
Aggiorno questo post dedicato al dibattito sulla “letteratura dei vampiri” (che nel frattempo si è trasformato in dibattito sulla “letteratura dei vampiri… e di altri orrori“), inserendo il contributo alla discussione fornitomi da Sergio Altieri (in arte Alan D. Altieri): scrittore, traduttore e direttore editoriale delle collane Mondadori distribuite in edicola. Ne approfitto per ringraziarlo. Segue il post originario pubblicato il 1° marzo 2010.
Massimo Maugeri
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Il (nuovo) giorno del vampiro
Alan D. Altieri
ovvero
Il fascino (indiscreto & eterno)
dell’immortalita’ malefica
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What the hell! Proprio quando ricominciavamo a sperare nella validità dei vecchi metodi. Ma sì, ya all know what I mean: anzitutto santo martello & saKro piKKetto. Più crocefissi assortiti, aglio a grappoli, acqua pura (really? we still got that?) a damigiane, specchi possibilmente non incrinati, etc etc etc. Insomma, tutta l’attrezzatura obbligata e obbligatoria del piccolo vampirista perfetto, tale da sbarazzarci di quegli invadenti salassatori.
Giusto?
Tutto sbagliato.
Guess what: della lista di cui sopra – e senza, almeno per ora, ricorrere agli strabilianti trucchetti post-techno degli ultimi tempi, tipo proiettili di luce & affini – non funziona più un accidenti di niente. Di certo non funziona più un accidenti di niente nel “nuovo giorno del vampiro”.
Difatti, chi non muore – e questi mai che tirino veramente cuoia – si rivede. Per cui una nuova, radiosa alba popolata da orde si sukkiasangue è sorta su questo nostro pianetucolo dolente in attesa del catartico, liberatorio 2012. E non è affatto detto che non siano proprio loro, i vampiri, a mettere la parola fine al nostro inquinato, sovrappopolato, tormentato destino di bipedi imperfetti ormai decisamente e miseramente slittati nell’(in)umano.
Discutibili facezie a parte – pressoché in ogni forma della comunicazione scritta e iconografica – l’intera mitologia vampirica sta vivendo una inedita (ennesima) eterna giovinezza.
Francamente, e passatemi la notazione personale, allo scrivente la cosa va alla grande. Leggendo da ragazzo l’immortale – in senso di capolavoro letterario – “Dracula” di Bram Stoker, nella fenomenale traduzione dell’ugualmente immortale Francesco Saba Sardi, mi schieravo tutto dalla parte del Principe delle Tenebre. Già eretico nell’adolescenza, quindi? Peggio: eretico, blasfemo, nonché politikamente scorrettissimo. E vi argomento anche perché:
– Dracula è solo, ma proprio solo, (R.M. Renfield non è nemmeno il suo garzone di bottega) in lotta per sopravvivere contro un intero universo: sopravvissuto suo malgrado a un passato di orrori, costretto a fare i conti con un amore disperato e impossibile, condannato a coesistere con la propria mostruosità endogena. Ditemi voi se non è questo IL vero eroe romantico di tutti i tempi, letteralmente…;
– gli avversari di Dracula sono l’orgia degli scornacchiati: abbiamo il moscio rimbecillito (Jonathan Harker), il mandriano da trivio (Quincey Morris), il demente tossico (Dr. Jack Seward), e, dulcis-in-fundo, il vittoriano scassapalle sessualmente frustrato (Abraham Van Helsing). Come on, guys, get a life… No, even better: get a death!;
– le ganze di Dracula sono il meglio sulla piazza: a partire dalle tre sexy vampirelle su nella nera fortezza dei Karpazi (okay, ladies, let’s rock!), per passare alla spumeggiante Lucy Westenra (ready to jugular, old boy!), chiudendo in bellezza con la delicata (ma non troppo) Mina Harker (just suck me dry, my Prince!).
Insomma, Dracula Forever.
A tutti gli effetti, il forever di cui sopra continua a funzionare. Ormai da quasi due secoli l’oscuro eppure tormentato, truculento eppure fascinoso, Conte Dracula – e pressoché tutte le sue incarnazioni/deviazioni/ rivisitazioni/approssimazioni successive – rimangono una dominante primaria dell’immaginario individuale e collettivo.
A parere dello scrivente, è il fascino inevitabile dell’immortalità.
Esatto: transitare attraverso lo spazio e il tempo senza tutte quelle menate mistico-messianiche stile Highlander, osservando e studiando, testimoni occulti dell’umana fallacità senza peraltro farne parte. Al di sopra di tutto e al di là di tutti. In sostanza, quanto di più vicino si riesca ad arrivare alla divinità. D’accordo, c’è un prezzo da pagare: no immagini riflesse, no luce del sole, no cenette gourmet (che non siano emoglobiniche), no un po’ di altre inutili frescacce della vita diurna. Ma in definitiva, what the hell, right?
Senza nemmeno osare di ripercorrere l’intera epopea dei vampiri dalla carta stampata, al grande & piccolo schermo, tutta la strada fino ai fumetti e ai videogame, lo scrivente si limiterà a tentare di analizzare i trend più recenti di un filone narrativo (inteso nel senso più lato possibile) che si è già guadagnato l’immortalità’:
— trend #1) vampiri “classic”: non a volte ma sempre ritornano, un po’ come quel buon barolo invecchiato al punto giusto. Profetessa indiscussa di questa rivisitazione rimane la grande Ann Rice. Nei primi anni ’80, con il vampirismo erroneamente considerato materiale da biblioteca, il Lestat creato da Ann Rice – e la sua intera saga susseguente delle “Vampire Chronicles” – riporta in primo piano queste creature ambigue e minacciose, efemeriche e seducenti. In film, abbiamo la riuscita trasposizione di “Interview with the Vampire”, magistralmente diretta da Stephen Frears, seguita purtroppo della bufala – al di là della presenza della meravigliosa e compianta Aliyah – tratta da “Queen of the Damned”. In ogni caso, l’universo estetizzante e diabolico creato da Ann Rice rende tuttora in modo fenomenale. In questa direzione, il vampiro classico, non va dimenticata l’opera della valida narratrice Chelsea Quinn Yarbro con la sua saga del Conte Saint-Germain, pubblicata integralmente in Italia della eccellente casa editrice Gargoyle. Così come non va trascurata l’ultimissima incursione meta-vampirica a opera niente meno che del nipote del divino Bram. Ecco quindi “Dracula the Undead”, a firma Dacre Stoker & Jan Holt (Undead, gli Immortali, PiEmme, 2010), ottima resurrezione del “Divin Conte” quasi in salsa steampunk, con la partecipazione straordinaria di Jack the Ripper, la Contessa Batory e via smembrando.
Insomma, quei volti lividi e affilati, quelle marsine con svolazzante jabeau appena chiazzato di rosso, continuano a tirare al massimo dei giri… Oops, dei kanini;
— trend #2) vampiri “stylè”: o anche “vampiri Prada”. Difatti: alti ma non eccessivi, belli ma non sbracati, palestrati ma non ipertrofici, eleganti ma non azzimati, seducenti ma non ambigui, insomma dalla loro le hanno proprio tutte, inclusa una millenaria società parallela nemmeno troppo sotterranea rispetto alla strafottuta società umana. Avete presente? Ma sì, sono loro: la gang cromaticamente virata all’azzurrino di “Underworld”. Ipnotico okkione glauco-livido modello Ice 9 (Kurt Vonnegut for President!), magnifici spolverini di cuoio liscio e abbastanza volume di fuoco full-automatic da livellare Manhattan.
Da un punto di vista visuale, quella del vampiro “stylè” è diventata una proposta dalla quale è ormai difficile discostarsi. Sarebbe un po’ come fare vedere astronavi a forma di sigaro con le grandi ali (pure pulp anni ’50) al posto delle maestosamente lente strutture ipercomplesse inaugurate da Stanley Kubruck (2001), portate poi all’estremo da Ridley Scott (Alien).
Dalla orgiastica e sanguinaria proposta botti & spari, sesso & krudeltà della serie “Anita Blake: Vampire Hunter” a firma della dura & pura Laurell Hamilton, passando per i new gothic “Southern Vampire Mysteries” di Sherrilyn Kanyon, fino alla primariamente romantica (addirittura “vegetariana”) ninna-nanna adolescenziale di “Twilight”, con l’abile Stephanie Mayer al timone, il vampiro “stylè” domina ampiamente la scena. Sarà quindi interessante osservare quale sarà la prossima evoluzione di questo trend. Come on, boys & girls, non potremo avere kanini in salsa Dolce&Gabbana e Moccia per sempre… o no?;
— trend #3) vampiri “monstre”: qui si fa addirittura un passo evolutivo all’indietro rispetto a Dracula, eterno vate. Il vampiro mostruoso è solamente una belva infame assetata di sangue. Troppi dentoni e troppo poco cervello, brutto come una qualsiasi sessione parlamentare itaGLiana e aggressivo come l’ultimo cretino analfabeta appena espulso dalla casa/casino di “pikkolo fratello scemo”. Il vampiro “mostre” è buono per una sola cosa: essere fatto fuori, se possibile nel modo più orrido & splatter immaginabile.
Decisamente spostati sul “monstre” sono i puzzosi e fetidi vampiri di “Midnight Mass”, non indifferente ritorno letterario del sempre azzannante F. Paul (“The Keep”) Wilson, pubblicato in Italia parimenti da Gargoyle con il titolo di “Messa di mezzanotte”. Nella loro cannibalica invasione del mondo, i vampiri di Wilson sono molto più attirati dai sanguinacci trucidi che non dalle pulzelle. Beh, a opera degli umani che non mollano, mal gliene incoglierà: come get it, sucka!
Piccolo grande trionfo di come si affrontano i vampiri “mostre” rimane “30 days of night”, trasgressivo fumetto ideato da Steve Niles & Nigel Templesmith, diventato poi un inaspettato successo cinematografico da quasi ottanta milioni di dollari d’incassi diretto dall’abile David Slade. L’idea di base è tanto semplice quanto sinistra: Barrow, Alaska, l’ultimo avamposto civilizzato del Nord AmeriKa, è alle soglie di un intero mese di notte artica. Da chissà dove (citazione diretta della nave dei topi di Dracula) arriva un tetro cargo maledetto. Dal cargo maledetto sbarca l’orda dei vampiri “monstre”, a cui frega solamente di aprire carotidi. Welcome to Barrow, suckers! Mai realmente scadendo nel clichè ma dando ampio spazio al mattatoio, il lavoro di Slade è la quintessenza di tutti i claustrofobici film d’assedio, un “Precinct 13” con i sukkiasangue al posto dei gangstar (o degli sbirri marci). Eppure, c’è almeno un passaggio magistrale. Marlowe, un nome una garanzia letale – interpretato da un irriconoscibile Danny Houston, figlio del compianto maestro John Houston – sta per cibarsi dell’ennesima vittima implorante la grazia di dio. Quasi con rassegnata tristezza, Marlowe indica verso in cielo, scuote il capo: “No god”. Dopo di che, slurp! Insomma, finalmente anche all’inferno ci siamo accorti che dio è morto;
— trend #4) vampiri “epidemic”: per i quali il vampirismo è generato da un virus (in senso lato). Tante zanne, ecchissenefrega delle ali da pipistrello, potenziale capacità di affrontare la luce solare. In sostanza, il “virus vampirico” muta, distorce e inghiotte l’umano.
Fino a oggi, un unico, straordinario precursore di questa inevitabile variazione sul tema: Richard Matheson con il suo capolavoro della SF apocalittica “I am legend”. Portato in film ben tre volte – “L’ultimo uomo della terra” (1964, diretto da Sidney Salkow) “The Omega Man” (1971, diretto da Boris Sagal), “I am Legend” (2008, diretto da Francis Lawrence) – “I am Legend” affronta con incredibile maestria tutte le paure dell’uomo: solitudine, vuoto, alienazione, distruzione, autodistruzione… Non una sola sfumatura dello spettro emotivo è lasciata fuori da questo prodigioso apologo del lato oscuro. Sono davvero vampiri, le creature di “I am Legend”, o sono forse la prossima evoluzione di una razza già estinta? Nel suo libro, Matheson si limita a suggerire una risposta, lasciando al lettore le scelta interpretativa cruciale.
Meno riusciti i film: troppo datato il primo, troppo patriottico il secondo, troppo incompiuto il terzo. Pur con il valido Will Smith protagonista in un inaspettato ruolo duramente drammatico, pur con una fenomenale prima metà nella New York svuotata e spettrale, il terzo “I am Legend” si affloscia nel finale, anzi nei due finali, area dove più la narrazione discosta dal testo di Matheson.
Per contro, quello dei vampiri “epidemic” è il trend che contende ai vampiri “stylè” la supremazia del genere. In questo senso, un contributo determinante – sia visuale che scritto – viene dal fuoriclasse Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista iberico ormai solidamente trapiantato a Holly-weird. Imbattibile artista delle creature insettiformi – straordinari gli effetti dal crepuscolare “Cronos” (1993) fino all’estetizzante “Il labirinto del fauno” (2006) passando per il feroce “Mimic” (1997) – Del Toro inserisce nel tema vampirico una sua personalissima svolta già in “Blade II” (2002). Sta sorgendo una razza di vampiri “infetti”, meglio sterminarli o… modificarli geneticamente in vista della irresistibile ascesa del prossimo vampire empire?
Temeraria tematica biochimica che Del Toro riprende letterariamente in “The Strain” – “La Progenie”, Mondadori, 2009 – primo volume di ambizioso progetto trilogico scritto a quattro mani con Chuck Hogan. Anche qui, il vampiro è l’untore principe di New York.
Per molti versi, il vampiro “epidemic” potrebbe essere la saldatura di contaminazione – oh, come on, THAT again? – con il genere zombi. Emblematici in questa sanguinaria terra di mezzo i due non indifferenti film “28”, giorni e settimane dopo. Quelle orde assatanate e urlanti sono zombi, sono vampiri, o sono qualcosa d’altro?
Well, qualsiasi cosa siano le creature di cui sopra, qualsiasi validità vogliate dare ai trend di cui sopra, almeno su un punto possiamo concordare. Eh, già, proprio come il rock & roll:
Vampire is here to stay, vampire will never die!
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Post del 1° marzo 2010
Sono molto lieto di poter avviare questo dibattito sulla “letteratura dei vampiri”… [intendendo per letteratura dei vampiri quella che ha (e che ha avuto) come protagonisti il conte Dracula and friends…]
Per discutere di questo tema ho invitato alcuni ospiti speciali:
– Simonetta Santamaria (altresì nota con l’appellativo di Simonoir), scrittrice di romanzi horror, la quale ha di recente pubblicato un sanguigno saggio edito da Gremese e intitolato, appunto, “Vampiri. Da Dracula a Twilight”
– Laura Costantini, scrittrice e giornalista, la quale ha dichiarato pubblicamente il suo amore per le storie di Stephanie Meyer
– Flavio Santi, autore del romanzo “L’ eterna notte dei Bosconero” (Rizzoli)
– Danilo Arona (autore, tra gli altri, del romanzo “L’estate di Montebuio”, nonché di un contributo sulla nuova edizione di “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli), Gianfranco Manfredi (che – tra le altre cose – ha predisposto la bella antologia “Ultimi vampiri”) e Claudio Vergnani (autore di “Il diciottesimo vampiro”)… tutti e tre della scuderia Gargoyle.
Ho poi esteso l’invito a Paolo De Crescenzo (uno dei massimi conoscitori di cultura horror in Italia, nonché editore della Gargoyle), Franco Pezzini (uno dei più preparati tra gli intellettuali specializzati in “letteratura terrifica”).
Premesso che il dibattito è aperto a tutti… altri ospiti potranno essere “invitati” nel corso della discussione.
Di seguito leggerete: la recensione di Francesco Di Domenico al saggio “Vampiri” di Simonetta Santamaria, un articolo sul caso “Twilight” firmato da Laura Costantini, le schede dei libri di Flavio Santi, Danilo Arona, Gianfranco Manfredi e Claudio Vergnani, Franco Pezzini. Nel corso della discussione avrò modo di fornire ulteriori notizie sui suddetti romanzi e sugli ospiti invitati.
Per favorire la discussione ho pensato di porre le seguenti domande:
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
– Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
– Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
– Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
– La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
– C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella storia della “letteratura vampirica”?
– A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
Altre domande potrebbero essere formulate nel corso della discussione che sarà più che mai improntata sullo scambio, sull’arricchimento reciproco e sulla interattività.
Massimo Maugeri
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“Vampiri” – Simonetta Santamaria
Gremese Editore – € 19.50
recensione di Francesco Di Domenico
Quando si è eliminato tutto ciò che è impossibile, quello che rimane,
per quanto improbabile, deve essere la verità.
Sherlock Holmes, “Il vampiro del Sussex” (The Sussex Vampyre, 1927)
Un volo sulla orrifica leggenda dei vampiri – così definisce Simonetta Santamaria – il suo viaggio documentale nell’orrore, quando lo presenta nell’introduzione. Un volo a planare sul mistero che avvolge questa epopea nera degli esseri sanguinari per eccellenza. La promessa di un viaggio a “vol d’oiseau” – a volo di pipistrello, diremmo noi – dove si potranno incontrare le centinaia di sembianze che quest’essere magico assume, e la loro visione nell’immaginario collettivo.
In questa serissima ricerca storiografica – curata con scientifica precisione dalla regina delle scrittrici horror italiane – l’autrice ha percorso tutte le vicende che parlano del fenomeno, mettendole a confronto; e tutte le epoche, andando a ritroso, talmente tanto, che si è fermata solo davanti alla figura più antica di vampiro quella di Lilith, la prima compagna di Adamo, ripudiata in favore della “politically correct” Eva.
Il trattato, scritto con una lievità sorniona e un finto distacco da saggista, narra delle origini del mito attribuendolo ai Sumeri (e siamo al 3500 a.c.), passando per la Mesopotamia, fino a raggiungere la figura mediaticamente più conosciuta, quella del principe Vlad III di Valacchia: Dracula. Ma si scoprirà ben presto che “Vlad l’impalatore” gode di una fama sproporzionata rispetto al suo ruolo effettivo nella leggenda del sangue: ci sono signori della notte ben peggiori.
Girando le deliziose pagine patinate del testo – a cui hanno lavorato direttamente i due figli dell’autrice, l’uno come graphic designer, l’altro come illustratore – si scopre che le tipologie degli esseri della notte sono variabili e con specifiche peculiarità. Non tutti i Vampiri sarebbero ematofagi, alcuni si nutrirebbero di liquido seminale e altri ancora di energia psichica.
Il volo della Santamaria diventa navigazione quando percorre le strade della mitologia, della letteratura, del cinema e perfino delle citazioni dell’alta moda, ma è un viaggio polemico rispetto alla oleografia che ne fanno oggi i vari remake’s, per rivendicare il ruolo dell’orrore che i vampiri ricoprono in tutta la loro storia, che ha poco di edulcorato. La scrittrice, cerca fortemente un’operazione di restauro del mito, dà una chiave di lettura sarcastica delle new age (Twilight, etc.), confrontandole con la severità fantastica e aspra dei veri e spietati vampiri della tradizione.
Il libro è addirittura didattico quando passa all’enucleazione dei modi per sopprimere i non-morti, e persino graziosamente ironico quando fa scoprire che non sempre “il paletto di frassino”può uccidere un Vampiro, perché ci sono esseri che vanno eliminati con della terra di sepoltura nell’ombelico, o perché esistono vampiri con due cuori: e in quale dei due si ficca il paletto?
O ancora, come nel film di Roman Polanski, “Per favore, non mordermi sul collo”, dove ci sono vampiri ebrei, che non riconoscendo la croce e la paura di essa, sono praticamente invincibili.
È incredibile scoprire come, sfogliando l’opera, il mito del vampiro sia presente in tutto il globo terraqueo. L’indagine della Santamaria raggiunge luoghi inusitati e impensabili – come ad esempio le isole Banks, nella lontana Oceania, dove esiste il Talamaur, un vampiro psichico che si nutre dell’energia residuale dei moribondi – svelando che i “non-morti” non sono presenti soltanto in una tradizione letteraria occidentale, che avuto come pietra fondante il “Dracula” di Bram Stoker, ma sostanzialmente nell’immaginario di tutte le culture popolari mondiali.
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IL FENOMENO TWILIGHT
di Laura Costantini
“Zia, questo lo devi leggere!”
È iniziata così, con mia nipote di 14 anni che mi mette tra le mani un tomo rilegato in nero, con due braccia bianche che porgono una mela rossa quanto doveva esserlo quella per cui Adamo fece il casino che fece.
“È un taglio (traduzione: è bellissimo, fico, cool). Troppo bello!”
Leggo la quarta di copertina: vampiri. Mi piace il fantasy, sono un’ammiratrice di Ann Rice e del suo ciclo dedicato a Lestat. E poi a mia nipote glielo devo. Di solito sono io a consigliarle libri da leggere, quindi in base alla legge di reciprocità…
“Twilight”, “New Moon”, “Eclipse”. Mi sono sparata la trilogia nel giro di una settimana scarsa, e sono tutti tomi da 500 pagine. Mi si è aperto un mondo e io, che sono ahimè distante dall’adolescenza anagrafica, mi sono riscoperta adolescente pronta a innamorarsi perdutamente di Edward Cullen, il vampiro protagonista della fortunatissima saga dell’americana Stephenie Meyer, portata in Italia nel 2006 da Fazi Editore e approdata, sull’onda di un semplice passaparola, a superare il mezzo milione di copie. Auspici anche i due film (Twilight e Twilight-Newmoon), l’uscita a fine 2008 del quarto libro “Breaking Dawn” che sancisce la fine dell’amore impossibile tra il vampiro Edward e la mortale Bella per come lo conoscevamo, e un sapiente merchandising.
Ha scritto Giorgia Grilli di TTL-La Stampa:
“In tempi di cinismo quale il nostro, questo è un libro sull’amore, e non un banale amore, ma una metafora potente che nasconde un messaggio atavico.”
