Aprile 19, 2024

121 thoughts on “LA CAMERA ACCANTO 16° appuntamento

  1. Il decennale della morte di Giorgio Bassani
    Il primo argomento riguarda il decennale della morte di Giorgio Bassani, avvenuta il 13 aprile 2000… a Roma.
    Gaffi editore ha appena pubblicato questo volume, che vi propongo.
    Si intitola “Bassani Giorgio: un ebreo italiano” (Gaffi, 2010, p. 177, euro 10). L’autrice è Marilena Renda:.

    Marilena Renda (Erice, 1976) vive a Roma dove insegna, studia e traduce. Ha scritto e pubblicato in rivista e volume saggi su Bassani, Primo Levi, Annamaria Ortese, Jolanda Insana e Amelia Rosselli. Collabora a «Poesia» e «L’Indice dei libri del mese». Ha vinto il Premio Delfini 2009 per la sua opera poetica.

  2. Biografia di Giorgio Bassani

    Giorgio Bassani (Bologna, 4 marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000) è stato uno scrittore italiano.
    Figlio di Dora e del medico Enrico Bassani, fratello di Paolo e Jenny, trascorre l’infanzia a Ferrara. Nel 1926 è ammesso al Regio Liceo Ginnasio L. Ariosto dove frequenta i cinque anni del ginnasio e i tre del Liceo e dove, nel 1934 consegue la maturità. Nell’archivio storico del Liceo sono conservati numerosi documenti che riguardano il giovane Bassani negli anni della sua formazione e alcuni, in fotocopia, accompagnati da fotografie dell’epoca, sono esposti nell’atrio Giorgio Bassani, presso la sede del Liceo Classico L. Ariosto. In questi anni mostra un vivo interesse per la musica, ma presto rinuncia a questa passione per dedicarsi alla letteratura[1].

    Nel 1935 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, che frequenta da pendolare e dove, nonostante le leggi razziali, si laurea nel 1939 con una tesi su Niccolò Tommaseo, discussa con Carlo Calcaterra. Nel 1940 esce la sua prima opera Una città di pianura, che pubblica sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi.Insegna italiano e storia agli studenti ebrei espulsi dalle scuole pubbliche, e preparati privatamente nella scuola ebraica di Vignatagliata e si trasforma in attivista politico clandestino. Come antifascista viene rinchiuso, nel 1943, per alcuni mesi, nella prigione di via Piangipane. Liberato, sposa Valeria Sinigallia, entra in clandestinità e lascia Ferrara, prima per Firenze e, subito dopo, per Roma, dove trascorrerà il resto della vita come scrittore e uomo pubblico.

    Nel 1944 pubblica le poesie Storie dei poveri amanti e altri versi, mentre nel 1947 scrive una seconda raccolta di versi Te lucis ante. Nel 1948 Marguerite Caetani, che fonda e cura la pubblicazione della rivista letteraria Botteghe Oscure, invita Bassani a redigerla. Al 1953 risale Passeggiata prima di cena, al 1954 Gli ultimi anni di Clelia Trotti. Lo stesso anno diventa anche redattore della rivista “Paragone”, fondato nel 1950 da Roberto Longhi, conoscendo, tra gli altri, anche Pier Paolo Pasolini. Nel 1956 pubblica le Cinque storie Ferraresi, con le quali vince il Premio Strega. Nel 1957 è ormai vicepresidente della Radiotelevisione Italiana e presidente di Italia Nostra nonché docente di Storia del Teatro all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica a Roma. Al 1958 risale la pubblicazione de Gli occhiali d’oro in cui illustra l’omosessualità quale motivo di emarginazione.

    In qualità di consulente e direttore editoriale della Feltrinelli, Bassani riesce a far pubblicare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e aiuta diverse personalità illustri, come Antonio Delfini e Franco Fortini. Nel 1959 pubblica Le storie ferraresi, che raccoglie il meglio della sua produzione narrativa. Collabora oramai anche alle più prestigiose riviste e ad alcune testate giornalistiche di alto livello: Approdo, La Fiera letteraria, Letteratura, Nuovi Argomenti, Il Mondo, Officina. Si propone inoltre come sceneggiatore con Luchino Visconti, Mario Soldati e Luigi Zampa.

    Il massimo successo editoriale lo ottiene nel 1962, con la pubblicazione del romanzo di formazione Il giardino dei Finzi-Contini, scritto all’Hotel Le Najadi di Santa Marinella (Roma) opera che gli assicura il Premio Viareggio di quell’anno: rappresenta la più completa espressione del suo mondo, dal piano formale e stilistico all’esperienza morale, intellettuale e politica, raccontando sul filo della memoria la realtà della ricca borghesia ebrea a Ferrara durante il fascismo a partire dalle leggi razziali. Vittorio De Sica ne farà una trasposizione cinematografica, dalla quale però Bassani terrà sempre le distanze. Nel 1966 viene scelto come presidente della giuria della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Seguono la pubblicazione di Airone, 1968 (vincitore del Premio Campiello), e de Il Romanzo di Ferrara, 1974 (nel 1980 nella sua versione definitiva). Nel 1982 pubblica la raccolta di tutte le sue poesie in In rima e senza e nel 1984 la raccolta di tutti i suoi saggi e le sue riflessioni critiche in Di là dal cuore. Altre pubblicazioni sono Storie dei poveri amanti e altri versi, 1945; Un’altra libertà, 1951; Le parole preparate, 1967; L’odore del fieno, 1972; In gran segreto, 1978. Nel 1983 vince il Premio Bagutta con In rima e senza, mentre per la carriera gli viene riconosciuto nel 1992 il Premio Feltrinelli.

    Muore a Roma il 13 aprile 2000 dopo un lungo periodo di malattia. È sepolto, per sua esplicita volontà, a Ferrara, nel cimitero ebraico di via delle Vigne, a ridosso di quelle mura di cui Bassani, come Presidente di Italia Nostra, ha promosso il restauro. Qui dove Bassani ha immaginato la tomba dei Finzi-Contini, il comune di Ferrara ha voluto ricordarlo con un monumento, frutto della collaborazione fra l’architetto Piero Sartogo e lo scultore Arnaldo Pomodoro. Sempre a Ferrara gli è stata intitolata la Biblioteca comunale del Barco, mentre a Codigoro – trovano sede la Biblioteca comunale Giorgio Bassani e la Fondazione Giorgio Bassani. In un apposito spazio è stato ricostruito lo studio dello scrittore, con il primo nucleo della sua biblioteca privata – circa 1.500 volumi – e molti oggetti personali.

  3. Elenco delle opere principali di Giorgio Bassani

    1. Ciclo de “Il Romanzo di Ferrara” (6 titoli)

    Cinque storie ferraresi (1956), premio Strega
    Gli occhiali d’oro (1958)
    Il giardino dei Finzi-Contini (1962), premio Viareggio
    Dietro la porta (1964)
    L’airone (1968), premio Campiello
    L’odore del fieno (1972).

    2. Altri titoli

    Storie dei poveri amanti e altri versi (1945)
    La passeggiata prima di cena (1953)
    Gli ultimi anni di Clelia Trotti (1955), premio Veillon
    In gran segreto (1978)
    In rima e senza (riunisce tutte le precedenti opere di poesia, 1982)
    Di là dal cuore (saggio, 1984).

  4. @ Marilena Renda
    Cara Marilena, spero che riuscirai a intervenire nell’ambito di questa discussione.
    Vorrei chiederti, intanto: Come hai strutturato questo tuo saggio?
    E poi: Qual è, a tuo avviso, l’eredità principale (letteraria e non) che ha lasciato Bassani?

  5. L’e-book secondo Gian Arturo Ferrari

    Nel post “Oronzo Macondo”, tra le altre cose avevamo discusso dell’e-book. Mi piacerebbe riprendere il discorso alla luce della seguente dichiarazione di Gian Arturo Ferrari (Presidente del nuovo Centro per il Libro ed ex direttore della Divisione Libri della Mondadori) rilasciata ad Affaritaliani.it:
    “Anch’io all’inizio ero dubbioso (sull’e-book – ndr), poi mi sono reso conto che su un Kindle un libro si legge meglio. Il futuro è del libro elettronico, quello cartaceo è destinato a sparire. Ma siamo davanti a una rivoluzione, non a una catastrofe”.

    Una affermazione forte, questa di Ferrari. Cosa ne pensate?

  6. Cos’è il bookcast?

    Ne parliamo con Luca Corte, creatore di “Plettro.org” ed esperto di marketing presso “Radio24” (la radio de Il Sole24Ore).
    “Il bookcast” dice Luca Corte “è, in pratica, il podcast di libri… per facilitare la fruizione sui nuovi device. In pratica l’utente paga un abbonamento e ogni giorno (o ogni settimana, come vuole) riceve un capitolo di un libro (o un pezzo in più… o quello che si vuole). È, in breve, il podcast applicato all’editoria.”

    Vi convince l’idea del bookcast? Potrebbe avere possibilità di successo?

  7. Il 13 aprile 2010 ricorre il decimo anniversario della morte di Giorgio Bassani e la sua Ferrara vuole ricordarlo con le “Giornate bassaniane”, una serie di iniziative che, come ha ricordato Silvana Onofri della Fondazione Bassani, “hanno avuto inizio lo scorso febbraio, a Codigoro, nell’ambito della celebrazione del Giorno della Memoria, con la presentazione di un convegno e di uno spettacolo ispirato al classico “Il giardino dei Finzi Contini””.
    Dal prossimo martedì, il Liceo Classico “Ariosto”, l’Università di Ferrara, Poste italiane, Arch’è associazione culturale Nereo Alfieri e la Fondazione Bassani daranno il via ad un intenso programma di appuntamenti sul territorio. Un modo per “riflettere sulla capacità di ricordare” ha spiegato il rettore Patrizio Bianchi, che si è strutturato attraverso un “importante lavoro sinergico” – come ha sottolineato Onofri -, in un’ottica di promozione della “educazione, ancor più che della cultura – ha aggiunto Bianchi – : in un’epoca di comunicazione tramite sms, va riproposta l’idea di Bassani di una narrazione della memoria, intesa come lettura, ma anche come scrittura, affinché la memoria sia davvero viva e produttiva”.
    La commemorazione dello scrittore ferrarese viene celebrata dal 2002, in occasione dell’anniversario della sua nascita. La dirigente dell’Ariosto, Mara Salvi, anche presidente di Arch’è, la interpreta come opportunità di ricordare la figura di Giorgio Bassani, “in quanto studente del nostro istituto, ma anche per il suo prezioso lavoro di autore antifascista e di grande valore letterario”. Salvi ha tra l’altro annunciato che a partire dal 3 dicembre sono previsti diversi appuntamenti per celebrare i 150 anni del Liceo Ariosto, per i quali si sta allestendo un comitato composto da diversi soggetti istituzionali, dall’Università alla Regione, al fine di confermare “l’apertura al territorio ferrarese e a i suoi cittadini”.
    Nel corso della conferenza stampa di presentazione della rassegna di iniziative, Andrea Maggi, responsabile dell’Ufficio Comunicazione ed Eventi dell’Università di Ferrara, ha presentato una brochure “non impegnativa ma simpatica” edita dall’Università a ricordo della lectio magistralis che Bassani – in veste di presidente di Italia Nostra – tenne quando gli fu conferita la laurea honoris causa in Scienze naturali, il 25 settembre 1992.
    Tra i principali eventi della giornata di apertura della rassegna di iniziative, martedì 13 aprile, a partire dalle 8.30 fino alle 14.30, presso l’atrio intitolato allo scrittore del Liceo Ariosto – in cui saranno esposti alcuni documenti dell’autore -, si effettuerà il servizio di annullo postale filatelico dedicato al decennale della morte di Bassani, come ha illustrato Fiorella Meogrossi, referente della divisione filatelia di Poste italiane di Ferrara: “Il bollo postale – pubblicato sul sito http://www.poste.it/postali/filatelia – raffigura Giorgio Bassani a mezzobusto: un’iniziativa promossa da Arch’è, in collaborazione con il Liceo Ariosto e la Fondazione Giorgio Bassani, per ricordare in modo speciale lo scrittore ferrarese nel 10° anniversario della sua morte. Il timbro postale – ha concluso Meogrossi – sarà a disposizione per altri 60 giorni presso le Poste a partire da martedì. Potrà essere apposto su fotografie, cartoline, libri ed altro”. Tra gli appuntamenti a seguire, spicca l’ascolto della registrazione della rilettura da parte di Bassani della poesia “Rolls Royce” alle 10, e la visita della memoria al cimitero ebraico di via delle Vigne, con l’accompagnamento della figlia Paola, e dei docenti Claudio Cazzola e Silvana Onofri. Nel pomeriggio l’Università organizza invece il convegno “Giorgio Bassani oggi”, nell’ambito del quale sarà proiettato il filmato inedito “Giorgio Bassani, il giardino dei libri”, presso l’Aula Magna del Palazzo Bevilacqua Costabili di via Voltapaletto 11. Venerdì 16 aprile, sarà ospite del Liceo classico, anche la scrittrice Lia Levi. L’ultima giornata di appuntamenti sarà infine sabato 17: tra incontri e lezioni avverrà anche la premiazione degli studenti meritevoli dell’istituto scolastico.
    Ma le iniziative dedicate allo scrittore non finiranno la prossima settimana. In autunno si prevedono spettacoli e mostre a cura dell’Università di Ferrara.

  8. Tra el sue opere preferisco ‘Il giardino dei Finzi-Contini’, che credo sia anche quella più famosa.

  9. C’è una citazione molto bella e molto vera di Bassani. Ed è questa:”Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta”.

  10. Autore dalla scrittura raffinata ha frequentemente affrontato il tema dell’emarginazione, da quella razziale (Il giardino dei Finzi Contini) a quella sessuale (Gli occhiali d’oro). Era soprattutto un letterato e un intellettuale e a lui dobbiamo senz’altro il merito di aver sostenuto e curato la pubblicazione di un capolavoro come Il Gattopardo. Penso che se oggi fosse vivo scriverebbe di un’emarginazione razziale nemmeno tanto strisciante come quella nei confronti degli extracomunitari. In Bassani ho trovato un autentico rispetto per la dignità umana e una naturale inclinazione a prendere le difese delle parti più deboli. Se Il giardino dei Finzi Contini è un’opera quasi obbligata per la sua origine ebraica (ma quanta finezza e quanta pacatezza nell’esposizione, con cui non si stimola mai la facile commozione!), Gli occhiali d’oro sanciscono la sua capacità analitica di osservare e di sondare le profondità dell’animo umano.

  11. Ciao Massimo
    Grazie mille per il link che mi hai dato. In realtà l’idea del bookcast nasce dalla possibilità di offrire ai lettori un prodotto più mirato agli strumenti su cui dovranno fruire gli ebook.
    Come già sai plettro.org è un progetto per permettere agli scrittori di realizzare ebook con i propri manoscritti ( non è un self publishing), promuoverli e venderli. Dopo l’esperienza di questi mesi ( tra l’altro molto positiva) il passo successivo è stato quello di pensare alle modalità di fruizione dei contenuti: bisogna smettere di pensare agli ebook solo come la “versione elettronica di un libro” ma come un prodotto a se stante.
    Il bookcast ti permette di ricevere parti di un libro mano mano che lo leggi, con cadenza periodica. Il vantaggio è nella fruizione: non hai un “unico tomo” da 200 pagine in pdf, ma tanti file più piccoli, molto più semplici da utilizzare, e veloci da scaricare. Inoltre offre la possibilità di creare abbonamenti e sezioni ad hoc.

  12. …Ma.. al di là delle parole mi piace mostrare i prodotti che realizzo, così è più semplice.
    Del bookcast ho una versione demo, che si può trovare alla pagina

    http://www.plettro.org/login.asp
    ut ivan
    pass pandello

    nella versione che sarà reale l’utente ”acquisterà” la password e diventerà proprietario dell’area riservata, su cui verranno caricati i materiali. Un sistema davvero semplice, soprattutto se la fruizione degli ebook sarà attraverso i nuovi lettori ebook ( tra cui l’ipad) e su iphone.

    Cosa ne pensate?
    Ciao!
    Luca

  13. Luca Corte.
    La pubblicazione di romanzi a puntate non è nuova e ha origini nel cartaceo su quotidiani storici. Secondo me l’idea moderna del bookcast riprende quella antica del romanzo a puntate e la modernizza utilizzando le nuove tecnologie. secondo me potrebbe funzionare.

  14. Citazione di BASSANI da Gli occhiali d’oro.
    “Non c’è nulla più dell’onesta pretesa di mantenere distinto nella propria vità ciò che è pubblico da ciò che è privato, che ecciti l’interesse indiscreto delle piccole società perbene”. (cap. 2)

  15. Immagino che la copertina del libro di Marilena Renda riprenda proprio ‘gli occhiali d’oro’ di Bassani.

  16. Sorprende, la frase di Ferrari sull’e-book. Anche se da un certo punto di vista non è facile dargli torto. Più che altro lui è una specie di guru nel settore dell’editoria, dunque non si può non tener conto della sua opinione.

