Marzo 28, 2024

162 thoughts on “CINQUANT’ANNI DALLA MORTE DI HEMINGWAY E DI CÉLINE

  1. Cari amici,
    cinquant’anni fa, il 2 luglio 1961, moriva lo scrittore statunitense Ernest Hemingway. Poche ore prima era deceduto lo scrittore e medico francese Louis-Ferdinand Céline…

  2. Vorrei ricordare questi due colossi della letteratura mondiale nell’apposito spazio letteratitudiniano dedicato alla memoria, agli anniversari e alle ricorrenze.
    Chiedo, come sempre, il vostro contributo per riempire questa pagina on line.

  3. Per incentivare la discussione, come sempre, vi rivolgerò alcune domande in tema (subito dopo queste due brevi schede sugli autori citati, “estrapolate” – per par condicio – da wikipedia)… invitandovi a fornire le vostre risposte.

  4. Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961) è stato uno scrittore statunitense. Fu romanziere, autore di racconti brevi e giornalista.
    Soprannominato Papa, fece parte della comunità di espatriati a Parigi durante gli anni venti, conosciuta come “la Generazione perduta”, e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie “Festa mobile”. Condusse una vita sociale turbolenta, si sposò quattro volte e gli furono attribuite varie relazioni sentimentali. Raggiunse già in vita una non comune popolarità e fama, che lo elevarono a mito delle nuove generazioni. Hemingway ricevette il Premio Pulitzer nel 1953 per “Il vecchio e il mare”, e vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1954.
    Lo stile letterario di Hemingway, caratterizzato dall’essenzialità e asciuttezza del linguaggio e dall’understatement, ebbe una significativa influenza sullo sviluppo del Romanzo nel XX secolo. I suoi protagonisti sono tipicamente uomini dall’indole stoica, i quali vengono chiamati a mostrare “grazia” in situazioni di disagio. Molte delle sue opere sono considerate pietre miliari della letteratura americana.

  5. Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis-Ferdinand Auguste Destouches (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1 luglio 1961), è stato uno scrittore e medico francese. Lo pseudonimo, con cui firmò tutte le sue opere, era il nome della nonna materna.
    Céline è considerato uno dei più influenti scrittori del XX secolo, celebrato per aver dato vita a un nuovo stile letterario che modernizzò la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa, “Viaggio al termine della notte” (Voyage au bout de la nuit, 1932), è un’esplorazione cupa e nichilista della natura umana e delle sue miserie quotidiane, dove la misantropia dello scrittore è costantemente ravvivata da un acuto cinismo. Lo stile del romanzo – con il continuo mischiarsi di linguaggio popolare ed erudito e il frequente uso di iperboli ed ellissi – impose Céline come un innovatore nel panorama letterario francese.
    Per le sue prese di posizione e affermazioni durante la Seconda guerra mondiale, esposte in alcuni pamphlet successivamente accusati di antisemitismo, Céline rimane oggi una figura controversa e discussa.

  6. E’ da tempo che non commento questo blog. Ma Massimo Maugeri provoca benevolmente con Hemingway e Céline e non riesco (non posso) sottrarmi al suo invito. Rispondo tralasciando la domanda sulle citazioni (quando presento i miei libri uso troppe citazioni e mi pare fosse Ralph Waldo Emerson a dire “non parlarmi attraverso le citazioni, ma parlami di te”; che è comunque pur sempre una citazione).
    -Sono affezionatissimo a Hemingway. L’ho letto a quindici anni e ho sempre avuto un rapporto positivo con la sua parola (al di là della valutazione che ho fatto, nel tempo, del suo “personaggio”. Ma i primi amori, al di là di tutto, non si scordano mai).
    -Ho amato “Isole nella corrente”, “I quarantanove racconti”, “Il giardino dell’Eden”, ma è comunque una scelta arbitraria. In realtà ho amato tutte le sue opere.
    -L’opera più rappresentativa? “I quarantanove racconti”.
    -Preferisco l’Hemingway autore di racconti (ma è una scelta più che sofferta).
    -L’eredità di Hemingway? Lo stile, i dialoghi (secchi, scarni, senza appello).
    Céline? Céline è la dannazione, è la mancanza di ogni via di fuga. E’ la consapevolezza dell’essere finiti. Céline è la linea d’ombra. Céline è Marlow, ma…è anche, e soprattutto, Kurtz.
    -“Viaggio al termine della notte” e anche la sua tesi di laurea “Il dottor Semmelweiss”, pubblicata da Adelphi.
    -L’eredità di Céline? La consapevolezza (eroica e disperata insieme), che siamo solo e soltanto polvere.

  7. Post bellissimo. I due scrittori che si festeggiano, sono autentici pilastri. Interverrò domani.

  8. Di Hemingway ho letto solo Il vecchio e il mare. E solo per questo gli sono grata. Uno dei miei libri preferiti

  9. Su Hemingway c’è tantro da dire. Anche su Céline.
    Fra i due, però, preferisco il primo.

  10. di Hemingway è stato detto: « Personaggio affascinante, le sue pagine – profondamente ispirate a uno stile di vita – sono pervase da un senso assoluto della vigoria morale e fisica, dallo sprezzo del pericolo ma anche dalla perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé. »

    (da Ernest Hemingway, Verdi colline d’Africa)
    Il commento appare sul retro del volume – appunto, Hernest Hemingway, Verdi colline d’Africa, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nella collana “Il Bosco”, volume 94, Milano, 1961″.

  11. Nasce il 21 luglio 1899 a Oak Park (sobborgo di Chicago). Secondogenito di Clarence Edmonds, medico naturista di famiglia benestante e di Grace Hall, ex aspirante cantante d’opera lirica, quando aveva appena un anno fu portato in una casa estiva nel Michigan, vicina ad un lago. Poté abituarsi quindi presto all’aria aperta e alla natura. Ancor piccolo amava sentir raccontare storie, soprattutto di animali e gli piaceva dare un nome diverso alle persone che lo circondavano. A quattro anni venne messo in una scuola dell’infanzia e, contemporaneamente, inserito in un circolo naturista diretto dal padre. Fu in questa circostanza che imparò a distinguere animali ed erbe. Il piccolo Ernest amava molto il padre, uomo di indole buona e fragile, e con lui si trovò sempre a suo agio, anche se sopportava malvolentieri la sua debolezza nei confronti della moglie, donna dal carattere autoritario e poco sensibile. Il padre lo conduceva spesso con sé quando andava a visitare nella riserva indiana i suoi pazienti (molti ricordi di questo periodo rientreranno nei suoi racconti) e da qui si rafforzò nel ragazzo l’amore per la natura, per la caccia, la pesca e l’avventura.

    Aveva solamente dieci anni quando gli fu regalato il suo primo fucile da caccia che imparò presto ad usare con grande maestria suscitando l’invidia dei compagni, tanto che un giorno, a causa di un bottino di quaglie che stava portando a casa, venne assalito da un gruppetto di ragazzi che lo picchiarono e fu probabilmente questo episodio che gli fece nascere il desiderio di imparare la boxe.

    Dopo aver frequentato senza grande entusiasmo la scuola elementare, venne iscritto alla “Municipal High School” ed ebbe la fortuna di incontrare due insegnanti che, avendo notato l’attitudine del ragazzo per la letteratura, lo incoraggiarono a scrivere. Nacquero così i primi racconti e i primi articoli di cronaca, pubblicati sui giornali scolastici Tabula e Trapeze. Nel 1917 ottenne il diploma, ma rifiutò sia di iscriversi all’università, come avrebbe desiderato suo padre, sia di dedicarsi al violoncello come voleva sua madre. Per affermare la sua indipendenza si recò a Kansas City, dove iniziò a lavorare come cronista del quotidiano locale, il “Kansas City Star”, che si distingueva per il linguaggio moderno, rapido e oggettivo, sotto l’insegnamento del vice capocronista Peter Wellington, maestro di objective writing.

  12. In quello stesso anno, il 6 aprile, gli Stati Uniti entrarono nella guerra ed Hemingway, lasciato il lavoro, si presentò come volontario per andare a combattere in Europa con il Corpo di spedizione americano del generale Pershing, come già stavano facendo molti giovani aspiranti scrittori che provenivano dalle università, tra i quali E.E. Cummings, John Dos Passos, William Faulkner e Francis Scott Fitzgerald.

    Escluso dai reparti combattenti a causa di un difetto alla vista venne arruolato nei servizi di autoambulanza come autista dell’ARC (American Red Cross, la sezione statunitense della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale) destinati al fronte italiano, e dopo due settimane di addestramento e dieci giorni trascorsi a New York si imbarcò, il 23 maggio 1918, sulla Chicago diretta a Bordeaux, città nella quale sbarcò il 29 maggio.

  13. Il 31 maggio giunse a Parigi ed ebbe modo, girando per la città con l’amico Ted Brumback, di vedere il disastro provocato nei vari quartieri dal cannone tedesco chiamato Parisgeschütz (spesso erroneamente confuso con la Grande Berta). Proseguì in treno per Milano, dove rimase per alcuni giorni prestando opera di soccorso e pattugliamento (in periferia era infatti saltata in aria una fabbrica di munizioni e molte erano state le vittime tra le operaie). In seguito fu inviato a Vicenza con Ted Brumback e Bill Horne, assegnato alla Sezione IV della Croce Rossa Internazionale americana, presso il Lanificio Cazzola a Schio, cittadina ai piedi del Pasubio, nella quale tornò anche nel primo dopoguerra.

  14. Malgrado il 15 giugno si fosse scatenata sul fronte italiano la Battaglia del Solstizio, alla Sezione IV la situazione era tranquilla e per alcune settimane Hemingway alternò il lavoro di soccorso con bagni nel torrente e partite di pallone con gli amici. Iniziò anche a collaborare ad un giornale intitolato Ciao con articoli scritti sotto forma di epistola e conobbe, recandosi in un paese vicino alla Sezione, John Dos Passos.

    Il giovane desiderava però assistere alla guerra da vicino e così fece domanda per essere trasferito. Fu mandato sulla riva del basso Piave, nelle vicinanze di Fossalta di Piave, come assistente di trincea. Aveva il compito di distribuire generi di conforto ai soldati, recandosi quotidianamente alle prime linee in bicicletta. Durante la notte tra l’8 e il 9 luglio, nel pieno delle sue mansioni, venne colpito dalle schegge dell’esplosione di un mortaio austriaco Minenwerfer. Cercò di mettere in salvo i feriti ma, mentre stava recandosi al Comando con un ferito in spalla, fu colpito alla gamba destra dai proiettili di una mitragliatrice che gli penetrarono nel piede e in una rotula.

    Il 15 luglio fu finalmente trasportato su un treno-ospedale e il 17 luglio venne consegnato all’Ospedale della Croce Rossa americana a Milano, dove fu operato. All’ospedale, dove rimase tre mesi, si innamorò, ricambiato, di un’infermiera statunitense di origine tedesca, Agnes von Kurowski, che però non manterrà la promessa di sposarlo, perché considerava questa una relazione giovanile, fugace e platonica. Dimesso dall’ospedale e decorato con la Croce al merito di guerra americana e con la Medaglia d’argento al Valor Militare italiana, ritornò al fronte a Bassano del Grappa; smobilitato il 21 gennaio del 1919, fece ritorno a Oak Park, accolto come un eroe.

  15. Dopo il rientro a casa, Hemingway ricominciò a scrivere, ad andare a pesca e a dare conferenze nelle quali raccontava i giorni drammatici trascorsi sul fronte italiano. Durante una delle sue conferenze conobbe Harriet Gridlay Connable, che risiedeva a Toronto con il marito, che lo invitò a trascorrere un po’ di tempo con loro.

    Nel 1920 Hemingway andò così a vivere a Toronto presso i Connable e venne introdotto nella redazione di “The Toronto Star” con cui iniziò una collaborazione che durò per molti anni. Cercò anche di farsi pubblicare alcuni racconti, senza però riuscirci fino a quando la madre, che non ammetteva il modo di vivere del figlio, convinse il padre a smettere di mantenerlo.

    Il giovane, rimasto così senza casa e senza sostentamento, venne ospitato a Chicago dal fratello di Bill Smith. Lì conobbe Hadley Richardson, una pianista ospite anch’essa degli Smith, che avrebbe sposato l’anno successivo. Dopo aver lavorato per alcuni mesi presso una compagnia di pneumatici nel settore pubblicitario, venne assunto dal mensile “The Cooperative Commonwealth” con uno stipendio di 40 dollari la settimana. A Chicago conobbe Sherwood Anderson, che lo stimolò a cimentarsi nella narrativa, mentre il giornalismo diventò una rapida fonte di successo.

  16. Nel marzo del 1921, Hemingway si recò a St. Louis per incontrare Hadley, con la quale in quei mesi aveva tenuto una fitta corrispondenza. Il 3 settembre i due si sposarono. In dicembre venne mandato dal “Toronto Star” in Europa come corrispondente e inviato speciale. Con la moglie partì quindi per il suo reportage, soggiornando in Spagna, Svizzera e Francia, da dove inviava al “Toronto” i suoi articoli. Nell’autunno, su suggerimento di Sherwood Anderson che gli fornì alcune lettere di raccomandazione per la scrittrice americana espatriata Gertrude Stein affinché presentasse il giovane a James Joyce e a Ezra Pound, decise di trasferirsi a Parigi.

  17. Hemingway iniziò così a Parigi la sua carriera letteraria, stimolata anche dall’incontro con Gertrude Stein, che gli fornì una reading list, un elenco dei libri che il giovane Ernest avrebbe dovuto leggere per mettersi al passo con le avanguardie letterarie dell’epoca, in particolar modo con il modernismo. Un altro incontro fondamentale a Parigi, nell’ambiente degli espatriati americani e della “generazione perduta”, fu quello con il poeta Ezra Pound, che il giovane Ernest considerò subito un maestro e grazie al quale cominciò a pubblicare alcune poesie e racconti su riviste letterarie.

