto venire il prof di persona che è tanto un brav’uomo
    E insomma l’esame, era n’antro.

    Però quella di Aprile, proibito tra 16 e il 24
    quella di maggio ci ho un’idea, ma la proporrei in privato.

    Ah ci avevo paura che non mi credevate:(
    E invece è circa tre settimane che sbomballo li zibidei de MIster C in tema.

  28. Un saluto a tutti, uomini e donne; immagino che le ultime siano tutte belle, me lo assicura la mia fantasia, che al pensiero incomincia a spaziare nei giardini in fiore e nelle camere accoglienti, perché piene di libri da leggere e commentare.
    Alla fine, devo costatare che il mondo è anche bello, che va la pena di viverlo e assaporare tutti i frutti che nella primavera appena cominciata incominciano a germogliare. Il sentirsi bene dipende infine da noi; basta curare i contatti con le persone colte (per esempio di letteratitudine), e interessanti sotto tutti i punti di vista.
    Tanto per portare qualcosa di nuovo e di diverso dalle vostre brevi comunicazioni, allego un mio scritto sull’amore per tutta la vita, chi ce la fa, è fortunato e salvo, ma quanta fatica e sopportazioni comporta. Vale il mio motto: gratis è solo la fine.

    Un amore per tutta la vita.
    Paolo e Giulia, due persone che incontrandosi s’innamorano immediatamente.
    Ogni incontro può diventare decisivo per la propria vita, proprio come questo.
    Dominati da un carattere forte e deciso, si sposano presto e fondano una propria famiglia.
    Sostenuti da un amore intenso e premure senza fine trascorrono anni felici e sereni.
    Con la nascita del primo pargolo, finisce anche questa fase di donarsi esclusivamente a loro stessi. Paolo e Giulia incominciano a trascurarsi per volgere tutte le loro attenzioni e cure alla crescita del piccolo e di quelli che verranno dopo.
    Entrambi sono convinti di poter realizzare un’unione felice e duratura, creando nuove vite e ritrovarsi in loro.

    È veramente possibile promettersi ogni bene per tutta la vita, quando non si ha nessuna certezza neanche per il domani, e anche quando uno stato d’estasi dei nostri sensi lo fanno apparire chiaro e immutabile, tanto da volerlo tentare?
    Chi vuole infine rinunciare a questo stato di felicità immensa e infinita?

    Paolo e Giulia sanno che l’educazione dei loro figli dipende dalla loro capacità di essere un buon esempio e di saper creare un’atmosfera serena e stabile nel nucleo famigliare.
    Fanno di tutto per riuscirci. Li seguono senza determinare e opprimere, li sostengono senza ricattare, li consigliano senza presupporre di essere superiori.
    In questo scambio di sollecitazioni, i figli si aprono, li accettano e riconoscono il loro ruolo di educatori, consiglieri e protettori, e sono disposti a rispettare i loro divieti e regole, che in questo clima d’intendimento reciproco diventano più rare. Un impegno arduo per Paolo e Giulia che non riuscirebbero a sostenere senza la forza del loro amore che riversano ora sui figli.
    Per loro, sono disposti ad affrontare ogni difficoltà, uguale quale problemi vengano presentati e quali difficoltà istruttive e cognitive debbano superare.
    I figli crescono e, diventati adulti, vogliono seguire l’esempio dei genitori di realizzare una propria vita.
    È così che un giorno Paolo e Giulia rimangono soli. La solitudine, accentuata ancor più dal vuoto affettivo presente nella casa, diventata ora troppo grande, li prende.

    Essa rischia di diventare depressione quando il loro aspetto esteriore li avverte dello scorrere inesorabile dell’età.
    Il loro amore, una volta esaltato e ripromesso per sempre, viene messo a una prova tormentante.
    La mancanza dei figli li rende incapaci di orientarsi di nuovo su loro, come facevano all’inizio della loro relazione.
    Troppi anni sono trascorsi senza occuparsi veramente dei loro bisogni, senza appagare le proprie necessità.
    Ormai, fuori da troppo tempo dalla consuetudine di curarsi con costanza e premura, si sentono estranei e bloccati nello scambiarsi affetti e sentimenti.
    Istintivamente, soccombono alla forma più facile dell’accusa, dietro la quale agisce la difficoltà di accettare il corso della vita che li ammonisce, di non essere più giovani e brillanti.
    In questo momento, non comprendono che il loro amore verso i figli implicava la capacità di rivedersi immutati in loro, come fecero anche i loro genitori.
    La consuetudine odierna di non vivere insieme con i figli rende più difficile il trapasso generazionale.
    I primi litigi in forma di offese per sottomissioni subite e recriminazioni varie, tenute finora represse per amor dei figli, offendono tanto il loro animo da costringerli a rinchiudersi, ognuno nella propria stanza.
    Nella solitudine, riescono a riflettere meglio sui motivi dell’incomprensione che li ha resi infelici e inaccessibili ai richiami dell’amore.
    Lentamente, i sentimenti che un giorno li avevano uniti risorgono. Sgomentati e infelici per le offese fattesi, percepiscono il richiamo del loro animo di essere grati e riconoscenti per tutto ciò che il loro amore ha permesso di realizzare.
    Esausti per l’esame affrontato, si cercano e nell’abbraccio ritrovano l’unione e il senso della loro esistenza.
    Il pianto li prende. Come bambini versano lacrime di sfogo e ricambiano di nuovo le stesse promesse fatte fin dall’inizio. Alle lacrime si unisce un riso spontaneo e forte che insieme li ammoniscono di essere stati, per un attimo, immaturi.
    I sentimenti e le emozioni della gioventù che li aveva uniti ritornano e comunicano loro che è tempo di prepararsi alla nuova fase della loro vita.

    Paolo mette le mani della sua compagna nelle sue, come faceva una volta per riscaldarla e rassicurarla, e insieme entrano nella camera delle loro rivelazioni di uomo e donna.
    Si amano, e come allora, i sentimenti li trasportano in un mondo felice e sicuro, quello della fantasia che supera ogni limite fisico e dimensionale.
    Da qui in poi, le premure reciproche raggiungono un’intensità quasi sospetta.

    Che cosa assilla di più gli anziani, se non il timore di ritrovarsi improvvisamente soli.
    I tanti ricordi di una lunga vita vissuta insieme possono colmare solo in parte il vuoto lasciato.
    A cosa serve vivere soli, quando i figli e nipoti sono altrove?
    L’amore, che li ha sostenuti per tanti decenni, agisce a volte in favore del rimasto solo, permettendogli di accorciare la sua solitudine e raggiungere l’altra sua metà laddove crede di ritrovarla.
    Saluti,
    Lorenzo lì, 15.1.08

    PS) Non ho fatto un cenno dei tradimenti che nei casi d’improvviso isolamento o anche forte incomprensione possono sorgere.
    Le persone, sopra citate, non tradiscono. Esse possiedono una personalità matura e decisa, che li sostiene e suggerisce di cercare insieme il superamento di ogni ostacolo.

  29. @ Tutti

    Roma – sabato 26 aprile

    Associazione Culturale Voci della terra
    Vicolo del Bologna 49, ore 18.00

    Simona Lo Iacono e Maria Lucia Riccioli
    presentano L’alfabeto dell’amore (Edizioni Bur)
    a cura di Luigi La Rosa

    passi scelti saranno letti e interpretati
    da Silvana Scrofani

    i testi saranno evocati e sottolineati
    dalle immagini di Alessio Grillo

    sarà presente il curatore

    VENITE…VI ASPETTIAMO…
    Simona e Maria Lucia

  30. LA POCHEZZA DI UN UOMO (uno sfogo personale).
    Mi ha colpito, benché io non sia neanche un tifoso romanista, quest’ultima stupidissima polemica (se di polemica si può trattare) tra un candidato a guidare l’Italia (da molti considerato un leader e un maestro della comunicazione) ed un noto calciatore (nell’immaginario considerato tutt’altro che un genio – se non con i piedi – fino a farne personaggio di barzellette).
    Il presunto genio e leader ha criticato il calciatore, che ha sostenuto, ovviamente sfruttando la sua immagine, la parte politica avversaria nella campagna elettorale (cosa del tutto legittima, mi pare), e lo ha definito per questo “fuori di testa” poi correggendo il tiro giustificandosi col fatto che in fondo la moglie del calciatore lavora per le sue reti TV.
    Il calciatore non ha voluto commentare, mostrandosi però seccato soprattutto per l’ingiustificabile tirare in ballo anche la moglie e il suo lavoro in tutta questa storia.
    Al presunto “genio della comunicazione” si possono addebitare cose ben più gravi di questa (solo nei tempi più recenti la turbativa nella trattativa Alitalia, la difesa di uno stalliere mafioso, un “eroe” perchè non ha parlato, ….), ma considero questo caso emblematico della pochezza di un uomo, pronto a dire e fare qualsiasi cosa (salvo smentire o correggere il tiro il giorno dopo dicendo “non avete capito” , perché sono sempre gli altri a non capire e mai lui “il maestro di comunicazione” a sparare le stronzate) che sia utile a se, ai suoi scopi, alle sue personali mire.
    Chi tra i due dimostra in questa vicenda un maggiore quoziente intellettivo?
    Chi di conoscere la buona educazione?
    Chi di rispettare le regole della comunicazione?
    Io ero partito con l’idea di non votare a queste elezioni: una scheda bianca, alla Saramago , mi sembrava il segnale più qualificante per una elezione assurda, frutto di una politica assurda, di un paese sempre più assurdo. Ma più vedo e sento parlare quest’uomo da poco più sento la necessità e l’obbligo morale di impedire che sia lui a governarci e a rappresentarci di fronte al mondo un’altra volta.
    Scusate questo sfogo, ma non riuscivo a farne a meno.

  31. Mai stato di sinistra in vita mia. Ma, al genio della comunicazione, vorrei ricordare che quando si candidò la prima volta nel 1993, Franco Baresi tappezzò i muri di Milano con cartelloni con su scritto “io voto Berlusconi”. Sarà poi un caso che a 48 ore dal voto il cavaliere ha annunciato l’acquisto di Ronaldinho da parte del Milan?
    Pallonate!

  32. @Maria Lucia Ricciolina:
    ti prego, risparmiami dagli spam! Sarò con voi, sicuramente con la mente, per il corpo, invece, mi serve un po’ di organizzazione. Qui c’è solo nebbia e pioggia, aspetto il sereno e i risultati elettorali. Non me ne importa molto, però sono curiosa di sapere chi riceverà un sms di congratulazione… ma come siamo messi… (sob! sob!)
    Baci a tutte voi, Miriam
    🙂

  33. Rossella, ciao cara,
    e’ tardi e ho appena letto che mi hai scritto su Baudelaire. Appena posso vado a leggere e intanto ti ringrazio, e segnalo a tutti questo FUORI ARGOMENTO (in inglese off topic, ma io sono Italiano):
    articolo del Sozi sui pagamenti agli autori da parte degli editori, con proposta di regolamento nazionale, su:
    http://www.libmagazine.eu
    Ciabelli
    Sergio Francesco Maria… ecc. de’ Sozj di Civitella. Insomma il Buccimpero.
    Senno’ solo Sergio Sozi, se cosi’ vi piace.

  34. Ripeto, facendo il burino, ma stavolta e’ una cosa importante:
    http://www.libmagazine.eu
    il mio intervento necessita consensi o critiche, comunque necessita di arrivare ad un ampio dibattito, se no resta ”lettera morta”. E parla di noi, dei soldi per gli autori, non di fantasie o di grandi lotte ideologiche, religiose, eccetera. Leggetelo.
    Sergio

  35. Grazie, Massimo. Sul mio articolo sarei felice di poter conoscere l’opinione anche di coloro fra voi che siano giornalisti di professione (ossia stipendiati).
    Sergio

  36. P.S.
    Se Massimo me lo concedesse, riporterei qui anche il mio articolo, in versione integrale. Posso, Massimo? Scusami per il mio ardire.

  37. Volevo postare qualche cosa su questo articolo di panorama, ma ci implica l’iscrizione al sito, e come si evince dalle norme del sito, l’uso dei miei dati personali e e di posta elettronica, per i più svariati fini: marketing, sondaggi, sturamento dei cessi, purga per gatti domestici e posso immaginare richieste a gogò di torte di mele.
    kataweb sarà strafalciona, ma non usa i tuoi dati come carta da deretano, e manco te lo chiede.

    In merito alla faccenda: vorrei suggerire una riflessione: cioè la questione del rapporto tra letteratura, critica letteraria e mass media.
    L’articolista di panorama non deve insomma sorpredenrsi che sui blog si accaniscano contor la critica ufficiale, perchè la critica ufficiale ora si piega al mercato e non c’è più un Mario Praz da nessuna parte – perchè sarebbe troppo dififcile, perchè tanto noi lettori siamo tutti imbecilli. Molto meglio l’ineffabile D’Orrico, che magari parla bene del buon Franzen, usando le tre parole tre che conosce, e che conosciamo anche noi. Non impara un cazzo nessuno e ci guadagnano tutti.
    Il blog è gratis. Gli studiosi di letteratura vanno a caccia di profondità in posti dove non c’è il rischio del puttanaio della retribuzione. Qualche volta, anche letteratitudine è più affidabile del corsera.

  38. @ Antonio Sardo
    Grazie per la segnalazione.
    Ne approfitto per ringraziare gli amici di “Panorama” per l’attenzione che riservano a questo blog.
    Sull’articolo di Filippo Maria Battaglia sono riportate solo alcune frasi del battagliero pezzo di Antonella Cilento del 3 maggio 2007, vi invito dunque a leggerlo – o a rileggerlo – integralmente:
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/05/03/dove-sono-i-critici-letterari-con-cui-confrontarsi-articolo-di-antonella-cilento/
    Anzi, farò qualcosa in più… riproporrò il suddetto post alla luce dell’intervento di Panorama.

  39. @ Zauberei
    Hai scritto: “Qualche volta, anche letteratitudine è più affidabile del corsera”.

    Non lo dire più, altrimenti finirò col crederci.
    🙂

  40. Vi anticipo che stasera pubblicherò un post su “Manituana” dei Wu Ming e un’intervista di Wu Ming 4 rilasciata in esclusiva per Letteratitudine a Giulia Gadaleta.
    Lo stesso Wu Ming 4 dovrebbe partecipare al dibattito.

  41. Il seguente articolo attualmente sta anche nel settimanale in rete LibMagazine.
    Si tratta di una proposta di legge nazionale per:
    1) Varare una legge che consideri OGNI scritto pubblicato soggetto obbligatoriamente e contrattualmente a pagamento (in base al numero delle battute, spazi esclusi). Oggi infatti un QUALSIASI editore puo’ far sottoscrivere ad un autore un contratto che preveda la gratuita’ della prestazione/pubblicazione di questo ultimo (o anche peggio: il pagamento dell’autore stesso!). Con questa legge, questo contratto di gratuita prestazione/pubblicazione diverrebbe illegale, dunque NON PROPONIBILE a nessun autore, pena incriminazione dell’editore per lavoro illegale, o nero, o altro di peggio.
    2) Richiedere la compilazione (previa contrattazione con i rappresentanti di editori e scrittori e a cura del Ministero della Cultura) di un TARIFFARIO NAZIONALE (da aggiornarsi ogni anno) che indichi chiaramente QUANTO deve essere pagata, al minimo consentito, una cartella standard di 1500 battute spazi esclusi. Una cartella di articoli, prefazioni, racconti, poesie, eccetera. Di qualsiasi cosa da pubblicare, insomma.
    ATTENZIONE:
    1) Il pagamento dell’opera ACCETTATA per la pubblicazione dall’editore ACQUIRENTE DELLA STESSA, andrebbe fatto all’atto della FIRMA DEL CONTRATTO e NON escluderebbe tutto quanto POSSA ESSER ULTERIORMENTE NEGOZIATO FRA LE PARTI all’atto della firma del contratto, come: royalties, cessione dell’opera a terzi, riedizioni, eccetera. DUNQUE I COMPENSI DERIVANTI DA QUESTI ULTERIORI COMM DOVREBBERO ASSOMMARSI A QUANTO GIA’ GARANTITO PER LEGGE (IL PAGAMENTO A CARTELLA DI 1500 BATTUTE STANDARD EUROPEA).

    Cio’ specificato chiaramente, una procedura di contrattazione autore-editore come dal seguente ESEMPIO dovrebbe pertanto divenire usuale (oggi non e’ cosi’, in Italia):

    ESEMPIO DI CONTRATTAZIONE AUTORE/EDITORE
    1) Autore: propone un romanzo (ma LO STESSO VALE PER UN ARTICOLO, POESIA O ALTRO TESTO) di mettiamo 200 cartelle standard (1500 batt. spazi escl.) all’EDITORE.
    2) L’EDITORE si riserva di leggerlo ed apportarvi delle eventuali proposte di modifica, cosi’ da riparlarne a testo pressoche’ deciso nella sua lunghezza.
    3) Il testo esemplificato (romanzo) e’ divenuto non piu’ di 200 ma di 158 pagine, coi tagli e le modifiche apportate CONCORDEMENTE dall’editore e dall’autore. Dunque ENTRAMBE LE PARTI LO GIUDICANO idoneo alla pubblicazione.
    4) Si elabora comunemente un contratto, LA CUI PARTE OBBLIGATORIA, STABILITA IN RISPETTO DELLA NORMATIVA VIGENTE, GIA’ PREVEDE IL PAGAMENTO ALL’ATTO DELLA FIRMA DI 158 PAGINE A (METTIAMO) UN EURO A CARTELLA STANDARD. Dunque gli altri articoli e comma contrattuali, vanno stabiliti nella contrattazione autore-editore (cessioni estere e trasposizioni cine-radiofoniche, ristampe, ecc.).
    5) UNA VOLTA STABILITI ANCHE GLI ASPETTI DEL PUNTO 4), le parti firmano e l’editore paga l’opera che gli viene seduta stante consegnata dall’autore. In seguito, l’editore paghera’ anche il resto di quanto verra’, eventualmente, a maturarsi grazie a copyright/royalties, ristampe, eccetera.

    E ADESSO VEDIAMO IL MIO ARTICOLO PER LIBMAGAZINE (APRILE 2008):

    Vuole i soldi, Fantozzi-Pennini? Suvvia…

    ”Ma Fantozzi-Pennini, cosa pretende ora, di pubblicare essendo pagato?!” La campagna elettorale è alle sue ultime battute, però ancora non ho sentito nei programmi di nessun partito una proposta che a me, in quanto scrittore, sta molto a cuore e che dovrebbe piacere anche ad altri colleghi od aspiranti tali. Parlo di una cosa normale in tutta Europa tranne che in Italia: la remunerazione per chi viene pubblicato.
    Allora vediamo un attimo. In Italia si pubblicano almeno una quarantina di libri al giorno ed esistono migliaia di ”editori”, ma tutti sanno che solo chi è già ultranoto (uno su diecimila) viene pagato da chi lo pubblica. In Europa invece è costume diffuso pagare chi lavora, senza star tanto a sbandierare ideologie o precetti religiosi: è cosí perché si sa che in ogni professione c’è una trafila da seguire – inutile stare a descrivere quella di uno scrittore o simile perché è il corrispettivo di quella di un muratore o di un ragioniere qualsiasi. Dunque in tutte le professioni, nessuna esclusa, in Europa si comincia studiando ed imparando, si fa poi una gavetta (breve per i bravi e lunga per i somari) ed infine si pubblica, o si cambia mestiere dunque NON si pubblica. Ma vediamo cosa succede a chi riesce a pubblicare.
    Ecco: quando si inizia a pubblicare, in Europa si inizia a guadagnare un tot a cartella o a battuta, e questo vale in genere per tutti coloro che vengono pubblicati su giornali, libri, periodici o quant’altro. Tutti vengono pagati, ripeto – pur con delle differenze: il nome noto di piú e l’ignoto molto meno, ma prendono entrambi i soldi.
    Perché non è cosí in Italia? Non stiamo forse nell’UE? Perché in Italia deve guadagnare solo l’editore e il tipografo che stampa, il grossista che vende la carta all’editore, l’edicolante o altri tecnici? Non è forse vero che una pubblicazione si vende SOLO per quel che vi è scritto sopra? Non è forse vero che anche gli sponsor (PAGANTI, certo) si basano su ciò che viene SCRITTO o sulle immagini (soggette spesso per legge a pagamento da copyright) contenute su un qualsiasi supporto?
    Già, solo in Italia lo sponsor paga l’editore per quello che l’editore non fa, cioè SCRIVERE o FOTOGRAFARE; lo sponsor paga il ”pizzo”, insomma, al feudatario-editore, anche se a fare il prodotto sono gli schiavi.
    In poche parole: quando voi comprate un qualsiasi giornale francese, tedesco, sloveno o greco, sapete di aver cosí contribuito al pagamento di TUTTI coloro che hanno contribuito a realizzarlo: i tipografi, gli impaginatori, i redattori, le segretarie delle redazioni, le cartiere, gli AUTORI degli articoli, e come voi, rimanendo nell’esempio, anche gli sponsor greci o tedeschi avranno pagato l’opera degli altri, compresi tutti gli autori degli articoli.
    In Italia, invece, voi, comprando un giornale (quasi tutti, anche di quelli nazionali, eccezioni a parte) avrete dato i soldi SOLO agli editori, agli impiegati in redazione, alle cartiere, ai tipografi e ad ALCUNI fra gli articolisti, ad una minoranza di questi, all’élite, a chi sta lí per meriti sovente imprecisati o mafiosamente sottintesi (uno perché va in tivú, l’altro che conosceva Tizio, un altro che va a letto con qualcuno, eccetera, giú nel malcostume).
    Questa è realtà, non idea, non principi, non favolette o supposizioni. Allora. Cosa dire?
    Dire semplicemente quel che ora dirò: che l’illegalità/anarchia editoriale e lo sfruttamento della proprietà intellettuale di un’opera hanno in Italia il valore di una legge ante-medievale non scritta, vigente solo nel Belpaese. E dire poi che in assenza di una consuetudine e tradizione italiana di rispetto per il lavoratore servirebbe una legge apposita a riguardo. Questo, dire. Adesso. E non per provocare ma per dipingere la realtà. E per sottolineare che la nostra barbarie e il nostro sottosviluppo conoscitivo creano grandi capitali (o modesti capitali ma sempre ingiusti) per piccoli e medi pseudo-editori e lasciano il nulla tondo tondo in mano a chi sa scrivere, a chi è professionale, colto, letterato, istruito e creativo, eccetera.
    E i giovani? Cosa dire loro? Questo, guardate, amici lettori, questo: ”Emigra, se vuoi far carriera in ciò che coltivi e studi, in ciò che ami! Emigra, piccolo mio! Oppure vai ad arruffianarti con qualche imbecille per conquistarti uno spazio, prima di tutto televisivo. Ma è meglio che tu ti arrenda e pensi ad altro: riconvertiti a velina o ad attore, o sta’ coi piedi per terra: il ragioner Fantozzi è il canone italico del Duemila e di sempre. Vai. E ringrazia Dio se riesci a fantozzare a lungo nella vita.”
    Alternative? Solo una: una legge per l’editoria (ossia per tutte le testate e per tutte le aziende dichiarate editoriali o che editoriali siano in realtà, poiché pubblicano a proprio nome); una legge che dica questo: ogni editore operante in Italia deve attenersi al tariffario di legge per pagare l’autore di ogni scritto pubblicato – con o senza firma: l’editore sa chi scrive e deve pagarlo, tranne che non sia un lancio d’agenzia, per cui paga l’agenzia o non la paga, affari d’altra natura (d’altronde se questa legge esistesse anche le agenzie stampa dovrebbero pagare a loro volta tutti i loro lanci a chi li scrive…). Si rediga pertanto un tariffario vincolante con un minimo stabilito per legge (es. ”per una pagina di 1500 battute pubblicata, un euro”) e, fatto questo in Parlamento, si inviino i finanzieri a verificare i pagamenti negli uffici degli editori. E ad elevare salate multe a chi schiavizza gli autori.
    Il Medioevo è bello, ma solo da studiare a scuola o per curiosità personale. Invece Fantozzi-Pennini, lo schiavo della gleba in versione scrittore, oggi esiste solo in Italia. Verificare, prego.

    Sergio Sozi

  42. P.S.
    Per semplificare la procedura di contrattazione in caso di articoli giornalistici, si potra’ fare un contratto di base a validita’ annuale che stabilisca (sempre beninteso concordemente fra le parti) ogni singolo aspetto dei pagamenti, che verrebbero applicati poi metodicamente e cumulativamente su tutti gli articoli dell’autore. Es: l’autore accetta di esser pagato a prezzo tot (minimo mettiamo un euro a cartella standard) per ogni suo articolo, piu’ i seguenti compensi aggiuntivi derivanti da eventuali future cessioni a terzi, ristampe in volume o sulla testata stessa, eccetera. Si fa insomma un conto unico di tutti gli articoli, che dovranno esser pagati a scadenze secondo un calendario concordato.

  43. P.P.S.
    Avrete visto che propongo un MINIMO SINDACALE ipotetico DI UN (1) EURO A CARTELLA. VA PRECISATO DUNQUE CHE QUESTO MINIMO POTREBBE ESSER ELEVATO, SIA NEL TARIFFARIO CHE ANCHE ALL’ATTO DELLA CONTRATTAZIONE AUTORE/EDITORE IN OCCASIONE DELLA FIRMA DI OGNI CONTRATTO.

  44. Ultima aggiunta:
    ovviamente solo chi (soprattutto i giornalisti immaginiamo) abbia con l’editore un contratto a lungo termine (minimo tre anni) d’altra natura (inquadramento standard come impiegato laureato) potra’ esulare da questi contratti, validi per la cessione delle singole opere, o cumulativamente come sovraspecificato.

  45. Il gothic, l’horror e il mistero. Si può sopravvivere pubblicando libri e video di questo specifico settore? La risposta è ardua. Quello che è certo è che la casa editrice romana “Gargoyle” (nome fortemente evocativo) ha fatto una scommessa a tutto campo. Libri originali, traduzioni, importazioni. Un catalogo cult che riserva sorprese e novità. E, siccome anche l’occhio vuole la sua parte, c’è anche una testimonial creativa chiamata Ladypaz che ha prodotto un video su commissione della Gargoyle per lanciare una dlle ultime uscite della casa editrice. Per affezionati, ma anche per eventuali neofiti.

    http://it.youtube.com/watch?v=4BJ67xJ_9c4

  46. x Enrico
    ho visto il video di Ladypaz: bruttino e anche un po’ infantile. Con tutte le allegorie e rappresentazioni che la storia dell’arte, a proposito di vizi capitali, ci regala ci si poteva impegnare di più! Giocando magari proprio sul cibo (tema che fa tendenza) interpretandolo sulle singole scansioni.
    Peccato.

  47. Ovviamente l’arte è un punto di vista molto soggettivo, mentre i vizi capitali sono sempre ben definiti. L’invidia per esempio è donna.

  48. mah.. a me è piaciuto. lo trovo carino, non convenzionale.
    e rende l’idea.
    non c’è bisogno di tornare indietro nel tempo per fare qualcosa di valido, secondo me.
    i vizi capitali sono sempre molto attuali.
    tutti.

  49. @ miriam:
    oddio sì, forse si poteva fare un lungometraggio su qualche girone infernale della divina commedia. ma allora ci saremmo chiesti: “ma questa ladypazz è una mitomane?”
    in fondo è uno spot che, in qualche modo, deve suggerire qualcosa che si trova nel libro e, per quanto ne so nella mia ignoranza, è anche uno dei primi e rari tentativi in Italia per pubblicizzare un libro attraverso un videotrailer. Come inizio non mi pare male.