  17. Ciao Giovanna sono assolutamente d’accordo, infatti secondo me le rivoluzioni non sempre devono essere devastanti rispetto al passato. Adattare i vecchi concetti alle nuove realtà può essere uno strumento da un lato per riproporli, dall’altro per proseguire un percorso tecnologico ormai inarrestabile.
    Le possibilità di sviluppo che la tecnologia mette a disposizione sono esponenziali, davvero da vertigini.. bisogna solo non aver paura di cavalcare l’onda (per proporla) e non essere troppo timorosi ad accettarla.
    Poi, tutto ormai va cosi veloce che si fa fatica a capire cosa potrà succedere anche solo tra 10 mesi.. si naviga a vista ( molto affascinante come modalità)

    Grazie mille
    Ciao
    Luca

  18. E’ la prima volta che sento parlare di bookcast. Non lo so, ho qualche perplessità. Del resto avevo anche perplessità sull’e-book, e Ferrari dice che è il futuro. Mah!
    Forse anche il bookcast è il futuro. Immagino i ragazzi che con i loro aggeggi elettronici si scaricano i capitoli delle storie da loro amate. Se c’è stata la fila per comprare l’ultimo Harry Potter c’è da pensare che i download, per storie come quelle, possano fluire alla grande.
    Nell’immediato, invece, ho forti perplessità. Secondo me gli amanti e abitué del libro di carta, con la storia completa, non riunceranno mai alle loro abitudini.

  19. Non credo all’ebook. Non credo che sostiuirà mai il libro. Tempo fa dicevano che la televisione avrebbe ucciso cinema e radio, ma cinema e radio sono ancora lì.

  20. Ciao Donata
    Sono assolutamente d’accordo con te. L’ebook non cancellerà mai i libri così come la tv non ha ucciso cinema e radio. Semplicemente è un prodotto nuovo, diverso e, in qualche modo, potenzialmente complementare
    Ciao
    Luca

  21. Un ringraziamento e un saluto a tutti gli intervenuti: Amelia Corsi, Renzo Montagnoli (trasferimento effettuato?) ;-)), Luca Corte, Giovanna Rubino, Marv, Marco Abate, renata f.

  22. Su Bassani avremo modo di dire altro… dato che si avvicina la data del decennale. Qualcuno di buona volontà, magari, potrebbe segnalare gli eventuali articoli che usciranno in questi giorni. Una specie di rassegna stampa…

  23. @ Luca Corte
    Un paio di domande facendo riferimento alla tua esperienza nel settore marketing…
    Che tu sappia, il bookcast è già “operativo” in altri paesi? Per esempio gli Stati Uniti?
    Le opportunità di business, qui in Italia, credi siano analoghe a quelle possibili in altre realtà?

  24. Ciao Massimo no ad oggi che io sappia ancora non è attiva questa modalità di fruizione. E il termine bookcast l’ho coniato io per cui è assolutamente inedito 

    Le possibilità di biz sono altissime, Mardock ha affermato che nel giro di pochi anni il new york times sposterà le sue linee di biz principalmente sul formato elettronico. Avere un device su cui c’è un giornale che si aggiorna in tempo reale,e che puoi tenere in tasca, è sicuramente una opportunità pazzesca. E nel momento in cui la gente inizia ad essere familiare con queste tecnologie, lo sviluppo viene da sé (pensa solo agli sms dei telefonini.. inizialmente nessuno li usava, poi..)

    Magari non nell’immediato, ma sono certo che il panorama del futuro (prossimo) sarà molto diverso da come lo immaginiamo o lo potremmo immaginare. Ci saranno sempre i libri cartacei, ovviamente, ed è proprio per questo che è importante trovare nuove soluzioni, nuove possibilità di fruizione per differenziare e caratterizzare sempre piùà i prodotti elettronici. Solo se saranno davvero capaci di dare un “valore aggiunto” al cliente/utente vinceranno la sfida

  25. Secondo me il bookcast potrebbe funzionare meglio con i racconti, un po’ meno con i romanzi. Essendo il racconto un testo più breve, l’utente potrebbe essere più stimolato ad acquistarlo. cosa ne pensa?

  26. oppure potrebbe essere utile per acquistare monografie, piccoli saggi, testi scientifici. Insomma, per il romanzo lo vedo un po’ di meno.

  27. l’affermazione di Gian Arturo Ferrari ha di certo il suo peso, perché non è l’opinione espressa da uno qualunque. Però anche in questo caso sono convinto che l’ebook potrebbe facilitare la diffusione di testi che hanno più difficoltà a trovare spazio nel ‘mercato cartaceo’, grazie all’abbattimento dei costi di stampa e distribuzione. che non è poco.

  28. ammetto di non conoscere molto di Giorgio Bassani, e questo saggio pubblicato da Gaffi potrebbe essere l’occasione giusta per saperne qualcosa di più. grazie per la segnalazione.

  29. Carissimo signor Luca Corte, carissimo signor Maugeri,
    certo , gli appartenenti alla nostra generazione (classe “39, per intenderci) rimangono un po’ perplessi di fronte a questa fluidità del sapere, a schermi da portare in tasca, a informazioni ricevute in tempo reale. E non vi nascondo che molti miei coetanei tendono a irrigidirsi, a resistere al nuovo, ad arroccarsi nelle certezze calde e familiari del passato… la carta da sfogliare e con cui tagliarsi, l’odore di stampa, il duro della copertina.
    Anch’io sono molto legato ai riti del libro, e anch’io dunque ho qualche timore.
    E però.
    Trovo che lo stimolo potenziale contenuto in queste forme di diffusione sia altissimo. Che oltre alla capacità di fruizione e di percezione esse modifichino il valore dell’apprendimento, rendendolo agevolissimo, alla portata di tutti, gradevole.
    Un approccio che non va trascurato, specie tra le nuove generazioni, rispetto alle quali questi mezzi potrebbero addirittura rendere più “facile” l’approccio con il libro.
    Ciò che a mio avviso è veramente innovativo non è il mezzo (gli uomini, nella loro storia, hanno sempre cambiato i mezzi, gli strumenti e le tecniche…). Ma la spinta all’apertura culturale.
    E’ anche ciò che è avvenuto con la televisione che ha accresciuto il livello medio di percezione della realtà da parte di tutti. Bene o male il “popolo televisivo” è più disincantato di noi, più conscio dei meccanismi della realtà, forse più smaliziato, ma di certo più pronto – più “educato” – a recepire.
    Ecco. Ben vengano questi nuovi strumenti quando spingono alla conquista del valore della cultura e dell’arte, senza soppiantare, ma accostando e valorizzando, gli altri mezzi. Ricordate la famosa frase di Kraus? “Arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è”.
    Un caro saluto a entrambi dal vostro amico
    Professor Emilio

  30. Grazie Massimo di avere segnalato il mio Bassani, Giorgio. Un ebreo italiano, che come dice il titolo stesso attraversa(viene attraversato) i testi del Romanzo di Ferrara partendo dal filo rosso dell’identità ebraica: che è reticenza, perlopiù, silenzi, e si traduce in personaggi marginali, ripulse, fatica e rifiuto nell’accettare l’inaccettabile: le leggi razziali, il fascismo dei ferraresi, la rassegnazione del padre. Quello che credo venga fuori, e che non era mai emerso (e questo credo avvenga proprio perché esercito un diritto di lettura “laterale”, guardando a quello che GB non dice, piuttosto che a quello che dice esplicitamente) è uno scrittore più livido, risentito, umoralmente morale di quanto era emerso fino a questo momento. Uno scrittore né elegiaco né Liala, anzi. Uno che la ferita della diversità se la porta per tutta la vita, e ne dissemina tracce che parlano ancora – eccome – alla nostra coscienza. Specialmente oggi.

  31. Faccio tanti complimenti a Marilena Renda per questo suo libro e alla Gaffi per averlo pubblicato. Lo acquisterò senz’altro e lo leggerò con grande interesse.
    Era ora che si parlasse in maniera adeguata di una figura fondamentale del nostro Novecento letterario, come quella di Giorgio Bassani.
    Il decennale della scomparsa è certo una grande occasione da sfruttare in tal senso.

  32. @giacomo
    gent giacomo, assolutamente d’accordo. L’utilizzo dei nuovi prodotti deve essere contestualizzato all’offerta editoriale. Racconti, poesie, testi scientifici sono sicuramente nicchie di mercato potenzialmente interessanti. Inoltre, grazie all’altissimo abbattimento di costi fissi, tali generi ( purtroppo spesso poco considerati) potranno vivere di nuova vita. Già in ambito scientifico le pubblicazioni online sono uno strumento consolidato e molto utilizzato.
    Bisogna inoltre sottolineare che il prodotto elettronico introduce anche una nuova realtà, la multimedialità. Perché ad esempio non inserire, in una raccolta di poesie, anche un file audio nel quale l’autore ne legge qualcuna? Perché non inserire in un racconto delle immagini o altri strumenti per rendere l’editorialità del progetto ancora più interessante? Ovviamente questi strumenti non devono essere invasivi o fuorvianti, ma se usati con buon senso potrebbero rendere il prodotto ancora più interessante.

    Cosa ne pensa?
    Grazie!
    Luca

  33. Inoltre proprio grazie all abbattimento di costi fissi si potrebbe considerare anche un progetto di “riscoperta” di letteratura. Uno degli sviluppi su cui stiamo lavorando con plettro.org è proprio in tal senso: quante migliaia di pagine della storia della letteratura sono andate “perse” o rinchiuse nei cassetti? Perché non rendere disponibile tale patrimonio a tutto il mondo? La realizzazione di un ebook potrebbe permettere a tutti quei testi di avere una nuova luce, essere riscoperti e apprezzati da tutti. Trovo che questo potrebbe essere un contributo allo sviluppo culturale di un Paese molto notevole. Nelle scuole i ragazzi hanno accesso ai pc.. vi immaginate che valore potrebbe avere questo materiale?

  34. @ luca corte
    sono d’accordo soprattutto con la possibilità di rendere fruibili testi che altrimenti andrebbero perduti. Cosa ne pensa del progetto di google libri, che mi pare vada in questa direzione?

  35. Non va dimenticato il ruolo che Bassani ebbe anche a livello filmografico firmando sceneggiature importanti.
    Come sceneggiature ricordo:
    – Senso di Luchino Visconti
    – La romana di Luigi Zampa
    – La donna del fiume di Mario Soldati
    – La mano dello straniero di Mario Soldati (1953)
    Come soggetti, vanno citati:
    – La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini
    – Il giardino dei Finzi-Contini di Vittorio De Sica
    – Gli occhiali d’oro di Giuliano Montaldo
    – I vinti di Antonioni

  36. 07/04/2010
    IL CORRIERE DELLA SERA su Marilena Renda


    Antonio Debenedetti
    – Giorgio Bassani moriva a Roma il 13 aprile di dieci anni fa. Ora, la sua città adottiva, Ferrara (era nato a Bologna nel 1916), lo ricorda con una serie di iniziative al liceo Ariosto di cui fa allievo e all’ università, mentre un simposio internazionale si terrà a Craiova (Romania) il 14 e 15 aprile. A Bassani è dedicato anche il volume di Marilena Renda, Bassani, Giorgio. Un ebreo italiano, edito da Gaffi nella collana Centenaria diretta da Massimo Onofri. Il libro ricostruisce, soprattutto attraverso Il romanzo di Ferrara, la relazione tra letteratura e condizione ebraica nell’opera dello scrittore. Un’opera in cui l’ebreo, scrive l’autrice, «è portatore di un destino oscuro e singolare, qualcosa che assomiglia, per dirla con Jacques Derrida, al peso di una colpa originaria». Bassani, come Primo Levi, portò alla luce per la prima volta nella storia letteraria italiana questa dimensione identitaria, facendola diventare il punto di partenza di una riflessione più ampia, storica e antropologica.

  37. @giacomo

    Trovo che il progetto di google sia molto interessante. Come tutte le cose però bisogna dividere l’idea, il concetto (quasi visionario) dalla realtà. Il problema è nella gestione dei diritti, e dell impatto che questo avrà sul mondo dei media. purtroppo nella realtà i diversi mondi si muovono a velocità diverse, ed il mondo dell editoria ( sembra quasi un controsenso) è generalmente molto più lento. I fattori sono molteplici, non vorrei banalizzare il problema. Purtroppo ormai è l’it che corre avanti, e si pone come drive anche in altri settori. Se gli editori saranno “miopi” ( scusate non vorrei offendere nessuno!) e non si muoveranno per sfruttare questa nuova potenzialità, entreranno nella crisi delle case discografiche ( che solo oggi stanno finalmente compiendo i primi passi per modificare le loro linee di biz)

  38. ..Quello che deve essere metabolizzato è l’importanza del prodotto, non più dello strumento di fruizione. Si parla di properties, di “concetti” che possono diventare libri, ebook, serie tv, musica, etc. questo non è né un bene né un male, è un fatto ( faccio questo di mestiere). Se il prodotto è di qualità, ne trarrà beneficio. Altrimenti ne risulterà schiacciato.
    Ovviamente ogni prodotto avrà la sua piattaforma più consona all’utilizzo, ma questo è un problema di buon senso

  39. @ professor Emilio
    Caro professore, grazie per essere intervenuto. I suoi commenti sono sempre da gustare con particolare attenzione.
    Bella la frase di Kraus: “Arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è”.

  40. @ Marilena Renda
    Cara Marilena, grazie per essere intervenuta. Auguro gran fortuna a questo tuo libro. Nei prossimi giorni avremo certamente modo di approfondirne ulteriormente la conoscenza.

  41. Giorgio Bassani e Giuseppe Tomàsi di Lampedusa. Due scrittori delusi dall’Italia postfascista.
    Scoperto un po’ casualmente da Giorgio Bassani, il romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa viene pubblicato postumo nella collana “Biblioteca di letteratura” della Feltrinelli nel novembre del 1958, preceduto da una prefazione partecipe del suo editor, che nel libro dello sconosciuto letterato siciliano coglie argomenti e temi esistenziali che già avevano improntato le sue storie ferraresi.
    Subito apprezzato dai lettori più disparati, nel giro di poco tempo “Il Gattopardo” diventa un best seller, ma suscita anche clamori, equivoci e polemiche, perché attraverso le sue pagine presenta un’immagine eretica delle vicende che si svolgevano nella Sicilia del 1860, all’epoca del trapasso dal regno borbonico al regno d’Italia.
    E’ vero infatti che il romanzo, desacralizzando il Risorgimento come una costruzione retorica (“una rumorosa, romantica commedia con qualche macchia di sangue sulla veste buffonesca”) e condannando – in maniera allusiva – alla “non speranza” le utopie palingenetiche legate alla Resistenza (“Per il momento[…] delle camicie rosse non si parla più, ma se ne riparlerà. Quando saranno scomparse queste ne verranno altre di diverso colore: e poi di nuovo rosse. E come andrà a finire?”), ci fa percepire che la realtà storica è assai complessa e non sempre coincide con il progresso e il miglioramento della società. Veicola verità che in quegli anni molti intellettuali non sono disposti ad accettare. Come Mario Alicata, che al solo sentir nominare “Il Gattopardo” va in escandescenze e che in una prefazione a una edizione russa del romanzo così scrive nel 1961: “…le tesi che sono alla base dei giudizi del principe Tomasi di Lampedusa a proposito degli avvenimenti storici che rappresentano lo sfondo del suo romanzo si distinguono dalle tesi espresse dalla letteratura e dai film progressisti. Mentre gli artisti progressisti mirano innanzitutto a sottolineare la novità rappresentata dal protagonismo delle masse italiane, contrapponendo questa novità alla inerzia delle vecchie classi dirigenti, l’autore del Gattopardo afferma che l’inerzia non è solo delle vecchie classi dirigenti ma che tutta la Sicilia ‘è addormentata’”.
    Per Bassani, invece, polemico nei confronti della “lagna neorealista” e autore delle “Cinque storie ferraresi”, in cui aveva denunciato apertamente la crisi degli ideali della Resistenza, è facile riconoscersi nella scrittura mai enfatica e dal registro ironico di Tomasi di Lampedusa, nello scetticismo di chi non crede alla favola del Risorgimento incarnata nell’avidità, nella vanità e nella rozzezza dei tanti Calogero Sedàra sparsi nello Stivale, moralmente e politicamente poveri, non in grado di mettere l’Italia al passo con l’Europa moderna.
    Alle soglie degli anni Sessanta del Novecento, che registrano la crisi dei valori collettivi e l’espansione dei consumi, l’incontro con il romanzo di Tomasi di Lampedusa, che vede protagonisti il principe di Salina e la sua famiglia, travolti da eventi e dall’ascesa di nuove forze sociali che li condannano a un decadimento inarrestabile, agisce sul pessimismo esistenziale e politico di Bassani e lo spinge a riprendere in considerazione il progetto di raccontare l’aristocratica famiglia ebrea dei Finzi-Contini che, come quella del Gattopardo, vive appartata e seguendo rituali ben precisi, in attesa di essere spazzata dalla violenza delle leggi razziali. Progetto a cui Bassani lavorava da almeno vent’anni e che non a caso porta a compimento tra il 1958 e il 1961. E così l’esile vicenda sentimentale tra due giovani ebrei ferraresi al centro dell’idea narrativa originaria di Bassani, ampliata e reimpostata con blocchi narrativi ispirati all’esperienza umana e politica dello scrittore, alla sua passione per l’arte e la storia, acquista nel “Giardino dei Finzi-Contini”(1962) un senso più generale e significativo e si sottrae al deposito delle memorie private.
    Un indizio della mutata predisposizione di Bassani verso la materia narrativa, che ora intende dipanare, si coglie già nel Prologo del romanzo, che non si limita solo a comunicare in anticipo i luoghi e gli ambienti del racconto, i tempi e i temi della vicenda e dei suoi personaggi. Qui, infatti, l’aria di euforia e di libertà, che si respira alle soglie del boom economico e che fa da sfondo a una visita alla necropoli etrusca di Cerveteri, registra il disagio dell’io-narrante di fronte ai primi segnali della modernizzazione convulsa che vede protagonista una società distratta e allegra, impegnata a cancellare se stessa e il proprio passato, come si evince dalla sua indifferenza ai valori della bellezza e della memoria.
    Come nel “Gattopardo”, voglio dire, anche nel “Giardino dei Finzi-Contini” il tempo lontano, il passato è evocato come presa di distanza dal presente e in particolare dalla miseria ideale e politica dell’Italia postfascista. In questo senso, la ricerca del vero e i valori etici sottesi all’inclinazione disinteressata del protagonista del “Gattopardo” per la lettura, la scienza e la matematica, speculare alla passione per la letteratura che nel “Giardino dei Finzi-Contini” lega l’io-narrante, il professore Ermanno e la figlia Micòl, oltre che nascere dal bisogno dei nostri personaggi di estraniarsi dalla retorica e dai rivolgimenti del loro tempo e di esorcizzare la violenza della storia, possono essere intesi anche come antidoto ai valori dell’astuzia, dell’intraprendenza e del pragmatismo delle nuove classi dirigenti che, a partire dai tardi anni Cinquanta del Novecento, guidano le trasformazioni sociali che avrebbero cambiato i rapporti di produzione, la mentalità, i costumi e i gusti estetici degli italiani, lacerando l’anima e il volto del nostro Paese.