    Nel 1922 Hemingway continuò la collaborazione con il “Toronto Star”, scrivendo articoli che verranno in seguito raccolti in diverse antologie e nell’aprile dello stesso anno il giornale lo mandò a Genova come inviato alla “Conferenza Internazionale Economica”, la quale terminò con l’accordo concluso a Rapallo. In giugno tornò in Italia con la moglie e rivisitò Milano, Schio e Fossalta di Piave. A Milano si recò ad intervistare Mussolini presso la sede della rivista “Il Popolo d’Italia”, della quale egli era direttore. Rientrato a Parigi inviò a Harriet Monroe a Chicago qualche poesia per Poetry: a Magazine of Verse e scrisse sei miniature che intitolerà Paris 1922. Nello stesso mese apparvero sulla rivista “Double-Dealer” di New Orleans una sua poesia e un racconto di William Faulkner.

    Il “Toronto Star” lo incaricò, proprio in quel periodo, di andare a Costantinopoli come inviato, per seguire la guerra tra la Grecia e la Turchia: in agosto i Turchi avevano cercato di respingere i Greci dall’Anatolia con un’offensiva e avevano occupato e dato alle fiamme il porto di Smirne. Malgrado il parere contrario della moglie, il giovane Hemingway partì e a Costantinopoli conobbe il colonnello Charles Sweeny, un soldato di ventura con il quale strinse una sincera amicizia che servì d’ispirazione per uno dei suoi personaggi.

    Il 21 ottobre, dopo aver assistito all’evacuazione dei cristiani dalla Tracia (che ispirerà la ritirata di Addio alle armi), ritornò in treno a Parigi, colpito dalla malaria e tormentato dalle cimici. Ricevette per il servizio 400 dollari che gli permisero di scrivere con una certa tranquillità.

  18. Scrisse in questo periodo il racconto My Old Man e alcune satire su personaggi che gli erano sgraditi come Ernest Walsh e il romanziere inglese Ford Madox Ford; il 20 novembre era a Losanna come inviato del “Toronto Star” dove si teneva la Conferenza della Pace per sistemare la disputa dei territori tra Grecia e Turchia e incontrò molti corrispondenti conosciuti a Genova.

    Nel 1923 Hemingway e la moglie, che era in attesa di un bambino, fecero un altro viaggio in Italia: a Rapallo, a Pisa, a Sirmione e a Cortina d’Ampezzo, dove rimasero fino alla tarda primavera. A Rapallo, dove erano andati su invito di Pound che lì risiedeva, Hemingway ebbe modo di incontrare il proprietario delle “Contact Editions”, Robert McAlmon, e iniziò a scrivere il racconto Cat in the Rain. Nel frattempo inviò a Jane Heap, la condirettrice di “The Little Review”, le sei miniature che aveva composto l’anno precedente con il titolo Paris 1922. Nel marzo, il giornale lo trasferì nella Ruhr come inviato per il conflitto tra la Francia e la Germania, e quando in aprile ritornò a Cortina, dove aveva lasciato la moglie all’Hotel Bellevue, scrisse, provando una nuova tecnica narrativa, il racconto autobiografico Out of Season (Fuori stagione).

    Nell’estate del 1923 gli Hemingway, insieme ad un gruppo di amici, tra i quali William Bird della “Three mountains Press” e Robert McAlmon delle “Contact Editions” si recarono in Spagna e a Siviglia e lo scrittore assistette alla prima sua corrida importante, partecipò agli encierros (gli spostamenti a piedi dei tori da combattimento) e alle novilladas (le corride per principianti), e conobbe toreri celebri. Al ritorno a Parigi, McAlmon gli offrì di pubblicare un volume di racconti nelle sue “Contact Editions”. Hemingway gli inviò allora i tre racconti, Up in Michigan, My Old Main e Out of Season ai quali aggiunse qualche poesia.

    Su consiglio di Gertrude Stein si recò nell’estate del 1924 a Pamplona per la festa di San Firmino e fu in quel luogo, a contatto con i matador del momento, Nicanor Villalta e Manuel García, detto Maera, che trasse molte delle idee che sviluppò per tutta la vita e che gli ispirarono il romanzo Fiesta (allora intitolato Il sole sorgerà ancora), salutato dalla critica e dal pubblico con clamore. Ritornato a Parigi scrisse altre miniature ispirate alle sue vicende di guerra in Italia e a quelle sulle corride e i toreri.

  19. Il 5 agosto gli furono inviate le bozze di Three Stories and Ten Poems della “Contact Edition”, pubblicate l’anno stesso, anche se pochi si accorsero di queste pubblicazioni tranne il recensore del mensile “The Diable” che criticò Up in Michigan e paragona My Old Man a certe storie di cavalli scritte da Anderson, ignorando le poesie. Il 15 agosto gli Hemingway si recarono a Toronto, e il 10 ottobre nacque il primo figlio, John Hadley Nicanor, che il padre chiamerà in seguito Bumby. A Natale furono infine pubblicate le copie di In our time (scritto con le lettere minuscole) della “Three Mountains Press”.

    Il 1º gennaio del 1924 Hemingway diede le dimissioni dal “Toronto Star” e il 19 ritornò a Parigi. Stabilitosi in Rue Notre Dame des Champs 113, Hemingway iniziò a frequentare i caffè letterari di Ford Madox Ford che aveva fondato la rivista “Transatlantic review”; presto diventò scout della rivista stessa che in aprile pubblicò il racconto, dal titolo Indian Camp, scritto al ritorno da Toronto.

    Durante l’anno approfondì l’amicizia con lo scrittore umoristico Donald Ogden Stewart, iniziò a frequentare più assiduamente Dos Passos e iniziò a scrivere il lungo racconto Big Two-Hearted River con protagonista Nick Adams, già apparso in Indian Camp, contenente le linee fondamentali della sua poetica. Finì nel frattempo i racconti The Doctor and the Doctor’s Wife, Soldiers Home, The End of Something, The Three-Day Blow, Cat in the Rain, Cross-Country Snow che costituiranno, insieme ai racconti di Three Stories and Ten Poems e a quelli di our time, il contenuto del volume “In Our Time”, accettato e pubblicato nel 1925 dall’editore Horace Liveright.

    Nel frattempo Hemingway aveva scritto il racconto The Undefeated, respinto dalla rivista “The Diable” perché considerato troppo forte. Firmò però un contratto con Liveright e conobbe l’editor di Scribner, Maxwell Perkins, grazie alla raccomandazione di Francis Scott Fitzgerald che era in quel momento all’apice della sua carriera. A maggio conobbe di persona Fitzgerald e i due diventeranno amici, anche se Hemingway non riuscirà a nascondere la sua antipatia per Zelda, moglie di Fitzgerald.

    In giugno iniziò a scrivere il romanzo Along whith youth: a Novel, mai terminato, ma il cui titolo servì a Peter Griffin per la biografia dello scrittore pubblicata nel 1985.[3] In luglio Hemingway organizzò un viaggio per la Fiesta di Pamplona dove si recò, oltre che con la moglie Hadley, con gli amici Donald Ogden Stewart e Harold Loeb. Terminata la festa di San Firmino si recò con la sola Hadley a Madrid dove, durante una corrida, Cayetano Ordonez dedicò ad Hadley un orecchio del toro e in un’altra corrida le regalò la sua cappa.

    Lo scrittore prese poi spunto da questi episodi per delineare la figura di un personaggio di un romanzo che aveva pensato dapprima di intitolare Fiesta, titolo poi scartato insieme ad altri perché straniero. Ritornato a Parigi terminò il romanzo concludendolo con la data 21 settembre 1925 e intitolandolo The Sun Also Rises. Conobbe e frequentò in questo periodo l’ambiente dei miliardari Gerard e Sarah Murphy, che saranno i modelli di Fitzgerald in Tender is the Night (Tenera è la notte) e che vivevano gran parte dell’anno a Cap d’Antibes ospitando persone illustri.

  20. Per liberarsi dal vincolo del contratto dell’editore Liveright, che non gli permetteva di passare all’editore Scribner, Hemingway compì un gesto piuttosto opportunistico che indignò quasi tutti i suoi amici: scrisse The Torrent of Spring con l’intenzione di farne una parodia dei modi affettati che Sherwood Anderson usava nel suo ultimo romanzo Dark Laughter. In questo modo, Liveright non avrebbe potuto pubblicarlo e lo scrittore sarebbe stato libero di passare all’altro editore. L’unica a difenderlo sarà Pauline Pfeiffer, una redattrice di moda di Vogue, che da quel momento diventerà una presenza costante nel matrimonio di Ernest e Hadley e due anni dopo diventerà la sua seconda moglie.

    Nel febbraio del 1926, liberatosi dall’editore Liviright, lo scrittore si recò da solo a New York dove avvenne l’incontro con Scribner che gli assicurò la pubblicazione di The Torrents of Spring e di The Sun Also Rises non ancora terminati. La promessa verrà mantenuta e nello stesso anno saranno pubblicati i suoi primi due romanzi.

    Con la pubblicazione dei due romanzi, soprattutto con The Sun Also Rises, Fiesta (Il sole sorgerà ancora), pubblicato in quell’anno, la fama di Hemingway crebbe ma il suo matrimonio, già profondamente in crisi per la presenza di Pauline, si ruppe definitivamente.

    Nel 1927 egli sposò in seconde nozze e con rito cattolico la Pfeiffer e andò a vivere a Key West, nell’arcipelago delle Keys in Florida, dove iniziò a scrivere A Farewell to Arms (Addio alle armi). In ottobre venne pubblicato Men without Women (Uomini senza donne) recensito da Virginia Woolf. Nel giugno del 1928 nacque il secondo figlio, Patrick, ma il 6 dicembre il padre si suicidò lasciando profondamente sconvolto lo scrittore.
    Nel gennaio del 1929 il manoscritto di A Farewell to Arms (Addio alle armi) venne terminato e in settembre fu pubblicato ottenendo grande successo.

  21. La parte rimanente della biografia di Hemingway, a partire dagli “anni trenta”, la inserirò domani: Sperando che possa interessare.
    p.s. complimenti per il post. Amo molto la scrittura di Hemingway

  22. Tra Céline ed Hemingway preferisco di gran lunga il primo, pur non disdegnando il secondo. Certo è che Hemingway ha beneficiato in vita di grandi riconoscimenti pubblici, oltre a Nobel. Céline, invece, ha scontato in vita l’immagine negativa derivanti da certe sue posizioni.

  23. comincio da Celine perché faccio presto. Ho letto soltanto “Viaggio al termine della notte” e mi è sembrato una mattonata. Ovvio il valore dello scrittore, ma se qui si parla di gusto e di empatia, allora questo è quanto.
    Di Hemingway, invece. ho letto Fiesta, Addio alle armi, Per chi suona la campana, Il vecchio e il mare e i 49 racconti.
    Lo ritengo un autore straordinario, capace di descrivere e raccontare con uno stile asciutto dove nessuna altra parola, oltre quelle usate da lui, possa essere adoperata come sostituta o sinonimo. Fa un uso piuttosto abbondante delle ripetizioni, ma hanno il pregio di rendere la narrazione discorsiva ed esemplificativa.
    Credo che tutto questo venga esaltato proprio nei 49 racconti. E credo anche che la sua eredità più importante sia proprio la semplicità della scrittura che, però, ha un’efficacia eccezionale.
    Un suo pensiero che mi colpì fu “Tutta la letteratura moderna statunitense viene dal libro Huckleberry Finn, di Mark Twain. Tutti gli scritti americani derivano da quello. Non c’era niente prima. Non c’era stato niente di così buono in precedenza”.
    E’ un pensiero abbastanza simile a quello di Dostoevskij quando, riferendosi a se stesso e agli altri russi, affermò “Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol”.
    Affermazioni che testimoniano quanto, per poter scrivere, sia fondamentale soprattutto leggere.

  24. Ho molto apprezzato il precedente commento di Enrico Gregori. Concordo con lui.
    Continuo a riportare la biografia di Hemingway.

  25. Nel 1930 lo scrittore ritornò a Parigi e durante l’anno scrisse una prefazione alle memorie di Kiki de Montparnasse, si recò a fare un viaggio alle isole Marquesas e Tortuga, organizzò un safari in Africa e iniziò a bere troppo conducendo una vita molto sregolata che gli procurò alcuni incidenti: si ferì al viso e in seguito ad un incidente d’auto si fratturò il braccio destro. Nello stesso anno venne rappresentata la riduzione teatrale di A Farewell to Arms (Addio alle Armi) che però rimase in scena solamente per tre settimane ed uscì la riduzione cinematografica che invece ebbe un ottimo successo di pubblico e gli rese un eccellente guadagno.

    Nel 1931, ritornato a Key West, Hemingway apprese che Pauline era nuovamente incinta. Insofferente però alla vita familiare e sempre bisognoso di nuove avventure si recò a Madrid da solo e partecipò alla sua settima edizione della Fiera di San Firmin a Pamplona. Egli, in questo periodo, ebbe una lunga relazione con Jane Mason, moglie di un funzionario della Pan American che terminerà con un tentato suicidio della donna. A novembre lo scrittore ritornò a Kansas City per la nascita del figlio che fu chiamato Gregory Hancock. Il 19 dicembre la famiglia rientrò nella nuova casa di Key West dove Hemingway terminò di scrivere Death in the Afternoon (Morte nel pomeriggio) che venne pubblicato nel 1932 ottenendo scarso successo e, nello stesso anno, Hemingway riprese a scrivere racconti e a organizzarli per la pubblicazione di una seconda raccolta.

  26. Sempre attratto dall’avventura, lo scrittore compì, sempre in quell’anno, anche una spedizione di pesca a L’Avana con Joe Russell, proprietario dello Sloppy Joe’s Bar che egli frequentava, scoprendo la pesca dei marlin. Scrisse il terzo racconto di Nick Adams, A Way You’ll Never Be ambientato nell’Italia del 1918 mentre continua il flirt con Jane che gli ispirerà il ritratto della protagonista del racconto The Short Happy Life of Francis Macomber.