  50. @Ladypazz
    non volevo offenderti, ma ho trovato eccessivo l’uso dello steso tipo di luce e troppo ripetitiva la “tua” presenza. La velocità con cui vengono riprese le scritte è eccessiva (sempre secondo me). Con quella velocità avrei inserito invece delle immagini. (velocissime sì, ma che avrebbero legato meglio)
    @Enrico
    senti, un video che deve durare pochissimo può, dal punto iconografico dire molto di più, senza pensare ai gironi dell’Inferno!!! Basta un gesto, una lettera che resta nella mente più di un altra, meno candele. Poi sul fatto che questa sia una novità ben venga, ma perché prendersela se a chi ne sa più di te, il prodotto che è stato presentato lascia perplessi? Le critiche non sono sempre dettate dall’invidia, a volte da un sincero atto (empatia) di partecipazione. Poi si sa, io appartengo ad un’altra generazione e quindi di giovani capisco poco.

  51. @ miriam:
    ti sembra che me la sono presa con te? io ho capito quello che volevi dire, perché ho più meno la tua età e perchè ti conosco. ammetti che, per chi legge ciò che scrivi per la prima volta, la critica può sembrare pesante. dopo di che, ci si chiarisce…se si vuole.
    🙂

  52. @ Enrico e LadyPazz
    ho dei modi bruschi, è vero, e chiedo scusa per questo. Ma sono sempre sincerissima, anche quando potrei farne a meno. Dopotutto, che cosameneimporta?????? E’ solo che amo guardare i video, per ore intere e il lavoro della ragazza mi è sembrato povero di ricerca, tutto qui.
    Anche io ricevo critiche in continuazione, è normale per l’artista che presenta il suo lavoro; a volte reagisco come Lady (mi incazzo) a volte ci resto solo malissimo, perché, anch’io mi sento circondata da “cattivi” e altre volte rifletto (ma non subito).
    Nel video mi sono piaciute le scritte sul corpo, riprese anche su dei fogli appesi: mi ci sarei soffermata almeno un secondo in più. La voce fuori campo, che interviene ad attimi, è una bella soluzione. Le candele invece no, troppo scontate e (scusate la franchezza) kitsch.

  53. @ miriam:
    io non posso rispondere a nome di Ladypazz perché lei è autonoma e io non ho nulla a che vedere con quel trailer. ho solo fatto da tramite perché fosse realizzato perché se n’è presentata l’occasione. per il resto la tua sincerità qui la conosciamo tutti. ladypazz la conoscerà. Qual è il problema?
    🙂

  54. Vi ricordate il Prozac, noto antidepressivo (che compare spesso in molti romanzi)?
    Ho appena letto un “curioso” articolo su Repubblica.
    Ve lo riporto nel commento di seguito.
    Che ne pensate?

  55. Il Prozac “ringiovanisce” il cervello. Funziona sui topi, presto test umani
    di PASQUALE NOTARGIACOMO

    ROMA – Curare l’umore e contemporaneamente “ringiovanire il cervello”. Sarebbe questo l’effetto dei farmaci antidepressivi secondo una ricerca diretta da Lamberto Maffei del Cnr di Pisa e pubblicata sulla rivista Science. Lo studio ha rivelato che i farmaci utilizzati per curare le malattie depressive riuscirebbero ad aumentare la plasticità cerebrale. A migliorare, cioè, la capacità di rimodellarsi tipica del cervello giovane, che si perde almeno in parte nell’età adulta.

    L’esperimento. “Il nostro – spiega Maffei – è un esperimento condotto su meccanismi basilari che apre nuove prospettive per il futuro”. L’equipè italiana ha
    studiato l’effetto dei farmaci su topi adulti con deficit visivo permanente causato dall’occhio pigro. Proprio la la somministrazione degli antidepressivi ha guarito la vista dei topi, consentendo un rimodellamento della corteccia visiva, che è cioè ridivenuta plastica come nel cervello giovane, “risvegliandosi” e cominciando a funzionare meglio.

    “È un esperimento che deve essere chiaramente replicato sugli uomini – aggiunge Maffei – e proprio per questo stiamo prendendo contatti con i clinici”. Uno dei primi utilizzi potrebbe riguardare proprio la cura “dell’occhio pigro”. Una condizione piuttosto diffusa nel bambino, che impedisce il pieno sviluppo della corteccia visiva, lasciandolo, se il suo occhio non viene rieducato con tempestività, con deficit visivi permanenti. Per i danni causati dall’occhio pigro non esiste ad oggi una terapia.

    Finora la capacità di indurre rimodellamenti del cervello rimaneva soltanto nell’alveo delle ipotesi. “Nessuno – dice Maffei – aveva testato come gli antidepressivi influissero sul funzionamento cellulare del cervello. È questa la grande novità del nostro studio”. Gli scienziati hanno scoperto che è esattamente così che agisce l’antidepressivo Fluoxetina (inibitore della serotonina), meglio noto come Prozac.

    L’azione “rimodellante” del farmaco è comprovata da cambiamenti dell’attività elettrica cerebrale, a cui si accompagna la produzione di un fattore di crescita
    importantissimo per la plasticità cerebrale, “BDNF”.
    Si tratta comunque di una scoperta che apre molte possibilità e di cui si possono soltanto intuire gli utilizzi. “Saranno i test sull’uomo – conclude Maffei – a indicarci i passi futuri”.

    (17 aprile 2008)
    Fonte: Repubblica.it
    http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/scienza_e_tecnologia/antidepressivi-cervello/antidepressivi-cervello/antidepressivi-cervello.html

  56. @ massimo:
    colgo un sottile invito rivolto a parecchi di noi ad assumere questo farmaco. però giuro, almeno io non ero ridotto così prima di capitare su letteratitudine e leggere zauberei e didò.

  57. A chi interessasse la questione della contrattualizzazione barbarica di molti degli autori italiani, ricordo la presenza del mio articolo, con proposta di legge e tariffario nazionale. Sta qua sopra (17 aprile 2008, ore 1.25 a.m.).
    Saluti
    Sozi

  58. Sul post dedicato a “Non è un paese per vecchi”, con commento postato il 18 Aprile 2008 alle 10:40 pm, Subhaga Gaetano Failla scrive quanto segue:
    Ho provato una strana sensazione leggendo le discussioni di questi ultimi giorni su Letteratitudine, una sensazione di vaga assurdità. “Qualcosa” è successo ultimamente in Italia, e io ancora non riesco a farmene una ragione. Se “la bellezza salverà il mondo” – e qui si discute appunto di letteratura, di bellezza – mi avrebbe fatto piacere da parte degli amici di Letteratitudine una manifestazione almeno d’una pur lieve perplessità. Dal 14 aprile, a mio sofferto parere, la bellezza in Italia è maggiormente disprezzata.
    Un caro saluto,
    Subhaga

  59. @Miriam
    Il fatto che un mio trailer possa piacere o meno lo metto in conto. E’giusto che ognuno esprima le proprie idee. Quello che non mi piace e non ho mai fatto è, stare dall’altra parte, la parte del giudizio. Percepisco la creatività come un qualcosa di unico e personale. Quindi sarò ottusa, ma proprio non ci trovo nulla di elegante nel tuo primo commento. Lavorare su un trailer, ragionare sulle parole di uno scrittore, entrare nella sua testa dopo aver studiato una bozza, non è facile. Lavorare sui libri è fantastico. A questa idea ci sono arrivata dopo tre anni di gioco- lavoro- in rete. Ho due passioni da sempre, la scrittura e la lettura; queste, unite a quella per internet mi hanno aiutato a capire e approfondire le dinamiche che si sviluppano in rete tra gli utenti: scrittori, lettori, blogger e avatar.
    Nel trailer di Le stagioni del maligno, ho utilizzato una telecamera professionale, uno speaker e un cameraman professionista. Ho cercato di fondere amatorialità e professionalità.
    P.s. Per quanto riaguarda le candele, lo ammetto, per me è una fissazione 🙂
    @Gea, grazie mille
    @Enrico non te lo scrivo grazie, so che ti prende male.

  60. @ Ladypazz
    In un precedente commento – riferendosi a te – Miriam ha scritto: “ho dei modi bruschi, è vero, e chiedo scusa per questo. Ma sono sempre sincerissima, anche quando potrei farne a meno.”
    Chiarito ciò, forse era inutile ribadire da parte tua (a Miriam) “non ci trovo nulla di elegante nel tuo primo commento”… non credi?
    Ti faccio tanti in bocca al lupo per il tuo lavoro.

  61. Caro Massimo,
    grazie per il tuo invito.
    Mi sembrava che la frase conclusiva del mio commento avesse un perchè implicito ben visibile. Comunque, dato che si parlava di bellezza, e la percezione della bellezza è ampiamente influenzata dai gusti soggettivi, a mio sofferto parere (mi ripeto) non riconosco la bellezza nell’esaltazione militaresca di turgidi attributi maschili, nelle espressioni violente, nella mimica buffonesca di uccisione rivolta a una giornalista russa “inopportuna” (quest’ultimo disprezzo della bellezza, da me percepito, giunge proprio dalla lettura dei quotidiani di oggi), non trovo bellezza in visioni oscure e reificanti della vita umana. Questi – e non solo – sono gli aspetti che, sommariamente, trovo “brutti”. Essi, connessi a una sorta di rancore verso l’esistenza, il 13 e il 14 aprile, secondo me, hanno maggiormente influenzato, consapevolmente o inconsapevolmente, le decisioni elettorali degli italiani.
    Un caro saluto,
    Gaetano

  62. Roma – sabato 26 aprile
    Associazione Culturale Voci della terra
    Vicolo del Bologna 49, ore 18.00
    Simona Lo Iacono e Maria Lucia Riccioli
    presentano L’alfabeto dell’amore (Edizioni Bur)
    a cura di Luigi La Rosa
    passi scelti saranno letti e interpretati da Silvana Scrofani i testi saranno evocati e sottolineati
    dalle immagini di Alessio Grillo sarà presente il curatore
    VENITE…VI ASPETTIAMO…
    Simona e Maria Lucia

    .
    nessuno ?

  63. Non riesco a capire le posizioni alla Subhaga (a propos, che vuol dire?) Failla, e normalmente diffido di chi parla di turgidità (che siano di attributi maschili o femminili): davvero vogliamo pensare che la vittoria di un Berlusca, paradossalmente amico del Primo russo, o di un Veltro, che sogna con concetti americani (!) ci possa portare all’inferno o in paradiso? Mercoledì, in un dibattito all’università, al prof Angelo D’Orsi che diceva di non aver dormito dopo le elezioni, giustamente il prof. Vattimo ha replicato: ‘io ho dormito benissimo e continuerò a farlo’. A mio parere entrambi i contendenti (ma non solo loro) hanno atteggiamenti infantili e nessuna considerazione di quelli che dovrebbero essere (sempre a mio parere, per carità) i problemi principali da risolvere: l’educazione e l’ambiente. Nessuno poi, di nessun partito, (spero di essere smentito) ha mai parlato del primo problema che aiuterebbe a risolvere tutti gli altri, quello demografico, quasi che ci sia da piangere a ritrovarsi in tre con una torta da otto anziché in otto con una torta da tre. Anzi, fanno tutti a gara a promettere incentivi alle nascite: tranquilli, che il genere umano non corre il rischio di scomparire per bassa natalità! Gradirei conoscere il parere degli amici di Letteratitudine, massime del Massimo che ha dato questo nuovo spunto di discussione.

  64. Gianmario, vai sul blog di Roberto Alajmo che spiega la situazione meglio di quanto potrei fare io.
    Io pure son convinta che Veltroni non sarebbe stato il veltro sognato da Dante. Non credo alla politica, che è un comitato affaristico. Le ideologie son crollate – e non è un male in fondo – ma i problemi restano e Veltroni sarebbe stato non il bene contrapposto al male ma un male minore. Se ci permetti, però, come siciliana avrei preferito la Finocchiaro a Lombardo e ai mangiacannoli mafiosi à la Totò vasa vasa…
    La natalità: il problema non è essere in tre o in otto con la torta da tre, è che ognuno dei tre pretende di mangiare per otto fregandosene degli altri cinque che muoiono di fame. Al limite se ne adotta uno a distanza o gli si regala un pacco di medicine scadute per tacitarsi la coscienza. Credimi, il problema non è essere tanti, ma l’egoismo. Quando noi occidentali che siamo il 20 per cento consumiamo l’80 per cento delle risorse del pianeta, ci viene comodo pensare di sterilizzare gli africani…

  65. ho appena visto calasso da fazio.
    a parte l’invidia per la sua biblioteca sterminata, mi si è aperto il cuore a sentire l’aneddoto di simenon giovanissimo che portava a colette i suoi racconti da pubblicare, e non andavano mai bene, ”trop litéraire”.
    all’ennesimo rifiuto, portò un pezzo scarnissimo, semplice, nudo.
    e fu pubblicato con entusiasmo. da lì iniziò tutto.
    la conclusione di calasso, che trovo splendida, è, testualmente:
    ”la belluria è la morte della letteratura.”
    detto da lui mi conforta enormemente.

  66. Maria Lucia, son quasi d’accordo sul male minore (anche se tanti piccoli pugni ti possono mandare al tappeto) ed è vero che una parte minore della popolazione mangia per tutti, ma cominciamo comunque a porre un freno e il pianeta e le altre creature ne trarranno beneficio.

  67. @gea
    L’ho visto anch’io. E concordo al 100%. L’arte non è nel complicare le cose semplici, ma al contrario nel far sembrare semplici quelle in realtà complicate. Questo è il mio credo, da sempre.

  68. @ Gianmario
    Hai scritto: “cominciamo comunque a porre un freno e il pianeta e le altre creature ne trarranno beneficio.”
    D’accordo con te… ma facciamo in modo che tra le altre creature ci siano anche i nostri figli (mi riferisco al basso tasso di natalità in Italia).

  69. Prima pensiamo a sistemare le cose in Italia: piu’ uguaglianza, doveri e diritti pari per tutti, lavoro legale (e non nero) per tutti, maggior natalita’ (secondo me servono piu’ figli, servono al cuore). Eliminiamo i mafiosi e i delinquenti legalizzati, i cretini superpagati come le veline e simili. Poi pensiamo al resto del Mondo, che non e’ l’Italia e non ne sappiamo un tubo. Se le cose andassero diversamente da noi, dopo potremmo accampare diritti e doveri nel resto del pianeta. Criterio di prossimita’ stretto, il mio: dunque non egoismo nazionale, ma metodo progressivo di prossimita’.

  70. Su Calasso e Simenon
    @ Carlo e Gea
    Non ho visto la trasmissione, ma dalle cose che avete scritto mi sono ricordato di questo pezzo di Brolli (pubblicato su Pulp).
    Considerate che Calasso è il direttore editoriale di Adelphi.
    Vi riporto uno stralcio:
    “In un ideale decalogo del buon traduttore, una delle voci più importanti sarebbe l’invisibilità. Certo, è impossibile che un traduttore non abbia una “lingua” sua, che non sia portato ad alcune costruzioni sintattiche o orientato verso alcune scelte lessicali. Ma questo deve avvenire sempre nell’ambito dello scarto semantico offerto dalla lingua originale. Non ci sono lingue che coincidano pienamente, si potrebbe anzi dire che le parole non trovino mai riscontri certi in un’altra lingua e che la struttura di una frase collabori a ridarci quanto scritto nel testo originale; altrimenti, certo, basterebbe un traduttore automatico. Il buon traduttore, quello che si rende invisibile ed esalta le caratteristiche dell’autore, rispetta il registro linguistico, si chiede come suoni quel testo in lingua originale e cerca di trasporlo adeguatamente. Poi ci sono gli arroganti che si spacciano per traduttori, che usano il testo originario come pretesto per esaltare se stessi.

    Ai corsi di traduzione letteraria l’aspirazione massima è tradurre per Adelphi, come vertice di un percorso professionale. Un equivoco originato da due fattori: la straordinaria coerenza interna dei testi che escono da Adelphi, privi di incongruenze linguistiche; il compenso a cartella di cui si favoleggia sia il più alto pagato in Italia. Anche lo snobismo ha il suo peso nel far credere che si tratti di un’élite… Non sto a ripetere il solito discorso che in Adelphi c’è una “normalizzazione” dei testi verso l’alto, in cui redazionalmente si alza il registro linguistico fino a far diventare Simenon simile a Nabokov, né andrò a spulciare traduzioni come quella di Santuario di Faulkner, dove la lingua originaria, seppure dotata di una particolare densità, a un lettore americano risulta scorrevole, mentre in italiano è stata resa con un’artificiosa complessità della frase… questi potrebbero sembrare cavilli, fisime, opinioni, infingimenti di un fissato. Voglio solo raccontare un’esperienza che sembra una puntata di Ai confini della realtà.”.

    L’articolo completo è disponibile in questo vecchio post di Loredana Lipperini:
    http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2007/09/11/brolli-e-la-traduzione-suprema/

  71. Massimo,
    Calasso e’ il PADRONE di Adelphi. Padrone, ripeto.
    Poi vabene: trovami un editore onesto che mi paghi e io di figli ne faccio altri otto (eh! eh! eh! Sono un vecchietto arzillo, vero?).

  72. @Sergio Sozi
    Caro Sergio,
    ho raccolto il tuo invito ed eccomi qui!
    Non posso darti buone notizie riguardo la tua proposta di riconsiderare il corrispettivo editoriale da te invocato e non ho a disposizione 4h che ti ha amicalmente e generosamente dedicato Wu Ming1, pertanto devo confermarti quello che già ti ha spiegato Lui che succede nella pratica quotidiana; differenziando i diritti d’autore di un romanzo rispetto alla prestazione professionale occasionale di un articolo o di una traduzione come free-lance: le leggi vigenti in Italia e in Europea, che già disciplinano i diritti d’autore con l’intento di salvaguardarlo, non entrano nel merito del corrispettivo che attiene alla trattativa ad personam con l’editore; cosa diversa,quindi, è l’intervento erga omnes di tutta la giurisprudenza acquisita e consuetudini applicate nel mercato editoriale a tal proposito.
    Se proprio Vuoi, puoi sbizzarrirti al riguardo cercando le pronunce in Italia e in Europa della Suprema Corte di Cassazione e non solo sul sito:

    http://www.italgiure.giustizia.it

    Con affetto,
    Luca Gallina

  73. @Sergio
    Certo nessuno saprà spiegarti meglio che il desiderata può, anche, essere in contrasto il più delle volte con la realtà sempre più dura per chi, pur avendo i meriti letterari, non accetta la libera competizione di mercato, non capitalista solamente, ma onerosa per entrambi i soggetti di diritto di chi scrive e di chi edita: del resto la presunzione è sempre ultima a morire come la speranza, che ci siano autori meritevoli che scrivano bene e con onestà intellettuale,anche, per se stessi e non solo per meravigliare qualcuno se non ne hanno le capacità: ché oggi tutto costa e gli editori e i lettori sono sempre più esigenti, sic!
    Caro Sergio ti stimo molto e ho colto solo l’occasione del tuo invito, per generalizzare il mio intervento e riconoscere che, in questi anni di esercizio della mia libera professione, mi sono imbattuto in persone così sicure di sé del proprio operato che non riuscivano a capire il successo degli altri, mettendo in discussione le regole,l’ambiente, la gerarchia e la giustizia nel mondo del lavoro,le retribuzioni e quant’altro e chissà perché, senza mettere in discussione loro stessi?
    Con affetto tuo,
    Luca Gallina

  74. Caro Luca,
    scusami ma qui non si tratta di mettere in discussione se stessi, di umilta’ eccetera; si tratta solo di interpretare diversamente il rapporto autore/editore.
    Saro’ semplice e chiaro:
    se vai in Germania e proponi ad un autore tedesco un testo inedito scritto in tedesco, lui lo legge e se vuole pubblicarlo te lo paga un tot a pagina e spesso poi ti da’ anche le royalties. In Italia invece molti di noi autori firmano contratti che non prevedono pagamento dell’opera, dunque l’editore la pubblica e ci guadagna sopra vendendo il libro (o altro: giornale, ecc.) e l’autore eventualmente prende solo un 5/10 % su ogni copia venduta e nulla altro.
    Vedi che abbiamo trattamenti diversi? Chiedi in giro, chiedi a Maugeri, che so, chiedo a chi vuoi (che non sia strafamoso o dell’elite dei benpagati). Chiedi e poi dimmi. Io queste cose le so perche’ conosco decine di scrittori di ogni tipo. E ti assicuro che nove su dieci non fanno una lira col proprio libro, ma fanno guadagnare il loro autore.
    Ma se raccoglierai risultati diversi, ne saro’ ben felice. Vuol dire che il mio contratto che non prevede pagamento dell’opera in se’ e’ una mosca bianca e dunque la realta’ me la sono inventata o sognata io.
    Saluti Cari
    Sergio

  75. Scusa per un refuso: volevo scrivere all’inizio: ”se proponi un’opera ad un EDITORE tedesco…”.

  76. (Sono un po’ stanco e a volte ho confuso ”autore” con ”editore”, ma comunque il discorso mi sembra ugualmente limpido).

  77. In soldoni io chiedo che in Italia vengano messi fuori legge i contratti che prevedono la gratuita’ della cessione di un’opera letteraria. Semplice ed onesto: tu sei l’editore, io ti propongo un libro, se ti piace lo comperi e provi a venderlo, per recuperare i soldi che mi hai dato. Se non ti piace amen. Ma io parlo di libri che gli editori pubblicano (dunque vuol dire che gli piacciono se li pubblicano!) ma che NON pagano. Ci lucrano o ci perdono… boh! l’editore e’ un imprenditore… troppo facile fare l’ ”imprenditore” sulla pelle di chi ti da’ la materia prima! Questo sistema lo considero disonesto e in altri Paesi europeo viene pochissimo attuato, poiche’ editore ed autore hanno patri diritt/doveri; in Italia l’editore ha tutti i diritti e nessun dovere. Se vai dal salumiere, che fai, gliela paghi si’ o no la mortadella? Io si’, non gli dico: ”Aspetta un anno: adesso vado a vendere la tua mortadella e dopo FORSE ti do’ la percentuale!”
    No. Io pago tutto subito: bollette, affitto, assicurazione, tutto.
    E l’editore? No. Lui mi paga FORSE e DOPO che gli ho dato il mio lavoro in mano. Comodo. E disonestissimo.

  78. @Massimo I tuoi figli, sono/saranno comunque dei privilegiati, voluti, amati e ben educati di sicuro (ho visto ‘deviare’ solo i figli di coppie che han pensato di ‘seguirli’ unicamente con i soldi). Non sono loro il problema, ma i milioni di creature povere, infelici, sole e sfruttate che nascono a valanga, senza altra colpa che l’egoismo/ignoranza di chi li genera come fossero pesciolini. Quanto al basso tasso di natalità in Itlalia, è un falso problema. Nella mia lontana gioventù, quando andavo in montagna, scendendo dal treno vedevo distese di prati e il profumo dei fiori mi inebriava. Ora, il comune denominatore di località in cui una volta pascolavano le mucche con i loro campanacci (es.Sauze d’Oulx o Bradonecchia) è l’odore dei diesel (tutti i ricchi hanno un diesel, fateci caso) quando va bene, altrimenti l’odore di fogna. Tu stesso hai scritto recentemente di averci messo quattro ore da Siracusa a Catania: vedi che anche gli altri (e i figli degli altri) concorrono a fare la densità indipendentemente dai tassi di natalità. Un caro saluto.

  79. @Sergio. Sacrosantamente fai sentire alta la tua voce sfondando una porta aperta. Se ti può consolare, Università di Torino, professori a contratto: da un paio di anni è stato dimezzato il compenso orario, prendere o lasciare; si gioca sul fatto che vi sono 1) italiani con grandi titoli (già piazzati) che si accontentano anche solo del punteggio o, come detto da un direttore di dipartimento, del prestigio (‘è già prestigioso insegnare all’università, cosa volete ancora?’). 2) mogli dei precedenti che non sanno cosa fare a casa. 3) stranieri che sarebbero disposti a fare le stesse ore anche per metà della metà. Se poi ne risente la qualità dei corsi, questo non interessa a nessuno. Ecco, a mio parere, il caso editoriale rientra in queste storture (soprattutto italiane) del capitalismo, di cui noi, immaginifici, riusciamo a scoprire tutte le pieghe in cui infilarsi. Caro Buccimpero, devi accontentarti di suonare la tua tromba con la sordina (in nero), altrimenti diranno, come minimo, che sei stonato, oppure che rompi las pelotas. Ciao.

  80. Buccimperata soziana per il caro Gianmario:
    non sono uomo di facili consolazioni. Mi girano molto e quando mi girano (per fortuna non sempre) prendo trombe, sognali, tamburi e tamburelli e ballo la tarantella finche’ qualcuno (in genere uno di coloro che ci sfruttano tutti) non si reputa infastidito e replica. Lo sto aspettando con ansia e intanto continuo il mio concertino di taranta tarantolata e buccimperosa.
    Ciao bello
    Sergio
    P.S.
    Quel libro me l’hai spedito, poi? Ne sarei onorato…

  81. @ Gianmario
    Quando parlavo dei “nostri figli” mi riferivo ai figli dell’Italia (quelli che non arrivano).
    Ma sono comunque ottimista.
    Se i figli non li faremo noi ci penseranno i nostri immigrati.
    Io sono a favore di una società multietnica.
    🙂

    I milioni di creature povere, infelici, sole e sfruttate che nascono a valanga, patiscono non l’egoismo/ignoranza di chi li genera come fossero pesciolini, ma il fatto che le risorse del pianeta non sono equamente distribuite.
    Può sembrare retorica ma è un dato.
    Ciò non toglie che le popolazioni “eccessivamente” prolifiche potrebbero essere educate a una maggiore responsabilità verso la prole (e all’idea di prole) lasciando sempre e comunque la libertà.

    Da Catania a Siracusa impiegai quattro ore non perché la Sicilia è così densamente popolata ma perché le due città sono collegate da una sola strada e in alcuni casi (questo è uno) non abbiamo strade (o autostrade) degne di tal nome. E in giorni particolari come pasquetta ci fai un po’ più caso.

  82. @ Sergio
    Ma la vuoi finire con questa storia della mortadella?
    🙂
    Seriamente… non puoi fare l’esempio del salumiere e paragonare le fette di mortadella alle pagine scritte.
    La mortadella la paghi a peso, le cartelle no.
    Ti faccio un esempio.
    “Il vecchio e il mare” di Hemingway – in base a quello che dici tu – verrebbe pagato molto meno di un romanzone di mille pagine firmato… che ne so… da Liala (con tutto il rispetto per Liala).

  83. Ora sono stanco.
    Domattina pubblicherò un nuovo post.
    Nel frattempo vi auguro sogni d’oro.
    E se non riuscite a dormire portatevi un libro a letto. Oppure un paio di fette di mortadella.
    🙂

  84. Massimo: ma tu la mortadella la paghi, vero? E a te i libri te li pagano. gli editori, almeno a peso? A me no, quindi ben venga la mortadella. A peso, orcomondo. Scusa, eh.

  85. Legge pazzoide: gli editori dovrebbero pagare a peso i libri, secondo il prezzo corrente della mortadella di Bologna. Mille euro al chilo, insomma.

  86. (E adesso ti dico seriamente che Eminguei era pagato per legge o/e per consuetudine. Nessun americani, manco fra i piu’ mentecatti di quelli che piacciono a noi, accetterebbe di scrivere GRATIS come noi. Mai. Piuttosto andare a vendere – direbbe l’Americcano – la mortadella di Boulogne). Pensaci.

