Ottobre 4, 2024

111 thoughts on “OMAGGIO A ANDREA ZANZOTTO

  1. Cari amici di Letteratitudine,
    oggi, 18 ottobre 2011, ci ha lasciati un gigante della letteratura: il poeta Andrea Zanzotto.
    Era nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre del 1921 (dunque, aveva da poco compiuti i novant’anni). Era ricoverato da alcuni giorni all’ospedale di Conegliano (soffriva da tempo di problemi di natura cardiaca e respiratoria).

  2. A lui, e alla sua memoria, questo umile “spazio”.
    Un piccolo omaggio, ma anche un’occasione per far conoscere Zanzotto a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

  3. Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Andrea Zanzotto e la sua produzione letteraria.
    Vi ringrazio in anticipo!

  4. Sul post ho inserito l’articolo pubblicato su La Stampa.it… ma anche un bellissimo video: “Ritratti – Andrea Zanzotto” (di Marco Paolini, regia di Carlo Mazzacurati, 2009).
    Vi invito a guardarlo.
    Non ve ne pentirete!

  5. Per adesso mi fermo qui, ma – ripeto – chiedo a tutti coloro che ne hanno la possibilità di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche, link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Andrea Zanzotto e la sua produzione letteraria.
    Grazie di cuore!

  6. Come appassionato di poesia e consapevole di quel che sia la perdita di una poeta, non potevo non lasciare un mio breve commento. Se n’è andato anche lui, non può più scrivere versi, ma per lui parlano le sue poesie, come questa, preceduta da una mia breve nota:

    Andrea Zanzotto, un poeta che accomuna una completa forma lirica, mai enfatica, a una sempre presente dolcezza elegiaca. E così il dramma si stempera, come il ricordo di un lontano dolore.

    Elegia Pasquale

    di Andrea Zanzotto

    Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
    con tutto il tuo pallore disperato,
    dov’è il crudo preludio del sole?
    e la rosa la vaga profezia?
    Dagli orti di marmo
    ecco l’agnello flagellato
    a brucare scarsa primavera
    e illumina i mali dei morti
    pasqua ventosa che i mali fa più acuti

    E se è vero che oppresso mi composero
    a questo tempo vuoto
    per l’esaltazione del domani,
    ho tanto desiderato
    questa ghirlanda di vento e di sale
    queste pendici che lenirono
    il mio corpo ferita di cristallo;
    ho consumato purissimo pane
    Discrete febbri screpolano la luce
    di tutte le pendici della pasqua,
    svenano il vino gelido dell’odio;
    è mia questa inquieta
    gerusalemme di residue nevi,
    il belletto s’accumula nelle
    stanze nelle gabbie spalancate
    dove grandi uccelli covarono
    colori d’uova e di rosei regali,

    e il cielo e il mondo è l’indegno sacrario
    dei propri lievi silenzi.

    Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
    le bocche non sono che sangue
    i cuori non sono che neve
    le mani sono immagini
    inferme della sera
    che miti vittime cela nel seno.

  7. Mi vien da chiedere: e ora chi rimane?
    metto due link, il primo porta al sito caffènews, ed è stato scritto oggi.
    Il secondo riguarda la lettera che Napolitano ha scritto ad Andrea Zanzotto l’8 ottobre, giusto dieci giorni fa, in occasione del novantesimo compleanno del Poeta.
    http://www.caffenews.it/avanguardie/28197/arrivederci-poeta/
    http://archiviostorico.corriere.it/2011/ottobre/11/Caro_Zanzotto_sua_voce_costante_co_9_111011037.shtml

    La lettera di Napolitano così conclude:
    “Continui, caro Zanzotto, a farci sentire questa sua limpida voce.”….
    E sono sicura che “la limpida voce” del Poeta non sarà la morte, a farla tacere.

    Guarderò il video domani, caro Massimo. E grazie per questo post.

    Milvia

  8. Anche io credo che si sia spento un grande poeta ma le voci dei poeti cantano per sempre attraverso i versi che ci hanno generosamente lasciato. Questa mi piace particolarmente:
    <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
    Esistere Psichicamente

    Da questa artificiosa terra-carne
    esili acuminati sensi
    e sussulti e silenzi,
    da questa bava di vicende
    – soli che urtarono fili di ciglia
    ariste appena sfrangiate pei colli –
    da questo lungo attimo
    inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
    da tutto questo che non fu
    primavera non luglio non autunno
    ma solo egro spiraglio
    ma solo psiche,
    da tutto questo che non è nulla
    ed è tutto ciò ch’io sono:
    tale la verità geme a se stessa,
    si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
    Chiarore acido che tessi
    i bruciori d’inferno
    degli atomi e il conato
    torbido d’alghe e vermi,
    chiarore-uovo
    che nel morente muco fai parole
    e amori.
    A.Zanzotto

  9. Ciao, non conosco le opere di Andrea Zanzotto, ma adesso comincerò a conoscerle. Partirò dal video. grazie per lo stimolo.

  10. Zanzotto lascia un vuoto incolmabile. Per fortuna rimangono i suoi versi, le sue opere. La sua Voce.

  11. GRANDE IMMENSO POETA!!!!! Non trovo altre parole per definirlo in questo momento di commozione e tristezza.Ho postato anche io un Omaggio, al Maestro, ad una delle VOCI più alte della POESIA del ‘900.
    Grazie Massimo, bellissimo il tuo Ritratto *

  12. Caro Massimo, non appena ho saputo della morte di Zanzotto ho riletto alcuni suoi racconti “Sull’altipiano”, un libro che mi è particolarmente caro. Quante cose riescono a vedere gli occhi dei poeti (anche quando scrivono prose)!

  13. @Claudio grazie mille, ad esempio io la prosa di Zanzotto non l’ho mai letta, potresti dirci qualcosa di più sulla raccolta di racconti che citi?
    Inoltre, mi piacerebbe sapere cosa provate quando leggete poesia al primo impatto, cosa vi colpisce di più- senza fare un’analisi approfondita intendo- i suoni, la musicalità del verso, la ricercatezza delle parole, le immagini evocate…? Personalmente trovo la poesia di Zanzotto molto concreta come se le parole ti restassero appiccicate sulla pelle con tutto ciò che evocano, le hai lì davanti nell’immediato come cosa vera palpitante, sensosa , che t’accompagna. Buona giornata a tutti.

  14. @ Francesca: grazie a te. Intanto mi correggo: il titolo esatto è “Sull’altopiano”, con la o. La prima edizione della raccolta è del 1964; ma Manni nel 2007 ne ha pubblicato un’edizione ampliata, affidata alle cure filologiche di Francesco Carbognin. Quest’ultima edizione integra il corpus di racconti e prose con un’appendice di pagine inedite giovanili.
    “Prosa che raggiunge la poesia”, scriveva Zanzotto per “La pietra lunare” di Landolfi. Niva Lorenzini, nell’introduzione, applica a ragione la stessa definizione alle prose di Zanzotto. Come dicevo, credo che lo sguardo attento del poeta (di un poeta come Zanzotto, poi) e la sua sensibilità sovracuta per la parola arricchiscano la materia narrativa (quando il poeta si piega a narrare) di sfumature ed echi, ma anche di discrezione e attenzione (il vero poeta non sovraccarica la pagina, la rende più densa).

  15. Ci hai lasciato in silenzio, quasi di nascosto, come se avessi avuto paura di disturbare. Tutto inutile perchè la tua poesia, i tuoi versi, continueranno a fare amorevolmente chiasso, e chi no’l xe d’acordo che el se neta da so buatha! (e chi non è d’accordo si pulisca dalla sua….) Addio e grazie caro ‘Barba zhucon’

  16. Ieri ero in macchina, Radio3 mi ha accompagnata con la voce recitante di Zanzotto. La sua poesia tanto cara alla vita, alla natura, alla parola, senza allontanarsi troppo dal suo paese veneto. Ho ascoltato le parole di riconoscenza di una sua ex-allieva, il più bell’omaggio che potesse ricevere.
    an ma

  17. Lo devo ammettere. Conoscevo Zanzotto piu’ per fama che per aver letto i suoi libri e le sue silloge. Anche per me questo omaggio diventa un’occasione per colmare questa lacuna.
    Grazie.

  18. Una richiesta. Con quale volume mi consigliereste di cominciare per conoscere Zanzotto? Con quale opera, cioè ?

  19. Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011) è stato un poeta italiano.
    Durante i primi due anni di vita, visse in un vicolo vicino a via Sartori, ma due anni dopo, nel 1922, la famiglia si trasferì nella contrada di Cal Santa, dove il padre aveva acquistato casa: saranno questi i luoghi più volte descritti dal poeta e la casa, come egli stesso scrive nell’Autoritratto del 1977, sarà, fin dall’inizio, il centro del suo mondo.

    Nel 1923 nacquero le due sorelle gemelle Angela e Marina e, nel 1924, Zanzotto iniziò a frequentare la scuola materna, gestita da suore che seguivano il metodo Montessori.