    Nel 1933 lo scrittore si recò a New York dove conobbe Thomas Wolfe e incontrò Arnold Gingrich il fondatore della rivista Esquire che diventerà il marito di Jane Mason. Ritornò a Key West e durante la primavera la rivista Scribner’s Magazine accettò tre suoi racconti (Clean, Well-Lighted Place, Homage to Switzerland) oltre che il noto Give us a Prescription, Doctor, più tardi intitolato The Gambler, the Nun and the Radio, che prendeva ispirazione dall’esperienza trascorsa nell’ospedale di Billing.

    Venne pubblicata, sempre in quell’anno, la sua terza raccolta intitolata Chi vince non prende nulla ed Hemingway iniziò a scrivere il racconto che farà parte in seguito di To Have and Have Not e decise il titolo per la nuova raccolta di racconti, Winner Take Nothing, e che verranno pubblicati l’anno stesso. Non rinunciò comunque ai suoi viaggi e in aprile si recò in crociera a Cuba sulla barca di Joe Russell rimanendovi per due mesi. In agosto andò con Pauline all’Avana dove assistette alla rivoluzione del 12 agosto che ebbe come risultato la deposizione del dittatore cubano Gerardo Machado e l’elezione di Carlos Manuel de Cespedes. Dopo essere ritornato a Parigi e aver letto con dispiacere le recensioni negative sulla sua raccolta Winner Take Nothing, ripartirà ancora, insieme a Pauline e Charles Thompson, per Mombasa e Nairobi dove iniziò il safari con Philip Percival.

    Nel 1934 comprò, con i soldi che Arnold Gingrich gli aveva dato come anticipo sui suoi futuri articoli per l’Esquire, la sua famosa barca d’altura che chiamò Pilar e fece ritorno a Key West dove deciderà, in quell’anno, di scrivere la storia del suo safari. Il 18 luglio Hemingway inaugurò la Pilar e andò a Cuba e, lasciatala poi all’Avana, ritornò a casa dove terminò di scrivere il libro sul safari che intitolerà The Green Hills of Africa (Verdi colline d’Africa). Nel 1935 Hemingway trascorse molto tempo a pescare con la sua nuova barca a Bimini dove ebbe un pauroso incidente. Verdi colline d’Africa uscirà solamente in agosto e verrà accolto con indifferenza. Portò a termine il secondo racconto di To Have and Have Not con il titolo The Tradesman’s Return.

  27. Nel 1936 scrisse i racconti The Capital of The World e The Short Happy life of Francis Macomber e terminò Le nevi del Chilimangiaro (The Snows of Kilimanjaro) oltre al terzo racconto di To Have and Have Not. In Spagna era intanto scoppiata la guerra civile e la North American Newspaper Alliance (NANA) lo contatta perché invii servizi dalla Spagna sui suoi sessanta giornali, offerta che egli accettò nel 1937 riprendendo così, dopo molti anni, l’attività giornalistica. In questo periodo lavorò intensamente ad un documentario propagandistico antifascista dal titolo Spain in Flames e a febbraio, con il poeta Arcibald McLeish, la commediografa Lillian Hellman e l’amico John Dos Passos, fondò una società per raccogliere i fondi per un secondo documentario sulla Spagna che avrà il titolo The Spanish Earth (Terra di Spagna).

    Il 16 marzo, dopo aver ottenuto i permessi per la Spagna, Hemingway partì in aereo per Barcellona intenzionato ad arrivare più a sud e, arrivato a Valencia, volle andare subito a vedere i luoghi della vittoria lealista. In seguito si spostò a Madrid dove iniziò la sua attività di inviato speciale e dove lo raggiunse Martha Gellhorn, la giovane e ambiziosa scrittrice che aveva incontrato allo “Sloppy Joe’s Bar” e che sposerà nel 1940 dopo il divorzio da Pauline. Ad aprile iniziò la vera preparazione del film-documentario Terra di Spagna, che verrà presentato il 4 giugno a New York durante una riunione organizzata dalla League of American Writers, dopo che John Dos Passos, Arcibal MacLeish e Lilliam Hellman ebbero costituito la Contemporany Historian Inc. per fare in modo che il famoso regista Joris Ivens e il cameraman John Ferno partecipassero.

    Lo scrittore, che era ritornato il 9 maggio dalla Spagna, tenne in questa occasione una conferenza con il Segretario del Partito Comunista e Joris Ivens alla Carnegie Hall dove venne registrata la famosa frase:
    « Il fascismo è una menzogna detta da prepotenti … »

  28. L’8 luglio il documentario fu proiettato alla Casa Bianca, dove Hemingway era stato invitato dal presidente Roosevelt, e il 10 luglio in California. Durante la serata, che si tenne a casa di Frederic March, presente Dorothy Parker e Francis Scott Fitzgerald, lo scrittore raccolse fondi per inviare ambulanze in Spagna. Ritornato in Spagna con Martha si recherà in prima linea conducendo con lei una vita molto dura spostandosi continuamente sui luoghi di battaglia e di bombardamenti. Dopo un mese al fronte Hemingway si trasferì a Madrid all’Hotel Florida con Martha ormai ufficialmente al suo fianco. Il 15 ottobre 1937 uscì To Have and Have Not (Avere e non avere), che diventò subito un best seller, e nel frattempo scrisse una commedia che si ispirava a Martha, The Fifth Column (La quinta colonna).

    Prima di Natale, mentre Martha ed Ernest si avviavano verso Barcellona, vennero a conoscenza di un’avanzata lealista e ritornarono sui luoghi dove si combatteva e da lì ritornarono a Parigi dove Hemingway trovò Pauline che si era recata nella città nel tentativo di salvare il loro matrimonio. Hemingway, che intanto iniziava ad accusare seri disturbi di fegato e a bere in modo eccessivo malgrado il parere contrario del medico, si decise a ritornare nel 1938 con Pauline a New York e in seguito a Key West dove rimase fino alla fine di marzo, anche se la presenza della moglie lo esasperava sempre di più.
    Con il ritorno a New York era finito il secondo viaggio in Spagna di Hemingway, ma il fascino di quella terra era per lui troppo forte tanto che lo scrittore, il 19 marzo 1938, avendo ottenuto un altro contratto con la NANA, si imbarcò ancora per la Spagna verso i luoghi di battaglia e vi rimase fino alla metà di maggio per poi ritornare a Parigi e a New York.

    Scrisse in questo periodo articoli per la rivista di sinistra Ken fondata dallo stesso editore di Esquire, sul quale l’11 agosto del 1938 scriveva del timore di una nuova guerra europea. Usciva intanto a New York la rappresentazione di The Fifth Column con l’adattamento di Benjamin Glaser. Ritornato a Parigi si rimise con Martha Gellhorn e iniziò a scrivere il romanzo sulla Spagna mentre usciva il volume di racconti con recensioni non sempre favorevoli ma che gli fruttò solo nelle due prime settimane seimila copie.

  29. Nel febbraio del 1939 lo scrittore si recò a Cuba dove rimase un mese lavorando al romanzo For Whom the Bell Tolls (Per chi suona la campana). Al ritorno a Key West gli venne proposta la riduzione cinematografica di The Short Happy Life of Francis Macomber. Hemingway, intanto ritornato all’Avana, fu raggiunto da Martha Gellhorn che lo convinse ad affittare una tenuta in rovina, chiamata “Finca Vigìa”. Sempre con Martha, si recò nell’Idaho, a Sun Valley, un vecchio villaggio vicino alla città mineraria di Ketchum, dove trascorreva gran parte del tempo cacciando selvaggina.

    Il 1940 fu l’anno dedicato alla stesura del romanzo Per chi suona la campana che venne pubblicato in luglio a New York con una vendita immediata di centomila copie. Nello stesso anno fu realizzata la riduzione cinematografica del libro e in novembre, dopo aver avuto conferma del divorzio ottenuto da Pauline, sposò Martha, accompagnandola poco tempo dopo in Cina come inviata della rivista “Collier’s” .

  30. Era intanto scoppiata la seconda guerra mondiale e i tedeschi avevano invaso la Danimarca, i Paesi Bassi e la Francia, mentre Dunkerque era stata evacuata e in Messico era stato ucciso Trotzkij.

    Il 27 gennaio del 1941 lo scrittore si recò a Los Angeles per prendere accordi sul film tratto dal suo romanzo For Whom the Bell Tolls e incontrò Gary Cooper e Ingrid Bergman. Ritornato ad Hong Kong, dove rimase un mese (di questo periodo è l’intervista fatta a Chiang Kai-shek), continuò il viaggio in Birmania dove gli arrivò la notizia che For Whom the Bell Tolls era stato candidato al Premio Pulitzer (che però quell’anno non verrà assegnato).

    Mentre Martha fu inviata a Giacarta, Hemingway dovette ritornare a Honk Kong, ma alla fine di maggio era di nuovo alla “Finca Vigia” (la casa che aveva comprato come regalo di nozze per Martha con i primi guadagni del romanzo) a San Francisco de Paula vicino all’Avana dove iniziarono i problemi con le tasse. Nel 1942 lo scrittore si recò in vacanza a Città del Messico ospite di Nathan Davis che lo convinse ad iniziare un’attività di controspionaggio a L’Avana per impedire da parte della Quinta Colonna nazista di infiltrarsi a Cuba. Ottenuta l’autorizzazione dall’Ambasciata americana, l’ambasciatore Spruille Brade, dopo averne discusso con il Primo Ministro, autorizzò Hemingway a realizzare l’organizzazione che venne chiamata con il codice “Crime Shop”, poco dopo sostituita dallo stesso Hemingway con “Crook Factory”.

    Dopo aver ottenuto il permesso dell’ambasciatore Hemingway predispose la sua imbarcazione, la “Pilar”, a fare da nave civetta camuffandola come se si trattasse di una nave interessata a fare ricerche scientifiche per il Museo Americano di Storia Naturale. La moglie Martha, contraria all’operazione e infastidita dall’atteggiamento narcisistico del marito che aveva iniziato a farsi chiamare “Papa” e soprattutto a bere troppo, accettò nel frattempo l’incarico, affidatole dalla rivista “Collier’s”, di partire come inviata speciale per il Mare dei Caraibi. Hemingway visse questa avventura, che gli ispirerà Island in the Stream, con grande entusiasmo, ma in seguito all’indagine sui metodi della “Crook Factory” condotta da sedici agenti dell’FBI venuti all’Avana, l’organizzazione fu sospesa. Il 10 luglio intanto si tenne a New York la prima di For Whom the Bell Tolls, e il romanzo raggiunse le settecentottantacinquemila copie solamente in America.

    Malgrado Martha insistesse perché tornasse in Europa, Hemingway rimase all’Avana fino al 1944, quando finalmente si decise a ritornare a New York. Alla vigilia dello sbarco in Normandia si recò a Londra come inviato speciale del Collier’s e lì conobbe Mary Welsh, inviata di Time e Life, e iniziò a corteggiarla. In questo periodo conobbe anche il fotografo Robert Capa con il quale strinse subito una grande amicizia e il 25 maggio, dopo solamente una settimana dal suo arrivo a Londra, ritornando da una festa data da Capa a tarda notte, ebbe un terribile incidente d’auto e, con prognosi di commozione cerebrale, venne ricoverato al St. George’s Hospital. Dimesso il 29 maggio, senza tener conto delle indicazioni dei medici ricominciò a bere, e il 2 giugno, invece di rimanere a riposo come gli era stato prescritto, si recò, insieme ad altri corrispondenti di guerra, su un aereo per andare ad attendere l’invasione del D-Day e da quel momento, per sette mesi, partecipò alla guerra in Europa.

  31. Il 26 luglio conobbe colui che diventerà il suo eroe militare, il colonnello, in seguito promosso generale, Charles Trueman Lanham, comandante del 22° Reggimento di fanteria della 4ª Divisione, e lo seguì come corrispondente presso il suo reggimento. Lasciata in agosto la Quarta Divisione, lo scrittore si spostò a Rambouillet, sulla strada di Parigi, per unirsi ad un gruppo di partigiani francesi prendendone il comando, e il 24 agosto entrò a Parigi prima del generale Leclerc. Avvenne quella che egli chiamò la liberazione dell’Hotel Ritz.

    Il 4 ottobre venne sottoposto ad un’inchiesta a Nancy con l’accusa di aver violato la Convenzione di Ginevra per essersi tolto, quando si trovava a Rambouillet, le mostrine di corrispondente e aver preso il comando dei partigiani francesi. Il 15 novembre, dopo essere stato assolto, raggiunse il colonnello Lanham nella foresta di Hurtgen e rimase con il battaglione per tutti i diciotto giorni della Battaglia della Foresta di Hurtgen sferrata dai tedeschi nella quale morirono 2.678 americani. Ritornato a Parigi in settembre per un breve periodo, lo scrittore incontrò Martha che gli aveva chiesto il divorzio ed ebbe la visita di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Ricevuta la notizia che il colonnello Lanham aveva subito un attacco nel Lussemburgo, lo raggiunse e rientrò nella città solamente nel gennaio del 1945, anno molto difficile per lo scrittore che, oltre a soffrire di forti emicranie, contrasse due polmoniti, ebbe un nuovo gravissimo incidente di macchina, concluse il divorzio con Martha e fu molto in pena per il figlio John ferito e catturato dai tedeschi.

  32. Hemingway trascorse il 1946, anno in cui sposò Mary, in condizioni più favorevoli di salute che gli permisero di dedicarsi alla stesura del nuovo libro The Garden of Eden (Il giardino dell’Eden).

    Nel 1947 ricevette all’ambasciata americana dell’Avana la Bronze Star per i servizi prestati come corrispondente di guerra in Francia e Germania e nel 1948 si recò con la moglie in Italia, dove rimase fino all’aprile del 1949, portando con sé la sua fama di machismo, e proprio quando la sua celebrità di scrittore era arrivata al massimo. Fra i suoi soggiorni italiani egli risiederà, per alcuni periodi del 1952, anche nella località campana di Acciaroli, sulla costa del Cilento. In questo periodo, a più riprese e fino al 1954, soggiornò frequentemente in Veneto, soprattutto fra Venezia (era un assiduo frequentatore dell’Harry’s Bar e del Gritti), l’isola di Torcello, Cortina e la laguna di Caorle, dove andava spesso a caccia, ospite di famiglie aristocratiche della zona. Fu in tale periodo che scrisse il romanzo Across the River and into the Trees (Di là dal fiume e tra gli alberi) ambientato proprio nei luoghi veneti conosciuti dall’autore. Il romanzo, pubblicato nel 1950, fu accolto freddamente dalla critica e non ottenne un grande successo, ma rappresentò comunque il ritorno di Hemingway al romanzo dopo dieci anni.