  87. @Tutti gli amici del blog, Vi unisco l’invito per la presentazione del mio nuovo libro, se qualcuno di Voi vuol venire, ne sarei felicissima…Magari per motivi organizzativi vi prego di avvertirmi. Mi scuso se in questi giorni sono poco presente alle discussioni. Vi aspetto e spero.Grazie
    Tessy
    LA LIBRERIA BECARELLI
    Via G .Mameli 14/16 – Siena
    SABATO, 10 MAGGIO 2008 –ORE 17,30

    in collaborazione con

    PASCAL EDITORE SIENA

    sono lieti di invitarLa

    ALL’INCONTRO CON L’ AUTORE

    MARIA TERESA SANTALUCIA SCIBONA

    e alla presentazione del volume poetico

    “IL SOGNO DEL CAVALLO”
    Pascal Editore -Siena

    Conduce l’incontro

    GABRIELLA GUAITI

    Introduce FAUSTO TANZARELLA

    Relatori ANTONIO PAGHI

    Recita PAOLA LAMBARDI

    La copertina del volume è tratta dal quadro
    ”Il Sogno del Cavallo”2000

    (70 x 50 cm) del M° ENZO SANTINI

    °°°°°°°°°

  88. Massimo, permettimi di inserire una mia analisi personale sull’apparire ed agire dei due personaggi più determinanti e conosciuti della storia umana degli ultimi duemila anni.
    La inserisco qui sulla camera accanto, dove è permesso discutere di tutto ciò che c’interessa, e spero che ne sorga una discussione interessante e proficua.

    Cristo e Giuda, due personaggi complementari per il compimento del loro destino:

    Sono due esseri con un destino diverso: Cristo, l’eletto del Padre Celeste, inviato per annunciare l’inizio di una nuova epoca; Giuda, un essere con i difetti tipici della razza umana: diffidente, infedele e comprabile.
    Il suo tradimento causa la fine della missione di Cristo, che passa così nella storia come il propulsore del “Nuovo”, in un mondo fin troppo legato al “Vecchio”.
    Entrambi sono i protagonisti del processo evolutivo, voluto dal Creato, e sono per questo simboli della contraddizione, perché solo nel confronto contraddittorio si evolve il nostro mondo (modo di percepire).
    A mio parere, Cristo e Giuda si ritroveranno uniti al fianco del Padre Creatore alla fine dei tempi.
    Cristo, perché ha portato a termine la missione affidatagli dal Padre, sopportando stoicamente sofferenze atroci sulla croce, e Giuda, perché, dopo aver agito per debolezza umana in un momento d’incoscienza, si pentì tanto da suicidarsi.
    Il suicidio nasce dal rimorso per aver tradito il migliore dei suoi amici, dimostra inoltre di saper essere anche cosciente (segno d’iniziale maturità in un mondo ancora primitivo).
    La coscienza riacquistata lo porta alla disperazione, che lo distrugge, ma anche libera dal suo peccato commesso e lo redima.
    La storia umana si è arricchita, qui, di due personaggi, che la dominano da millenni, e ancora lo faranno fino alla sua fine; due personaggi differenti e contrari che trovano alla fine l’unione nell’amore.
    Cristo e Giuda, due esempi che dimostrano la tragicità richiesta dal processo di liberazione dell’uomo dalla sua dipendenza da un Creato non ancora definito e finito.
    Chi sarà il prossimo Cristo e il suo prossimo contraente per marcare un nuovo livello evolutivo da raggiungere?
    Saranno, poi, anche idonei per adempiere i loro compiti, che saranno diventati ancora più elevati e che, visti da un essere comune, rimarranno sempre incomprensibili e insostenibili?
    Qui non ho timori. I prescelti nascono già con le necessarie qualità, perché sono inviati da una forza superiore, che regola ogni avvenimento, da noi e sopra di noi, così che maturano già nello scorrere dei tempi con caratteristiche diverse e, viste dai conterranei, strane. Questi ultimi ne rimangono ignari e vivono la solita vita di ogni giorno.
    Allora, veniamo tutti o solo questi prescelti con un destino predefinito?
    Ogni essere riconosce il suo destino dal momento nel quale decide di voler raggiungere un suo fine finale, nel quale crede di vedere realizzato il suo essere e vivere.
    Esso può rivelarsi già dalla nascita o manifestarsi dopo, nel corso della vita, attraverso incontri particolari, ma tanto influenzanti, da voler procedere e non fermarsi più.
    Entrambi i casi sono così possibili, e i ritardatari lo sono per motivi fuori dalla loro volontà e disposizione.
    Saluti
    Lorenzo lì, 22.04.08

  89. Ciao, Maria Teresa,
    se stessi in Italia verrei alle tue presentazioni – appetitose. Mannaggia. A proposito: la rivista ”Chiasso largo” che combina, esce?
    Bacioni
    Tuo
    Sergio

  90. @ Tessy
    Tanti in bocca al lupo, cara Tessy.
    Appena avrò un po’ di tempo intendo organizzare una rassegna di poesie con la partecipazione di tutti i poeti amici di letteratitudine.
    Tu sei in testa all’elenco.
    🙂

  91. @ tessy:
    non posso esserci perchè mi troverò in altra parte del suolo italico. ma mi unisco al coro degli “in bocca al lupo” e non ho alcun dubbio in merito al successo dell’evento…unico.

  92. Attratta dalla copertina che spiccava nella vetrina delle libreria Hoepli, mi sono ritrovata tra le mani un libro molto singolare (Fausta Garavini In nome dell’ Imperatore, Cierre edizioni, 2008), dove attraverso la figura del giudice trentino Antonio Salotti si rivisita la storia del nostro risorgimento.
    Salotti è un bellissimo personaggio per integrità a spessore umano che dedica la sua vita a una battaglia perduta in nome dell’autorità imperiale che lui rappresentava, con la convinzione che solo sulle fondamenta delle leggi l’Italia avrebbe avuto un futuro. Invece quelli che ci hanno insegnato a considerare “eroi” i martiri fondatori della nazione (Pellico, Maroncelli, Confalonieri) fanno una ben magra figura, pusillanimi, pronti a denunciare conoscenti e amici, si lamentano della durezza del carcere, mentre in realtà come prigionieri politici potevano godere di alcune comodità. Insomma, si tratta di tutta un’altra storia che Fausta Garavini ci racconta con vivacità e ironia in forma romanzata, basandosi però su documenti inoppugnabili.

  93. Visto che qui si parla anche di libri, vorrei raccontarvi la mia esperienza:

    Mi chiamo Maria Antonietta Pinna, sono laureata in lettere,
    criminologa, faccio recensioni di spettacoli teatrali per un giornale
    romano di approfondimento culturale. Segni particolari:
    mi
    mando da me. Non possiedo la tessera di un partito, né santi in
    Paradiso, anche perché preferisco l’Inferno, sicuramente meno noioso
    e
    comodo. Da qualche anno ho contratto il corrosivo e deleterio vizio
    di
    scrivere e secondo incalliti lettori, pare che lo faccia bene e con
    molta fantasia.

    INTANTO,

    racconto la storia di una corte, no, non quella dei miracoli,
    quella dei sorbonagri. Chi sono? Una brutta razzaccia di docenti che
    si
    cibano del lavoro degli altri… Ma non perdiamo altro tempo,
    passiamo
    alla storia. Gian Paolo Brizzi, re, tentacolare docente con le mani,
    ops, i tentacoli, in pasta dappertutto, è Professore Ordinario presso
    il Dipartimento di Storie e Metodi per la conservazione dei Beni
    Culturali (Università di Bologna – Ravenna). Inoltre è Direttore dell’
    Archivio Storico della stessa Università e lettore della Casa
    Editrice
    Clueb, dove cura intere collane. Nove anni fa il nostro buon
    sorbonagro, insegnava storia moderna all’Università degli Studi di
    Sassari assieme a Miriam Turrini, sua gran ciambellana che si avviava
    a
    diventare regina. Durante un’accesa discussione, il re pensò bene di
    stupirmi mettendomi al corrente delle sue idee democratiche sull’
    istruzione universitaria: “Chi non ha soldi all’Università non ci
    deve
    venire”. Mi disse proprio così, testuali parole. Impossibile
    dimenticare… Intanto ho contratto il vizio di scrivere… Dopo il
    saggio di fine Master, ho dato alla luce diverse cosette: pièces
    teatrali, racconti, romanzi, poesie. La prima cosa che ho scritto è
    la
    tesi di laurea: “Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del
    Settecento”, lavoro assolutamente sperimentale su un documento d’
    archivio inedito risalente agli anni 1710-13. Non mi sono limitata a
    trascriverlo, l’ho commentato, ho estrapolato dati non conosciuti e
    assolutamente nuovi, ho elaborato paragrafi e capitoli sulla vita
    quotidiana dei nobili del collegio e su tutte le loro più o meno
    curiose attività. Due anni di lavoro! Ma torniamo all’illustre
    professor Brizzi. Navigando per caso su Internet scopro che il prof.,
    tra le altre cose, nel 2007, cura un libro interessante: “Il giovin
    signore in collegio”, di Miriam Turrini. Mi incuriosisco. Ho un
    tarlo.
    “Possibile che… Noo, non può essere…”. Il giorno dopo mi fiondo
    in
    biblioteca… “Si, può essere, anzi, è! “Il signore” in questione non
    è
    poi così giovane, è vecchio, ha quasi dieci anni, si direbbe la
    fotocopia del signore de “Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi
    del Settecento”. Insomma per farla breve, Miriam Turrini si è copiata
    la mia tesi, ci ha messo il suo nome sopra e se l’è pubblicata,
    guarda
    caso con la CLUEB, grazie al finanziamento dell’Università di Pavia,
    dipartimento di musicologia.
    Che fare!!!???
    Mi dico che sarebbe ora di parlarne un po’ di più. Il mio non è
    sicuramente un caso isolato! Cammina cammina arrivo al castello Rai.
    Letizia Maurelli, castellana, mi accoglie a braccia aperte. Di fronte
    al corpus delicti di una tesi “plagiata”, dice di si, che si può
    fare,
    che non è giusto, che mi manderà in onda per informare i
    telespettatori. Passano alcuni giorni, mi richiama, gelida come un
    iceberg: ” tutto sommato…, son cose che succedono, non possiamo
    farci
    niente… è una storia che non interessa nessuno…”. Eh, certo, i
    piedi al re nessuno li ha mai pestati. Cosa si può fare? Niente.
    Siamo
    nel paese del niente, non si può pretendere di più, si nientifica e
    basta. Poi arriva Tedde, primo cavaliere della regina e mi manda una
    mail. Dice che la sottoscritta ha offeso la reggente, dicendo
    “cazzate”
    di cui dovrebbe vergognarsi. I cavalieri moderni parlano tutti così
    al
    giorno d’oggi… Dice anche che la Turrini è una persona seria perché
    è
    l’allieva di Paolo Prodi, un nome, una garanzia… Due più due fa
    quattro… Un re, una regina, un cavaliere, una castellana, e la
    corte
    universitaria dei sorbonagri che fanno, disfano, leggono, copiano…
    E
    l’informazione? Anche quella è soggetta all’estro della corte. La
    Gazzetta di Parma ha pubblicato articoli lusinghieri sul libro della
    Turrini. Ho informato la redazione che trattasi di un plagio
    letterario. Li ho invitati a controllare. Mi hanno risposto di essere
    infastiditi dalle mie mail. Dicono che in questa storia non c’entrano
    per niente!!! Ma come? Pubblicano articoli elogiativi sul “giovin
    signore” e non sanno neppure di cosa stanno parlando? Viva la libertà
    di stampa. Morale della favola… C’è una morale?
    Vedendo ogni giorno nelle vetrine delle librerie, accanto ad alcuni
    titoli validi, libri quintessenza di innominabili schifezze, (scritti
    magari dal comico di turno, dalla attricetta di grido, tutto
    compromessi e poco arrosto, ah!) mi domando se c’è ancora speranza
    per
    chi, come me si manda da se.

    Maria Antonietta Pinna
    una sarda che si manda da se!

  94. Un saluto a Sergio Sozi che ha segnalato il link de “La voce dellisola”, giornale di cui mi occupo delle pagine culturali. Grazie Sergio per la pubblicità!!! In effetti quella lettera di Maria Antonietta Pinna lascia molto da riflettere. Possibile che accadono queste cose? Vi invito a leggerla. Ciao Maria Antonietta. Tieni duro e fai valere le tue ragioni, se ragioni sono.

  95. Bhe Sergio, diciamolo pure, anche il servizio che ho fatto a te non è male. Ekkekkazzo un po’ di autosbrodolamento ogni tanto ci vuole!!! E poi ci sono gli articoli delle nostre carissime Maria Lucia Riccioli e Simona Lo Iacono, una bella rimpatriata.

  96. Salvuccio, certo che hai fatto un ottimo servizio al sottoscritto pazzo. Non l’ho citato perche’ sembrava volessi far leggere questo e non gli altri di Simona, di Maria Lucia e della sig.ra Pinna.
    Ciao e grazie, Salvo!

  97. P.S.
    ”La Voce dell’Isola” e’ un quindicinale coraggioso, ben scritto e con molte pagine culturali – curate dal ”nostro” Salvo Zappulla. Invidio voi Siciliani per questo periodico ed invito tutti a frequentarlo su Internet, soprattutto osservando che se il ”caso Pinna” fosse un episodio realmente accaduto, esso andrebbe segnalato a livello nazionale. Con quel che ne consegue.

  98. Il maniaco e altri racconti
    di
    Sergio Sozi

    Walter Casini Editore
    Pagg. 140 € 16,00

    Sozi è scrittore raffinato, ha una concezione alta della scrittura, non riuscirebbe a scrivere mai qualcosa di banale. Ne “Il maniaco e altri racconti” sperimenta nuove vie linguistiche che danno al testo assoluta originalità. Se è vero che la letteratura ha una “verità da dire”, Sozi ha inventato una verità tutta sua per dirla, un tourbillon fantastico di girandole comico grottesche lambiccate di alchimie verbali. Coniuga esuberanza e limpidezza come un Gadda irriverente e frenetico. Ma attenzione a non cadere nell’errore di farne un epigono dei grandi sperimentalisti linguistici (Gadda, D’Arrigo, Landolfi) si rischierebbe di fargli torto. Sozi tenta di imporre in questo libro il suo stile personalissimo, avvalendosi di fondamenta solide e ben strutturate. Al centro dei suoi racconti troneggia la figura di Euterpe Santonastasio, capitano della Compagnia Trieste II, il quale si ritrova a dover districare casi polizieschi al limite del reale: le lettere sentimentali inviate da un ignoto autore, “il maniaco”, un maniaco della scrittura. Niente stragi e spargimento di sangue, né violenze sessuali. Sozi gioca con una scrittura plurilinguistica amalgamando triestino, siciliano, romano e neologismi, ottenendo risultati efficacissimi. E si rivela ironico, brillante, mai scontato, lontano da un certo manierismo edulcorato. Altro aspetto da non sottovalutare è la ricerca dell’assurdo e del paranormale, come nella storia degli animali parlanti. Assurdo e grottesco si assemblano in una continua ricerca che rende pirotecnici i personaggi inventati, sì da far considerare l’impianto poliziesco semplice artificio letterario ad uso e consumo della materia narrata. Uno scrittore refrattario a certe mode consumistiche, che percorre il proprio filone narrativo con forza, caparbietà e coraggio, da seguire con interesse.

    Sergio, il modo di comunicare degli esseri umani si evolve, dalla parola alla carta stampata, dai cellulari a internet. Anche la letteratura si evolve. Quanto è importante secondo te la ricerca di nuove espressioni linguistiche?

    Be’, Salvo, io direi che piú che ”evolversi” il nostro modo di comunicare sia vittima di quelle violente trasformazioni imposte dalle esigenze economiche e politiche; insomma la gente comunica in modo diverso, rispetto a, che so, trent’anni fa, solo per adeguarsi e sopravvivere, mica perché viva meglio. Anzi, vive peggio, la gente, oggi, soprattutto da un punto di vista spirituale, affettivo, morale o meramente psicologico. Poi ci sono molte persone confuse che comunicano come possono solo perché hanno una personalità debole, o addirittura spesso schizoide, nevrotica o insicura, traumatizzata. Lo squilibrio oggi è il Massimo Comune Denominatore dell’Italia. E dunque la lingua comune muta, riferendoci la pericolosa instabilità della Nazione. Io, in questo contesto che non amo per niente, credo pertanto di seguire le mie strade personali, attingendo linguisticamente alla Letteratura degli avi, a quel ”sermo familiaris” che tanto mi ha dato parole di nuovo conio e ai dialetti. Insomma: la lingua italiana, letteraria o orale, colta, e altre varie stratificazioni autobiografiche mi dànno il marmo policromo in cui scolpisco le mie pazzie. Io disprezzo fondamentalmente questo Millennio e la fine del precedente, dunque ne adotto alcuni termini solo per deturparli e irriderli, lo dico a chiare note. Non ho niente a che spartire con la realtà di oggi. Pertanto ricerco, sí, ma dove voglio io: nei miei ricordi e sogni, nelle mie ricerche, nelle carezze e gli schiaffi ricevuti, nei libri e nel lessico di Bontempelli o Italo Calvino, di Yourcenar o Plauto, Palazzeschi, Consolo, Tomasi di Lampedusa, Dante, Petrarca, Danilo Kiš, Prešeren, Bulgakov, Ariosto. Anche il D’Annunzio poeta. Meno Leopardi (lessicalmente parlando, eh!).

    In un periodo di consumismo letterario, in cui gli autori si devono adeguare alle esigenze di mercato se vogliono pubblicare e vendere, tu esci con “Il maniaco e altri racconti”, un testo fuori dagli schemi se vogliamo, originale e che mira a un pubblico colto. Uno scrittore deve sempre seguire la propria poetica letteraria?

    Se persino uno scrittore si adegua alle mode, come nemmeno Virgilio in fondo fece, significa che siamo alla fine dell’arte scrittoria e del pensiero, del sentimento che sta nelle lettere: meglio cambiar mestiere e darsi al business in maniera chiara: non piangerà nessuno dei nostri (presunti) lettori. Ogni mestiere ha le proprie caratteristiche professionali, credo: quello di scrivere ha come regola fissa la potenza dell’individuo (colto) e la sua volontà di dettare le regole al proprio mestiere stesso. Chi le regole se le fa dettare dagli altri è un pessimo professionista, in questo campo. Secondo me.

    E’ difficile imporsi pubblicando con un piccolo editore, il mercato librario è strozzato dalla grande editoria la quale esercita una grossa influenza sulla stampa e la rete di distribuzione. Quali canali può utilizzare un piccolo editore per promuovere i propri prodotti?

    Il punto fondamentale è il ”cosa” un piccolo editore deve proporre al pubblico, direi prima. Poi viene la diffusione dell’opera. Allora, vediamo: il piccolo editore deve proporre opere di individui sani mentalmente ma molto fantasiosi e conoscitori della Letteratura e delle sue regole – stilistica, retorica, grammatica, sintassi, grafica, ecc. Ciò precisato, diciamo che diffondere i libri presso le piccole librerie e anche in Internet – appoggiandosi per farli conoscere ai tanti siti e blog letterari – è meglio che sperare nella grande distribuzione. A meno che diversi piccoli editori non siano in gamba e non si associno, cosí creando piccoli insiemi di editori indipendenti (piccoli insiemi, ripeto) per sopravvivere e farsi notare anche dai grandi molok della distribuzione (Librerie Feltrinelli, ecc.). Quest’ultima soluzione sarebbe molto costruttiva, a mio parere: entrare con delle specie di cooperative fra piccoli editori nel grande mercato per proporre ai cittadini delle opere vere, letterarie, e non delle pellicole messe su carta come avviene ora. Dare qualità perché la qualità vince sempre, senza pretendere di vendere centomila copie, ma esigendo di smerciarne tremila sí. Anche tramite le grandi librerie e i supermercati, perché no. Ma come ho detto io, non da soli. Uniti si vince. Quattro piccoli editori associati che pubblichino roba buona possono mirare a vendere tremila copie di ogni singolo libro senza imitare il cinema o i libri pubblicati dai grandi, come no! Basta farlo. Coraggio!

    Ne “Il maniaco” si avvicendano situazioni grottesche ed esilaranti, ha poco del classico giallo poliziesco, le lettere inviate da un folle come messaggio da svelare. La scrittura ancora al centro dell’attenzione. Quale messaggio hai voluto trasmettere?

    Tanti, Salvo, veramente tanti messaggi (nella ”bottiglia del libro”), fra i quali resta centrale quello della solitudine e della malvagità delle attuali forme d’ intelligenza del nostro popolo, del suo egoismo e della sua incapacità di sentire il prossimo appoggiandosi alla comune origine arcaica e alle tradizioni profonde ed antiche dell’Italia. L’Italia moderna ha bisogno di schiaffoni spiritosi e tosti, per capire di essere antica e salda, per risvegliarsi dal letargo frenetico di questa modernità assurda. Questa Italia, dove mettere in piazza (ossia in tivú) i propri sentimenti è diventato folle esercizio quotidiano, non potrebbe invece tollerare un ”pazzo” che scriva a degli sconosciuti per dire qualcosa di personale e sincero. In questa ottica, il mio ”maniaco” è un evangelizzatore protocristiano molto consapevole, che porta un messaggio cristiano e assieme pagano: amatevi e condividete le vostre miserie, gente italica! Questo dice il mio ”maniaco sano” scrivendo delicate e liriche lettere anonime a degli sconosciuti. Gli sconosciuti non riescono, pazzi loro, a capire perché qualcuno li ami pur non conoscendoli, e si chiedono stizziti: Ma come! se manco mia moglie mi ama cosí! com’è possibile che un estraneo, invece… Inoltre ci sono altre questioni che sarebbe troppo lungo sviluppare. Lo lascio fare ai lettori, che sono piú intelligenti di me quasi sempre.

    Stai lavorando a un nuovo testo? Vuoi accennarci qualcosa?

    Io non lavoro: fatico, sudo! ah! ah! ah! Scusa Salvo, torno serio: per adesso ho altri venti racconti della stessa serie del ”Maniaco” già pronti, piú un bell’inedito quasiromanzo, intitolato ”Il menú” da piazzare e altra roba narrativa medio-breve; dunque faccio altre cose: curatele e postfazioni di libri italiani tradotti in Slovenia dove vivo, traduzioni, articoli di cultura et similia. Lavoro per non dovere fare altri lavori. Il romanzo, comunque, non è né la mia dimensione ideale, né quella di molti altri autori italiani viventi. Lo si vede dalle schifenze che girano: romanzi che sono in realtà sceneggiature. Io no. Roba allungata fino a pagina trecento, scena per scena come se fossi una telecamera vivente, solo per far contenti gli editori, non ne rifilo alla gente. La gente va rispettata. Sempre. E stimolata a leggere la Letteratura con la elle maiuscola, mica i film messi su pagina. Dunque come narratore mi gratto la panza – non la pancia – e scrivo sugli scrittori, li interpreto e traduco, li intervisto trattandoli male quando posso. E campo bene con la mia famiglia, l’opera d’arte che Dio mi ha concesso di edificare.

    Salvo Zappulla

  99. Grazie, Salvo. Un bacio sulla guancia a chi vorra’ leggere tutto il nostro colloquio ed una militaresca pacca sulle spalle a te che hai sopportato i miei pensierini.
    Sai, oggi sono felice perche’ e’ appena (il 22 aprile 2008) uscita in Slovenia una collezione preziosissima ed editorialmente di livello, intitolata ”EUroman” (”Romanzo dell’Unione Europea”), per i tipi del noto editore Modrijan di Lubiana. Si tratta di 27 romanzi per 27 Nazioni dell’Europa Unita. L’Italia e’ rappresentata da Diego Marani con il suo splendido ”Nuova grammatica finlandese” (Bompiani 2000), di cui io ho scritto la postfazione. Mi piacerebbe poter pubblicare in Italia le mie osservazioni su Marani, ma purtroppo ho un contratto vincolante d’esclusiva che non me lo permette (giusto: d’altronde la Modrijan mi ha pagato, e mica coi bruscolini).
    Vorrei solo far notare una cosa: prima ancora della presentazione ufficiale della collezione (avvenuta il 22 aprile con centinaia di accorsi), l’editore aveva gia’ venduto, in offerta speciale, ben quattrocento collezioni complete. Questo ci fa capire quanto la Letteratura qui in Slovenia sia valutata e stimata popolarmente ma non sempre dia robetta da bancarella. Il livello e’ alto, soprattutto per certi editori come Modrijan che capiscono di Letteratura.

  100. Eccomi qui, ai piedi del Resegone, dopo il rientro dalla mia gita a lampo, più a lampo della guerra dei fratelli Marx, a Roma. Conoscere dal vivo persone lette sul blog, “non” provoca emozione: ognuno, almeno per me, è esattamente corrispondente all’immagine che mi ero fatta leggendo i loro post. Questo significa, che su Letteratitudine non si bleffa; diamo il nostro meglio con convinzione e affetto. La parola conta come gli occhi e i gesti del corpo e delle mani. L’emozione, grande e che solleva lo spirito è stato il condividere momenti intensi di fugace temporalità, come un regalo meritato e ancora da assaporare. Detto questo, resta il contesto; la ricerca del luogo d’incontro e lo svolgersi della serata. Noi, io Simona, Lucia Riccioli e Silvana, sistemate un po’ alla profugo nelle rigide immagini della Tamara’s Suites (leggere Lempicka, una pittrice ambigua), armate di cartina, tenuta “saldamente” nelle mani di Simona , abbiamo raggiunto il posto convenuto. A dire il vero, io sono arrivata, come Gimondi al Giro, prima delle altre, anzi “Uno”, proprio come il corridore bergamasco: mamma sono Felice, sono arrivato Uno! Enrico e Laura, soli soli, già al tavolo, erano in attesa; Carlo, invece occupato a rispondere ai quesiti posti dalla Iacono, sul numero dei ciottoli da calpestare per raggiungere, con precisione inconfutabile, la trattoria, non mi ha vista guadagnare l’entrata, che con l’agilità della Pantera Rosa, dribblando fra altri alti commensali, ho raggiunto con la naturalità dei “nativi”. “Ma tu sei de’ Roma?” è stato il saluto del Grégori. Enrico, bello (che però è sempre un giudizio soggettivo) ed ellenico come un particolare dell’Ara di Pergamo: plastico,
    imponente e carico di storie.
    Tenerissima la Riccioli e il suo incanto per questo nostro mondo globale e osceno come le tartine “fanta” dell’antipasto. Fanta? È un modo di dire bergamasco; “è una cosa fanta” e cioè “l’è mia buna ma l’è tanta” (penso che si capisca). Dopo un po’ l’Evento, sensibile e discreto si è unito a noi. Conviviali e sereni, la serata è trascorsa così, fra piatti, che io e Simona avremmo cucinato con vero amore e vera grazia, e qualche battuta su di noi. Niente di più, una serata “limpida” e serena fra veri amici con tanto da dire, che però resta dentro, come gli amori veri che per esprimersi trovano mille altri modi. All’indomani ognuno di noi si sarebbe stato altrove; Carlo a riguardare le foto che nella previsione di vignette più scientifiche aveva scattato a fine cena; Laura, intenta alle sue osservazioni come una mamma buona che sorveglia il difficile passaggio dell’adolescenza; Simona a pulire i cuori caricando il suo; Evento, il poeta tecnico delle emozioni e dei sentimenti, a perscrutare i tempi; io, colonnina incerta a guardarmi attorno fra le colonne del Bernini. Infatti, con Simona e le altre, la mattina dopo, mescolate fra mille, eravamo lì, nel colonnato del Bernini.
    Dimenticavo Enrico: a rivedere i testi dei suoi prossimi libri.
    @ massimo, ciao e grazie per questo tuo umanissimo spazio.