  42. trovo l’airone un attardato romanzo decadente, però bello. fatte le somme, bassani è un autore fine e tuttavia modesto. non credo che me lo porterei tra i cento libri su un’isola.

  43. Salve, vi segnalo che l’Espresso (numero15 del 15-4-2010) contiene un interessante report di A. Fiori dal titolo: “La sfida dell’eBook”. La mia idea è che bisogna essere aperti alle nuove tecnologie, reinventare linguaggi, formati, procedure per la protezione del copyright e per la commercializzazione; ma il libro di carta rimarrà sempre. Solo quest’ultimo ti dà la sensazione di essere più vicino a chi l’ha scritto. Diceva Sciascia che “Chi tocca un libro, tocca un uomo”.

  44. Non sono d’accordo con G.A.Ferrari perché non credo alle asserzioni definitive sul futuro. Credo invece che il libro cartaceo rimarrà e diventerà elitario, mentre l’e-book sarà il futuro dell’editoria:Non costa nulla agli editori e quindi si butteranno a pesce su quest’iniziativa. Per quanto mi riguarda continuerò a comprare i libri cartacei: mi piace l’odore della carta, mi piace sfogliarli, mi piace guardarli nella mia libreria, mi piace fargli le linguette, insomma mi piace l’oggetto in sé.

  45. Condivido pienamente l’idea che l’e-book sarà l’editoria del domani, ma il libro non potrà mai sparire! Per chi come me lo ama, il libro è come una parte di sè…io lo porto ovunque: lo puoi sfogliare in una sala d’attesa, quando aspetti tuo figlio che esce da scuola, o mentre fa sport, lo porti in vacanza con te, ti aiuta a terminare una lunga giornata di lavoro rilassandoti…. E poi vuoi mettere il suo profumo, il fatto che puoi sottolineare, scrivere sopra i tuoi appunti, metterci i più impensati segnalibro, fa anche arredamento con tutte quelle copertine colorate….. amo il libro.

  46. Segnalo domani su Liberazione un mio ricordo di Giorgio Bassani nell’anniversario della morte, e alle 17 Fahrenheit.

  47. Massimo Raffaelli su Giorgio Bassani (da “Tuttolibri” del 10.4.2010)

    Negli ultimi anni di
    vita attiva, prima di inoltrarsi
    nel buio di un lunga malattia,
    Giorgio Bassani (nato a
    Bologna da ebrei ferraresi
    nel 1916 e spentosi a Roma il
    13 aprile del 2000) scrisse le
    poesie raccolte nel volume
    In rima e senza (1982): si trattava
    di testi sorprendenti,
    persino scandalosi, perché
    spiazzavano l’immagine di
    una scrittura esatta ed elegante
    come il profilo del liberale
    aduso alla posata riflessione
    dove bruciava in grani
    di understatement la lezione
    dell’unico maestro che avesse
    mai riconosciuto, Benedetto
    Croce.
    Viceversa in quelle poesie,
    scritte in prosa corrente
    e trasandata, esplodevano il
    risentimento, il sarcasmo e
    il rancore, cioè dei sentimenti
    che la sua educazione
    avrebbe ritenuto indifendibili:
    ne erano bersaglio i coetanei
    intellettuali e specialmente
    i ferraresi, gli stessi
    che lo avevano bandito al
    tempo delle leggi razziali e
    che adesso ritrovava tra i
    piedi quali onesti cittadini,
    compunti e zelanti, in un clima
    di pelosa confidenza e
    nel comodo oblio del male
    trascorso: nella poesia Gli ex
    fascistoni di Ferrara li aveva
    dunque presi meritoriamente
    a calci.
    Bassani aveva appena
    chiuso, dopo interi cicli di
    scritture e riscritture, ciò
    che va sotto il titolo di Romanzo
    di Ferrara (1980) e
    raccoglie le sue prose di invenzione
    da Cinque storie ferraresi
    (1956) a L’odore del fieno
    (’72), sezioni relativamente
    autonome intorno al baricentro
    del romanzo Il giardino
    dei Finzi-Contini che all’
    uscita da Einaudi, nel ’62, lo
    aveva rivelato anche al grande
    pubblico.
    Tuttavia, già in sospetto
    per avere avallato da dirigente
    di Feltrinelli la pubblicazione
    del Gattopardo, era
    stato poco meno che linciato
    dalla critica à la page di credo
    avanguardista, tacciato
    di filisteismo e, ovviamente,
    di bellettrismo: i più stolti e
    volgari avevano riesumato
    per lui (come per Carlo Cassola
    e Natalia Ginzburg) l’infamante
    appellativo di Liala.
    Chi ne aveva invece difeso
    il valore era ricorso a una
    duplice prova a discarico
    portando, da un lato, Il giardino
    dei Finzi-Contini come
    esempio di letteratura memoriale
    nella cui pagina il
    passato più nero sa ricomporsi
    e armonizzarsi senza
    residui, dall’altro come un
    testimone veridico che, in
    prima persona, annuncia la
    Shoah. Non che lo volesse,
    tale liberatoria lo caricava
    di un doppio stereotipo alla
    cui decostruzione sta tutto postuma dei critici, da Anna
    Dolfi, Alfonso Berardinelli,
    Raffaele Manica, Eraldo Affinati,
    a Massimo Onofri, Domenico
    Scarpa e Marilena Renda.
    E’ noto lo sviluppo del romanzo,
    ambientato a Ferrara
    negli anni del fascismo trionfante
    e fino al ’38, quando il
    protagonista autobiografico,
    un giovane borghese perplesso
    e introverso, manca il suo
    grande amore Micòl Finzi-
    Contini, la silfide dai capelli di
    rame, svagata, imprendibile e
    nondimeno destinata al Lager.
    Lo sviluppo minimo della
    trama (quasi l’imbastitura di
    un romanzo di formazione), il
    prevalere degli spazi interni,
    biblioteche, sale da pranzo e
    da ricevimento, campi da tennis
    privati, lo stesso leggendario
    giardino che dà sul rettifilo
    di Corso Ercole I d’Este, alludono
    a uno struggente erbario
    del tempo perduto, però si
    avverte ad ogni pagina un
    principio di gelo e la necessaria
    distanza dei sentimenti.
    Cioè un’imprevedibile e drammatica
    ironia.
    La musa di Bassani a lungo
    è potuta sembrare la memoria
    o il rimpianto della couche
    ebraica da parte di un Proust
    ritardatario ma in realtà essa
    è la Storia, con il giudizio critico
    che ne discende.
    Bassani non rivendica alcuna
    identità se non la scelta
    dell’antifascismo in quanto sa
    benissimo che l’Eden di Micòl,
    fino a un attimo prima dell’annientamento,
    è stato un paradiso
    di agrari e industriali garantito
    proprio dal fascismo.
    E la domanda mutamente
    iscritta nel romanzo non è
    quella che ci si aspetterebbe:
    perché gli ebrei, inermi, sono
    stati condotti al macello?
    La sua domanda è un’altra,
    tanto cruda da riuscire spietata:
    perché, fino alle leggi razziali,
    la borghesia ebraica ha
    aderito quasi integralmente
    al fascismo? Infallibile, Calvino
    aveva parlato all’uscita del
    romanzo di una «ghost story
    della borghesia italiana» e così
    Bassani aveva dichiarato a
    un seminario di studenti, nel
    1984: «La vera tragedia degli
    ebrei italiani, e nessuno l’ha
    mai detto chiaramente, è stata
    quella di finire a Buchenwald
    o Auschwitz pur essendo
    stati, la più parte, convintissimi
    fascisti».
    Qui va aggiunto che per lui
    il fascismo non è solo una
    brutta parentesi della nostra
    storia (come voleva il suo maestro
    Croce) ma un tratto di
    lungo periodo, il quale riaffiora
    ogni volta che sia discriminata
    una minoranza di cittadini
    o venga revocata in dubbio
    l’eguaglianza fra gli esseri
    umani. I suoi anni estremi sono
    peraltro quelli in cui il capo
    dei neofascisti italiani, Giorgio
    Almirante, ex segretario
    di redazione alla Difesa della
    Razza poi alto burocrate e rastrellatore
    a Salò, invoca apertamente
    la «riconciliazione nazionale
    », espressione appena
    meno ipocrita di quell’altra
    oggi corrente che esige, con
    suffragio bipartisan, una «memoria
    condivisa».
    Non fosse stato chiaro scrivendo
    Il giardino dei Finzi-Contini,
    Giorgio Bassani aveva risposto
    a tutti quanti nella
    clausola degli Ex fascistoni di
    Ferrara: «Voi quoque? / Dei
    quasi / mezzi cugini? / No piano
    / Come cazzo si / fa? // Prima
    / cari / moriamo».

  48. Massimo Romano su Giorgio Bassani (da “Tuttolibri” del 10.4.2010)

    Una città di pianura
    (1940), l’opera prima di
    Giorgio Bassani, è stata
    pubblicata da Officina d’Arte
    Grafica A. Lucini e C. con lo
    pseudonimo di Giacomo Marchi,
    usato dall’autore appena
    ventiquattrenne per sfuggire alle
    leggi razziali.
    Il volume, ambito dai collezionisti
    e definito da Gambetti e
    Vezzosi «abbastanza raro e molto
    ricercato», è stato venduto di
    recente dalla libreria Pontremoli
    a 500 euro. Di non difficile reperibilità
    sono le prime edizioni
    uscite nei Coralli einaudiani,
    con prezzi che oscillano dai 40
    ai 100 euro e tirature che vanno
    dalle 3.000 copie delle Cinque
    storie ferraresi (1956) alle
    5.000 de Gli occhiali d’oro
    (1958), forse il suo capolavoro, e
    di Una notte del ’43 (1960), riproposto
    singolarmente in concomitanza
    con l’uscita del film
    quasi omonimo di Florestano
    Vancini.
    Alcune delle storie ferraresi
    erano già apparse sulla rivista
    Botteghe Oscure, di cui lo stesso
    Bassani era redattore, e due
    furono pubblicate in volume, La
    passeggiata prima di cena
    (Sansoni, 1953) e Gli ultimi anni
    di Clelia Trotti (Nistri-Lischi,
    1955), prima di approdare nei
    SuperCoralli nel 1960.
    Il giardino dei Finzi- Contini
    (1962), che vinse il Viareggio e fu
    subito bestseller, stampato in
    30.000 copie nella I edizione, raggiunse
    le 100.000 alla terza dopo
    appena tre mesi e le 350.000 dopo
    qualche anno. Sulla scia del successo
    Einaudi stampò il romanzo
    successivo Dietro la porta (1964)
    in 50.000 copie, mentre il volume
    di saggi Le parole preparate
    (1966) ebbe una tiratura di 3.000,
    prima del passaggio di Bassani a
    Mondadori con L’airone (1968). I
    dati sulle tirature si devono alla
    gentilezza di Roberto Cerati, presidente
    dell’Einaudi.
    Nei tascabili Einaudi sono disponibili
    Le storie ferraresi,
    Una notte del ’43 e Il giardino
    dei Finzi-Contini, che si è imposto
    come longseller avendo venduto
    75.000 copie negli ultimi sei
    anni e quasi il doppio negli Oscar
    Mondadori.

  49. La recensione del saggio di Marilena Renda (da “Tuttolibri” del 10.4.2010)

    Una ferita nella nebbia
    Nel decennale della scomparsa dello scrittore, esce
    unalimpida monografia di Marilena Renda,
    Bassani, Giorgio.Unebreo italiano (Alberto Gaffi,
    pp. 177, e 10): scandita sulle sezioni delRomanzodi
    Ferrara, interpella unascrittura le cui figure sono
    per proverbio quelle della levigatezza estremama
    enigmatica allo stesso tempo,e cioè «la litote, la
    sfumatura, l’elusione, il chiaroscuro, la reticenza».
    Sottotracciaè lo studio del complesso e persino
    misterioso rapporto fra Bassani e l’ebraismo, nel
    duplice senso della eredità culturale e della
    tradizione familiare.Nona casoRenda lo sorprende
    nell’immagine della nebbia, che dilaga nei suoi
    paesaggi alla pari di un correlativo oggettivo. Qui la
    «ferita» d’origine che lo scrittore ravvisa su di sé al
    tempodelle leggi razziali si riconosce inun più
    vasto cerchio di esclusioni,comenel caso di Athos
    Fadigati, l’omosessuale protagonista di Gli occhiali
    d’oro: «Povertà, omosessualità, identità ebraica,
    opposizione politica: i personaggi – scriveRenda –
    sono segnatidaun peccato originale,daun difetto
    di nascitao di destino». Quasi fossero le stigmate
    diverse di un esilio dacui non c’è ritorno. Fatto sta
    che, rigettando sia l’alibi identitario sia le
    scorciatoie dell’assimilazione, Bassani tiene aperta
    la propria dialettica. Le suestorie travestite da
    memorieo, viceversa, ilsuo stesso ritornare
    fatalmente all’origine e alla ferita primordiale
    testimoniano invece di unascelta universalistica le
    cui prove iniziatiche, mai rinnegate e anzi ribadite
    semprecon orgoglio, sono l’antifascismo e gli ideali
    di Giustizia e Libertà.
    [M. R.]

  50. LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO su Marilena Renda

    R.C. A dieci anni dalla morte di Giorgio Bassani, lo scrittore Premio Strega viene ricordato in un ritratto della studiosa e poetessa Marilena Renda, «Bassani Giorgio: un ebreo italiano», pubblicato da Gaffi editore.

    Morto a Roma, il 13 aprile del 2000, Bassani viene raccontato attraverso le tensioni sotterranee presenti nelle sue opere nel tentativo di scoprire quello che il testo dice cercando di non dire. Il saggio della Renda, vincitrice del Premio Delfini 2009 per la sua opera poetica, pone l’attenzione sui diversi piani di lettura mostrando che tra le pieghe di un testo letterario all’apparenza esplicito e lineare si possono nascondere tensioni inconfessabili e nodi esistenziali mai risolti che gettano nuova luce sullo scrittore.

    Viene così ricostruita la figura di uno degli autori più significativi del Novecento italiano attraverso tasselli di pura umanità. Nato a Bologna nel 1916, Bassani trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Ferrara e nonostante le leggi razziali si laurea nel 1939 con una tesi su Niccolò Tommaseo all’Università di Bologna. Nel 1940 esce la sua prima opera «Una città di pianura», che pubblica sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Il successo editoriale arriva nel 1962 con la pubblicazione del romanzo di formazione «II giardino dei Finzi-Contini» con cui vince il Premio Viareggio.

    Autore dagli esordi difficili e di grande successo nella maturità, vincitore dello Strega nel 1956 con le «Cinque storie Ferraresi», e vicepresidente della Rai negli anni Cinquanta, sceneggiatore cinematografico e direttore editoriale (fece pubblicare da Feltrinelli «Il Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa), Bassani ebbe il merito di dar voce sempre nei «momenti sbagliati» alle minoranze penalizzate dalla storia.