    Nel 1925 nacque la sorella Maria. Nel frattempo il padre, che aveva espresso apertamente le lodi di Giacomo Matteotti, venne accusato di antifascismo e, con l’andare del tempo, la sua opposizione al regime gli rese difficile ogni tipo di lavoro, tanto da decidere nel 1925 di rifugiarsi a Parigi e poi a Annœullin, nei pressi di Lilla, dove lavorò presso degli amici.
    Ritornò poi per un breve periodo in patria, ma nel 1926 fu costretto a ritornare in Francia, a Royan, dove rimase fino al dicembre dello stesso anno.

  20. Quando nel 1927 iniziò la scuola elementare, grazie alla maestra Marcellina Dalto, Zanzotto aveva già imparato a scrivere: fu così inserito nella seconda classe.
    Come racconta il poeta stesso nel suo Autoritratto, egli già sentiva il piacere della musicalità delle parole:
    “provavo qualcosa di infinitamente dolce ascoltando cantilene, filastrocche, strofette (anche quelle del “Corriere dei Piccoli”) non in quanto cantate, ma in quanto pronunciate o anche semplicemente dette, in relazione a un’armonia legata proprio al funzionamento stesso del linguaggio, al suo canto interno”.
    Nel 1928 il padre ottenne un impiego come insegnante presso una scuola in Cadore e decise di trasferirsi con la famiglia a Santo Stefano, dove Zanzotto avrebbe terminato la seconda classe. Alla fine dell’estate però Giovanni, resosi conto della sofferenza che il distacco dalla madre causava alla moglie, decise di far rientrare la famiglia a Pieve.

    Nel 1929 morì una delle sue sorelle, Marina, evento che rimase impresso, insieme ad altri episodi dolorosi, nella sua giovane mente.
    In quell’anno, infatti, il padre Giovanni si mise in luce con una chiara e decisa propaganda per il “No” al plebiscito: fu così costretto a prolungare il suo esilio, riuscendo comunque a lavorare alla decorazione della chiesa di Costalissoio.
    Zanzotto, che frequentava ormai la terza elementare, lo raggiunse durante il periodo delle vacanze estive, pur soffrendo per la nostalgia di casa.

    Nel 1930 nacque un altro fratello, Ettore. Intanto, la fuga di un cassiere con i fondi della società che garantiva il sostegno familiare a Giovanni, obbligò lo stesso, insieme ad altri garanti (si trattava di un’associazione tra mutilati di guerra che aveva preso la forma di una cooperativa di lavoro), a contrarre debiti imponendo all’intera famiglia notevoli ristrettezze economiche.

    In questo periodo Zanzotto si affezionò ancor più alla nonna paterna e alla zia Maria, la quale, come scriverà in “Uno sguardo dalla periferia”, gli faceva ascoltare “frammenti di latino maccheronico” e lo coinvolse nell’attività del teatrino delle suore, dove lei aveva funzione di drammaturgo, capocomico, regista e attrice.

    A scuola si dimostrava un alunno vivace e non sempre disciplinato, ricevendo spesso i rimproveri del padre. Un punto debole in cui il giovinetto risultava piuttosto impacciato era il disegno, arte perfezionata invece magistralmente dal padre, il quale insisté allora perché prendesse lezioni di musica, arte molto amata dagli abitanti di Pieve per la fama del famoso soprano conterraneo Toti Dal Monte, che verrà ricordato da Zanzotto all’inizio della sua opera Idioma.

  21. Terminata la scuola elementare nel 1931 come allievo esterno al Collegio Balbi-Valier, dopo l’esame pubblico a Vittorio Veneto, Zanzotto iniziò la scuola media, maturando intanto la decisione di studiare per le scuole magistrali, spinto soprattutto dalle precarie condizioni economiche familiari.

    Il padre Giovanni lavorava nel frattempo a Santo Stefano, ma nel 1932 fu costretto, causa la riduzione degli stipendi, a ritornare ad Annœullin dove rimase fino al novembre. Rientrò a Pieve nel 1933 e, anche se per lui rimase il divieto di insegnare, riuscì a dare un aiuto alla famiglia grazie ad un incarico presso la scuola media del collegio Balbi-Valier e a vari lavori occasionali.
    Rendendosi inoltre conto della sua grande responsabilità nei confronti della famiglia, evitò ogni scontro diretto con gli avversari politici.

    Per Zanzotto intanto, con il passaggio alle scuole magistrali che frequentò a Treviso facendo il pendolare, iniziarono anche i primi forti interessi letterari che cercherà di nutrire al momento consultando l’enciclopedia di Giacomo Prampolini Storia Universale della Letteratura.

    Risale al 1936 il suo primo amore e l’ispirazione dei primi versi che, con la complicità della nonna e delle zie, riuscì a pubblicare su un’antologia per la quale aveva versato un piccolo contributo.
    I versi non avevano ancora uno stile personale e risentivano dell’influenza pascoliana dato che un nipote di Giovanni Pascoli che lavorava nella banca locale, conoscendo la sua passione per la poesia, gli aveva regalato alcuni volumi del poeta in edizione originale.

  22. Nel 1937 morì di tifo la sorella Angela: al dolore per il grave lutto, che lo turbò profondamente, si aggiunse la fatica della pendolarità con Treviso, oltre alla stanchezza accumulata con l’intensificarsi dello studio, poiché, volendo rendere più brevi i tempi del diploma, si era presentato all’esame nell’ottobre precedente, portando tutte le materie del penultimo anno, riuscendo a superarlo con successo; aveva inoltre iniziato lo studio del greco, al fine di superare l’esame di ammissione al liceo classico.
    Si ripresentarono così con maggior forza episodi allergici e asmatici già apparsi in precedenza, che egli visse, insieme agli altri motivi di malessere, con un sentimento di esclusione e precarietà: “…credo che abbia male influito sulla mia infanzia e sulla mia adolescenza l’infiltrarsi progressivo in me di un’idea certo aberrante: quella dell’impossibilità di partecipare attivamente al gioco della vita in quanto io ne sarei stato presto escluso. Io soffrivo di varie forme di allergia e a quei tempi la diagnosi poteva essere abbastanza confusa, dubbia. L’asma, la pollinosi che mi tormentavano fin da piccolo erano talvolta interpretate come fatti che potevano aggravarsi, in teoria, anche a breve scadenza” (da Autoritratto).

    Conseguito il diploma magistrale, il direttore del collegio Balbi-Valler gli affidò alcuni scolari per ripetizioni, mentre ottenne dal parroco, monsignor Martin, duemila lire come “debito d’onore” per continuare gli studi.
    Zanzotto intanto superava l’esame di ammissione conseguendo la maturità classica come privatista al liceo Canova di Treviso.

  23. Nel 1939 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Padova, dove ebbe come insegnanti, tra gl’altri, Diego Valeri e il latinista Concetto Marchesi.

    Sotto la spinta di Valeri, approfondì la lettura di Baudelaire e scoprì Rimbaud, mentre, grazie a Luigi Stefanini, lesse per la prima volta Hölderlin, nella traduzione di Vincenzo Errante.
    Iniziò intanto ad apprendere la lingua tedesca giungendo così a leggere in lingua originale i grandi poeti della letteratura tedesca: Hölderlin, Goethe e Heine.

    Nel 1940 ottenne la sua prima supplenza a Valdobbiadene. Scoprì intanto che, all’interno del regime e soprattutto nelle associazioni giovanili, vi erano molti iscritti che agivano nella pratica in modo autonomo o in contrasto con esso, come venne a sapere dal suo amico e maestro Ettore Luccini, organizzatore culturale e docente al liceo classico, nonché legato all’ambiente padovano della rivista anticonformista Il Bo, alla quale Zanzotto collaborò; negli stessi anni intervenne anche sul foglio universitario trevigiano Signum (a cui collaboravano anche Luzi e Strehler), solo di facciata vicino al regime[2].

    Lo scoppio della seconda guerra mondiale fu accolto nel paese con grande costernazione, la crisi economica si fece maggiormente sentire e la sua famiglia fu costretta a vendere metà della casa di Cal Santa.

    Nel 1941 la supplenza a Valdobbiadene non gli fu rinnovata, ma riuscì ad ottenerne una a Treviso presso una scuola media come laureando.
    Presso il GUF di Treviso, all’interno del quale erano presenti personaggi che praticavano l’antifascismo, Zanzotto tenne, nel 1942, una “presentazione” di Montale dove interpretò il pessimismo dell’autore in chiave politica ed etica.

    Il 30 ottobre del 1942, con una tesi sull’opera di Grazia Deledda, Zanzotto si laureò in letteratura italiana avendo come relatore il professor Natale Busetto.

  24. Chiamato alla visita militare, venne dichiarato rivedibile per insufficienza toracica e per la forte asma allergica, rimase così esonerato alla chiamata alle armi della classe ’21 protagonista delle tragiche campagne in Russia (si veda CSIR e ARMIR) e in Grecia (si veda Guerra Greco-Italiana).
    Rifiutò in seguito di rispondere al reclutamento di volontari organizzati dal Fascio.

    Pubblicò nel n° 10 di Signum una prosa intitolata Adagio e risalgono a quell’anno i primi abbozzi di narrazione tra la prosa e il lirismo che formano il nucleo più antico del volume Sull’Altopiano, pubblicato in seguito nel 1964.

    Si profilava intanto la possibilità di pubblicare, nella collana di poesia che affiancava la rivista fiorentina Rivoluzione, inaugurata da Mario Tobino, una breve raccolta di scritti dell’autore ma, a causa degli eventi bellici, il periodico fu costretto a chiudere.