  101. le bordate porno non sono state una mia eslusiva. l’ineffabile Carlo, ha invero, mostrato qualità recondite di affabulatore hard spiegando con dovizia di particolari alcune specificità della “tradizione orale”. il tutto mentre la Riccioli nascondeva il suo radioso volto dentro una pizza ai carciofi e simona fingeva di giocare col telefonino per non balbettare dall’imbarazzo. laura, come sempre, è stata la mia sodale giornalistica in grado di farsi prendere in giro avendo sempre l’aria di chi pensa “e vabbè, facciamo giocare lo scemo”.
    Non conoscevo la scoppiettante Silvana, simpatica e curiosa della vita e delle cose che la circondano. Una scoperta.
    Evento, aimè, mi era distante. Ma, come McCarthy dice di se stesso, Pasquale è tutto nel suo libro. Per lui parlano anche i suoi silienzi.
    Miriam, invece, è una bugiarda matricolata. Mi aveva giurato che lei il vino lo reggeva bene. “Enrico, bello (che però è sempre un giudizio soggettivo) ed ellenico come un particolare dell’Ara di Pergamo: plastico”, è un giudizio che non può provenire se non dall’overdose di rosso di Montalcino dalla quale è stata colta. Pietà!
    @ carlo e miriam:
    quanti soldi mi date per farmi tacere dell’episodio del ghiaccio nel cestello?
    🙂

  102. @ Enrico
    Sììììììì, il ghiaccio nel cestello!!!
    avevo convenientemente rimosso. Se la racconti bene puoi anche farlo. (Simo e gli altri non lo sanno) Però con impegno…
    🙂

  103. Nel corso di queste cene le bottiglie del vino sono sempre dove siamo io e Carlo e, tacitamente, io e lui ingaggiamo una disfida all’ultimo goccio. Anche venerdì scorso, quindi, tra me, lui e Mirima campeggiava il cestello del ghiaccio per tenere in fresco il vino bianco.
    Arrivati, più o meno, a fine serata, Carlo scruta dentro al cestello e si rivolge a Miriam dicendo: “guarda, è bellissimo vedere come il giaccio si scioglie nell’acqua decomponendosi con delle striature artistiche”. E Miriam replica: “oh sì, è davvero affascinante”.
    Dato l’orario a me sembrava strano che fosse ancora rimasto ghiaccio nel cestello. Infatti infilo le dita dentro e tiro fuori pezzi di cellophane che custodivano i cubetti di ghiaccio ormai liquefatto e dico: “non ne farò parola con nessuno”.
    Questo intervento dimostra che sono anche bugiardo. Ma fino a un certo punto. Miriam mi ha autorizzato e Carlo si deve adeguare.
    🙂

  104. Diciamo, che non solo ho osservato con attenzione quanto mi veniva indicato, ma presa dal ruolo di competente dell’immagine, ho anche citato Stefano Mina : questa liquefazione piacerebbe a Stefano , potrebbe essere un suo soggetto. A quel punto è intervenuto il cronista.
    🙂

  105. @Massi…al volo prima di ricollegarmi stasera…grazie di questo spazio…tornare e trovarlo dà il benvenuto!
    @Enrico….ricordati che c’hai una certa età e quindi le parti spinte per anzianità spettano a te.
    @Evento…grazie.
    @Gea…la prossima volta ci accampiamo in cinque.
    @Miriam, baciotti.
    @Carlo…mandami le fotoooo
    @Laura, fortuna che c’eri tu….
    Più tardi torno.

  106. ..solo al volo…d’accordo con Enrico , Miriam…proprio bello, ellenico, plastico…non direi. Diciamo un tipo.
    Il suo libro, però, è bello(letto in treno).

  107. Ciao, goliardi! Mi dispiace di non aver potuto esserci neanche stavolta… ma son felice che vi siate divertiti veramente!
    Sergio

  108. @ Simo
    Cara SuperSimo letteraria, grazie a te!
    Alcune foto le trovi on line sul post dedicato al 25 aprile. Le hai viste?
    Comunque ti giro per mail quelle che mi ha inviato il buon Carlo.

  109. E ora ve la racconto io (in attesa che le nostre siciliane espongano anche la loro). Dal punto di vista gastronomico non è stata certo memorabile, ma si sa trastevere è ormai un noto covo di avvelenatori di turisti di passaggio: speravo che la trattoria prescelta (che una volta ancora si salvava) avesse resistito all’andazzo, ma il cameriere coreano che aveva risposto telefonicamente alla mia prenotazione mi aveva già messo sull’avviso.
    Quanto alla propensione al perdersi tra i vicoli trasteverini delle nostre ospiti era più che una semplice ipotesi: Simona si orienterà magnificamente fra codici e pandette ma è stata capace di smarrirsi a 50 metri dal ristorante e perdere in 30secondi anche il contatto con Miriam e Maria Lucia (che nel frattempo, mentre io recuperavo lei e la sua amica Silvana, si erano già sedute al tavolo con Enrico e Laura).
    Per riportarle alla loro dimora (non più di 500 metri dalla trattoria) a fine serata io e Pasquale abbiamo pensato bene di riaccompagnarle a piedi, e spero che il gesto ci abbia fatto onore. Tant è vero che siamo riusciti a strappare una promessa di milinzàni (sotto forma di involtini o altro) cucinati dalle proprie mani della nostra giudichessa.
    Per tutto il resto una serata simpatica, una ventata di sicilianità, disquisizioni sulla cucina isolana comprese, e impepata dal linguaggio libertino e verace di un Gregori a ruota libera 🙂 , (io ti ho solo tenuto bordone, enrì) cui le nostre rispondevano con un programma per il giorno dopo comprendente una visita a San Pietro, benedizione ratzingeriana urbi et orbi compresa, ad emendare il linguaggio impudico della serata.
    Anche Miriam, non proprio una clericale, sarebbe stata trascinata nel programma purgativo.
    Del secchiello del ghiaccio Enrico ha già spifferato tutto, vanificando in poche righe la suspence creata da Massimo, e questo non si addice ad un noirista. Io vi avrei fatti soffrire un po’ di più.
    Noi romani siamo stati omaggiati del libro “Scrivere Donna – l’Antologia 2006” a cura di Antonella Ferrara e Luigi La rosa che comprende racconti anche delle nostre ospiti sicule, tra i quali “Il seme delle fave” recentemente comparso su questo blog; e dell’ “Occhio – Manuale per l’educazione all’immagine” della nostra cara Ravasia, libro elettronico in edizione CD “per gli amici di Letteratitudine” (anche a questo libro era stato dedicato un post, un po’ più di tempo fa).
    Ringrazio le nostre ospiti dei doni graditi.
    Per quanto riguarda le foto della serata (secchiello del ghiaccio incluso) invito i partecipanti a guardare le proprie mail.
    Saluti.

  110. @ Carlo,
    così, proprio per la cronaca: il secchiello comunque non era male! Bella foto. Grazie.
    E poi, ma chi se ne importa del cibo, ci rifaremo in Sicilia.
    ciao
    🙂

    @ Massimo
    a proposito di Simona, ma ti ricordi “le faccine” ? Simona soffre di bulimina informativa: ama il dettaglio indicativo.
    @ Simo, un bacione
    🙂

  111. Adesso vi lascio e vi auguro buonanotte.
    Domani sera un nuovo post con “recensioni incrociate”. Gli autori/recensori saranno Salvo Zappulla e Roberto Mistretta.

  112. @ tutti…allora, sì. Mi oriento come una talpa. Ho fatto a Carlo trecento telefonate per capire dove eravamo, alla fine ho visto una persona da lontano che palava al telefono e diceva le stesse parole che Carlo diceva a me…è LUI, mi sono detta (con sollievo). Da precisare che avevo i tacchi sull’acciottolato di Trastevere, Miriam mi era appena sfuggita di vista – ho saputo dopo che era già arrivata a destinazione – e che…so’ cecata… ma gli occhiali li avevo lasciati in camera. Motivo per il quale Gregori mi era sembrato meglio da lontano…Insomma l’arrivo non è stato trionfale. La cucina così e così , come dice Carlo (io poi, con sommo orrore di Enrico che si è sbafato un piatto di pasta impronunciabile ho preso solo una caprese), ma in compenso abbiamo riso e tutti mi sono piaciuti parecchio.
    Pasquale è delizioso. E’ venuto anche l’indomani alla presentazione e ci ha portato il suo libro.
    Il giorno prima lui e Carlo ci hanno pure scortate fino in albergo non senza avere programmato la venuta di Pasquale in Sicilia questa estate (al quale ho promesso che cucineò tutto quello che vorrà).
    Laura mi è piaciuta moltissimo. Ha l’abilità di prendere in giro Enrico quasi senza che lui se ne accorga.Ed è dolcissima pur essendo molto intelligente e spiritosa.
    Enrico è come me lo aspettavo…ma vedendolo “retroattivamente” e con gli occhi del suo libro letto in treno, tra una parolaccia e l’altra ho colto molta umanità. E poi – strano a dirsi – persino nel suo modo di parlare di argomenti non proprio aulici, trovo che ci sia una forte potenzialità amichevole e affettiva.
    Carlo mi è sembrato un’ancora di salvezza per quello che ho detto prima e Miriam la colonnina più certa che abbia mai avuto l’onore di sorreggere.
    Mi sarebbe piaciuto anche avere GEA a cui ho pensato molto e Zaub che avrei voluto incontrare…e anche molti altri.
    Ma in cuor mio ho ringraziato Massimo che ci ha dato l’opportunità di conoscerci!
    Notte a tutti!

  113. Ah, dimenticavo…ho visto le foto! Bellissime! Solo che lì non si vede che ho fatto alzare Enrico quattro o cinque volte per andare in bagno visto che avevo qualcosa in un occhio e che al rientro lui si offriva “gentilmente” di farmi passare sotto il tavolo (ma per ovvi motivi ho evitato).
    Non si vede neanche come io e Miriam ci siamo salutate alla stazione….Ma passo la parola a Miriam così lo racconta lei perchè mi hanno già detto che sto ore al telefono (VERO)….

  114. “La bellezza è negli occhi di chi guarda”
    (Johann Wolfgang Goethe)
    @ miriam: tu avevi gli occhiali, quindi ci vedevi benissimo. Simona, per sua stessa ammissione, aveva lasciato le lenti in camera. Non avrebbe distinto il Gianicolo da un cassonetto della Nettezza Urbana. Che ci vuoi fare?
    🙂

  115. @Massimo,mi scuso se rispondo solo oggi ai vostri messaggi, grazie per la bellissima idea poetica.Ho incontrato Savatore Niffoi a Firenze per la presentazione del suo romanzo “Collodoro”.Ci ha raccontato che per stampare il suo primo libro in una tipografia isolana, il tipografo a suo tempo, gli chiese 17 milioni per 1500 copie…..Lui,che non poteva permettersi di spendere una simile cifra, dopo ponderata riflessione, mobilitò amici generosi, conoscenti e il Sindaco di Orani.( Ancora non conosceva il nostro portentoso Sergio Sozi)…. Il primo libro fu stampato e partì così la sua nota avventura letteraria. Nella splendida libreria della Feltrinelli, ho conosciuto il coordinatore nazionale delle Associazioni Sarde che dietro suo avvertimento, l’ Associazione degli isolani si mobilita in ogni città ,dove il vulcanico Salvatore presenta i suoi libri. Pensavo che si potrebbe fare anche noi del blog, per la presentazione dei nostri rispettivi capolavori……
    @Sergio caro, la rivista “il Chiasso Largo” in questo periodo è in letargo perché l’editore sta organizzando le nostre serate, pensa che ancora i miei inviti non sono pronti.. e poché la nostra corrsipondenza va prima a Firenze e poi ritorna a Siena per essere distribuita, le patrie poste sono sempre in ritardo.. e il 10 maggio, in libreria saremo i relatori, la mia famiglia ed io…. vuol dire che ci abbufferemo di dolcetti…
    @ Enrico, sei scusatissimo, però prima o poi ricordati della promessa….
    da marinaio? Con la bella stagione potresti organizzare una spedizione di amiche ed amici a Siena
    @ Salvo. dove trovo ” La voce dell’Isola? Ho pigiato sul blog indicato e mi ha rimandato alla mia posta. Per ora un grazie e un saluto a tutti.
    Tessy

  116. Allora, ritorno sulla cena e sul mio brevissimo soggiorno romano.
    Simona, bisogna conoscerla al mattino quando si sveglia, pulita dalla sua maschera d’ ordinanza: un viso intenso e ben sistemato su un corpo flessuoso e al tempo stesso forte, imponente di volontà, come il suo carattere. Boschiva come una bestiola che osserva il “suo” bosco e con impegno programma i compiti della sopravvivenza; posso farcela! E io come potevo rifiutarmi di andare a San Pietro? Lei, la nostra Simo si è “cammellata” la mia borsa per tutto il giorno, senza se e senza ma. Felicemente mi sono messa in gioco. San Pietro non è più quello di una volta e penso che mai ci ritornerò, nonostante il magnifico percorso fra le colonne, che anche alle “camminate” più improbabili regalano il senso compiuto dello spazio , la possibilità dell’uomo. Ho goduto il mattino, annullando l’io nella anonimità dell’insieme; e per questo mi sento riconoscente e in debito con lei, Maria Lucia e Silvana. Quel luogo, comunque, è un azzardo scenografico che non ha ancora uguali. Piccolo e immenso. Quando si arriva lì, come noi con un taxi, la piazza è piccola, la basilica sembra a portata di pochi passi; poi tutto cambia, e come nella vita, si procede a piccoli passi nel caos degli uomini e delle ambizioni.
    I discorsi della cena: ho detto più parolacce io di Gregori, che invece, fra le altre cose, ha ricordato Rino Gaetano e la sua musica, regalandoci immagini e suggestioni. Amava Fred Buscaglione, e come lui è morto in un incidente; ma non era al volante di una Thunderbird rosa, erano già altri tempi.
    Sulla performance d’addio alla stazione Termini, vorrei non scrivere e tenermi l’emozione di un’amica che COCCIUTAMENTE ha atteso la mia partenza fino al muoversi delle carrozze, e anche un po’ di più. Baciotti
    🙂

  117. verissimo Miriam…ripensandoci le suggestioni sono state più delle parolacce. E la condivisione più tenace degli ostacoli.O della distanza.
    L’ho capito stamattina quando mi son ritrovata nella casella della posta i libri di Laura e Lory. L’ho capito in treno leggendo Enrico. L’ho capito aprendo la mail di Carlo e sfogliando – adesso – il libro di Pasquale.
    L’ho capito più in quello che non ci si dice. O in chi manca.
    Quanto a noi e ai nostri risvegli mattutini ( o ai saluti sul treno che comincia a cigolare)…resta l’attesa, la voglia di ripeterli.
    A Miriam e a tutti: spero di rivedervi presto.

  118. Ogni incontro può essere incisivo per la propria vita; sarà per questo senso strano, che ci prende dal momento in cui decidiamo di volerlo, che proviamo nervosità.
    È l’incertezza su come andrà a finire che ci invade; anche un incontro tra amici virtuali crea questi effetti, che cerchiamo di superare o meglio nascondere, mostrandoci allegri e felici.
    Eppure, dietro questa maschera agisce il timore di non risultare abbastanza attraente, interessante, abile ad ogni discussione che possa sorgere, per non dire splendido, accettato sì, ma forse solo per cortesia.
    Già nel prendere posto, sentiamo l’imbarazzo della scelta; affianco a chi sederci, quando non ci conosciamo realmente. Per lo più ci affidiamo al caso; è sempre lui che decide su tutte le nostre scelte, anche quando crediamo di averle fatte noi.
    Finalmente, seduti e preso il primo bicchiere di vino in mano, brindiamo e scambiamo gli auguri e i sorrisi.
    Di solito, la tensione, creata dall’attesa, si rompe in una risata collettiva, che vuole invitare tutti a continuare e mostrare il meglio di sé.
    Queste sono le mie prime impressioni che m’invadono, osservando i vostri visi belli ed allegri.
    Le amiche già sorridenti, mentre gli amici ancora riservati ed aspettanti, come se non sapessero che starebbe a loro d’incominciare l’approccio, ma i tempi delle cortesie iniziali dell’uomo sembrano passati, tanto si sono emancipate le donne, da poter e voler assumersi il ruolo che apre alle dimostrazioni di simpatia e interesse.
    Il ruolo è oggi neutro, chiunque può assumerlo e sperare in un fine gradito.
    Alla fine, i visi mostrano i segni del risultato dell’incontro, che ritengo sia stato bello e felice, osservando il loro aspetto sazio ed appagato.
    Unanimi sono le affermazioni del congedo: ci rincontreremo, e già diventati anche amici reali, non proveremo le incertezze e gli imbarazzi iniziali.
    Eppure, sono proprio loro che rendono ogni incontro un’avventura, da volerla vivere e godere, a volte anche fino in fondo.
    Pur lontano, vi ho immaginato vicini e provato un po’ d’invidia, davanti ai vostri sguardi gioiosi e sereni.
    Saluti
    Lorenzo

  119. Ringrazio Salvo Zappulla e Sergio Sozi per la solidarietà e per aver postato il mio articolo. Ci tengo a dire che ho le prove documentate di ciò che affermo, infatti la mia tesi di laurea è regolarmente depositata all’Università degli Studi di Sassari fin dal lontano 28-06-1999. Ho contattato diversi giornali, ma finora soltanto “la voce dell’Isola” ha avuto il coraggio di pubblicare il mio articolo. Oggi mi sono sentita rispondere da un giornalista sardo che basta una telefonata da parte di chi conta al direttore di un giornale per evitare che un articolo venga pubblicato. Mi piacerebbe molto che la storia del plagio letterario di cui sono stata vittima, si sapesse a livello nazionale, come dice anche Sergio Sozi, anche perché non penso di essere un caso isolato nell’università italiana. Queste cose avvengono, complice il silenzio di chi subisce e pensa che sia meglio stare zitti. Io credo invece il contrario, credo anche che l’informazione oggi non sia libera (tranne alcune rare voci coraggiose) e che il direttore di un giornale che si lascia influenzare dalla telefonata di chi conta, non faccia informazione ma deformazione… Forse sarebbe meglio che cambiasse mestiere…

    Maria Antonietta

  120. Caro Massimo,
    ben volentieri. Naturalmente ci conto, e Sergio non è poi così lontano da poter mancare.
    Lorenzo

  121. Cara Maria Antonietta,
    grazie ma non c’e’ niente da ringraziare: appena ho letto il tuo articolo sulla Voce dell’Isola ne ho parlato semplicemente perche’ io ho un’idea della giustizia, della legalita’ e del merito che in Italia pochi hanno – concretamente non solo a mezze parole. Salvo come me e anche il direttore del suo giornale – quest’ultimo direi anzi in primis. Un vero direttore, non un pagliaccio.
    Che cosa strana, dico ora riflettendo al di la’ del caso in questione: in Italia tutti fanno politica e alzano la voce sui principi da rispettare, ma la giustizia, l’onesta’ e il riconoscimento dei meriti spetta solo ai giudici. Forse sarebbe il caso di promuovere una moralita’ popolare e nazionale migliore. A cominciare da chi insegna a scuola, magari…
    Sergio Sozi

  122. P.S.
    Una cosa del genere – anzi una cosa esattamente come la tua – se fosse successa in Slovenia avrebbe decretato quanto meno la morte civile di chi l’abbia causata. In Italia…

  123. Arrivo in ritardo e scopro di essere stata vista dolcissima e tenera come una mamma che sorveglia il passaggio adolescenziale… di chi? Non di Enrico, vi prego. Lui l’adolescenza la ricorda solo se effettua una ricerca paleontologica con carotaggio esplorativo al di sotto della siepe di incolti capelli che gli corona la cervice.
    Comunque: Carlo S. si e’ sbafato un piatto di carne cruda e ha avuto miraggi di ghiaccio che poi era cellophane. Miriam, elfica creatura del Resegone, guardava Enrico con occhio da ecoscandaglio e mi meraviglia che possa averlo trovato bello. Simona ha disonorato Roma ordinando una finta caprese, senza neanche la mozzarella di bufala. Evento mi ha seguito a ruota nell’assaggio di una indicibile pizza alla Giudia che affiancava mozzarella e acciughe a foglie di carciofo imbevute di limone (esperienza da non ripetere). Silvana ci guardava un po’ tutti come si chiedesse se c’eravamo o ci facevamo. La dolcissima Riccioli era un sorriso smagliante che ha illuminato la serata. Mancava Massimo, come sempre. Mancava Gea, che avrebbe tenuto brillantemente testa alle derive porno di Enrico e Carlo. Mancava Loredana che avrebbe orripilato di fronte allo scempio della cucina romana compiuto nel ristorante che Carlo aveva scelto per tutti noi. Per inciso, la pasta dal nome impronunciabile, consumata da Enrico e Miriam (il cui appetito non e’ elfico quanto l’aspetto) e’ rigatoni alla gricia. Una versione senza pomodoro della matriciana. Roba da muratori o scaricatori di porto, insomma.
    E adesso vado a vedere le foto.
    Laura

  124. Ma porca troia. Uno si alza la mattina in grazia di Dio con l’unico obbiettivo di dare un’occhiata alla posta e si ritrova davanti agli occhi delle immagini destabilizzanti. Miriam che descrive Simona dicendo “un corpo flessuoso e al tempo stesso forte, imponente di volontà, come il suo carattere. Boschiva come una bestiola che osserva il “suo” bosco”.
    Nonostante il recente risveglio come si fa a non sogghignare domandandosi di quale “bosco” parli Miriam? E andiamo, no!
    @ laura:
    grazie, sei un amore. scavando nei miei ricordi come un archeologo e giungendo quindi alla mia adolescenza, ti certifico che manco a 13 anni sarei caduto nella trappola della pizza alla giudia. Appena te l’hanno portata mi sembrava un piattello che si usa per il tiro a volo.
    I rigatoni alla gricia, invece, saranno stati impronunciabili ma erano mangiabili. Miriam, furrba oltre che dotata di elevatissimo senso estetico, mi aveva premesso “io mangio quello che dici tu”. E, assaporando la pasta, è stato l’unico momento in cui non ha detto parolacce.
    🙂

  125. Enrico!
    Tu pensi sempre “male”! Bosco, perché la stanza era semibuia e noi quattro sembravamo “bestiole” accucciate nelle tane di letti bassi coperti da voluminosi piumini; infatti faceva caldo! Poi Simona si è tirata su con un musino così improbabile…che il trucco invece nasconde…
    Pensa a Roma! A Milano tutti piangono….
    🙂

  126. @ silvia
    se io ci fossi stata, mi saresti mancata.
    ma siccome non c’ero non potevi mancarmi, e così mi sono mancati gli altri.
    credo.
    non so.
    mi sono incartata.
    forse mi manca una rotella
    🙂

  127. @ Silvia
    Quando letteratitudine diventerà internazionale (e ci sto seriamente pensando… non scherzo) organizzeremo un megapicnic al Central Park di New York City.
    Sergio Sozi lo fermeranno al confine. Ma pazienza!
    🙂

  128. @ Enrico…veramente mi hanno detto che:
    è bella,
    è simpatica,
    è intelligente e…
    ti tiene magnificamente testa….
    (indovina chi me l’ha detto)

  129. è bellina

    è (talvolta) simpatica

    è intelligente quanto modesta. infatti che sia intelligente non vuole che se ne accorga nessuno

    le do l’illusione di tenermi testa
    (possono avertelo detto gea quanto laura. due visionarie)

  130. Che questo piccolo lazzaro partenopeo vi odi è un fatto che potevate acclarare subito, dalla bellezza dei vostri commenti: vi odio!
    Sono geloso, volevo essere con voi!
    Per fortuna non c’era la fascinosa slavata tiestina e la conturbante Cucinotta de’Noantri, meglio!
    La verità è che i vostri commenti hanno fatto letteratura e hanno buttato gli assenti nella melanconia.
    @Massimo,
    New York no! Ti prego, già non ce la faccio a pagarmi il biglietto per Roma!
    A proposito di Roma. Ha vinto Alemanno, viva Alemanno!
    E basta! Sono caduti i muri, Franesco Rutelli si trovi un lavoro, o quantomeno dia una mano a Brunone Vespa quando deve aprire la porta alla moglie Palombella (rossa).
    Il fatto che vi adori non vi deve deprimere, Caligola fece senatore…

  131. Mugger,
    questa non l’ho capita: chi e perche’ dovrebbe fermarmi al confine (proprio adesso che hanno tolto il posto di blocco a Rabuiese e dunque si passa a cento all’ora)?
    Aaaah… ho capito: i sicari degli editori italiani mi tenderanno un agguato ad portas…

  132. Beh, Silvia e Gea sono mancate anche a me. E pure Zauberei e l’altra metà di laura (Lory). Didò ce lo vedrei pure bene e se non riesce a comprarsi un biglietto potrebbe sempre dirottare il suo autobus. Poi può sempre dire che sono stati i Rom di Al Queda (oggi basta parlare male dei Rom che se le bevono tutte).
    Quanto a Central Park mi pare bello ma un pò azzardato. A meno che i biglietti non li paghi Massimo; chi si offre per l’albergo? Io potrei portare la birra (e tutt’al più l’apribottiglie). Meglio ridimensionarsi su Villa Pamphili?

  133. Ma no Sergio, la battuta è semplice.
    Sono gli americani che non ti fanno entrare e ti bloccano al confine, dato che dici peste e corna della loro letteratura recente:)

  134. …eggia’, Massimo, m’ero dimenticato il mio barocco costume di scena da Antiamerikano. Allora propongo un incontro a Zagabria! Li’ ancora non ho rotto le cosiddette a nessuno – ma l’idillio durera’ poco anche li’, che sto partecipando ad un concorso croato.

  135. Forse in Sardegna, che ne dite? Niffoi mi piace e non l’ho ancora stroncato… anche perche’ mi sembra bello corpulento e… insomma… cave canem, Sozzuccio…

  136. Qualora vi fosse sfuggito, vorrei rammentarvi che l’unica volta che zauberei è stata a cena con noi avevamo scelto un bel localino nei pressi della fontana di trevi. ricevemmo da lei una telefonata nel mentre che si era persa in via del corso. per una che vive a roma non è male. è come se un milanese al quale viene dato appuntamento al duomo finisce annegato nei navigli.
    riterrei, dunque, che se l’appuntamento fosse a Times Square dovremmo chiedere a Bush di far alzare in volo i Tornado per andarla a cercare tra le montagne di Tegucicalpa.

  137. @ Carlo…lo so che so’ cecata. Non ricordarmelo. Però devi ammettere che averti riconosciuto dalla voce più che dalla sagoma (ahimè, da lontano, indistinta) è più interessante.

  138. @ simona:
    una bella, brava e intelligente come te avrà certamente risolto il dubbio.
    (dopo quello che hai detto sul mio libro, questa raffica di cazzate è il minimo che posso sparare)
    🙂

  139. Enrico, Simo è bella, brava e intelligente. Ha il solo difetto di essere troppo indulgente nei giudizi dei libri degli altri (mica in tribunale!).
    Peraltro mi ha confidato che durante il viaggio in treno, in un momento di stanchezza, ha gettato dal finestrino un libro di cui aveva letto solo le prime dieci pagine.
    Non conosco il titolo, so solo che aveva la copertina gialla.
    🙂
    (la faccina è solo per accompagnare l’immagine del libro che vola dalla finestra)
    😀

  140. @ Massi…non dovevi dirglielo!
    Però mi sono lanciata dal finestrino per recuperarlo…
    Digli invece di quando in tribunale ho abbracciato e baciato un tizio che non conoscevo scambiandolo per un amico.

  141. @ tutti
    Il nostro capitano è arrivato ultimo solo perchè preso dal motto: prima le donne e i bambini!Io e la Riccioli abbiamo abbandonato la nave per olfatto: dall’odore dovrebbe essere qui! Terraaaaaa…..
    🙂

  142. @ simo:
    ma gli occhiali proprio no?
    mi ricordi mia madre. cecata come una talpa ma rigorosamente senza occhiali.
    una volta, sull’autobus, chiese di acquistare il biglietto a un ufficiale della marina che lei ovviamente aveva confuso col bigliettaio.
    un’altra volta salì in una macchina che nulla aveva a che vedere con quella di mio padre. si accomodò sul sedile del passeggero e disse al guidatore: “annamo”
    e quello risposi: “sì, ar manicomio!”

  143. @ Simo e Enrico
    Allora… Simo si è lanciata dal finestrino per recuperare il libro. Ma solo per farlo a pezzettini. Lei è una persona molto sensibile: aveva paura che qualcuno lo trovasse.