    Proprio per gli aperti riferimenti a luoghi e persone realmente conosciuti all’epoca (si era innamorato anche della giovane nobildonna veneta Adriana Ivancich, facilmente riconoscibile in un personaggio del romanzo), Hemingway vietò la pubblicazione in Italia di Di là dal fiume e tra gli alberi per almeno due anni. Ciò non impedì che la relazione di Hemingway con la giovane italiana suscitasse un certo scandalo, almeno in Italia. Di fatto poi il romanzo sarà pubblicato in Italia solo nel 1965.

  33. Tornato a Cuba si dedicò alla pesca sulla sua “Pilar” e scrisse The Old Man and the Sea (Il vecchio e il mare) che terminò il 17 febbraio del 1952, e il romanzo rimasto incompiuto che verrà pubblicato postumo con il titolo Isole nella corrente.
    Lo stesso anno Leland Hayward gli offrì di pubblicare su un numero unico di Life, con uscita in settembre, The Old Man and the Sea mentre Adriana Ivancich disegnò la copertina del libro per l’editore Scribner che pubblicò il romanzo nello stesso anno. Nell’aprile del 1953 il romanzo vincerà il Premio Pulitzer.

    Hemingway nel frattempo aveva organizzato un safari spinto dal suo solito desiderio di avventura, ma anche perché voleva raggiungere in Africa il figlio Patrick che si trovava in Kenia con la moglie. Dopo aver accettato un contratto con la rivista Look per la pubblicazione di una serie di articoli sul safari che avrebbe fatto, Hemingway volle ritornare a Pamplona per la Festa di San Firmino.

    Il 21 gennaio 1954 partì con Mary dall’aeroporto di Nairobi, ma la “sfortuna” lo stava perseguitando. Il pilota dell’aereo sul quale viaggiava, per evitare uno stormo di ibis, colpì un filo del telegrafo e, con l’elica e la fusoliera danneggiata, tentò un atterraggio di fortuna in Uganda dove, con una spalla rotta, Hemingway e la moglie furono costretti a trascorrere la notte all’aperto e al freddo. Il mattino, avvistati da una grande barca e fatti salire a bordo, furono trasportati a Butiaba dove Reggie Cartwright si offrì di portarli fino a Entebbe col suo piccolo aereo, ma l’aereo prese fuoco e lo scrittore, nel tentativo di sfondare un portello con la testa, subì danni fisici molto gravi dai quali non si riprese mai più.

    Condotto a Nairobi, dove ricevette le prime cure, si sforzò di scrivere il primo articolo per Look e accettò di essere condotto da Roy Marsh sul suo aereo all’accampamento di Shimoni sulla costa del Kenia, come era stato precedentemente programmato, ma allo scoppio di un incendio nel vicino accampamento egli, che era accorso per aiutare, venne avvolto dalle fiamme uscendone fortemente ustionato.

  34. Solo alla fine di marzo, dimagrito di dieci chili, poté raggiungere Venezia dove il Conte Federico Kechler lo raggiunse e lo accompagnò in varie cliniche per esami radiografici e visite più complete. Malgrado la salute così precaria lo scrittore aveva il desiderio di rivedere la Spagna e così, accompagnato in macchina da Aaron Edward Hotchner, che dalle conversazioni registrate lungo il viaggio trarrà Papa Hemingway pubblicato nel 1966, si recò a Madrid.
    A Madrid si fece curare da un medico, per poi ripartire alla volta di Genova dove, imbarcatosi per l’Avana, giunse alla Finca e fu assistito con cure intensive dal suo medico, José Luis Herrera. Durante l’estate riuscì solamente a scrivere alcune lettere e a ricevere qualche visita come quella di Ava Gardner e Luis Miguel Dominguin che aveva conosciuto a Madrid quando era andato ad assistere ad una sua corrida.

    Il 28 ottobre del 1954 ricevette per telefono la notizia che gli era stato assegnato il premio Nobel, ma non fu in grado di viaggiare fino a Stoccolma e il premio venne ritirato dall’ambasciatore Jon Cabot. Si dice anche che alla consegna del premio lo scrittore americano abbia risposto al messo “Troppo tardi”.

    Durante i primi mesi del 1955 Hemingway, con il corpo martoriato, ricevette stancamente i visitatori che venivano numerosi a trovarlo e cercò di collaborare con Leland Hayward e Peter Viertel giunti alla Finca il primo di giugno per riprendere la lavorazione del film The Old Man and the Sea. A luglio andò a trovarlo anche Aaron Edward Hotchner con il quale discusse il programma per la riduzione teatrale di alcuni suoi racconti e in agosto accolse la troupe cinematografica che era arrivata sul luogo per girare le scene della pesca.

    Il 17 settembre redasse il suo testamento con il quale nominò la moglie Mary erede ed esecutrice testamentaria, a patto che provvedesse ai figli e solamente a novembre riuscì, a fatica, a recarsi all’Avana per ricevere l’onorificenza dell’Ordine di San Cristobal ma, ammalatosi di nefrite e di epatite, fu costretto a letto fino al 9 gennaio. Ripresosi in parte, durante il 1956 tentò di scrivere qualche racconto che però rimase incompiuto e, malgrado tutti lo dissuadessero, volle recarsi a Madrid per assistere alle corride di Antonio Ordonez. Beveva sempre di più e la pressione era sempre troppo alta, ma non volle rassegnarsi al suo stato fisico così deteriorato e, sfidando il medico, combinò un safari in Africa che non gli fu possibile effettuare, poiché proprio quell’anno Nasser chiuse il canale di Suez.

    Si recò comunque in Spagna per una caccia alle pernici e a novembre a Parigi. All’Hotel Ritz gli vennero dati due bauli rimasti in magazzino dal 1928 che contenevano manoscritti e dattiloscritti di quegli anni che diventeranno in seguito Festa mobile.

  35. Durante il 1957 Hemingway iniziò a soffrire di forte depressione che gli impedì di portare a termine l’articolo su Fitzgerald per la rivista Atlantic Monthly. In tutto l’anno scrisse un solo racconto: A Man of the World. Lo scrittore si muoveva raramente da casa se non per recarsi a New York ad un incontro di boxe di Sugar Ray Robinson, ma la città lo deluse perché troppo caotica e rumorosa e a Bernard Berenson scrisse anche che Cuba non possedeva più alcun fascino a causa dei grattacieli che affollavano le spiagge.

    Nella primavera del 1958 riprese a scrivere con una certa regolarità alcuni capitoli sulla vita trascorsa a Parigi con Hadley tra il 1921 e il 1926, ma iniziò ad avere strani sintomi di mania di persecuzione che esternò con un forte risentimento nei confronti di Pauline e dei Murphy, che accusava di essere stati i responsabili del fallimento del suo primo matrimonio. Riuscì comunque a portare a termine il libro composto da diciotto capitoli e riprese a scrivere il romanzo The Garden of Eden che aveva iniziato dieci anni prima.

    In aprile, insofferente del clima di Cuba, volle recarsi a Ketchum dove riprese la caccia e trasse un certo beneficio dalle cure del dottor George Saviers che prestava servizio al “Sun Valley Hospital” e che divenne suo amico. In dicembre decise di acquistare una villa a due piani fuori dal centro della città per vivere in una casa più organizzata e poter dedicarsi con tranquillità allo scrivere. Nel febbraio del 1959 morì Taylor Williams che era stata la guida di Sun Valley, suo compagno di caccia agli orsi e grande amico, ed Hemingway gli acquistò una tomba vicino alla sua dove venne poi sepolto.

    In aprile, dopo essere stato all’Avana ed aver incontrato Tennessee Williams e Kenneth Tynan, accettò l’invito di Bill Davis e in maggio fu suo ospite con Mary, nella villa “La Consula” a Malaga sulla Costa del Sol, da dove si mosse per assistere alla serie di corride di Dominguin e di Antonio Ordonez per la Spagna. A Pamplona, dopo aver assistito a venti corride, conobbe Valerie Danby-Smith che divenne in seguito la sua segretaria e che rimase vicino a Mary dopo la morte di Hemingway.

    Il 21 luglio di quell’anno venne organizzata da Mary una grande festa per il suo sessantesimo compleanno, ma lo scrittore in quell’occasione si comportò in modo preoccupante alternando crisi di pianto a discorsi sarcastici verso gli amici. Ripresa la tournée si recò a Valencia per continuare a seguire le corride ed anche Dominguin venne ferito. La rivista Life aveva intanto commissionato ad Hemingway un articolo sulla corrida ed egli aveva iniziato a prendere numerosi appunti. Ma quando in ottobre, ritornato alla Finca Vigia, cercò di riordinarli, non ci riuscì.

  36. Nel gennaio 1960 lo scrittore si recò a Miami assistito dalla segretaria Valerie e continuò a scrivere la storia delle corride che stava ormai diventando un manoscritto di 688 pagine. Ossessionato dal lavoro intrapreso, in giugno chiese all’amico Aaron Edward Hotchner di raggiungerlo alla Finca per aiutarlo a tagliare il manoscritto che diventerà poi The Dangerous Summer. Alla fine di luglio il lavoro era stato terminato ed Hemingway, accompagnato da Hotchner, volle ritornare in Spagna.
    I segni di squilibrio mentale diventavano intanto sempre più evidenti: ossessionato dal fatto che Valerie fosse giunta a Cuba con un visto temporaneo non ancora rinnovato, si convinse che Antonio Ordonez avesse bisogno di lui e si recò a New York passando dalla Spagna (anche per controllare di persona il suo scritto sulle corride) quindi da solo in volo, senza un motivo preciso, si recò a Madrid, seguito subito da una persona di fiducia e poi da Hotchner, per andare a “La Consula” e preoccupando tutti gli amici a causa delle crisi maniaco-depressive che lo facevano sospettare di tutto e di tutti, con grandi vuoti di memoria.

    A settembre uscì su Life la prima delle tre puntate di The Dangerous Summer e lo scrittore fu assalito dall’angoscia perché lo ritenne un “pasticcio” e ne provava vergogna. Gli amici spagnoli, preoccupati dal suo stato patologico, sentirono il dovere di farlo caricare su un volo notturno e di riportarlo a New York dove cominciò ad essere ossessionato dai complotti che vedeva ovunque intorno a sè.

    Il 22 ottobre ritornò a Ketchum, ma la situazione non migliorò. Era convinto di non avere più denaro per mantenere la casa, pensava di essere pedinato dall’FBI e perseguitato per il visto non rinnovato di Valerie e vedeva ovunque agenti federali (dall’archivio generale dell’FBI che verrà ripreso in visione dopo che Jeffrey Meyers rivelerà sul The New York Review of Books del 31 marzo 1983, nell’articolo intitolato Wanted by the F.B.I.!, si potrà constatare che i timori di Hemingway erano in parte giustificati. Infatti il Bureau lo teneva sotto sorveglianza dai tempi della guerra di Spagna e dell’attività di controspionaggio).

    Dopo aver parlato con uno psichiatra, il dottor Saviers si rese conto della necessità di un ricovero. Il 30 novembre, sotto falso nome, Hemingway partì con un aereo privato insieme al dottor Saviers (Mary lo raggiungerà in treno) per essere ricoverato alla clinica Mayo nel Minnesota. Gli fu diagnosticata una emocromatosi, fu sottoposto a numerosi elettroshock e venne colpito da afasia. Il 22 gennaio, dimesso dalla clinica, fece ritorno a Ketchum e riprese a fatica il lavoro al libro di Parigi, smettendo di bere e rifiutando qualsiasi invito. Piangeva con grande facilità, continuava a dimagrire ed era convinto di avere un cancro.

    Durante il suo ricovero, nonostante soffrisse di alta pressione per il diabete, gli venne somministrato un ingente numero di elettroshock (oltre venti), provocandogli grosse lacune nella memoria. In quel periodo riferì ad un suo amico le sue preoccupazioni:
    « Che senso ha rovinare la mia mente e cancellare la mia memoria? Queste cose costituiscono il mio capitale e senza di esse sono disoccupato. È una buona cura, ma abbiamo perso il paziente. »

    Il 21 aprile tentò di sottrarre un fucile dalla stanza dove erano conservate le armi, ma Mary riuscì a distrarlo. L’arrivo del dottor Saviers per la sua visita quotidiana fu provvidenziale perché riuscì a convincerlo a deporre il fucile e lo condusse al “Sun Vallery Hospital”, e di qui nuovamente alla clinica Mayo dove fu sottoposto ad altri elettroshock. Rimase in ospedale per due mesi, isolato in una stanza senza la presenza di alcun oggetto, e il 26 giugno venne dimesso “clinicamente guarito”, ma già lungo il viaggio di ritorno ricominciò ad avere strani comportamenti e forti allucinazioni.

  37. « Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto… E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse. »

    Il 1º luglio 1961, come riferisce Mary nelle memorie, fu una giornata abbastanza tranquilla per lo scrittore tranne che per il ricorrente incubo della persecuzione dell’FBI. Ella racconta che alla sera cantò con lei una canzone che aveva imparato a Cortina da Fernanda Pivano e che era solito canticchiare nei momenti di serenità:
    « Tutti mi chiamano bionda, ma bionda io non sono: porto i capelli neri, porto i capelli neri »
    Pochi giorni prima, Mary lo aveva sorpreso con un fucile e delle cartucce in mano, ma egli le aveva risposto che intendeva soltanto “dargli una ripulita”. Allarmatissima, lei aveva riposto l’arma nell’armadietto e l’aveva chiuso a chiave.