Visto il lavoro che faccio, non me ne sono rimasta nei panni della lettrice costretta dalla penna della Meyer a sognare di incontrare un uomo bello e perfetto come Edward (che è bello e perfetto soprattutto perché NON è un uomo), ma ho voluto approfondire l’argomento sviluppando una piccola inchiesta nella community di lettori di aNobii.com. Mi sono inserita in un gruppo dal titolo evocativo: Edward e Bella, amore intramontabile! E ho aperto una discussione chiedendo in soldoni: Cosa vi piace della saga di Edward e Bella?
Quelle che vi riporto sono le risposte di alcuni tra i più di 300 membri del gruppo creato dalla twilighter TuCCia. Le età spaziano dai 15 ai 35 anni (ho scoperto di essere il membro anziano del gruppo e adesso tutti mi chiamano zietta): ci sono studenti, donne sposate che hanno coinvolto i mariti, persone adulte, professionisti e impiegati. Insomma, la dimostrazione che la comunità dei lettori si muove compatta e senza pregiudizi di fronte a pagine che sanno emozionare.
Blackrystal ha 16 anni e vive a Roma:
“Immagino che il segreto del successo di T. (sta per Twilight) come pure di Harry Potter sia perché aggiungono fascino e mistero alla vita normale.
Si tratta infatti di romanzi ambientati in luoghi reali, dove gente bizzarra/speciale si mischia con le persone di tutti i giorni. Gli elementi soprannaturali aiutano a colorire un po’ le nostre monotone esistenze.”
Salleggiola di anni ne ha 30 anni e più che all’elemento soprannaturale imputa il successo all’amore:
“Da come lo imposta la Meyer sembra un amore che nella realtà non esiste, un amore assoluto, il VERO amore che oggi noi tutti sogniamo, ma che in pochi trovano. Se lo trovano.”
Dello stesso parere è Singing Angel 23 anni, romana:
“Per me Twilight è stato un ritorno al passato, a quelle emozioni adolescenziali per le quali inizio a essere grandicella.
È stato bello leggere pagine che mi toglievano il fiato e ritrovarmi a fantasticare con gli occhi a cuoricino, cose che nella vita non capitano spesso e dopo una certa età ancora meno. Il tutto condito con quel tocco di soprannaturale che in generale mi affascina sempre e che aiutava a controbilanciare l’effetto a volte zuccheroso della storia d’amore.”
Luce di anni ne ha 20 anni e non è, per sua stessa dichiarazione, una tipa da romanzetto, eppure… “Twilight ha risvegliato quella romantica dolcezza spesso sopita. Non amo i libri il cui fulcro sono le storie d’amore, provo un inspiegabile misto di imbarazzo e fastidio. Ma Twilight non è mai forzato, sdolcinato. E’ avvincente, senza creare quel sentimento di diffidenza dato dalla consapevolezza di leggere una storia fantastica: ti trascina dentro.
Molti hanno storto il naso di fronte all’immagine di me con Twilight in mano. Tu sei quella dei grandi classici. E comunque troppo grande per le storie d’amore. Smentisco. Anche io avevo gli occhi a cuoricino. E me ne vanto.”
L’analisi di Giada, anche lei ventenne, è tanto circostanziata e pensata da sembrare professionale:
“Quando ho preso in mano il libro per la prima volta non mi sembrava un granché, però la novità letteraria che rappresentava per me la figura del vampiro (anche se non quello classico) mi ha incuriosita e ho continuato a leggerlo.
Adesso sono completamente andata. Mi ha lasciato qualcosa dentro, non saprei dire cosa ma quello che c’è nel libro ha saputo trasmettermi delle forti emozioni e ancora oggi non saprei dire se è solo merito della storia o anche della semplicità di questa ragazza che ne è l’autrice. Non che scriva divinamente, ma la passione che traspira dai fogli è reale, palpabile. I profumi, i colori, le immagini si formano nitide e chiare come se io fossi una terza partecipante della storia lì presente!
Rispetto a Rowling la Saga di T. non ha portato grandi novità. Harry Potter ha veramente sconvolto il nuovo modo di pensare la magia, il mondo che ha creato la scrittrice inglese è mille volte più complesso e affascinante ma resta comunque un libro per bambini. I sentimenti privilegiati restano l’amicizia, il coraggio, la fiducia, fondamentali d’accordo ma Twilight portando come tema principale l’amore batte Harry Potter. Non sarà letto da bambini (forse) ma il pubblico a cui si rivolge è maggiore. Un altro punto a favore di Twilight è che Meyer non inventerà assurdità per far tornare umano Edward. Prende i fatti così come sono, Edward ucciderà Bella, in tal modo i fan avranno il loro Happy Ending dove non sarà la vita a trionfare ma la morte.”
V. ha 32 anni e vive a Milano:
“Ho letto Twilight per caso, mi è piaciuta la copertina. Credo poi sia stata la magia delle parole a portarmi dentro la storia. Ho sentito il bisogno di entrarci, di esserci e di provare a vivermi quelle emozioni che nella vita vera purtroppo non ci sono. Mi piace quel mischiarsi di razze diverse, mi piace la sensazione di eternità che esce prepotente a ogni frase d’amore, mi piace quel sospiro di passione continuo, le difficoltà affrontate e le scoperte vissute in due. E’ un amore maturo nonostante siano due ragazzi e forse è questa la particolarità. Un amore VERO e SICURO che va oltre il tempo e lo spazio. Oltre la vita e la morte.”
TuCCia (la fondatrice del gruppo su anobii) ha 16 anni e riporta l’attenzione sulla vera essenza di Edward Cullen:
“Mi è piaciuto molto soprattutto l’inizio che vede il vampiro sotto una luce diversa, con dei punti deboli e combattuto interiormente. Un vampiro decisamente diverso dalla figura classica o dal ritratto che ne ha dato Ann Rice nei suoi libri. La natura di Edward ha creato una grande attrattiva e posto condizioni e restrizioni a una storia d’amore con una umana che difficilmente si sarebbero create in altre circostanze. Se avessi dovuto prendere in mano il libro sapendolo la solita storia d’amore tra ragazzi… probabilmente sarebbe ancora nella mia lista di libri da comprare.”
Celiane ha 19 anni ridimensiona l’aspetto strettamente vampiresco:
“Quello che mi ha colpito è stato la forza, l’assolutezza dell’amore tra Edward e Bella. Edward all’inizio è attratto da lei, ma rifiuta l’attrazione (e qui scatta la figura del vampiro dannato che cerca di essere diverso da ciò che la sua natura gli impone). Poi, però, non resiste, e si arrende a ciò che sente. Compare la forza, l’inevitabilità, del loro amore. Non è semplice amore adolescenziale, ma qualcosa di più forte, di incontrollabile. L’elemento soprannaturale è importante, ma non fondamentale. La scelta poi di raccontare la storia in prima persona, rende tutto coinvolgente. Ti sembra di essere tu stessa Bella.”
Seleya ha 36 anni e fornisce un punto di vista più adulto, ma altrettanto coinvolto:
“Non ho mai amato le storie d’amore o quelle di vampiri. Però adoro, la storia di Edward e Bella. Stephenie Meyer ha saputo ricostruire le ansie, i timori, le speranze e i vissuti dell’adolescenza: leggere Twilight (e successivi), ha permesso a persone un poco più stagionate come me di rivivere la purezza, l’innocenza, l’assolutezza e la follia del primo, unico e incondizionato amore. Ha creato un personaggio (Bella) che, come molte ragazze della sua età, crede di non essere nulla di speciale ma che nell’incontro con l’altro, il suo primo amore, scopre di essere interessante. Bella subisce il fascino del mistero e del pericolo, si sente predestinata ad amare questo essere così diverso, bellissimo e letale, che incredibilmente per lei la corrisponde.
Le pagine del libro ci rendono partecipi di un sogno che si realizza.
Meyer inoltre, nel disegnare il personaggio di Edward, ha creato questo essere tormentato, immortale e perfetto, che si strugge per la sua anima perduta, e che alla fine cede alla debolezza umana per eccellenza: l’amore.
E qui rivela la sua umanità: pur sapendo che è la scelta sbagliata, che mette a repentaglio la sua famiglia (per non parlare della vita di Bella), alla fine si arrende e non può far altro che amarla.”
Alessia ha 26 anni ed ha coinvolto nell’epidemia di Twilight anche il marito (28 anni) e due cugine. Tutti entusiasti, soprattutto del messaggio che i libri della Meyer divulgano:
“La storia non avrebbe senso se Edward avesse solo pregi e il fatto che sia un vampiro non è così fondamentale. Quello che conta è la scelta politicamente corretta che entrambi compiono. Potevano essere lei americana e lui iracheno o afgano (o altre centinaia di casi del genere). Importanti sono le differenze iniziali tra i due, quelle che sembrano insormontabili, i pregiudizi di base da entrambe le parti.
La morale (come nelle favole per bambini) è che non importa cosa è la persona che hai di fronte ma chi. Credo sia questo il messaggio da recepire.”
Lettori. Comuni lettori che hanno saputo andare oltre la suggestiva copertina, oltre la scarsa pubblicità. Lettori che si sono lasciati guidare dal passaparola, dal consiglio di un amico, dalle recensioni su Internet, scritte da gente come loro e non certo da critici letterari con il patentino. Lettori che sanno leggere ben oltre le semplici righe sulla pagina, che sanno riflettere su quel che leggono. Saranno forse ancora pochi i lettori italiani. Ma dopo averli ascoltati, interrogati, punzecchiati (e vi assicuro che le voci erano molte, ma molte di più) non avrò scoperto il segreto di Twilight ma credo di aver capito che la rinascita, quanto mai necessaria, dell’editoria italiana passa soprattutto attraverso loro: i lettori.
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L’eterna notte dei Bosconero di Flavio Santi (Rizzoli)
È notte. Siete in un paese straniero. Non siete nel vostro tempo. Un ambiguo personaggio vi avvicina in una locanda e inizia a raccontarvi una storia di indicibili orrori, di mefitici miasmi e di presenze demoniache. E, più di tutto, voi siete J.W. Goethe: l’autore che rivoluziona la letteratura mondiale, l’alchimista, lo scienziato – uno che dovrebbe sapere tutto. In quella misteriosa e appassionante vicenda di sangue sparso e teste mozzate tutto può essere vero e tutto può essere falso. Il racconto è talmente ipnotico che non riuscite più a sottrarvi, vi trascina in un viaggio iniziatico e terribile, in una storia che non può essere detta, per il terrore che irradia, se non quando tutto è finito. E infatti quello che vi apprestate a leggere è l’ultimo libro di Goethe, il suo più tremendo, il capitolo assente dal celeberrimo “Viaggio in Italia”. La vicenda dei nobili decaduti Bosconero ruota attorno alle sospette catatonie dell’erede Federigo, al parricidio che ha condotto in manicomio suo fratello, alle sparizioni improvvise del servo Barcellona e del precettore Blasco Telamonio, agli efferati delitti e agli sconvolgenti ritrovamenti di resti umani. Sullo sfondo, una Sicilia borbonica, pestilenziale, epica e fantastica, strapiena di personaggi che vanno dal grottesco all’inquietante.
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L’estate di Montebuio di Danilo Arona (Gargoyle)
Nei primi giorni di gennaio del 2008, dalle acque gelide di un torrente sulla cima del Monte Buio, presso l’Appennino ligure, emerge il cadavere mummificato di una ragazzina scomparsa da diversi decenni seminando sgomento tra i pochi abitanti rimasti a vivere nell’omonimo piccolo borgo, sito ai piedi del monte. Le indagini vengono affidate a un carabiniere e un anatomopatologo che, in breve tempo, collegano la raccapricciante scoperta al suicidio del famoso scrittore horror Morgan Perdinka, avvenuto un mese prima nel suo loft di Milano.
L’inchiesta procede a cerchi concentrici: all’infittirsi di inquietanti coincidenze e macabri delitti, si sovrappongono, sapientemente combinati, percorsi introspettivi affidati a più voci che trovano il proprio culmine in un inquietante evento avvenuto nel lontano 1963. Il Male irrompe tumultuoso da un passato lontano trasbordando tutta la sua antica energia. Assoggettate al suo inesauribile flusso umanità appartenenti a secoli diversi della storia, tutte parimenti irretite in un dramma collettivo che sembra destinato a ripetersi all’infinito.
Ma Morgan Perdinka voleva davvero morire? O il suo gesto è stato semplicemente funzionale alla scoperta di una verità che non poteva trovarsi se non approdando in un mondo altro?
Benvenuti nello spazio quantico dove il tempo non ha più alcuna importanza e il Male è più reale che mai…
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Io credo nei vampiri di Emilio De’ Rossignoli (Gargoyle)
La trama. Emilio de’ Rossignoli – intellettuale che non perse mai di vista l’importanza della radice popolare della cultura – è il brillante cicerone di un viaggio suggestivo dove sfilano vampiri, lemuri, incubi, succubi, golem, mummie, licantropi, zombie, fantasmi, e dove storia, mito e cronaca si intrecciano in un raffinato montaggio di argomenti e interpretazioni. Una storia organica del vampirismo dalle origini ai nostri giorni, dal trascinante furore enciclopedico. La prosa limpida e lo stile sapientemente ironico conferiscono al testo una solida tenuta narrativa così che, pur trattandosi di un saggio, Io credo nei vampiri si legge come un romanzo, e proprio le pagine che sembrerebbero datate sono tra le più interessanti per i corsi e ricorsi di cui la storia del costume nostrano sembra essere popolato .
Il libro. Pubblicata dall’editore Luciano Ferriani per la prima volta nel 1961 e da allora mai più ristampata, Io credo nei vampiri è un’opera eccezionale che è stata e resta tuttora tra i primi e rari contributi non accademici sul vampirismo, dove studio e intrattenimento si accordano felicemente. Fu sulla scia dell’enorme successo mondiale della pellicola Dracula di Terence Fisher (Horror of Dracula, 1958) – qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo ora con il romanzo Twilight di Stephanie Meyer e con l’omonimo film – che ’de Rossignoli maturò l’idea di scrivere Io credo nei vampiri.
Nel suo saggio, l’autore si mette letteralmente al servizio di un tema che, nelle sue mani, diventa straordinariamente fertile, e scandaglia tutto lo scandagliabile attorno ai vampiri, che vengono analizzati da un punto di vista cinematografico, letterario, musicale, pittorico, religioso, psicopatologico, mitologico, politico, scientifico, biologico, botanico, giurisprudenziale e di costume attraverso un avido e ricercato saccheggio di aneddoti, dicerie, leggende, credenze, folclori locali, visioni, formule e maledizioni arcane, cronache, trattati, rapporti ufficiali, testimonianze, antichi dizionari, libri e giornali. Oltre a offrire un’occasione di conoscenza unica e dai risvolti inattesi, de’ Rossignoli mette i lettori davanti alla loro disponibilità a credere, a fidarsi, sfuggendo qualunque paura nei confronti del vampiro, una figura avvolta da pregiudizi solo in quanto diversa.
Autorevolmente e piacevolmente persuasivo, Io credo nei vampiri è un libro che dà molte risposte sul senso del terrore nell’arte e nella vita.
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Ultimi vampiri di Gianfranco Manfredi (Gargoyle)
Con l’antologia Ultimi vampiri, pubblicata da Feltrinelli nel 1987, Gianfranco Manfredi si impone definitivamente all’attenzione della critica, accrescendo il suo già fitto pubblico di lettori. Sfuggendo a ogni prevedibilità e cliché, in una trascinante tensione verso l’inatteso, Manfredi si mette dalla parte dei vampiri: specie vivente con la stessa dignità degli umani, che ha attraversato la Storia parallelamente ad essi. Anche in questa extended version, arricchita di nuovi contenuti sia di carattere narrativo – tra cui spicca il racconto lungo “Summer of Love” – sia saggistico, e di una vivace e acuta prefazione dello scrittore Tullio Avoledo, pulsa il “realismo visionario”che caratterizza tutta la letteratura di Manfredi: non c’è nulla di “dato” che non debba essere anche “immaginato”. L’autore si distanzia dalla sintesi operata da Bram Stoker con il personaggio di Dracula, concentrandosi sulle diverse specie di vampiri presenti nei folclori locali. Manfredi mette a confronto i vampiri delle leggende popolari con momenti cruciali della storia, rivelatisi inevitabilmente fasi violente di trasformazione che hanno segnato l’emarginazione e la sconfitta di una specie, spesso attraverso veri e propri genocidi. Discriminati, sradicati, apolidi, ribelli, isolati, irriducibili cospiratori, eretici redivivi, militi uccisi resuscitati sono questi i vampiri che Manfredi passa in rassegna, devianti di un ordine sociale che li ha sempre tenuti ai margini a causa della cecità del pregiudizio.
La sofisticata eterogeneità delle cifre stilistiche adottate poggia su una base ricchissima di riferimenti storici, filosofici (i Discorsi a tavola di Martin Lutero, il Dizionario filosofico di Voltaire), teologici (De Daemonialitate, et Incubis et Succubis di Ludovico Maria Sinistrari e le Dissertations sur les vampires di Domi Augustin Calmet), letterari (Don Chisciotte di Cervantes e Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki) e antropologici, oltre che su un originale uso delle cronache del tempo (per esempio i resoconti criminali della West Coast americana durante l’epoca hippie). Avventure, favole simboliche, resoconti storici, frammenti onirici, istantanee di umorismo nero si amalgamo in un ordito di grande potenza evocativa a dimostrazione delle infinità possibilità del narrare
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Il diciottesimo vampiro di Claudio Vergnani (Gargoyle)
A Modena uno squinternato gruppo di individui dai vissuti più diversi – body builder, operai, profughi, presunti agronomi, attori porno, giocatori di scacchi – viene assoldato da un’enigmatica donna, denominata “l’amica”, per uccidere vampiri. Se di giorno la situazione è sotto controllo perché i succhiasangue restano immobili, nascosti in ambienti degradati designati a covi – case abbandonate, cisterne, chiuse di fiume, palazzi fatiscenti –, di notte le orrende e feroci creature escono allo scoperto attaccando soprattutto soggetti indifesi come vagabondi, immigrati e persone sole. È allora che bisogna vigilare e agire.
Tra sinistri sopralluoghi, massacranti turni di guardia, visite a un’antica e misteriosa Rocca dove si compiono sconvolgenti rituali, suggestive visioni tra le acque di Venezia, la squadra di moderni Van Helsing fa la conoscenza di Grimjank, il 18° vampiro…
Pur raccontando una storia vampirica tout court, il testo ha un impianto di forte realismo hardboiled: Vergnani parla di vampiri in una maniera tale da persuaderci che questi potrebbero davvero entrare a far parte della nostra quotidianità: l’elemento sovrannaturale, infatti, si combina senza stridere con la routine di persone sui generis sì, ma comunque normali.
Dunque, come sarebbe se i vampiri fossero intorno a noi, nel pieno dell’attuale way of life tra telefoni cellulari, SMS, Internet? E come potrebbero venire contrastati dalla gente comune, che ha bisogno di dormire, mangiare, che ha il mal di testa, che talvolta alza un po’ il gomito o si scopre depressa?
È sullo sfondo di una plausibilissima precarietà postmoderna che Vergnani fa entrare in scena i suoi repellenti revenants: in un contesto già di per sé ansiogeno, i vampiri diventano un ulteriore motivo di malessere ma non l’unico né il più importante.
Più che i vampiri in sé, infatti, la storia raccontata da Vergnani è incentrata sulla loro caccia: elemento vitalistico e vivificante a un tempo nonché vera e propria modalità esistenziale. Deputato all’ingrato compito, un gruppo di scanzonati mercenari, disillusi ma non privi di senso etico.
Tra frammenti di horror crudo e momenti di incisiva introspezione, Vergnani ha scritto un intenso romanzo corale dove il valore rigenerante del gruppo torna a essere protagonista oltre ogni tentazione individualista.
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“The dark screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo” di Franco Pezzini e Angelica Tintori (Gargoyle)
Nessun personaggio, reale o di fantasia, ha conosciuto più trasposizioni sullo schermo – cinematografico o televisivo – del Conte Dracula. La creatura di Bram Stoker precede di gran lunga, in tale primato, Sherlock Holmes (insediato saldamente al secondo posto). Quali i motivi di un successo così clamoroso e longevo? Come si è evoluta la figura del Principe delle Tenebre dagli albori del cinema all’era degli effetti speciali? Qual è il filrouge che lega cineasti e interpreti tanto diversi tra loro, sconfinando nel musical, nel porno, nella pubblicità? The Dark Screen non è, attenzione, uno dei soliti libri di cinema, ricchi di foto e illustrazioni cucite insieme con un commento più o meno originale e corredate da un elenco di “schede” che oggi ogni fan può autonomamente (e gratuitamente) scaricarsi da Internet. Qui, il mito è analizzato nelle sue radici più remote e passato in rassegna in maniera completa e rigorosa, con competenza profonda e amore sviscerato, componendo un quadro di insieme probabilmente unico nell’ambito della saggistica su Dracula.
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Affettuosamente pungolato dagli amici dell’ufficio stampa della Newton Compton, inserisco questa nota sui «grandi libri» della casa editrice in questione e sulle connessioni con la figura “classica” del “vampiro”.
(Massimo Maugeri)
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I VAMPIRI SECONDO NEWTON COMPTON
Fondata a Roma nel 1969, la Newton Compton nasce con uno slogan destinato, negli anni a venire, a rappresentare, oltre che una linea editoriale, anche una filosofia aziendale: «I grandi libri dal piccolo prezzo».
I «grandi libri», questo è evidente, coincidono con quei testi – “i classici” – capaci di restare attuali con il passare del tempo; capolavori, all’interno dei quali, si fa immediatamente strada uno dei protagonisti assoluti dell’immaginario collettivo: il vampiro. Di quanto questo personaggio fantastico sia capace di catturare le angosce (ma anche i desideri) dei contemporanei, la Newton Compton se ne rende conto nel momento in cui, nel corso degli anni Settanta, dà alle stampe il capolavoro a cui, unanimamente, si riconosce il merito di aver fondato il genere: “Dracula” di Bram Stoker; creazione fortunata ma non esattamente isolata all’interno del panorama della letteratura vittoriana. Come dimenticare, infatti, che il libro di Stoker era stato preceduto dal “Vampiro” del medico italo-inglese John William Polidori, tutt’ora nel catalogo Newton all’interno della fortunata antologia “I grandi romanzi gotici”, curata da Riccardo Reim. E come dimenticarsi, restando sul terreno dei classici, del fondamentale “Carmilla” di Joseph Sheridan Le Fanu?