  51. IL DOMANI DI BOLOGNA su Marilena Renda

    Sabrina Camonchia – Esattamente dieci anni fa, era il 13 aprile 2000, moriva dopo una lunga malattia Giorgio Bassani, nato a Bologna nel 1916 da genitori ebrei ferraresi. Anche per questo, per omaggiarlo nel decennale della scomparsa, la neonata Festa del libro ebraico, che si terrà nella cittadina estense dal 17 al 21 aprile, dedicherà un focus particolare, attraverso due itinerari, al suo maggiore scrittore contemporaneo, vincitore del Premio Strega nel 1956 con le Cinque storie Ferraresi. E mentre le terze pagine dei quotidiani in questi giorni di celebrazioni ancora si interrogano sulla sua eredità, sul suo essere ebreo e antifascista, arriva nelle librerie una monografia della critica e poetessa Marilena Renda, Bassani Giorgio: un ebreo italiano, pubblicata da Alberto Gaffi Editore (10 euro). Bassani viene raccontato attraverso le tensioni sotterranee presenti nelle sue opere nel tentativo di scoprire quello che il testo dice cercando di non dire. Il saggio di Renda, vincitrice del Premio Delfini 2009 per la sua opera poetica, pone l’attenzione su diversi piani di lettura mostrando che tra le pieghe di un testo letterario all’apparenza esplicito si possono nascondere nodi esistenziali mai risolti che gettano nuova luce sullo scrittore. Viene così ricostruita la figura di uno degli autori più significativi del Novecento italiano attraverso tasselli di pura umanità: infanzia e adolescenza ferraresi, nel 1939 laurea all’Università di Bologna nonostante le leggi razziali. L’anno successivo esce la sua prima opera Una città di pianura, che pubblica sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Il successo editoriale arriva nel 1962 con la pubblicazione del romanzo di formazione Il giardino dei Finzi-Contini con cui vince il Premio Viareggio. Vicepresidente della Rai negli anni Cinquanta, sceneggiatore cinematografico, da direttore editoriale fece pubblicare da Feltrinelli Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

  52. Copio-incollo da Repubblica.it di oggi, relativamente alle dichiarazioni di Berlusconi su Saviano:
    *
    ROMA – Tre scrittori, Rushdie, Grossman e Englander, a fianco di Saviano. Dure le loro reazioni alle parole di Berlusconi contro l’autore di Gomorra. “Un capo di Stato non può fare dichiarazioni così irresponsabili” commenta David Grossman. Salman Rushdie parla di “disgrazia per l’Italia” e aggiunge: “Sono indignato per la dichiarazione di Berlusconi su Saviano. Considero la sua testimonianza importante ed estremamente coraggiosa”. Nathan Englander sottolinea: “Un paese in cui si attaccano gli scrittori e la letteratura è considerata qualcosa di sovversivo è profondamente malsano”.

  53. Il mondo si stupisce ancora di questo mentecatto alla guida del nostro paese.
    Il fatto che qui non si stupisca più nessuno la dice lunga sul perchè lui sia ancora al potere.

  54. Copio-incollo, da Repubblica.it di ieri, parte della lettera aperta di Saviano a Berlusconi, relativamente alle dichiarazioni di quest’ultimo su “Gomorra”.

    *

    Saviano a Berlusconi
    “I clan vogliono il silenzio”
    Domani [oggi cioè (mia nota)] su Repubblica lettera aperta dello scrittore al presidente del Consiglio: “Le chiedo di fermarsi un momento a riflettere su cosa le sue parole significano”

    ROMA – I clan di tutte le mafie “vogliono il silenzio” e “solo mostrando come stanno le cose si ha la possibilità di fare resistenza”: lo scrive Roberto Saviano in una lettera aperta a Silvio Berlusconi, dopo le sue affermazioni sulla pubblicità che farebbero alla mafia fiction come La Piovra e libri come Gomorra, e che domani sarà pubblicata da Repubblica.

    “Presidente Silvio Berlusconi – scrive Saviano – le scrivo dopo che ha accusato chi racconta i meccanismi criminali di essere responsabile di ‘supporto promozionale alle cosche'”. “Le chiedo solo di fermarsi un momento a riflettere – scrive fra l’altro l’autore di Gomorra – su cosa le sue parole significano per quanti trovano la forza di raccontare e di esporsi, rischiando. Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Ciò che vogliono è il silenzio e solo mostrando come stanno le cose si ha la possibilità di fare resistenza”.

    “Invece di accusare chi racconta avrebbe potuto dire che l’Italia è il paese con la migliore legislatura antimafia del mondo. Di come noi italiani offriamo il know-how dell’antimafia a tutto il mondo. Questo sarebbe stato dare dignità a chi si batte per debellare una piaga, di questo i suoi elettori sarebbero andati fieri. Molti di loro, credo, saranno al contrario rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole e forse proprio loro potranno aiutarla a smentirle”, prosegue lo scrittore.

    La lettera di Saviano al premier si conclude così: “Io a questi attacchi oramai sono abituato e continuerò a usare la parola per raccontare, per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato in una terra meravigliosa, purtroppo devastata, la cui bellezza continua a darmi forza per sognare la possibilità di un’Italia diversa”.

    (16 aprile 2010)

  55. Ecco la lettera aperta integrale (pubblicata poco fa su Repubblica.it) di Roberto Saviano a Silvio Berlusconi:
    *

    LA LETTERA
    “Il premier mi vuole zittire
    ma sui clan non tacerò mai”
    Lo scrittore: “Assurdo preferire il silenzio, Berlusconi si scusi con le vittime”. “Non so se Mondadori è ancora adatta a me” di ROBERTO SAVIANO

    “Il premier mi vuole zittire ma sui clan non tacerò mai”
    Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di “supporto promozionale alle cosche”. Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d’Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt’ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire.
    è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un’espressione ancor prima di divenire il nome di un’organizzazione.
    Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?

    Il ruolo della ‘ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d’affari – cento miliardi di euro all’anno di profitto – un volume d’affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che “era tutta colpa de Il Padrino” se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica.

    Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell’istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. “La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere … non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze”.

    Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E’ mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull’organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti.
    Eppure la sua non è un’accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un’insana voglia di apparire. Quando c’è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l’allarme? Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l’unica strada raccomandabile. Eppure, Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l’impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l’Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know-how dell’antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell’occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia. E’ drammatico – e ne siamo consapevoli in molti – essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori.

    Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell’accusa, possiamo cambiare le cose.

    Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l’immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l’unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori, Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentire le sue parole. E’ l’unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me – che ormai ci sono abituato – ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando. Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall’accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti, “comprati”. E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E’ da loro che voglio risposte.

    Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta.
    ©2010 Roberto Saviano/
    Agenzia Santachiara

    (17 aprile 2010)

  56. La lettera di Saviano è di un’eleganza senza pari: perchè le sue parole possiedono la forza della verità. Di fronte alla quale il presidentedelconsiglio può rispondere solo con la forza del pensiero mediocre, delle parole banali e retoriche, infarcite di menzogna e di disprezzo per la cultura, sulle quali ha però costruito il suo impero economico, mediatico, politico.
    Quella di Saviano è una bellissima sfida. Qualcuno lo seguirà nell’invito alla fuga da Mondadori (Einaudi compresa)?
    Temo però che tutto cadrà nel vuoto, che il berluscòn non raccolga il guanto e con senso tattico attenda che la polemica si plachi da sè, e venga presto dimenticata, come sempre accade in questo paese. Spero di essere smentito.

  57. QUANDO IL CINEMA ERA PIU’ LUNGIMIRANTE DELLA POLITICA.
    Quando il film di Pietro Germi “In nome della legge” apparve sugli schermi nel lontano 1949, da noi non c’era la televisione, nelle case degli italiani la lettura dei giornali e dei libri non era un’abitudine diffusa e pochissimi conoscevano la parola mafia. Allora il cinema era una finestra sul mondo e spesso raccontava meglio della letteratura e del teatro la società italiana e i suoi cambiamenti in corso. Attraverso film non esenti da approssimazioni, ingenuità e contraddizioni, il cinema ci faceva capire chi siamo e da dove veniamo.

    Ci rivelava problemi e realtà che magari molti non sentivano vicini ma che pure esistevano. “La mafia – ha dichiarato Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni ucciso in un tratto dell’autostrada Punta Raisi-Palermo – non sapevamo cosa fosse. L’unica volta che ne parlammo in famiglia ricordo che fu in coincidenza con l’uscita del film ‘In nome della legge’. Ma anche in quel caso si rivelò un discorso su un problema che non sentivamo vicino a noi”. Girato a Sciacca (Ag) e dintorni negli anni che registrano l’assassinio del sindacalista Accursio Miraglia e le imprese del bandito Salvatore Giuliano, “In nome della legge” racconta l’esperienza di un giovane pretore mandato nel paesino siciliano di Capodarso a rappresentare la legge e contemporaneamente impegnato a combattere gli intrallazzi di un potente latifondista e la mafia locale agli ordini di massaro Turi Passalacqua.
    A differenza di certe fiction di oggi dedicate alla mafia, mosse da un imperativo innanzitutto spettacolare e che si concludono spesso con una specie di onore delle armi tra il detective che dà la caccia e il boss di turno abile a sfuggire alla giustizia, “In nome della legge” è un’opera dalla struttura narrativa originale, animata da forte impegno, anticipatrice del cinema “civile” che si svilupperà in Italia negli anni ’60.

    Nel film di Germi, infatti, il riconoscimento reciproco tra il capomafia massaro Turi Passalacqua (che anni dopo ispirerà certe pagine del romanzo di Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”, dove si fronteggiano il mafioso don Mariano Arena e il capitano dei carabinieri Bellodi, fedele alle istituzioni) e il pretore Guido Schiavi è funzionale alla rappresentazione di due personalità forti che esprimono punti di vista e valori di riferimento assai diversi.
    Uno, il capomafia, apparentemente uomo giusto e leale, paternalista, in realtà inflessibile e abituato a praticare la violenza. L’altro, il rappresentante della legge, uomo solo e determinato a raddrizzare le storture e le ingiustizie di una società spietata con i deboli e a fare prevalere i poteri dello stato senza i quali non c’è vera democrazia.
    Il confronto che si delinea fra questi due personaggi è abilmente utilizzato dal regista per vanificare le ragioni del mafioso e fare emergere e poi mettere in risalto l’intransigenza etico-civile del pretore che, opponendosi a un borghesia e a un ceto latifondista corrotti e ambigui così come all’arroganza della mafia e ai suoi riti anacronistici e selvaggi, cerca di restituire dignità, diritti civili e fiducia a un popolo da secoli abituato a vivere nella condizione del suddito.
    Lo sprona a un esame di coscienza, a conoscere la realtà e a combattere per non abbandonarsi all’indifferenza, all’omertà e allo scetticismo. Utilizzando il cinema come mezzo per svolgere, fra l’altro, una funzione di direzione etica e di coscienza critica della società, Germi dialogava con il pubblico e la classe dirigente del Paese. Denunciava le ambiguità che gravavano sulla Repubblica italiana e la fragilità della nostra democrazia, messe in risalto dalla figura del giovane magistrato, che spesso si muove come un eroe solitario sullo sfondo della campagna siciliana.
    Oggi, a sessant’anni di distanza e nonostante i numerosi film di denuncia sull’argomento in questione, la Mafia, all’epoca ancora contadina e limitata solo ad alcune parti della Sicilia, fa sentire la sua presenza invasiva in tutte le regioni italiane, perché ignorando gli interessi collettivi il clientelismo di massa e i comportamenti illegali proposti dall’alto si sono diffusi nella società come modelli di vita, frustrando il diritto di molti a un “altro” stato, a un altro modo di stare al mondo. Lorenzo Catania

  58. Seguendo Gaetano e Carlo, inserisco l’articolo che Massimo Gramellini ha scritto oggi sulla sua rubrica “Buongiorno” (prima pagina del quotidiano “La Stampa”). Condivido e sottoscrivo.

    17/4/2010

    Il rogo di Gomorra


    da “Buongiono” di MASSIMO GRAMELLINI

    Sono d’accordo con l’Amato Premier. La mafia italiana è appena la sesta nel mondo (il prossimo anno non parteciperà neanche alla Champions), la sua fama è tutta colpa di «Gomorra». Che in realtà parla di camorra ed è pubblicato dalla casa editrice dell’Amato. Ma sono quisquilie. Piuttosto: perché fermarsi a Saviano, dico io. Si chiami il ministro fuochista Calderoli e gli si commissioni un bel falò per buttarci dentro altri libri disfattisti. Comincerei dai «Promessi sposi»: tutti quei bravacci e signorotti arroganti, che agli stranieri suggeriscono l’immagine fasulla di un Paese senza regole, dove la prepotenza e la furbizia prevalgono sul diritto. E «Il fu Mattia Pascal»? Vogliamo continuare a diffondere la favola negativa dell’uomo che cerca un legittimo impedimento per potersi fare i fatti suoi? Nel fuoco, insieme con «La coscienza di Zeno», un inetto che non riesce nemmeno a liberarsi del vizio del fumo, quanto di più diseducativo per una gioventù che ha bisogno di modelli positivi come il vincitore di «Amici».

    Porrei quindi rimedio alla leggerezza sconsiderata del «Gattopardo». «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Hai trovato la formula segreta del potere e la spiattelli in giro così? In America nessun romanzo ha mai raccontato la ricetta della Coca-Cola. Nel fuoco anche Tomasi di Lampedusa: con quel cognome da nobile sarà di sicuro comunista. E poi «Il nome della rosa». Morti e sesso torbido in un monastero. Di questi tempi! Il nome della Rosa è Pantera. Il resto al rogo. Su con quelle fiamme e linea alla pubblicità.

    Fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41

  59. Segnalo attraverso questo spazio le pagine che l’Associazione Culturale Arch’è di Ferrara dedica a “Giorgio Bassani:archeologo dell’immaginario” e informo che è possibile ottenere fino al 13 giugno l’Annullo Postale Speciale di Poste italiane a lui dedicato in occasione del 10° Anniversario della morte
    Rivolgersi allo sportello filatelico delle poste centrali di Ferrara

    per saperne di più
    http://sites.google.com/site/archeferrara/giorgio-bassani

  60. Il 13 aprile 2010 la Fondazione Giorgio Bassani, l’Associazione Arch’è, il Liceo Ariosto e l’Università agli Studi di Ferrara, hanno organizzato una giornata di lavoro su Giorgio Bassani

    In questa occasione il laboratorio “Giorgio Bassani:archeologo dell’immaginario” di Arch’è ha trascritto il commento che accompagna la registrazione della lettura di Giorgio Bassani della poesia “Rolls Royce”

    La registrazione su nastro magnetico in cui Giorgio Bassani legge e commenta alcune poesie di soggetto ferrarese, tratte da “Epitaffio” e da “In gran segreto” è consultabile presso la Fondazione Giorgio Bassani, Sede Operativa Ferrarese c/o IUSS Ferrara, via Scienze 41b.
    mail: fondazionegiorgiobassani@gmail.com

    “Ha detto benissimo Claudio Marabini che le poesie, le mie soprattutto, quelle di “Epitaffio” e di “In gran segreto”, i miei due ultimi libri di poesie, bisogna “vederle” e ha spiegato benissimo perché: perché sono epitaffi. Il modo come sono fatte è una forma di espressione. Attraverso il modo come le ho fatte ho voluto dire qualcosa che è la morte e la vita insieme, perché la forma mortuaria contraddice al contenuto che è esattamente il contrario della morte: cioè la vita. La vita nella sua forma spesso più violenta. Bisognerebbe “vederle”.
    Vi leggerò alcune poesie che si riferiscono proprio a Ferrara, che riprendono il motivo de “Il romanzo di Ferrara”.
    C’è una poesia a cui tengo molto che s’intitola “ Al telefono”. E’ proprio una lapide, un po’ larga, un po’ corta e, come le lapidi, non ha né virgole né punti. E’ vero che molta poesia moderna gioca in questa maniera, io però penso che qui l’aver tolto i punti e le virgole significhi qualcosa, significhi di più, non è soltanto un gioco.
    L’unica vera differenza tra la mia cosiddetta narrativa e la mia cosiddetta poesia, tra i romanzieri e i poeti in verso, è questa: che i poeti in verso non possono mentire, non possono immaginare, devono dire sempre la verità, tutta la verità! Anche gli altri la dicono – i romanzieri veri che sian dei poeti – ma la dicono così: tendono non a inventare insomma. A trasporre.
    Ne “Il romanzo di Ferrara” mi sono sforzato di costruire un’opera sola. Nessun racconto,
    nessuna parte di esso si svolge nello stesso luogo. Piano piano ho costruito ogni parte della città, l’ho “messa su”, come dicono i cinematografari, e quindi, quando era necessario, ho dovuto anche inventarmi delle strade che non esistono, ma in sostanza, però, l’ho messa in piedi, l’ho costruita, ho dovuto costruirla, ho dovuto in qualche modo inventarmela, pur stando attaccato al vero il più possibile.
    Nelle poesie non è possibile questo. Le poesie debbono dire assolutamente il vero. Non possono non dire il vero.
    Come ha detto Marabini molte di queste poesie parlano di cose lontanissime da Ferrara. Succedono a Detroit, a San Francisco dove sono stato in questi anni… però anche loro, in qualche modo, sono in connessione con Ferrara perché sono io ad averle fatte, è la solita voce, la solita musica… ma, in sostanza, ci sono delle poesie proprio ferraresi: una, di grande importanza per me, che s’intitola “Rolls Royce”.
    Questa, vedete, anche questa è un’epigrafe, un epitaffio, ma molto più larga. Occorrerebbe una tomba di grandi dimensioni per accoglierla, ma la larghezza significa che è una poesia che è quasi un racconto. E’ una storia dove accadono molte cose.
    A differenza di quell’altra che è più lirica e quindi ha i versi più brevi. “

  61. Riferendomi all’articolo dagli ovvi toni sarcastici di Gramellini (inserito più sopra da Massimo) intitolato “Il rogo di Gomorra” – pubblicato nella sua rubrica in prima pagina su La Stampa di ieri -, tra i libri italiani destinati al rogo sicuramente c’è anche, oltre a quelli già citati da Gramellini, “Il giorno della civetta” di Sciascia.
    Scrive Sciascia, nell’ “Avvertenza” pubblicata nel 1972 in occasione dell’uscita de “Il giorno della civetta” nella Collana “Letture per la scuola media” Einaudi:
    “Ho scritto questo racconto nell’estate del 1960. Allora il Governo non solo si disinteressava del fenomeno della mafia, ma esplicitamente lo negava.”
    *
    A distanza di cinquant’anni, non si può negare il fenomeno. Si può tuttavia disprezzare chi ne parla. Tempi moderni.