    Intanto ai primi di febbraio del 1943 Zanzotto ricevette la chiamata alle armi con la leva del ’22 e fu inviato ad Ascoli Piceno.
    Tra i libri che portò con sé ci sono i versi di Vittorio Sereni ed egli scriverà in Per Vittorio Sereni nel 1991:
    “Quando ancora non lo conoscevo e restavo quasi a bocca aperta, stordito dai rispecchiamenti, dalle fioriture, dal candore, dai misteri della sua Frontiera (e pensavo: ma allora lui ha già detto tutto, di me, di noi, proprio di questi giorni e attimi… ) mentre la leggevo portandola con me in treno sotto le armi”.
    Zanzotto non rimase molto tempo ad Ascoli perché, con l’avanzare della stagione, si era manifestata in tutta la sua virulenza l’allergia che lo costrinse all’Ospedale Militare di Chieti dove gli fu riscontrata una forte compromissione bronchiale con ectasia.
    Sospeso dall’addestramento come allievo ufficiale, venne inviato al deposito del 49º Fanteria di Ascoli e, non avendo terminato il periodo del CAR, in attesa di nuova visita, assegnato ai servizi non armati.

  25. Zanzotto partecipò alla Resistenza veneta nelle file di Giustizia e Libertà occupandosi della stampa e della propaganda del movimento. Nel 1946, terminato l’anno scolastico, decise di emigrare. Si recò in Svizzera ed in seguito in Francia per poi rientrare in Italia alla fine del 1947 quando sembravano riaperte le prospettive d’insegnamento. Negli anni dal ’47 al ’50 partecipò al Premio Libera Stampa di Lugano dove venne segnalato dalla giuria e dove ebbe modo di conoscere molti letterati e critici tra i quali Carlo Bo e Luciano Anceschi.
    Si dedicò inoltre alla preparazione di diverse prove di concorso e della laurea in filosofia. Completati gli esami necessari, al momento della tesi incentrata su Kafka, si fermò a causa dell’insufficiente conoscenza del tedesco.
    Ottiene l’abilitazione in italiano, latino, greco, storia e geografia e nell’anno scolastico 1949-’50 insegnò al Liceo Flaminio di Vittorio Veneto.

    Nel 1950 concorse al Premio San Babila per la sezione inediti: la giuria era composta da Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni e gli attribuirono il primo premio per un gruppo di poesie, composte tra il 1940 e il 1948, che sarà poi pubblicato nel 1951 con il titolo Dietro il paesaggio.

    Con un intervallo di soli tre anni escono nel 1954 Elegia e altri versi e nel 1957 Vocativo. Nel frattempo affiancò all’attività di insegnante e poeta quella di critico letterario, collaborando dal 1953 al 1957 a La Fiera Letteraria, e dal 1958 al 1965 a Comunità.

    Nel ’58 conobbe Marisa Michieli[3], che sposò nel 1959. Nello stesso anno vinceva il Premio Cino Del Duca con alcuni racconti e iniziando la riflessione sulla sua poesia con la pubblicazione di Una poesia ostinata a sperare. Suo padre morì il 4 maggio del 1960 e il 20 maggio nacque il suo primo figlio, che venne battezzato con il nome del nonno.

    Collaborò in quell’anno alla rivista Il Caffè che riuniva i migliori nomi del panorama letterario del momento, come Calvino, Ceronetti, Manganelli e Volponi.
    La rivista ospitò in quell’anno un suo scritto, Michaux, il buon combattente, che trattava dell’effetto delle droghe, argomento che, anche se ancora lontano dalla cronaca quotidiana, si stava affacciando nel dibattito culturale.

    Nel 1961 nacque il secondo figlio e, nello stesso anno, Zanzotto rinunciò ad un trasferimento che aveva già ottenuto come professore presso l’Università di Padova.
    Accettò pertanto di organizzare a Col San Martino, una frazione di Farra di Soligo, la scuola media inferiore dove svolse mansioni di preside e di insegnante.

  26. Nel 1962 Mondadori pubblicò il suo volume di versi IX Egloghe e sulla rivista Comunità apparve un articolo nel quale il poeta prendeva decisamente le distanze dai motivi che inserivano la raccolta in un’antologia, con il titolo I Novissimi, delle poesie di Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, sostenendo l’idea di una poesia intesa come esperienza “individuale”. L’articolo, tuttavia, non incrinò il suo rapporto con Luciano Anceschi, direttore della rivista Il Verri e principale promotore dell’antologia.

    Dal 1963 la sua presenza di critico su riviste e quotidiani si intensificò: scrisse per Questo e altro, L’Approdo letterario, Paragone, Nuovi Argomenti, Il Giorno, l’Avanti!, il Corriere della Sera, per il quale è stato collaboratore esterno fino a pochi anni or sono.

    Scrisse anche numerosi saggi critici, soprattutto su autori a lui contemporanei come (Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Vittorio Sereni).

    Nel 1964 incontrò ad Asolo il filosofo tedesco Ernst Bloch e ne rimase conquistato: veniva intanto pubblicato il suo primo libro di prose creative, Sull’altopiano.
    La giuria presieduta da Diego Valeri e composta, tra gli altri, da Carlo Bo, Carlo Betocchi e Giacomo Debenedetti gli assegnò in quello stesso anno il Premio Teramo per un racconto inedito.
    Sempre del ’64 è l’esperienza teatrale Il povero soldato, tratta da un montaggio di brani presi dal Ruzante.

    Nel 1966 tradusse per Mondadori dal francese Età d’uomo. Notti senza notte e alcuni giorni senza giorno di Michel Leiris.
    Intanto, con la conferenza di Jacques Lacan all’Istituto di cultura di Milano in occasione dell’uscita degli Écrits, si inaugurava anche in Italia il fortunato periodo dello strutturalismo e Zanzotto partecipava all’evento, insieme ai maggiori rappresentanti dell’arte e della cultura.

    In questo periodo iniziò a scrivere sull’Avanti! e partecipò a Milano alla presentazione del libro di Ottieri L’irrealtà quotidiana, che egli considerava una tra le più importanti opere del secondo Novecento.

    Risale al 1967 un suo viaggio a Praga dove partecipò con Sereni, Fortini e Giudici ad una cerimonia di presentazione di un’antologia della poesia italiana e riceve, insieme agli altri, una calorosa accoglienza.
    È di questo periodo il suo avvicinamento alle posizioni politiche di Fortini e dei Quaderni Piacentini di Piergiorgio Bellocchio.

  27. Nel 1968 uscì il volume in versi La beltà (tuttora considerata la raccolta fondamentale della sua opera) presentato a Roma da Pier Paolo Pasolini e a Milano da Franco Fortini, mentre il 1º giugno uscì sul Corriere della Sera la recensione scritta da Eugenio Montale.

    Nel 1969 pubblicò Gli sguardi, i fatti e Senhal, scritto subito dopo lo sbarco sulla luna effettuato dall’astronauta americano Neil Armstrong il 21 luglio, dimostrando ancora una volta quanto egli fosse attento al pulsargli della vita intorno, agli eventi e al loro concatenarsi.

    Nel 1970 fu finalista al Premio Firenze con Ted Hughes e Paul Celan, tradusse il Nietzsche di Georges Bataille e pubblicò con l’editore Vanni Scheiwiller un volumetto di quattordici liriche come omaggio agli amici intitolato A che valse?(Versi 1938-1942), fuori commercio e a tiratura limitata.
    Si appassionò in questo periodo alla lettura di Le geste et la parole dell’etnologo e paleontologo francese André Leroi-Gourhan che gli diede modo di riflettere sul linguaggio e l’espressione umana.

    Nella primavera del 1973 intraprese, con Augusto Murer, un viaggio in Romania, dove alcune sue poesie erano già state tradotte, ma fu costretto a rientrare in patria per l’aggravarsi delle condizioni di salute della madre.
    Zanzotto rientrò da Bucarest, attraverso l’Ungheria e la Jugoslavia, in treno per timore dell’aereo, che non utilizzò mai come mezzo di trasporto.
    Pochi giorni dopo il suo rientro la madre morì, lasciandolo enormemente addolorato. Ripreso comunque il suo lavoro di scrittore, tradusse La letteratura e il male di Bataille per l’editore Rizzoli e, sempre nel 1973, pubblicò un nuovo volume di versi, intitolato Pasque e l’antologia Poesie (1938-1972), a cura di Stefano Agosti.

    Nel 1974 il n. 8-9 di Studi novecenteschi dal titolo Dedicato a Zanzotto raccoglieva gli interventi di numerosi poeti e studiosi sulla sua opera.

    Nel 1975 e nel 1976 il poeta partecipò ai corsi estivi dell’Università di Urbino tenendo numerose conferenze e brevi seminari sulla letteratura contemporanea.
    Iniziava intanto la stesura dei sonetti che compongono la sezione Ipersonetto di Il Galateo in Bosco.