La celeberrima novella che lo scrittore di Dublino ha dedicato alla donna-vampiro è stata appena ripubblicata dalla Newton Compton a cura di Gianni Pilo, uno dei massimi esperti della narrativa fantastica e dell’orrore in Italia. È proprio a Gianni Pilo, d’altra parte, che si deve la traduzione di molti classici della letteratura sui vampiri. Un lavoro di ricerca che, nel 2000, ha prodotto, tra le altre cose, “Il grande libro di Dracula” (appena ripubblicato nella collana Nuova Narrativa): un’antologia che, al suo interno, spazia dall’immortale Bram Stoker fino all’importante scrittrice americana Nancy Kilpatrick. La Kilpatrick, nome di riferimento nella galassia dei romanzi sugli eredi del “conte pallido”, è presente nel catalogo Newton Compton (sempre nella collana Nuova Narrativa) con tre autentici best-seller: “La notte dei vampiri”, “La guerra dei vampiri” e “Gli amori del vampiro”; una trilogia capace di vendere oltre cinquantamila copie nel nostro paese, recuperando quell’elemento di sensualità e di erotismo che, da sempre, caratterizza le imprese dei discendenti di Dracula.
Nel segno del vampiro, la ricca produzione di antologie non può che confermare l’eccellente stato di salute dell’uomo-pipistrello. Tra le raccolte dedicate ai succhiatori di sangue, il catalogo Newton Compton comprende l’appassionante “Vampiri!”, curato dall’esperto inglese Stephen Jones che –ripensando la figura di Dracula – ha unito nelle stesse pagine la penna di un Edgard Allan Poe e l’inventiva di un Clive Baker. Nomi decisamente altisonanti, poi, sono quelli di Stephen King, Woody Allen e Anne Rice: soltanto alcuni degli autori raccolti nell’antologia “La maledizione del vampiro”, a cura dello storico inglese Peter Haining.
La lista dei vampiri, all’interno del catalogo Newton Compton, è lunga ma non si ferma qui! Nel 1997, la casa editrice romana pubblicava “Il patto con il vampiro” di Jeanne Kalogridis: la narrativa dell’autrice californiana conquistava immediatamente i lettori italiani che, nel giro di pochi mesi, fecero salire a quota ottantamila il numero di copie vendute. Un successo che decretava d’autorità il proseguimento della saga della Kalogridis portando in libreria anche “I figli del vampiro” e “Il signore dei vampiri”: due nuovi bestseller per una vendita complessiva superiore alle duecentocinquantamila copie!
Oggi la saga della Kalogridis è raccolto in un unico volume: “I diari della famiglia Dracula”; un vero e proprio punto di riferimento per tutti gli appassionati. Gli stessi lettori che, recentemente, hanno accolto con grande soddisfazione la pubblicazione di “Cacciatori di vampiri” di Colleen Gleason: una nuova serie che ha per protagonista una famiglia – i Gardella – votata al controllo degli esseri succhiasangue che infestano il pianeta. È stato pubblicato di recente – della Gleason – “Il bacio del vampiro” (2010).
Ambientati tra ragazzi adolescenti, invece, sono i libri della nuova stella del firmamento del new gotich, la statunitense Lisa J. Smith. La Smith ha firmato “Il diario del vampiro”, una serie davvero intrigante, iniziata con la pubblicazione del primo volume, “La lotta”, e, in attesa de “La messa nera”, atto conclusivo della saga, proseguito con “Il risveglio”. E poi… “La setta dei vampiri“…
Ma quali sono le ragioni del successo editoriale dei vampiri?
Le risposte date nel tempo a questa domanda sono le più svariate. C’è stato chi, osservando l’assetto geopolitico, ha creduto di scorgere delle analogie tra il sistema di produzione capitalistico e l’atto di succhiare il sangue. Ancora, rincorrendo il tema del sangue, c’è chi ha messo in rilievo l’analogia tra il liquido ematico e il sesso. Altri ancora, alla luce del polimorfismo del vampiro, si sono soffermati sull’endiadi vampiro/liberazione della donna o vampiro/identità adolescenziale. Mentre la discussione resta aperta, una cosa è sicura: dal punto di vista dei lettori, la “fame” di vampiri è davvero tanta… strano destino per creature venute al mondo per cibarsi di sangue!
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AGGIORNAMENTO DEL 24 LUGLIO 2010
Pubblicai questo post il 1° marzo del 2010. Da allora la discussione non si è mai interrotta, grazie agli interventi di tanti esperti/appassionati di letteratura vampirica (e letteratura horror, in generale).
Il merito principale è senz’altro di Gianfranco Manfredi (nella foto in basso), vera e propria colonna della letteratura dei vampiri prodotta in Italia (e non solo).
Manfredi ha davvero preso a cuore questa discussione, e grazie ai suoi interventi e ai suoi stimoli questo post veleggia oltre quota 2.050 commenti e – adesso posso dirlo – è certo che un giorno diventerà un volume cartaceo (si è fatto avanti un piccolo editore siciliano).
Per ringraziare Gianfranco Manfredi metto in risalto il suo intervento odierno che, per certi versi, rilancia la discussione.
Massimo Maugeri
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LA LETTERATURA DEI VAMPIRI E DI ALTRI ORRORI POST-2000
di Gianfranco Manfredi
Dato che in tutti i sensi siamo ormai post-2000, c’è una questione che vorrei sottoporre a tutti e di cui, mi pare, non si parla mai. Siamo tutti d’accordo sul fatto che al centro dell’horror c’è la creazione (anzitutto letteraria) del Mostro, della Creatura. Ogni grande epoca dell’horror si è caratterizzata dalla comparsa di nuove Creature. Quelle Innominabili di Lovecraft erano, all’epoca, e sono rimaste a lungo, un’innovazione assoluta. Poi abbiamo visto spuntare gli Alieni, dai marziani verdi fino ad Alien, gli androidi (dai primi robot-giocattolo ai Terminator) . Nell’horror, come si è detto, la zombie plaga è sicuramente un fenomeno nuovo (anche se permanente da quasi cinquant’anni) ed espressivo del clima della nostra epoca. I fantasmi tecnologici giapponesi avevano fatto ben sperare, ma l’iperproduzione li ha schiantati in fretta. I vermoni giganti di Tremors sono stati un cult , ma chiuso in sé, non letterario e inquadrabile nel seriale minore. Per il resto, a parte qualche affioramento piuttosto unico e difficilmente replicabile (IT di Stephen King) gli autori horror contemporanei sono rimasti, tutti, sui filoni classici e sulle classiche creature in infinite riproposizioni rimodulate : vampiri, nuovi mostri di frankenstein da biologia avanzata, dottori e/o scrittori schizzati dalla personalità multipla, maniaci seriali alla Psycho sempre più “realistici” e ispirati alla cronaca criminale o sempre più surreali come Jason, Freddy e company, uomini lupo tra il satirico e il fumettistico, e infine streghe da Carrie a Wither… Ora: cosa significa questo? Gli scrittori non sono più capaci di inventare Creature che corrispondano in modo del tutto inedito e nuovo alle paure contemporanee? Sentono il bisogno di rimeditare sulle fonti originali (è il mio caso, lo ammetto)? Oppure preferiscono appoggiarsi sulla tradizione perchè è più comodo, più facile, più abituale anche per il pubblico, e comunque la creazione di una figura di Mostro veramente mostruosa perché Inedita è qualcosa di superiore alle loro forze e alla loro capacità espressiva? Parlando di horror (che editorialmente, da anni, va alla grande) stiamo parlando di una letteratura ancora vitale e creativa, o possiamo considerarlo in qualche misura istituzionalizzato come il Rock Imperiale della nostra epoca , abissalmente lontano ormai, dalle sue origini “wild” e provocatorie? Queste sono tutte domande cui non ci piace rispondere… sia perchè la risposta è difficile, sia perchè ci interrogano sulla nostra reale capacità/volontà (di scrittori e di lettori) di affrontare temi che riescano a turbarci davvero, nel profondo. E non per semplice, quanto apprezzabile, spasso e divertimento.
Gianfranco Manfredi
24.07.2010
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AGGIORNAMENTO DEL 3 GENNAIO 2011
Ecco un nuovo tassello di questa discussione dedicata alla “letteratura dei vampiri e di altri orrori”: l’uscita del nuovo libro di Franco Pezzini e Angelica Tintori. Si intitola: “Peter & Chris – I Dioscuri della notte” (Gargoyle books, 2010). Segnalo, tra i commenti, gli ottimi interventi del solito Gianfranco Manfredi. Di seguito, la scheda del libro. La rassegna stampa la trovate cliccando qui.
Massimo Maugeri
Poche coppie dello schermo hanno influito tanto profondamente sull’immaginario collettivo quanto quella formata da Peter Cushing e Christopher Lee. Nel corso delle rispettive, lunghe carriere, i due attori si sono cimentati nei piu’ svariati tipi d’interpretazione, ma la consacrazione a icone internazionali e’ avvenuta sul terreno dell’horror. A partire dai primi e ormai leggendari film in coppia per la Hammer, The Curse of Frankenstein (1957) e Dracula (1958), e via via di pellicola in pellicola, Cushing che muore nel ’94, e Lee ancora oggi attivissimo a quasi novant’anni hanno saputo intessere un rapporto professionale e personale di profonda amicizia. Caratterialmente dissimili ma complementari: dotato di straordinario calore umano Cushing, aristocraticamente burbero e affettuoso Lee. Diversi per vissuto e ambizioni, e tuttavia accomunati da una tenacia che affiora nei rispettivi personaggi. Capaci di esprimere una comune britannicita’ anche nei frequenti ruoli stranieri o esotici. Entrambi eclettici e ricchi di doti artistiche (Cushing modellista, pittore, ornitologo; Lee cultore di storia, golfista, viaggiatore), questi Dioscuri della notte in transito incessante sullo schermo tra castelli e sepolcri rappresentano una testimonianza dello spessore professionale e personale che puo’ star dietro a film etichettati come ‘popolari’. Mai consumate in stereotipi, le maschere offerte da Cushing & Lee hanno spalancato all’Occidente del secondo Novecento una rinnovata galleria di mostri gotici. Con loro si e’ affermato un sofisticato sistema simbolico di enorme impatto sul pubblico ancora nell’eta’ di Twilight, come del resto testimonia un diffuso e appassionato culto che corre tuttora sul web, a riconoscere nella storia di questo tandem un’appassionante epopea umana e cinematografica, ma insieme un capitolo fondamentale delle mitologie dell’uomo moderno.
Cari amici, ci siamo…
Ecco l’annunciato post dedicato alla “letteratura dei vampiri”.
Gli “ospiti speciali” invitati sono davvero tanti e organizzare la discussione mi ha richiesto un certo “sforzo organizzativo”.
In ogni caso: ci siamo!
Oltre agli ospiti, sono altrettanto numerosi i libri segnalati…
Insomma, credo proprio che questo post ci farà compagnia per parecchi giorni.
Ma veniamo a noi…
Ed ora consentitemi di elencarvi gli “ospiti speciali” di questo post (poi, nei commenti a seguire, leggerete le loro minibiografie).
Un primo ringraziamento speciale va a Francesco (Didò) Di Domenico e a Laura Costantini per i loro articoli che trovate sul post…
Buongiorno… anzi, visto il tema, buonanotte a tutti. Digito da lavoro e prometto che interverrò il più possibile. Soprattutto perché il piatto è ricchissimo di spunti 🙂
Ma ne approfitto per ringraziare sin da adesso tutti gli ospiti che interverranno nel corso della discussione:
Per discutere di questo tema ho invitato alcuni ospiti speciali:
– Simonetta Santamaria (altresì nota con l’appellativo di Simonoir), scrittrice di romanzi horror, la quale ha di recente pubblicato un sanguigno saggio edito da Gremese e intitolato, appunto, “Vampiri. Da Dracula a Twilight”
– Flavio Santi, autore del romanzo “L’ eterna notte dei Bosconero” (Rizzoli)
– Danilo Arona, autore, tra gli altri, del romanzo “L’estate di Montebuio”, nonché di un contributo sulla nuova edizione di “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli editi da Gargoyle,
– Gianfranco Manfredi, che – tra le altre cose – ha predisposto la bella antologia “Ultimi vampiri” edita da Gargoyle
– Claudio Vergnani, autore di “Il diciottesimo vampiro”… anche lui edito da Gargoyle
– Paolo De Crescenzo, uno dei massimi conoscitori di cultura horror in Italia, nonché editore della citata casa editrice Gargoyle,
– Franco Pezzini, uno dei più preparati tra gli intellettuali specializzati in “letteratura terrifica”.
Laura è già intervenuta!!!
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Ciao, Laura… e ancora grazie.
Ne approfitto per comunicare che Laura Costantini e Nicoletta Santamaria (che qui a Letteratitudine sono di casa) mi daranno una mano a coordinare e a moderare la discussione.
Piccola anticipazione: la suddetta Laura Costantini e la sua partner letteraria, Loredana Falcone, hanno scritto un “racconto vampirico” a quattro mani che avrete modo di leggere qui, nel corso della discussione.
Come avrete notato la casa editrice Gargoyle è molto presente nell’ambito della discussione.
E io ne sono molto felice!
Credo che gli appassionati del genere non possono non sostenere la Gargoyle (acquistandone gli ottimi libri, ovviamente).
http://www.gargoylebooks.it/site/
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Ne approfitto per salutare Costanza Ciminelli dell’ufficio stampa… ringraziandola per il supporto.
Ed ora… le minibiografie degli ospiti, partendo dagli “articolisti” Francesco Di Domenico e Laura Costantini.
Poi, quelle di tutti gli altri citati sopra…
Minibiografia di Francesco Di Domenico
Francesco Di Domenico, nato a Giugliano in Campania (Na), nel 1975 partecipa alla fondazione delle prime radio libere a Napoli. Nel 1978 crea con Riccardo Marassi (attuale vignettista del “Mattino” e del mensile “Linus”) la trasmissione radiofonica umoristica Broadway. Alla fine degli anni Ottanta partecipa e collabora al progetto Ragù, pagina cult di satira del “Mattino”. Fino agli anni Novanta scrive di satira su varie riviste napoletane (tra cui “NdR”). Nel 2003 è finalista al premio “Movimento Comico”. Nel 2005 pubblica il racconto Triangolare “Old Biscardi” nell’antologia degli umoristi napoletani Quel sacripante del grafico si è scordato il titolo (Graus & Boniello Editori), vince il Premio “Noli Prize” con il racconto Messaggio in bottiglia, successivamente pubblicato nell’antologia Un mare di brividi e risate (Natrusso Editore), e si classifica al secondo posto al Premio “Vedi Napoli e poi scrivi” con il racconto Il Pensiero Mediocre, pubblicato in un libro omonimo dalla casa editrice Kairós. Nel 2006 con il racconto 1968/2006 Diari politici è semifinalista al Premio “Massimo Troisi”. Nello stesso anno il suo racconto Delitto al ristorante cinese napoletano esce nell’antologia Sangennoir (Kairós). Nel “2008” il suo racconto Frida è stato pubblicato nell’antologia “Le affinità affettive” (Albus Edizioni). A dicembre 2008 esce “Storie brillanti di eroi scadenti” (Centoautori).
(Auto)minibiografia di Laura Costantini
“Mi chiamo Laura. Ho iniziato a scrivere favole a otto anni. A undici ho capito che volevo essere una giornalista. A tredici ho creato una serie di romanzi brevi accomunati dal personaggio di un alieno, Dankan, capitato sulla Terra.
Nell’estate tra l’esame di terza media e l’inizio del Liceo Classico, ho scritto il romanzo storico “Tiger”, che narra le gesta molto salgariane di un Lord inglese mezzosangue (madre inglese, padre indiano e pure paria, tanto per non farci mancare niente) durante tutta la seconda metà dell’800.
A quattordici ho cominciato a scrivere insieme a Loredana Falcone.
Nel 1994 ho frequentato un corso di giornalismo ed ho firmato il mio primo articolo sul quotidiano nazionale Il Secolo XIX.
Nel 1995 ho fatto parte della redazione del TG5, poi sono passata alla stampa periodica. Le parole hanno accompagnato ogni passo della mia vita, ed ogni passo ha puntato a realizzare il sogno di pubblicare i romanzi miei e di Loredana.
Nel 2003 è stato pubblicato “Eibhlin non lo sa…”.
Nel gennaio 2006 è la volta di “Testamento d’amore”.
Nel settembre dello stesso anno la Maprosti&Lisanti ha pubblicato “New York 1920 – il primo attentato a Wall Street”, primo romanzo di una trilogia storica dedicata al XX secolo. Ma la strada è ancora lunga e i sogni da materializzare in parole ancora moltissimi.”
Nel 2007 è stato rieditato “Eibhlin non lo sa”… ed è stato pubblicato “La guerra dei sordi”
Nel 2008 abbiamo pubblicato “Roma 1944 – lo sposo di guerra” ideale sequel di New York 1920 e “Le colpe dei padri”.
Minibiografia di Simonetta Santamaria
Simonetta Santamaria, giornalista, vive e scrive a Napoli.
Ha vinto l’XI edizione del Premio Lovecraft col racconto “Quel giorno sul Vesuvio” (CentoAutori 2007 – in volume con “Una foglia, un sasso, un fiore giallo”). Sua l’inquietante raccolta al femminile “Donne in Noir” (Il Foglio 2005), l’e-Book “Black Millennium” e il romanzo “Dove il silenzio muore” (CentoAutori 2008). Ha scritto anche “Vampiri”, il primo non-saggio sulle più affascinanti e temute creature della notte, già tradotto in francese e spagnolo (Gremese, 2009).
Ha pubblicato racconti in diverse antologie tra cui “Un cuore nuovo” (progetto Il Giralibro 2006), “Irrefrenabile passione” (San Gennoir – Kairòs 2006), “Confessione di un apprendista di bottega” (Partenope Pandemonium – Larcher 2007), “Necromundus”, da un’idea di Giuseppe Cozzolino (M Rivista del Mistero – Alacran 2007), “Nel nome dell’amore” (Questi fantasmi… – Boopen Led 2009), e ancora “Quel giorno sul Vesuvi”o (Gialli Mondadori 2009).
Il quotidiano La Repubblica l’ha definita una delle “signore della suspense made in Naples” mentre il Corriere del Mezzogiorno la consacra come “lo Stephen King napoletano”.
Dice: “Non mi prendo mai troppo sul serio, altrimenti sarei una serial killer”
Minibiografia di Flavio Santi
Flavio Santi (1973) il male l’ha respirato fin da piccolo: per tutta la giovinezza è vissuto tra Novi Ligure, teatro del massacro di Erika e Omar, e il Friuli paterno, una delle poche regioni in Italia a mantenere vivo il ricordo e il timore dei vampiri (nella vicina Istria si registrò uno dei primi casi di vampirismo storico: Giure Grando di Corridico). Ma il destino ha voluto intrecciare a filo doppio il suo legame con le tenebre: nell’autunno del 2000 una borsa di studio lo porta per sei mesi a Ginevra. Trova una stanza in un sobborgo, Cologny. Chemin de Ruth 9. Una bella casa sulle brume del lago Lemanno. Proprio lì inizia a scrivere “L’eterna notte dei Bosconero”. Avverte strane presenze intorno al Lago, ma non capisce. Solo al ritorno in Italia scoprirà una coincidenza inquietante: la bella villa di Chemin de Ruth 16, la cui vista dalla finestra lo accompagnò in quei mesi, altro non era che la celebre Villa Diodati. La villa dove nel giugno 1816, in giornate uggiose, l’orrore prese forma di parola: Mary Shelley vi scrisse Frankenstein e lord Polidori Il vampiro. La letteratura gotica nacque lì.
Per il resto insegna all’università e traduce, soprattutto romanzi dall’inglese (Wilbur Smith, Barry Gifford, James Kelman, Robert Stone ecc.).
Il suo primo romanzo, una specie di Finnegan’s wake friulano, “Diario di bordo della rosa” (PeQuod, 1999, ora in corso di traduzione in Francia), è stato amato da Gesualdo Bufalino e criticato da Aldo Busi. Considerato uno dei poeti più interessanti della nuova generazione (responsabilità che ha dovuto difendere perfino in un’epica puntata del “Maurizio Costanzo Show” dedicata alla poesia), ha scritto diversi libri di poesia: dal primo, “Viticci”, vincitore del premio “Sandro Penna” insieme a Edoardo Sanguineti, alle raccolte in dialetto friulano “Rimis te sachete” (Marsilio, 2001) e “Asêt” (Barca di Babele, 2003), che gli valsero da più parti l’accostamento con Pier Paolo Pasolini, fino all’ultimo, del 2004, un’anticipazione di un poema in progress “ucronico” e impazzito, assolutamente inedito in Italia: “Il ragazzo X” (Ed. Atelier), storia, tra il civile e il fantascientifico, del clone di Giacomo Leopardi, riportato in vita nelle carni di un giovane precario dei nostri anni.