  62. Copio-incollo da La Stampa.it di oggi:
    *
    Il dovere del verbo
    di BARBARA SPINELLI
    Un filo neanche molto sottile lega l’offensiva del presidente del Consiglio contro La piovra e Gomorra, e il divario crescente che lo separa da Gianfranco Fini. Il filo è costituito dal parlar-vero, sui mali italiani: da quello che Melville chiama, meditando in Moby Dick sul ruolo profetico, il dovere del verbo. Non è la prima volta che Berlusconi attacca La piovra. Lo ha già fatto il 28 novembre («Se trovo quelli che hanno fatto 9 serie sulla Piovra, e quelli che scrivono libri sulla mafia che vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro li strozzo»).

    L’assalto non era impulsivo: venerdì s’è esteso al libro di Roberto Saviano Gomorra. Ha detto testualmente: «(Dalle statistiche) la mafia italiana risulterebbe la sesta al mondo. Ma guarda caso è quella più conosciuta, perché c’è stato un supporto promozionale a quest’organizzazione criminale, che l’ha portata a essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra…». Se fuori casa appaiamo brutti, la colpa non è della mafia ma di chi fa vedere.

    Allo stesso modo gli sono intollerabili le analisi negative sulla crisi economica mondiale, e infine il lavorio che Fini sta compiendo per costruire una destra conservatrice ma non populista, non xenofoba, con un forte senso della legge e soprattutto dello Stato: poiché è la sfiducia nello Stato che alimenta, a Sud come a Nord, la potenza mafiosa. I giornalisti narrano come alle critiche concrete del presidente della Camera, giovedì, Berlusconi rispondesse, macchinalmente, con slogan di piazza o frasi tipo: «Va tutto bene». Lo scisma della destra a Sud è disastroso e la Lega prevarica, osservava il primo, e lui replicava che a Sud la destra vince e che la Lega gli ubbidisce.

    Vivo all’estero da tempo e posso certificarlo: se abbiamo ancora prestigio, presso i cittadini e i politici europei, è perché accanto al crimine esiste chi lo denuncia, a voce alta, rischiando la solitudine in patria e a volte la morte. Le sale si riempiono quando dall’Italia giungono Saviano, Travaglio, Tabucchi, descrivendo il regno d’un prepotente che controlla tutte le tv. Nei cinema, Gomorra e Il divo suscitano, oltre che spavento, ammirazione. Il giorno che Saviano visitò il Canada senza guardie del corpo, le giubbe rosse vollero scortarlo loro: per entusiasmo, e gratitudine. Non va dimenticato che la lotta antimafia di giudici e scrittori italiani aiuta molti Paesi ad arginare un crimine fattosi globale. Quando Falcone fu ucciso, nel maggio ’92, il giudice americano Richard Martin disse che mai sarebbe riuscito a smantellare Pizza Connection, senza Falcone. La mafia Usa fu combattuta da un trio composto da Falcone, Martin e Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di Manhattan. I metodi italiani antimafia sono un esempio mondiale. Non è con fiabe edificanti che correggiamo la storia. Fuori Italia, è a causa di Berlusconi che abbiamo problemi. Continuamente dobbiamo spiegare il suo successo, la sua malia, e non tanto lui quanto noi stessi.

    Dice Saviano nella lettera al premier, pubblicata ieri da Repubblica, che «accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al Paese non è un modo per migliorare l’immagine italiana, quanto piuttosto per isolare» chi esplora tale potere. Senza narrazione veridica, niente riscatto: «È l’unica strada per dimostrare che siamo il Paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, non il Paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan». Berlusconi non l’ignora: sa quel che dice, e non teme di dirlo in nome di tutti gli italiani. Quando proclamò eroe Vittorio Mangano (ergastolo per due omicidi, appartenenza alla mafia, traffico di droga) fu il silenzio omertoso che esaltò come modello di virtù. L’arma principe contro le mafie – i pentiti, che lo Stato deve tutelare – veniva spuntata.

    Infatti è stata spuntata, come spiega il giudice Nicola Gratteri quando evoca la battaglia alla ’ndrangheta. Gian Carlo Caselli sostiene che il discredito gettato sui pentiti – quindi su chi parla – non esisteva nel contrasto al terrorismo, ragion per cui quest’ultimo fu vinto e la mafia no (Le due guerre, Melampo 2009). Sono arrestati molti latitanti, non c’è dubbio: un successo del ministro dell’Interno, ma anche di magistrati e poliziotti non intralciati. In futuro lo saranno. Dice ancora Gratteri che quella sulle intercettazioni è «una legge spaventosa, che costruirà attorno alle mafie una diga di silenzio con il pretesto della “privacy”» (il suo libro, La malapianta, è pubblicato come Saviano da Mondadori, editrice del premier). Il silenzio è un regalo enorme alle mafie.

    Anche per questo, perché l’omertà trascolora in eroismo, la mafia non spara come prima. Ma dilaga, specie a Nord. La legge del silenzio e la legge che silenzia: probabilmente è questa la stoffa di cui è fatto il patto politica-mafia, sotto la cui tenda viviamo. Ci ha protetti da attentati. Non ci protegge da una condiscendenza dilatata all’illegalità, dai profitti colossali della ’ndrangheta. Parlando degli elettori berlusconiani, Saviano osserva: «Molti di loro saranno rimasti sbigottiti e indignati dalle sue parole». Gli italiani, non solo di sinistra, si sono appassionati a Gomorra e alla Piovra (il primo film che parli di rapporti fra mafia, politica, finanzieri, massoni). La piovra ha agito sulle coscienze come il serial televisivo Olocausto sui tedeschi, nel 1979, o come sui francesi il film di Resnais sulla collaborazione, Notte e nebbia. Scoprire i propri lati oscuri è parte d’ogni guarigione, individuale o collettiva. È raccontare il proprio Paese com’è, per migliorarlo. Matilde Serao fece vedere che Napoli non era una cuccagna: nel Ventre di Napoli s’aggrovigliavano crimine e povertà. Grazie a lei la medicazione ebbe inizio.

    Parlare vero è anche una barriera contro la degradazione della politica, contro i suoi vocaboli edulcoranti, i suoi eufemismi. È qui che il richiamo al dovere del verbo si allaccia alle vicende di Fini. Dell’Utri afferma che la politica gli serve per i processi di complicità con la mafia. Lo ha detto in un’intervista a Beatrice Borromeo, il 10 febbraio sul Fatto: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera». Lo ha ripetuto giovedì, al processo d’appello di Palermo. Ancora non si sa come finirà il conflitto Fini-Berlusconi, ma spegnersi del tutto non può: perché due visioni della destra si scontrano. Perché la contesa ha al proprio centro il dovere del verbo. Perché dall’antichità è con la parola che la politica comincia, o ricomincia. Perché l’attesa che si è creata non è piccola.

    È vero: Fini ha inaugurato la sua diversità con il vocabolario e lo stile, prima che con le azioni; con discorsi sempre più affilati su temi decisivi come l’immigrazione, la legalità, la Costituzione. Dicono che qui è la sua debolezza, che mancano le politiche; che tutto è intellettualismo, maniera. «Fini dove va? Sono quattro gatti, sono dei fighetti», dice Berlusconi, e sa di poter contare su molti che la pensano così. Molti detrattori della parola, sospettata di non avere «radici nel territorio»: dunque radici nella paura, come la Lega. La retorica ha una fama cattiva, ma ha nobili tradizioni. Chi voglia riscoprirlo sfogli il periodico online di Farefuturo, la fondazione di Fini: spesso troverà i toni del j’accuse di Zola, che non è roba di fighetti. Il massimo politologo europeo è Machiavelli. È lui a smascherare l’opacità verbale, quando descrive riformatori religiosi come San Francesco: essi «lasciarono intendere che egli è male dir male del male», coprendo per questa via gli uomini della Chiesa. «Così quegli fanno il peggio che possono, perché non temono quella punizione che non veggono e non credono».

    Il dovere del verbo non è altro che questo: dire male del male. Su mafia, crisi, sul parto così difficile di una destra non biliosa, equilibrata. Un male non imbellito da telegiornali che rincretiniscono con servizi sulla fine dei chewing-gum masticati, e che diventano – la formula è di Sabina Guzzanti – armi di distrazione di massa. Saremo apprezzati all’estero a queste condizioni. In Italia si dimenticano presto non solo i propri misfatti, ma anche le proprie grandezze e i propri uomini di valore.

  63. Ho aggiornato questo appuntamento della camera accanto dando spazio a un premio letterario che – nel corso di vent’anni – è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nel panorama culturale nazionale: il Premio Chianti.
    Ho avuto modo di discuterne – per mail – con il fondatore, lo scrittore Paolo Codazzi (Direttore della rivista culturale Stazione di Posta) che ho il piacere di invitare qui perché ci possa raccontare la storia e le peculiarità di questo Premio.

  64. @ Paolo Codazzi
    Raccontaci un po’ la storia di questo premio, Paolo…
    – Come è nato?
    – Come si è sviluppato nel tempo?
    – Quali sono le sue caratteristiche peculiari?
    – Hai qualche aneddotto particolare da condividere?

  65. Dalla rubrica Lettere del quotidiano Il Sole 24 Ore di mercoledì 21 aprile, pagina 14, trascrivo quanto segue.
    A scuola da Bassani.
    Il 13 aprile di dieci anni fa moriva Giorgio Bassani. Dopo la Ferrara letteraria delle pagine di Carducci, D’Annunzio e Govoni, Bassani, con i suoi racconti non consolatori sugli infelici, gli ebrei, la guerra, la Repubblica di Salò, gli eccidi, l’antifascismo intransigente e quello ambiguo e compromissorio, restituiva la sua città di adozione alla storia e ce ne dava un’immagine complessa e inquietante. Ci faceva percepire la fragilità dell’Italia democratica, spesso votata al conformismo e alla ricerca di capri espiatori, che avrebbero dovuto permettere al popolo italiano di rimuovere le sue responsabilità e il suo passato. Dimostrava che a volte gli scrittori leggono la realtà meglio degli storici e che la letteratura è più lungimirante della politica.
    Lorenzo Catania

    Risponde Salvatore Carrubba
    Chissà se a scuola consigliano ancora, come ai miei tempi, di leggere Il giardino dei Finzi-Contini.
    Forse, proprio una lettura di gioventù alimenta l’impressione suscitata da uno scrittore, oggi forse meno frequentato del dovuto, il cui capolavoro ha rappresentato per una generazione di lettori la scoperta di un’indifferenza strisciante che si fa autentico imbarbarimento morale di un’intera società. Sono i temi sintetizzati bene da Marilena Renda in un libro recente sullo scrittore ferrarese (Bassani, Giorgio, edito da Gaffi): “La ferita dell’emarginazione, il destino del popolo ebraico, il rapporto ambiguo con l’origine”. Non foss’altro che per questo (e per averci fatto leggere Il Gattopardo) Bassani resta un protagonista in un mondo che troppo spesso condanna l’intolleranza a parole, o quando fa comodo.

  66. Il Premio Letterario Chianti nacque da un’idea dello scrittore Paolo Codazzi, Direttore della rivista culturale Stazione di Posta, e fu fondato nel 1987 mediante la collaborazione tra l’Amministrazione Comunale di Greve in Chianti (con l’allora Sindaco Alberto Bencistà e con Fabio Baldi, Vicesindaco e Assessore alla Cultura) e la rivista culturale Stazione di Posta.
    Le prime edizioni alternavano annualmente Poesia e Narrativa, poi dall’edizione del 1992 il Premio si è riferito esclusivamente alla narrativa. E per le edizioni 2001\2002 con una sezione Opera Prima, e nel 2002\2003 esclusivamente rivolto all’Opera Prima.

  67. Una connotazione peculiare del Premio fin dalla prima edizioni è stata la centralità di una Giuria di Lettori, che ampliandosi di anno in anno fino agli attuali oltre duecentocinquanta partecipanti, determina il vincitore del Premio tra una cinquina di finalisti selezionati da una Giuria Tecnica presieduta dal Prof. Giorgio Luti e comprendente Paolo Codazzi e un rappresentante nominato di anno in anno dall’Assessorato alla Cultura di ognuno dei comuni convenzionati assieme alla rivista Stazione di Posta per la gestione della manifestazione. Grazie all’impegno di Sindaci e Assessori succedutisi nel tempo, della rivista Stazione di Posta, della Giuria Tecnica (comprendente negli anni Marino Biondi, Simona Costa, Silva de Marchi, Enrico Ghidetti, Franco Manescalchi, Marco Marchi, Sergio Vitale, Lucia Bagni, Alessandra Carrai, Carlo Fiaschi, Elisa Prati), e alla entusiastica partecipazione della Giuria dei Lettori, il Premio Chianti è cresciuto e si è rafforzato e, soprattutto, ha trasferito nelle abitazioni di oltre duecentocinquanta persone del comprensorio dei Comuni convenzionati (fenomeno che agisce da moltiplicatore per tutta la cittadinanza) un sereno e serio dibattito sulla produzione narrativa di questi anni, selezionando e premiando autori che successivamente hanno ottenuto ulteriori importanti riconoscimenti.

  68. La volontà costante di potenziare il Premio Chianti, sia nel numero dei Giurati, sia nella dotazione di premi, e non ultima nella possibilità di dilatare per buona parte dell’anno gli interventi culturali collegati con il Premio stesso, ha promosso, attraverso l’intervento degli Assessori dei tre Comuni, convenzionati da un atto scritto, la proposta di allargare ad altri Comuni del Chianti Classico l’organizzazione e la gestione del Premio Letterario Chianti, con potenzialità che risulterebbero adeguate a far diventare il Premio Chianti un, se non il solo, esempio di Premio Letterario che realmente coinvolge e interessa un ambito territoriale e umano di dimensioni straordinarie.

  69. Al momento, e a partire dalla XIX edizione 2005\2006, le Amministrazioni consorziate con la rivista Stazione di Posta, oltre al Comune di Greve in Chianti (Comune capofila avendo fondato con la rivista Stazione di Posta la manifestazione), al comune di San Casciano Val di Pesa e al comune di Radda in Chianti (associatisi a partire dall’edizione del 1992), anche i Comuni di Barberino V.E, Impruneta e Tavarnelle V.P hanno aderito alla richiesta del Comitato Promotore del Premio aderendo alla Manifestazione e impegnandosi concretamente per lo svolgimento della manifestazione sia in termini logistici e di organizzazione, sia sotto il profilo economico.

  70. PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1987 · 1° EDIZIONE POESIA

    FINALISTI
    Mariella Bettarini Anna Carrara Carlo Ferrucci
    Roberto Gagno Mario Grasso Elia Malagò
    Giuseppe Rosato Giovanni Ruggiero Raffaella Spera

    VINCITORE
    ELIA MALAGÒ ” Pita Pitela ” Ediz. Forum

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1988 · 2° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Furio Allori Angelo Australi Piero Cao
    Achille Serrano Lucio Zinna

    VINCITORE
    ACHILLE SERRANO ” Cammeo ” Quaderni di Messapo

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1989 · 3° EDIZIONE POESIA

    FINALISTI
    Mariella Bettarini Dino Carlesi Rosa Maria Fusco
    Marcello Marciani Anna Ventura

    VINCITORE
    ANNA VENTURA ” La Diligenza dei Santi ” Bastogi

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1990 · 4° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Luciano Erba Milena Milani Nerino Rossi

    VINCITORE
    MILENA MILANI ” Storie Veneziane ” Sette Ed.