  28. Nell’estate del ’76 il poeta, per la segnalazione di Nico Naldini, iniziò a collaborare al Casanova di Fellini, da lui incontrato per la prima volta nel 1970 alla presentazione del film I clowns.
    Nello stesso anno viene pubblicata l’opera Filò che comprende la lettera che Zanzotto scrive al regista, dove dichiara le sue aspettative, i versi per il film Casanova, quelli sul dialetto e una lunga nota, oltre a cinque disegni di Fellini e alla trascrizione delle parti in dialetto dello studioso veneziano Tiziano Rizzo.

    Nel 1977 tradusse dal francese Il medico di campagna di Honoré de Balzac che venne pubblicato da Garzanti e nel medesimo anno vinceva il Premio internazionale Etna-Taormina per la sua produzione letteraria.

    Nel dicembre 1978, viene pubblicato nella collana Lo Specchio, comprendente quasi tutta la sua opera fino a quel momento, Il Galateo in Bosco con prefazione di Gianfranco Contini. Costituisce il primo volume di una trilogia che riceverà il Premio Viareggio nel 1979.

    Nel 1980 scrisse alcuni dialoghi e stralci di sceneggiatura del film La città delle donne di Fellini, che incontrò più volte in Veneto con la moglie Giulietta Masina, che sarebbe divenuta la madrina del Premio Comisso di Treviso.

    Nel 1983 scrisse i Cori per il film di Fellini E la nave va, pubblicati da Longanesi insieme alla sceneggiatura del film.
    Nel frattempo usciva Fosfeni, secondo libro della trilogia che gli fa ottenere il Premio Librex Montale.


    In questo periodo si acutizzò l’insonnia di cui soffriva da tempo, tanto da costringerlo a farsi ricoverare.
    Iniziò a tenere un diario sul quale annotare gli avvenimenti in modo sistematico, quasi una terapia per la sua nevrosi.

    Nel periodo dall’aprile al maggio 1984 provò a scrivere una serie di haiku in un finto petèl inglese che sottotitolò For a season, i mesi più scuri della depressione.

    Nella tarda primavera, segno di un miglioramento, compì un viaggio a Parigi per recarsi ad una serata in suo onore al Théatre National de Chãillot.

  29. Nel 1986 uscì, presso Mondadori, il terzo volume della trilogia intitolato Idioma e la casa editrice Arcane 17 di Nantes stampò la traduzione francese della trilogia “Le Galaté au Bois”.

    Il 1987 fu l’anno della completa riabilitazione fisica.
    Il n. 37-38 della rivista L’immaginazione fu dedicato al poeta con numerosi interventi di nomi famosi, tra i quali, Fortini, Prete, Rigoni Stern e in primavera uscì il primo numero della rivista Vocativo in gran parte dedicato a Zanzotto.
    Nello stesso anno ricevette il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei.

    Nell’estate del 1988 si recò a Berlino per un incontro internazionale di poesia e nel 1990 uscì, tradotta in lingua tedesca, una nuova selezione delle sue poesie con il titolo Lorna, Kleinod der Hügel (Lorna, gemma delle colline), a cura di Donatella Capaldi, e la raccolta Racconti e prose.

    Nel 1991 uscì presso Mondadori il primo volume degli interventi critici del poeta usciti su riviste e giornali a partire dai primi anni cinquanta con il titolo di Fantasie e avvicinamento.

    Il 1992 fu l’anno dei congressi e delle celebrazioni con numerose richieste di intervento su giornali e riviste.

    Nel 1993 Zanzotto si recò a Münster, in Germania, per ricevere il premio per la poesia europea e nel 1994 uscì, sempre presso Mondadori, la seconda raccolta di scritti critici con il titolo Aure e disincanti nel Novecento letterario.

  30. Nel 1995 l’Università di Trento gli ha attribuito la laurea honoris causa.

    Nel 1996, dieci anni dopo la pubblicazione di Idioma, è stato pubblicato dalla casa editrice Donzelli Poesia un piccolo volume intitolato Meteo con venti disegni di Giosetta Fioroni e una sua Nota finale in cui il poeta scrive:
    Questa silloge vuol essere soltanto uno specimen di lavori in corso, che hanno un’estensione molto più ampia. Si tratta quasi sempre di “incerti frammenti”, risalenti a tutto il periodo successivo e in parte contemporaneo a Idioma (1986). Non tutti sono datati e comunque sono qui organizzati provvisoriamente per temi che sfumano gli uni negli altri o in lacune, e non secondo una sequenza temporale precisa, ma forse “meteorologica.
    Nel 2000 riceve il Premio Bagutta per le Poesie e prose scelte.

    Del 2001 è il libro composito intitolato Sovrimpressioni, che si concentra intorno al tema della distruzione del paesaggio.

    Ha scritto anche alcune storie per bambini in lingua veneta, come La storia dello Zio Tonto, libera elaborazione dal folclore trevigiano e La storia del Barba Zhucon con immagini di Marco Nereo Rotelli che ha avuto la seconda ristampa nel gennaio del 2004.

    Il 3 aprile 2005 vede le stampe un nuovo libro dello scrittore dal titolo Colloqui con Nino nel quale Zanzotto, con l’aiuto della moglie Marisa, ha messo insieme un magnifico florilegio che vuol essere esplorazione antropologica, ricerca sentimentale e viaggio nel passato.

    Nel febbraio 2009 esce In questo progresso scorsoio: una conversazione col giornalista coneglianese Marzio Breda, nella quale Zanzotto esprime l’angoscia delle riflessioni sul tempo presente e il suo lucido pensiero di ottantasettenne.

    Nello stesso anno, in occasione del suo ottantottesimo compleanno, il poeta pubblica Conglomerati, la nuova raccolta poetica di scritti composti tra 2000 e 2009, edita nella collana Lo Specchio della Mondadori; in questo libro Zanzotto si confronta ancora con una realtà in continuo mutamento culturale e antropologico, secondo la poetica dell’intervista con Breda.

    In occasione del suo novantesimo compleanno (con molti festeggiamenti, dalla Regione Veneto all’Università Cattolica di Milano, la vigilia ella scomparsa) sono usciti molti libri, tra cui due con inediti: Ascoltando dal prato. Divagazioni e ricordi, a cura di Giovanna Ioli da Interlinea e il numero 46 della rivista “Autografio” dal titolo I novanta di zZanzotto. Studi, incontri, lettere, immagini.

    Il poeta muore la mattina del 18 ottobre 2011 presso l’ospedale di Conegliano a causa di complicazioni respiratorie, una settimana dopo aver compiuto 90 anni.

  31. Un altro poeta ci lascia.
    Uno di quelli che aveva fatto la guerra, uno di quelli che non aveva perso il contatto con la terra.
    Uno che quando diceva cielo stelle montagne sapeva quello che diceva, non scriveva parole tanto per riempire le righe di una poesia.
    Uno di quelli per cui la lingua è importante.
    Uno di quelli per cui il dialetto è lingua madre. Mater.
    Uno che a novant’anni era curioso, che voleva approfondire e capire perché i neutrini – forse – viaggiano più veloci della luce.
    Ora lo sa.

  32. Ogni mattina, un neutrino si sveglia e sa che dovrà correre più veloce della luce.
    Ogni mattina, la luce si sveglia e sa che dovrà arrivare al Gran Sasso prima del neutrino.
    Ogni mattina, non importa che tu sia neutrino o luce, ti toccherà ascoltare le minchiate della Gelmini che si è laureata a 732 km da casa e non riesce ad uscire dal tunnel…
    Scusatemi per questo nettissimo off-topic, ma Maria Teresa me l’ha tirato proprio.
    Però magari avrebbe tirato un sorriso anche a Zanzotto!

  33. Non si può non aprire una pagina sulla poesia per ricordare un grande poeta della parola, del verso, del sentimento, dell’impegno a dire, a comunicare il pensiero e a intesserlo col nostro.
    Quando muore un poeta senti nel profondo che qualcosa muore dentro di te. Muore il dialogo con una voce che sentivi anche tua, perché la poesia ha la prerogativa di saper essere individuale e collettiva.
    È morto un poeta, riflesso di un’Italia che muore nel disimpegno verso la cultura.
    Non ho avuto modo di conoscere Zanzotto, ma alla notizia della sua morte ho avvertito un vuoto profondo e un silenzio incombente.
    A Zanzotto, poeta, espressione di vita e di pensiero, regalo la mia emozione e la sua poesia:
    Prima persona
    -Io- in tremiti continui, -io – disperso
    e presente: mai giunge
    l’ora tua,
    mai suona il cielo del tuo vero nascere.
    Ma tu scaturisci per lenti
    Boschi, per lucidi abissi,
    per soli aperti come vive ventose,
    tu sempre umiliato lambisci
    indomito incrini
    l’essere macilento
    o erompente in ustioni.
    Sul vetro
    Eternamente oscuro
    Sfugge pasqua dagli scossi capelli
    Primavera dimora e svanisce.
    Tu ansito costretto e interrotto
    Ora, ora e sempre,
    insaziabile e smorto raggiungermi.
    Ora e sempre? Ma se da un bene
    L’ombra, se di un’idea
    Solo mi tocchi, o vortice a cui corrono
    I conati malcerti, il fioco
    Sospingermi del cuore. E là nel vetro
    Pasqua e maggio e il rissoso lume affondano
    E l’infinito verde delle piogge.
    Col motore sobbalza
    La strada e il fango, cresce
    L’orgasmo, io cresco io cado.
    Di te vivrò fin che distratto ecceda
    Il tuo nume sul mio
    Già estinto significato,
    fin che in altri terrori tu rigermini
    in altre vanificazioni.
    Andrea Zanzotto- Da Vocativo

    L’io del poeta si interroga per tutto il testo, in una indagine dialetticamente sospesa tra affanno, sentimento, paura di perdita e spiragli di una possibile autoidentificazione.