    Sì, è vero Enrico. Una volta Simo, in tribunale, ha abbracciato e baciato un tizio che non conosceva scambiandolo per un amico.
    Ci siamo conosciuti così.
    8)
    E portavo gli occhiali da sole
    🙂

  144. @ simo
    consolati.
    io una volta per la strada ho urtato inavvertitamente una signora.
    mi sono profusa in scuse, e questa mi ha guardato e mi ha detto:
    ”ma sei scema?”
    era mia madre.

  145. @NOOOOOO…gli occhiali mi fanno girare la testa.
    E poi vuoi mettere la differenza? La persona che ho scambiato per un amico non mi ha più mollata, è vero, ma mi regala i ciccolattini. Un colllega al quale ho una volta detto : nessuno scrive bene come te, scambiandolo – da lontano – per un assistente d’udienza , si è convinto che redige le migliori sentenze del tribunale e mi offre il caffè.
    Alcuni avvocati mai visti nè conosciuti ma trattati da me con familiarità (credevo di averli già incontrati) mi aiutano a portare i fascicoli in macchina….
    Non va così male.

  146. @ simona:
    io ricordavo “l’amore è cieco” e “la giustizia è uguale per tutti”. ora che ti ho conosciuta cambiano le prospettive e dunque “la gustizia è cieca” e “l’amore è uguale per tutti”….quasi sempre una cazzata.
    🙂

  147. @ Simo
    Scusa Simo, ma se quella tizia che mi ha abbracciato e baciato in tribunale, scambiandomi per un amico, non eri tu… chi era?
    Ti prego… non mi dire che era la furbacchiona che vende i numeri per le giocate al lotto.
    😉

  148. Comunque, a parte un precario senso dell’orientamento, la Simo soffre anche di una contaminazione barocca, che la rende incline ad interpretare creativamente ogni indicazione. Non è una questione di vista. Ghirigori organizzativi che alla stazione termini ho stroncato sul nascere: niente Mc donald, ci vediamo al binario 6, SOTTO IL CARTELLONE!!!!!
    Ciao Simo, perdonaci!!!!
    🙂

  149. @ Massi…avrei preferito che fossi stato tu!
    @Miriam: però alla fine sotto il cartellone ti ho trovato!
    @Evento: salvami.
    @Enrico: non passi mai dal tribunale? Vieni, ti scambierò volentieri per un imputato.

  150. Evento promette cose… e poi sparisce. Massimo le rinvia direttamente a domani.
    E noi, con quest’ansia che ci attanaglia, potremo mai dormire così questa notte?

  151. @ Lucia Riccioli:
    ma dove sei finita, non dire che devi correggere i compiti!!!!! Stai cantando???

  152. La presentazione è andata al di là di ogni ragionevole aspettativa. Al mio arrivo mi hanno cosnegnato una brochure contenente il saggio che avrebbe accompagnato tutti gli interventi già distinti per voce narrante. I passaggi erano cadenzati dale poesie di maria lucia e attraversando acqua, terra, fuoco e aria si percorrevano le parole del libro ed i relativi brani. Il tutto sottolineato da una sublime scelta di immagini proiettate. Le signore erano tutte molto eleganti ed affascinanti ed hanno interpretato magistralmente il loro ruolo. I presenti erano tutti scrittori affermati o aspiranti. A fine presentazione sono state distribuite delle bustine con delle parole chiave, prese da libro, con le quali fare le domande o commentare.
    Un evento unico !
    p.s.
    Simona è bella e brava e ci vede benissimo. Quando sono arrivato è venuta subito a salutarmi sulla porta.

  153. Luigi è stato bravo e preparato. Ha risposto puntualmente ad ogni domanda e coadiuvato da simona ha condotto magistralmente la serata che sembrava non volesse finire. Pensate che i presenti hanno voluto aprire tutte le bustine ed usare tutte le parole proposte. Vorrei rimarcare la magistrale interpretazione di Silvana il cui accento siciliano è magicamente scomparso lasciando il posto ad una lettura quasi teatrale.
    A fine presentazione, allietati dai pasticcini, abbiamo preso qualche copia del libro che luigi ha voluto dedicare personalmente con pensiero e firma.
    Per circa due ore sono stato in un “altrove” difficilmente ripetibile
    p.s.
    a’nvidiosi !

  154. ECCOMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!
    Scusate se mi sono fatta aspettare come le diuine, ma ho avuto problemi a passare dalla poesia delle serate romane alla prosa quotidiana…
    Roma è stata una boccata d’ossigeno culturale, una bella occasione per stare assieme alle care Simona e Silvana e… la possibilità di conoscere mezzo blog dal vivo!
    Come Agatha Christie, la sorpresa a volte su di me ha un effetto paralizzante e temo di non essere riuscita particolarmente brillante, ma la serata trasteverina è stata veramente piacevole. Miriam è uno scricciolo tutto arte e sorriso, veramente, la sua voce è decisa e nello stesso tempo molto dolce. Anche Laura mi è piaciuta tanto: ironica e garbata quanto gentile. Gli uomini: Carlo S., ovvero la voce da basso dei professori verdoniani, che ci scrutava forse in attesa di scagliarci contro la matita da caricaturista… Pasquale, che verrà a Marzamemi in estate, “sudista” come noi, simpatico e anche lui gentilissimo – alla presentazione non solo ci è venuto, ma ha fatto da fotografo ufficiale! – e poi lui, il Greg nazionale, che ci ha deliziati con aneddoti su Rino Gaetano e Barillari e si è prodotto in sproloqui romaneschi come un Totti della battuta all’Olimpico…
    A quando la prossima?
    Segue…

  155. “La presentazione è andata al di là di ogni ragionevole aspettativa. Al mio arrivo mi hanno cosnegnato una brochure contenente il saggio che avrebbe accompagnato tutti gli interventi già distinti per voce narrante. I passaggi erano cadenzati dale poesie di maria lucia e attraversando acqua, terra, fuoco e aria si percorrevano le parole del libro ed i relativi brani. Il tutto sottolineato da una sublime scelta di immagini proiettate. Le signore erano tutte molto eleganti ed affascinanti ed hanno interpretato magistralmente il loro ruolo. I presenti erano tutti scrittori affermati o aspiranti. A fine presentazione sono state distribuite delle bustine con delle parole chiave, prese da libro, con le quali fare le domande o commentare.
    Un evento unico !
    p.s.
    Simona è bella e brava e ci vede benissimo. Quando sono arrivato è venuta subito a salutarmi sulla porta”………………………….
    ……………………….. e noi, come coglioni, a Parigi!
    🙂

  156. Enrico e Laura: radiosa, smagliante sorriso… quasi quasi ci credo!!!
    🙂
    Comunque è vero: Laura è una spalla consapevole del Greg, il quale non sarà l’Apollo del Belvedere ma ha un fascino stropicciato oltre che sboccato… ed ha un fondo malinconico negli occhi. Quando ha detto che i giornalisti, in fondo, sono tutte ballerine mancate, mi ha commosso. Mi capita tutti i giorni almeno una volta di sentirmi così.
    Ti leggerò, come sto facendo con il libro che Pasquale ci ha gentilmente regalato… sono alle prime pagine ma già mi ha presa!
    Miriam al solito ha descritto tutto poeticamente. Io posso dire che serberò questa trasferta nelle cartelle più preziose della memoria…

  157. Sergio, hai visto su “La voce dell’isola”? C’è la tua intervista e pure quella che io ho fatto a Luigi La Rosa e la recensione a “L’alfabeto dell’amore” scritta da Simona…
    Letteratitudine impazza!!!

  158. Si’, Maria Lucia, grazie. E ho gia’ letto anche la vostra bella pagina su Luigi La Rosa. Sta tutto segnalato qua sopra. Adesso bisognera’ fare un’intervista perfida a Salvo… eh eh eh… ammo’ ce penso io! Voi due pero’ suggeritemi domandine velenose!
    Bacioni anche a Simona
    Sergio

  159. @Maria Lucia
    ciao, buonagiornata e occhio….(non più di due!). Enrico, risparmia la battuta; ci stiamo riferendo ad altro.
    Anche per me è stato bellissimo conoscerti. Baci e buona scuola

  160. IL FANTE DI PICCHE

    I sogni nel cassetto degli aspiranti scrittori sono spesso destinati a rimanere per sempre nascosti la dove sono stati riposti, magari dopo qualche timido tentativo di trovare una strada per la loro pubblicazione.

    Se però il vostro sogno è quello di pubblicare un giallo o un noir, una serie di racconti polizieschi o un libro di spionaggio, l’evocazioni di delitti celebri o la ricostruzione di famosi od oscuri delitti del “potere”, allora ci potrebbe essere per voi una possibilità.

    La libreria on line
    http://www.ragioncritica.it
    che porta direttamente a casa dei lettori il libri scelti dai cataloghi di alcune selezionate e prestigiose case editrici ,sta preparando alcuni “scaffali” per mettere in vendita opere prime di autori selezionati da “Bietti Media” ,una casa editrice che vende libri solo on-line tramite questa libreria.

    Bietti Media intende dare vita ad una nuova collana che selezioni e stampi libri che rientrino nelle categorie narrative sopra indicate e vi offre di partecipare al concorso “Fante di picche” , che in caso di vincita reclamizzerà a migliaia di potenziali compratori i i vostri libri.

    Bozza di REGOLAMENTO

    1- Il romanzo deve essere di genere noir-giallo-poliziesco-thriller ecc nel senso che l’atmosfera del libro contenga elementi di mistero che lascino comunque il lettore col fiato sospeso ,fino alla conclusione delle vicende narrate. Non c’è pertanto assoluta necessità di azione drammatica. L’importante è la “suspence”, il senso di inquieta attesa che coinvolga chi ne scorre le pagine, lo stimolo ad intuirne in anticipo gli sviluppi ed i ruoli finali dei personaggi.

    2- Le opere non devono superare le 180 cartelle formato 35 righe da 55 battute. I romanzi che supereranno questa lunghezza verranno ignorati.

    3- Le opere devono essere inedite.

    4- Le opere dovranno pervenire alla libreria Ragion Critica in formato Word tramite mail a :info@ragioncritica.it e cpc a
    info@bietti.it
    farà testo per il ricevimento la mail di risposta.

    Sarà comunicata l’accettazione delle opere alla selezione finale di tutto i testi che verranno ritenuti conformi da una apposita commissione nominata dalla Bietti Media. il cui parere è inappellabile ,entro il 30 settembre 2008

    Tra le opere selezionate verranno scelti i vincitori per ogni singola categoria letteraria in cui sarranno divise le opere pervenute da una giuria nominata dalla libreria
    http://www.ragioncritica.it .

    5- Il limite di tempo entro il quale i testi devono pervenire è il 30 luglio 2008, e tale data ravvicinata è stata espressamente scelta proprio perche le opere devono già essere in possesso degli scrittori:opere appunto nel cassetto ,che al massimo necessitano di una ultima revisione in occasione del nostro concorso.

    6- I libri inviati non si restituiscono

    8- I primi tre classificati, per ogni categoria, saranno pubblicati dalla Bietti Media e messi in vendita nella libreria on line
    http://www.ragioncritica.it
    e agli autori verrà riconosciuto il diritto d’autore nella misura del 7% del prezzo di copertina .

    9-al primo classificato in assoluto, vincitore del premio Fante di Picche , oltre al contratto per la vendita on-line verrà offerto un contratto di edizione per la distribuzione in libreria.

  161. @ Enrico
    “Il fante di picche” è una carta che mi piace
    🙂
    Scherzi a parte, in bocca a lupo a “ragioncritica” per questa iniziativa che ci hai cortesemente segnalato.

  162. @ Maria Lucia
    Ehilà!
    Simona mi aveva detto per telefono che Miriam pronuncia il mio cognome Màugeri anziché Maugéri.
    (Anzi, dalle mie parti dicono Mauggéri)
    Quando me l’ha detto mi sono sbellicato dalle risate.

    Ma come parli… Miriàm Ravasìo!!!
    🙂

  163. buon primo maggio, gente.
    a chi il lavoro non ce l’ha.
    a chi ce l’ha e non arriva alla fine del mese.
    a chi marcia a contratti trimestrali.
    a chi è in nero perchè è nero.
    a chi è in nero perchè sì.
    a chi all’assunzione ha firmato dimissioni in bianco, giusto in caso.
    a chi è uscito un mattino ”stasera vi porto le figurine” e le aveva in tasca quando è venuto giù dall’impalcatura.
    buon primo maggio.

    http://www.youtube.com/watch?v=W2WftACqqZs

  164. @ gea:
    grazie!
    I primi maggi forti, impressi nella mia memoria, indelebili, sono quelli che mi vedevano bambina in corteo con il papà. A Bergamo, Como o Milano con i cartelli piccoli e “tristini” (l’aspetto era triste ma le parole no: Pace e Lavoro!). Loro, i lavoratori, tutti eleganti alla Cary Grant (vedi 54 dei Ming), vestito a giacca, camicia bianca, cravatta rossa e il “vittoriniano” garofano all’occhiello. Capivo poco, ma mi guardavo attorno attenta e curiosa. Alla fine della manifestazione si andava al bar: calici per loro e i primi sacchetti di patatine per noi, la futura generazione.
    Non dilunghiamoci sulla Pangea che ha dato forma al Nulla: tutto è cambiato, io odio dietrologie e niente è confrontabile. Erano i tempi di Guareschi, quelli che appena dopo sarebbero stati travolti dall’organizzazione dei consumi.
    Prima, in bagno, dove la radio è stazionata fissa su Radio Pop di Milano ho riascoltato una versione svedese dell’Internazionale: ti ho pensato immaginando un nostro coretto. Dalla Maremma Amara a Cara moglie, Sciur padrun per finire con Bertelli: perché noi vogliam la terra…..
    Baci, Miriam

  165. @ miriam
    mio padre era un professionista, e la sua divisa era giacca e cravatta. nei giorni liberi niente lo smuoveva da jeans e maglione (fin dai tempi in cui i jeans li compravi nei negozi di abiti da lavoro..), tranne il primo maggio, giorno in cui, per corteo e festa dell’unità a seguire, era sempre elegantissimo. ”è una questione di rispetto”, diceva.
    ps
    in bagno???
    😀

  166. Sì, in bagno ascolto Radio Pop o Radio Radicale, ma è solo per una questione logistica; le frequenze sono stabilizzate in quelle due postazioni….così mentre mi lavo di denti ritorno agli antichi amori. A Radio radicale, al mattino, ascolto la rassegna stampa (mi piace Massimo Bordin) e, se capita, qualche frammento del Requiem…
    Torno alle mie immagini…
    🙂

  167. Prima, nel sistemare le carte ho ritrovato alcune annotazioni, una, su la “Storia della bruttezza” di Eco e un’altra tratta da un articolo di Angela Vettese sul Sole 24, che riporto.
    “Ieri l’arte celebrava il brutto morale, oggi celebra il brutto di se stessa” (Eco)
    “La grande arte del passato ci deve indurre a pensare ai nostri limiti” scrive Vettese a proposito di una mostra organizzata al Louvre dall’artista fiammingo Jan Fabre, che interagendo con Rubens e altre opere del passato, si pone, appunto, il quesito del limite. Riflettendo sugli appunti, sono andata a ripescare le immagini dell’Ara Pacis, prima e dopo l’intervento di Richard Meier, oggi, oggetto di discussione. Pongo qui su Letteratitudine la mia domanda, e mi rivolgo soprattutto ai romani: al di là dei contesti politici, sinceramente, che cosa ne pensate?
    Personalmente, c’è stato nella mia vita, un periodo d’amore e fascinazione per il razionalismo, poi rivisto, perché quel tipo d’architettura chiama spazio, luce e silenzio; è una architettura paradossalmente scultorea e poco umana perché piena di sé, esibizionista e indiscutibile. Una rimozione della “teca” mi vedrebbe favorevole, però io dal vivo non l’ho vista!
    E allora, chiedo a voi…..

  168. @ miriam:
    quella specie di urna trasparente dentro la quale è stata seppellita l’Ara Pacis è un piccolo eco-mostro. Innanzitutto stona in maniera straordinaria con tutta l’architettura circostante. E’ un po’ come applicare lampioncini veneziani al Colosseo. Tra l’altro mi piacerebbe sapere se fosse davvero necessario rivogersi a un architetto americano per realizzare “un’opera” del genere.
    Ma al di là dell’infelicissimo impatto estetico, io devo ancora ascoltare l’opinione di qualcuno che sia riuscito a visitare l’Ara Pacis con comodità e conforto logistico.
    Io ci passo davanti spessissimo e ogni volta immagino me stesso armato di bazooka come Rambo per far saltare in aria quel monumento alla stronzata.

  169. Io ho visitato l’ara pacis dopo la “teca”. Condivido il punto di vista di Miriam (peraltro sono riuscito a trovare piacevoli certe architetture di Helsinky e di Oslo – anche se non tutto – nel loro contesto spaziale e di complementarietà architettonica) e quello di Enrico. Più di tante parole mi piace riportarvi una sensazione: ho trovato gradevole la “teca” dall’interno. Esternamente non si può guardare. Amo le commistioni, non gli oltraggi.

  170. Io sotto ci parcheggio la vespa quasi tutte le mattine. Ma credevo fossero i cessi pubblici.

  171. x Evento: all’interno si salva la luce; ma è come auscultarsi i battiti con lo stetoscopio, dopo aver fatto l’amore…. meglio prima
    x Enrico: ho visto foto e plastici, bastava un geometra. Ma, la questione è che parte l’architettura contemporanea non si è ancora liberata da Le Courbusier e guai a parlarne male! Per la tua “felicità” riporto l’estratto di un suo pensiero: Ciò di cui ha bisogno l’uomo medesimo è una cella monacale, bene illuminata e riscaldata, con un angolo dal quale contemplare le stelle…
    E concludo, con Alain De Botton (da Architettura e felicità) Gli agglomerati progettati da Le Courbusier a Parigi sono oggi “terre desolate dalle quali i turisti distolgono lo sguardo, confusi, inorriditi, increduli, quando entrano in città. Prendere un treno di superficie per andare nel più violento e degradato di questi quartieri significa comprendere tutto ciò che Le Courbusier aveva dimenticato dell’architettura e, in senso lato, della natura umana”.
    x Carlo
    forse, il lato positivo delle ultime elezioni è proprio questo: osare, mandare a quel paese quello che davvero non ci piace. O, almeno, coglierne l’occasione.
    ciao a tutti.

  172. – Massimo
    Ehm
    Una volta mi invitarono a pranzo der mi primo fidanzato. C’era la sua mamma e il suo papà. La prima volta con i genitori!
    Un pranzo molto formale
    La mamma aveva fatto una pastasciutta squisita!
    E che ce posso fa se era squisita?
    e che ce posso fa se sono un po’ impedita in fatto di proprozioni?
    Ecco, io mi feci un bel piattone di codesta sofisticata pastasciutta.
    Dopo di me il fidanzatino: no’ spaghetto
    Dopo il fidanzatino, la madre: mezzo spaghetto.
    Dopo ir padre.
    Nada.
    Imbarazzante.

    Da allora sono diventata una persona educata e questo sono solo calunnie.
    🙂

  173. Ao’! Li spaghetti so’ li spaghetti, Zau! Loro ce tentano e noi… artro che boneducazione. Chissenefrega, direbbi io.
    Piuttosto nun capisco propio perche’ te ostini a mette l’articolo romanesco maschile singolare ”er” sottoforma de ”ir”. Ciofattocaso, sai?
    Ciaobbella
    Sergio

  174. P.S.
    Zau, vedi… c’e’ un sadico protocollo che permette alle mamme dei futuri sposi di fare porzioni biafrane per mettere alla prova le sonore ipocrite che esse credo di vedere al desco in occasione di cerimonie familiari come quella che hai declinato tu col ”mezzo spaghetto”. L’aveva fatto apposta lei, la megera, credimi, Zau: in una vera trattoria si servono piatti colmi a tutti, ovvero zuppiere ben ricolme, mica… eh! Mica roba da ballerine anoressiche!

  175. @ Miriam
    Grazie per sollevato la questione “teca” utilizzando questo spazio.
    Brava! 🙂
    Non intervengo solo perché non sono preparato sull’argomento. Ho appreso qualcosa di più leggendo i commenti degli amici romani.

  176. @Zau
    La famiglia der tuo primo fidanzato avrà cucinato benissimo ma magnava proprio malissimo. Secondo me erano tristi.
    Credo tu non abbia perso molto.
    Spero per te che quella der tu sposo attuale sia meglio.
    Ad strafogandum

  177. A proposito di architettura, Roma e costruzioni, ho appena visto Report: aiuto!!!! Non che a Milano le cose vadano meglio, ma il PRG della capitale fa veramente impressione.
    E sempre sull’argomento “L’architetto cala sulla città il suo mantello per garantire che sia alla moda”, vi segnalo la pag. 45 del Sole di oggi (inserto) con la recensione del libro “Contro l’architettura” di Franco La Cecla ed. Bollati Boringhieri.
    Ciao

  178. Eh, cara Miri, l’ho visto anche io.
    La trasmissione della Gabanelli è quello che intendo per servizio pubblico.
    Il dramma è che ci indignamo, ci incazziamo anche un pò; ma poi gli stessi amministratori vengono rivotati, passano dal Comune alla Regione, dalla regione al Parlamento, e così via.
    La nostra è la Repubblica dei furbi (i privati) e degli incapaci (i pubblici).
    Ho una grande voglia di emigrare. Mio fratello vive da 25 anni in Canada e non ha la minima voglia di tornare qui.
    E lo capisco.

  179. Nei prossimi giorni presenterò i nuovi romanzi di Francesca Mazzucato e Dacia Maraini.
    Entrambe le scrittrici dovrebbero partecipare al dibattito.
    Conto naturalmente sul vostro aiuto per moderare e animare le discussioni.

  180. @ Carlo
    Non è più nemmeno una questione di amministratori che dovrebbero essere rimossi per sempre e allontanati da ogni cosa pubblica, è una questione di gusto sociale e collettivo. Hai visto la differenza delle case francesi e spagnole, il loro insieme urbanistico rispetto a Roma? Qui si costruisce il degrado, si celebra l’effimero, si tradisce l’Uomo e la sua possibilità di vivere nell’armonia di uno spazio. Che senso ha curare ossessivamente il corpo, con tutto quello che sappiamo, e ignorare la vista, quello che l’occhio vede? Scrivere e non vedere? Aspettare al “sicuro” delle parole e della nostra sapienza che il mostro evacui su di noi i suoi escrementi? Che senso ha studiare se poi la cultura di un popolo non cresce? Non possiamo abbandonare il paese agli amministratori: l’Italia è nostra e il suo patrimonio è parte di noi. Bisogna parlare d’arte e d’architettura, far sì che questi temi diventino, fra gli scrittori e i “sensibili”, i più gettonati. Che siano noir, o romanzi d’amore, storici, fantastici, l’importante è che si parli del costruire, delle costruzioni, delle piazze, delle vie, degli archi, dei ciottoli, dei giardini. Individuiamo le azioni, su cui costruire le trame, per indurre il lettore (l’Uomo) a guardarsi sempre attorno, a cercare anche nell’insieme più agglomerato, l’armonia. A pretenderla!!!

  181. Miriam, mi intrometto sulla tua diretta a Carlo e
    ti do ragione, perché anch’io sono fissato sul passato.
    È in esso che ho impresso i miei sentimenti, i miei gusti, il mio sentirmi a casa.
    Fino all’età di cinque anni, vissi in un appartamento situato sul piano superiore di un edificio scolastico in un paesino del reggiano.
    Anni fa e durante una delle mie visite nella zona, volli rivedere se l’edificio ci fosse ancora o fosse stato alterato o addirittura demolito.
    Ritrovai la zona cambiata enormemente con le nuove costruzioni edilizie, a uso dei nuovi abitanti che sempre più numerosi preferivano l’aria sana della campagna.
    Trovai anche l’edificio scolastico senza alcune variazioni.
    Mi rividi piccolo e fantasioso correre sul giardino circostante la casa, sostare sotto l’albero, situato sul fronte principale dietro l’ingresso, per proteggermi dal sole e per ammirare il galoppare delle nuvole spinte dal vento forte.
    Ripensai ai soldati tedeschi nei momenti della loro occupazione, nemici per i più, mentre per me solo esseri in una guerra, già stanchi e avviliti per la durata della stessa, per vincere un qualcosa che non capivo ancora.
    Ero innocente e come tale non capivo come mai gli uomini dovessero combattersi, invece di aiutarsi per risolvere meglio gli altri più gravi problemi, che la vita stessa ci porta.
    I tedeschi erano gentili con noi, tanto che, vedendoci affamati, ci offrirono alla sera una minestra calda e del pane.
    Un giorno, vidi uno di loro legato al mio caro albero per essere punito di un misfatto del quale non comprendevo il senso; cosa avrà combinato mi chiesi, non è la guerra già una punizione grave per uno che abbia dovuto lasciare la sua casa e famiglia e rischi di non poter ritornare?
    Più tardi, i tedeschi se ne andarono e mio padre mi disse che fu una fortuna per noi.
    Non capendo il mondo degli adulti, mi rimase la bocca amara per la minestra che da quel momento sentii mancare nello stomaco, ma anche per la mancanza dei loro sguardi gentili che mi fecero sperare in una fine della miseria.
    Chissà, se il nuovo, che non sta con il vecchio, e che noi giustamente critichiamo perché offende il nostro senso emotivo, sarà un giorno altrettanto caro e domestico a coloro che sono cresciuti con lui?.
    Penso di sì, e così finisco, che l’aspetto architettonico e il senso del nostro gusto verso di lui devono crescere insieme e depositare i ricordi comuni come un pezzo di storia di vita, che non si può e non si vuole dimenticare.
    Saluti
    Lorenzo

  182. Non trovo una necessaria contrapposizione tra il passato e il presente, tra il vecchio e il nuovo. Se non fosse che il nuovo nel 90% dei casi (anche più?) è brutto. Spaventosamente brutto.
    E brutto secondo me equivale a stupido. Nel passato c’era una minore stupidità diffusa, almeno tra gli artisti, gli architetti, gli amministratori, i politici. Per questo c’era un maggiore gusto per il “bello”.
    In compenso oggi ci sono tanti furbi che grazie a questa stupidità imperante fanno tanti bei soldi.
    E a noi restano i nostri problemi.
    Di trovare casa, di pagarla, mantenerla, anche brutta che sia, in brutti posti, brutte strade, brutte piazze, brutti quartieri, privi anche dei servizi più elementari (come i pubblici trasporti, le fogne, il gas), brutte città.
    Perchè in Francia e Spagna non si può costruire se prima non ci sono strade e servizi? Qui si fa al contrario: prima i palazzi, poi per il resto verrà, basta che ci sia un progetto. Che qualcuno prima o poi lo realizzi (secondo quanto il progetto dice, poi, perchè raramente viene rispettato) è solo un’ipotesi.
    Che dobbiamo fare, andare a vivere nei musei?

  183. Il guaio dell’Italia è l’ignoranza, profonda, abissale. Prima però ci si vergognava di essere ignoranti, oggi è una qualità da esibire. La terra della bellezza – scusate il campanilismo, ma credo che tra bellezze artistiche e naturali il Padreterno e gli artisti abbiano voluto esagerare – è la terra dell’abusivismo, dei piromani, dei vandali.
    Vecchio e nuovo: prima c’era un’armonia nei rapporti tra costruzioni e natura. Le case erano inglobate nel paesaggio, non pugni in un occhio. Le Corbusier per me andrebbe cancellato dai paesaggi urbani e dai libri di storia dell’architettura. Ah, sono riuscita a scriverlo! A scuola, studiare il modulor mi dava un’angoscia indicibile!
    Scriviamo, leggiamo, ma cerchiamo di votare amministratori degni di questo nome.
    Ubi sunt?