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1991 · 5° EDIZIONE POESIA

    FINALISTI
    Antonio Facchin Matilde Jonas Michele Miniello
    Valerio Vallini Giovanna Vizzari

    VINCITORI EX EQUO
    ANTONIO FACCHIN ” Ancella ” Amadeus
    VALERIO VALLINI ” Viaggio Obbligato ” Quaderni di Barbablù

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1992 · 6° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Elio Bartolini Rodolfo Doni Luigi Fontanella
    Giorgio Santarelli Stefano Ventisette

    VINCITORE
    GIORGIO SANTARELLI ” La Casa Rossa ” Forum Edizioni

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1993 · 7° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Giuliano Scabia Donatella Contini Giovanni Mariotti
    Luisa Adorno Marisa Volpi

    VINCITORE
    GIOVANNI MARIOTTI ” Matilde ” Anabasi

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1994 · 8° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Piero Meldini Silvana La Spina Luca Desiato
    Athos Bigongiali Giorgio Pressburger

    VINCITORE
    PIERO MELDINI ” L’Avvocata delle Vergini ” Adelphi

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1995 · 9° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Edoardo Nesi Andrea Cammilleri Nino Filastò
    Laura Pariani Alessandro Tamburini

    VINCITORE
    LAURA PARIANI ” Il Pettine ” Sellerio

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1996 · 10° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Giovanni Ferrara Giuseppe O. Longo Michele Perriera
    Ugo Riccarelli Clara Sereni

    VINCITORE
    UGO RICCARELLI ” Le Scarpe appese al Cuore ” Feltrinelli

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1997 · 11° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Athos Bigongiali Alessandro Golinelli Piero Malvolti
    Camilla Salvago Raggi Andrea Camilleri

    VINCITORE
    ANDREA CAMILLERI ” Il Cane di Terracotta ” Sellerio

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1998 · 12° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Giampaolo Rugarli Cesare De Marchi Enzo Lauretta
    Maurizio Bettini Tullio Pinelli

    VINCITORE
    ENZO LAURETTA ” L’Amore Truccato ” Costa & Nolan ed.

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 1999 · 13° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Angiolo Bandinelli Luciano Berti Maurizio Maggiani
    Giovanna Guerci Favini Fabrizia Ramondino

    VINCITORE
    MAURIZIO MAGGIANI ” La Regina Disadorna ” Feltrinelli

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2000 · 14° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Valerio Aiolli Marosia Castaldi Helga Schneider
    Guido Conti Laura Mancinelli

    VINCITORE
    HELGA SCHNEIDER ” Il Piccolo Hadolf non aveva le Ciglia ” Rizzoli

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2001 · 15° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI · Sez. A
    Furio Colombo Alberto Ongaro Pietro Spirito

    VINCITORE
    PIETRO SPIRITO ” Le Indemoniate di Verzegnis ” Guanda editore

    FINALISTI · Sez. B · Opera Prima
    Gianfranco Miro Gori Paola Mastrocola Emiliano Panconesi

    VINCITORE
    PAOLA MASTROCOLA ” La Gallina Volante ” Guanda

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2002/2003 · 16° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI · Opera Prima
    Maria Habermann Daniela Lorenzoni Marlisa Trombetta
    Arnaldo Colasanti Lisa Ginzburg Corrado Ruggiero

    VINCITORE
    DANIELA LORENZONI ” La Natura dell’Ambiguità ” Diabasis editore

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2003/2004 · 17° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Marisa Cioni ” La porta tra i delfini ” Sellerio
    Cristina Comencini ” Matrioska ” Feltrinelli
    Danilo Sacchi ” Fossili transito per Auschwitz ” Giuntina editore
    Diego De Silva ” Voglio Guardare ” Einaudi

    VINCITORE
    DANILO SACCHI ” Fossili transito per Auschwitz ” Giuntina editore

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2004/2005 · 18° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Toni Maraini ” Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata ” Sellerio
    Paolo Di Stefano ” Tutti contenti ” Feltrinelli
    Giandomenico Mazzocato ” Il caso Pavan ” Liberale
    Giovanni Occhipinti ” Un plurimo brillare ” Iride
    Francesca Duranti ” L’ultimo viaggio della Canaria ” Marsilio

    VINCITORE
    PAOLO DI STEFANO ” Tutti contenti ” Feltrinelli

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2005/2006 · 19° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Cristina Acidini ” La lupa e il leone ” Le Lettere 2004
    Carla Cerati ” L’intruso ” Marsilio 2004
    Alessandro Perissinotto ” Al mio giudice ” Rizzoli 2004
    Shulim Vogelmann ” Mentre la città bruciava ” Giuntina 2004
    Bijan Zarmandili ” La grande casa di Monirrieh ” Feltrinelli 2004

    VINCITORE
    ALESSANDRO PERISSINOTTO ” Al mio giudice ” Rizzoli 2004

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2006/2007 · 20° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Amineh Pakravan ” Il libraio di Amsterdam ” Marsilio 2005
    Gianfranco A. Bianchi ” Pastorale italiana ” Mobydick 2005
    Roselina Salemi ” Il nome di Marina ” Rizzoli 2005
    Silvia Di Natale ” L’ombra del cerro ” Feltrinelli 2005
    Sergio Bianchi ” La gamba del Felice ” Sellerio 2005

    VINCITORE
    ROSELINA SALEMI ” Il nome di Marina ” Rizzoli 2005

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2007/2008 · 21° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Marco Archetti ” Maggio splendeva ” Feltrinelli 2006
    Federica Bosco ” Cercasi amore disperatamente ” Newton Compton 2006
    Simona Baldanzi ” Figlia di una vestaglia blu ” Fazi 2006
    Alessandra Farkas ” Pranzo di famiglia ” Sperling & Kupfer 2006
    Tea Ranno ” Cenere ” E & O 2006

    VINCITORE
    TEA RANNO ” Cenere ” E & O 2006

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2008/2009 · 22° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Michele Mari ” Verderame ” Einaudi 2007
    Marco Malvaldi ” La briscola in cinque ” Sellerio 2007
    Stefano Bernazzani ” L’inverno che non dimenticheremo ” Mobydick 2007
    Simonetta Agnello Hornby ” Boccamurata ” Feltrinelli 2007
    Paolo Albani ” La governante di Jevons ” Campanotto 2007

    VINCITORE
    STEFANO BERNAZZANI ” L’inverno che non dimenticheremo ” Mobydick 2007

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    PREMIO LETTERARIO CHIANTI 2009/2010 · 23° EDIZIONE NARRATIVA

    FINALISTI
    Rodolfo Doni ” Con te nella resurrezione ” Mauro Pagliai 2008
    Maria Rosa Cutrufelli ” D’amore e d’odio ” Frassinelli 2008
    Antonio Della Rocca ” La spilla di Janesich ” Mobydick 2008
    Alessandro Bertante ” Al diavul ” Marsilio 2008
    Roberto Pazzi ” Dopo primavera ” Frassinelli 2008

  71. Caro Massimo, grazie per lo spazio concesso al Premio Chianti.
    Per rispondere alle tue domande…
    Nel 1987 frequentavo Greve in Chianti per lavoro (vivo e sono nato a Firenze), e nelle pause tra un incontro di lavoro e l’altro mi recavo volentieri nella libreria della cittadina di proprietà di uno squisito uomo,Giulio Pozzi, con il quale potevo uscire dall’ambito degli impegni professionali conversando di letteratura, della mia attività di scrittore, della rivista (Stazione di Posta) fondata tre anni prima. Giulio mi chiese se volessi organizzare delle serate di poesia con poeti fiorentini con i quali in quegli anni organizzavamo il mitico “Ottovolante”, che fu una grande occasione (persa) per tutta la cultura fiorentina (ma Firenze è sempre ostile con i suoi figli e preferisce vivere di “torri” individuali piuttosto che raccogliere le forze per un progetto di grande respiro).
    Organizzai le serate, alle quali partecipò molta gente e in uno di questi incontri conobbi il Sindaco Alberto Bencistà che mi propose di organizzare, attraverso Stazione di Posta, una manifestazione che avesse periodicità annuale. Nacque il Premio Letterario Chianti.
    Ci trovammo subito d’accordo sulle motivazioni che avrebbero dovuto orientare l’iniziativa:
    promozione della lettura, coinvolgimento territoriale e umano.
    Inizialmente solo il Comune di Greve in Chianti collaborava con Stazione di Posta per la Manifestazione, e il primo anno i lettori furono 10. I primi anni alternavano Poesia e narrativa, poi dal 1992 ci siamo rivolti soltanto alla narrativa, ma per volumi pubblicati nell’anno precedente: questo per non farsi coinvolgere nel “mercato” delle stagioni letterarie e per scoprire testi passati immeritatamente sotto silenzio. Tuttavia, nonostante queste condizioni, l’albo d’oro del Premio non è davvero inferiore a quello delle più importanti manifestazioni letterarie.
    Dopo alcuni anni si aggiunsero anche i Comuni di Radda in Chianti e San Casciano in Val di Pesa, e i lettori progressivamente passarono a circa 80 unità. Da 5 anni altri tre Comuni, Impruneta, Tavarnelle, Barberino Val D’elsa, hanno aderito al Premio e i lettori attualmente sono circa 320 (altri due comuni si stanno avvicinando per unirsi agli altri).
    In questi 23 anni abbiamo acquistato dalle case editrici circa 20.000 libri ad uso dei lettori, e non mi pare cosa di poco conto per la promozione della lettura (tenendo conto del fenomeno moltiplicatore familiare che associa ai libri un numero ben più elevato di quello dei lettori).
    Un’altra peculiarità del Premio Letterario Chianti, eticamente rilevante (vedi gli scandali recenti) è il rapporto tra risorse impiegate e risultati raggiunti, fenomeno che in un periodo come quello che stiamo vivendo credo sia del tutto rilevante.
    Il coinvolgimento territoriale (sei comuni del Chianti ai quali se ne aggiungeranno altri raggiungendo un’area molto ampia della Toscana) e umano della manifestazione (320 lettori che leggono i 5 testi finalisti ogni anno e nella serata finale decretano il vincitore attraverso schede di preferenza ricevute e conteggiate in tempo reale).
    Fin dalla fondazione la Giuria Tecnica del Premio Letterario Chianti (che seleziona i 5 testi finalisti tra quanti pervenuti successivamente ad un bando inoltrato all’universo delle case editrici), è stata presieduta dal Prof. Giorgio Luti, scomparso nel novembre 2008. Da allora, nella consapevolezza delle difficoltà per un’adeguata sostituzione, nel prestigio e nell’etica del Luti, il sottoscritto coordina la Giuria Tecnica.
    Il Premio Letterario Chianti attraverso il focolare di partecipazione popolare (Festa di Popolo la chiamo nell’accezione nobile del termine) è motivo trainante per tutta una serie di iniziative culturali che durante l’anno ravvivano le cittadine dei comuni convenzionati.
    Dal prossimo anno, con l’aumento dei mezzi economici disponibili, miglioreremo alcune entità della manifestazione in modo da renderla sempre più dinamica e appetibile per autori ed editori, ma nella certezza che chi viene al Premio deve considerarsi già vincitore coinvolto in una grande Festa di Popolo, e rinunciamo volentieri a chi non ha questo tipo di approccio.

  72. Antonio Pascale e Massimo Onofri saranno gli ospiti della puntata radiofonica “Letteratitudine in Fm” di domani, 30 aprile

    Nella nuova puntata di “Letteratitudine in Fm”, che andrà in onda su Radio Hinterland domani, 30 aprile, alle h. 12,30 (e in replica martedì 4 maggio, h. 21 circa) Massimo Maugeri ospiterà lo scrittore Antonio Pascale e il saggista e critico letterario Massimo Onofri.
    Nel corso della puntata si discuterà:
    1. del nuovo libro di Pascale: “Questo è il paese che non amo. Trent’anni nell’Italia senza stile” (minimum fax):
    http://www.ibs.it/code/9788875212179/pascale-antonio/questo-paese-che.html

    2. dei nuovi libri di Massimo Onofri:
    – “Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo” (Donzelli):
    http://www.ibs.it/code/9788860364098/onofri-massimo/suicidio-del-socialismo.html
    – “Il secolo plurale. Profilo di storia letteraria novecentesca” (Avagliano):
    http://www.ibs.it/code/9788883092909/onofri-massimo/secolo-plurale-profilo.html
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    Antonio Pascale, nato a Napoli nel 1966 ma cresciuto a Caserta, ha pubblicato La città distratta (l’ancora del mediterraneo 1999, Einaudi 2001), un affresco della vita nella città di Caserta, con cui ha vinto l’edizione 2000 del premio Sandro Onofri; La manutenzione degli affetti (Einaudi 2003), con cui ha vinto molti premi letterari e Passa la bellezza (Einaudi 2005). Ha curato l’edizione 2005 dell’antologia Best Off, un’antologia dei migliori testi pubblicati su riviste letterarie italiane (minimum fax 2005). Il racconto “Io sarò stato” fa parte dell’antologia La qualità dell’aria (minimum fax 2004).

    Massimo Onofri, docente di Letteratura italiana contemporanea a Sassari, collabora a “L’Indice”, “La Stampa”, “Avvenire” e i giornali regionali del Gruppo Espresso. Tra i suoi libri più recenti: Storia di Sciascia (Laterza, 2004, nuova edizione), La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo (Donzelli, 2007, Premio “Brancati” per la saggistica), Recensire. Istruzioni per l’uso (Donzelli, 2008), Nuovi sensi vietati. Diario pubblico e contromano 2006-2009 (Gaffi, 2009), Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo (Donzelli, 2009). Per Avagliano ha pubblicato La modernità infelice. Saggi sulla letteratura siciliana del Novecento (2003) e Il sospetto della realtà. Saggi e paesaggi novecenteschi (2004).

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    Radio Hinterland si ascolta su Fm 94.600 MHz – nel territorio della provincia di Milano e oltre – e in streaming via internet da qui:
    http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx

  73. Ho avuto la fortuna, nel 2009, di essere tra i 5 finalisti del Premio Chianti. Poi ho anche vinto, ma questo è meno importante. Importante ( e straordinario ) è stato incontrare e conoscere in inverno questi 300 lettori/giurati in un luogo bellissimo, e discutere con loro del mio romanzo, e poi ritrovarli tutti e di più in primavera in un teatro stracolmo, ognuno con un libro preferito da votare. Sì, proprio una Festa.
    Non conosco molti premi letterari, ma difficilmente se ne potrà organizzare uno più legato al territorio e ai suoi lettori. Complimenti ancora a tutti.

  74. Ancora su Bassani
    All’interno di Ferrara Libri che si terrà nel Chiostro di S. Paolo a Ferrara, il 30 Aprile e il 2 e 3 maggio, alcune iniziative come “Omaggio a Giorgio Bassani”.
    A Ferrara libri è reperibile la cartolina commemorativa il 10° anniversario della morte di Giorgio Bassani e presso lo sportello filatelico di Poste centrali-Ferrara è possibile richiedere l’annullo postale speciale proposto dall’associazione ferrarese Arch’è fino al 13 giugno
    INTERVENTI
    Giuseppe Brescia: “Evocazioni Ferraresi e memorie storiche e Il caro, il dolce, il pio passato. Bassani e la memoria “(Ed. Laterza). Intervento a cura dell’autore.
    Marilena Renda – “Giorgio Bassani: un ebreo italiano” (Gaffi editore). Interverrà l’autrice. Presentazione di Silvana Onofri Fondazione Giorgio Bassani e Associazione Culturale Arch’é.
    Per saperne di più clicca
    http://www.ferraralibri.org/programma/
    http://sites.google.com/site/archeferrara/
    Silvana Onofri

  75. Antonio Pascale e Massimo Onofri: ospiti della puntata radiofonica “Letteratitudine in Fm” del 30 aprile 2010

    Nella nuova puntata di “Letteratitudine in Fm”, che andrà in onda su Radio Hinterland il 30 aprile, alle h. 12,30 (e in replica martedì 4 maggio, h. 21 circa) Massimo Maugeri ha ospitato lo scrittore Antonio Pascale e il saggista e critico letterario Massimo Onofri.
    Nel corso della puntata si è discusso:
    1. del nuovo libro di Pascale: “Questo è il paese che non amo. Trent’anni nell’Italia senza stile” (minimum fax);
    2. dei nuovi libri di Massimo Onofri:
    – “Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo” (Donzelli):

    – “Il secolo plurale. Profilo di storia letteraria novecentesca” (Avagliano).