    Se fossi ancora in aula, oggi come una volta “Silenzio”
    L’invito agli studenti sarebbe quello di meditare sui versi12-15 e in particolare sull’ossimoro “ primavera dimora e svanisce”, indicativo ieri come oggi della precarietà e fuggevolezza di tempo e stagioni, all’interno di una generale e angosciosa instabilità di tutto ciò che ci circonda.

    Anna Lanzetta
    annalanzetta.blogspot.com

  34. Se la fede, la calma d’uno sguardo
    come un nimbo, se spazi di serene
    ore domando, mentre qui m’attardo
    sul crinale che i passi miei sostiene,

    se deprecando vado le catene
    e il sortilegio annoso e il filtro e il dardo
    onde per entro le piú occulte vene
    in opposti tormenti agghiaccio et ardo,

    i vostri intimi fuochi e l’acque folli
    di fervori e di geli avviso, o colli
    in sí gran parte specchi a me conformi.

    Ah, domata qual voi l’agra natura,
    pari alla vostra il ciel mi dia ventura
    e in armonie pur io possa compormi.
    —–
    Non ci sono altre parole da aggiungere all’altezza di questa poesia che fiocina il cuore e solleva, piaga di stimmate e al tempo stesso, esulta.
    Un saluto al cielo, dove Zanzotto già volava senza ali.

  35. Ho fatto in tempo a fargli gli auguri, al telefono, per i suoi novantanni. Alla moglie e ai figli questo affettuoso ricordo:

    ………………..Andrea Zanzotto, poeta dalla A alla ZETA………………..

    enzo golino

  36. omaggio a
    Andrea Zanzotto

    Tuo libero uso
    del senso della parola
    e nella parola
    spezzata
    dissolta
    vanificata
    comporsi lucido il pensiero
    e luminescente ora rimane

    Dillo, potendo dire
    e potendo io capire
    il tempo natura stagioni
    morire e nascere in autunno
    perché

  37. La vita e le opere di Andrea Zanzotto sono state illustrate ed elencate dettagliatamente più sopra. Forse non ci sarà più nulla di significativo da aggiungere.
    Ho assistito a diversi suoi interventi a Vicenza, dove veniva spesso, “portato” dal celebre poeta vicentino Fernando Bandini, e a Padova.
    Era indubbiamente il più grande, come critici e lettori hanno messo in evidenza.
    A me piacciono molto questi versi emblemati, intitolati “Orizzonti”, tratti da “Intervista”.
    Li riporto come omaggio al Maestro, personale e caro.
    Stanco di non allinearmi
    verso l’orizzontalità – e con odio
    dell’irrequietezza dei colli,
    stanco forse di avervi insultati
    accettando che diveniste fantasmi,
    o genitori:
    che pressoché dissonate, che state fuori
    da ogni contaminazione o sospetto
    o lecca-lecca di tempo,
    fuori dagli effetti speciali e dai metabolismi erratici
    del Tutto. Non avete bisogno
    del mio sostegno, del mio
    ricordo.
    Non esiste bisogno né critica del bisogno.
    Siamo, anche se io stento, fatti di orizzonte,
    disadattati a questo tipo di mondo.
    Ma in linea di massima convinti
    (costituendo chissà quale frase)
    di essere,
    di meritarci di essere, un bell’essere,
    di avere in pugno, chissà come,
    ogni carenza e rastrematura
    infida e terrificante
    dell’essere.

  38. Mauretta Capuano

    Aveva appena festeggiato i 90 anni con gli auguri del presidente Giorgio Napolitano, Andrea Zanzotto, uno degli ultimi grandi poeti del secondo Novecento, di cui notò per primo i versi Giuseppe Ungaretti e che Federico Fellini chiamò per il suo Casanova.
    Morto oggi all’ospedale di Conegliano, nel suo Veneto che non ha mai abbandonato e per il quale non voleva la secessione, Zanzotto era nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre del 1921. Da sempre impegnato in difesa dell’ambiente, ha trovato nei boschi, nei cieli, nel paesaggio della campagna veneta la sua ispirazione fin dall’infanzia, quando bambino andava con il padre pittore, antifascista, a contemplare il paesaggio che poi ritrovava a casa, nei suoi quadri. E proprio versi dedicati al padre ha voluto leggere il giorno del suo compleanno in cui è rimasto «toccato» dalle parole dell’«amico» Napolitano che ha ricordato i «comuni trascorsi studenteschi a Padova negli anni della guerra e dell’antifascismo». «La ringrazio – ha scritto il Capo dello Stato nella lettera per Zanzotto ora raccolta nel volume ‘Nessun consuntivo’ (Ed. Antiga) – per questa severità appassionata dei suoi messaggi, per l’amore che rivolge alla natura ferita così come alla gente del suo Veneto».
    «Dal paesaggio – aveva più volte detto Zanzotto – ricevevo una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perché la distruzione del paesaggio è stata per me un lutto terribile».
    Così come è stata una grande sofferenza veder crescere l’anima leghista. Recentemente il poeta non aveva risparmiato parole dure al Carroccio dicendo di provare «repulsione» ogni volta che sentiva la Lega parlare dell’Unità d’Italia. E il giorno del suo novantesimo compleanno, festeggiato al Caffè Pedrocchi di Padova, con Zanzotto collegato in video-conferenza perché ormai non usciva più di casa, non è mancata la protesta di Roberto Marcato, vice presidente della Provincia di Padova, per non essere stato invitato al tavolo dei relatori «perché appartengo a un partito che parla di secessione». A Padova, la città in cui si era laureato in Lettere nel 1942 con fra gli insegnanti Diego Valeri, e di cui aveva la cittadinanza onoraria, Zanzotto era molto legato.
    Ma, il poeta del paesaggio e delle angosce e ossessioni del nostro tempo, aveva più volte spiegato di scrivere versi «per attraversare quest’epoca rotta e maledetta». E a novant’anni aveva comunque parole di speranza per i giovani: «C’è sempre una possibilità positiva. Come la scoperta scientifica dei neutrini». Più del suo compleanno, aveva detto, «mi interessa la scoperta dei neutrini che superano la velocità della luce. È una specie di miracolo che mi attira e vorrei approfondire, per quanto possibile».
    Autore prolifico di raccolte in versi ma anche di testi in prosa come «Sull’Altopiano», Zanzotto ha usato il dialetto in un quarto della sua opera. Nel 1951 uscì la sua prima raccolta «Dietro il paesaggio» con cui vinse il Premio San Babila per gli inediti che aveva in giuria Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli e Vittorio Sereni. Ma è nel 1968 che venne pubblicata la sua raccolta, tuttora considerata la fondamentale della sua opera, «La beltà», presentata a Roma da Pier Paolo Pasolini, a Milano da Franco Fortini e recensita sul Corriere della sera da Eugenio Montale.
    Poeta di ispirazione neoclassica, lontano da «I Novissimi» Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, Zanzotto ha raccontato il silenzio della natura e la violenza della storia in tutti i suoi versi raccolti da Mondadori per i suoi novant’anni in «Tutte le poesie» (Oscar) – da «Dietro il paesaggio» ai recenti «Meteo» e «Conglomerati» – con introduzione di Stefano Dal Bianco, tra i massimi esegeti del poeta, autore fra l’altro di libri come «Elegia ed altri versi» e «Fosfeni». Nel ’99 era uscito il Meridiano «Poesie e Prose». La collaborazione dal 1976 con Fellini e con la moglie Giulietta Masina, che è stata madrina del Premio Comisso di Treviso, è ben documentato nel libro «Il cinema brucia e illumina», a cura di Luciano De Giusti, appena uscito per Marsilio che comprende una lettera inedita di Fellini e una preziosa conversazione sul cinema di Zanzotto.