    La mattina della domenica del 2 luglio Mary fu svegliata da un forte colpo. Hemingway si era sparato alla tempia ed era morto. Disgraziatamente, lei aveva dimenticato le chiavi dell’armadietto sul tavolo della cucina e lui le aveva trovate. Dopo tre giorni, nella piccola chiesa di “Our Lady of the Snow” (Nostra Signora delle Nevi) vennero celebrate le onoranze funebri alla presenza dei tre figli e di pochi intimi amici. Il suo corpo ebbe sepoltura nel cimitero di Ketchum.

  38. Mi domando spesso per quale ragione sia così “facile” per me scrivere dialoghi. Essi sembrano sempre “quasi pronti” ad uscire dalla matita qualsiasi tema tratti e struttura narrativa li accolga. Non è mai lì la mia fatica. Ho creduto fino ad oggi, sbagliando, che nei primi romanzi letti in età adolescenziale (russsi) vi fosse la radice e la spinta a scrivere in forma dialogica. Ma oggi ho ricordato il sapore gioioso con cui divoravo i romanzi di Hemingway e il fascino per quei dialoghi che rileggevo per il puro piacere di entrare in contatto con la verità delle realzioni, la cui abilità dello scrittore, era appunto nell’essenzialità del dire. Dunque, scopro oggi, che se formazione esiste, non è nei primi romanzi, ma in quelli che ci consentono di riconoscerci nella ricerca del linguaggio con cui vorremmo comunicare e rappresentarci come scrittori/scrittrici. Tutti i grandi, ovviamente, ci aiutano a confermare le scelte o metterle in dubbio. Céline rimane per me un magma di emozioni a cui non ho mai saputo o forse voluto mettere ordine, razionalizzare. Forse in Hemingway è più percepibile il suo nascosto lato femminile poiché, nel mio ricordo, ormai lontanissimo, la sua scrittora la percepisco ancora in alcune parti liquida: acqua che porta altra acqua e ancora ancora fino a trovare affluenti a cui solo il punto che determina il non più dire, arresta.
    Céline mi aggrumò, Hemingway mi fece dire. “ah se sapessi scrivere come lui!”. Ringrazio Massimo, come sempre, tali ricordi li avevo rimossi.

  39. Hemingway e Céline sono tra gli scrittori che più ho amato, se non quelli che ho amato di più. Si può immaginare il piacere che provo in questi giorni, a spulciare sui giornali e sui blog, dove innumerevoli sono gli articoli, i resoconti critici, i ricordi su questi due autori che morirono a distanza di un giorno, cinquant’anni fa.

    1. Che rapporti avete con le opere di Ernest Hemingway?

    Che dire, avevo all’incirca 18 anni quando lessi “Fiesta” e rimasi stregato da quello stile essenziale. Nessun romanzo, fino ad allora, mi aveva emozionato in quel modo. Era questa la narrativa che avevo voglia di leggere: sincera, nitida, senza fronzoli, profonda. Poi passai ad “Addio alle armi” e fu la conferma. Hem ti fa respirare l’aria dei luoghi che descrive, e quelle parole precise, nette, che esprimono di più di quanto dicono: indimenticabile. Nel sottofondo si percepisce una disperazione taciuta, tenuta a freno, una capacità di guardare il dolore a viso aperto e un invito ad affrontarlo con stoicismo; come un marinaio, tra i flutti della tempesta, che si tiene aggrappato all’albero di maestra… Poi vennero “I 49 racconti”, che ammirai con altrettanto entusiasmo e che mi accompagnano costantemente: sono per me un piccolo breviario di saggezza, tenerezza, poesia…

    2. Qual è quella che avete amata di più?

    Sono indeciso tra “Fiesta” e “I 49 racconti” (particolarmente: “Il mio vecchio”, “Campo indiano”, “La fine di qualcosa”, “Tre giorni di vento”, “Il ritorno del soldato”, “In un altro paese”, “Insonnia”, “Padri e figli”…) le cui immagini e situazioni mi si sono stampate in modo indelebile nella mente. Di “Fiesta” non dimenticherò mai la parte finale, quando Jake Barnes si trova da solo a San Sebastian, per una breve vacanza, dopo le bevute, la dissapazione, le delusioni, il dolore vissuti insieme ai suoi compagni alla festa di San Firmino a Pamplona. Tentativi per aggirare il vuoto. Ed ora il tentativo di fare il punto su se stesso, di raccogliere i cocci. In questi brani Hem raggiunge il vertice della sua arte e poetica. Vedo ancora Jake Barnes che nuota nel mare, i suoi pensieri, la solitudine sottostante, i suoi sforzi per regolare il dolore, tenere a freno la disperazione. Poi un insegnamento che non dimenticherò mai: regalare sempre la mancia ai camerieri. Jake Barnes lo fa con una tenerezza disarmante; piccoli accorgimenti di sopravvivenza quotidiana, per farci degli amici, dei confidenti, per renderci meno pesante la solitudine…

    3. E l’opera di Hemingway che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

    “Fiesta”

    4. Preferite l’Hemingway romanziere o l’Hemingway autore di racconti?

    Entrambi

    5. Tra le varie “citazione” di (o su) Hemingway di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

    Hemingway parlava di argomenti europei con un linguaggio americano, mentre Faulkner parlava di argomenti americani con un linguaggio europeo. (F.Pivano)

    6. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Hemingway ha lasciato nella letteratura mondiale?

    Enorme. Tutta la letteratura americana e non venuta dopo di lui ne ha risentito l’influenza. Non solo Raymond Carver, ma anche Goffredo Parise.

    All’inizio pensavo che Louis Ferdinand Céline fosse un autore spagnolo del ‘600, coevo di Lope de Vega o Lazzarillo de Tormes… non so perchè, ma era questo che pensavo quando leggevo dei brani in cui veniva citato il suo nome. Poi mi documentai meglio. Acquistai “Viaggio al termine della notte”, e fu un’altra delle mie grandi scoperte in campo letterario, una specie di terremoto cognitivo. La realtà moderna e non solo, la sua disgregazione, erano tutte in quel libro. Avevo cercato di leggere Sartre, ma ancora oggi non riesco ad andare avanti con “La nausea”. Il Voyage, invece, lo lessi in due-tre giorni. Parlava di me, di noi… con un linguaggio che ti entrava nella coscienza, ti origliava nell’anima. Sono diventato un céliniano, non mi liberai più di lui.

    1. Che rapporti avete con le opere di Céline?

    Come sopra

    2. Qual è quella che avete apprezzato di più?

    Il Voyage

    3. E l’opera di Céline che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?

    Il Voyage

    4. Tra le varie “citazione” di (o su) Céline di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?

    La verità è un agonia senza fondo

    5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Céline ha lasciato nella letteratura mondiale?

    E’ il più grande scrittore del ‘900. Una tenerezza senza limiti, una poesia struggente.

    ciao, Gino

  40. Il Viaggio al termine della notte alberga da anni nella mia libreria, ma ne ho solo spulciato qualche pagina, rinviando continuamente il momento per cominciare a leggerlo sul serio. Che prima o poi verrà, e magari scoprirò un autore di cui non si può fare a meno.
    Hemingway invece l’ho letto parecchi anni fa, e certamente in modo incompleto. Fiesta per esempio non l’ho mai letto. ma ho letto Per chi suon la campana, Il Vecchio e il mare, Addio alle Armi. Ma è soprattutto nei 49 Racconti che ho scoperto la sua immensa grandezza di narratore. Credo che la forma del racconto sposi al meglio questo suo gusto per l’essenzialità, e pochi hanno saputo essere essenziali quanto lui.
    Di quella splendida raccolta ricordo “Campo Indiano”, “Colline come elefanti bianchi”, “Un posto pulito, illuminato bene” e “Il grande fiume dai due cuori”.

  41. carle’, sei sempre ‘na sicurezza 🙂

    ps: ringrazio margherita per le seimila puntate sulla biografia di hemingway. e ringrazio anche hemingway per essersi sparato a circa 60 anni d’età. così la biografia è rimasta contenuta

  42. Grazie Enrico Gregori. Per la verità conosco ottantenni la cui biografia non vale i primi trent’anni del nostro Hemingway. 🙂

  43. E comunque per una questione di equità, salvo divieti posti da Mr. Massimo Maugeri, dovrò somministrarvi anche la biografia a puntate di Celine (che mi pare meno gettonato). 🙂

  44. Stiamo parlando di due grandi della letteratura mondiale, di due scrittori che hanno lasciato il segno. Io preferisco il francese, all’americano. Trovo che la scrittura di Hemingway sia eccessivamente essenziale. I gusti sono gusti.

  45. si bene che questo e’ un sito letterario, ma dato che si parla di ricorrenze mi piacerebbe ricordare anche jim morrison, che moriva il 3 luglio di 40 anni fa.
    tra hemingway e celine, preferisco il primo

  46. Il romanzo da me preferito è «Fiesta», il primo scritto da Hem; e non dubito che sia il migliore tra i suoi. Lo considero uno dei romanzi emblematici del Novecento. Non meno belli e importanti sono molti racconti.
    Forse a 30 anni, o poco più, Hem aveva già dato quasi tutto il meglio di sé. Ma che vuol dire? Ciò che scrisse allora basta per farne un grande artista.
    arnaldo di benedetto

  47. 1. Che rapporti avete con le opere di Ernest Hemingway?
    Ho letto i 49 racconti, “Il vecchio e il mare” e “Per chi suona la campana”. Il rapporto è più che buono e vorrei approfondirlo leggendo le altre opere. Magari lo farò nel corso delle vacanze estive.

  48. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    Senza dubbio “Il vecchio e il mare”, come molti degli estimatori di Hemingway (Anche se ho ammesso nel precedente commento le mie carenze).

  49. 3. E l’opera di Hemingway che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    Come prima, “Il vecchio e il mare”

  50. 4. Preferite l’Hemingway romanziere o l’Hemingway autore di racconti?
    Considerando “Il vecchio e il mare” come un racconto, preferisco l’Hemingway scrittore di racconti.

  51. 5. Tra le varie “citazione” di (o su) Hemingway di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Come citazione scelgo la motivazione per l’attribuzione del Nobel per la letteratura: “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”

  52. 6. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Hemingway ha lasciato nella letteratura mondiale?
    Credo che sia uno di quegli autori che segna uno spartiacque, nella letteratura, tra chi lo ha preceduto e chi lo ha seguito.

  53. Grande Céline. ‘Viaggio al termine della notte’ è un capolavoro.
    E’ vero che il nichilismo di questo libro ha lo stesso impatto di un treno in piena corsa…dopo averlo letto, non si è più se stessi, o meglio, non si può essere più se non se stessi…il viaggio nel fondo della miseria umana più intima e dolorosa ti risucchia come un polpo dall’interno…ma almeno Céline al termine del viaggio ci arriva con gli occhi ben aperti…e questo libro è un dono del cielo perchè invita il lettore a fare altrettanto…prima che sia troppo tardi…ma non è mai troppo tardi…

  54. Hemingway è figlio delle contraddizioni di un’epoca: ribelle e denunciatore per un verso, ma per un altro senza fiducia in un avvenire, e invece disperatamente in cerca di un mito oscuro di antichità: l’Europa, il Cattolicesimo, l’Italia, la Spagna.
    (Italo Calvino)

  55. Vuoi mettere il nitore della letteratura di Hemingway? Quasi nessuno regge il confronto.
    Grande Hem!

  56. Comunque preferisco l’Hemingway scrittore di racconti. Consiglio a tutti i 49 racconti, pubblicati da Einaudi mi pare. Non ve ne pentirete.

  57. molti quando si parla di Céline storcono il naso senza nemmeno averlo letto. vi assicuro, invece, che è un autore di grandissimo valore. l’invito dunque è a leggerlo senza pregiudizi.

  58. Quanto a Céline, non ho retto alla lettura degli ultimi romanzi. Grande invece «Viaggio al termine della notte».
    Per quest’opera, l’etichetta «nichilismo» è riduttiva.

  59. Cari amici, grazie a tutti voi per i numerosi contributi pervenuti.
    Come sempre, Letteratitudine è un foglio bianco. Siete voi che lo riempite.
    Grazie davvero!

  60. E come sempre ne approfitto per ringraziarvi a salutarvi.
    Un caro saluto, dunque, a: Angelo Ricci, Elisa, Floriana, Antonio Bagutti, Margherita, Andrea, Enrico Gregori…

  61. @ Margherita
    Ti autorizzo, con molto piacere, a inserire i riferimenti biografici su Céline (nonostante i simpatici rimbrotti del caro amico Enrico Gregori). 😉

  62. In effetti la discussione pare un po’ sbilanciata a favore di Hemingway.
    Ma questo, forse, conferma il fatto che Hemingway è più amato di Céline.
    Che ne dite?

  63. Di certo non equilibrerò il dibattito con questo commento. in ogni caso credo che “Viaggio al termine della notte” sia uno di quei libri che tutti dovrebbero leggere.

  64. Chi parla dell’avvenire è un cialtrone, è l’adesso che conta. Invocare i posteri, è parlare ai vermi.
    (Céline da “Viaggio al termine della notte”)

  65. Nulla è gratuito in questo basso mondo. Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro. (Céline da “Semmelweis”)

  66. Penso come voglio, come posso… ad alta voce.
    (Céline da “Bagattelle per un massacro”)

  67. La natura è una cosa spaventevole e anche quando è fermamente addomesticata dà ancora una specie di angoscia ai veri cittadini.
    (Céline – citato in Focus n. 70, p. 130)

  68. Non amo Hemingway, credo che abbia lasciato l’eredità di una letteratura di intrattenimento molto alto e d’avventura, non libri cosmo non libri mondo.
    Celine invece ha lasciato uno dei più importanti libro mondo e libro cosmo della storia della letteratura che è viaggio al termine della notte. E’ uno scrittore totale come Cervantes come Shakespeare: ha lasciato in eredità i suoi dubbi, le sue domande, la sua sete di totalità.

  69. quando si parla di Céline, in genere, si fa riferimento a “Viaggio al termine della notte” che di certo è un capolavoro.
    Ma non bisogna dimenticare un altro libro fondamentale che è “Morte a credito”.
    Si tratta del secondo romanzo di Louis-Ferdinand Céline, pubblicato nel 1936, comunque considerato come uno dei capolavori della letteratura francese del Novecento.