    Per ascoltare l’intervista ad Antonio Pascale, cliccare qui http://www.radiohinterland.com/files/registrazioni/letteratitudine/intervistapascale.30aprile.mp3

    Per ascoltare l’inervista a Massimo Onofri cliccare qui http://www.radiohinterland.com/files/registrazioni/letteratitudine/intervistaonofri.30aprile.mp3

    La pagina completa con entrambe le interviste è disponibile qui
    http://www.radiohinterland.com/?q=node/5394

  76. Tracce di Bassani nel Gattopardo.
    Intervistato nel 1977 dalla rivista “Canadian Journal of Italien Studies”, lo scrittore Giorgio Bassani, scopritore del Gattopardo, affermava: “[Il Gattopardo] è un grande ‘pamphlet’ etico-lirico, etico-politico-lirico, indirizzato alla nazione dopo […] la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e il crollo degli ideali dell’antifascismo e della Resistenza.[…] In fondo anch’io che cosa ho fatto, seppur diversamente e con forze più deboli? La stessa cosa […] io sono convinto che Lampedusa avesse letto qualcuna delle mie storie ferraresi, perché qualcosa degli Ultimi anni di Clelia Trotti si percepisce anche in Lampedusa”. Passarono davvero per le mani di Tomasi di Lampedusa le storie ferraresi, pubblicate originariamente da Bassani sulle riviste “Botteghe oscure” e “Paragone-Letteratura”? La questione riveste un interesse che forse non va al di là della semplice curiosità, e tuttavia non si possono ignorare la vicinanza cronologica e le affinità tematiche tra Il Gattopardo e alcune delle Cinque storie ferraresi. Tenendo conto che il Lampedusa era un lettore onnivoro, non è poi così temerario ipotizzare che avesse letto qualcuno dei racconti di Bassani. Nel Gattopardo, quando, dopo lo sbarco dei Piemontesi alla marina di Marsala, Don Fabrizio ritiene necessario che il figlio Paolo “vada a stare a Palermo”, perché in quel momento “case abbandonate” significa “case perdute”, la mente corre al protagonista di Una lapide in via Mazzini(1952), l’ebreo Geo Josz reduce dal lager e impegnato nel non facile compito di prendere possesso della casa della sua famiglia diventata il quartier generale dei partigiani. Nel racconto di Bassani i concittadini di Geo, dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, si abbandonano ai divertimenti e la vita ricomincia come se niente fosse accaduto. Nel Gattopardo, dopo il ” ‘bau-bau’ in camicia rossa”, “Tutti i palermitani sembravano felici” e “ostentavano la loro gioia”. Una lapide in via Mazzini poteva incontrare qualche interesse presso il Principe, per ragioni legate al ricordo traumatico della grande casa dei Lampedusa andata distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma anche per la qualità intrinseca della scrittura bassaniana, antitetica all’idea di letteratura a tesi e realista, attraversata da un’ironia amara e raffinata, che graffia il potere ed esprime la coscienza dolorosa della natura immodificabile della realtà. Negli Ultimi anni di Clelia Trotti (1954), “l’accurata messinscena, così estranea al caos geniale di ogni rivoluzione”, che, all’indomani della fine della guerra, celebra il funerale postumo dell’anziana maestra socialista prima emarginata dal fascismo e poi dimenticata da tutti, prosegue la narrazione eretica e non reticente di Bassani sul secondo Risorgimento. Qui le idealità e i valori legati all’antifascismo e alla Resistenza, svuotati di significato, si cristallizzano in miti e stereotipi che peseranno a lungo nella vita della Repubblica, impedendo un vero rinnovamento della cultura e della mentalità del Paese. La visione pessimistica dell’immobilismo della società italiana, da Bassani esibita nelle sue storie, dall’osservatorio di Ferrara transita nel microcosmo di Donnafugata, per essere proiettata sulla realtà siciliana e in un altro momento storico. Quello attraversato dai tumultuosi rivolgimenti legati al Risorgimento italiano, “una rumorosa, romantica commedia con qualche macchia di sangue sulla veste buffonesca” che, speculare all'”accurata messinscena” che nel racconto di Bassani rendeva onore alla memoria di Clelia Trotti, smaschera l’ipocrisia e l’ignoranza di quel tempo, la sopraffazione e il trasformismo della classe dirigente. Al principe Fabrizio Salina, scettico sul tempo che verrà e, al pari di Clelia Trotti, emblema del destino di solitudine e di sconfitta esistenziale che attende l’individuo di fronte agli astuti e a coloro che si adattano, non rimane che cedere alla Sicilia del potere incarnata dall’arrivismo amorale di figure come Tancredi Falconeri e Calogero Sedàra. Dietro le quali non è difficile leggere in filigrana la demistificazione delle utopie che avevano alimentato la società postfascista e la tristezza di chi vede il proprio tempo deserto dei valori dello spirito e dell’intelligenza.
    Lorenzo Catania

  77. Paola Gallo (responsabile narrativa italiana Einaudi) e Michele Rossi (editor narrativa italiana Rizzoli), sono gli ospiti di Massimo Maugeri della puntata di “Letteratitudine in Fm” che andrà in onda il 7 maggio alle ore 12,30 e – in replica – martedì 11 maggio alle ore 21.

    Interessantissima puntata, in cui si discuterà di libri e di editoria dal punto di vista di chi i libri li sceglie e lavora con gli scrittori per renderli migliori.

    “Letteratitudine in fm” potete ascoltarla su Radio Hinterland (in Fm o in streaming via Internet):
    http://www.radiohinterland.com/

  78. Gli ospiti della puntata di Letteratitudine in Fm di domani venerdì 14.5.2010 dalle 12.30 alle 13 saranno: il critico letterario Gian Paolo Serino e lo scrittore Alfredo Colitto.
    ***

    Gian Paolo Serino, critico letterario, Collabora con la Repubblica, Il Giornale, Il Venerdì di Repubblica, D-la Repubblica, Rolling Stone. Nel 2006 ha pubblicato USA&Getta, ha curato “Così tante vite”. Il Novecento di Giancarlo Vigorelli, con prefazione di Claudio Magris. Ha curato l’edizione italiana di Dylan Thomas. La biografia di Paul Ferris (Mattioli 1885). Ma, soprattutto, Gian Paolo Serino ha ideato e fondato Satisfiction… un vero e proprio marchio Satisfiction è un noto blog letterario, ma è anche una rivista…
    ***
    Alfredo Colitto scrive e traduce, soprattutto thriller, per alcune delle maggiori case editrici italiane. Il thriller storico Cuore di Ferro, primo volume di una trilogia ambientata nel XIV secolo, è uscito per Piemme a febbraio 2009 ed è stato venduto anche in Spagna e in Germania. Nel 2009 ha pubblicato anche Il candidato, noir di ecomafia per la collana Verdenero (Edizioni Ambiente). Altri suoi romanzi sono: Aritmia Letale (incluso nel Giallo Mondadori n. 2977 con il titolo Medicina Oscura), Duri di Cuore (Perdisa), Café Nopal (alacrán) e Bodhi Tree (Crisalide). Ha partecipato a numerose antologie di racconti… È appena uscito il suo nuovo romanzo: “I discepoli del fuoco” (Piemme, 2010, pagg. 429, euro 20).
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    Per info: http://www.radiohinterland.com/?q=node/5474
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  79. È on line il podcast della puntata di “Letteratitudine in Fm” del 14 maggio. Ospiti: il critico letterario Gian Paolo Serino e lo scrittore Alfredo Colitto
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    La trasmissione di “Letteratitudine in Fm” andata in onda il 14, sarà trasmessa in replica – sempre su Radio Hinterland – martedì sera a partire dalle h. 21.

    Ma è già disponibile in podcast, sia sul sito di Radio Hinterland: http://www.radiohinterland.com/?q=node/5490

    Sia su Letteratitudine: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/

    Questo è il link diretto per ascoltarla: http://www.rhprogrammi.com/letteratitudine/puntata%2014%20maggio/puntata%20intera%2014%20maggio.mp3
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  80. Valter Binaghi, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Amedeo Romeo saranno ospiti di Maugeri a “Letteratitudine in Fm” del 21 maggio

    Nella puntata di Letteratitudine in Fm di venerdì 21 maggio discuteremo sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare. Riprendendo un post pubblicato su Letteratitudine-blog qualche giorno fa, Massimo Maugeri ha invitato quattro scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta di: Valter Binaghi, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Amedeo Romeo… autori dei seguenti romanzi: – UCCIDERÒ MEFISTO, di Valter Binaghi (Perdisa Pop, 2010) – L’AMORE ALLA FINE DELL’AMORE, di Vito Bruno (Elliot, 2010) – L’INQUIETO VIVERE SEGRETO, di Franz Krauspenhaar (Transeuropa, 2009) – NON PIANGERE COGLIONE, di Amedeo Romeo (ISBN, 2010)
    http://www.radiohinterland.com/?q=node/5508

    Ascoltaci in diretta da qui:
    http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx

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  81. Ascolta “Letteratitudine in Fm” – in onda a partire dalle h. 12:30


    Valter Binaghi, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Amedeo Romeo saranno ospiti di Maugeri a “Letteratitudine in Fm” del 21 maggio

    Nella puntata di Letteratitudine in Fm di venerdì 21 maggio discuteremo sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare. Riprendendo un post pubblicato su Letteratitudine-blog qualche giorno fa, Massimo Maugeri ha invitato quattro scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta di: Valter Binaghi, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Amedeo Romeo… autori dei seguenti romanzi: – UCCIDERÒ MEFISTO, di Valter Binaghi (Perdisa Pop, 2010) – L’AMORE ALLA FINE DELL’AMORE, di Vito Bruno (Elliot, 2010) – L’INQUIETO VIVERE SEGRETO, di Franz Krauspenhaar (Transeuropa, 2009) – NON PIANGERE COGLIONE, di Amedeo Romeo (ISBN, 2010)
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  82. Un semplice gesto di reale ribellione, di affermazione della propria dignità personale e civile, un esempio molto importante di difesa della verità.
    Non possiamo certo aspettare che qualcuno dei rappresentanti del centro-sinistra si desti dalla narcosi in cui è precipitato, o torni ad essere ciò che forse non è mai stato: un individuo integro – e non un grottesco camaleonte. Dissentire personalmente è oggi più che mai necessario.
    Questa la notizia – riporto di seguito da Repubblica.it di oggi -, ed è, sembra incredibile, una vera notizia, proveniente addirittura da quel territorio che era diventato negli ultimi tempi il perfetto riflesso del mimetismo governativo – il Tg1:
    – – –

    DOCUMENTO
    La lettera di Maria Luisa Busi
    “Non mi riconosco più nel Tg1”

    “Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto”. E’ questo uno dei punti centrali della lettera con cui Maria Luisa Busi ha annunciato l’intenzione di abbandonare la conduzione del Tg1 1. La missiva, tre cartelle e mezzo affisse nella bacheca della redazione del telegiornale, è indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per conoscenza al direttore generale della Rai Mauro Masi, al presidente dell’azienda Paolo Garimberti e al responsabile delle Risorse umane Luciano Flussi. Ecco il testo integrale.

    “Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori”.

    “Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: ‘La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.

    “Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.
    E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale”.

    “L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale”.

    “Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori”.

    “I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E’ quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica”.

    Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un’ultima annotazione “più personale”: “Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
    1)respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
    2)Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
    3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica 2, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: ‘il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita ‘tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali’ e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno”.

    E conclude: “Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
    Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere”.
    .
    (21 maggio 2010)

  83. Grazie, Gaetano.
    In questo paese ci sono ancora persone come Maria Luisa Busi disposte a non svendere se stessi e il proprio pensiero (pagandone il prezzo in prima persona).

  84. Un racconto dimenticato di Giorgio Bassani: “Mia cugina”.
    “Qualche settimana fa, riordinando delle vecchie carte, mi è capitato di mettere le mani su questo abbozzo di racconto (Frammento 1942) del quale avevo completamente dimenticato l’esistenza. Sono pagine buttate giù attorno al ’42, direi, sotto l’emozione di un fatto realmente accaduto: la morte di un amico; e rappresentano senza dubbio il primo tentativo di scrivere Il giardino dei Finzi-Contini. Sebbene steso fra il ’58 e il ’61, il romanzo ha dunque avuto un’incubazione lunghissima: vent’anni giusti”.
    A dispetto di questa dichiarazione di Giorgio Bassani, forse il primo tentativo di scrivere Il giardino dei Finzi-Contini (1962) non risale a Frammento 1942 e nemmeno all’altro testo intitolatolo Il giardino dei Finzi-Contini (Primo appunto), uscito nel “Caffè Politico e Letterario” del febbraio 1955. Più probabilmente, il primo nucleo del futuro romanzo è presente nel brevissimo racconto Mia cugina, ancora oggi pressoché sconosciuto, pubblicato nel numero del 29 settembre 1945 di “Il Costume Politico e Letterario”, una delle tante riviste nate nel clima culturalmente euforico dell’immediato dopoguerra, affamato di idee e di libri. In verità, molti anni fa il racconto non era sfuggito all’attenzione di Enzo Siciliano, il quale dando notizia dell’esistenza di questa prosa “già decisamente individuata” nel saggio L’anima contro la storia. Bassani, la considerava come un avantesto delle storie ferraresi. Documento ignorato dagli studiosi di Bassani, questo elzeviro del 1945 aleggia in maniera evidente attorno al testo del Giardino dei Finzi-Contini.Contiene l’idea originaria, la storia del bacio non dato, da cui prende spunto l’esile vicenda del Giardino dei Finzi-Contini, poi ampliata con blocchi narrativi ispirati all’esperienza umana e civile del Ferrarese, dalla sua sensibilità per la storia e l’arte. Anticipa luoghi e ambienti del futuro romanzo: la villa, il “posto tranquillo” equivalente della rimessa in cui si svolgerà una scena importante della storia d’amore irrisolta tra Micòl e l’io narrante; certi oggetti simbolo ricchi di significato: l’automobile, la bicicletta; alcuni personaggi: la cugina tredicenne dalle gambe sensuali come Micòl fanciulla, il padre del narratore un po’ distaccato, estraneo, non in perfetta sintonia con gli altri, come poi nelle pagine del romanzo. Scritto in forma di confessione autobiografica, resa ancora più plausibile dalla identità anagrafica tra autore reale e narratore (“Nel 1927 – avevo allora undici anni …”), ambientato in uno spazio periferico lontano dal traffico moderno, secondo gli schemi di certa narrativa italiana dei primi decenni del Novecento, il testo di Mia cugina racconta ricordi di momenti di vita vissuta e trasfigurati nella stagione dell’adolescenza intesa come alterità e incomunicabilità. Asseconda l’inclinazione dello scrittore allo scavo nel passato. Mia cugina, infatti, è la ricostruzione retrospettiva di una gita in villa e la rievocazione di un quadro familiare della borghesia di provincia non ancora caratterizzata dalla identità ebraica, socialmente distante dalla gente modesta e proletaria che si muoverà poi nelle Cinque storie ferraresi. Nella dimensione ovattata della campagna “bassa e piatta”, attraversata da un’atmosfera un po’ uggiosa, una gita in villa – preannuncio della gita domenicale che dà l’avvio al Prologo del Giardino dei Finzi-Contini e delle visite nel parco di Micòl -, è l’evento che favorisce l’incontro tra due adolescenti. Un ragazzo un po’ inerte e ripiegato in sé stesso, torturato dalla solitudine e dalla timidezza, da una disperazione privata che richiama alla mente la psicologia del liceale protagonista del romanzo Dietro la porta e la cugina tredicenne, fanciulla in fiore sensuale e sportiva, sicura di sé, ma anche dal comportamento contraddittorio e inafferrabile come quello di Micòl e di altri personaggi più compiutamente costruiti nei racconti di dopo. Sollecitato dalla intraprendenza della cugina, dai suoi gesti e dalle sue parole, che creano un clima vagamente erotico, l’avvicinamento tra i due adolescenti si realizza tramite l’immagine dell’automobile, che funziona come spazio che predispone all’intimità e alla conoscenza tra i due sessi: “Mia cugina mi prese per mano e mi condusse in fondo al parco… In un posto tranquillo, quasi buio, era ferma una automobile grigia, scintillante di cristalli e di acciai nichelati … Mia cugina aprì lo sportello e sedè sul divano di lana grigia. ‘Sali anche tu,’ mi disse, e batteva una mano sul panno del divano… Mia cugina chiuse lo sportello… Sembrava d’essere in un salotto: un piccolo salotto soffocante. Mia cugina mi prese per le spalle e mi fissò… ‘Hai gli occhi celesti anche tu; tutti in famiglia abbiamo gli occhi celesti’, disse. Poi si volse; e gli occhi, che figgeva oltre il vetro del parabrezza, le brillavano di cattiveria.”
    All’interno dell’automobile gli sguardi dei due adolescenti, nel loro incrociarsi, si scoprono estranei, le loro bocche non si uniscono a sigillare la gioia di un momento.Confuso, incapace di una parola, di un gesto, il ragazzo non incontra la richiesta di complicità della cugina attirata dagli “occhi celesti” di lui, in seguito connotato caratteristico del protagonista del Giardino dei Finzi-Contini e oggetto dello sguardo ironico e del provocante ammiccare di Micòl. L’intimità, vissuta con disagio, non crea una tensione al desiderio e così l’apprendistato erotico dei due adolescenti sfuma, la scoperta della sessualità cede alla irritazione. La ragazza, frustrata nella sua vitalità, nel suo tentativo di creare una situazione liberatoria all’interno dello spazio chiuso e prevedibile della villa, ferita dall’assenza del suo interlocutore, fissa altrove il suo sguardo ostile e si rifugia nel silenzio: “Mia cugina mi prese per le spalle e mi fissò.[…] Poi si volse; e gli occhi che figgeva oltre il vetro del parabrezza, le brillavano di cattiveria”. Anni dopo, manipolando e utilizzando immagini e ricordi che si succedono e si sovrappongono, dialogando fra loro, il narratore desideroso di rivisitare quella sua esperienza di incomunicabilità bruscamente interrotta, elabora il finale inconcluso di Mia cugina e si inventa il luogo del giardino e il viaggio al suo interno, come a volere risarcire la ferita inferta alla ragazza e a decifrare il non detto del suo silenzio che infligge sentimenti di colpa, insinua anche il dubbio del disprezzo. “…nel giugno del ‘29”, riallacciandosi in particolare al tema del bacio non dato, il protagonista del Giardino dei Finzi-Contini si sovrappone alla figura del ragazzo di Mia cugina e ne rovescia la passività, l’innocenza ancora infantile. Mosso dall’impulso a riconciliarsi con la figura femminile che lo ha colpito, il narratore vuole mettersi alla prova per sentirsi meno chiuso e isolato e riprendere il filo della sua esperienza mal vissuta. Immaginando perciò di accettare l’invito della tredicenne Micòl a scavalcare il muro di cinta della villa, l’io-narrante, sia pure nella realtà altra della fantasticheria, taglia il cordone ombelicale che lo tiene legato agli adulti e realizza la sua autonomia. Allontana temporaneamente la sua paura di baciare (amare). Quasi dieci anni dopo, in un episodio chiave del Giardino dei Finzi-Contini, durante un pomeriggio di pioggia che spinge i due giovani protagonisti a rifugiarsi nella rimessa “dentro la carrozza prediletta dal Perotti,” il silenzio, le parole, i gesti, il viso, gli occhi che hanno turbato un tempo, ritornano nella replica palese della scena finale di Mia cugina: “Aprì uno sportello [Micòl], montò, sedette; infine, battendo con la mano sul panno del sedile…mi invitò a fare lo stesso… Pareva davvero di trovarsi dentro un salottino: un piccolo salotto soffocante… Mossa da un impulso imprevedibile si era scostata bruscamente da me… Ora guardava davanti a sé, corrugando le sopracciglia, i tratti del viso affilati da un’espressione di strano livore.” Il passato mai trascorso svela dunque lo stato d’animo del narratore che non riesce a riappacificarsi con la propria memoria e il suo comportamento di eterno adolescente narciso che, sensibile solo alla propria immagine più che all’oggetto del desiderio, si tira indietro, ancora una volta non sa dare “un vero bacio” che piegherebbe l’ineffabilità del personaggio femminile e suggellerebbe in maniera meno infelice la storia d’amore che lo coinvolge.