  184. @ Lorenzo
    non sono contro il moderno, o l’arte contemporanea o l’architettura in genere, è che, come ha scritto Carlo, la maggior parte del nuovo è brutto. Gran bruttezza architettonica fu profusa durante il Boom; ancora oggi sono visibili, da noi, gli scempi, le follie di una “materia” che non aveva regole. Allora s’inventarono i PRG, si promulgarono leggi sull’edilizia convenzionata, popolare; i comuni si attrezzarono con gli uffici tecnici per intervenire, controllare e gestire quanto avveniva nei territori. E per un po’ tutto sembrò funzionare…fino a venti anni fa, fino a questa nuova ondata speculativa che si nutre d’arroganza, furberia, inefficienza e manifesta incapacità politica. Le leggi ci sono, gli uffici tecnici anche, eppure tutto ci sta sfuggendo. L’altra sera a Report di fronte alla bellezza stilistica degli insediamenti popolari (non case di lusso!!!) spagnoli e francesi mi disperavo: ma perché da noi no? Qui le imprese “disegnano” (massacrano) le città; là, in Francia e in Spagna, le imprese fanno le imprese: costruiscono, realizzano palazzi e quartieri progettati dagli uffici comunali, dal committente che decide il come il dove e il quando. E il prezzo degli appartamenti è stabilito dall’Ente pubblico!
    La struttura del centro commerciale di Lecco progettato da Renzo Piano è bellissima, in perfetta armonia con i monti, ma l’insieme dei negozi, un doppione di quelli presenti in città, è solo chiasso in più. Una splendida struttura con il piano terra pieno di cianfrusaglie.
    ciao, miriam

  185. Gia’… sono con Maria Lucia e Miriam. Oltre al problema dell’ignoranza, pero’, io aggiungerei anche quello del disinteresse per la cosa pubblica, che, finche’ riguarda un comune cittadino, e’ cosa riprovevole ma anche non troppo dannosa. Se invece a disinteressarsi della res publica e’ un funzionario statale allora cominciano i dolori: cittadini insensibili che nemmeno vengono controbilanciati da funzionari pubblici coscienziosi.
    La peggior ignoranza, inoltre, e’ quella che quasi nessuno sa come si viva all’estero, in Europa intendo. Allora molti credono che l’arroganza del Potere italiano sia come quella francese o tedesca. Invece no… almeno quasi mai.

  186. Celentano semplifica, lui è “rock”. Ad offendere l’Uomo sono sempre i soldi, i sistemi e gli interessi che generano. Architetti come star e che progettano inseguendo ispirazioni, si considerano liberi da responsabilità e purtroppo fanno scuola, trend. Su loro, più che sul loro lavoro, i giovani laureandi scrivono le tesi. “E’ noto il caso del padiglione progettato da Fuksas a Porta Palazzo a Torino. Di fronte alla richiesta dei commercianti che le porte fossero scorrevoli per consentire la fruizione alla folla che frequenta il mercato, l’architetto rispose che nulla deve turbare l’opera d’arte che lui ha concepito: le porte restano chiuse. A coloro che gli chiedevano di prevedere le tubature del gas per rifornire il ristorante panoramico al secondo piano, rispose che oggi la ristorazione si fa con le piastre elettriche. Risultato il Padiglione diventa inutilizzabile ai fini per cui era stato commissionato dal Comune di Torino” ( Franco La Cecla, Sole 24h) Fuksas è il nuovo santone dei salotti televisivi; Annozero, Che tempo che fa…. Perché?
    Hanno mai letto, “Lor Signori” il bellissimo libro di Ross King “La cupola del Brunelleschi”? Trattasi della cronaca puntigliosa degli anni, molti moltissimi, che impegnarono il grande artista (veramente grande) ad iniziare e completare la famosa cupola. Una ricostruzione minuziosa delle discussioni, dei veti, delle trattative estenuanti fra lui e la corporazione, fra lui e gli amministratori. E lui cocciuto, a prendere e mollare, per guadagnare tempo, e ad ubbidire ad altri incarichi; aspettare il passaggio dei poteri fra un amministratore e l’altro. Un continuo considerare le esigenze e rivedere il progetto; inventò un sistema di “servizi” e di protezione per i lavoratori addetti alla realizzazione dell’intercapedine fra la cupola esterna e quella interna. Alla fine furono tutti soddisfatti, lui per la sua scommessa costruttiva e gli altri, perché tutto si era svolto come doveva! Su questo libro, forse non si scrivono tesi.

  187. Io, dirò una bestemmia, non trvo la famigerata teca orrida. La trovo logisticamente idiota, ma esteticamente passabile. Mi piacciono questi insulti di commistione. Mi piace La piramide del Louvre, e mi piace il bellissimo Mart a Rovereto. Tuttalpiù trovo la teca un pochino priva di carattere. E in certe ore, per imboccare passeggiata di ripetta te devo portà er panino da casa.
    Aldilà della solita faccenda della relaitività del gusto, credo che questo paese abbia un bisogno forsennato di nuova arte e nuova architettura. Qualcos anche testimoni la capacità di investire su cose nuove, su nuove generazioni, su nuovi significati. In Italia si cmapa di rendita. Simbolicamente questo si correla in maniera molto forte con il mancato investimento su nuovi talenti, nuovi cervelli giovani che facciano qualsiasi cosa.
    Poi uno dice, i bambocccioni.

  188. La Piramide di vetro piace molto anche a me! Il grande spazio del Louvre consente e valorizza (si baciano vicendevolmente). Bellissimo anche il Mart (di Botta); mentre altre sue costruzioni…. vedi Campione… lasciano un po’ così…

  189. Carlo, Miriam, Sozi (in ordine alfabetico)
    Cosa ha cambiato il gusto dell’italiano? A Vienna furono architetti, muratori e impresari italiani a costruire una gran parte dei monumenti che i turisti oggi ammirano.
    Cosa ha spinto l’italiano a diventare mediocre. È un fatto riscontrabile non soltanto nel campo dell’edilizia, ma in altre attività della vita moderna.
    Non è che abbiamo perso quel senso dell’umiltà che ci caratterizzava e che ci rendeva originali e ingegnosi?
    La corsa al denaro ci ha spento la creatività geniale, espressa abilmente con la cura del decoro, dell’ornamento rispettante l’ambiente circostante.
    Rispetto quindi per la natura e la terra che ci ospita e che viene invece calpestata con noncuranza e disprezzo.
    L’Italia è un paese con enormi difficoltà ambientali, sia perché è troppo densamente popolata e sia perché negli ammassamenti urbani regge la primaria necessità di costruire molto, ma in fretta e con minimi costi.
    Per mio conto, ci siamo dati troppo facilmente a consumare i frutti di una prosperità economica mai riscontrata nel passato, senza tener conto che essa era il prodotto di una volontà generale sorretta ancora dalle virtù sane.
    È proprio nel momento di raggiungere il benessere che l’individuo dimostra la sua maturità di esserselo meritato; lo fa proseguendo sul percorso intrapreso e sostenuto con tenacia, disposizione al sacrificio, rinuncia all’appagamento della sua vanità e presuntuosità personale, possibile solo nel riconoscere l’importanza dell’umiltà per realizzare un qualcosa di straordinario che non richiede nemmeno molti soldi, ma solo l’ingegno della sua anima fertile e sana.
    Il problema risiede quindi in un insieme di fattori dipendenti tra loro e dominanti i punti chiavi dell’economia, della politica e del lavoro.
    Lo stile moderno è razionale, quindi pratico, ma è astratto, non affabile e invitante a imitarlo ed usarlo, con riguardo alle necessità dell’anima che ha bisogno di calore e protezione.
    L’industria edile ha fatto enormi progressi negli ultimi decenni, ma i nuovi prodotti sono sterili, lisci, freddi e quindi senza anima, nella quale la nostra psiche si trovi accolta e invitata a cercare il suo equilibrio e quindi a crescere sanamente.
    Proprio di questo avrebbe bisogno l’essere umano nell’era delle scoperte scientifiche esorbitanti che minacciano di allungare la sua vita per sostare in un mondo non fatto per lui.
    Cari saluti e ciao.
    Lorenzo

  190. @lorenzo russo
    Sto leggendo “I Barbari” di Baricco. Ne ha parlato anche in TV da Fazio domenica scorsa. La sua tesi non è peregrina: i barbari sono sempre arrivati introducendo il moderno e questo è nella legge della continua mutazione delle civiltà, del mondo.
    Quando è arrivato il romanzo ottocentesco la critica lo considerava barbaro rispetto alla letteratura precedente. Ma i lettori sono aumentati e gli autori di romanzi ottocenteschi oggi sono considerati “i classici”. Quando Beethoven irruppe sulla scena musicale fu considerato un barbaro ad orecchi critici abituati a Bach, a Monteverdi.
    Baricco si spinge ad esaminare il vino del dopoguerra. Dal Barolo per pochi eletti al vino “hollywoodiano” della Napa Valley. O il calcio del passato, che ruotava tutto intorno a pochi fuoriclasse rispetto a quello moderno dove un Baggio poteva sedere in panchina.
    Il succo del discorso è: nella diffusione del benessere, nello ssmisurato continuo ampliamento del mercato si possono perdere le punte di eccellenza (di cui godevano in pochi), ma perchè si impone una mediocrità diffusa alle classi che prima non fruivano di nulla. Sembra quasi una legge dove c’entra la matematica.
    Ma questo comporta una diversa considerazione del profitto: la corsa al denaro, che tu citi a ragione, non è un fenomeno nuovo: c’è sempre stata; il profitto è il motore del mondo. E’ che oggi il denaro che circola è di più e che il mercato si è allargato; la distribuzione è diversa, e le mutazioni vanno capite anche (soprattutto?) in base a questo.
    Poi quello che ci piace è un altro discorso.
    Ma ritengo importante capire anche quello che non ci piace.
    Forse in questo potremmo ritrovare l’umiltà che tu lamenti perduta.
    E trovare nuove strade di originalità e ingegno che aiutino a ricreare un (nuovo) senso del bello.

  191. Sottoscrivo senza riserve quanto espresso da Lorenzo Russo, precisando una cosa che io aggiungerei al suo gia’ esauriente argomentare:
    noi Italiani non sappiamo cosa sia la modernita’, ne siamo di fatto estranei (con conseguenti interpretazioni della modernita’ del tutto inadeguate all’Europa di oggi), non la sentiamo nel cuore, nel profondo dell’anima, e questo perche’, in quanto popolo che ha alle spalle dei millenni di importanza spropositata, la modernita’ ci ha azzerato da tutti i punti di vista: ci ha relegati alla provincia dell’Impero Americano mentre gli imperatori siamo stati noi per duemila anni, ci ha messo in un angolo come lingua, mentre il ”nostro” latino e’ stato lingua internazionale per duemila anni (ossia fino al sec. XVIII compreso, dove ha iniziato a tramontare di fronte al francese), ci ha tarpato le ali anche parlando della nostra ”esportazione” culturale, artistica e soprattutto musicale, visto che la lingua internazionale della musica era l’italiano, il Rinascimento era la strada maestra di tutto il Mondo e Petrarca/Dante erano i poeti piu’ importanti del Mondo… mentre oggi stiamo li’ come dei deficienti a leggere Ginsburg: oooooh, che genio, che novita’! Che schifezza! Chi se ne frega della modernita’, dice il nostro cuore. E ha ragione. Ci ha distrutti, dovremmo pure amarla?

  192. P.S.
    Ovviamente io ho semplificato il procedere storico della decadenza italiana, la quale in realta’ si e’ sviluppata per tappe, lentamente, a partire dal crollo dell’Impero Romano e con delle parentesi di reviviscenza (diverse felici parentesi per le diverse arti: per la Letteratura i secoli dal XIV al XVII, per l’arte visiva dal sec. XV al XVII, per la musica dal sec. XVI al XIX), per poi completare il proprio triste percorso durante il sec. XX, ossia fino al nostro squallore completo.

  193. -Miriam io non le ho viste le cose a Campione di cui parli te! Magari guardo su internette.
    – Sergio, stare fuori della modernità un lusso che si può permettere solo Dio, che è fuori dal tempo. A noantri ce tocca per statuto logico.
    Per il resto sottoscrivo Carlo Ssssobbravo.

  194. @Carlo’s,
    abbiamo sicuramente delle affinità noi due.
    L’altro giorno, seguendo la discussione e intervenendo sul bel post di Miriam (non ricordo più quale), citai appunto Baricco (che ho letto su Repubblica e riletto in tomo, e credo che questo testo vada riletto più volte perchè creerà in futuro uno spartiacque sui ragionamenti).
    Non postai più il commento perchè mi sembrava di essere prolisso…

    Dicevo:
    Baricco, novello Eco, è riuscito già ad intravedere il futuro che ci cammina addosso.
    Nessuno comprendeva che I Beatles avrebbero sconvolto la musica.
    Che Piacentini in Italia (soffocato dal nostro antifascismo, ma tantè il fascismo era ed è pericoloso e bisognava farlo), avrebbe creato un architettura para-moderna; e Pier Luigi Nervi; e altri di cui mi sfugge il nome.
    Che Gerswhin avrebbe portato il jazz nei teatri d’opera.

    Forse qualcuno, ogni tanto. Pasolini e Flaiano capirono la pericolosità della televisione.
    E ricordo anche un bellissimo articolo di Mario Gismondi su “Paese Sera” del 1980, un brano illuminante che ragionava sullo sconquasso he sarebbe avvenuto in Jugoslavia alla morte di Jossif Tito, su di una sicura guerra civile tra le popolazioni federate.
    Qualcuno ogni tanto c’azzecca, ogni tanto.

  195. Sergio, io posso capire l’amore per la nostra tradizione, per le nostre glorie passate, per Dante, Petrarca, il latino, Monterverdi, Gesualdo, Giotto, Michelangelo. Ma è il passato.
    Se oggi la nostra cultura non ha un respiro internazionale, o addirittura è asfittica, è un fatto. E ci sarà pure una ragione.
    Dobbiamo prenderene atto in qualche modo. E capire perchè.
    Dire che tutto ciò che è moderno, o che è anglofono, o americanoide fa schifo non serve a nulla (e personalmente credo non sia neanche vero, ma qui entriamo nelle opinioni).
    Il rifiuto categorico non aiuta a capire. Capire è discernere.
    Discernere senza aver prima capito è come pulirsi il deretano senza cacatoia preventiva. A che giova?

  196. Carlo S.:
    I barbari non hanno portato sempre il moderno, ad eccezione che con esso s’intenda il differente e non ancora consumato, al più hanno influenzato il percorso di decadenza del già esistente, infondendolo con nuovi elementi che dettero vita ad una nuova forma d’intendimento dello stile creato dall’uomo.
    Ogni attività umana, e quindi anche l’architettura, è determinata da una specifica quantità d’energia che si consuma in essa.
    Una volta consumata, abbisogna di nuovi impulsi per non vegetare nell’insignificante; sono impulsi che generalmente riceve dal fuori e che contengono elementi e caratteristiche diverse da quelle che dominavano prima.
    Dopo un’epoca di creatività di pregio, ne segue generalmente un’altra povera d’idee o una tutta nuova che fa gridare allo scandalo.
    Ritornando al mio primo post, uno stile piace quando rispecchi le attese poste in esso, o quando siamo cresciuti insieme e sia diventato depositario del nostro mondo emotivo e culturale, aggiungo che la sua assunzione, uguale quale sia, va però anche imparata, nella conoscenza che nulla rimane uguale e che il nuovo è sempre una necessità biologica.
    Sono con te, quando affermi che l’allargamento della produzione e del consumo è la causa della scarsità degli eccellenti, mentre prima il meno a disposizione era per i pochi privilegiati, che poi esageravano per glorificare il loro stato.
    In questa situazione di predilezioni usufruivano anche gli artigiani e artisti, quelli eccellenti, che potevano lavorare senza correre contro il tempo, com’è uso oggi, ed erano capaci di creare opere pregiate ed inimitabili. Il tutto era a scapito del popolo comune che rimaneva ignorante e sfruttato.
    L’era moderna, intendo quella degli sviluppi sociali, è indubbiamente da preferire, ma dobbiamo impegnarci a far sì che il suo declino non segui le leggi della matematica, e conduca prima al degrado dei costumi e poi di nuovo alla povertà generale, quella spirituale e materiale.
    Saluti
    Lorenzo

  197. Bravo Didò. A volte ti amo. Io che i Beatles stavano sconvolgendo la musica, che tutto quanto ero abituato a sentire fino a quel momento stava perdendo di senso, me ne accorsi a undici anni.
    O ero un bimbo precoce o il mio amore perla musica era tantosconfinatoche.
    Non lo so, ma è già da allora che tutto ciò che mi appariva diverso cominciava a incuriosirmi. O mi incuriosiva già da prima , ma allora cominciavo ad accorgermene.
    E non è che per questo ami di meno Bach (più di Beethoven) o Gershwin e Ellington (più di Philip Glass). Ma cerco di capire quello che viene dopo, quello che avviene oggi perchè è oggi che sto vivendo, non nel rinascimento e vorrei capire il prima possibile quello che potrebbe accadere domani.

  198. In primis io la cultura anglosassone la conosco e bene, avendo vissuto in Inghilterra per sei mesi e per altri motivi. Ho fatto un’analisi di fatti concreti, non ho affermato niente, eccetto giungere a concludere che il risultato logico attuale di tali fatti e’ questo e questo (vedi sopra). Cose innegabili, credo.
    Poi, se si estrapola una sola affermazione forte da un discorso di tre pagine, questo significa leggere solo quel che si vuole leggere. Insomma: io dico dieci cose e il lettore ne considera solo una, cioe’ quella che non condivide. Facile, questa operazione. Dunque, per favore, come scrivo attentamente e articolatamente, mi piacerebbe esser analizzato attentamente e in modo completo.
    Mi si chiedono le ragioni della situazione attuale.
    Bene. Eccole, secondo me:
    le ragioni di questo fallimento italiano nel sec. XX, a mio avviso, sorgono dalla decadenza economica conseguente al disfacimento dell’Impero Romano e giungono a noi. Le conseguenze finali sono l’attuale debolezza identitaria e l’assenza di indipendenza artistica. Serie b, insomma. Chi non e’ d’accordo, bene: siamo in un Paese libero.

    P.S.
    Ovviamente ho semplificato al massimo. Ne sono conscio: mica possiamo scrivere un saggio, qui.

  199. @lorenzo
    Il fatto è che i barbari non esistono. E’ un concetto. Un’idea. E molto relativa per giunta. Come i nostri giudizi del resto. E così è per la decadenza. E’ una fase, un passaggio. Necessario, ineluttabile. L’interessante è capire quello che viene dopo.
    Ricambio i saluti.

  200. Zau,
    nella modernita ci stiamo volentes aut nolentes. Cio’ non toglie che la si possa criticare, perche’ non e’ un tabu’ – spero. Se lo fosse staremmo messi proprio bene.

  201. @Sergio
    Debolezza identitaria, assenza di indipendenza artistica: serie b. Tu dici. E io che dico, il contrario? Non mi pare.

  202. E’ passato un bel po’ di tempo dal crollo dell’impero romano. In mezzo c’è stato il Rinascimento. Per dire. E sinceramente non ho molto da aggiungere. Ho dedicato a Sozi un commento sintetico, come spesso ha fatto lui con le cose che scrivevo io. Io non ho preteso molto mi pare fino adesso.

    Invece a Lorenzo Russo dico. Non dovremmo riflettere un po’ sulla categoria di “barbaro”?non è qualcosa che ricorda un po’ la questione del sole che gira intorno alla terra?
    Per conto mio, ogni momento culturale ha una vita parabolica. sale, raggiunge l’acme e se ne discende. La barbarie è la contaminazione necessaria perchè dalle ceneri del manierismo risorga qualcosa di nuovo. I parenti stretti altrimenti generano piccoli mostri – molto deboli.
    E alle volte questo sento dalle nostre parti. Non ancora il coraggio della contaminazione, ma la vigliacca progenie dei matrimoni in famiglia.
    Pure sono fiduciosa: questi immigrati che ora sgobbano da noi, sgobbamno come badanti nelle case dei nostri vecchi, come schiavi nei nostri campi di frutta, a lavare i vetri dei semafori, e tutti i lavori che gli italiani non fanno più, prima o poi reagiranno chimicamente all’Italia, e faranno cultura. Allora avremo i nostri Naipul, i nostri Ondaatje. Sarà bellissimo e esplosivo.

  203. Gia’, Carlo, mi pare che stiamo dicendo le stesse cose. Solo che io cerco di cogliere cosa della modernita’ (nel suo complesso) mi sembra ci abbia fatto male e cosa sia piuttosto utile e apprezzabile e, cosi’, vedo che la ”midcult”, sostituendo l’elite e facendo quel che hai detto tu, ha rovinato le arti e la cultura, portandole verso il basso. Cosa ci ha dato di positivo, invece, d’altro canto, per le arti? Niente. Zero. Dunque il bilancio, per l’Italia, e’ negativo: la modernita’, nel campo artistico generale, ci ha rovinato, recidendo la continuita’ col nostro passato. Pero’ attenzione: l’Italia e’ una cosa, la Germania, la Slovenia o la Spagna sono un’altra, parlando della diffusione e delle conseguenze di questa ”midcult”.
    In Germania, per esempio (dove la modernita’ e’ giunta un secolo prima almeno rispetto all’Italia) gli artisti (insieme alla gente comune) hanno avuto il tempo di trovare delle soluzioni che consentissero alla ”vecchia Germania” di sopravvivere in buona parte anche affianco alle innovazioni moderne. Hanno preso il meglio e buttato il peggio. Anche perche’ sono un popolo colto. Da noi invece, dove il Medioevo ci ha lasciato in eredita’ una miseria enorme spirituale e materiale, con piccole elite di violenti sfruttatori straricchi, la modernita’ e’ arrivata solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, tutta d’un botto. I poveri sono cosi’ usciti dal baratro (in cui erano trattati come bestie da soma, mentre gia’ in Germania benessere e cultura popolari erano alti) di quasi due millenni e si sono ubriacati di benessere materiale, com’era ovvio che fosse di fronte a quattro soldi per tutti arrivati come un fulmine a ciel sereno. E la sbornia ancora continua: basta accendere la tivu’ per vederlo. Altra roba la tv pubblica tedesca, credimi. Popolari entrambe ma…

  204. @Sergio! Sergio Sozi?
    Perchè ti ostini a confondere il vecchio con la tradizione? La polvere sui mobili con la cultura conservata?
    Qui nessuno si vuole adeguare, ne livellarsi in basso, ma il dato che emerge è che le modificazioni del globo sono inarrestabili; i barbari, come è stato detto, sono l’effetto, non la causa: i barbari siamo già noi che ci adeguiamo alle riforme subdole che ” l’allargamento della produzione e del consumo”, come rimarca @ Carlo’s, ci costringe.
    Poi c’è l’adeguamento e scavalcamento, sia sulla bellezza, sull’estetica, sia sul versante della cultura conservante, quella delle lettere ( considero la cultura delle lettere più longeva in fatto di conservazione, i palazzi possono crollare, i libri essere ricordati a memoria – Farheneit).
    Vedi @Lorenzo, la decadenza (ancora @Carlo’s) è il passaggio, poi viene il nuovo, guai chi ci capita in mezzo. Gli anni ’50 lo sono stati, erano decanti e tristi, erano l’adeguamento ad una conditio de facto, ma poi hanno prodotto la bellezza, i ’60. Lo scavalcamento.
    E mica lo sapevano il gruppo dei ’63 di fare new literature; Gae Aulenti, Renzo Piano, Gregotti, Sottsass…di fare l’archittura post Wright & Le Corbusier?
    E la compagna di Sottsass, la Pivano? Sapeva Fernanda di inaugurare una nuova stagione di letteratura all’idrgeno?

  205. Dido’,
    esiste anche una forma di intelligenza – che io ammiro – che riesce a conservare creando. Alchimie sconosciute in Italia. Dunque, fare le cose a piccoli gradi e’ il mio modus operandi e cogitandi. Le rivoluzioni non mi piacciono e anzi mi spaventano. Soprattutto nelle Lettere. Si’, perche’ questa attualita’ e’, di fatto, una rivoluzione, guarda: c’e’ chi scrive dieci libri in due anni vendendoli come il pane e manco sa la grammatica, pubblica grazie agli editor. Piu’ rivoluzione di questa! Altro che Gruppo 63!

    Zau,
    una lingua, due teste. Diverse. Ciao.

  206. @Sergio,
    non è rivoluzione, è lento movimento. Chi mi dice che non sia il tuo “Maniaco”, tra ventanni, ad essere considerato il nuovo spartiacque del linguaggio trimillenario?
    Forse siamo tutti un po’ d’accordo, ammettiamolo e andiamo a letto!

  207. No, Dido’: io non faccio ne faro’ mai alcuna rivoluzione, neanche da morto, e ne sono orgoglioso. Pero’ e’ vero che abbiamo molti punti in comune… altrimenti non staremmo qui!
    Buonanotte a te, caro
    Sergio

  208. State affrontando un dibattito quanto mai interessante e attuale che definirei nuovo/antico: ieri ho assistito a un convegno su ‘etica, bioetica e filosofia’: l’esperto di bioetica Maurizio Mori sosteneva a spada tratta il nuovo sostenendo che la scienza corre sempre di più e che gli schemi di vita del passato sono inadeguati e vanno rivisti; al limite, con le nuove scoperte sulla riproduzione cellulare, verrà abolita anche la distinzione di maschio e femmina, potendo arrivare alla generazione al di fuori dei sessi; bisogna comunque abbandonarsi ai cambiamenti senza remore. Il filosofo Gianni Vattimo si richiamava al socratico ‘sapere di non sapere’ che deve mettere in guardia da strade non sperimentate. Il teologo valdese Sergio Rostagno, richiamandosi a criteri metafisici, si ancorava al passato. Apparentemente, tutte le posizioni, ben argomentate, hanno le loro valide ragioni e lasciano incerti se non si ricorre allo sguardo storico che mostra come 1) le più grandi civiltà son state quelle con maggiori e durature tradizioni; 2) l’idea (moderna) di progresso è apparente: in realtà procediamo tra picchi e abissi. Termino con una citazione di persona non sospetta, Corrado Augias: Il presente è un romanzo di grande suspense, di cui si capisce poco perché non si sa come andrà a finire, ma se ne capisce ancor meno se non si conosce e non si ama il passato.

  209. Vi sto leggendo con interesse, amici miei.
    È un bellissimo modo, questo, di usare “la camera accanto”.
    Vi dovrei pagare.
    E invece dovrete accontentarvi di un semplice ringraziamento.
    Grazie!
    E buonanotte.

  210. In poche parole la cultura (quella vera da sempre, finora) si pone tra il passato e il presente: li deve cavalcare entrambi – per quel che e’ umanamente possibile.
    Cos’altro mettere a confronto, altrimenti, eccetto i nostri sogni?
    Realta’, passato e sogni, inoltre, costituiscono le coordinate di uno scrittore serio – il quale vive tra vocabolari, grammatiche, storia letteraria e creativita’ personale (diciamo che sia, questa, il ”sogno”). Da cosa prendere i nostri elementi di giudizio per vedere la realta’, altrimenti? Di cosa parlare, se no, nelle nostre poesie, narrazioni e scritture saggistiche?
    Ditemelo voi: io sto qui. Chi vede il futuro mentre sta scrivendo una poesia e’ benaccetto.

  211. Io quando scrivo vedo il mio mondo, che so esser composto dalla storia, dal passato di tutti e dal mio passato. Non pretendo di essere nuovo, ma me stesso, il che equivale a dire vecchio, messo dentro la Storia umana, come tutti.
    Se, percio’, io saro’ un giorno considerato qualcosa di diverso da quel che ho appena detto di sentirmi di essere, cio’ sara’ mio malgrado. Ne sarei contento, forse, perche’ avro’ compiuto una rivoluzione senza volerlo ne’ potere volerlo.
    In ogni caso, direi sia meglio lasciar perdere il proprio ruolo nella Storia futura e veder di conoscere, piuttosto, quella che abbiamo dentro e alle spalle. Meno ignorianti in Italia sarebbero gia’ una rivoluzione – e parlo comprendendo me stesso in primis.