    Esso è un antefatto di “Viaggio al termine della notte,” infatti racconta l’infanzia nel Passage Choiseul, le esperienze familiari, scolastiche, erotiche, di viaggio e di lavoro del suo personaggio, Ferdinand Bardamu, il suo alter ego, e termina con il suo arruolamento nell’esercito per la prima guerra mondiale.
    Il romanzo è una presa di distanze dalla vita, che non è quello che generalmente l’uomo crede e che alla fine porta a conquistare l’unico credito che siamo sicuri di riscuotere.

    In Italia arriva più tardi, intorno agli anni sessanta, con la traduzione monumentale di Giorgio Caproni

  70. questo è l’incipit di “Morte a credito” nella traduzione di Caproni.
    “Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza… Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita, una buona volta. Gente n’è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m’han detto gran che. Se ne sono andati. Si son fatti vecchi, miserabili e torpidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo”.

  71. Condivido anche il giudizio di Luca Pellegrino su «Morte a credito». Quanto a Hem, ribadisco che il suo romanzo più bello è il primo: «Fiesta», noto anche col titolo. «Il sole sorge ancora». Quello è un libro-mondo, per rispondere a Marosia Castaldi.

  72. Hemingway o Céline? Come fare a scegliere? A pronunciarsi per l’uno a sfavore dell’altro?
    Si possono apprezzare entrambi, riconoscerne il ruolo letterario, i pregi della scrittura, la singolarità e unicità delle loro personalità, per molti versi antitetiche, e prediligere solo uno dei due. Ma si potrebbe anche affermare di sentire in eguale misura la forza creativa di entrambi, di trovarli specularmente complementari, di cogliere nell’uno in certi momenti narrativi i tratti dell’altro
    e viceversa. Una tale posizione potrebbe apparire gratuita, eccentrica, non giustificata dai luoghi comuni, dagli stereotipi, dall’iconografia critica su entrambi.
    Eppure succede che autori che hanno caratterizzato un’epoca che di quell’epoca hanno catturato nelle loro opere lo zeitgeist, pur nelle divergenze e nelle distanze apparentemente incommensurabili che li dividono, possano convergere in unicum creativo di uguale impatto civile e di medesima risonanza estetica. Sia perchè lo spirito del tempo non si dà mai in forma univoca, ma sempre polivalente, polisemica, antinomica e dissonante, sia perchè solo le grandi personalità che segnano una stagione storica e da essa ne sono segnati, possono percepire questa polifonia e modularla secondo i propri vissuti esistenziali, il carattere e il suo estrinsecarsi nell’opera oltre che nella vita.
    Non si può negare che la scrittura di Hemingway e tutto il suo mondo creativo è percorso da una pulsione vitale tenuta a freno da una cifra essenziale, senza essere minimale, ma scabra, quasi austera, come a imbrigliare e domare il furore e l’inquietudine del vivere. Cifra che si coglie meglio nei racconti, più che nei romanzi, e in un romanzo “Il vecchio e il mare”. Qui il vecchio pescatore che ingaggia una lotta ostinata, caparbia con l’enorme pesce spada che non si arrende alla cattura e lotta sino all’autoscarnificazione è figura emblematica di una lacerante dicotomia tra la vecchiaia, condizione esistenziale di perdita e di resa, e l’empito vitale che non vuole arrendersi e pure si annienta in una lotta titanica, autolesiva, nichilistica.
    In Céline, il nichilismo di una visione del mondo fatta di lacrime esangue- gli anni della fanciullezza, della iniziazione alla vita funestati dal disamore e da una crescita prematura, forzata e segnata dal disincanto, nel suo romanzo più bello-“Morte a credito”- e più rappresentativo di una dimensione umana non a misura d’uomo, il protagonista Ferdinand inizia il suo ‘viaggio al termine della notte’ con la consapevolezza della vanità del tutto. Una chiaroveggenza di come la giovinezza sia assediata dalla vecchiaia e dalla fine sin dalla nascita.
    Questo sentire in perdita, quasi per una legge del contrappasso prende forma nella sua opera di una scrittura iperbolica, espansa, aggrovigliata e barocca.
    Hemingway e Céline sono come due facce speculari di un sentimento del tempo- non solo il tempo soggettivo o quello esterno, del fuori, ma un tempo categoria kantiana- insidiato dalla finitezza e dall’insignificanza.

  73. Ho letto Hemingway quando ero ancora ragazzo: Il vecchio e il mare e Addio alle armi. Ricordo di più il primo romanzo (Il vecchio e il mare) credo anche per la trasposizione cinematografica che ne è stata fatta e per l’interpretazione unica di Spencer Tracy. Ho rivisto il film recentemente in TV e allora tanti ricordi sono affiorati alla mia mente. Il vecchio e il mare è un romanzo( e un film) di coraggio, di dedizione, di sacrificio, di grande umanità. E’ la metafora di un certo modo di intendere la vita che non può essere piagnistei, sciagure, pessimismo, ma grande coraggio, stoicismo, nonostante tutto, orgoglio personale. Lo stile letterario di Hemingway mi ha sempre attratto. scarno, crudo, deciso. Credo che rileggerò Hemingway e le sue opere.
    Francesco Miranda

  74. Tra Hemingway e Céline, scelgo entrambi. Entrambi mi hanno dato tanto, sebbene la loro scrittura e il loro modo di raccontare siano diversi.
    Sono accomunati da questa ricorrenza, dal fatto di aver lasciato questo mondo a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Sarà così anche per il centenario della morte.
    Secondo me dall’altra parte se la staranno ridendo un mondo.

  75. Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis-Ferdinand Auguste Destouches, nasce a Courbevoie, nei sobborghi di Parigi, il 27 maggio 1894.
    È figlio di un impiegato di assicurazioni e la madre ha un negozio di porcellane e merletti. Louis-Ferdinand avrà un ricordo negativo dell’infanzia e non perdonerà mai il padre per le numerose percosse subite. La madre era una donna senza carattere che non riusciva a bloccare questi abusi sul figlio. Di questa triste infanzia, le uniche figure positive sono la nonna materna, Céline, da cui l’autore trarrà il suo famoso pseudonimo, e lo zio Eduard sempre gentile e prodigo di consigli verso il futuro scrittore.

    Dopo aver frequentato le scuole di base, viene mandato dai genitori a fare l’apprendista nella bottega di un orefice. Dopo alcune esperienze negative nel settore, il padre decide di mandarlo all’estero a studiare le lingue, e seguono due soggiorni di alcuni mesi in Inghilterra e Germania.

  76. Particolare il luogo dove Céline trascorre l’infanzia, il Passage Choiseul. L’autore nomina spesso questo luogo della giovinezza e più volte lo descrive come luogo angusto, come una sorta di prigione. I passages possono essere tutt’oggi ammirati a Parigi, ma non rappresentano degnamente quello che erano all’epoca di Céline. Alla fine dell’Ottocento ed inizi del Novecento, i passages erano via parigine porticate tra due edifici, strette e poco luminose dove le famiglie vivevano in locali che svolgevano la doppia funzione di negozi/abitazione. Infatti al piano di sotto si svolgeva l’attività commerciale, ed a quello di sopra la normale vita familiare. In quell’epoca erano state montate le prime lampade a gas, che emanavano il loro ben noto odore di combustione, odore che era mischiato nella penombra a quello dell’urina.

  77. Nel 1912, appena diciottenne, il giovane Céline si arruola volontario nell’esercito francese dove viene aggregato al “12e régiment de cuirassiers” a Rambouillet (l’episodio è straordinariamente descritto in Casse-Pipe 1949).

    Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale, Céline vi prende parte con valore come volontario ed ottiene diversi riconoscimenti. Il 27 ottobre 1914 nel corso di una missione rischiosa (per la quale si era offerto volontario) nel settore di Poelkapelle (Fiandre Occidentali), resta ferito al braccio destro (e non alla testa come vuole la leggenda). Per tale episodio viene decorato con la Croce di guerra con una stella di argento e si guadagna la copertina dell’Illustré National.

    Nel 1915, dopo aver a lungo vagato negli ospedali, ottiene il congedo e viene riformato per invalidità al 70%.

    Assegnato presso l’ufficio visti del consolato generale francese di Londra, frequenta gli ambienti del music-hall e della prostituzione dove incontra la sua prima moglie (dalla quale si separa dopo pochi mesi).

    Sarà proprio questa guerra che apre gli occhi a Céline su quanto sia delicata ed impotente la vita umana. La guerra, oltre a segni fisici, gli lascerà anche segni mentali; soffrirà d’insonnia per il resto della sua vita e le sue orecchie non si libereranno mai di alcuni fischi. L’angoscia su quello che è l’esistenza non lo lascerà mai più.

    Così racconta in una lettera a casa la sua esperienza dei primi combattimenti sul Lys e di Ypres:
    « Da tre giorni i morti sono rimpiazzati continuamente dai vivi al punto che si formano dei monticelli che vengono bruciati e che in certi posti si può attraversare la Mosa a guado sui corpi tedeschi di quelli che cercano di passare. »

  78. Ottenuto il congedo nel 1916 firma un contratto con la Compagnie Francaise Shanga Oubangui per dirigere una piantagione di cacao in Camerun. Dopo nove mesi, spossato dalla malaria, torna in patria e trova impiego presso una piccola rivista di divulgazione scientifica (esperienza descritta in Mort à Crédit). Nel 1918 si iscrive alla facoltà di medicina di Rennes, laureandosi nel 1924. La sua tesi di laurea costituisce un’opera molto importante, in grado di trascendere la freddezza delle argomentazioni mediche per romanzare l’esperienza del medico Semmelweis, colui che introdusse il metodo dell’asepsi nella pratica ospedaliera.

    Dal 1924 al 1928 lavora per la Società delle Nazioni che lo invia a Ginevra, Liverpool, poi in Africa, negli Stati Uniti, in Canada e a Cuba. In questi spostamenti è spesso medico di bordo. Durante questi viaggi Céline affina la sua cultura e si rende conto che: “Il viaggio (sia fisico che mentale) è l’unica cosa che conta, tutto il resto è delusione e fatica”. In questo periodo svilupperà la sua convinzione sull’inaridimento dell’uomo moderno. Rientrato in Francia nel 1928, si stabilisce a Montmartre dove svolge la professione di medico dei poveri, quasi gratuitamente. Durante le interminabili notti insonni scriverà Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit).

    È proprio da questa sua attività di medico dei poveri, i quali non sono capaci di pagarlo, che Céline si accorge che la stessa povertà è una malattia, tremenda e senza cura. Continuando a visitare senza farsi pagare finirà per ammalarsi egli stesso di quella malattia.

    Quella di Céline è una lotta contro un mondo che sogna soltanto il potere ed il progresso. Il mondo che è diventato una malattia cronica. La morte sembra l’unica cosa veramente coerente. La scrittura stessa è un modo di sconfiggere la morte. Morte e ironia sono le uniche cose che fanno intravedere una speranza di guarigione dalla malattia della vita moderna. Ottenibile solo se l’uomo saprà tornare ad essere un individuo ben distinto dal resto del gregge, capace di scappare da quella piattezza e da quel grigiore dove è stato relegato.

  79. « negli anni Trenta, Céline vantava (forse più di ogni altro) un bel curriculum di antisemita, ma dopo il ’40 andò oltre imboccando un razzismo scientifico, quale a suo avviso neppure i nazisti osavano sperare… Non si può non continuare a chiederci come mai uno scrittore di quella forza e di quella novità si sia lasciato trascinare da uno spirito più che polemico, predicatore di morte e di rovine. »

    (Carlo Bo)

    L’antisemitismo di Céline traspare da alcuni suoi scritti ed è esplicitamente illustrato in tre pamphlet sulla questione: Bagatelles pour un massacre (1937), L’École des cadavres (1938) e Les Beaux draps (1941). Ne L’école des cadavres denunciava la rovina della Francia a causa degli ebrei e dei capitalisti, e invocava una nuova alleanza con la Germania hitleriana al fine di preparare lo scontro a ultimo sangue tra stati ariani e democrazie occidentali giudaizzate (Inghilterra e Stati Uniti) e bolscevismo. Inoltre Céline reclamava una rigenerazione razziale della Francia, che avrebbe dovuto depurarsi dalle influenze meticce e mediterranee del Sud agganciandosi al Nord Europa.

    Nonostante queste idee, Céline non fu mai organico al regime collaborazionista di Vichy e alla Germania. Le sue posizioni nichiliste, nelle quali evocava il dissolvimento di vinti e vincitori, avevano un sapore troppo amaro per potere essere gradite ai gerarchi.

    Céline non ricavò grandi vantaggi dalle sue opinioni. Nel dopoguerra ebbe a giustificarsi sostenendo che aveva sempre parlato nell’interesse della patria, e che non era mai stato sul libro paga di giornali o movimenti filo-nazisti (al contrario di altri “collaborazionisti”).
    « Ci si accanisce a volermi considerare un massacratore di ebrei. Io sono un preservatore accanito di francesi e ariani, e contemporaneamente, del resto, di ebrei… Ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine. »

    (Louis-Ferdinand Céline)

    Non è un caso che l’antiebraismo di Céline maturi a partire dal 1934. In quell’anno Céline va negli Stati Uniti in cerca dell’amata Elizabeth Craig, trovandola in California sposata con un ebreo (nei libelli antisemiti un tema ricorrente è quello delle donne “ariane” sedotte dagli ebrei).