    19/10/2011

  39. il ricordo

    Andrea Zanzotto se n’è andato. Aveva compiuto novantanni il dieci di questo mese, una bella età per chiunque, ma non per il Poeta che, a inizio anni 1970 aveva inaugurato per tutti il petel, i primi vocalizzi di chi viene alla luce, amesso di poter contare da quella volta, complice una metaforica anagrafe, Andrea sarebbe stato adesso quarantenne, con tante risorse eccellenti di innovazioni linguistiche, per piccoli e grandi.
    Ripercorro con rinnovate emozioni luoghi e giorni tra Acireale, Pieve di Soligo e Treviso. E poi ancora tra Roma e Milano con il Maestro mio “padrino letterario” il 18 novembre 1974 nell’Aula magna dell’Ateneo Veneto, a Venezia, con Diego Valeri, Fernando Bandini, Stefano Agosti, Giovanni Giudici e tanti, tanti altri amici. Rivivo gli anni delle “Settimane culturali acesi” con Andrea Zanzotto che incontrava gli studenti del “Classico” e che restava mio ospite per una settimana, e con lui Giacinto Spagnoletti, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Bàrberi Squarotti, maestri e amici in un gioioso aleggiare di ricordi che non saranno ossidati dal passare impietoso delle stagioni o dal capovolgersi delle temperature letterarie locali e nazionali e universali. Gioioso aleggiare perché il tempo ferma le atmosfere del vissuto e le anima di quella stessa aura del momento che non si ripeterà.
    Forse per questo si dice che i grandi poeti non muoiono, perché la parte mortale del poeta non condensa i privilegi che sono esclusivi della poesia. Adesso Zanzotto è una cara grande ombra che giganteggia “Dietro il paesaggio” (per dirla con la prima delle sue più significative opere) della civiltà letteraria europea che si riverbera in tutti gli arcobaleni dei cieli universali e tra gli alberi più esposti ai passanti, tra quanti ce ne sono nel Giardino delle Esperidi.
    Mario Grasso

    19/10/2011

  40. Nel 1979, il grande poeta Andrea Zanzotto, superando gli altri concorrenti, vinse il Premio Letterario Viareggio Rèpaci per la sezione poesia con l’opera “ Il Galateo in Bosco” (1978). Trascrivo per Voi, un breve stralcio dell’avvenimento narrato dalla segretaria storica del premio Gabriella Sobrino, tratto dal suo volume ” Storie del Premio Viareggio” – Mauro Pagliai Editore:- “Quell’anno, diversamente dal solito, iniziammo dalla poesia dove restarono a contendersi la vittoria Claudio Angelini, Fernando Bandini, Piero Bigonciari,Renzo Ricchi, Andrea Zanzotto.
    E “Il Galateo in bosco! di Zanzotto”, che fin dall’inizio aveva raccolto il maggior numero di consensi ottenne il premio all’unanimità.
    Il suo relatore fu Giovanni Raboni che nel sostenere la candidatura, lo definì, Poeta fra i più significativi in Italia e in Europa. Zanzotto a suo parere avrebbe meritato il Viareggio fin dal tempo de “ La Beltà” 1968, una raccolta che molti avevano giudicato la più innovativa del Novecento” ******** Inoltre, Zanzotto , per la profondità, la valenza e l’uso personalissimo di elementi linguistici venne definito da Montale, nel “ Diario postumo, come suo erede. Lo straordinario poeta di Pieve di Soligo, fu anche un premiato del PEN, ciò avvenne nella mitica piazzetta di Compiano in provincia di Parma, quando, con la sua penna affilata, mise a tappeto avversari come la Mazzantini e con 379 voti vinse la XII° Edizione del Premio PEN Club Italiano con il volume poetico “Sovraimpressioni” – Mondadori. Il tema ricorrente e centrale del libro, è il degrado del proprio territorio. In tale lieta occasione egli affermò di scrivere versi “ per attraversare un’epoca rotta e accidentata.

  41. La poesia di Andrea Zanzotto, uno dei più significativi poeti dell’attuale momento letterario italiano, inizia da suggestioni di carattere ermetico per caratterizzarsi via via in una accentuata ricerca formale che, come dice il critico Mengaldo, non ha niente da invidiare alle esperienze dell’avanguardia.

    Lo sperimentalismo di Zanzotto è però molto diverso da quello della più recente neoavanguardia per la sofferta problematica culturale legata alla percezione delle contraddizioni alienanti della nuova realtà industriale e consumistica.

    I termini fondamentali della scrittura poetica di Zanzotto sono il soggetto, che continuamente muta il suo principio di consistenza, il linguaggio, come dimensione in cui convivono il fondamento dell’essere e quelle dei codici del sapere e della storia e il mondo, che a momenti alterni accoglie il microcosmo dell’habitat privato e le forme più alienanti della realtà contemporanea.

  42. “Ho raccolto la foglia di colore/e la ciliegia dimenticata/sul colle meno visibile;/infanzia raccolta acino ad acino,/infanzia sapido racimolo,/la formica ha consumato il gusto/mutato della ciliegia/l’acqua movenza timida/inizia radici” (da Dietro il paesaggio)


    Negli anni cinquanta uscirono le prime raccolte di Zanzotto e subito, da “Dietro il paesaggio” (1951) a “Elegia e altri versi” (1954) a “Vocativo” (1957), risultò chiara la tendenza del poeta a considerare il linguaggio una dimensione totale , l’unica in grado di garantire all’individuo e al mondo una vera consistenza e una reale esistenza.

  43. In “Dietro il Paesaggio” e in “Elegia” il poeta sembra voler verificare le risorse del codice linguistico apportato dalla recente letteratura europea. Le due raccolte, sostanziate da notevoli contributi surrealisti ed ermetici si collocano sul piano di una specie di letterarietà assoluta, dove la forma sembra tendere ad una decisa indipendenza dai contenuti, in grado di far risaltare la verità separata dal linguaggio.

    Approfondimento
    “…dove il fiume sussulta/e tenta col vano meandro/liberarsi dal melmoso autunno,/più vicino al tuo volto/al tuo corpo embrione aspro del sole:/là mi riscuoto, là rovescio la vita/mia,sonno infetto di terra,/là sei, vera pietra e vera terra/che arresta e stringe al muro i paesaggi;/e la fuliggine delle alluvioni/invola contro monte il mezzodì” (da Elegia e altri versi)

  44. Ma il rapporto di questa verità con la verità del soggetto, che è poi l’intero punto dolente dell’intera opera di Zanzotto, inizia già in “Vocativo” a sfaldarsi mettendo in risalto i turbamenti della struttura sintattica, le vertiginose astrazioni concettuali e la complessità sempre maggiore nell’espressione che spesso si risolve con un rifiuto, a volte drastico, della logica del discorso.

    In queste raccolte il mondo è rappresentato dal paesaggio di Pieve di Soligo dove è nato Zanzotto che dichiarerà in un intervento del 1981:”Nei miei primi libri io avevo addirittura cancellato la presenza umana, per una forma di “fastidio” causato dagli eventi storici; volevo solo parlare di paesaggi, ritornare a una natura in cui l’uomo non avesse operato. Era un riflesso psicologico alle devastazioni della guerra”. In esse l’io si identifica con i suoi primari paesaggi, Soligo, i boschi di Lorna, “il freddo Montello” come meccanismo proiettivo della psiche sul luogo:”tutto il mondo è l’orto mio/dove raccolgo a sera/dolci bacche accecate e caute acque” e frequentemente determina, soprattutto in “Vocativo”, una “ritirata” del soggetto (“non – uomo mi depongo”) che sommerso nel silenzio (“Nel silenzio ricado”) e assimilato al paesaggio (“Chiuso io giaccio/nel regno della rovere e del faggio”) mantiene comunque la volontà di comunicare (“per voi le labbra/mie dall’assenza/debolmente si muovono?”).

  45. Approfondimento
    “O grumi verdi, ostile/spessore d’erompenti pieghe, / terra _ passato di tomba -/donde la mia / lingua disperando si districa/ e vacilla; vacilla se dal dorso / attonito del monte/smuove le sue lebbrose fronti il cielo./Ah paesaggio mio fervido, accorato / amoroso paesaggio.Vedo felci/avanzate e sciupate nelle nere/correnti, e tra vaganti / inferni, gorghi atomici, il pudore d’ortica/e il vino e il dolce lavoro di Dolle / deprimere il suo lume, / e la vite inclinarsi disossata/sventurata sulle case, e l’uva/chiudere il vento e il giorno”. (da Vocativo)

  46. La poesia indipendente dalla langue
    Nello stesso anno in cui Zanzotto prendeva le distanze dalla poetica e dalla pratica espressiva dei Novissimi, allora ai vertici della Neoavanguardia, esce la raccolta “IX Ecloghe” (1962) che per gran parte della critica rappresenta una funzione “traghettante” nella sua poesia.
    In essa si delinea con sufficiente chiarezza la maniera maggiore del poeta, quella in cui la poesia viene eletta come luogo di scavo nella materia linguistica per poterne isolare gli elementi di “autenticità” antropologica e psicoanalitica indipendente dall’alienazione sociale che si manifesta con la langue.

    La funzione primaria del significante
    Nelle Ecloghe la tradizione letteraria diventa oggetto di una tensione metalinguistica alla quale si associano i più disparati materiali verbali privi della minima gerarchia tra i vari registri linguistici, dove l’equivalenza semantica fa emergere la funzione primaria del significante.

    Il congedo dalla purezza verbale
    In Ecloghe il vocabolario della scrittura del poeta si apre maggiormente e, al monolinguismo delle raccolte precedenti, si instaura un repertorio lessicale che accoglie termini diversi, dal tecnologico a quello scientifico, dal gergo a quello quotidiano.
    Contemporaneamente a questa apertura verbale Zanzotto adotta uno schema iperletterario come quello del genere virgiliano (idillico-pastorale) dell’ecloga e alla parola della realtà affianca quella della tradizione poetica, ricca di arcaismi, dantismi, citazioni greche e latine, come a volersi congedare, in modo ironico, da qualsiasi mito di purezza verbale.