    LORENZO CATANIA
    .

  85. Un altro racconto “dimenticato” di Giorgio Bassani: si tratta del dattiloscritto con annotazioni a penna di “Lavoro da ciabattino” messo a disposizione da Paola ed Enrico Bassani del Laboratorio “Giorgio Bassani Archeologo dell’immaginario” di Ferrara.
    Il racconto è stato pubblicato su “La Nuova Ferrara” e presentato alla città il 4 marzo 2009, anniversario della nascita dello scrittore, in occasione dell’inaugurazione della sede operativa della Fondazione Giorgio Bassani presso l’Istituto Universitario di Studi Superiori IUSS-Ferrara 1391, via delle Scienze 41b.
    Lo stesso Bassani aveva letto il racconto nella trasmissione “Scrittori al microfono. Arti e mestieri”, sulla Rete Rossa della R.A.I., martedì 18 settembre 1951. alle ore 22.25,
    Il racconto costituisce un primo nucleo di “Gli ultimi anni di Clelia Trotti”, pubblicato per la prima volta su Paragone nel 1954; ambientato a Ferrara tra il piazzale di Santa Maria in Vado e l’inizio di via Borgovado, ha come protagonista Cesare Rovigatti … il quale – dice Bassani – “fu per più di vent’anni il ciabattino di casa nostra, a Ferrara, e aveva il suo sgabuzzino in piazza di S. Maria in Vado, giusto di fianco alla chiesa”.
    Trovate la trascrizione del dattiloscritto in

    http://sites.google.com/site/archeferrara/giorgio-bassani

  86. La canzone d’autore è anche poesia?
    All’inizio degli anni Sessanta del Novecento, i cantautori Paoli, Tenco, Lauzi, Endrigo, Jannacci, Gaber, De André ecc., cominciando a comporre testi di spessore poetico, si affrancano dalla canzonetta fatta di luoghi comuni e melodie banali, tesa alla rappresentazione rassicurante dell’Italietta provinciale degli anni Cinquanta, perfettamente ricostruita e smascherata nella parodia dell’ ”Inno nazionale” musicato da Sergio Liberovici su testo al vetriolo del poeta Franco Fortini: “Fratelli d’Italia / tiriamo a campare. / Bisogna accettare la vita com’è / Fratelli d’Italia, ciascuno per sé. // Ciascuno per sé / una piccola vita / una piccola pietà / una piccola viltà / una libertà piccola così /…/ una piccola Fiat per la domenica…/ e Iddio per tutti”.
    A differenza della canzone tradizionale, che celebra il trionfo dell’amore in testi futili e ripetitivi, canzoni come “Il cielo in una stanza”, “Sassi”, “Senza fine”, “Porta romana”, “Vedrai vedrai”, “Mi sono innamorato di te”, “Il poeta”, “Teresa” e tante altre recuperano la lingua del quotidiano, e per la prima volta parlano in maniera non edulcorata dell’amore che si fa anche nei letti e che spesso è noia, squallore, desolazione. Rappresentano artisticamente sentimenti e istinti che la morale ufficiale condanna, rendendoli visibili e favorendo il loro ingresso nel territorio del consentito. Esprimono la tensione verso valori e stili di vita distanti dalle mitologie consumistiche. Evocano drammi quotidiani che spesso hanno come sfondo periferie popolate da un’umanità sconfitta ed emarginata. Almeno fino al ’68, però, l’esperienza importantissima della canzone d’autore, che contribuisce a riscattare la canzone italiana e a darle spessore storico e qualitativo, trova ascolto presso un’esigua minoranza. A trionfare dai palcoscenici sono ancora i “cantanti ragazzini” Gianni Morandi e Rita Pavone, popolarissimi tra gli italiani, con il loro canto “nasale e a gola stretta”, che secondo Alan Lomax “esprime una condizione di regressione culturale e anche sessuale”. Poi il vento della contestazione e la politica commerciale delle case discografiche, alla ricerca di un prodotto in grado di adeguarsi alle nuove realtà espresse dalla protesta giovanile, fanno emergere artisti come Battisti, Dalla, De Gregori, Conte, Guccini, Vecchioni, ma anche Renato Zero, Venditti, Baglioni, Cocciante. Questi autori, con le loro canzoni capaci di raccontare in maniera poetica le frustrazioni, la bellezza e lo squallore del presente e di veicolare una visione del mondo antidogmatica, dove non c’è posto per il falso perbenismo e le ipocrisie, influenzano il modo di vestire e di parlare dei giovani più sensibili al cambiamento della società. Ma agiscono anche sulla sfera morale, aiutandoli a dare voce a idee, sentimenti e sensibilità svincolati dalla tradizione e conflittuali rispetto ai valori dei padri. Trasmettono memoria e producono senso comune storico. Fruita come luogo di rappresentazione del mondo e dell’esperienza quotidiana, proiezione della psiche collettiva, la canzone d’autore, forte anche della sua presa emotiva, del suo linguaggio comprensibile e della possibilità di restare nella memoria, si afferma come una nuova forma di poesia popolare, a beneficio di un pubblico nel frattempo cresciuto in seguito allo sviluppo dell’istruzione e dei mass media. Sottrae spazio alla poesia colta contemporanea, che non riesce a comunicare all’uomo comune o mediamente acculturato le sue ardue verità. “Il bisogno di poesia, bisogno assoluto e struggente negli anni della prima giovinezza – ha scritto Pier Vittorio Tondelli – , è stato soddisfatto da intere generazioni mandando a memoria parole e strofe di canzoni […] mentre la poesia colta rimaneva territorio di interpretazioni, esegèsi, svolgimenti noiosi sui banchi di scuola; mentre la poesia della neoavanguardia si studiava, con identici modi, nelle aule universitarie; mentre i poeti degli anni ’70 tentavano di imitare i cantautori, salendo su improvvisati palcoscenici, cercando come Allen Ginsberg di accompagnare i versi con la musica, […] i giovani riesumavano la figura classica del poeta, colui che unisce le parole alla musica”.
    Con il passare del tempo, nella percezione del pubblico la distinzione netta fra poesia e canzone d’autore si attenua, fin quasi a scomparire, e quest’ultima acquista dignità letteraria, trovando ospitalità nelle collane degli editori, dove, come si fa per gli scrittori classici, viene presentata con i criteri dell’edizione rigorosa. Ma anche nei libri di storia e nelle antologie letterarie per la scuola media inferiore e superiore, dove i testi non privi di metafore, allitterazioni, ossimori, zone di ambiguità ecc., di De André, Gaber, Tenco, Battisti, Dalla, Vecchioni, Guccini, Conte, De Gregori, Battiato, dialogano con i componimenti di Cavalcanti, Pascoli, Gozzano, Campana, Saba, Montale, Pavese, Caproni, perché con questi mantengono affinità tematiche e di forme espressive. E tuttavia non si può tacere che i testi di molte canzoni d’autore non reggono alla sola lettura, ma acquistano efficacia, profondità (verità) e ci commuovono se uniti alla musica e al canto, capaci di riscattare e trasfigurare le parole più logore Come quelle della famosa “Canzone di Marinella” di Fabrizio De André: “E come tutte le più belle cose / vivesti solo un giorno come le rose”. O i versi semplici e privi di referenti precisi di “Nel blu dipinto di blu”, che, decontestualizzati dalla performance di Domenico Modugno, dalla sua voce, dalla sua intonazione, dai suoi gesti, perdono la loro vitalità suggestiva e surreale e appaiono un po’ svuotati di senso.
    Non voglio dire che i testi memorabili dei cantautori siano meno grandi dei testi di Saba, di Montale o di Sereni, ma sottolineare piuttosto l’equivoco implicito nella tendenza diffusa a raccogliere in libretti, come in una sorta di Parnaso italiano della canzone d’arte, i testi dei cantautori, dotandoli di un’autonomia che forse non possiedono. E’ vero, infatti, che, mentre oggi la poesia cerca di uscire dal proprio spazio tradizionale e si apre alla teatralizzazione e a modalità esecutive in cui la musica svolge un ruolo importante, la canzone d’autore, assimilata semplicisticamente alle opere letterarie, canonizzata e come congelata nella pagina, perde l’anima .

    LORENZO CATANIA

  87. EDUARDO DE FILIPPO, GIORGIO BASSANI E LA GUERRA DELLA MEMORIA
    La commedia di Eduardo De Filippo “Napoli milionaria!” (1945) venne rappresentata per la prima volta la mattina del 25 marzo al teatro San Carlo della città partenopea. Qui nel 1942, durante i bombardamenti, in un’abitazione a pianterreno vive la famiglia Jovine, composta dal marito Gennaro, disoccupato, dalla moglie Amalia e dai loro figli, i giovani Amadeo con Maria Rosaria e la piccola Rita. La famiglia sopravvive grazie alle iniziative di Amalia, che si arrangia col contrabbando. Il marito non approva i maneggi della moglie, ma in famiglia non è tenuto in conto.
    Durante l’occupazione, Gennaro sparisce finendo in un campo di concentramento tedesco e di lui non si sa più nulla. Poi improvvisamente, nel dopoguerra, Gennaro riappare e tornando nella sua casa nota un’agiatezza che prima non c’era, trova la famiglia disgregata, la figlia più piccola malata, i valori morali calpestati. E intanto Gennaro vorrebbe sapere e raccontare la sua terribile esperienza. Ma tutti, distratti dal consumismo incipiente, non vogliono sentir parlare della guerra, e l’ex deportato non si raccapezza. Nel 1950 Giulio Einaudi – grazie alle insistenze di Carlo Muscetta, che aveva convinto Eduardo a pubblicare i suoi ultimi lavori con la casa editrice torinese – stampa il testo di “Napoli milionaria!” Sappiamo che Primo Levi, quando entrò in rapporti con casa Einaudi, il primo libro che chiese di acquistare fu proprio “Napoli milionaria!” In quel volumetto dalla copertina verde acqua, scritto per il desiderio di cercare di capire davvero i drammi altrui, lo sconosciuto autore di “Se questo è un uomo” (1947) scoprì che – proprio come accadeva a lui nel sogno che lo tormentava ad Auschwitz tutte le notti – anche l’ex deportato Gennaro Jovine non trovava, tornando a casa, nessuno disposto ad ascoltare il racconto degli orrori che aveva visto con i suoi occhi: la moglie, i figli, tutti gli voltavano le spalle, distratti o infastiditi. Non sappiamo se Giorgio Bassani come Primo Levi si procurò subito il testo di “Napoli milionaria!”. Diciamo questo perché la commedia di Eduardo De Filippo sembra avere influenzato o quanto meno avere accelerato la stesura del racconto “Una lapide in via Mazzini”(1952) dello scrittore ferrarese d’adozione, negli anni dell’immediato dopoguerra per breve tempo insegnante di Lettere presso l’Istituto Tecnico Nautico di Napoli. La questione riveste un interesse che forse non va al di là della semplice curiosità, e tuttavia non si può tacere il fatto che dalle carte dell’autore sembra che questi abbia iniziato a scrivere la sua storia ferrarese alla fine del 1950, così come l’affinità tematica tra l’opera di Eduardo De Filippo e il testo di Bassani. Proprio come l’ex deportato Gennaro Jovine, l’ebreo Geo Josz, protagonista del racconto di Bassani, scampato miracolosamente al lager e ricomparso a Ferrara, unico superstite dei centottantatre ebrei della Comunità israelitica, disorienta un po’ tutti e vive il dramma esistenziale di chi vede la realtà con occhi diversi da quelli dei suoi parenti e concittadini. Non diversamente dal protagonista di “Napoli milionaria!”, Geo Josz – gradualmente emarginato dall’ambigua socialità dei familiari e dei concittadini, distratti dai primi divertimenti di massa che rivoluzionano le abitudini della gente e fuorviati dalla superficialità di chi non sa decifrare le caratteristiche mentali e i problemi dei reduci dai campi di concentramento, finisce per essere percepito come un diverso e non un uomo che soffre. Assume la funzione del redivivo, portatore di una verità che crea imbarazzo nel microcosmo ferrarese, perché smaschera l’opportunismo e il qualunquismo della piccola e media borghesia, che addebita esclusivamente ai potenti e ai criminali del Regime, e non invece anche all’uomo comune, la responsabilità della guerra appena conclusa. “ ‘A guerra non è fernuta…E non è fernuto niente!” – dice Gennaro Jovine alla moglie Amalia, come a volere ribadire la sua protesta morale nei confronti di una società che non riesce a interiorizzare le ultime vicende della storia contemporanea e che racchiude perciò ancora al suo interno segnali di violenza, di intolleranza e di ipocrisia connaturati al fascismo sconfitto. Mentre nel finale del racconto di Bassani, Geo sembra non condividere l’entusiasmo dello zio Daniele Josz, “convinto che con la fine della guerra fosse davvero cominciata l’età felice della democrazia e della fratellanza universale”. Insistendo sul dovere del ricordo nel momento in cui si stava per uscire o si era appena usciti dal conflitto e ognuno era desideroso di avvolgere nell’oblìo la tragedia della guerra e dare via libera ad una vitalità a lungo repressa dal terrore e dallo spettacolo della morte, Gennaro Jovine e Geo Josz denunciano la guerra come un male che insidia l’umanità. Con “Napoli milionaria!”, rappresentazione di uomini incanagliti dalla lotta per l’esistenza, Eduardo De Filippo rifiuta in maniera intelligente i miti della napoletanità come l’ottimismo, la schiettezza e la generosità. Con “Una lapide in via Mazzini”, racconto non consolatorio sugli infelici, gli ebrei, la guerra, Bassani prende le distanze dalla Ferrara letteraria delle pagine di Carducci, D’Annunzio e Govoni. I nostri due autori sottraggono così le loro città agli usuali clichés e le restituiscono alla storia, dandocene un’immagine complessa e inquietante. Fanno presagire che l’esperienza bellica produce “memorie divise”, spesso antagoniste e inconciliabili, che saranno all’origine della fragilità dell’Italia democratica e contribuiranno a non tenere insieme il nostro lunghissimo Paese, lasciando così irrisolti, nella sostanza, i grandi problemi ereditati dal Risorgimento e dalla Resistenza, e in primo luogo il divario Nord-Sud.
    LORENZO CATANIA

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