  212. “In poche parole la cultura (quella vera da sempre, finora) si pone tra il passato e il presente: li deve cavalcare entrambi – per quel che e’ umanamente possibile.”
    Sergio, come vedi ti cito. E ti sottoscrivo: le nostre posizioni, su queste premesse, coincidono.
    Ciao.

  213. @Didò
    ….parlando dei “Barbari” di Baricco: “…. e credo che questo testo vada riletto più volte perchè creerà in futuro uno spartiacque sui ragionamenti”.
    Come vedi cito anche te. Sottoscrivo anche te.
    E saluto anche te.
    Fraternamente

  214. Grazie, Carlo. Con te si parla sempre molto bene e civilmente, senza nevrastenie. Pero’, se e’ vero che le premesse le condividiamo, poi i risultati delle analisi sono alquanto diversi. Io approdo in un porto e tu in un altro. E’ questo il motivo per cui si discute: confrontare la distanza tra le premesse e le conclusioni e mettere entrambe a paragone costruttivo.
    Ciao, caro.
    Sergio

  215. @Carlo, Francesco di Domenico, Sergio, Zauberei,
    La denominazione di “barbaro“ fu usata dai romani che, dominando l’epoca in tutti le sue manifestazioni, ne rappresentavano la cultura.
    È un termine sprezzante, ma così erano i padroni dell’epoca.
    Io l’ho denominata “diverso” e anche “nuovo”. Oggi, sappiamo tutti che sono necessari, non solo per sbrigare i lavori umili che nessuno dei nostri vuole più fare, ma, e mio parere, per rinfrescare e rafforzare i nostri geni, fin troppo consumati e logorati nelle troppe innumerevoli combinazioni effettuate attraverso i secoli.
    Ben vengano allora e aiutiamoli a trovarsi a loro agio, naturalmente con i dovuti controlli per non creare disquilibri inerenti alla diversità della loro cultura al confronto con la nostra.
    Nel processo immigratorio in atto, bisogna tener conto che abbiano un’abitazione e un lavoro, se non vogliamo che nella loro disperazione diventino aggressivi e criminali.
    Non dovrebbero essere anche troppi, e lasciati entrare in una volta, per non creare giustificati turbamenti nella popolazione stabile.
    Io auspico, quindi, un’immigrazione graduale secondo del fabbisogno interno.
    Per il resto, i paesi industrializzati e benestanti dovrebbero fare di più nei loro paesi d’origine.

    Carlo e Francesco di Domenico, allora, siamo dello stesso parere. La soggettività è il fattore denominante in ogni nostra affermazione. Per questo è utile scambiare le opinioni per smussarla e renderci più capaci all’intendimento.
    Chi critica il futuro con serietà cerca di trovare gli elementi necessari per capirlo, accettarlo o almeno sopportarlo, ben sapendo che nulla rimane com’è.
    Concordo con Sergio, quando afferma che il nuovo non deve irrompere, ma entrare sottilmente e per necessità, e non diventare o essere considerato un invasore e danneggiare chi non riesce, sia per la sua età o condizioni di vita, a sopportarlo e ancor meno capirlo; perché allora sì che ridiventiamo dei “Barbari”.
    Noi uomini abbiamo solo il passato e il presente con cui possiamo confrontarci, procediamo verso il futuro con passi più lenti e prudenti, se non vogliamo ritrovarci un giorno senza i ricordi piacevoli di un tempo migliore, perché più umano.
    Saluti a tutti
    Lorenzo

  216. @lorenzo
    Ahimè devo deluderti: i barbari non sono gli extracomunitari. I barbari siamo noi, almeno in parte già imbarbariti forse senza neanche accorgercene, o forse lo sono già i nostri figli. Nel senso che siamo nel pieno di una mutazione della nostra cultura, della nostra civiltà. Un terremoto dal quale qualcosa della tradizione, ciò che ha radici più solide (Omero, Shakespeaere, Dante, Michelangelo) può (deve) rimanere in piedi (è già sopravvissuto a tutti i terremoti precedenti, perchè in ogni epoca accadono le mutazioni). Il resto è destinato a crollare. E ha poco senso, nel pieno di una corrente che tutto travolgere asserragliarsi come in un fortino a difendere i nostri valori, la nostra cultura. Anche la muraglia cinese poco è servita di fronte ai barbari. Ma da quell’invasione è nata una cultura nuova con la dinastia Ming. Da questa mutazione scaturirà qualcos’altro.
    Questa, in estrema sintesi , la tesi di Baricco.
    Che ha un senso.
    Cosa possiamo fare noi allora ? Puntellare qualcosa che meriti di non andare distrutto con lo scossone, che sopravviva a questo ennesimo terremoto. Ma lasciare che distrugga il resto perchè salvare tutto non ha più molto senso, ci piaccia o no.

  217. Carlo: piu’ salviamo e meglio stiamo, non serve dire altro, ne’ specificare ”cosa” vada salvato e cosa no. Noi siamo una civilta’ che deve amarsi con passione, pur restando democratica e disposta all’accoglienza delle altre civilta’ – entro i limiti ai quali accennava Lorenzo, il cui discorso io personalmente sottoscrivo in pieno.
    Poi Baricco dica quel che desidera. Secondo me invece HA SENSO difendere i nostri valori e la nostra civilta’ complessiva, pur restando autocritici e dunque eliminando le nostre ataviche cose sbagliate e brutte.
    Insomma: il confronto con ogni cittadino ”non-Italiano” ha sempre senso; il modificare l’italianita’ invece e’ facoltativo e riguarda solo noi Italiani. Che dovremmo farlo saggiamente in modo da sentirci meglio in Italia.

  218. P.S.
    Dunque, prima operazione da compiere per noi Italiani: evitare di imbarbarirsi – sia con la pubblicita’ e la moda italianissime sia con i pazzi inegralisti religiosi, i liberisti (altri estremisti purtroppo autoctoni) e via dicendo. L’imbarbarimento e’ di questa epoca e proviene da piu’ fonti, contro le quali andrebbe portata avanti una lotta sola.

  219. “Quando ero più giovane amavo quel tipo di feste, ma adesso che sto vivendo una relazione fantastica è molto più divertente passare una serata a casa”, ha detto a People una trasformata Paris Hilton. “A me e a Benji non piace molto uscire di casa – ha aggiunto -, a volte passiamo la nottata a giocare a Monopoli con qualche amico”.

    Ecco, io credo che Letteratitudine possa essere un’occasione per far cultura affondando nelle radici del nostro paese. A Roma, per esempio, di fronte a una notizia del genere diciamo “‘sti cazzi!”. Posso imparare l’analoga espressione anche negli altri dialetti? Grazie.

  220. Carlo S.
    mi hai frainteso, ho affermato che i romani li hanno definiti “Barbari” perché li ritenevano indisciplinati, rozzi, ignoranti, aggressivi, mentre loro stessi si ritenevano tutto il contrario. Io li ho denominati ” Nuovi o Differenti”.
    Per il resto concordo con Sergio e aggiungo che i migliori italiani, nel vero senso della parola, li ho conosciuti all’estero.
    Amano l’Italia, sono tolleranti e aperti al nuovo e ai nuovi, che ritengono utili per il progresso umano e quindi anche proprio, senza perdere un grammo della loro identità nazionale, che ne esce migliorata.
    ciao, lorenzo

  221. Sono da una vita lettrice per passione e per professione e, quando si sono frequentati troppo a lungo i libri, diventa molto difficile trovare opere che suscitino entusiasmo. E’ invece quanto mi è accaduto recentemente leggendo il romanzo di Fausta Garavini, In nome dell’Imperatore. Romanzo ottocentesco (Cierre edizioni, 2008). Comincia in sordina, quasi come una cronaca, da una riunione di Carbonari in Polesine nel dicembre del 1818 e si snoda attraverso la storia del Risorgimento italiano fin al secondo Ottocento, attorno alla figura di Antonio Salvotti, nominato giovanissimo membro della Commissione speciale per processare gli arrestati del Polesine. Salvotti è magistrato e “l’unica bandiera di un magistrato è la fedeltà al giuramento prestato alla legge” (p. 22) e dunque all’Imperatore di cui è suddito. La sua storia, maledetta da tutti i patrioti italiani, affonda le radici in questo giuramento di fedeltà ed in una fede, che non viene mai meno, in uno stato sovranazionale che affratelli popoli diversi: “Per il sogno dell’Impero Salvotti impegnerà la sua vita”. Perché Salvotti, come emerge a poco dalla ricostruzione fatta con puntiglio, rigore e passione da Fausta Garavini, non era, come i libri di storia ce lo hanno spesso presentato, un arido funzionario che si divertiva ad infierire sui patrioti, ma un sognatore che sperava di contribuire con le riforme della giustizia al bene comune. È attraverso il suo sguardo o, forse meglio, attraverso il suo filtro che viene riletto il Risorgimento italiano e il punto di vista adottato rovescia, inevitabilmente, le posizioni di tante letture consolidate.
    Attorno al magistrato ruotano tutti i grandi personaggi del tempo, presentati però in una veste totalmente inedita: non sono più le nobili figure poste su di un piedistallo e cristallizzate nel loro stereotipo un po’ polveroso, sono invece persone in carne ed ossa, con le loro difficoltà quotidiane, i loro sogni, la loro generosità, i loro grandi progetti d’avvenire per sé e per l’Italia, ma anche con le loro debolezze, ambiguità, superficialità, vanità e perfino bassezze. Questo ridimensiona certamente gli eroi del nostro Risorgimento, ma contribuisce a renderli più umani e pertanto più credibili: non erano altro che dei poveracci come noi, che pure si sono sforzati di dare vita a un sogno. Lo hanno fatto all’italiana, con tanta teatralità e un’organizzazione spesso infantile, ma lo hanno fatto. Un esempio di straordinaria teatralità – e di straordinaria scrittura – è la difesa del carbonaro Felice Foresti di fronte alla Commissione: “Le mani si uniscono sul petto a manifestare la sincerità, si offrono aperte, inermi, per assicurare della retta intenzione, gesticolano a destra e a sinistra tratteggiando le tribolazioni, si tendono dimostrative per precisare, infine si contraggono convulse a sottolineare le intimidazioni poliziesche…” (p. 38).
    Il grande protagonista della storia è però, come ho detto, l’odiato magistrato Antonio Salvotti, la cui vita e la cui opera sono attentamente e pazientemente ricostruite sui documenti d’archivio, ma a cui poi la scrittrice ha saputo dare una passionalità, sia pur controllata, una forza, una nobiltà e, soprattutto, un’umanità – spesso sofferta e talvolta tragica – che ne fanno un personaggio indimenticabile. Un personaggio che cresce a poco a poco anche dentro di noi, che ci coinvolge intellettualmente ed emotivamente, soprattutto nella sua delusa percezione finale del mondo che lo circonda, che segna la morte di un sogno: “Il vecchio mondo è morto, un sistema è crollato, anzi molto più di un sistema: è crollato un modo di pensare, una concezione di vita. Il passato va in polvere, come quei cadaveri intatti nei secoli che il soffio del vento dissolve. E lui, Antonio Salvotti, è un’immagine di quel passato di cui bisogna distruggere gli ultimi resti” (p. 314).
    Al potere di coinvolgimento della storia contribuisce una lingua splendida, ricchissima, dal vago sapore arcaico che ci riporta senza forzature nel nostro passato e ci familiarizza con una realtà che, passo dopo passo, diventa la nostra.
    Un romanzo che farà certamente discutere, perché contribuisce in maniera prepotente, e forse inattesa, a far uscire il nostro Risorgimento dalla polvere degli archivi e delle biblioteche e a riproporcelo vivo di tutte le passioni e le debolezze che lo hanno animato, passioni e debolezze che ci aiutano, forse, a capire tante fragilità del nostro presente.

    Carminella Biondi

  222. “L’artista è un incidente” Odilon Redon
    e l’artista che lavora nella scuola lo fa a suo rischio e pericolo! Che mattinata! Che sconforto!
    Un caro saluto a tutti. Pensatemi…. bacioni
    🙂

  223. A Guglielmo Oberdan sono intitolate vie, piazze, scuole in tutto il Paese.
    E’ considerato un eroe dell’irredentismo. Un martire della Patria.
    Organizzò un attentato dinamitardo all’Imperatore Francesco Giuseppe che fallì, ma nel quale persero la vita tre innocenti. Oggi forse verrebbe qualificato un terrorista, e probabilmente, secondo i canoni odierni, lo fu.
    Le prospettive storiche cambiano continuamente.
    Questo però ci può fare capire come i terroristi di oggi da qualcuno, in alcuni ambienti, sotto altre prospettive da noi non più condivisibili, possano essere considerati eroi. Noi l’abbiamo fatto per più di un secolo.

    Ben venga il libro di Fausta Garavini a togliere un pò di polvere accumulata dalla retorica del risorgimento e a restiturci alcuni ritratti di uomini che furono persone prima che icone del male o del bene.

  224. Ultimamente ho letto “l’Occhio” di Miriam Ravasio e “New York 1920” della coppia Costantini-Falcone (Laura&Lory).
    Si aggiungono ai già letti libri di Enrico Gregori, di Pasquale-Eventounico Esposito e di Silvia Leonardi. Mi accingono ad iniziare le “Identità distorte” del nostro anfitrione Max Maugeri.
    E debbo confermare che il livello degli scrittori frequentatori di questo blog è alto, molto alto.
    Con l’occasione preciso che i lavori di Miriam sono sempre interessanti, acuti, profondi e meritano riflessioni accurate (ho avuto modo di vedere anche i lavori realizzati coi bambini delle sue scuole).
    Il romanzo di L&L è avvincente e si lascia leggere tutto di un fiato.
    Ci vedrei anche un film: tra i protagonisti immaginerei la fantastica Penelope Cruz nei panni di Cecilia. Raul Bova potrebbe fare il fratello. Matt Damon il fidanzato irlandese. Joe Pesci il boss mafioso.

  225. oh che bello, bello…
    vedo citato Odilon Redon da Miriam Ravasio!!!
    Cosa rarissima!
    Fu davvero grande e profondo.
    Grazie, sono felicissimo…

    MarioB.

  226. Mentre il treno, da voi citato, ci porta verso il luogo dei desideri, vi invito a leggere una mia creazione, che spero vi aiuti a riempire le ore d’attesa.
    Saluti a tutti, Lorenzo

    Un amore di giovinezza, intenso ma breve, e poi………..

    Luigi e Chiara, due giovani che sin dal primo incontro si sentono attirati da un qualcosa che a prima vista sembra solo curiosità di conoscersi.
    Entrambi sono belli e attraenti nel loro aspetto esteriore; il corpo snello, alto, la pelle liscia e chiara con sfumature ombrate che al contrasto con i capelli neri e folti creano un piacere a stargli vicini.
    Nessuna difficoltà, quindi, per facilitare i prossimi incontri, che seguiranno sempre più frequenti e nei quali la soddisfazione fisica domina talmente i loro intenti, da far dimenticare gli altri interessi e le precauzioni che ogni persona ragionevole e ancor più giovane non dovrebbe mai trascurare.
    Non dura molto, fino a che Chiara non riflette come dovrebbe e decide di coronare il suo rapporto felice con un figlio.
    Un figlio, pensa lei, renderebbe il loro rapporto duraturo, anche contro lo scorrere del tempo, nel quale ogni emozione e interesse posseduto diventa monotono e uguale, se non addirittura pesante e noioso.
    Luigi non vuole; troppo individualista e superficiale com’è, non si sente ancora maturo per un legame impegnativo. Per il momento, è troppo preso dalle richieste dei suoi anni giovani, da voler rimandare gli impegni duraturi a dopo.
    Senza curarsi della possibilità che la sua compagna sia diventata gravide, Luigi lascia Chiara, dopo un anno di appagamento sessuale.
    Decide che sia il massimo del tempo da trascorrere con lei, che rimane sorpresa della sua decisione.
    Chiara, ora sola e in cinta, decide di non abortire e giustamente non avverte il suo compagno ingrato. Si rallegra di non rimanere del tutto sola e aspetta con grande emozione l’avverarsi dell’evento. In esso crede di poter prolungare la sua felicità, così intensamente goduta con Luigi.
    È moderna, istruita e diligente nel lavoro, che svolge da qualche tempo e le garantisce un’indipendenza economica sufficiente. Sa che ogni amore è una fase di apprendimento della vita, con un inizio e una fine. Accetta quindi la sua sorte e si dedica con tutte le sue forze alla nascita della testimonianza della sua felicità vissuta.
    Nasce un figlio, le cui fisionomie si coprono più con le sue che con quelle del padre, come se lui, andandosene, non le abbia potuto imprimere sufficientemente.

    Chiara è felice e grata di come la natura l’abbia favorita in questo momento.
    Gode il tempo che trascorre con il piccolo e che assiste con grande attenzione e amore.
    In ogni fase di cura e specialmente nel nutrirlo, se lo sente molto vicino e scopre come la natura abbia così provveduto a creare un rapporto profondo e indissolubile tra lei e il piccolo.
    Le poche, ma visibili, somiglianze del piccolo Sandro con il padre le bastano per immaginarselo vicino e risentire la felicità provata.
    Mostra di essere una madre accorta e provvidente, anche quando si mette alla ricerca di un nuovo compagno, dal quale richiede, prima di tutto, solidarietà e comprensione.
    Certa che un giorno il figlio le chiederà del suo padre e vorrà sapere perché li abbia lasciati soli, spera di trovare un buon sostituto, in grado di farglielo mancare il meno possibile.
    Finalmente lo trova, alla stessa maniera di come incontrò Luigi, ma questa volta lei pone condizioni del tutte orientate sulla sua situazione particolare.
    Il nuovo compagno è più anziano di lei di qualche anno e anche lui reduce da una relazione simile alla sua. Come lei cerca anche lui una compagna maturata dalla vita.
    Tra Carlo, il nuovo compagno di Chiara, e il piccolo, nasce un rapporto proficuo, facilitato anche dalla sua tenera età, nella quale non si distingue tra il vero e il presupposto e non si pongono ancora domande di chiarimento.
    La personalità di Carlo, colta e temprata dalla vita, li apre al processo di comprensione reciproca.
    Si stabilisce così un’unione serena e stabile in un momento propizio e di bisogno per tutti, tanto che Sandro può svilupparsi al meglio.
    Dieci anni sono trascorsi, quando Luigi, ormai sulla trentina, sente il bisogno di rivedere Chiara.
    Le telefona e, apprendendo dell’esistenza del figlio, rimane colpito profondamente e la implora di concedergli un incontro.
    Chiara esita, nonostante abbia più volte pensato a questa circostanza, ma per il momento non sa cosa decidere.
    Teme di distruggere la serenità che è riuscita a instaurare da sola con tanti sforzi e sacrifici, ma, alla fine, non può negargli la capacità di essersi ravveduto e di aver riconosciuto di essere stato immaturo.
    La data dell’incontro viene, infine, fissata.
    Luigi e Sandro si vanno incontro; prima con passi lenti, perché dettati dalla precauzione per ciò che li aspetta, ma poi sotto la spinta delle emozioni represse durante la lunga attesa e alimentata solo dai loro desideri, più svelti.

    Arrivati l’uno di fronte all’altro, si fermano e si scrutano ancora.
    Troppo tempo è trascorso senza ricevere una risposta alle molte domande poste, tanto che il padre si sente bloccato dai rimorsi di coscienza, mentre il figlio non sa ancora se perdonarlo della lunga assenza, o negarlo.
    Alla fine, il desiderio di conoscersi e unirsi è più forte e con le lacrime sugli occhi si abbracciano.
    Luigi, ancora emozionato e commosso, promette di rimediare al torto fatto e chiede perdono a Chiara e a Sandro.
    Riunirsi è impossibile, sarebbe un torto grave verso Carlo, pensa Chiara, che ha imparato ad amarlo e riconoscerlo definitivamente come il compagno della sua vita.
    Inoltre, teme una ricaduta di Luigi, come allora, nonostante le avesse sempre sussurrato di desiderarla e amarla.

    Si riscontra qui, che desiderare e amare sono due parole con significati complessi e controversi, tanto che richiedono più prudenza e chiarezza nei momenti del loro uso.

    Sandro cresce così con la mamma e Carlo, s’incontra con il padre solo nei periodi stabiliti, ma anche fino al sorgere della sua nuova fiamma, con la quale crea una nuova famiglia e da qui non mostra più un grande interesse per il figlio.

    Il tema trattato mostra come oggi sia possibile risolvere i problemi di coppia senza l’uso della violenza, repressione, intimidazione, odio, e senza diventare malati di depressione acuta, possibile solamente attraverso un’istruzione migliore, coscienza dei propri valori e indipendenza economica.
    L’amore, per essere duraturo e sereno, richiede maturità, senza la quale non cresce il senso regolatore della responsabilità e riconoscenza.
    Chiara, Carlo e Luigi sono diventati maturi in momenti diversi; Chiara prima e Luigi probabilmente dopo, quando attraverso la nuova compagna avrà capito che un amore vissuto seriamente dona di più di ogni altro piacere alternante.
    Il male che si fa agli altri, il dolore che si prova nel trovarsi abbandonato, sono segni che il percorso verso la maturità è più lungo e difficile della maturità fisica-sessuale.
    Quest’ultima arriva sempre troppo presto e ci inganna con le sue richieste che non riusciamo sempre a controllare.
    Non ha senso accusare chi è in difficoltà e compie errori, ma è giusto ammonirlo per chiarirgli il danno che reca agli altri e a se stesso. Egli è sempre il perdente, anche quando trova qualcuno che lo sostenga e creda ancora in lui.
    Saluti,
    Lorenzo lì, 25.1.08

  227. @ carlo:
    grazie sinceramente. perché so che se tu non pensassi ciò che dici taceresti. gli incoraggiamenti da parte di persone come te sono una mano santa. per quel che conta, e venendo a ciò che citi oggi, anche io ritengo i lavori di Miriam estremamente accurati e significativi e validissimi anche sotto il profilo delle ricostruzioni storico-ambientali i libri di laura e lory.

  228. @ Mario B.
    Ad un certo punto della mia vita artistica mi è venuto quasi il dubbio di ricevere da Redon delle percezioni. Ovviamente sto sorridendo, ma quell’occhio che scruta dalle colline è veramente forte! E attrae. Mi piacciono i colori e l’impasto fra quelli e i suoi pensieri… E’ sempre bello soffermarsi “con lentezza” sulle immagini che solitamente scorrono via. E’ bello lasciarsi prendere e cullarci insieme per un po’…poi tutto riprende… e io non vedo l’ora di portare a termine i progetti di quest’anno per dedicarmi (ore, ore e ore) al “riordino dei miei pensieri colorati”.
    L’artista è un incidente, scriveva Redon e cocludeva così: Giovane o vecchio, non fa neanche in tempo a offrire il raro fiore della propria originalità- che è e deve essere unico- che subito il profumo di quel fiore sconosciuto turba la gente e tutti gli voltano le spalle. Da ciò segue per l’artista un fatale o addirittura tragico isolamento. Aggiungo: ma quanto è meraviglioso, a volte.
    Saluti, miriam

  229. ero io l’anonimo di oggi. Mi sentivo dispiaciuta per il post dedicato al libro di Dacia Maraini. Mi piace la musica e ho ascoltato e visto tutti i vostri link, ma penso che un blog come questo non possa scivolare come altri; o almeno dovremmo farlo in modo più contenuto.
    @ tutti:
    🙂

  230. @ tutti quelli che sostennero La strada
    Su Satisfiction, giorni fa, è stato aperto (e un po’ snobbato) un dibattito sul libro…alla maggior parte degli intervenuti non è piaciuto. Lasciamo perdere o ci facciamo un salto?
    🙂

  231. Redon pittore strano, particolare, a volte debordante. Difficilmente inquadrabile. Forse qui è il suo fascino.
    Forse talvolta gli preferisco Puvis de Chavannes. Più misurato e composto, anche se a volte in tale compostezza c’è il suo limite.
    Boh !?!

  232. Scusate la mia assenza dal blog in questi giorni, ma ho avuto un lutto in famiglia.
    Credo che pubblicherò il prossimo post lunedì sera.

    Se avete voglia di fare due chiacchierare, o avviare discussioni utilizzate pure questo spazio (ve ne sarei grato).
    Sarei più contento se sugli altri post ci limitassimo a scrivere commenti in tema.
    Vi ringrazio molto.
    (Ciao Miriam/anonima… e grazie)

  233. Grazie, Enrico.
    Sto spostando qui alcuni vostri commenti pubblicati sul post dedicato al nuovo libro della Maraini.
    Vi esorto a proseguire qui.

  234. @Gea, a Trieste (fonte Cirri & Solibello/caterpillar RaiRadio2), c’è una bellissima commemorazione del trentennale della legge Basaglia/Manicomi aperti: è in quest’ottica festiola che hai dedicato una poesia al Carlo’s?

    Io la cocomeraia romana, che vendeva fette d’anguria rossa sull’ansa del fiume Aussa a Cervignano del Friuli la ricordo bene.
    Com’è che quella dea del Testaccio, da lunghi capelli color castagna, fosse finita lassù a vender polpa rossa, non ce lo siamo mai spiegati, noi soldatini d’argilla del 183° Nembo…dopo andavamo alla stazione, a veder passare il “Trieste-Reggio Calabria”, il treno che correva appresso al sole.
    (luccicone tiepido solca il viso di cuoio del vecchio Didò)

  235. Carlo insegue la figlia del capostazione di Pontremoli. Gea dedica poesie di Michele Mari. Didò si commuove al pensiero della cocomerara esule da Testaccio a Cervignano. E con me siete tutti più o meno coetanei. Ma è così la vecchiaia? Il giorno che anch’io scrivessi cose del genere avvisatemi e mi faccio un’endovena di Tanax. Non mi voglio ridurre così.
    🙂

  236. Didò sei impagabile. Gea la poesia è perfetta per la situazione.
    Vi bacio entrambi, ma Gea (mi perdoni didò) con una ‘ntecchia in più di trasporto.

  237. A Enrico invece un profondo pensiero odierno di mio figlio (7 anni):
    – Ma perchè inventano la crema contro le rughe invece che la pillola contro la vecchiaia?

  238. Sto per spostare gli ultimi sei commenti di questo post ne “la camera accanto”.

    Postato Giovedì, 15 Maggio 2008 alle 11:26 pm da Massimo Maugeri
    ————–

    @gea
    Comunque di quella poesia erano sufficienti gli ultimi tre versi.

    Postato Giovedì, 15 Maggio 2008 alle 11:27 pm da Carlo S.
    ————–

    @ massimo
    già che ci sei anche il settimo

    Postato Giovedì, 15 Maggio 2008 alle 11:28 pm da Carlo S.
    ————–

    @ massimo:
    in alternativa potresti spostare gea, didò e carlo al manicomio

    Postato Giovedì, 15 Maggio 2008 alle 11:29 pm da Enrico Gregori

  239. bene, siamo tornati al nostro posto.
    in fin dei conti è normale, no?
    ed è pure spazioso, no?
    mica è il ripostiglio, no?
    va bene così.

  240. Forse si poteva spostare anche tutta la “suite ferroviaria per la figlia del capostazione di Pontremoli che fece innamorare un imbecille, che mai la vide, per interposta persona” (questo è il titolo completo).
    E così accontentare anche l’anonima miriam.