  47. Lo sdoppiamento del soggetto
    Il soggetto poetante si sdoppia e la persona -io si divide in più persone denominate a.b.c. e seppure non crollano completamente gli scorci idillici di Lorna e Dolle (“Soffia oro settembre nelle lente/giornate…”), il lirismo esasperato si dimostra più volte (“…Corpi e occhi in scrigni e culle, corpi/candidi, cellule/di attive nevi,/mobili corpi tenerezza/alla mano, terrore/all’anima, fucate/fosforescenze su tormenti e faglie…”) e le cose segnano l’inizio di una invincibile frustrazione.

    Il recupero del significato
    In Ecloghe la possibilità del sopravvivere del Soggetto si affida ad un territorio verbale dove sia possibile recuperare, anche se in misura minima, un significato in grado di esprimere la vera natura dell’io grazie ad un percorso a ritroso verso il primordiale dei significanti.

    Il linguaggio nella sua totalità
    Se il paesaggio e neppure la convenzione letteraria garantiscono un riparo dalla storia, Zanzotto assume, per uscire da questa crisi, il linguaggio nella sua totalità e – come dice l’Agosti – “come luogo dell’autentico e dell’inautentico”. Così, nella raccolta “La Beltà”, il poeta si immerge totalmente in quel “plasma” della “densissima lingua”, operazione necessaria perché il Soggetto poetico possa riappropriarsi del sé.

    Ne nasce un dirompente lavoro sul linguaggio con allitterazioni, doppi sensi, giochi etimologici, neologismi accentuando l’attività del significante e delle sue imprevedibili associazioni foniche.

  48. L’origine del senso
    “La Beltà”, che può considerarsi la raccolta centrale nella carriera letteraria di Zanzotto, rappresenta il punto più profondo del suo percorso poetico nella quale il poeta trova il senso assoluto del significante.
    La scoperta che viene fatta in Beltà è quella dell’origine del senso, un luogo che si pone prima dell’individuo e della storia.
    Esso viene prefigurato nel linguaggio con il quale gli adulti vezzeggiano i bambini e che imita l’articolazione quasi puramente fonetica della prima verbalità infantile, cioè quello che nella lingua veneta si chiama petèl.

    La labilità dell’io e del processo storico
    In Beltà Zanzotto utilizza accostamenti fonici e pseudo-etimologici paradossali, usa sillabazioni che non hanno connessioni e forme grammaticali inaudite, come quella dell’articolo, dell’interiezione o di prefissi e suffissi.
    Si tratta però di manifestazioni labili, come labile e balbettante è tanto il principio dell’io, quanto il processo storico.

  49. Il ritorno al significato
    (Approfondimento)
    “Il centro di Lettura./Distinguere un poco raccogliere mettere da parte/per dirne bene: in tutto:/rigirando bene tutto sotto la lampada…/Qui si somministra la dolcissima linfa del sapere/anche ad ore impensate/e i fanciulli e i vecchi suggono/è certo che apprendono al Centro di Lettura:/e si imparte e comparte la vivanda/si tira l’orecchio al distratto/si premia e castiga con frutto/usando onniveggenza…” (da Pasque)

    Quella labilità sembra approfondita in alcune composizioni di “Pasque” (1973) , ma per la maggior parte della raccolta si osserva un inatteso ritorno ad un registro discorsivo in cui viene evidenziato il significato enfatizzato dal contesto pedagogico che occupa la prima sezione.

    Creatività linguistica a qualsiasi livello
    Da ciò si fa evidente ancora una volta come sia un errore voler forzare la produzione di Zanzotto in scansioni o fasi o superamenti, perché il poeta , dopo quanto ha scoperto in Beltà, ci suggerisce con la sua poesia che si può esercitare la creatività linguistica allo stesso tempo in qualsiasi direzione e a qualsiasi livello anche lontani e differenti tra di loro.
    In questo quadro si inserisce la parentesi dialettale di “Filò” e la trilogia costituita da “Il Galateo in Bosco”, “Fosfeni” e “Idioma”, in cui l’elemento comune è l’identificarsi del senso originario che può inglobare indifferentemente i vari modi del discorso basandosi sulla casualità offerta dagli incontri tra i significanti.

    Le pendici del Montello
    “Il Galateo in Bosco” che è forse, insieme a Beltà, il vertice della poesia zanzottiana, è un’opera di grande compattezza nella quale si fondono e convergono elementi differenti. Il luogo centrale del libro sono le pendici del Montello che rappresentano allo stesso tempo il luogo naturale, come paesaggio primario dell’autore, il luogo storico, perché segnato dagli ossari dei caduti della prima guerra mondiale, e il luogo letterario, perché il Galateo fu scritto da Giovanni della Casa e un’ode rustica, elogio del Montello, fu scritta nel 1863 da Nicolò Zotti.

    Lo spazio
    Lo spazio descritto sedimenta i segni della storia individuale dell’autore, le ossa dei soldati, i segni del ciclo naturale del bosco, gli scritti di poeti e letterati e , oggi, i rifiuti dei villeggianti della domenica.Per descrivere i “vuoti di memoria” collettivi e personali e per illustrare in che modo le colline trevigiane sono state insanguinate e distrutte dalla storia, Zanzotto mette a confronto le regole del vivere civile (il Galateo) e la primitiva vitalità della natura (il bosco).

    La lingua
    La lingua utilizzata è qui meno aggressiva che in passato anche se punteggiata da continui riferimenti filosofici, da effetti grafici e da vari iconismi. Si assiste nel libro ad un precipitare dell’io verso il basso e l’indifferenziato.

  50. La poesia degli anni ottanta
    Il rapporto d’unità con la parola
    In “Fosfeni” la scrittura, che abbandona la prospettiva bassa e boschiva per tendere al sublime, si libera dal peso della letterarietà e fa prevalere l’elemento metafisico e filosofeggiante in un impensato e liricamente stupito rapporto d’unità con la parola:”L’albata e variata nudezza dell’essere/mimerò presto, e il tocco infimo, la vibratile nota,/negato io nel gelo/ contaminazione e chiarore ciliato appena al di qua”.

    La possibilità di una lingua più comunicativa
    Nel leggere i versi di Fosfeni, la contemplazione della luce e delle altitudini sembrava preludere ad un passaggio verso astrazioni assolute, ma invece nel terzo atto della trilogia, in “Idioma”, la direzione cambia.
    Zanzotto propone la possibilità di una lingua più comunicativa riavvicinandosi così al terreno comune dell’esperienza umana.
    Al centro del libro la sezione in dialetto dedicata alle persone scomparse e ai mestieri perduti indica come la ricerca di un contatto tra la parola privata e la lingua extrasoggettiva, sia sostenuta da una tensione al colloquio che si rivolge soprattutto ai morti.
    In Idioma il tema centrale è quello della morte e la lingua utilizzata sembra davvero la lingua dei morti, priva di qualsiasi venatura metalinguistica e sperimentale che sembra permettere un recupero del significato e del discorso.

  51. La poesia degli anni novanta
    Il paesaggio invasivo
    Con “Meteo” Zanzotto sembra ritornare all’antica descrizione del paesaggio sempre più contaminato che, a differenza del passato, è un “paesaggio invasivo” con le sue piante ( papaveri, topinambúr, taràssico e le “disfatte vitalbe”) e i suoi colori che sembrano appartenere ad una natura che lascia il soggetto al di fuori dei suoi confini e gli permette solamente l’ascolto del suo “ticchettio”.

    L’io passivo
    L’io, che è sempre stato il complemento del paesaggio, si trova, a causa della devastazione dell’ambiente e delle coscienze, ridotto ad un elemento passivo, attonito e spaesato anche di fronte all'”alta mutezza” dei prati e delle colline. “Non si sa quanto verde/sia sepolto sotto questo verde/né quanta pioggia sotto questa pioggia”.

    L’incontro di soggetto, natura e storia
    In “Meteo” Zanzotto registra il ritmo dei mutamenti delle stagioni con i suoi turbamenti e le sue deformazioni e osserva come l’instabilità del clima sia legato ai sistemi di comunicazione umana e al succedersi continuo delle previsioni. A tutto questo egli aggiunge l’osservazione della dimensione soggettiva, quella che chiamiamo meteoropatia, quel sentire dentro di sé gli effetti del clima, facendo così incontrare il soggetto, la natura e la storia.

    La parola nel suo disgregarsi
    (Approfondimento)
    Sangue e pus, dovunque le sperflue/superfluenti vitalbe che parassitano gli occhi;/un teleschermo, fuori tempo massimo,/Dirette erutta a Balocchi
    “Live”, da Meteo


    In “Meteo” Zanzotto segue anche il trasformarsi della natura per effetto dell’inquinamento che non è solamente materiale ma è anche e soprattutto mentale e linguistico. Il libro presenta in apertura una quartina intitolata Live, riprodotta come da scrittura a penna che mostra la parola nel suo fisico disgregarsi.

    Eppure il poeta, di fronte alla natura che sembra essere giunta al suo ultimo stadio, sembra voler trovare ancora annunci di dolcezza e offrirsi di colori e di luci, per poi rassegnarsi al vanificarsi di ogni equilibrio e splendore e lasciarsi schiacciare da piante parassitarie che si impadroniscono del paesaggio e segnano la sua degradazione.

    Canto della deriva e della fine
    “Meteo” appare come un accorato canto rivolto ai vegetali ormai alla deriva che il poeta sembra ancora invocare per poterli riscattare come ultimi segni di una natura infetta, ma ancora pulsante.