Minibiografia di Danilo Arona
Nato ad Alessandria nel 1950, Danilo Arona è laureato in filosofia con indirizzo psicanalitico. Saggista, critico cinematografico e letterario, scrittore, giornalista e chitarrista, dal 1978 a oggi, ha firmato oltre venti titoli tra saggi di cinema, inchieste sul lato oscuro del sociale e romanzi horror. Nella sua produzione più recente spiccano: “L’ombra del dio alato”, “La stazione del dio del suono”, “Palo Mayombe”, “Cronache di Bassavilla”, “Black Magic Woman”, “Finis Terrae”, “Melissa Parker e l’incendio perfetto”, “Santanta”, “Pazuzu e La croce sulle labbra”. Interessato a dimostrare che l’Italia è uno dei più vasti contenitori mitologici del pianeta, nella sua narrativa Arona un personale concetto di horror autoctono, legato alle paure del territorio.
http://www.daniloarona.com
Minibiografia di Gianfranco Manfredi
Cantautore, sceneggiatore, attore, scrittore, Gianfranco Manfredi nasce a Senigallia nel 1948. Si trasferisce a Milano all’età di otto anni. All’università, studia Filosofia e si laurea con Mario Dal Pra. Agli inizi degli anni ’70, si divide tra la ricerca universitaria sull’Illuminismo francese e l’attività di cantautore: escono gli album “La crisi” (1972), “Ma non è una malattia” (1976), e il saggio “L’amore e gli amori in Jean-Jacques Rousseau” (1978). A un passo dall’ottenimento della cattedra in Storia della Filosofia, Manfredi decide di dare spazio esclusivamente alla sua vena artistica. Come cantautore realizza gli album “Biberon”, 1978; “Liquirizia”, 1979 (colonna sonora dell’omonimo film di Salvatore Saperi); “Gianfranco Manfredi”, 1981; “Dodici”, 1985 (in coppia con Ricky Gianco); “In Paradiso fa troppo caldo”, 1993; “Danni collaterali”, 2003; firma, altresì, brani per interpreti del calibro di Mia Martini (“Io donna, io persona”, 1976), Gianna Nannini (“Riprendo la mia facci”a, 1977), e Gino Paoli (“Parigi con le gambe apert”e, 1988). Inoltre, comincia a lavorare per il cinema come sceneggiatore: Samperi (“Liquirizia”, 1979, e “Fotografando Patrizia”, 1981) e Steno (“Quando la coppia scoppia”, 1981) sono solo alcuni dei registi con cui collabora. Come attore recita in “Un amore in prima classe”, 1980, e “Fotografando Patrizia” di Samperi, è protagonista del Tv movie “Kamikaze” di Corbucci (1986), ed è tra gli interpreti di “Via Montenapoleone” di Carlo Vanzina (1987). Nel contempo Manfredi inizia a farsi conoscere come romanziere distinguendosi da subito per la sua raffinata propensione a ibridare i registri narrativi e a rimaneggiare in modo del tutto nuovo i tòpoi della letteratura di genere, e ottenendo, per questo, il plauso di personalità come Oreste Del Buono e Pier Vittorio Tondelli. Con Feltrinelli escono “Magia Rossa”, 1983 (riedito nel 2006 per i tipi Gargoyle); “Cromantica”, 1985 (riedito nel 2006 per Marco Tropea), “Ultimi Vampiri” (1987, ripubblicato per i tipi Gargoyle); “Trainspotter” (1989); con Mondadori “Il peggio deve ancora venire” (1992); con Marco Tropea “Una fortuna d’annata” (2000) e “Il piccolo diavolo nero” (2001). Dagli anni ’90 Manfredi avvia un’intensa collaborazione con la Sergio Bonelli, riferimento storico in Italia quanto a editoria del fumetto, creando le seguitissime serie di “Magico Vento”, 1997 (tradotto in diversi paesi ed è attualmente è al vaglio di opzioni cinematografiche americane) e di “Volto Nascosto”, 2007. Gianfranco Manfredi vive e lavora a Gordona (Sondrio).
http://www.gianfrancomanfredi.com
Minibiografia di Claudio Vergnani
Claudio Vergnani è nato a Modena nel 1962. Svogliato studente di Liceo Classico e ancor più svogliato studente di Giurisprudenza, preferisce passare il tempo leggendo, giocando a scacchi e tirando di boxe. Dopo una parentesi militare, sbarca il lunario alla meno peggio, passando da un mestiere all’altro. Dalle palestre di body building alle ditte di trasporti, alle agenzie di pubblicità, alle cooperative sociali, è sempre perennemente fuori parte e costantemente in fuga. “Il 18° vampiro” è il suo primo romanzo
Minibiografia di Paolo De Crescenzo
Paolo De Crescenzo è nato a Roma nel 1947. Dopo una lunga esperienza come direttore finanziario di un grande gruppo cinematografico italiano, è stato direttore generale dell’A. S. Roma, dell’A. C. Fiorentina e della Lux Vide di Ettore Bernabei (per la quale ha prodotto nel 2001 la miniserie “Il bacio di Dracula”, trasmessa da RAI UNO). È stato inoltre consigliere delegato della Rizzoli Produzioni Internazionali. Fondatore della Gargoyle nel 2004, ne è amministratore unico e responsabile editoriale. Sposato e padre di due figli, ama i viaggi, i gatti e si diletta in cucina nella preparazione di ricette tradizionali romane
Minibiografia di Franco Pezzini
Franco Pezzini, saggista, si occupa dei rapporti tra letteratura, cinema e antropologia, con particolare attenzione agli aspetti mitico-religiosi e al fantastico. Laureato in Diritto Canonico con una tesi su “Esorcismo e magia nel diritto della Chiesa”, è stato tra i fondatori della rivista “L’Opera al Rosso” (Marietti, 1990-92). Collabora alle riviste “L’Indice dei libri del mese”, “LN – Libri Nuovi” e “Carmilla on line”, ed è autore dei saggi “Cercando Carmilla. La leggenda della donna vampira” (Ananke, 2000); con Arianna Conti, “Le vampire. Crimini e misfatti delle succiasangue da Carmilla a Van Helsing” (Castelvecchi, 2005); con Angelica Tintori, “The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo” (Gargoyle Books, 2008) e “Peter & Chris. I Dioscuri della notte” (Gargoyle Books, in uscita dicembre 2010). E’ vicepresidente del Comitato scientifico di “Autunnonero – Festival Internazionale di Folklore e Cultura Horror”.
E adesso… vi ripropongo le domande del post a cui tutti (“ospiti speciali”, frequentatori abituali e di passaggio del blog) sono invitati a rispondere.
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
– Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
– Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
– Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
– La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
– C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella stroria della “letteratura vampirica”?
– A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
.
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
Perdonate i commenti “a raffica” (ma mi servono per introdurre meglio il post).
Come ho già anticipato… altre domande potrebbero essere formulate nel corso della discussione che sarà più che mai improntata sullo scambio, sull’arricchimento reciproco e sulla interattività.
Off topic:
Mio ospite della puntata radiofonica di domani – a “Letteratitudine in Fm” (su Radio Hinterland) sarà Gianrico Carofiglio.
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Radio Hinterland è “ascoltabile”, su Fm 94.600 MHz, nel territorio della provincia di Milano e oltre… e in streaming via internet (ovunque) da qui: http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx
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Per altre info:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
Non so se mi sarà possibile riconnettermi.
In ogni caso auguro a tutti una buona serata…
Innanzi tutto un saluto e i miei complimenti a Francesco Di Domenico per la bella recensione. E complimenti anche a Laura Costantini. E saluti e un rigraziamento particolare a Massimo il quale sa centrare con precisione certi “umori letterari” che attraversano le nostre pagine quotidiane.
Un paio di citazioni letterarie da parte mia: su quello che potremmo definire “vampirismo psichico” ricordo la novella di Guy de Maupassant, “La Horla”. Qualche anno fa Robert Sheckley ha scritto un breve racconto, una interessante nuova versione della novella di Maupassant, intitolato appunto “The New Horla”.
Citazione cinematografica d’obbligo: uno dei capolavori di Werner Herzog, un film del 1979, “Nosferatu, il principe della notte”, con un cast straordinario: Klaus Kinski, Isabelle Adjani e Bruno Ganz. Straordinaria anche la colonna sonora dei “Popol Vuh”.
Questa storiella l’ho sentita raccontare un po’ di tempo fa. Naturalmente è in tema, quindi metto in guardia gli animi più sensibili…
*
Un vampiro viandante giunge in piena notte in una città di vampiri. Ha bisogno di rifocillarsi. Trova un bar aperto. Entra.
Il bar è frequentato da numerosi vampiri i quali sorseggiano tazze di sangue caldo, consumano dessert di sangue rappreso, si inebriano con varie simili pietanze al sangue.
Il vampiro viandante va al bancone e ordina al vampiro barista:
“Una tazza di accqua calda, per favore.”
Il brusio che c’era nel bar si interrompe d’improvviso trasformandosi in un “Oooh” di disappunto. Tutti i vampiri volgono lo sguardo indignato verso il bancone.
E il vampiro viandante, togliendo dalla tasca del suo vestito nero un tampone mestruale usato, dice:
“Ma io volevo solo preparami una tisana!”
Il mio percorso formativo sa troppo di psicanalisi del profondo per riuscire a sfuggirne. E poi non ho nessuna intenzione di farlo… Al di là delle alterne fortune letterarie e cinematografiche del filone (molto legate spesso a una maschera particolarmente efficace, classico esempio Chris Lee…), temo che siamo tutti, chi più chi meno, “vampiri dentro”, intenti ogni giorno a succhiarci vicendevolmente la linfa vitale tanto nei rapporti d’amore quanto nel mondo del lavoro. Troppo semplice? Nient’affatto. Nosferatu (Murnau) annunciava il nazismo sorgente e mai metafora sarebbe stata più puntuale soprattutto nel sottolineare lo spargimento del sangue e il furto del “plasma economico”, messo in piedi dall’ideologo Rosenberg ai danni del popolo ebraico (solo che la critica in genere, ma soprattutto a sinistra, ancora negli anni ’70 non si accorgeva di quel che c’era stato dietro il sipario espressionista…). Il Dracula hammeriano (Fisher) scombinava eroticamente la società vittoriana, restituendo alle femmine del periodo il diritto-dovere di annullarsi nel momento estatico dell’orgasmo. Oggi il vampirismo avrebbe di che collegarsi con le politiche planetarie (quelle finte-solidali…), con i premier che possiedono castelli (nei Carpazi?), con le mafie e con le varie “addiction” sagacemente seminate ad arte nei meandri della società civile (coca non cola…). E poi che dire dei “vampiri della mente” che ti rubano quel poco che resta del cervello senziente dal tubo catodico? SIAMO vampiri, è per questo che ci credo… Ma qui mi blocco perché il cesto delle provocazioni mi sembra non pieno, ma alto quanto basta (per il momento…)
“Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?”
a entrambi… perchè la paura ha il suo fascino! elementare no?
ciao
Salve a tutti. Cerco di dare alcune rape risposte alle domande postate da Maugeri.
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
Perchè il vampiro incarna la summa delle figure mostruose e dei terrori atavici che popolano da secoli gli incubi degli esseri umani. Che sia un mostro imputridito o uno stucchevole damerino in frak con la faccia infarinata, in ogni caso proverà a sottarci la linfa vitale. Lo potrà fare alla dove cojo cojo, buttandosi come un cretino sulla prima gola disponibile, o circuendo la vittima di turno con moine da ballerino di tango argentino, annoiandola con storie lacrimevoli di secoli di solitudine e amori perduti, ma di certo mira al sangue. E il sangue – come diceva Woody Allen – è meglio che stia dentro.
Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
Dipende dal vampiro. Un non-morto mitteleuropeo appena uscito dalla fossa e ancora ricoperto di fluidi e di vermi che si butta addosso al primo disgraziato che incontra sarà a dir poco un cafone, e – anche per motivi olfattivi – noi non vorremo aver a che fare con lui. Se proprio ci devono spillare il sangue, allora meglio avere a che fare con le tre spose di Dracula (pur nel lecito sospetto che si tratti di tre casalinghe frustrate private finanche della valvola di sfoga del cucinare) che almeno una coscia e un capezzolo (se gira bene) forse lo lasciano intravedere. Quindi, i vampiri (e le vampire) sono mascalzoni, ma un baciamano serve pur sempre a zuccherare la pillola.
Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
Il vampiro è un frequentatore ormai abituale dei nostri salotti horror. E’ il primo ad arrivare e l’ultimo a togliersi dai piedi (con la patetica scusa che si è alzato al tramonto non si leverà di torno prima dell’alba, lo sciagurato) E’ diventato quello che Bufalino avrebbe definito “un personaggio di romanzo”. Tutti sono convinti di conoscerlo a fondo. E vai a dar loro torto!, ormai di vampiri ce n’è per tutti i gusti. In fondo, come molti di noi, il non-morto si è fatto con il tempo, affinandosi come una brava ragazza al suo primo impiego. Ora come ora, l’ultimo dei vampiri di Blade (tanto per fare un esempio) si offenderebbe se gli chiedessimo se è in qualche modo imparentato con gli Upyr balcanici o con i demoni succhianeonati citati da Tacito. Ci toglierebbe il saluto, prima ancora del sangue.
Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
Credo che la differenzia essenziale sia che Stoker (ed epigoni) – checchè se ne dica – scriveva di vampiri per scrivere (giustamente!) di vampiri. Ora – per un processo che verrebbe da dire fisiologico – il vampiro, e ciò che egli si porta dietro in termini di terrore ed allucinazione, è un’occasione ghiotta (almeno in parte) per scrivere anche d’altro. Non una spalla, certamente, ma un buon amico che offre con aplomb il giusto spunto nel giusto momento. E ha un grosso pregio: non si tira mai indietro. Ficcalo in un castello dei Carpazi o mettilo in aula di scuola negli stati uniti, il suo canino non si appannerà mai.
Fine primo round … a dopo …
Caro Max giusto il tempo di salutare iSubhaga che non sento da tempo e dirti che, prima di scrivere le cose strambe che ho scritto recentemente, ho lavorato a una trilogia di esseri ‘fantastici’. Il progetto era fantasmi – licantropi – vampiri. Ovvero lavorare sul tempo attraverso queste figure.
Il fantasma mi consentiva di ragionare sulla ciclicità del tempo (i fantasmi, si sa, appaiono a ore o giorni stabiliti).
Il licantropo sulla elasticità del tempo (si trasforma improvvisamente, ha breve vita, ritorna ‘normale’ all’improvviso)
Il vampiro sulla incommensurabilità del tempo (i vampiri, si sa altrettanto sono ‘eterni’).
Scrissi i primi due libri – ‘Il volo dell’occasione’ e ‘Cacciatori di notte’ nel 1994 e 1997 per Longanesi. (Il volo l’ho ripubblicato nel 2004 con Fazi) ma non arrivai mai a scrivere il terzo, conclusivo, sul vampiro.
Boh, magari, me lo tengo per la vecchiaia.
Però mentre ho una certa stanchezza per i thriller, gialli, noir, etc. etc. il fantastico mi attira sempre.
Però ho l’impressione che se cominciassi a scrivere il capitolo conclusivo della trilogia, uscirebbe quando la moda vampiri sarebbe già passata. In perfetta distonia coi tempi altrui e sintonia altrettanto perfetta coi miei che sono, spesso, controcorrente.
Ciao a tutti
Eh, quanti siamo!! Innanzitutto ringrazio Massimo che ci ha aperto anche stavolta le porte della sua casa. A Francesco “Didò” Di Domenico che ha scritto la bella recensione intingendo per un momento nel sangue la sua penna umoristica. A Laura Costantini che mi affiancherà in questo complesso dibattito.
Proverò in breve a dare qualche info che poi approfondiremo strada facendo.
Nel turbinare della letteratura vampirica, ho voluto scrivere VAMPIRI perché non è un romanzo. In effetti ho cercato di mettere ordine in questo gran caos che vede un vampiro sempre più snaturato, vittima della modernizzazione e della tendenza modaiola. Appartengo alla vecchia guardia e perciò sono legata alla figura vampirica classica, quella letale, spietata, anaffettiva. Se volevo un vampiro tutto sentimenti e pentimenti mi andavo a vedere un film di Moccia. E leggo che pure Paolo De Crescenzo, direttore della Gargoyle Books, ha definito i personaggi di Twilight “vampiri di Moccia”.
La figura del vampiro fa parte dell’immaginazione collettiva mondiale perché ha radici che affondano nel mito e nel folklore mondiale. Potremmo addirittura costruire una torre di Babele vampirica.
La letteratura italiana che si occupa dei vampiri SAREBBE BEN all’altezza di quella estera se avesse la dovuta considerazione da parte della grossa editoria e dei media. All’estero spesso si costruisce dietro uno scrittore un’impalcatura solida fatta di marketing: qui sei solo, a meno che il tuo nome non venda per te. Di conseguenza, la reticenza del lettore italiano medio che non conosce bene l’autore e preferisce fidarsi del consiglio del quotidiano o della pubblicità in tv.
Di Stephen King ho l’opera omnia e “Le notti di Salem” resta uno dei miei preferiti: ambientazione, atmosfera, sana crudeltà sono gli ingredienti che fanno di quel libro una pietra miliare del genere. Ancora meglio, per lgi amanti del racconto, Jerusalem’s Lot e Il bicchiere della staffa, entrambi nella raccolta A volte ritornano: due gioieli.
Ciao Filippo! Ricambio con tanto affetto il saluto! E spero di leggere i tuoi “lavori sul tempo”.
Ma che allegria! Ci sarà da divertirsi in questo post. Sto finendo di leggere il libro di Simonetta Santamaria, più che leggerlo direi lo sto gustando, sto trovando notizie sui vampiri che mai avrei immaginato. E ci sono anche ricette gustosissime, come il Didò al sanguinaccio. Interverrò con maggiore competenza non appena avrò finito di leggere il libro. Confesso che ne so ben poco sui vampiri. L’unico vampiro che conosco è mia suocera, la quale mi incute terrore solo a nominarla. Per adesso come biglietto da visita posso portare i miei tre anni che ho lavorato al cimitero. Aggiungo che non accetterei mai un invito a cena dalla signora Santamaria (ed eviterei pure la Costantini a dir la verità), ma neanche se mi firmasse un documento nel quale si certifica che è vegetariana.
@Salvo: eppure i miei canini sono assolutamente nella norma.
Intervengo molto rapidamente, promettendo più corposi interventi in seguito. E intervengo per dire che definire i vampiri di Twilight i vampiri di Moccia è riduttivo. Il fascino che la Meyer ha saputo trasfondere nella famiglia Cullen, nei Volturi e in tutti i personaggi di contorno non ha niente da invidiare ad alcune pagine di Ann Rice, altra grandissima portabandiera del genere *succhiasangue*.
Sulla letteratura vampiresca nostrana sto scoprendo cose grazie a questo post (e a Massimo Maugeri), ma da Bram Stoker in poi, ho seguito il genere con interesse: dalle ingenuità di LeFanu (Carmilla ormai non farebbe paura neanche ad un infante) per giungere alla saga di Lestat che meriterebbe un discorso a parte. Credo che nessuno come Ann Rice abbia innalzato la figura del vampiro ad emulo dell’angelo caduto Lucifero, infatti in Memnoch il diavolo (se non vado errata) dai vampiri si arriva direttamente a Dio.
@ Laura: su fb mi pareva di aver capito che Twilight neanche a te aveva convinto… Per ciò che mi riguarda, comunque, l’ho trovato un romanzo basato perlopiù sulle incertezze adolescenziali; le connotazioni dei personaggi non sono bastate a rendere convincente la storia. La saga della Rice e di Lestat è tutt’altra pasta, le due autrici non mi paiono neppure accostabili, per carità. Anche la nostra Chiara Palazzolo ha scritto la sua storia d’amore dannato di Mirta/Luna, però con tutto un contorno degno del piatto di un re. La sua saga m’è piaciuta molto, e spero che intervenga in questa discussione per poter avere l’occasione di farle i miei complimenti.
2° round
La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
Sì e no. E’ su un altro piano. Ed è un bene che lo sia, perchè il confronto sarebbe impari, anche perchè – molto spesso se non sempre – un libro è solo in parte ciò che narra e come lo narra. Marketing e promozione – che il libro sia buono o meno – sono il propellente che non solo lo farà conoscere, ma che servirà anche a connotarlo. Da questo punto di vista, qui in Italia siamo su un altro pianeta. Anzi, su un satellite. Che è anche un vantaggio, a ben vedere. Permette infatti ad autori oscuri come il sottoscritto d’avere un comodo alibi nel caso la propria opera non tiri. 🙂
C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
Fino a dieci anni fa mi verrebbe da dire di sì. Ora come ora, probabilmente molto meno. Di certo un vampiro di Salem venderà sia a Salem che a Roma. Un vampiro di Borgo Panigale rischia di non vendere nemmeno nella libreria sotto casa sua. Non sarà giusto, ma lo possiamo anche capire.
Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella stroria della “letteratura vampirica”?
Sì, buono senza dubbio, ma non indimenticabile. Seicento pagine perchè il vampiro capo si faccia raggirare come un pirla sono francamente troppe. Il che non toglie che rimanga un cult. I libri cult non sono necessariamente libri perfetti. E poi, che altro potrebbe fare un vampiro cattivo, dopo dieci o seicento pagine, se non abbozzare più o meno malvolentieri, e farsi impalare … ?
A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
.
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
Direi che si tratta semplicemente di un buon prodotto, dove per buono si intende il termine nell’accezione più vasta. Ben confezionato, strizza l’occhio al suo pubblico, com’è giusto che sia. Tra l’altro, rivolgendosi dichiaratamente appunto ad una platea di adolescenti che di certo, almeno in massima parte, non possiede riferimenti letterari precedenti, non ha nemmeno il bisogno di confrontarsi con illustri antesignani. Chapeau.
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
Ho dei dubbi. Da un vampiro puoi ancora difenderti, dai politici italiani no.
Buona serata a tutti
Sono d’accordo con Simonetta: quelli di oggi non sembrano più i bei vampiri di una volta! Non saranno di Moccia, ma non mi attirano proprio. Sono mosci figli dei nostri giorni, altro che epigoni del mito di Lilith, o di Satanasso in persona.
Quei bei Nosferatu, Vlad Drakul, Vurdalak, impersonati dai Boris Karlof, Christopher Lee, Klaus Kinski. Quella bella profusione di aglio: e dire che c’è chi lo elimina pure dal pesto alla genovese: anatema su costoro! Meriterebbero che un principe di Valacchia o Transilvania li trascinasse dritto dritto nella locanda della storiella di Gaetano Failla! Naturalmente in dispensa (tra le scorte di viveri).
Grazie Carlo, ti devo un caffè! 😉
@ Zap: non mi piace cucinare quindi t’inviterei a mangiare una bella pizza. E comunque fai bene a dubitare! 😉
Battutacce a parte sono contento che VAMPIRI sia di tuo gradimento, e che tu sia stato il primo qui a parlarne (hai battuto Didò sul tempo). Ho cercato di fare un buon lavoro a tutto tondo rendendo il libro al contempo piacevole e non noioso. Le tematiche sono molteplici perché molteplici sono le radici del mito del vampiro. Un saggio non-saggio per i vampirofili di ogni età.
Bellissimo questo post! E bravissimo Massi a creare una tale sovrapposizione di voci! Un abbraccio particolare a Laura Costantini e a Simonetta Santamaria che – ogni volta che posso – seguo con infinito piacere.