    Così il Presidente francese Nicolas Sarkozy, di origine ebraiche per ramo materno, ha detto dello scrittore:
    « Non tutti quelli che, come me, leggono Céline sono antisemiti, così come non sempre chi legge Proust è omosessuale. »

    (Nicolas Sarkozy)

    È comunque doveroso ricordare come nei primi lavori, specialmente in Mort à crédit, Céline ironizza più volte con l’antisemitismo: ad esempio quando il padre nervoso se la prendeva con tutti, ebrei, massoni, bolscevichi, capitalisti…, viene descritto in maniera grottesca e ridicola. E il suo primo romanzo, Voyage au bout de la nuit, appena pubblicato fu accusato di essere filocomunista, e nel clima antisovietico del tempo Céline fu costretto a difendersi e a rettificare con un apposito pamphlet (Mea culpa). Da allora in poi Céline ha sempre dichiarato a gran voce il suo patriottismo e il suo legame alla nazione, più o meno nella stessa maniera del suo alter ego Bardamu nel Voyage: quando all’ospedale militare scopre che un vecchio soldato che non fa altro che gridare “Viva la Francia!” viene trattato meglio degli altri pazienti, inizia anch’egli a gridare “Viva la Francia” ad ogni momento. E finché i rapporti diplomatici tra Germania e resto dell’Europa non precipitarono, l’antisemitismo era diffusissimo tra tutte le classi sociali di tutte le nazioni europee (l’affare Dreyfus accadde pochi decenni prima, nel 1894, anno di nascita di Céline). Non a caso i primi pamphlet di Céline a tema patriottico e antisemita ebbero un ottimo successo di pubblico e un discreto riscontro economico, generando aspre polemiche che portarono al ritiro dal commercio delle suddette opere: nel 1939 infatti, Denoel e Céline sono denunciati per diffamazione e condannati. Le vendite dei libri sono proibite. “Les Beaux Draps” uscirà nel 1941 in tiratura limitata e “protetto” dagli ambienti collaborazionisti francesi: del resto i tedeschi occupavano la zona settentrionale della stessa Francia, mentre il sud era governato dal governo collaborazionista di Vichy (tra l’altro, in Bagatelle per un massacro e in La scuola dei cadaveri, Céline critica duramente il massone Petain che porterà la Francia alla guerra, alla guerra “ebrea”).

    Come moltissimi suoi alter-ego, non ha mai dato troppa importanza alle parole e alle teorie (i grandi ideali sono “i nostri piccoli istinti vestiti di paroloni”), e non si è mai sentito responsabile delle scelte degli altri. Questo “opportunismo”, però, non sembra nascere da egoismo e disprezzo per gli altri (e la sua vita, soprattutto professionale, lo testimonia), quanto piuttosto dalla profonda consapevolezza della propria impotenza di fronte a processi storici, sociali, culturali, che procederebbero indisturbati a prescindere da ciò che un singolo uomo possa fare per contrastarli o per assecondarli.

  80. Nel 1944, con la liberazione della Francia da parte degli eserciti alleati, Céline attraversa a piedi il territorio francese giungendo fino a Sigmaringen, ove i Tedeschi avevano fatto confluire i membri del governo collaborazionista di Vichy. Nel 1945 finita la seconda guerra mondiale l’accusa di antisemitismo e collaborazionismo gli valsero l’esilio dalla Francia. Troverà alloggio in Danimarca dove resterà fino al 1951. Di questo periodo della vita del Dottore sappiamo solo quello che traspare dai tre romanzi che compongono la cosiddetta “Trilogia del Nord” (vale a dire “Da un castello all’altro”, “Nord” e “Rigodon”), oltre a quanto si può desumere dalle poche lettere che Céline scriveva agli amici, sotto pseudonimo. Céline, che in “Rigodon” descrive la Danimarca come l’agognata terra promessa, è costretto a ricredersi sin dai primi giorni: appena arrivato a Copenaghen, aveva telegrafato a Parigi per sapere notizie di sua madre. La risposta di un parente gli annuncia che ella è morta e lui deve considerarsi responsabile di quella morte. Durante i primi mesi in Danimarca, da marzo a dicembre 1945, Céline e la moglie Lili vissero in clandestinità nell’appartamento di un’amica danese allora assente. Venne comunque notata la loro presenza e il 17 dicembre 1945 i coniugi Destouches vennero arrestati da poliziotti in borghese. Céline, credendo si trattasse di assassini, si diede alla fuga sui tetti, salvo essere catturato e rinchiuso in prigione nel carcere Vestre Faengsel per quattordici mesi. La segregazione in cella, l’obbligo di restar seduto tutto il giorno, lo scorbuto e la pellagra dovuti all’alimentazione insufficiente devastano il fisico dello scrittore, già provato dall’esperienza di Sigmaringen. Nel febbraio del 1947 Céline ottiene la libertà provvisoria ed è ricoverato al Rigshospitalet di Copenaghen. Quattro mesi dopo viene liberato e va a vivere con la moglie in una soffitta della Kronprinsessegade. Il periodo del suo soggiorno danese che va dall’estate del 1948 all’estate del 1950 lo passò A Korsoer, in una capanna sulle rive del Baltico, di proprietà dell’avvocato di Céline. La capanna non ha gas, elettricità, acqua. Ma quel che più pesa a Céline è la solitudine. Il 1950, che vede la condanna di Cèline da parte del Tribunale di Parigi e la travagliata operazione di Lili a Copenaghen, segna il momento forse più doloroso del suo esilio danese. Nel 1951, l’amnistia e la guarigione di Lili porranno fine al periodo più buio di questa esperienza. Il ritorno in Francia non è tuttavia privo di difficoltà: tutti gli scrittori di sinistra, su tutti Jean-Paul Sartre, chiederanno che sia ignorato e dimenticato da qualsiasi salotto letterario o centro culturale francese. Sartre in particolare lo additò come l’emblema del collaborazionista nel saggio “Portrait de l’antisémite” (Ritratto dell’antisemita). Nel 1948 Céline replicò a “Tartre” (com’egli definiva Sartre) con l’articolo “A l’agité du bocal” (“All’agitato della brocca” espressione gergale che significa “Al tizio in stato di confusione mentale”). Del resto l’amnistia del 1951 lo liberava dal pericolo di essere incarcerato, gli permetteva di tornare in Francia, ma lo condannava (per “indegnità nazionale”) alla confisca di tutti i beni in suo possesso e di quelli futuri, costringendolo a vivere con i pochi soldi della pensione di ex-combattente.

    La diffusione delle opere di Céline soffrì inizialmente a causa dell’evoluzione antisemita e filonazista del loro autore; Céline era spesso trascurato dai libri di testo in tutti i paesi europei, Italia inclusa. Il suo nuovo editore, Gaston Gallimard, subentrato ad Albert Denoel, che era stato assassinato, riesce tuttavia a sconvolgere le carte, grazie all’abilità di Roger Nimier. Il lancio del nuovo romanzo di Céline, “Da un castello all’altro”, nel giugno del 1957, è dato da una serie di scandali, che agitarono sia gli ambienti di destra che quelli di sinistra. Prima una intervista all’Express del 14 giugno realizzata da Madeleine Chapsal, poi un’altra intervista, concessa ad Albert Parinaud e apparsa il 19 giugno, riaprirono un dibattito sullo scrittore francese che si protrasse fino a settembre.

  81. Nel 1951, tornato in Francia dopo gli anni d’esilio in Danimarca, il Dottor Destouches acquistò una casa a Meudon, un piccolo centro urbano a circa 10 km da Parigi. La casa da lui scelta si trovava su una collinetta dalla quale si dominava l’intera capitale. Céline aveva fatto piazzare la sua scrivania proprio davanti ad una finestra dalla quale si dominava il grande centro parigino. Continuò fino alla fine la sua attività di medico, anche se poche erano le persone che accettavano di farsi curare da lui. Da quella casa in dieci anni non uscì più di venti volte. Oltre alla fedele moglie, unici amici di Céline erano i numerosi animali di cui si era circondato.

    Gli anni di Meudon sono gli anni dell’emarginazione sociale e culturale, ma la vena creativa non venne meno pubblicando Féerie pour une autre fois I (1952) e di Féerie pour une autre fois II detto anche Normance (1954). Sono poi gli anni della cosiddetta “trilogia tedesca” con D’un château l’autre (1957), Nord (1960) e Rigodon (1961, pubblicato postumo). I suoi libri non si ristampano, e quando iniziano ed essere ristampati non si vendono. Unica consolazione per Céline è la pubblicazione nella Biblioteca della Pléiade dei suoi primi due romanzi, con la prefazione di Henri Mondor.

    Di quando in quando riceve un giornalista con il quale dimostra la nausea per l’ingratitudine dei suoi compatrioti e per lamentarsi dei suoi persecutori che gli hanno causato danni morali ed economici. Pur non avendo subito la condanna capitale come è toccato ad altri celebri uomini di cultura che hanno collaborato con il maresciallo Pétain (come Brasillach) egli soffrì e visse come un condannato.

    Si apparta con Lucette nella sua casa zeppa di libri e cianfrusaglie, circondato da cani e gatti e in compagnia del pappagallo Toto spesso ritratto con lui. Si veste come un barbone con un paio di vecchi pantaloni sformati e tenuti su da una corda, maglioni consunti ed infilati l’uno sull’altro, la barba incolta.

    Il 29 giugno 1961 comunicò all’editore di aver terminato il romanzo Rigodon, il 1º luglio 1961 si spense nell’indifferenza uno dei più grandi scrittori del ‘900, colui che ha saputo raccogliere nelle sue opere, talvolte precorrendoli, tutti i temi portanti del “secolo della violenza”.

  82. Céline credette fino alla fine di venire sepolto al Père Lachaise, nella cappella di famiglia. La moglie, ben sapendo che il popolo francese si sarebbe opposto, lo fece invece seppellire nel cimitero di Meudon.

    La tomba di Céline è una tomba semplicissima, una pietra sulla quale oltre a nome e date sono incise una croce in alto a sinistra e un veliero a tre alberi al centro. Il veliero rappresenta perfettamente l’amore per il viaggio che nutriva il dottore.

  83. Ho finito. Sono stata più stringata che con Hemingway. A chi devo mandare la parcella? 🙂

  84. Caro Massi,
    mi è sempre piaciuta moltissimo questa frase di Hemingway:” Gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade”…
    Credo che sia profondamente vera.
    Chi scrive deve farlo perchè vuole ribaltare con la parola la realtà, perchè deve avere già fatto profonda esperienza dell’ingiustizia.
    Lo dico proprio da addetta al settore giustizia…
    La vita, e la parola, e i libri, vengono su da processi mancati, saltati, sbagliati e riabilitano, concedono appello, ricostituiscono aule e tribunali.
    I libri sono la seconda possibilità di avere giustizia.
    E non perchè debbano necessariamente aspirare a un verdetto, a una risposta.
    Ma proprio perchè costringono a farsi, a porsi domande diverse. A celebrare udienze ribaltate, a scardinare le accuse, a tradurle in difese, oppure a smascherare il falso e attinìgere al vero.
    Hemingway era l’uomo più giusto per fare tutto questo.
    Non subiva regole, non smerciava apparenze, si vestiva di verità e di spudoratezza.
    Aveva coraggio.
    E il coraggio è dei puri, dei forti o degli impuri che non hanno paura di sapersi guardare allo specchio.
    Quindi grazie per questo post che mi consente di ricordare una delle frasi che più hanno inciso nella mia formazione giuridica e letteraria.
    La frase, anzi, che forse concilia entrambe le dimensioni, e le apparenta di un unico sguardo.
    Ciao, socio, dormi bene
    Simo

  85. mai riuscito a digerire Céline. grandi dosi di Hemingway, invece: romanzi, racconti e tutto il resto.
    “Il vecchio e il mare” è un capolavoro di rara bellezza. Premio Nobel per la letteratura strameritato.

  86. Ho apprezzato entrambi gli scrittori considerati in questo post. Due grandi della letteratura, anche se Celine anche oggi paga il prezzo dell’immagine tutt’altro che felice che si “conquisto’ ” in vita.

  87. Concordo con molti di voi. Stiamo parlando di due scrittori che, in maniera diversa, hanno rivoluzionato il modo di scrivere e di raccontare storie. Non sarebbe male, questa estate, riprendere in mano i loro libri. E’ quel che conto di fare.
    Ciao a tutti.

  88. Confesso la mia colpevole mancanza… Céline non l’ho mai letto, forse fuorviata dai pregiudizi sulla sua biografia. Mi riprometto di colmare questa lacuna. Ho letto diverse cose del Céline uomo e delle polemiche sulla sua connivenza col nazismo o quantomeno sul suo antisemitismo.
    Credo che questa potrebbe essere l’occasione per riflettere su quanto la biografia di uno scrittore influisca sulla percezione che si ha della sua scrittura.
    Hemingway mi è più familiare anche dal punto di vista cinematografico…
    Di lui ho letto diversi racconti, “Addio alle armi” e “Per chi suona la campana” e mi ha sempre colpita la familiarità quasi ereditaria, geneticamente acquisita e trasmessa, del suicidio nella storia che lo ha preceduto e seguito. Il padre e per ultima l’attrice Mariel, bella e davvero brava anche se non molto conosciuta.

  89. grazie, simo. bella citazione. io di hemingway ne preferisco un’altra, ovvero: “la prima stesura è merda”. conosco tanti sedicenti scrittori che si vantano di non dover mai rileggere né correggere nè editare la prima versione di uno scritto qualsiasi. insomma “buona la prima, anzi, perfetta”. beati loro

  90. 1. Che rapporti avete con le opere di Ernest Hemingway?
    Buono. Anche se non ho letto tutti i libri dell’autore americani. Lo apprezzo molto pur non considerandolo il mio preferito.

  91. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    Direi “Addio alle armi”, seguito da “Il vecchio e il mare”.

  92. 3. E l’opera di Hemingway che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    “Il vecchio e il mare”. E’ il libro più famoso, che gli ha fatto conquistare il Nobel.

  93. 4. Preferite l’Hemingway romanziere o l’Hemingway autore di racconti?
    Non ho preferenze. E’ uno di quegli autori che rende bene sia nel racconto lungo (romanzo) che nel racconto breve.

  94. 5. Tra le varie “citazione” di (o su) Hemingway di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Scelgo questa citazione: “La giusta maniera di fare, lo stile, non è un concetto vano. È semplicemente il modo di fare ciò che deve essere fatto. Che poi il modo giusto, a cosa compiuta, risulti anche bello, è un fatto accidentale”.
    (da un’intervista sul Times, 13 dicembre 1954)

  95. 6. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Hemingway ha lasciato nella letteratura mondiale?
    Alta e importante. E’ ancora uno degli autori cult!