  241. @ Carlo S. e Francesco Di Domenico
    mi rivolgo a Voi ché avete letto I barbari di Baricco: più che un futurologo Baricco, mi sembra un affabulatore affascinante, anche con la parola scritta, che non distingue la nostra capacità di adattamento come genere umano e flessibilità a regolare la velocità d’intervento nelle questioni reali che ci coinvolgono, – è come voler riconoscere, da parte nostra, un uso ottimale dei due emisferi, rispettivamente, di sinistra e di destra del nostro cervello, questo voglio sostenere io contro le teorie di Baricco – , Zaub aiutami tu con l’amigdala, forse: mantenendo così cosciente sia la memoria storica che l’attenzione al nuovo; come dire che della cultura in generale: che nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
    Semiologo Baricco come Eco,citazione di Didò, può darsi: certo Eco già negli anni ’80 argomentava nei seminari: che nel futuro prossimo l’umanità si sarebbe divisa in due: il popolo bue della televisione e l’intellighenzia dei fautori di internet; Baricco è arrivato solo più tardi, negando o meglio preconizzando, però, la memoria storica letteraria del genere umano, – legata di più alla lentezza necessaria all’approfondimento cambiata nel tempo, ché la modernità in vece comporta una mutazione veloce tale da restare sempre in superficie durante le svariate sequenze cognitive – e che invece Eco ha saputo navigare e continua a farlo con eccellenza proprio la memoria storica letteraria, come mai?
    E infine il nuovo non può essere così tanto diverso, in quanto prodotto da Noi stessi: altro che Barbari con le branchie: e come affermare che non c’ è peggior sordo di chi non vuol stare a sentire, secondo Lui per mia sintesi, chi le idee e il carisma ce l’ha come scrittore di libri e non di romanzi, secondo me, è io non lo riconosco in questo Baricco, ché solo distratto per il momento nel definire il nuovo! E ritornando io, per il momento, a rileggere Italo Calvino,non per consolazione soltanto.
    Grazie a Carlo S. ché mi ha ispirato a leggere Baricco, dopo una sua dichiarazione in questo post, forse.
    Siete tutti forti, cari amici di scrittura!
    Luca Gallina

  242. @Luca,
    sempre stimolanti e fuori dal coro le tue opinioni, complimenti.
    Per un ragionamento un po’ più articolato penso ci vorrà tempo (per me), appena smonto dal bus devo correre alla toilette, e laggiù che ho elaborato parte della mia letteratura (e ora mi rendo conto perchè il mio editore si fa negare al telefono).
    Grazie Luca

  243. @Francesco
    Caro Didò, grazie a te!
    Ti voglio bene, ché la tua “intelligenza emotiva” cito il titolo di un saggio di Goleman un ricercatore neurologo che ha voluto, in modo divulgativo, ricordare che la comprensione può essere libera, istintiva, degli eventi, a prescindere dalla nostra razionalità, e questo ti contraddistingue sempre come artista e letterato, io ti respiro così se me lo consenti; certo bisogna conoscere, studiare ed applicarsi però il potenziale ce l’abbiamo tutti e anche l’amigdala una sorta di ricettore neurale ( del sistema nervoso centrale) che riguarda l’emotività, ma per gli antichi lì risiedeva la conoscenza della paura: vado a memoria, Zaub che saluto se vorrà ce lo spiegherà meglio: del resto è Lei la specialist!
    Con empatia sempre,
    Luca

  244. Luca, io forse non ho capito molto bene gli appunti che muovi alle tesi di Baricco (discutibilissime ecchediamine), ma non è che per essere valide debbano necessariamente provenire da uno scrittore di libri e non di romanzi (Eco peraltro lo è di entrambi i generi, Baricco, nel suo piccolo, anche). Questo se per “libri” intendi saggi. Anche la questione del carisma è opinabile. Le idee vanno giudicate per se stesse, senza dover analizzare “prima” da chi provengano. Evitando così i giudizi precostituiti.
    A tizio credo perchè mi è simpatico e possiede carisma, a Caio no perchè mi sta sulle balle. Un pò facile. E sviante.
    Quanto a “E infine il nuovo non può essere così tanto diverso, in quanto prodotto da Noi stessi: altro che Barbari con le branchie” Baricco vuole solo cercare di farci riconoscere le branchie che sono già in noi, perchè siamo noi i mutanti, siamo noi i barbari, siamo noi a costruire (o contribuiamo a costruire) il nuovo. Proprio come dici tu.
    E Baricco non è che voglia sostenere la mutazione che asserisce essere in atto. Non è supinamente dalla parte dei barbari. Vuole solo prendere atto che la mutazione esiste, provare a farci vedere dove è, come si manifesta, se anche noi riusciamo a vederla. Anche per cercare di condizionarla in qualche modo: per puntellare quello che noi vorremmo rimanesse in piedi dopo un terremoto che è già in corso.
    E’ una tesi, ben sostenuta, che può piacere o non piacere, che possiamo condividere o non condividere, ma non è futurolgia. E francamente a me non interessa sapere se essere d’accordo o no. Mi interessa conoscerla perchè comunque è una tesi, una lettura tutt’altro che inutile o stupida, un argomento in più per discutere delle cose che a me (a noi credo, tanto è vero che mi ringrazi) interessano.
    Ciao Luca,

  245. P.S. Carlo S. ho visto la tua foto delle libagioni in Roma: ti immaginavo dalla tua scrittura, in verità, più longilineo come Pasquale, che saluto, mantenendo i tuoi capelli, però: ammetto che sei una persona speciale anche tu, come il resto della tua bella compagnia; certo privilegiando principalmente le signore presenti in questo blog!
    Se sarò costretto, Carlo S., chiederò aiuto a Miriam, riguardo la disparità di giudizio sugli scritti di Cormac MacCarthy: per me scrittore misogino e nichilista, provocatore forse, nella sua narrazione letteraria? Solo ora mi sono ricordato che Baricco lo cita, dopo aver letto “Non è un Paese per vecchi”, volendo spiegare la mancanza dell’anima in letteratura come tendenza letteraria moderna, forse.
    Con empatia sempre,
    Luca Gallina

  246. @lorenzo
    Sei proprio forte! Ho letto il tuo racconto e ti ho apprezzato molto, ché ce lo spieghi pure, svolgendo alla fine la sua morale che investe i tuoi personaggi: no, no, non sei un tipo puntiglioso, vero?
    Ciao, con empatia sempre
    Luca Gallina

    P.S. ho pensato anche ai racconti di Alberto Moravia: ma quella era passione vera, senza sensi di colpa, sei d’accordo anche tu?

  247. Scusa Carlo, ci siamo accavallati con gli interventi, il mio P.S. che troverai dopo il tuo intervento è legato invece al mio primo x brevità separato ; a proposito di libri e non romanzi questa è la distinzione che fa Baricco: volendo Lui sostenere che oggi si producono romanzi, ché la scrittura letteraria moderna – vedi le alte tirature di alcuni autori, spesso personaggi televisivi o giornalisti d’assalto alla politica – contraddistingue il romanzo come segnale forte di tendenza della letteratura di oggi; non negando, inoltre, i maggiori e lauti guadagni dell’editoria mega-store in questo mare-magnum di scrittori; precisa anche che il suo libro saggio non è, ma questo è ininfluente non essendo certamente un romanzo, ma Lui comunque, ci tiene a raccomandarci la massima attenzione alle sue metafore: per cui sarà un saggio, nel senso letterale del termine, cioè un tentativo: di pensare:scrivendo. I libri veri sono quelli che permettevano un maggior approfondimento dei contenuti, ché si aveva più tempo di leggerli e gli autori di una volta non ci sono più come valore di letteratura riprodotta oggi : cito solo Benjamin per il motivo che Lui Baricco si ispira alla sua visione del tempo (del resto uno dei maggiori critici letterari della storia della critica letteraria,tedesco morto suicida a soli 48 anni, nato a Berlino nel 1892) e che non ci sarà nessun Faulkner da leggere, ancora; e cita anche Cormac McCarthy, scrittore vivente moderno, per via dell’assenza dell’anima nel suo libro “Non è un paese per vecchi”, volutamente, forse?
    Del resto io ho sostenuto nel mio intervento che: “che Baricco non distingue la nostra capacità di adattamento come genere umano e flessibilità a regolare la velocità d’intervento nelle questioni reali che ci coinvolgono, – è come voler riconoscere, da parte nostra, un uso ottimale dei due emisferi, rispettivamente, di sinistra e di destra del nostro cervello, questo voglio sostenere io contro le teorie di Baricco – salvaguardando così fisiologicamente, una sorta di sistema immunitario intelletuale nostro interno, sia la memoria storica letteraria sia praticando il surfing, spazio tempo letterario velocemente nelle sue sequenze -, e che non ci faremo sopraffare quindi, se i barbari siamo noi, da Noi stessi!
    Sono d’accordo con te che questo è motivo d’incontro d’opinioni ed è per questo che sono libere.
    Se potessi vorrei chiedere a Baricco se si renderà disponibile a pubblicare in internet, magari on-demand? E se Lui si
    ritiene ancora uno scrittore di romanzi in questa mutazione letteraria operandi?
    E se le copie di libri vendute da Dan Brown o Giorgio Faletti, solo come esempio, lo mettono in serio imbarazzo?
    E chi oggi si può considerare l’erede di Italo Calvino: 1 – risposta: Alessandro Barrico –
    2 – risposta: Andrea De Carlo –
    3 – risposta: Boh!
    Lungi da me fare politica letteraria/editoriale: non siamo mica in America dove l’artista fa anche marketing, lo scrive Baricco nel suo libro!
    Ciao e grazie!
    luca
    luca gallina

  248. x Enrico:
    guarda che a dipingere, qui su letteratitudine, siamo in tanti; voi scrittori di noire, giallo, rosa o altro, state attenti, perché rischiate che vi si cambino i colori!!!! Siamo bravi!
    🙂

  249. @ Luca
    leggo poco e per di più da pochi anni, da quando sono in pensione.
    I miei interessi riguardano la psicologia, sociologia e filosofia; ma non sono un letterato, da poter riportare i loro citati e confrontarli tra di loro per poi dedurne uno nuovo, migliore o solo più aggiornato al nostro tempo. Scrivo su ciò che mi capita di elaborare attraverso le mie osservazioni che faccio continuamente e che poi analizzo.
    Quando mi viene la voglia, le metto per iscritto e provo anche soddisfazione nel farlo.
    I libri, che mi capita di leggere, li dimentico dopo qualche settimana; troppo sono preso dei miei pensieri, anche perché credo di aver raggiunto un livello percettivo fortunatamente sensibile e veritiero.
    Quando leggo, lo faccio anche per ritrovare le mie concezioni negli altri che scrivono, e mi capita di ritrovarle confermate, fatto che mi rallegra per esserci arrivato da solo.
    Non sono un essere speciale e non voglio neanche esserlo, a dire il vero ne proverei timore e incertezza di non essere dopo all’altezza.
    Non sono puntiglioso, lascio che ognuno vivi la sua vita, il cui frutto è il risultato di ciò che ha cercato.
    Fossimo tutti identici, non avremmo il bisogno di incontrarci, scambiare opinione, litigare e fare poi la pace, guai se non la facessimo.
    La diversità è il fondamento dei rapporti umani, bisogna imparare a sopportarla quando ci procura dispiacere e a sostenerla nel riconoscimento della sua necessità.
    I pochi racconti che ho scritto sono analisi brevi e concise che riguardano i rapporti umani, e che analizzano il loro percorso fino ad una fine, che è diversa come lo sono i loro personaggi.
    I sensi di colpa servono a riflettere, e lo faremmo al meglio analizzandoci per trovare un rimedio personale efficace. La passione è parte della nostra vita, una parte che dona moltissimo, come un frutto proibito, ma che faremmo bene a controllarla, perché non si può vivere sempre per e in lei.
    Ti allego un mio scritto riguardante una passione immaginata e sentita come vera.

    Grazie dei complimenti, li terrò in buon conto per il futuro.
    Lorenzo

    Fedeltà e tradimento: viviamoli

    Lei: bella, vispa, attraente, irrinunciabile, ossessionante, invitante, irresistibile.
    Lui: maschile, virulente, attraente, penetrante e, come lei, ossessionante e irresistibile.

    I due prendono atto di sé, si sbirciano, avvicinano, prima con riserva, poi con voluttuoso desiderio, entrambe le menti accecate dall’impetuosità dei sentimenti.
    Un unico desiderio vagheggia nell’aria, divora le coscienze che lavorano ad alto ritmo e avvertono per evitare ciò che purtroppo avverrà, lo fanno pur sapendo del pericolo incombente, pur sapendo che hanno già perso.

    La potenza e l’attrazione dei loro corpi sono sì brevi, ma forte, più forte di ogni altro pensiero e proposito.
    I due perdenti si amano. È un amore a cui il sapore del proibito lo rende irresistibile.
    Si amano, dimenticando nel fuoco che brucia e al quale non c’è scampo, non più, è già tardi per esami di coscienza, tutto: la famiglia, le amicizie, gli impegni e obblighi.

    La coscienza non li richiama più. Davanti all’accaduto si ritira offesa, derisa, tremante per l’ingiustizia subita.
    Come loro parte integrante, è però sempre pronta a riemergere per poi ammonire, accusare e punire di nuovo.
    Ci puniamo noi stessi, nel riconoscere la portata dell’accaduto, ci tormentiamo e soffriamo nel riavvicinarci al vero, unico e profondo amore tradito.

    È una tragedia che forse nel corso della vita può colpire tutti.
    Il contrario è una vita che pur condotta con fermezza, virtù, comprensione e fedeltà, ci rende aridi, ottusi e ci spingono a guardare gli amanti in strada, nel giardino, al cinema, nel cortile con occhi d’invidia e desiderio e ci lasciano sospirare: ai miei tempi, quando ero giovane…….

    Che cosa fare? Chi tradisce per dimostrare le sue qualità di seduttore ferisce di più,
    chi è vinto dalla passione, troppo forte da poterci rinunciare, dimostra la leggerezza del suo essere, mentre chi non ha il coraggio di farlo tradisce la sua vita, che comprende virtù, pregi, ma anche difetti, dai quali sorgono gli errori che deve poi superare.

    Dallo stato di colpa, ci liberiamo con l’ingannarci di diventare poi un marito e una moglie migliore. È vero, ma in noi riconosciamo d’essere ipocriti ed egoisti.
    Con il tempo subentra l’abitudine di tradire, quello stadio in cui non si sentono più rimorsi, perché la coscienza ha accettato la sconfitta e aspetta. Si è dissolta in una dimensione, dove il ritrovarla diventa difficile. Quanti sforzi, quante astinenze e sofferenze per ritrovarla?.
    Ognuno deve vivere la sua vita. Gli errori sono richiami e invito all’impegno serio e forte di migliorarci per il nostro bene.
    Il processo di maturità richiede di riconoscere la nostra colpevolezza e avviare il processo per il suo superamento e liberazione.

    Anche i delusi e traditi devono imparare dalle sofferenze e offese subite, capendo che sono aspetti della nostra esistenza, nella quale siamo tutti dei vinti e dei vittoriosi.
    La vita va accettata in tutti i suoi aspetti. Dolore segue alla gioia, successo all’insuccesso, materialità alla spiritualità.
    Non ci resta che lasciarli operare, cioè viverli e sopportarci con il sempre nuovo impegno di tentare il loro superamento.
    Solo così ci apriamo al compromesso, che include giustificazione e perdono reciproco, nella considerazione che viviamo tutti nei propri pregi e difetti.
    Trasformiamo le offese e le delusioni subite in serenità e prudente comprensione e capiremo che solo in loro comprendiamo la vita, propria e degli altri, e ci apriremo alla riconciliazione.
    Lorenzo Gänserndorf, 25.02.04

  250. @Lorenzo amabile,
    non ho avuto tempo di leggere il racconto di cui parlava Luca, ma ho letto questo sopra.
    “Ognuno deve vivere la sua vita”: è probabilmente l’unica cosa che non condivido, che significa?
    La vita è predestinata: bene, allora viviamo nella sua stanca calendarizzazione.
    Ce la scegliamo? quale è la nostra vita?
    Io sto vivendo la mia. Non volevo fosse questa, l’accetto (e cos’altro posso fare?).
    Ma per farmela piacere corro contro il tempo e lavoro, lavoro.
    Faccio (professionalmente, non per hobby) svariati mestieri.
    Scrivevo per hobby, da quando un amico ha rubato le mie “cose” dalla scrivania e me le ha pubblicate, facendomi avere un discreto successo, anche scrivere è diventata una professione, e non mi piace.
    “Ognuno deve vivere la sua vita”: ma qual’è la mia vita, questa o un’altra
    che ho intravisto a 14 anni, perdendola per una svista adolescenziale?

  251. Caro Francesco di Domenico,
    se sapessimo il nostro futuro, potemmo prepararci meglio ad affrontarlo.
    Nel non riconoscerlo sta il dilemma, ma anche lo stimolo, che è parte della nostra intelligenza, a impossessarsi di lui e servirsene per il nostro meglio.
    La predestinazione della vita, parte integrante di un sistema universale molto complesso, non ci toglie lo stimolo individuale di scoprirla, cioè di capire la nostra struttura personale e costruire su di lei il nostro presente e futuro.
    Anch’io non sapevo, a vent’anni, cosa fare che mi soddisfacesse.
    Ragioniere in un ufficio bancario a Milano, soffrivo d’insonnia a causa della sterilità e monotonia del mestiere.
    Dopo quattro anni feci conoscenza, al mare, della mia futura moglie austriaca.
    Lasciai l’impiego senza alcuna garanzia sul futuro, ed emigrai in un paese che allora rappresentava ancora l’estero e per di più in un periodo economico critico.
    Lavorai in una fabbrica e poi nel campo edile; mi specializzai in quest’ultimo ramo e dopo sette anni di specializzazione lavorai come artigiano autonomo.
    Da qui, incominciarono le soddisfazioni e il successo nel campo del lavoro, che mi permisero di mantenere decentemente la mia famiglia.
    Il tutto non fu senza sacrifici e sopportazioni enormi, che io riuscii a superare per volontà propria, ben capendo che solo con l’impegno serio e la diligenza sia possibile crearsi un futuro migliore.
    La fase economica di sviluppo, degli anni settanta fino a novanta, mi permisero di avere successo, come l’appoggio iniziale di mia moglie.
    Oggi è difficile orientarsi e seguire i propri propositi, non so se oggi potrei ripetere con successo l’avventura d’allora.
    Decidendo d’emigrare, capii di seguire una voce interna che voleva che affrontassi l’impresa.
    Ero certo che avrei avuto soddisfazione e successo. Con successo, non intendo il diventare ricco, bensì autonomo e soddisfatto.
    Così sono rimasto modesto e semplice.
    Semplicità e modestia sono le premesse per scoprire il nostro intimo, riconoscerlo e seguirlo, senza timore e con molta speranza.
    Non credere che tutto ciò sia possibile, senza rinunciare a un qualcosa di emozionante e appagante i nostri sensi, da credere di vivere in un’altra dimensione, tanto se ne ha bisogno qualche volta, come ho cercato di illustrare nella mia; credo, però, che nella forza della rinuncia agisca il senso liberatorio e per questo ancor più appagante.
    Ulisse vagabondò dieci anni per meritarsi la fedeltà della sua Penelope; se leggi il libro di Malerba: il re scalzo, capirai che fu Penelope a mutarsi, tanto da costringerlo con la sua stessa falsità ed astuzia a rimanere da lei.
    Esempio di donna che ha imparato a governare l’uomo.
    Chiudendo, ti consiglio di non tramare una tragedia per la tua svista adolescenziale; da ogni fatto accaduto si può sempre trarne un vantaggio, perché ogni medaglia ha sempre due volti, di modo che si possa sempre rimediare, senza creare danni ingenti a sé e agli altri.
    Cari saluti,
    Lorenzo

  252. @Luca,
    Baricco, con la scoperta dell’arrivo dei “barbari” ha avuto un’intuizione brillante. Ci ha trascinati davanti al bivio del ‘900 come un palafraniere nero che blocchi i cavalli in un nuvola di polvere e, scendendo per fumare un mezzo toscano ci ha redarguito dicendo: “Ora scegliete la strada.
    A destra,
    la prosecuzione epocale, il trascinarsi verso l’incomprensione del “nuovo che avanza”, del liquido scorrere delle cose verso la cascata finale, dove la civiltà conosciuta sarà inghiottita.
    A sinistra,
    una via nebulosa, opaca, dove dentro, nascosti, ci sono i “barbari” del linguaggio, della filosofia (filosofia che non sarà più creazione univoca di un solo soggetto, ma scrittura collettiva); della scienza che non si pone più dubbi.”
    Decidere di voler capire non è facile, spesso io per tante cose mi rifiuto di farlo.
    Ho vissuto, oltre che di pensiero, molto di materia; ho rifiutato per anni – nell’uso dei materiali da restauro – le colle sintetiche, credevo che snaturassero la bellezza del manufatto, stronzate! Accorciavo solo la vita del mio lavoro: la colla naturale ammuffisce con l’umidità, il vinavil preserva per secoli, comprendendolo ho sopravanzato i miei colleghi e, mentre loro arrivavano alla mia scoperta, io ero già oltre e abbandonavo il restauro per mettermi a fare il grafico; l’operatore culturale;lo scrittore; l’arredatore; il politico; il ceramista, pechè no.
    Per questo mi piace Baricco, lui, ogni tanto, fa anche lo scrittore.

    p.s. L’erede di Calvino? Non è detto che dovrebbe essere un conosciuto e riverito scrittore, potrebbe esistere e non essere riuscito far leggere le sue cose da quelle arpie dei direttori editoriali, non avere la cognata che va’ a letto con lo.
    Potrei essere io l’erede di Calvino, comincio già a chiamare mia moglie Domitilla.
    La luce artificiale non illumina l’universo.

  253. Carlo S. ho letto solo ora il tuo parere sul nostro New York 1920: GRAZIE! Un unico appunto: Penelope Cruz?! Bleah! L’unico ruolo che le sia mai stato a pennello è quello di Italia, la bruttissima protagonista di Non ti muovere (film di Castellitto, libro di Mazzantini).
    Un abbraccio e potresti anche fare uno sforzo per la cena del 21, ti pare?
    Laura

  254. Ai papà, alle mamme e agli educatori di Letteratitudine

    “The Wall Street Journal
    ogni giorno un gruppo di bambini tra i tre e i sei anni si avventura all’interno di una foresta nei dintorni di Francoforte per cantare, accendere fuochi e rotolare nel fango. Non si tratta di un manipolo di baby-teutonici sociopatici potenzialmente pericolosi per il futuro della Germania, ma di una delle 700 (caspita! ndr) classi di Waldkindergarten, gli “asili delle foreste”, del Paese. Il principio guida è quello dell’educazione primordiale: niente disegnini e lavoretti con il pongo. Al loro posto aria aperta, contatto con la natura, alberi e animali come compagni di giochi. Gli “asili delle foreste” garantirebbero uno sviluppo dell’immaginazione superiore agli asili classici. I piccoli sarebbero anche più concentrati e comunicativi. Salvo manifestare ritardi nell’apprendimento della scrittura.” (Sole 24 h)
    Un futuro con meno scrittori e più filosofi? Cosa ne pensate, voi, papà e mamme di Letteratitudine? Dobbiamo aspettarci una rivisitazione romantica ( nel senso originario del termine) anche da noi?
    Nel frattempo medito su come impostare la mia attività per il prossimo anno scolastico. Buonadomenica. Vi aspetto, Miriam

    🙂

  255. @Dido,amico caro e lontano, però solo per lo spazio che ci separa, per aggiornarmi, ho letto qualche tuo pensiero.Ognuno di noi ha molte vite e
    spesso quella che siamo costretti a subire non ci piace. I nostri desideri erano altrove, invece meschinelli, dobbiamo accontentarci di ciò che passa il convento. Sono convinta che in tutto quello che riesci a fare, ci metti impegno e passione e agisci nelle varie attività, con quella lucida sensibile, intelligenza che ti rende raro ed amabile. La mia è solo una rapida incursione, mi farò viva appena sarò meno oppressa dai mille problemi che mi sovrastano.Quando ho l’anima sotto i tacchi ascolto la musica che conosci…Così riprendo coraggio e vado avanti, un giorno dopo l’altro. Spero solo che le nuvole si ritirino e il sole illumini i nostri opachi cieli. Sentimi fraternamente vicino.Mi auguro a presto.
    Tessy

  256. Miriam, una scuola cosi’ e’ MAGNIFICA! Aggiungi l’insegnamento della scrittura/lettura ma lascia tutto cosi’ com’e’ nei boschi e andare a scuola diventa qualcosa di PERFETTO PER I NOSTRI FIGLI. Sottoscrivo. Viva la Germania!
    Sergio

  257. @Maria Teresa adorabile,
    ma comunque a tutti i deliziosi amici che ci attorniano in questo circo di parole libere.
    La frase memorabile che Charles Scuhltze fa dire a Charlie Brown in una delle sue strip : “Così è la vita, cadere sette volte e rialzarsi otto”, è stata il leit motiv della mia esistenza.
    Raramente ho pensato che fosse “finita”, forse per questo continuo a dire a mio figlio: “Hai 17 anni? Io, figliolo, ne ho 16! Quando sarò grande “io” ne riparliamo.”
    Quando Aldo Moro, parlando dell’ipotetico incontro tra Dc e Pci, negli anni ’60, parlò di “Convergenze Parallele”, io, adolescente, mi segnai nel taccuino della mente questa frase, mi avrebbe accompagnato per tutta la vita!
    La mia vita ed i miei aneliti, le mie speranze, il mio lavoro, hanno viaggiato da una parte; il successo, la riconoscenza, l’ipocrisia e tanto altro, hanno viaggiato sull’altro binario.
    Ogni tanto, per qualche scambio ferroviario difettoso, ho incontrato persone sublimi come te, e gli amici del “Maugeri club” (ma anche tanto altro).
    Beh, questo, cristianamente, è più di quello che mi aspettavo dalla mia vita.

    @Miriam,
    non aver paura, il mondo è meglio di quello che ci paventano gli sciocchi, basta considersrlo tale e, agire erchè sia così.

  258. @Francesco
    Grazie! Ho apprezzato le tue immagini – sei anche pittore polimaterico, vai forse di spatola, e scultore – ché quello che tu dici me l’hai fatto vedere di Baricco l’intenzione di metterci in guardia, solamente? Così mi confermi – e non ce n’era bisogno – che ciascuno di Noi interpreta quello che legge, che sente, che vede – insomma con tutti i nostri cinque sensi – restituendo elaborato quello che ha già dentro di sé come esperienza e conoscenza personale del sapere in generale. (Sic!)
    Allora io aggiungo che il nostro Baricco, prende le distanze dal nuovo che appartiene e mette in difficoltà solo gli altri, ché a parer suo non sono in grado di riconoscere, invece, il nuovo che avanza: mentre Lui le branchie ce l’ha già da un pezzo!
    La domanda che riguarda l’erede eventuale di Calvino ,pure, presupponeva rispondere ad un’altra domanda – è vero in uso qualche anno fa – la cultura in Italia è di destra o di sinistra? A me personalmente basta credere che oggi: l’onestà intellettuale – e aggiungo anche la sincerità – non appartenga solo ad una parte o all’altra.
    Ciao Francesco, con empatia sempre
    Luca Gallina

  259. W il Catania! E’ rimasto in serie A: io pensavo alla Roma risultato utile per vincere l’Inter in testa alla classifica di un punto: a palle ferme. Vince l’Inter, pareggia la Roma, si salva il Catania: qualcuno di Noi la preso in saccoccia, chi per esempio? La Roma ha in tasca la coppa Italia, in quanto titolare, magari l’Inter ……..si accontenterà del campionato vinto e relativo 17° scudetto, forse!
    Ho visto su Rai due, in diretta da Catania, Catena Fiorello in compagnia di festosi tifosi della squadra cittadina: c’era per caso qualcuna delle affascinanti signore di letteratitudine: ché io Simona, il Vostro Onore di Siracusa, la vedo dappertutto: qualche mese fa durante una presentazione in agenzia pubblicitaria, nel far partire il video registratore collegato a uno schermo gigante televisivo, ho intravisto un’immagine di una giudichessa, molto, ma molto somigliante a Simona su Forum di rete4.
    Bene! Faccetta gialla a tutti gli amici di scrittura: sicuro che quando Massimo ritornerà a casa: fuochi d’artificio e spumante millesimato per tutti Noi, forse!
    Luca Gallina

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