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Per rispondere alla prima domanda (Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale…) credo che, in realtà, si tratti di una suggestione molto antica che affonda nelle nostre paure, nelle pizzute e inaccessibili cavità del sonno, nel nostro – incessante – rapportarci col “dopo”, con “l’oltre”, col buio sprofondante che immaginiamo tra noi e la fine.
Non a caso riferimenti a figure mitiche come i vampiri si trovano ovunque nelle varie epoche storiche e fin dai primordi (pur con trasformazioni e trasfigurazioni).
Già nell’Odissea Ulisse attira Tiresia (che gli profetizzerà il suo esilio e il pellegrinaggio per mare) con sangue di pecora (il “sangue nero” cui i morti si abbevereranno). C’è quindi un ritorno al sangue come simbolo di vita ma anche di passaggio, di rito iniziatico e quasi lacustre. Un battesimo, ma per un’altra vita e un altro viaggio, a metà tra la luce e il buio.
Ti riporto un passo dell’Odissea “vampiresco”:
“… E quando con voti e suppliche le stirpi dei morti ebbi invocato, prendendo le bestie tagliai loro la gola sopra la fossa: scorreva sangue nero fumante. S’affollarono fuori dall’Erebo l’anime dei travolti da morte… ma io, la spada affilata dalla coscia sguainando, sedevo e non lasciavo le teste esangui dei morti avvicinarsi al sangue, prima che interrogassi Tiresia…”.
E riagganciandomi alla Sicilia evocata da Flavio Santi (geniale l’idea dell’ultimo viaggio di Goethe e del capitolo sconosciuto del suo “viaggio in Italia”) devo dire che riferimenti vampireschi non mancano neanche nelle nostre tradizioni siciliane… Si tratta di leggende legate alla paura del male, delle pestilenze approdate dalle invasioni, delle diversità suggerite dai cambi di razza, di dominio, di nemici…
E infatti mia nonna mi raccontava sempre delle “donne di fuora” (le donne di fuori), donne che si avventuravano nella notte col solo spirito per congiungersi alle anime degli inferi per averne consigli, risposte e domande di cose future, secondo le richieste dei clienti.
Era credenza che le “signore” costituissero una società di 33 potenti creature, le quali erano sotto la dipendenza di una mamma maggiore, che si trovava a Messina. Tre volte la settimana, le notti di martedi, giovedi e sabato uscivano in ispirito e andavano a concilio a Ventotene, per deliberare sulle fatture da rompere, le legature da sciogliere, i castighi o i premi da proporre contro o in pro di chi ha meritato il loro odio o il loro amore. La donna di fuora prima di coricarsi ricordava al marito o ad altri che erano in casa che la notte era di uscita, e diceva a tutti che non doveva essere toccata durante la sua permanenza “fora” (fuori).
Chi voleva in casa una “bella signora” doveva prima della mezzanotte, ardere dell’incenso, foglie d’alloro e rosmarino. … La tradizione narra che le prime donne di fuora ricevettero la potenza direttamente dal demonio, a cui per contratto diedero l’anima.
Quando si insinuano in una casa non hanno forma di pipistrelli, come i vampiri, ma di creature notturne: lucertole, topi e gatti.
Sono simbolo di un’ostinazione alla vita e alle sue regole. Di una difesa indomita della casa e del territorio. Come i vampiri non si arrendono alla morte e non si arrendono al suo contrario. Mia nonna diceva che stanno “in mezzo”….
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E adesso, visto che inizio ad avere paura di fare brutti sogni, la chiudo qui….buona notte!
Mi inserisco anch’io – dopo un lieve sobbalzo dopo aver sentito parlare (immagino per sana provocazione a discutere) di “ingenuità” a proposito di Le Fanu. Il fatto è che Carmilla non nasce affatto per far paura – perlomeno, non nel senso più immediato. Come ha detto qualcuno, Le Fanu è troppo furbo per credere agli esseri soprannaturali, troppo intelligente per non credervi: e nell’ambito di una vicenda tutta giocata sul potere vampirico della malinconia, la vergine funesta Carmilla emerge quale doppio della narratrice Laura, evocata dalla solitudine e da un inconosciuto, divorante desiderio – un volto oscuro, sovversivo e irresistibilmente seduttivo che le allusioni del romanzo (ben più di certe scollacciate rivisitazioni filmiche) circonfondono di pericolosa minaccia sessuale. Laura è prigioniera in un mondo di vecchi, e forse non a caso la vicenda è ambientata in quella Stiria la cui little capital Graz era chiamata scherzosamente “Pensionopoli”, in quanto classico luogo di ritiro di alti funzionari e ufficiali come suo padre. Nessuna sorpresa dunque se proprio il Mondo Vecchio da cui la narratrice aveva cercato scampo tramite Carmilla muoverà per stroncare quella pericolosa, irrisolta ribellione – una realtà profonda che Laura, non-morta alla vita, non riesce a razionalizzare e la condanna alla deriva schizofrenica del rimpianto. A ben vedere la vicenda di Carmilla rappresenta una ghost story di confine, e nell’ambiguità del personaggio è compresa una dimensione spettrale, fantasmatica e inafferrabile sopravvissuta persino al cinema in una certa libertà dagli stereotipi vampireschi. Si può serenamente concordare con Malcolm Skey nel riconoscere a Le Fanu piuttosto che a Dickens lo scettro di principe della ghost-story vittoriana: ancora in età postfreudiana la collezione di doppi e spettrali persecutori evocati da Le Fanu sul crinale ambiguo tra psiche e oltretomba appare portatore, con i piaceri di una rara eleganza narrativa, di genuine inquietudini ai lettori. Ma inquietudini, appunto, a un livello molto particolare: in Carmilla – per esempio – non ci sono “buoni”, visto che la giovane vampira resta un mostro, e nell’accanimento dei suoi avversari emerge il vampirismo di una senescenza che non è solo un dato biografico. Mi pare che una simile visione In a Glass Darkly (appunto) non possa lasciarci tanto tranquilli… Ma certamente, anche al di là dei rapporti con la ghost story, il rapporto perturbato dei vampiri con la rifrazione dice qualcosa su di noi a livello individuale e sociale. L’horror può evidentemente esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure (di fronte al volo di Pazuzu, tutto sommato alzarmi al mattino per andare in ufficio resta ancora accettabile), ma è importante che al contempo sparigli le carte e mostri cosa è bene temere. A partire da ciò che abbiamo dentro.
Mi inserisco per un breve commento. Qualche anno fa (il 2005, mi pare) ci fu un clamoroso fenomeno editoriale. Un’autrice americana pubblicò un romanzo, molto studiato a tavolino: Il discepolo. Il libro parlava, guarda caso, proprio di vampiri e di caccia ai vampiri (una specie di Buffy l’ammazzavampiri molto acculturato). La scrittrice si firmò Elisabeth Kostova, utilizzando il cognome (mi pare) bulgaro del marito, anche per richiamare l’ambientazione centro-europea di molte scene del romanzo. Il successo fu enorme. Nonostante un’iniziale ritrosia, ho letto il romanzo e mi è piaciuto moltissimo: i riferimenti culturali e storici, la scrittura e anche l’inserimento dello “stile” epistolare rendono il lavoro della Kostova molto suggestivo. Putroppo non posso dire altrettando dei vampiri adolescenti di Twilight, in cui vedo solo un’accozzaglia di attributi soprannaturali e conflitti adolescenziali, variamente miscelati.
A presto!
Un saluto affettuoso a Franco Pezzini, che ci fa illudere di vivere ancora in un mondo civile.
Intanto chiedo scusa per non avere salutato nessuno nel primo intervento. Lo faccio adesso con un abbraccio collettivo. Purtroppo prima ero fuori, proprio all’addiaccio, e ho afferrato il primo PC a portata di mano… Dopo di che continuo. Non so se ho risposto (al volo) al primo quesito, ma continuo a regolarmi così, rispondendo in modo simmetrico alle domande una alla volta al fine di risultare il più possibile esaustivo. Quindi la seconda: paura e fascino. Sicuro, 50 e 50, interscambiabili, con-fusi, senza una vera prevalenza dell’una sull’altro. Anche perché la paura, sempre in ossequio alla psicanalisi del profondo – lo so, scasso… – è, ovviamente, l’Altra Faccia dell’erotismo. Eros & Thanatos, roba vecchia, verrebbe da dire… Sì, ma il vampiro non è giovanissimo in quanto mito. I primi succhiasangue sono di molto antecedenti all’archetipo dei Carpazi e, di sicuro, molto poco affascinanti, se ricordo bene. La fascinazione, “le mourir de plaisir” temo sia un valore aggiunto del cinema… il cinema che ha dato sostanza all’intravista forma letteraria. Da Bela Lugosi a oggi la tentazione a trasgredire incarnata dal vampiro è trasmigrata attraverso attori/feticcio destinati a identificarsi fortemente con il mito rappresentato: ancora una volta è Chris Lee a fornire un modello insuperabile e intoccabile (al punto tale che sarà Lee a far sua la parodia di Dracula in “Tempi duri per i vampiri”), quello del Grande Tentatore Erotico che tenta di sgretolare l’ipocrisia e il puritanesimo dell’epoca di Vittoria. Grande Fisher – e altrettanto i successivi epigoni – a dipingere le “vittime” di Dracula come autentiche complici del mostro, ex vergini di ferro finalmente divenute donne grazie al morso “penetratore”. Non c’è femmina a mia memoria, in tutto il serial Hammer, che non attenda fremendo che Drac affondi le sue zanne nei candidi colli. Perché il vampiro è vitale, vitalistico, e la sessualità delle varie vittime di turno sta invece dormendo da anni… Il fascino, ambiguo, gira da queste parti: c’identifichiamo totalmente in lui (anche perché parla poco e va al sodo), anzi non è sacrilego affermare che abbiamo parteggiato e parteggiamo tuttora per il vampiro… Alla fine di questi pensieri disordinati, ho l’impressione che vinca il fascino, laddove il Brutto può diventare persino Bello se non Sublime, e questa vittoria (di Pirro?…) magari ci porta a considerare con occhio meno sospetto il fenomeno “Twilight”… Fascino okay, ma l’orrore dov’è finito?
Beh, sì; il morto vivente, proprio per rivivere (credo) deve nutrirsi di sangue, del principio vitale. Che il suo fluire dentro i corpi viventi abbia meravigliato e incantato anche i primitivi, che poi gli hanno conferito un significato magico e religioso, facendogli prendere ben presto un ruolo primario nei propri riti (i sacrifici, le offerte agli dei, o ai demoni per placare le loro ire …) mi pare indubitabile. In fondo si nasce anche nel sangue, e si muore tra il rapprendersi del sangue e il suo arrestarsi. Nell’Odissea questo mito primordiale si è già raffinato enormemente, e colorito di nuovi significati (passaggi tra mondi diversi, riti iniziatici, come dice Simona, ecc.).
E cos’è poi il miracolo di San Gennaro, stringi stringi, se non un ritorno alla vita attraverso il liquefarsi del suo sangue di un patrono in grado di proteggerti per tutto l’anno?
Il non verificarsi del miracolo, al contrario, testimonierebbe il sonno del Santo, il suo rifiuto a risvegliarsi e a donarti l’ausilio celeste.
In fondo Dracula e San Gennaro sono figli (a livello elementare) degli stessi ragionamenti .
Ma forse la mia è antropologia spicciola.
Io, da buon genovese, mi rifugio comunque nell’aglio del pesto e del fegato all’aggiadda (niente a che vedere con quello alla veneziana, che la cipolla, si sa, nulla può contro i dèmoni di qualsiasi specie). Non si sa mai.
Salve carissimi.
La vita mi ha concesso, quasi 8 anni fa di avere l’onore di conoscere Simonetta e di diventarne poi, successivamente, un fratellino acquisito.
Nessuno ci crederà, ma questo mostro è una donna dolcissima.
Genesi.
Dopo l’uscita del bellissimo “Dove il silenzio muore”, che ha avuto una distribuzione sfortunata ma, nel suo piccolo, un successo incredibile, Simonoir era un po’ abbacchiata, altro che “blocco dello scrittore”, aveva il sangue alle ginocchia – non si può dire “latte alle ginocchia” di una scrittrice horror – e vaneggiava facendo ghirigori su un foglio bianco.
«Simo? Che stai facendo?»
«Niente Didò, sto lavorando ad una cosa leggera e non ne ho neanche tanta voglia. Un libro sui Vampiri.»
«Ma è meraviglioso, in momenti di postsurrealismo come questi, un libro sull’irrealismo è quantomeno fantastico»
«Naah, non ho voglia di scrivere.»
«Simonetta, piantala e scrivi!»
Poi un giorno di novembre – e ti pareva, lei tutto a novembre fa – si presenta ad un bar della Riviera di Chiaja ( per chi non conoscesse Napoli è il secondo posto più bello dell’universo, il primo è il paradiso) per un caffè e tira fuori “Vampiri”, restiamo, Floriana Tursi ed io, con la tazza a mezz’aria:
«Simooooo! Qualsiasi cosa vi sia scritto li dentro non ha importanza, questo libro ha una veste grafica bellissima, proprio il tipo di volume che da ragazzi sfogliavamo nelle biblioteche dei nostri zii (io avevo lo zio colto, non so voi). E sapete che fa? Mi regala una la seconda copia che ha avuto da Gremese.
Potevo mai scrivere una recensione malevola?
Passo al volo giusto per ringraziarvi per questi primi interventi.
Dò un caldo e “sanguinolento” benvenuto a: Danilo Arona, Claudio Vergnani, Franco Pezzini.
😉
Benvenuti a “Letteratitudine” e grazie per la vostra partecipazione!
Per stasera solo un rapido saluto a tutti gli altri partecipanti (poi, magari, nei prossimi giorni, avrò modo di “riprendere” qualche commento che mi ha colpito in particolare).
Un caro saluto, dunque, a: Gaetano Failla, Didò (appena giunto), Simona Lo Iacono, Filippo Tuena, Luca, Simonetta Santamaria (co-conduttrice del post con Laura Costantini), Carlo S., Salvo Zappulla, Paola…
Affettuosamente pungolato dagli amici dell’ufficio stampa della “Newton Compton”, ho inserito sul post una nota sui «grandi libri» della casa editrice in questione e sulle connessioni con la figura “classica” del “vampiro”.
La trovate, appunto, in alto… sul post.
Prima di chiudere vi invito a interagire e a confrontarvi… soprattutto tra voi addetti ai lavori. Credo sia davvero molto interessante per tutti, potervi leggere.
Per il momento chiudo qui e vi auguro buona notte.
Mi raccomando: finestre chiuse e aglio a portata di mano.
E almeno un buon libro sul comodino.
😉
@ Didò: se sempre Unico, non c’è che dire, cheri.
Per riprendere il bel discorso di Carlo e la religione, anche il mistero della transustanziazione del vino nel sangue di Cristo, seppur simbolicamente, può essere assimilabile al fenomeno del vampirismo. E tra le religioni più diffuse viene esplicitamente vietato il nutrirsi di sangue, umano e non. Il che trasforma il fenomeno in un vero e proprio tabù.
Perr quanto riguarda Le Fanu e la sua Carmilla, se si considera che era il lontano 1872, fu un’indubbia innovazione per la coraggiosa tematica dal sapore omosessuale del racconto.
E per concludere, per stasera, mi associo al mio amico Danilo Arona: da Paura a Paura e Fascino a Solo Fascino. Attenzione o si rischia di non poter più assimilare la figura del vampiro alla tradizione horror.
Buonanotte, qualunque cosa voi siate.
🙂
ULTIM’ORA: Un Racconto di Simonetta Santamaria è stato selezionato per la finale del
1° FANTASY HORROR AWARD in Italia di Orvieto 19/20/21/ marzo 2010
Bellissimo argomento Massimo.Ho letto tutti i commenti di un fiato e ora mi sento così giù che avrei bisogno di una trasfusione…Apprezzatissimo il commento di F.Pezzini,ho adorato Carmilla di Le Fanu,vampirizziamoci sì ma con gran classe,quel pallore lunare e ambiguo della protagonista è decisamente affascinante in pieno stile ghost story.Il vampiro affascina perchè attraverso la paura e il mosrso ci lega indissolubilmente al suo destino,creatura ancestrale predatore erotico e seduttore talvolta avvolto in un’aura romantica,penso alla trasposizione cinematografica di Dracula di Stoker nel film di Coppola con Gary Oldman.”Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti. ” Dice Dracula alla sua amata…e poi “L’uomo più fortunato che calpesta questa terra è chi trova il vero amore”.E la sua amata Mina dice di lui:”Non so ma ho quasi la sensazione che il mio strano amico sia qui con me, parla nei miei pensieri .
Con lui mi sono sentita più viva di quanto non lo sia mai stata, e ora senza di lui e presto sposa io mi sento confusa, smarrita, forse per quanto cerchi di non pensarci, ne sono attratta. ”
Miei cari amici di lettere e di mouse, tutta questa bellezza di parole e sentimenti varrà pure un morsicino sul collo??
🙂
Baci e morsi di una felice notte!
Mi unisco a tarda ora del primo giorno alla discussione, che si prospetta stimolante e ricca di spunti.
Per cominciare, un saluto a tutti. A Massimo, grazie per l’invito.
Eviterò di rispondere in sequenza alle domande/provocazioni proposte, preferendo “piluccare” un argomento alla volta, anche per evitare interventi-fiume.
Comincerò dalla domanda su “Le Notti di Salem” di Stephen King.
A proposito, sapete che ho avuto il piacere di incontrare personalmente “il Re”? Accadde nel 1992, nell’ascensore dell’Hotel Pierre di New York: ero lì per organizzare una tournée estiva della AC Fiorentina, di cui all’epoca ero general manager. King, scoprii più tardi parlando con il concierge dell’albergo, aveva un appartamento in affitto annuale a uno dei piani alti.
Non sono il tipo da importunare le personalità incontrate casualmente, ma nel caso di King non seppi resistere… Mi feci coraggio e gli dissi che ero un suo fervente ammiratore italiano. Per quanto riservato e, dal breve contatto
avuto, direi quasi timido, King fu gentile: mi strinse la mano e si fermò a conversare qualche minuto. Più tardi allungai una mancia al portiere e gli feci recapitare nell’appartamento un gagliardetto e alcuni gadget della Fiorentina. Con mia sorpresa, la mattina dopo trovai in portineria una lettera in cui mi ringraziava e faceva cordiali auguri a me e alla squadra.
Conservo con orgoglio la lettera in questione incorniciata alle spalle della mia scrivania…
“Le Notti di Salem” (1975) è il secondo romanzo di King (dopo “Carrie”) e appartiene al periodo d’oro del Re. Nella mia personale classifica è fra i 5 migliori libri sui vampiri (non nomino gli altri 4 perché comprendono alcuni titoli pubblicati da Gargoyle, e vorrei evitare accuse di partecipazione ispirata a intenti pubblicitari…) e una delle 3 opere di King che preferisco (le altre sono “Una splendida festa di morte-Shining” e “Pet Sematary”).
L’idea di base è micidiale: i vampiri che gradualmente conquistano una piccola comunità rurale, diventandone i padroni incontrastati. Lo spunto servirà a ispirare una lunga serie di opere letterarie (tra tutte, “Hanno Sete” di Robert R. McCammon), e cinematografiche (incluso il recente “30 giorni di buio” e la graphic novel di cui questo costitusce la trasposizione).
Ispirato da due racconti (“Jerusalem’s Lot” e “Popsy”), che all’epoca King custodiva in un cassetto in attesa di pubblicazione, “Le Notti di Salem” ottenne un successo clamoroso – amche perché all’epoca le storie di vampiri
erano infrequenti e desuete – ottenendo una prima trasposizione in miniserie tv (1979), circolata in Italia anche in versione cinematografica accorciata, diretta da Tobe Hooper e interpretata da David Soul, Bonnie Bedelia e il grande James Mason nei panni dell’antiquario Straker. La miniserie si ricorda soprattutto per avere raffigurato il vampiro Barlow con un trucco ispirato al Nosferatu di Murnau. Alla miniserie fece seguito un film dimenticabile, “I vampiri di Salem’s Lot” (1987), diretto da Larry Cohen.
Nel 2004, una nuova miniserie prodotta dalla TNT, diretta da Mikael Solomon e interpretata da Rob Lowe, Donald Sutherland e Rutger Hauer, sancisce il rinnovato successo di un romanzo intramontabile.
A titolo di curiosità:
– i racconti “Jerusalem’s Lot” e “Popsy” sono stati entrambi pubblicati, rispettivamente in “A volte ritornano” e in “Incubi e deliri”.
– In “A volte ritornano” compare anche il racconto “Il bicchiere della staffa”, che costituisce un bellissimo ancorché breve sequel del romanzo. Ogni tanto lo rileggo, e puntualmente mi mette i brividi”.
– il personaggio del prete asservito ai vampiri, padre Callahan, ritorna in diversi romanzi della serie “la Torre Nera” (“I lupi della Calla”, “La canzone di Susannah” e “La Torre Nera”).
Per finire: non sono un sostenitore di Stephen King a oltranza… Ritengo che negli ultimi 15 anni non abbia partorito un solo titolo che possa essere lontanamente paragonato alle sue prime opere. Tuttavia resta a pieno titolo
il Re, e “Le Notti di Salem” costituisce uno dei più solidi puntelli del suo trono.
In una recente intervista mi hanno chiesto quale romanzo uscito presso un altro editore avrei voluto pubblicare per Gargoyle: indovinate qual’è stata la risposta…
Buonanotte a tutti (Claudio e Franco, andate a letto presto e pensate a consegnare, invece di perdere tempo frequentando i dibattiti…!) e a presto.
Paolo De Crescenzo
Ieri ho visto un vampiro uscire da un autonoleggio, con una macchina dell’Avis.
Buongiorno Massimo, onorata del tuo esplicito invito che hai fatto nel post sul blocco dello scrittore (e del lettore): dici “Guarda che, ormai, ti considero letteratitudiniana (difficilissimo da pronunciare) acquisita.”
Im merito ai vampiri e alla letteratura dell’horror, sono come una bambina che fa i suoi primi passi… non riesco ad andare oltre Lovecraft (di cui leggo ogni tanto qualche racconto dalla sua opera completa) e anche quello mi procura incubi notturni, sebbene la sua letteratura sia eccelsa e finemente compiuta. Straordinariamente oculata nell’instillare il dubbio e poi la verità.