  96. Su Céline taglio corto. Come molti dei commentatori ritengo di essere stato influenzato dalla sua biografia, per cui non ho letto nulla di lui. E’ una pecca, lo so. Prima o poi conto di recuperare.
    Cari saluti a tutti.

  97. Caro Massimo, cari letteratitudiani, non mi è difficile rispondere a queste domande, per quanto riguarda Hemingway, perché trattasi di uno dei miei scrittori preferiti. Procedo con ordine, allora!

  98. 1. Che rapporti avete con le opere di Ernest Hemingway?
    Ottimo. Ho letto tutto. L’ho scoperto con “Avere o non avere” e da allora non l’ho più lasciato. Recentemente ho letto “Sotto il crinale” e gli altri racconti relativi alla Guerra di Spagna.

  99. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    “Il vecchio e il mare”. Seguito subito dopo da “Per chi suona la campana”. Tra i racconti, ne ricordo uno in particolare: “L’ultimo paesaggio vero”.

  100. 4. Preferite l’Hemingway romanziere o l’Hemingway autore di racconti?
    Indifferente. La capacità di scrittura e di descrizione di Hemingway è notevole e si adatta ad entrambi i generi.

  101. 5. Tra le varie “citazione” di (o su) Hemingway di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    “Scrivi di ciò che sai”: credo sia una massima che possa essere interpretata al di là della scrittura.

  102. Ancora saluti e ringraziamenti a: Amelia Corsi, Francesco Miranda, Donata, Simona Lo Iacono (ciao, socia!), Enrico Gregori, Maria Lucia Riccioli, Riccardo Dirame, Leo, Luigi Grisolia, Marco Vinci, Gianni.

  103. Secondo me non si possono capire Hemingway e Celine senza il filo conduttore della filosofia di quegli anni in cui Sartre parlava di noia,di Marcuse…. e la vita era attraversata dal pensiero di persone che vivevano da “esteta” ossia mettevano tra l’uomo e la vita la camera oscura della realtà.
    Per me tra i tanti romanzi di H. che ho letto parecchi anni fa , quando tra i giovani della contestazione lo scrittore H. era un simbolo, mi è rimasto vivo nella memoria THE OLD MANEND THE SEA perchè nonostante si sostenga che esso esprima l’amore dello scrittore per il mare, c’è in esso tutta l’angoscia e la sofferenza dell’uomo di quei tempi e di tutti i tempi, in lotta con i pescecani, di coloro cioè che battono l’uomo ai fianchi fino a sfiancarlo e possono anche consegnarsi al contestatore ma senza portargli nulla di bello e di buono e di utile.
    E’ la lotta immane con la natura ma qui la natura più che il pesce è l’uomo stesso, è il se stessi. L’uomo in una società lenta ed implacabile, astuta ed egoista alla fine si vede un fallito. Non gli resta che la speranza che qualcuno klo ami. Ma chi può amarlo se tutti si dibattono tra la noia e la inutile fatica? Forse soltanto il cuore di un bambino che non conosce le perversioni del potere può ancora amare. Il bello di questo lungo racconto è la gestione del tempo da parte dello scrittore, la lentezza delle ore che accompagnano la fatica del credere che l’uomo tenace potrà farcela. Speriamo!

  104. Caro Massimo un saluto e grazie sempre degli spunti interessanti. Ho apprezzato moltissimo il contributo di Anna Vasta, eccezionale per la sua chiarezza, per la sua profondità…

    Carissima Anna, hai reso magnificamente bene le differenze tra i due autori, e mi piace quando li definisci due “facce” della stessa medaglia, due ritratti speculari di un determinato tempo storico e letterario.

    Grazie ancora, continuerò a seguire con piacere i contributi che giungeranno. Un saluto caro a Massimo, Anna e tutti gli amici presenti…

  105. Massimo, dimenticavo, ancora complimenti per i tuoi racconti.

    Carissimo, so bene che non è questa la sede, ma voglio cogliere lo spunto per farti ancora sentire i miei complimenti e il mio affetto. Sono molto belli. Ci sentiamo presto, un abbraccio…

  106. Credo anch’io che la produzione artistica di Celine sia stata influenzata negativamente dalla sua biografia. Ritengo invece importante leggere le opere di un autore senza subire influenze di sorta. In tal senso Celine va senz’altro rivalutato.

  107. Per quando riguarda Hemingway sono d’accordo con chi lo ha indicato come uno dei più grandi del Novecento. Ha rivoluzionato il modo di scrivere puntando all’essenzialità come valore aggiunto della narrazione.

  108. Devo essere sincero. Conosco i due autori solo di nome, non ho mai letto nulla di loro. Forse e’ giunto il momento di colmare questa lacuna. A casa ho ‘Addio alle armi’ e ‘Viaggio al termine della notte’. Penso che comincerò da questi. Grazie per lo stimolo.

  109. Come non essere d’accordo con Anna Vasta? Confrontare autori di livello superiore non può equivalere a chiedersi chi sia il maggiore. Deve servire a mettere in luce le loro diverse caratteristiche, le loro individuali personalità artistiche.

  110. Sto rileggendo ‘il vecchio e il mare’. Una vera delizia. Grazie a voi per avermi fatto tornare la voglia 🙂

  111. Due autori diversi, Celine e Hemingway. Sono accomunati solo da questa strana ricorrenza, o forse dal fatto che entrambi, in maniera, diversa hanno innovato il modo di fare letteratura. Ovviamente ciascuno di noi prediligerà l’uno o l’altro per questioni di gusto personale. Ed e’ giusto così. Ma questo non impedisce di considerare i due autori nell’Olimpo dei grandi scrittori del Novecento.

  112. Fiesta di Hemingway fu un libro che mi lasciò uno strano sapore, una specie di sbronza che ti fa vedere la vita con colori molto accesi, rosa fucsia, verde pisello, blu elettrico . . .

    @ Massimo …………………………………………………………………………………………………….ti ho visto sabato scorso sulla piazza di taormina porta messina, eri talmente intento a parlare al telefono che non ti saresti accorto neppure di una svedese nuda a passeggio . . . ciao

  113. Ciao Massimo… io, dopo aver divorato i racconti, ho letto in due giorni il tuo libro sull’e-book. Peccato non poter chiedere ad Hemingway o a Céline che cosa ne pensassero…
    Avete letto LA REPUBBLICA di oggi? Bella pagina su Céline…

  114. Caro Massimo, il 21 maggio mentre eravamo all’Hotel Livingston e presentavi il Tuo “Viaggio all’alba del millennio” insieme a Simona, contrapposi questo titolo al “Viaggio al termine della notte” di CèLINE: fu come una intuizione ed ero pronto a manifestarla ove aveste dato la parola agli invitati, avevo infatti preso nota.
    Come non contrapporre un titolo fortemente propositivo e carico di speranza nel futuro con l’altro in cui si narra dell’abisso dell’uomo, dellle sue abissali meschinità della sua perdizione: all’inizio ero titubante nell’iniziare la lettura di un testo di cui conoscevo solo il profilo negativo dell’autore: noto e dichiarato fascista-reazionario. Bastava questo, però avevo letto di un noto scrittore sicuramente progressista che lo poneva come suo testo preferito: da li la curiosità ed il risultato di una grande soddisfazione alla fine della lettura per l’esperienza sicuramente positiva: testo da consigliare.
    Mi incuriosisce il fatto di sapere se anche Tu quando hai scelto il titolo hai pensato anche vagamente a Cèline: non Ti sto ponendo una domanda, ove però fosse così… non mi dispiacerebbe e per me avrebbe anche un significato.
    Un caro saluto da Salvo

  115. Celine ed Hemingway esprimono il novecento; la parola violenta che si trasforma in eccidio il primo e l’informazione con tutta la sua potenza il secondo. Di Celine ho letto Il viaggio al termine di una notte (mattonata nell’insieme come scrive Enrico) le cui prime cento pagine, però, rendono pià di ogni altro testo il senso della guerra, dell’uomo che ammazza. Di Hemingway ho letto quasi tutto ma quel che più ricordo è Il vecchio e il mare: una pausa “naturale” che ben esprime la dura lotta per la vita.
    Entrambi hanno ispirato cinema e televisione; vi ricordate “Salvate il soldato Ryan”? I primi venti minuti del film di Spielberg, sembrano uscire dalle pagine di Celine. Mentre, il lungometraggio in bianco e nero di J. Sturges, con le immagini fisse sulla stessa inquadratura è l’omaggio più straodinario ad una macchina da ripresa ridotta, ferma e messa a fuoco sulla narrazione, proprio come in uno sceneggiato tv delle origini.
    ———————–
    Saluti freschi a tutti 🙂 (ma fa caldissimo pure qui)

  116. Concordo con la Ravasio, ma ritengo doveroso precisare che, secondo me, mentre Celine è stato a lungo sottovalutato, probabilmente per motivi politici, Hemingway è stato sopravvalutato e l’unica sua opera che ammiro è Il vecchio e il mare.

  117. @ Luigi La Rosa
    Caro Luigi, grazie per il tuo commento. E grazie per le belle parole che hai speso sui miei racconti.
    Ti auguro una buona Parigi. 🙂
    Mi raccomando… tienici aggiornati.

  118. @ Rossella
    Cara Rossella, quando mi hai visto al telefono a Taormina stavo parlando proprio con una svedese nuda a passeggio. 🙂
    Scherzi a parte. Perché non mi hai fermato? Ti avrei salutata con piacere.
    In ogni caso mi trovavo a Taormina per il “Taobuk” (il festival del libro). Ero lì per salutare gli organizzatori e per assistere al bell’incontro con Isabella Bossi Fedrigotti.

  119. Ne approfitto, cara Rossella, per invitare te e tutti gli amici che potranno venire, a partecipare all’incontro di lunedì 11 luglio, che si terrà al “Taobuk” (Festival internazionale del libro di Taormina), alle h. 20.30, nel bellissimo scenario della Villa Comunale di Taormina.
    Troverete il sottoscritto e Simona Lo Iacono. Vi parleremo dei nuovi nostri libri. Il mio (“Viaggio all’alba del millennio”, pubblicato da Perdisa Pop) e quello di Simona (“Stasera Anna dorme presto”, pubblicato da Cavallo di Ferro). Vi accoglieremo con un video, uno spettacolo musicale collegato ai nostri testi (a cura del maestro Biagio Lo Cascio) e l’interpretazione della brava attrice Rina Rossitto
    .
    Vi aspettiamo!

  120. @ Maria Lucia
    Cara Mari, grazie per la tua amicizia e per il tuo sostegno. Sì, la pagina di Repubblica che citi è davvero bella.
    Chissà se si può recuperare on line!

  121. @ Salvatore Sardo
    Caro Salvo,
    grazie per il tuo commento. Per quanto riguarda il titolo dei miei racconti, ti posso dire che è stato ispirato dal noto libro di Abraham Yehoshua: “Viaggio alla fine del millennio”, pubblicato da Einaudi.
    Hai ragione. Céline dovrebbe essere letto… come Hemingway, del resto.

  122. Anche io concordo con Montagnoli; Hemingway è mito, Celine, invece solo una moda. Quando fu pubblicato(uscì con clamore in Israele), nei circuiti letterari non si parlavo d’altro, anche da noi, citatissimo in ogni dibattito e commento…ma credo che davvero pochi l’abbiano davvero letto. Ma non fa nulla, è impossibile leggere tutto ed è persino immorale non staccare fra un libro e l’altro. Per cui ben vengano le nostre 4 chiacchiere nel web. Saluti a tutti e soprattutto a Massimo 🙂

  123. Sto rileggendo in questi giorni “I testamenti traditi” di Milan Kundera, il secondo dei suoi magnifici saggi sull’ “arte del romanzo” (che è proprio il titolo del primo), e mi sono imbattuto in questo passo che riguarda proprio Céline (anche se tratta più direttamente “Il Processo” di Kafka):
    “..Ma il conformismo dell’opinione pubblica è una forza che si è eretta a tribunale e il tribunale non può perdere tempo con i pensieri, il suo compito è quello di istruire processi. E a mano a mano che fra giudici e accusati si scava l’abisso del tempo, le grandi esperienze vengono giudicate sempre più spesso da esperienze inferiori: così gli errori di Céline vengono giudicati da persone immature, incapaci di vedere come proprio in virtù di quegli errori i romanzi di Céline contengano un sapere esistenziale che, a saperlo intendere, potrebbe renderli più adulti. Perchè in questo consiste il potere della cultura: nel riscattare l’orrore transustanziandolo in saggezza esistenziale. Se lo spirito del processo riuscirà ad annientare la cultura di questo secolo, dietro di noi rimarrà soltanto un ricordo di atrocità cantato da un coro di voci bianche.”
    Ecco perchè per leggere Cèline credo sia indispensabile separare la sua biografia, il suo pensiero da ciò che scrive nei suoi romanzi. E non perchè scritti “malgrado” la sua persona e la sua biografia, ma tenendo presente che possano essere quello che sono proprio in virtù di esse.
    Il romanzo per essere opera d’arte non è un’opera filosofica, un pamphlet, un mezzo di propagazione di un’idea etica, politica, o religiosa che sia, ma semplicemente un mezzo per accrescere la conoscenza: conoscenza dell’animo umano, dei tempi, dei modi di possibile espressione. Come tale non può giudicarsi con i metri della morale, né di quella dei tempi in cui lo si scrive e tantomeno di quella in cui lo si legge. Perché l’arte (in quanto conoscenza) è completamente al di fuori della morale e dell’etica.
    La condanna di un’opera (o il suo disinteresse per essa, che è la stessa cosa) a causa di una condanna (morale o civile) di chi l’ha scritta non ha alcun senso.
    E’ questo “Il Processo” (non istruito da una magistratura, da uno Stato, da una burocrazia, ma proprio dal pensiero comune cui tutti – ed alla fine proprio anche l’imputato stesso – tendono a uniformarsi), capace di annientare l’imputato, la persona, anche senza una sentenza o semplicemente un capo d’accusa, che Kafka rappresenta in modo magistrale in uno dei massimi capolavori della letteratura.

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