  52. La poesia degli anni duemila
    (Approfondimento)
    “No, tu non mi hai tradito,[paesaggio]/su te ho/riversato tutto ciò che tu/infinito assente, infinito accoglimento/non puoi avere: il nero del fato/nuvola/avversa o della colpa, del gorgo implosivo./…tu forse ormai scheletro con pochi brandelli/ma che un raggio di sole basta a far rinvenire/ continui a darmi famiglia (da Sovrimpressioni)

    Malgrado sia presto per apportare una critica alle ultime opere di Zanzotto, è certo che nelle sue ultime raccolte di poesie dal titolo Sovrimpressioni (2001) e Conglomerati (2009) il poeta, nella distruzione del paesaggio e nelle trasformazioni ambientali e antropologiche, vede sì i segni del degrado della propria terra e di chi la vive, ma trova ancora momenti di apertura affettuosi e ricchi di speranza, misti di ricordi ma anche di sopravvivenze.

    In questo modo la poesia di Zanzotto, da quel grado zero che sembrava fase finale con Idioma, si sviluppa ancora, trovando nuove collocazioni sui sempre nuovi territori di una modernità in continuo progresso scorsoio.

  53. Lasciamo parlare il poeta. Lui conosce le parole, i ritmi, le musiche interne ad esse, e riscopre per noi Leopardi e la luce della “sua” luna. E vive con noi per sempre.

    NAUTICA CELESTE

    Vorrei renderti visita
    nei tuoi regni longinqui
    o tu che sempre
    fida ritorni alla mia stanza
    dai cieli, luna,
    e, siccom’io, sai splendere
    unicamente dell’altrui speranza.

    A. Zanzotto, da IX Ecloghe, in Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano 2011

  54. sbrodolatura urgente
    viaggio / musicale
    parola sonora schietta
    un po’ ratenù pedemontana
    oltrepiave da Lino a Solighetto
    incontri profetici – console britannico
    creeleyesco prima all’imbarcadero
    di Ca’ D’oro – poi intenso “loosing
    my religion” davanti al cinema
    Italia al ritorno – acqua che ci
    divide e unisce nella placenta
    ancestrale – sorriso senza labbra
    passo che non corrisponde
    al pensiero tagliente superveloce
    sciarpa rossa per fare un po’ più buono
    questo piccolo durissimo mondo
    vibrazione del cuore a mente fredda
    anni dopo il battesimo di Luigino
    paioli di parole di rame
    profumo di arrosto e castagne
    foglie ruggini di vite di prosecco
    collina della memoria – immagine
    trasmessa – sostanza dopante primigenia
    nostra madre lingua peritura
    sostegno e canto di un pensiero
    che travalica – accenni di profumo
    impercettibilmente presente
    quasi delirante riguardo al
    rock – più acuto sul rap
    Metastasio in dipendente – spazi
    tra Weil e “nothing else matters”
    alle radici del suono verbo
    cosmico – finchè un fil di voce
    ti sostiene – sottil tigre lessicale
    apri squarci di luminescenze
    sonore – filo diretto cervellocuore
    un po’ petel (estremamente colto)
    umile nel tuo idioletto sgrammaticato
    come dev’essere, sarebbe, è
    qui con soprano e violino a
    ringraziarti di esitere, Maestro

    18 ottobre 2006
    dopo un “Viaggio musicale con Andrea Zanzotto”

    John Gian

  55. In memoria di Andrea Zanzotto

    “Discendere nei tratti ardui
    color d’ortica conservandosi
    in cocciute cortecce di voce,
    anche se sfiancati e bruciati
    dal salare del sole dal fare.

    E poi ad una persona sola
    infinitamente nascosta
    unica presenza,
    porgere un riccio di mare,
    la spina conficcata nel dire,
    e guardarla mangiare:

    le uova, quel che rimane.”

    Orso Tosco

  56. Saluti e ringraziamenti anche a: Anna Lanzetta, Simona Lo Iacono (ciao, socia!), Enzo Golino, Antonietta Chieppa, Ausilio Bertoli, M.Teresa Santalucia Scibona, Desi, Maria Ianniciello, John Gian, Orso Tosco.

  57. Grazie mille a coloro che hanno lasciato i contributi biografici su Zanzotto e le informazioni sulla poetica.
    Un saluto di benvenuto a chi ha scritto su questo blog per la prima volta (benvenuti su Letteratitudine!)

  58. Gioisco ricordando certi momenti molto lontani della primissima infanzia: io provavo qualche cosa di infinitamente dolce ascoltando cantilene, filastrocche, strofette (anche quelle tipo «Corriere dei Piccoli») non in quanto cantate, ma in quanto pronunciate o anche semplicemente lette, in relazione ad un’armonia legata proprio al funzionamento stesso del linguaggio, al suo canto interno.
    (da Autoritratto, in Le poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco, Gian Mario Villalta, Mondadori, 1999)

  59. La poesia è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore.
    (da Avvenire, 15 febbraio 2011)

  60. Mario Luzi, nella sua parabola esistenziale e poetica, ha confermato un’assoluta fedeltà a se stesso, anche in quella religiosità diffusa che per lui è sempre stata una vicinanza al cattolicesimo. (citato in Così lo ricordano, Poesia, n. 193 aprile 2005, Crocetti Editore)

  61. Quando ancora non lo conoscevo [Vittorio Sereni] e restavo quasi a bocca aperta, stordito dai rispecchiamenti, dalle fioriture, dal candore, dai misteri della sua Frontiera (e pensavo: ma allora lui ha già detto tutto, di me, di noi, proprio di questi giorni e attimi…) mentre la leggevo portandola con me in treno sotto le armi. (da Per Vittorio Sereni, 1991, in Scritti sulla letteratura, a cura di Gian Mario Villalta, Mondadori)

  62. Questa silloge vuol essere soltanto uno speciem di lavori in corso, che hanno un’estensione molto più ampia. Si tratta quasi sempre di “incerti frammenti”, risalenti a tutto il periodo successivo e in parte contemporaneo a Idioma (1986). Non tutti sono datati e comunque sono qui organizzati provvisoriamente per temi che sfumano gli uni negli altri o in lacune, e non secondo una sequenza temporale precisa, ma forse “meteorologica. (Nota finale in Meteo, Donzelli)

  63. Sappiate scrivere ma non leggere, non importa. (da L’elegia in petèl, in La beltà, Mondadori)

  64. Sono andato laggiù col fiume, | in un momento di noia le barche | le reti si sono lasciate toccare, | ho toccato la riva con mano. (da Atollo, in Dietro il paesaggio, Mondadori)

  65. Ma tu continua a consumarlo, il dorso della mano, | a consumarlo con le dita, | Zanzotto amico, | tu che non chiedi pietà, non è vero? | tu che vuoi verità a costo di non essere.
    (Franco Fortini)

  66. sto leggendo Zanzotto in questi giorni per la prima volta. Mi dispiace essere stata indotta a farlo dalla notizia della sua morte. Ma come è stato detto le grandi opere sopravvivono alla fine dei loro creatori. E’ il caso di Zanzotto.

  67. Non siamo mica in Svezia dove il Nobel Tranströmer vendeva anche 30 mila copie, mentre qui il grande Zanzotto… C’è un Oscar con tutte le sue poesie in lista d’attesa. Magari, se lo consigliasse Volo…
    (Luciano Genta)
    http://www3.lastampa.it/classifica-ttl/

  68. La mia amica Coco, fascio di vimini in mano: I like that old man!
    Io” He’s the best poet we have in Italy, that old man”

    uniti da stupore curiosità ironia
    uniti da poesia

    la sorpresa di un viaggio insieme in treno , per caso
    chiacchiere “ chela femena” “ gobbetta sopressada” “integralismo capitalista”
    “il crepitio della decrepitezza” “ ciccia polisillabica” “poetiche lampo”
    vivant , vivant pensavo
    e poi qualche lettura negli stessi festival
    e le telefonate
    quasi a corteggiarlo per convincerlo a venire
    ma c’era , era sempre là
    il suo essere presente

    abbiamo ancora nel cuore la stessa galassia di popoli, cielo, prati e orizzonti
    vecchie case e larin

    la generosità del suo tempo, della sua acuta intelligenza, la sua abbondanza velocità sapienza
    e così umile, davvero
    ed esatta
    quasi scientifica ma aperta , tutto aperto, sempre

    la lucina un po’ furba, così trevigiana, nel fondo degli occhi
    agile, capace di saltellare con il pensiero
    anche a corpo ormai fragile, teneramente rimpicciolito

    un battito di ciglia
    e forever young

    ciao Andrea, non me ne sono mica andata, te l’avevo detto che avrei fatto la mamma…

    un ricordo di e per Andrea Zanzotto
    Rita Degli Esposti
    Venezia, 21 ottobre 2011

  69. Credo proprio che acquisterò questo Oscar con le poesie di Zanzotto consigliato da Genta. Ma e’ già disponibile?

  70. Era un grande vecchio che viveva appartato a Pieve di Soligo strano ed etraneo al mondo preso dal suo sogno panico della natura mater matrona di tutte le cose in cui vive un Dio laico padre padrone e compagno di strada di tutte le cose su cui si posa l’inquieta polvere del tempo
    Marosia Castaldi

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