Anche lui, in fondo, in alcune sue storie, parla di vampiri, esseri che vivono in equilibrio tra i due mondi e che hanno un’equivalenza con la figura del mostro delle fiabe. Cioè col simbolismo rappresentazionale degli strati più profondi dell’inconscio, i quali non sono nè buoni nè cattivi, ma buoni o cattivi in relazione all’equilibrio contingente, alla qualità del vissuto del momento. alla capacità del singolo di porsi in relazione all’ignoto.
Preferirei non parlarne… preferisco leggere del mostro-Lupo di Cappuccetto Rosso o di Barbablù. Raggiungono ugualmente una funzione catartica; e sono sicura che alla fine “vissero tutti felici e contenti”
Nel frattempo leggerò i commenti e andrò a visitare un po’ di archivio.
Ciao 😉
Saluto e rendo omaggio a Simonetta Santamaria, in arte Simonoir. Ho avuto il privilegio di conoscerla di persona qualche anno fa, frequentando un corso di scrittura. Sguardo inquietante, soprannome oscuro, iniziali lugubri, ha tutto per essere ciò che in effetti è: la regina dell’horror nazionale. I tanti premi ed i riconoscimenti che ha ottenuto, e che sono sicuro che otterrà, ci fanno bene al cuore; nel senso che ci dimostrano come in questo campo, con le proprie sole capacità e la propria sensibilità artistica, si possano raggiungere vette altissime. Tutto ciò, pur partendo da una città come la nostra, sì preziosa fonte di oscura ispirazione ma disgraziata ed emarginata, e pur iniziando senza avere alle spalle il sostegno di una casa editrice di primissime dimensioni. Brava Simonoir, continua così!
La donna che scrive Horror perché non sa pronunciarlo, farà molta strada, e ci delizierà ancora a lungo con i suoi inquietanti brividi.
simonetta santamaria?
Se la incontri seduta ad un bar, la diresti una normale, di gradevole aspetto, con un magnifico, dolcissimo sorriso; ma è un attimo, ti accorgi subito da un’inflessione della voce, da un lampo dello sguardo che è Simonoir: nera dentro!
E terribili sono i suoi libri. L’ultimo partorito l’ho trovato geniale: un non saggio, un non romanzo: una corsa magnificamente illustrata nel fantamondo dei vampiri. La sensazione che mi ha dato è quella di quando bambina entravo nel “castello dei fantasmi del luna park”: eccitante, molto sorprendente, eccitante, veloce e PAUROSO
Buongiornissimo a tutti, siete sopravvissuti alla notte vampiresca? Occhio ai lampioni al sodio, sotto la loro luce sanguigna accadono strane cose, soprattutto dalle parti di Roma (giusto, Massimo ;-)).
Intanto WOWWWWW per il racconto di Simonoir selezionato. Se non l’avete fatto dovete assolutamente leggere il suo “Dove il silenzio muore”, un horror di grandissima classe e originalita’ che andrebbe ripubblicato se qualche editore intelligente fosse in ascolto.
E adesso:
– Confermo che i vampiri adolescenti di Twilight mi sono piaciuti e che trovo in alcune pagine della Meyer una profondita’ di pensiero che Moccia se la sogna. Per chi ha letto la saga, il momento in cui Edward Cullen inveisce contro la propria natura che lo ha dotato di forza, bellezza, fascino, capacita’ di seduzione assolutamente spropositate rispetto alla possibilita’ che gli esseri umani (che ama molto piu’ di quanto abbia mai amato se stesso e i propri simili) possano difendersi da un attacco vampiresco.
– Confermo che Carmilla mi ha profondamente delusa. Ho apprezzato la chiave di lettura proposta da Franco Pezzini (grazie), ma da un vampiro pretenderei qualcosa di piu’.
– Sottoscrivo l’amore incondizionato per Stephen King e per le sue “Notti di Salem” di Paolo De Crescenzo e rilancio con “Io sono leggenda” di Richard Matheson (cui King rende evidente omaggio). In quel romanzo (che vi consiglio se non lo avete gia’ letto e riletto) i vampiri sorti come belve sanguinarie e incontrollabili da una pandemia di uno strano virus prima massacrano i superstiti, poi prendono coscienza di se stessi, diventano una comunita’ e decidono di difendersi dal loro nemico. E l’unico essere ancora umano presente sulla terra, quello che vorrebbe trovare l’antidoto alla mutazione, diventa la *leggenda*, il baubau, l’uomo nero da additare ai giovani vampiri disobbedienti. Un rovesciamento di fronte geniale. Perche’, diciamolo, non sta scritto da nessuna parte che i vampiri siano il male. Chi di noi non si e’ innamorato del dolente conte Dracula di Stoker? Per non parlare del vampiro fascinoso e canaglia Lestat e di tutta la sua corte, compreso quel Luis (nel film era Brad Pitt, per dire) che e’ un precursore dei vampiri della Meyer, colui che si rifiuta di uccidere esseri umani per nutrirsi e segue una dieta *vegetariana* a base di animali (topi, per la precisione, bleah!)
Il fatto che la figura del vampiro sia presente fin dalla notte dei tempi in quasi tutte le culture del mondo testimonia il fascino di questa figura: immortali. belli (ma non necessariamente), consapevoli di un destino da reietti e per questo, alle volte, infelici fino alla piu’ efferata crudelta’ verso gli altri e se stessi. In fondo rappresentano la risposta ai piu’ nascosti desideri dell’umanita’. Che anela all’immortalita’ e, al tempo stesso, la teme.
caro massimo, ti ringrazio per questo bellissimo post che mi pare davvero succoso.
dei vampiri ho letto la letteratura classica, ma è giunto il momento di aprirmi al nuovo.
più di tutto ti ringrazio per avermi fatto scoprire la casa editrice gargoyle di cui diventerò lettore e sostenitore.
vengo alle domande.
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
– Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
Secondo me le due domande sono legate tra loro. La figura del vampiro incute paura e fascino in egual misura. Due ingredienti che hanno, a volte anche paradossalmente, sempre attratto. Come le luci attarggono le falene. E’ questo, secondo me, il motivo per cui la figura del vampiro è prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale.
– Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
…
ammetto di non essere molto preparato e mi piacerebbe che gli esperti fornissero ulteriori informazioni su questo argomento.
– Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
…
ai tempi di stoker la “letteratura vampirica” era una specie di novità… oggi mi pare un po’ inflazionata, e credo sia importante distingere tra libri di qualità e libri studiati a tavolino per piacere al grande pubblico. questa è la sensazione.
– La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
…
non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo
– C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
…
credo ci sia un pregiudizio in generale a favore dei romanzi angloamericani
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella stroria della “letteratura vampirica”?
…
sì : un capolavoro assoluto.
– A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
…
non ho letto i romanzi della meyer, ma da quel che mi è dato sapere evidentemente questa scrittrice è riuscita a toccare corde sensibili soprattutto nelle nuove generazioni.
se così fosse, sarebbe comunque da applaudire. perché non è mica facile, altrimenti saremmo invasi da scrittori miliardari. e così, mi pare, non è…
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
…
mi pare che interessi di più alle giovani generazioni di sesso femminile
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
…
la funzione vera dell’horror, secondo me, è quella di esorcizzare la morte.
ciao a tutti.
A proposito del terzo quesito, credo che ancora una volta un ottimo indizio lo fornisca il rapporto fra il Dracula di Stoker e le sue varie versioni filmiche. A parte un unico tentativo di Jesus Franco di ricalcare fedelmente il modello di partenza (paradossalmente interpretato ancora da Lee che ribaltava di 360° l’immagine elegante e attraente messa in campo da Fisher…). i Dracula dello Schermo Buio giocano la carta del Fascino quando Stoker mette in campo vecchiaia, paura della medesima e repulsione. Se il Dracula di Stoker è certamente ancora fiction, cionondimeno è l’immagine in qualche modo più vicino alla Storia. Perché i “vampiri” storici, laddove si dimostrò la loro – contestabile – esistenza, erano creature repellenti, votate a un unico ignobile “scopo” (De Masticatione Mortuorum in Tumulis…), che incutevano obbrobrio e timor panico di “contagio di massa”. Il filtro delle arti visive e della letteratura ci ha aggiunto del suo, pescando ovviamente dalle dinamiche dell’epoca di riferimento e dal mondo culturale del regista di turno. Horribili visu quindi per il Nosferatu di Murnau, un vampiro quasi “camp” per Browning, un seduttore bondiano per Fisher e persino una sorta di Tony Manero ante litteram per il Dracula di Frank Langella, diretto non a caso da John Badham (La febbre del sabato sera). Lo scarto – che esiste – è quindi legata alle contingenze, alle tendenze storiche, al sociale e alle istanze artistiche personali (la camaleontica ambiguità di Coppola…). Può dire molto in questi ultimi anni quindi il successo dei vampirelli della Meyer che traducono in “gothic” i disvalori giovanili del pianeta. E, senza dubbio, una delle immagini più forti – e che aprono scenari relativamente nuovi – è quella di “Lasciami entrare”, dove una ragazzina vendica nel sangue “sversato” lo scempio pedofiliaco perpetrato dalle avanguardie, quelle sì veramente oscure, del mondo adulto. Fine pistolotto e buona giornata a tutti, a dopo…
Ho inserito un piccolo omaggio alla discussione,qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/23/il-difficile-ruolo-dei-traduttori-laboratorio-d/
Non so se qualcuno lo abbia già ricordato,ma parlando di cinema e vampiri,vi ricordo la stupenda Denevue e David Bowie in Miriam si sveglia a mezzanotte,film di T.Scott dell’83, anche con S.Sarandon.Musiche meravigliose e la vera protagonista è una vampira donna….perciò occhio alle Vamp!!Godetevi questa:
http://www.youtube.com/watch?v=ax72978hkVo
e buona giornata a tutti
Un piccolo affondo per la quarta domanda… Sì, si riscontra un orripilante cambiamento nella letteratura vampirica negli ultimi tempi… il vampiro è finito negli scaffali della letteratua rosa, stile Harmony. Un (intenzionale) equivoco del marketing… O…
… Intanto un bacione a Simonoir anche da parte mia…
@ Paolo De Crescenzo: è un onore averti tra noi. Per cronaca dico coram populo che lui è uno dei rarissimi esemplari di direttori editoriali che risponde agli autori. Ti invidio moltissimo per aver stretto la mano al Maestro King. Io però ho fatto un viaggio fino nel Maine, fin sotto casa sua e sulle tracce dei luoghi dei suoi romanzi. Solo che non ho avuto il coraggio di bussare, ma la foto me la sono fatta! Se fosse ora busserei a quella porta, altroché! Condivido la tua disamina de Le notti di Salem, tra l’altro ho parlato di questo romanzo e dei racconti Jerusalem’s Lot e Il bicchiere della Staffa proprio ieri in un’intervista. Cose preziose è altrettanto fantastico: ila capacità di soggiogare un’intera cittadina sonnacchiosa è propria di un qualsiasi essere umano, non per forza vampiro. Il che ci fa riflettere su quanto di “mostruoso” ci sia in noi.
De resto, non siamo anche noi scrittori dei vampiri? Noi succhiamo le emozioni degli altri, le vite, le situazioni, i nomi e i gognomi, e le facciamo nostre, le manipoliamo a nostro uso e consumo. Perché ci fanno sopravvivere.
Meditate, gente… 😉
Ciao DANILO!!! Ci si vede a Orvieto, finalmente!!! 🙂
Hai ragione, credo che sia proprio come dici tu, si tratta di un ‘intenzionale “equivoco” (?) di marketing. Il marketing è l’anima nera di tutto quello che vuoi che riesca. Se facessimo un battage pubblicitatio serio su com eil mio gatto fa la cacca, stai certo che finirebbe col fare notizia e tutti i proprietari di gatti starebbero lì a guardare com’è quella del loro gatto. Le spietate leggi del mercato, purtroppo.
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella stroria della “letteratura vampirica”?
Il primo King ha lavorato su molti stereotipi horror reinventandoli a modo suo, cioè condendo un piatto in cui le idee portanti non venivano granchè rivisitate, ma piuttosto l’attenzione si soffermava sul contesto ambientale e sui suoi mutamenti. Credo che dal punto di vista “vampirico” questa storia non apporti nulla di nuovo alla figura del suo protagonista negativo, pur essendo un romanzo avvincente e ben scritto. Personalmente mi aspettavo qualche guizzo di originalità sul vampiro di turno, ridotto a un puro meccanismo narrativo. Ho trovato maggior odore di novità nelle storie della Rice, nonostante la stucchevolezza dello stile, ma in definitiva, una delle interpretazioni più forti – a mio avviso – è in un magistrale racconto di Richard Matheson (al momento mi sfugge il titolo, ma lo segnalerò presto). In questo caso, la “diversità” del mostro non è assimilabile alla società in nessun modo e non c’è romanticismo che tenga…
Cara Simonetta, il piacere è tutto mio, come diceva D’Annunzio… In quanto all’essere vampiri, credo che la cosa ci riguardi un po’ tutti, editori in testa, spesso accusati di succhiare a nostra volta il sangue agli scrittori…
Ma essere vampiri, in fondo, non è così male: sei figo (se poi sei del genere Twilight, non ne parliamo…) e non invecchi mai, la sera esci sempre, rimorchi senza problemi grazie al magnetismo che ti è connaturale, bevi e mangi allo stesso tempo come facevi da neonato e finalmente, dopo avere scorazzato in lungo e in largo, alle prime luci dell’alba te ne torni a dormire, senza alcun problema d’insonnia…
Scherzi a parte, una delle chiavi di lettura del successo del personaggio “vampiro”, risiede proprio nell’essere quello tra i mostri che può suscitare ammirazione e invidia. Non a caso, le storie di vampiri nella letteratura e sullo schermo pullulano di umani che chiedono di essere trasformati e di ottenere la vita eterna. Lo stesso non si può certo dire per licantropi, streghe, zombie, fantasmi e compagnia cantando, che al massimo – aldilà della paura – suscitano commiserazione.
A risentirci (o leggerci) presto.
Ci vorrebbe un medico per spiegare bene. Ma una volta mi dissero che l’origine del vampiro nasce da una malattia che colpisce i muscoli del volto fino a formare sulla faccia una specie di ghigno con conseguente esposizione dei denti tra i quali spiccano i canini.
Non so se e quanto sia vero. Per quel che mi riguarda il mio primo e indimenticabile incontro con i vampiri avvenne grazie a un film anni ’30 interpretato dal “Sommo” Bela Lugosi.
Gli interventi e i contributi sono interessantissimi. Sottolineo la presenza di Paolo De Crescenzo perché sono molto contento di trovarlo qui.
Io e Paolo ci conosciamo. E’ editore di passione e di coraggio. E la sua “Gargoyle” è un’oscura creatura che si può definire tale solo per il mood gothic che rappresenta. Per il resto è una bella realtà splendente in un panorama editoriale spesso incolore e incapace di rischiare.
Copertine elegantissime e curate; scelta intelligente delle pubblicazioni; riconoscibilità. Ecco “Gargoyle”. E mi scuso con Paolo se ho detto poco, e con gli altri se ho detto troppo.
Caro Paolo, l’ho sempre sostenuto anche io, e l’ho ribadito propio in questa recente intervista di Marilù Oliva per Thriller Magazine in cui, tra l’altro, ti ho citato; http://www.thrillermagazine.it/rubriche/9367
in cui sostengo di essere favorevole alla vampirizzazione. L’idea della vita eterna mi alluzza assai, anche perché non sopporto l’idea di dover morire e lasciare tutto questo, è la parte della faccenda che mi fa incazzare di più… In questo il Vampiro è un personaggio vincente: bello, eternamente giovane, mo’ li fanno pure ricchi (Edward Cullen possiede una Volvo S60R e una Aston Martin e non ha neppure i denti del giudizio…): raga’, se mi bussano alla finestra che dico, no grazie preferisco morire? Ma quando mai! L’idea di nutrirmi di sangue umano non mi spaventa, del resto con un’anima nera come la mia non avrei grosse difficoltà di adattamento.
E ora pausa: ne approfitto per salutare anche gli amici intervenuti del mattino, Laura Costantini, Maurizio de Angelis (la splendida frase “la donna che scrive horror perché non riesce a pronunciarlo” riferito alla mia erre moscia e che io riporto sul mio sito è sua!) e Floriana Tursi con la quale prendere il caffè ha tutto un altro sapore.
A dopo! 😉
Noi possiamo testimoniare che il fascino dei vampiri è assolutamente trasversale: nel 2009 il secondo audiolibro più venduto in Italia su iTunes Store è stato proprio Dracula, di Bram Stoker…
1° FANTASY HORROR AWARD in Italia di Orvieto… interessante… si potrebbe saperne di più?
ciao
@ Paolo : Hai ragione. In effetti, per fare un esempio, un vampiro lo si può sempre portare in casa e farlo conoscere alla mamma. Quasi sempre si presenta bene, veste sobriamente (cosa che alle mamme non dispiace), esegue un baciamano perfetto, è spesso Old School (altra cosa gradita ai genitori), abbiente (i vampiri non hanno in pratica mai bisogno di denaro, mai visto uno che girasse in bicicletta), sa intrattenere una buona conversazione, non vuota la dispensa perchè non mangia e di solito parla bene dei bei tempi andati (altra cosa che serve ad accattivarsi l’uditorio over 40). Non si può dire la stessa cosa per l’uomo lupo, creatura screanzata per natura, che prima di entrare piscierà contro la porta, e di sicuro riempirà la casa di pulci e zecche, per tacere dell’abitudine intollerabile di ululare come un coglione ai primi sintomi di eccitazione …
@ Paola: vai su http://www.fantasyhorroraward.com/ e troverai tutte le info! 😉
@ Claudio: oppure attaccarsi alla gamba della padrona di casa… Divertente e acuta analisi, la tua. Ci troviamo d’accordo. Sarà (anche) per questo che gli adolescenti amano Twilight? Ricchezza, bellezza, forza, potere… Cullen ha pure non so quante lauree di cui una in medicina… Il partito perfetto. Giustamente come può competere uno sfigato Nosferatu deforme e reietto… Ma come dice pure Danilo, la Paura, dov’è? :0
Grazie, Enrico. Non merito tutti questi apprezzamenti positivi: Gargoyle è una piccolissima entità, il cui unico merito è quello di esser in buona fede in un mercato dove le cose girano in maniera spesso diversa…
E, comunque, i 100 euro che mi hai chiesto per parlare bene di me sono troppi! fammi uno sconto, dai…
Intanto salve a tutti e grazie dell’invito di Massimo.
Mi affaccio soltanto adesso dopo una notte di bagordi vampireschi, voi mi capite… Be’ c’è molta carne al fuoco – o sarebbe meglio dire molto sangue versato e da versare… La luce meridiana mi infastidisce, quindi spunterò fuori questa notte, ma intanto vi racconto il perché della mia “ossessione” per i vampiri. Avrò avuto sì e no sette-otto anni, ero a letto con la febbre, quando dal televisore-balia spunta una puntata del Pinocchio giapponese (fine anni Settanta, credo) con protagonista una vampira che – da par suo – vampirizza il povero Pinocchio nipponico. Qualcuno si ricorda quell’episodio? Qualcuno si ricorda quel cartone animato? Trauma infantile con quanto segue, per quanto mi riguarda.
Ah, uno splendido film che non so se è stato ancora citato è “The Addiction” di Abel Ferrara, potentissima metafora vampiresca in quel di New York, c’è qualche assaggio su San Youtube. Mentre il primo racconto vampiresco italiano è di un insospettabile Luigi Capuana (sì, proprio lui, il maestro del verismo!). La Sicilia non delude mai…
Be’, ciao e a questa notte… ah ah ah
… un’ultimissima cosa, prima di richiudere il sarcofago definitivamente e tacere: grazie a Simona Lo Iacono per l’apprezzamento e i complimenti! Hai colto subito l’atmosfera giusta, e l’aneddoto menzionato è quanto mai significativo.
Flavio
erano 1.000 gli euro, paolo. non scherziamo coi sentimenti 🙂
Comunico che ho segnalato il dibattito sul post dell’Associazione Viv’arte:
http://vivarte.splinder.com/post/22331644/DIBATTITO+SULLA+LETTERATURA+DE
Per ora ho commentato la discussione su King e le notti di Salem, poi rimuginerò anche sugli altri (ottimi) spunti.
Fà
Errata corrige: intendevo dire “sul blog dell’Associazione Viv’arte”…
Amch’io ho segnalato su FB e sul nostro blog.
Le mie risposte 🙂
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
Perche’ gli esseri umani anelano al divino, in ogni latitudine e non potendo immaginarsi dei, hanno creato una figura che con gli dei possa in qualche malsano modo competere.
– Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
Parlo per me: il vampiro mi affascina e da molto prima che venisse al mondo Edward Cullen. E’ una trasposizione del mito dell’angelo caduto. Essere potentissimo eppure tanto fragile da temere il legno, l’argento, la luce stessa del sole.
– Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
La spettacolarizzazione del vampiro e’ evidente negli sviluppi ultimi. Le figure mitologiche, spesso orribili a vedersi, hanno lasciato spazio ad esseri plasmati in una sorta di marmo vivo, statue canoviane dai canini affilati e dall’animo esacerbato dalla contraddizione di aver scelto una non-morte per non rinunciare alla vita.
Sapere che i vampiri originali sono creature animalesche e demoniache sicuramente eviterebbe la fascinazione di adolescenti pallidi ed emaciati, ma farebbe poco gioco a noi scrittori. Preferisco il vampiro bello e dannato 🙂
– Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
Qualcosa e’ cambiato perche’ la letteratura cambia. Il fatto che i vampiri, come ha scritto qualcuno, siano arrivati sullo scaffale dei tanto vituperati Harmony, a me non sembra motivo per cospargerci il capo di ceneri.
– C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
Il pregiudizio c’e’ nei lettori a causa degli scarsissimi investimenti pubblicitari degli editori. I quali editori italiani sono disposti a tradurre l’opera omnia della Meyer pur di non investire su uno scrittore vampiresco italiano. Investire sul sicuro (cioe’ su cio’ che ha gia’ avuto successo in un altro paese) e’ tutto cio’ che l’editoria italiana contempla come rischio d’impresa.
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella stroria della “letteratura vampirica”?
L’ho letto almeno due volte, come quasi tutti i libri di King, e nel reparto vampiri si trova nei miei personali e primissimi posti.
– A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
Credo che a questa domanda abbiamo ampiamente risposto i lettori che ho interpellato per il mio articolo.
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
Come sopra. Twilight ha goduto e gode dell’attenzione di diverse fasce d’eta’ (dai 16 ai 40 anni) e di entrambi i sessi, anche se con maggior propensione per le donne. Perche’? Perche’ alle donne piace sentir parlare d’amore e piace immaginare un uomo ideale e perfetto, che e’ tale proprio perche’, nel caso specifico, non e’ un uomo.
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
L’horror nasce intorno ai falo’, nelle buie notti all’addiaccio, quando i motivi per aver paura erano tali e tanti da doverli esorcizzare con racconti pieni di suspence. Ogni volta che il mondo ha attraversato periodi di crisi, morale, economica, politica, l’horror ha svolto la propria funzione di valvola di sfogo. Mi viene in mente l’ondata di fantascienza orrorifica a ridosso della guerra fredda, quando c’era bisogno di identificare il nemico come diverso da noi, alieno. Un nemico che non potevi comprendere, ma solo distruggere. Si’ l’horror in qualche modo esorcizza le paure reali. Certo, poi ci sono i casi limite come me, che quando vidi L’esorcista lo trovai assolutamente ridicolo e risi dall’inizio ala fine 🙂
sono sempre stata affascinata dalla letteratura horror e da quella sui vampiri in particolare.
mi è sempre mancato l’ “effetto paura”. cioè, quando leggo queste storie, mi diverto. addirittura, mi rilasso. non so se capita anche a voi.
tra tutti, amo i libri di stephen king. concordo con chi ha considerato “le notti di salem” un testo di riferimento tra i romanzi sui vampieri.
ciao a tutti
Una curiosità, o una riflessione suscitata dal post di Manuela. Si parla sempre di King. Solo di King. Con tutto che lui è il mio Maestro però mi chiedo: nessuno che abbia citato uno di noi scrittori italiani presenti in questa discussione?
Tranne rare eccezioni, mi si conferma la teoria che si parla molto di letteratura horror ma si va poco oltre gli stereotipi. Del prodotto nostrano poi… Siamo messi male. Ci leggiamo e ci citiamo vicendevolmente? E’ l’effetto della mancata pubblicizzazione di cui parlavamo Laura e io.
Ditemi che non è così, vi prego. Contraddicetemi dimostrando che qualcosa di italiano l’avete pur letto! 🙂
@ simonetta santamaria
come avevo risposto, prima…
credo ci sia un pregiudizio in generale a favore dei romanzi angloamericani. non solo cioè in riferimento al genere horror.
però king è il re dei re. punto di riferimento per tutti.
in ogni caso credo che questo post contribuisca parecchio a far conoscere, quantomeno l’esistenza, di voi scrittori horrorifici italiani.
io vi leggerò e metterò i vostri libri nello stesso scaffale di king.
@ Simonetta .
Sarebbe interessante anche vedere cosa un comune vocabolario definisce per vampiro. Vero è che la fantasia individuale non va troppo imbrigliata, ma certo se scrivo di qualcuno che non si nutre di sangue, non teme la luce del sole, non è immortale e va pure a messa la domenica, ebbene, probabilmente NON sto scrivendo di un vampiro. Personalmente ho qualche dubbio quando vedo o leggo di un vampiro che per rispetto della vita umana si nutre solo di sangue animale. Forse che allora non lo possono fare anche gli altri suo compari di merende ? Voglio dire … è giusto provare ad andare “oltre”, ma se descrivo un mostro di Frankenstein con un 35 di scarpa e con un principe azzurro pronto a sfilargliela tradisco il personaggio.
La paura … oggigiorno credo che sia veramente difficile fare “paura” narrando di vampiri … Questione di tempi e di saturazione. Il Dracula di Christopher Lee poteva ai tempi far strabuzzare gli occhi e far desiderare di non essere in un posto isolato al cinema (anche se a lungo e duramente avevi lavorato per attirarvi la ragazza). Ora, anche ottimi film dichiaratamente horror come 30 giorni di buio non spaventerebbero nemmeno la nonna. E a proposito di film, vedo che vengono fatte molte citazioni (anche io ho apprezzato Miriam si sveglia a mezzanotte, se si passa sopra al cretino titolo italiano), però mi azzardo a ricordare uno non dei più famosi (titolo italiano, mi pare, La setta delle tenebre) bistrattato dalla critica ma a mio parere onesto e coraggioso nel suo tentativo di aggiungere un altro tassello a quell’opera in continuo divenire che è la figura del vampiro.
@ Claudio Vergnani
Ma ci sono ancora “spazi di novità” per scrivere storie di vampiri, oppure tutto è stato già scritto?
@ Seby:
credo siamo solo all’inizio. Come forse avrebbe detto Raymond Chandler , il modo di liberarsi dei vampiri non è stato ancora inventato … 🙂
p.s. e comunque, visto che ad agosto uscirà il mio Il 36° Giusto , che porta i vampiri (ben poco compiacenti) dalle nostre parti, sarei un folle se sostenessi che tutto è già stato scritto.
No, sul serio, siamo solo all’inizio. Il vampiro rappresenta quel che di irrisolto con il quale la razza umana, bene o male, dovrà fare i conti vinchè vivrà. E con essa, anche la letteratura.
Poi, al di là delle polemiche tra letteratura cosidetta alta e letteratura bassa, nulla vieta ad un libro di “genere” di affrontare argomenti che nel genere non possono rimanere costretti. La paura, la sofferenza, la speranza, la messa in discussione di sè stessi e dei propri schemi, per esempio. Tali tematiche non sono esclusivo appannaggio di chi scrive di Camorra o di amori infelici. “Homo sum, nihil humani a me alienum puto.” Diceva (credo) Publio Terenzio Afro. E aveva ragione.
@ Claudio: caro, come ti capisco. E’ l’eccessivo stravolgimento del personaggio che non mi piace. E’ il volerlo snaturare che finisce per renderlo tutt’altra cosa. Come dico nell’introduzione del mio VAMPIRI (permettetemi una piccola citazione): “Il vampiro è una creatura randagia. Solitaria, indipendente, anaffettiva, orgogliosa. E per quanto lo si possa tentare di “umanizzare”, bisogna lasciargli quell’atavica impronta di randagismo. Altrimenti morirà, spogliato della sua essenza, snaturato e malinconico come una tigre in gabbia.
Altro che paletto di frassino. A volte l’immaginario collettivo può essere altrettanto letale. Già gli ha affibbiato nomi e cognomi, stirpi, casate e titoli nobiliari, lo ha imbellettato, infracchettato e reso un affascinante seduttore. Poi hanno provato a dargli un’anima e una coscienza, a ringiovanirlo fino a farlo diventare un liceale o un ragazzino di scuola media, l’hanno reso capace di provare sentimenti…”
Anche sul binomio Vampiro-Paura sono d’accordo, anche se qualcosa d’effetto c’è stato come il film 30 giorni di buio, già citato da Paolo de Crescenzo: una tipolgia vampirica diversa dallo standard, Homo Vampirus Sauria, per via della dentatura appuntita come quella dei rettili, appunto, e che agiscono in branco. Quella connotazione animalesca m’è piaciuta molto, devo dire.
Sulla questione spazi di novità: non so, forse il tutto esaurito è già arrivato da un pezzo; l’importante è come la scrivi una storia. Se volessimo riscrivere Carmilla secondo i canoni moderni, aumentando la suspense, modificando i dialoghi, uscirebbe una bella storia. L’importante è non banalizzare, secondo me.
@ Seby: ti ringrazio e spero, per tutti noi. 😉
Anzitutto ciao a tutti – e anch’io mi scuso di non aver adeguatamente salutato ieri. Con un particolare abbraccio ai cari amici Claudio, Danilo e Paolo – al quale ultimo confermo il mio ascetico impegno… Proprio la fretta di ieri mi impone di aggiungere una postilla a quanto scrivevo, per non liquidare banalmente l’ultima (e bella) domanda del nostro ospite sul potere esorcistico dell’horror. Al di là infatti di un primo livello, epidermico di sollievo che l’horror regala (suggerendo che i guai della nostra vita possono non essere gravi come quelli in scena), ci sono senz’altro altri step a maggiori profondità. Non so se, come qualcuno sostiene riguardo al cinema horror, la proiezione su schermo possa far “spurgare” in modo innocuo pulsioni socialmente distruttive: la tesi è difficilmente verificabile, ma se fosse vero si tratterebbe di una sorta di esorcismo a livello sociale. In termini più facilmente sperimentabili, il fatto stesso di una narrazione che “prende” nel profondo può avere una funzione consolatoria nel senso alto del termine: può aiutare a ricostruire dialetticamente un senso di avvenimenti vissuti, a ritrovarvi un filo o almeno imparare ad accettarli (straordinarie, in questo senso, le pagine di un Dumas virato horror, quello de ‘La donna dal collier di velluto’); può aiutare a ripartire da capo con una “novità” analoga, in fondo, a quella dei bambini a fronte delle storie (spesso nere) loro narrate, e che poi infinitamente chiedono di ripetere con una progressiva ruminazione. Se comunque l’esorcismo è la cacciata di un demone che toglie la libertà, la funzione esorcistica dell’horror – o più in generale del Fantastico – si lega alle sue straordinarie potenzialità di macchina per pensare. Aiuta a smontare paure becere o che comunque disumanizzano, e invece inquieta – o dovrebbe farlo – su altre dimensioni, scalzando tranquillità un po’ equivoche. Qualcosa insomma che ci aiuta a dare nome alle nostre paure (l’Adamo biblico che dà nome alle cose per comprenderle e dominarle), a prenderle in mano giorno dopo giorno (perché è impossibile sconfiggerle una volta per tutte) e a non restarne annichiliti. E di paure ne abbiamo tante, a livello individuale e sociale…
Simo, tesoro, so che ti deludo in modo cocente ma io a Orvieto non ci posso venire. In quel week-end lì dovrei essere in tre posti in contemporanea… Se si mettevano in ginocchio e pagavano, forse… Tornando a esseri seri, i vampiri da buoni parassiti si adattano sempre alle circostanze contingenti, dilagando (anche) nel noir, nel fantasy, nel western (ah, “L’uomo senza corpo”, “Billy the Kid vs. Dracula!!!”….) e nella fantascienza (Matheson, già ricordato), perciò mutano e costringono altri filoni a mutare con loro. Anche in quest’ottica si può discutere della Meyer, ma sostanzialmente negli ultimi anni – soprattutto al cinema – tutti sono diventati vampiri, dalle bande di strada alle rock star, dai soldati nazisti della 2° guerra mondiale agli astronauti… E’ un po’ il discorso di ieri: siamo TUTTI vampiri, anche quando soprattutto neghiamo di esserlo (e poi guardate quanta gente non digerisce l’aglio!). Saltando a pié pari sul quesito successivo, in Italia c’è un’ottima e misconosciuta tradizione letteraria sui succhiasangue che per noti e meno noti motivi non è praticamente venuta alla luce… Eravamo già carenti di marketing nell’800, mi sa… Secondo, scrittrici e scrittori dello stivale non hanno proprio niente da invidiare ai colleghi anglosassoni. E auspico che presto accada in letteratura quel che accadde nel cinema pizza e fichi degli anni ’70, ovvero che in Italia si rifonda e si rinnova – con sangue fresco – il genere… New Italian Horror copiato all’estero dagli asfittici anglosassoni, come accade per il Western all’italiana fondato da Leone (Bob Robertson)… Dai, sognare fa bene…
@ Danilo: NOOOO, accidenti, e io che già pregustavo il nostro incontro!! Vabbe’, tanto salgo a mIlano in primavera, Dom Nigro organizzerà un horror meeting al quale non potrai mancare altrimenti macumba!! 🙂
Il tuo auspicio in merito alla letteratura nostrana dell’orror è il mio: lottiamo per questo, no? Degno di essere riportato è stato il commento di Ruggero Deodato che ho avuto la fortuna di incontrare a Roma in occasione della presentazione di Paranormal Activity: dopo aver fatto la solita domanda provocatoria in merito alla scarsa attenzione di editori e produttori ai nostri prodotti, dietro le quinte lui mi fa: “Mi sei piaciuta, e ti dico che se ‘sto film che è costato una miseria e ha incassato un botto di soldi, fosse stato proposto a un produttore italiano, anche allo stesso De Laurentiis, stai sicura che non se lo sarebbe cagato nessuno”. E detto da uno come lui c’è da fidarsi, purtroppo.
Sposo in toto le belle risposte di Laura Costantini.Inoltre non mi pare tanto grave ammantare di un oscuro romanticismo la figura del vampiro,raccontare storie e farsi leggere con piacere è importante se poi nel farlo ci si concede la libertà di stravolgere un pò gli stereotipi mica sarà tanto un male?
Sul fatto di dare maggiore risalto agli autori nostrani sono perfettamente d’accordo,e a parte il nostro bravissimo Massimo con questo spazio bisognerebbe avere più fiducia e leggere e rendere visibili i nostri scrittori.
Un grande in bocca al lupo-mannaro a Simonetta !E a tutti gli altri horroristi…
Siete pronti per la sfilza dei miei “commenti a raffica”?
😉
Intanto ringrazio tutti (di cuore) per i numerosi contributi.
Un caldo saluto di benvenuto a Paolo De Crescenzo e Flavio Santi
Un ringraziamento speciale a Laura Costanti e Simonetta Santamaria, per la loro costante presenza.
(In un post come questo la parola “presenza” fa un certo effetto, vero?)
A Simonetta vanno pure i complimenti per il FANTASY HORROR AWARD in Italia di Orvieto. Wow!
Ne approfitto per salutare i nuovi intervenuti: Francesca Giulia, Maurizio De Angelis, Antonella Beccari (bentornata! ;-)) ), Floriana Tursi, Seby, Fà, Enrico Gregori, Good Mood Edizioni, Paola, Fabio Lastrucci, Manuela…
Tornando un po’ indietro a scorrere i commenti…
Nel suo primo intervento Danilo Arona (ciao, Danilo!) scrive: “SIAMO vampiri, è per questo che ci credo”.
Il “vampirismo” come metafora dell’esistenza umana…
Interessante. Vi convince?
Che ne pensate?
@ Filippo Tuena
Ehi, Filippo… scrivilo al più presto il terzo libro della trilogia. Sono curiosissimo di immergermi in una storia di vampiri tratteggiata dalla tua penna 😉
Grazie per essere intervenuto.
@ Simona
Simo, bellissimo il collegamento “vampiresco” con l’Odissea. E altrettanto bella la storia delle “donne di fuora”.
Grazie mille.
@ Franco Pezzini, Laura Costantini e tutti
Su Carmilla…
Come sapete il nome di Carmilla ha ispirato Valerio Evangelisti per il nome del suo magazine (Carmilla on line, appunto).
Nell’ambito di questa discussione…
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/10/09/la-luce-di-orione-intervista-a-valerio-evangelisti-di-ippolito-edmondo-ferrario/
…Valerio aveva scritto: Carmilla”, si ispira al racconto di Sheridan LeFanu (a mio avviso la più bella storia di vampiri mai scritta)
E sempre in riferimento a Evangelisti, ne approfitto per ricordare che l’edizione Fanucci di “Io sono leggenda” di Richard Matheson contiene un’ottima postfazione firmata proprio da Valerio Evangelisti
http://www.ibs.it/code/9788834713624/matheson-richard/sono-leggenda.html
@ Francesca Giulia
Cara Fran,
grazie per i tuoi contributi nello spazio dedicato al “laboratorio di traduzioni”: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/23/il-difficile-ruolo-dei-traduttori-laboratorio-d/
@ Paolo De Crescenzo
Caro Paolo, vorrei che ci raccontassi qualcosa sulla casa editrice “Gargoyle”.
Ti pongo qualche domanda…
Quando hai pensato per la prima volta di creare “Gargoyle”?
Cosa ti ha spinto ha “gettarti nella mischia”?
Qual è il progetto editoriale?
Volendo fare un bilancio, dall’esordio a oggi… cosa diresti?
Qual è stata la tua più grande soddisfazione editoriale fino a questo momento?
Progetti per il futuro?
.
P.s. vietato esimersi dal rispondere 😉
@ Laura Costantini
Mi avevi inviato un racconto “vampirico” scritto a quattro mani con Loredana Falcone…
Sei ancora sicura di volerlo pubblicare qui? Verreste lette da tutti gli esperti del genere…
Insomma, declino ogni responsabilità. L’eventuale rischio di ricevere “pomodori al sangue” ricadrà su di voi 😉
Ovviamente scherzo. Se mi autorizzi, Laura, inserirò il racconto – qui tra i commenti – domani (così creiamo un po’ di suspance).
Che ne dici?
In riferimento al collegamento di Simona Vampiri-Odissea: “Il testo classico più famoso che parla di esseri ascrivibili ai vampiri è l’Odissea di Omero. L’episodio in questione è quello che riguarda Tiresia (libro XI). Per interrogare lo spirito dell’indovino morto, Ulisse sacrifica un montone e una pecora e ne sparge il sangue in onore delle anime dei trapassati. Eccone una semplificazione tratta dalla traduzione di Ippolito Pindemonte: <>”
Scusami, Massimo, ma ho dichiarato fin dall’inizio che partecipo volentieri da appassionato di horror, ma che vorrei evitare qualsiasi intrusione di tipo pubblicitario a favore di Gargoyle. Limitiamoci a parlare di vampiri. Se proprio vuoi, mi rendo disponibile per un’intervista da rimviare alla prossima primavera…
S’è magnato il virgolettato!
Dicevamo, eccone una semplificazione tratta dalla traduzione di Ippolito Pindemonte:: “…e quando con voti e suppliche le stirpi dei morti ebbi invocato, prendendo le bestie tagliai loro la gola sopra la fossa. Subito vennero fuori dall’oscuro Erebo le anime dei morti che si accalcarono su quel sangue nero fumante: giovanette spose, garzoni ignari delle nozze, vecchi da nemica fortuna assai versati, e verginelle tenere, che impressi portano i cuori di recente lutto; e molti dalle acute aste guerrieri… ma io, sguainando la spada affilata dalla coscia, sedevo e non lasciavo che le teste esangui dei morti si avvicinassero al sangue, non prima che interrogassi Tiresia”
A proposito de “Le notti di Salem” di Stephen King…
L’altro giorno Loredana Lipperini, su Lipperatura (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/03/01/meno-del-sale/) ha ripescato un interessante passaggio di King tratto da “Danse macabre” [Capitolo quarto: “Una seccante pausa autobiografica”].
In questo passaggio King parla – anche – de “Le notti di Salem”.
Ve lo riporto…
“Non è che il passato non fornisca grano per il mulino dello scrittore; certo che sì. Un esempio; il sogno più vivido che ricordo lo ebbi a otto anni. In questo sogno vedo il cadavere di un impiccato penzolare da una forca su una collina. Aveva dei corvi appollaiati sulle spalle, e dietro di lui il cielo ribollente di nuvole era di un verde velenoso. Sul cadavere c’era un cartello: Robert Burns. Ma quando il vento fece girare il corpo, vidi che era la mia faccia, decomposta e beccata dagli uccelli, ma incontestabilmente la mia faccia. Poi il cadavere apri gli occhi e mi guardò. Mi svegliai urlando, sicuro che quella faccia morta fluttuasse sopra di me nel buio. Sedici anni dopo, ho usato questo sogno come una delle immagini centrali del romanzo Le notti di Salem. Ho solo cambiato il nome del cadavere in Hubie Marsten”.
Grazie, Simonetta… 😉
@ Paolo De Crescenzo
Insisto! E poi la mia tariffa è più bassa di quella di Enrico Gregori… 🙂
@ Paolo De Crescenzo: però sarebbe interessante sapere da te, in qualità di esperto del settore, che ne pensi dell’atteggiamento ancora scettico della grande editoria nei confronti dell’horror italiano. Eppure poi vedi che tutti dicono di leggere a amare King, ad esempio. Il popolo dell’horror, come lo chiamo io, è grande e vorrebbe dei punti dei riferimento nostrani, più tangibili, a cui poter arrivare, parlare, magari farsi autografare l’ultimo libro. Che non siano solo un nome e un mito.
Eh? 😉
Domanda per gli amici scrittori coinvolti in questa discussione…
–
Per qual motivo avete iniziato a scrivere storie “vampiriche” (o horror)? Perché, in altre parole, avete scelto di cimentarvi in questo genere (e non – per esempio – con il giallo)?
Insomma: raccontateci la vostra personale esperienza in riferimento al vostro percorso di scrittura (se ne avete voglia, naturalmente)…
@ Simonetta
In riferimento a un tuo precedente commento…
Avevo scritto (prima di pubblicare il post) anche a Chiara Palazzolo…
Chiara, in questo momento, è alle prese con il suo nuovo romanzo (al quale sta dedicando tutto il suo tempo e le sue energie)… ma vi saluta tutti.
E noi facciamo tanti in bocca al lupo a Chiara in attesa di leggerla quanto prima…
Ciao, Chiara!
@ Claudio Vergnani
Caro Claudio, perché non ci dài qualche coordinata sul nuovo romanzo a cui stai lavorando (se possibile)? Si intitola “Il 36° Giusto”, se non ho capito male…
Di cosa parla?
@ Franco Pezzini
Caro Franco, mi pare molto interessante questa tua “visione” della funzione esorcistica dell’horror:
”la funzione esorcistica dell’horror – o più in generale del Fantastico – si lega alle sue straordinarie potenzialità di macchina per pensare. Aiuta a smontare paure becere o che comunque disumanizzano, e invece inquieta – o dovrebbe farlo – su altre dimensioni, scalzando tranquillità un po’ equivoche.”
Per stasera chiudo qui. Vi ringrazio ancora una volta per la vostra partecipazione…
Off topic vi ricordo che a partire dalle 21:20/21:30, avrò come ospite della puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” (su Radio Hinterland) Gianrico Carofiglio.
(In chiusura accennerà a questo nostro dibattito)
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Radio Hinterland è “ascoltabile”, su Fm 94.600 MHz, nel territorio della provincia di Milano e oltre… e in streaming via internet (ovunque) da qui: http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx
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Per altre info:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
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Una serena “vampirica” notte a voi tutti…
“Peppino Esposito non s’era chiamato sempre così, fu per la maledetta italianizzazione littoria che gli aveva modificato il nome.
Quandò arrivò a Latina dalla Intramenia Ungarica, con la sua carrozza nera, i suoi documenti di viaggio recitavano ancora Joseph Von Espost, Gran Damigiano di corte e Terzo Vetturino di Re Garonzh.
Era scappato dai tragici sommovimenti che ridussero l’impero ad una repubblica odontoiatrica per le randellate che davano sui denti i sanfedisti durante i pogrom a chi era sospettato di essere un vampiro, ma anche a quelli che addentavano una bistecca troppo al sangue.
Il paese era sconvolto dalle apparizioni e dalle sparizioni.
Lo stesso principe Jugas Casjellas, che entrando in camera da letto aveva trovato la principessa nell’atto di succhiare qualcosa da un essere sovrannaturale, si rese conto che bisognava fare pulizia, mentre l’essere strano saltava a cavallo dando un urlo bestiale (ad occhio attento e luce migliore, si sarebbe visto un giovine, forse un vampiro – ma di solito sono loro a succhiare – che urlava dal dolore dopo essere montato a cavallo senza mutande, saltando da una finestra).
Il principe destitui il re in un momento di estrema debolezza del sovrano (era intento anch’egli – o mala tempora current – a succhiare liquido bianco dalle poppe di una cortigiana, anch’essa ormai svenata; o no? Bha!) e instauro la dittatura del sangue.
Cominciò così l’esodo che costrinse molti vampiri e molte principesse a fuggire verso il “Bel Paese”.
I primi scesero a Napoli, le seconde si fermarono un po’ prima, sulla Domitiana, dalle parti di Mondragone e Castel Volturno.
Peppino, arrivato con la sua carrozza ricoperta di magiche piume nere (un attimo prima della fuga, alcuni buontemponi l’avevano cosparsa di catrame e ricoperta di piume di gallina nana del Belucistan), dalle parti del Duomo di Napoli, scese stanco e accaldato per rifugiarsi nella cattedrale e vedendo una fresca ampolla di liquido rosso, la ingollò avidamente, credendolo vino per la messa.
Era un buon quarto di sangue di San Gennaro, per fortuna il vescovado ne aveva conservato una damigiana negli scantinati santi.
Nacque cosi la prima leggenda del “Vampiro Napoletano” , talmente sfaticato che non andava a succhiare nessun collo, leggenda che si regge a malapena, visto ché fu conclamato che Peppino aveva perso i suoi canini durante lo sbarco degli americani a Salerno, dopo aver addentato un tarallo di Castellamare caduto dalla bisaccia di quello spilorcio di Curzio Malaparte…
Grazie per questo post. Sto avendo la possibilità di approfondire la conoscenza di un genere letterarioche conoscevo solo in parte. Auguri a tutti gli scrittori italici di vampiri.
il buono di arrivare per ultima è che sposo tutte le risposte che mi aggradano.
Per Simonetta i miei complimenti vivissimi.
Laura Costantini pare abbia scritto anche per me.
la mia esperienza si ferma davanti a una cantina con in bella mostra bocce e boccioni di un certo generoso vin de roses, sanglant.
Una vampira di classe ha spesso l’hobby del giardinaggio :)))
Noblesse oblige.
Salve, sono Miriam, o meglio Mia, l’autrice di “Io, vampira”, e come potete intuire, affascinata dal genere horror e in modo particolare dalla figura del vampiro, tanto da scriverne un romanzo…
Penso che la figura del vampiro non sia entrata in modo prepotente nell’immaginario collettivo mondiale ma sia stata semplicemente riscoperta, soprattutto con il successo dei romanzi della Meyer, però, tale figura a parer mio non corrisponde all’originale vampiro succhiasangue e senza pietà presentato dal classico di Bram Stoker, ma è notevolmente cambiata seguendo forse i tempi, o ciò che comunque va di moda e può interessare ai lettori, soprattutto ad un pubblico giovanile. Al giorno d’oggi, la maggior parte delle ragazze, cerca il principe azzurro ma si innamora del famigerato bello, dannato e impossibile, così come è presentato il vampiro moderno, un bello ma dannato che vuole amare ma non sa amare e che smuove le così dette farfalle allo stomaco per le più romantiche lettrici che poi interpretano nella realtà tale figura confondendo il tutto… ecco forse il perché tale figura che dovrebbe terrorizzare il lettore invece affascina…
@ Cristina: grazie di cuore, davvero!
Per rispondere alla domanda di Massimo “per qual motivo avete iniziato a scrivere storie “vampiriche” (o horror)? Perché, in altre parole, avete scelto di cimentarvi in questo genere (e non – per esempio – con il giallo)?”: a parte una insana passione per il genere che avevo fin da bambina, la fissa di disegnare teschi e scheletri e bare e cimiteri, l’attrazione-rifiuto per il tema della Morte (ve l’ho detto, l’idea di scomparire mi rende l’idea della Morte insopportabile), ho scelto di cimentarmi nel genere quando ho scoperto che tutte le firme erano maschili. E allora mi sono detta che se lo sapevano fare loro, allora l’avrei potuto fare anche io. Non ho mai sopportato le preclusioni imposte dal sesso, e poi chi mi conosce sa di quella certa propensione verso tutto quello che è insolito per una donna. Ora magari sarà pure all’ordine del giorno ma quand’ero ragazzina io, l’idea di fare il meccanico faceva inorridire, come quella di voler suonare la batteria, guidare la moto, pilotare un elicottero, giocare a biliardo.
Tonando a noi, in Italia le firme femminili nell’horror sono ancora rare, siamo mosche bianche. E allora la scelta: lanciarsi in un genere di sicuro appannaggio di una moltitudine di lettori (e scrittori), con una maggiore possibilità di sfondare, o scegliere l’unicità. Io ho scelto. Non mi andava di infilarmi nella massa. Ho voluto rischiare, non ho fatto una scelta commerciale ma di cuore. Quando mi sento ancora dire “ma perché non scrivi un bel giallo” dico con orgoglio che io nasco e resto scrittrice di horror, e non mi va di “vendermi” a un altro genere. Si fatica il triplo, ci potete giurare, ma mi piace pensare che posso farcela, che possiamo farcela.
🙂
Con questa ottimistica visione vi lascio la buonanotte: a domani!
E’ arduo leggere tutto quello che avete detto, ho scorso in fretta e mi complimento per le cose dette che sono molto approfondite. E sono contenta che questo post venga a illuminarci su un argomento che mi sono posta anch’io. La mia risposta, molto semplice, è questa: i libri sui vampiri in questo momento hanno successo perché mettono in scena un meccanismo di dipendenza. Mi riferisco ai libri della Meyer (li ho letti tutti e 4 + il famoso quinto della saga, i 12 capitoli che l’autrice ha rilasciato al pubblico), e alcune opere di scrittrici italiane esordienti (che come avete detto più sopra non avrebbero nulla da invidiare ai libri anglosassoni, è che i nostri editori non hanno di meglio da fare che propinarci libri stranieri). In tutti questi libri ho notato che il meccanismo di base del romanzo, pur con diverse declinazioni, è il medesimo: il vampiro (bello, dotato di poteri, muscoloso ecc.) è attratto e a sua volta attrae la ragazza (che di solito ha lei pure poteri eccezionali nascosti) e tra i due scatta un legame di dipendenza. Il lettore assimila questo rapporto di simbiosi tra i due e si assuefà alle pagine andando avanti nella lettura…scatta il problema della libertà che inconsciamente attraversa le pagine di romanzi sui vampiri. Già, perché il lettore andando avanti s’accorge che la libertà non esiste, che l’attrazione tra vampiro e donna prescelta supera il libero arbitrio e diventa ossessione, forza inconscia, diabolica, misteriosa, ineffabile. Un mix di sensazioni che incantano il lettore, come le sirene di Ulisse.
Almeno questo è quello che ho provato io. Non so se altri hanno provato queste sensazioni. In ogni caso ho lasciato il mio contributo che spero sia utile per qualcuno.
Massimo, è da tanto che non mi senti perché siamo stati rallegrati dalla nascita della nostra quarta figlia! Volevo rallegrarmi con tutti voi!
Simonetta parla di perdurante scetticismo della grande editoria nei confronti dell’horror italiano. A parte il fatto che l’affermazione trova alcune significative smentite (Eraldo Baldini ch pubblica con Einaudi e Sperling, la Palazzolo con Piemme, Evangelisti con Mondador, Filippo Tuena con Longanesi, Fazi e Rizzoli), a me sembra già un grande passo avanti il fatto che la grande editoria si sia buttata all’improvviso sull’horror tout-court, cavalcando la tigre del fenomeno Meyer. Sdoganare un genere è comunque operazione meritoria, e di questo va dato atto a Twilight e ai suoi epigoni, per antipatici che mi possano essere. Sta poi al pubblico distinguere, anche e soprattutto in base al gusto personale, cosa è valido e cosa lo è meno… In quanto ai riferimenti nostrani, credo che gli autori che partecipano a questo dibattito siano ampiamente rappresentativi del meglio della produzione nazionale. In attesa che Gianfranco Manfredi scenda in pista con un suo intervento, suggerisco a Massimo di invitare anche Valerio Evangelisti e Sergio (Alan D.) Altieri, poi mi sembra si possa dire di essere al gran completo… Dimenticavo: Francesco Dimitri, dopo Gargoyle, è passato a Marsilio e poi a Salani. Alla faccia dello scetticismo…
Buonanotte a tutti.
erano mesi che una discussione non mi interessava tanto, la direi scoppiettante…l’omaggio che ci ha fatto Francesco Di Domenico è davvero una chicca. Laura Costantini: un pozzo di scienza senza spocchia, fantastica. Cristina Bove, una nitida principessa. I magnifici maestri di casa Massimo Maugeri e la micidiale Simonetta Santamaria
Anzitutto un saluto a Flavio Santi, con cui abbiamo finora avuto contatti indiretti tramite il comune amico Scorsone.
Preso da sacro zelo riguardo alle domande posteci dal nostro ospite, vorrei tornare brevemente alla questione sul successo del vampiro – in particolare oggi. Il tema è immenso, studiatissimo, e non si può che condividere qualche considerazione partendo dall’età moderna, quando nasce (erede di una variegatissima famiglia) e presto dilaga il vampiro vero e proprio. Certo c’è un’enorme differenza tra il vampiro del folklore, l’impresentabile babau dalla faccia rubizza e vestito col sudario che i chirurghi militari asburgici del Settecento indagano nelle loro autopsie, e quello della fiction figlio del romanticismo, sempre più urbano e carino, varato dalla contemporanea apparizione del Ruthven di Polidori e della Lamia di Keats. Ma questa trasformazione piuttosto radicale non è strana: l’eversore del termine fisso per antonomasia, quello della morte, non poteva che abbracciare equivocamente ogni altra distinzione naturale, esistenziale e persino estetica. Al contrario dei fantasmi mattatori nel primissimo gotico, il vampiro non solo è più facilmente rappresentabile (un bel vantaggio, in teatro) e permette di riciclare con libertà certi stereotipi nobili e tenebrosi dei Mefistofeli romantici, ma – soprattutto – ha un corpo. Il che permette un’estrema libertà alle trame, e l’ulteriore semplificazione di trattare dinamiche con altri corpi (e non con le anime): il che in soldoni, nei termini censuratissimi di inizio Ottocento, significa interferire con la sessualità… Ma proprio questa plasticità e duttilità del personaggio, un trasformista/attore (come Carmilla, come Dracula…) pronto ad assumere continuamente nuove maschere come Fregoli, gli permette di adeguarsi via via all’immaginario delle diverse stagioni storiche – fino al successo di oggi. A cavallo tra umano e ferino, corporeo e spettrale, ripugnanza e fascinazione, il vampiro diventa così figura di un’ambiguità che risponde molto bene alla nostra condizione contemporanea di fedi oscurate, categorie in crisi, mancate scelte e possibilità non chiuse. E sorto dalle nebbie di un oscuro immaginario sulla sessualità dei morti per divenire divoratore sessuale, si presenta come icona efficace di quell’Età della Seduzione (erotica ma anche mediatica, politica, finanziaria) in cui ci arrabattiamo a vivere.
Però questa figura dell’ambiguità, questo signore dell’indecidibile fermo al crocevia della possibilità come un perenne adolescente in agguato all’incrocio tra tutte le determinazioni di natura e cultura, finisce col diventare oggi una a livello narrativo una supermetafora del fantastico: un passe-partout per spendere i temi della morte, del sesso e dell’irresolubilità esistenziale nell’ambito dei più vari generi. Vampiri detective o eroi fantasy, pistoleri, astronauti o appunto sui banchi di scuola…
Sempre più attraente, sempre più carino, non poteva che diventare anche buono: ed ecco Twilight, dove il vampiro ex-eversore diventa paladino delle regole familiari e sociali, minoranza attiva e militante per un Yes, we can di stirpi diverse. E piace tanto agli adolescenti anche perché condivide con loro una condizione di indefinitezza che pare proiettata verso ogni futuro possibile, la sensazione d’immortalità e di potere illimitato, la scoperta del sesso ma anche delle nostre zone più oscure e segrete… e i fastidi per i paletti del mondo adulto.
Può essere però difficile rispondere ad alcune delle domande maugeresche in termini corretti. Ad apprezzare Twilight non sono soltanto i giovanissimi, anche se evidentemente rappresentano una parte preponderante dei lettori: sarebbe interessante disporre di dati statistici. Tra i compagni dei miei figli – chiedo scusa anticipatamente per la formulazione – circola l’interpretazione che sia una lettura “da ragazze”: anche su questo credo ci sia terreno per ricerche, posto che la situazione è fluida. Non resta che augurare la buona notte nel modo più classico:
“Solo un momento, signore e signori! Solo una parola prima che ve ne andiate. Speriamo che le memorie di Dracula e Renfield non vi procurino cattivi sogni, e per questo solo una parola per rassicurarvi. Quando tornerete a casa stanotte, spegnerete le luci e avrete paura di guardare oltre le tende per timore che un volto appaia alla finestra… Bene, rientrate in voi e ricordatevi che, dopo tutto, queste cose esistono.”
Rispondo alla domanda di Massimo (Per qual motivo avete iniziato a scrivere storie “vampiriche” (o horror)? Perché, in altre parole, avete scelto di cimentarvi in questo genere (e non – per esempio – con il giallo)?.
Dunque, nel mio personalissimo caso, non facevo che leggere ovunque che il genere horror non era “roba” per scrittori italiani, e che non esistevano romanzi italiani puramente horror degni di essere pubblicati, e così ho pensato che forse si poteva provare a sfatare questo mito molto simile ad una condanna senza appello. Ero e rimango sicuro che si possa fare. Per come la vedo io, il genere – quale che sia – è solo un fondale, una struttura portante – indispensabile ma limitata. E’ quello che riuscirai a inserirvi all’interno che farà la differenza. Sono partito dal presupposto di provare a scrivere un racconto originale ed interessante insieme (che nell’ambito letterario è di per sé l’obbiettivo più ambizioso di tutti) e ho usato i “binari” horror, per orientarmi da un lato e per sperimentare dall’altro. Lasciando libero spazio ad un’avventura nella quale un lettore non potesse che trovare continuamente (e spero con piacevole stupore) qualcosa di nuovo e non scontato in un contesto – quello della caccia ai vampiri – che nell’ambito della letteratura horror è un vero e proprio “classico” . Il problema dello scrivere di vampiri non è tanto la materia inflazionata, quanto che ognuno di noi ha i suoi vampiri “preferiti”, e fatica ad accogliere quelli che non sente nelle sue corde. Ma anche questo aspetto fa parte del gioco. Il vampiro è la figura sioprannaturale più diffusa e conociuta. Piccolo esempio: andate su Second Life e cercate le location horror e creepy. troverete tutti vampiri che vorrete. Vampiri, non altre creature sovrannaturali.
Piccolo spunto di riflessione: speculari ai vampiri sono gli umani che con essi – nel bene e nel male – interagiscono. Paradossalmente, più ancora che i Revenants, sono costoro che possono portare una ventata di novità nella materia…
Oggi ho fatto una sosta a un self-service di benzina lungo la tangenziale di Pavia. Finito di far benzina (gasolio per la precisione), ho imboccato la strada che reimmette sulla tangenziale, però invece di svoltare regolarmente a destra seguendo il flusso, mi sono fermato allo stop per girare a sinistra, contromano, la riga sull’asfalto era continua, dunque la manovra non solo era proibita ma anche pericolosa. In quel momento c’era molto traffico, soprattutto camion. I secondi passavano, io cercavo un varco per inserirmi. A un certo punto vedo la strada libera. O meglio, c’è un tir alla mia sinistra, ma mi sembra in lontananza. Allora ingrano la prima e parto sgommando maldestramente. Il tir alla mia sinistra non era così lontano come sembrava. Me lo vedo praticamente davanti, quasi sotto il naso. Adesso muoio, ho fatto appena in tempo a pensare. La macchina ha sbandato, ho sterzato, e per un soffio sono riuscito finalmente a mettermi sulla mia corsia. Oggi ho rischiato di morire, e quel pensiero mi ha accompagnato poi per buona parte del viaggio. Ecco, il vampiro un’angoscia del genere non la prova. Il vampiro va oltre. E in questo credo stia anche il suo fascino. Infrangere la barriera della morte, guardare a morte a viso scoperto e spavaldo. Poter dare del tu alla morte, lambirla, ma superarla.
Poi c’è anche la faccenda del sangue: il sangue come principio di vita. Lo dice già il Vecchio Testamento: “il sangue è la vita”. Eschilo ha scritto un verso pazzesco: “L’odore del sangue mi sorride”.
L’orrore, fin dall’antichità, ha nobilissime radici. L’Epodo 17 di Orazio parla di streghe, Petronio nel Satyricon parla di necrofagia e licantropia, Apuleio di zombie nel racconto di Telifrone, le Baccanti di Euripide sono splatter puro, meglio del primo Peter Jackson; l’Inferno di Dante è una sarabanda di purissimo splatter, Petrarca in una epistola latina racconta una possessione demoniaca, Baudelaire parla spesso e volentieri di vampiri, Gogol vi dedica un racconto, ecc. Gli autori e le opere citate sono gotiche? Per carità!, direbbe qualcuno, magari storcendo il naso. Eppure vivono degli stessi elementi del cosiddetto gotico (suspense, sangue, morti viventi, fantasmi, nebbie avvolgenti, fuoco e fiamme, mistero, ecc.). Allora? Allora secondo me i generi semplicemente non esistono: esistono solo, come diceva Oscar Wilde, libri scritti bene o male.
P.S.: ricambio il saluto a Franco Pezzini e saluto Danilo Arona, gran maestro e cerimoniere.
@ Flavio Santi: non avrei saputo dirlo meglio. 🙂
Lasciami Entrare.
Buongiorno, di nuovo. Un grazie speciale a Floriana Tursi che mi definisce “pozzo di scienza” 🙂
L’unica scienza che possiedo in abbondanza e’ la consapevolezza di essere all’inizio in qualsiasi campo. Ho troppo da imparare, ancora.
Riguardo alla richiesta/minaccia di Massimo:
Hai il nostro consenso: posta il racconto vampirico mentre io e Lory ci mettiamo contro il muro e aspettiamo il fuoco di fila.
Ci piacera’ molto sottoporci al giudizio dei frequentatori di questo post, persone che hanno molto da insegnare sull’argomento. E prima che qualcuno ci ponga la domanda, rispondo: abbiamo scritto un racconto vampirico perche’ ce lo hanno chiesto per un concorso su Progetto Babele. Siamo state selezionate per la pubblicazione, insieme a parecchi altri. Il personaggio del vampiro e’ troppo affascinante per uno scrittore, ma anche se siamo state tentate piu’ volte, abbiamo ritenuto che scrivere oggi (dopo l’ondata Meyer) un romanzo di vampiri significasse in qualche modo rendere omaggio al marketing. E non e’ mai stato questo lo scopo della nostra scrittura.
tonidagos, ma qui la porta è aperta. certo si entra a proprio rischio e pericolo. ognuno è responsabile del proprio collo 🙂
grazie per le risposte
non conosco elisabetta, ma : quattro figliiii. 🙂
auguri di cuore e congratulazioni per la bella e numerosa famiglia. merce rara di questi tempi.
…ed io che mi lamento che due figli sono impegnativi….Super auguri a Elisabetta che anche io non conosco,ma se scrive su questo blog è amica nostra 🙂
Un salutoa tutti, anche se non mi faccio vivo da circa un anno. Mi spiace, ma la vita è veloce e troppo piena. Vista la presenza di vecchi amici come Danilo e Franco (che ne sa ancora di più di quanto non sembri) volevo fare un piccolo intervento su senso dell’Horror. Più che un aspetto esorcistico, che riconosco, ho sempre pensato che la paura fosse una chiave d’accesso privilegiata per l’inconscio. Freud parlava del sogno come “via regia” verso l’Es. Allo stesso modo mi pare si possa pensare della paura. Una strada per quello che sta in fondo e che ci chiama. Cosa poi sia quel qualcosa non so. Il mio lavoro di analista mi fa pensare agli archetipi che, in quanto tali, non possono che essere numinosi (come diceva R. Otto) e quindi dotati di attributi come il fascinans e il tremendum. Detto meno tecnicamente ho sempre percepito, sia come psicoanalista sia come scrittore che la paura conducesse verso il mistero e verso il sacro, verso quel dio interno che ci abita e che Jung chiama il Sé. Faccio poi un’equivalenza, del tutto personale tra il sacro/mistero e il senso. La percezione dell’ulteriore che ci dà la letteratura fantastica è uno dei modi attraverso i quali noi possiamo accedere al sacro (in senso religioso e non clericale come percezione di un ulteriore) e quindi al senso. “Degli angeli” -scrive Rilke- “ciascuno è tremendo”. La paura è simbolicamente l’abbraccio dell’angelo.
Alessandro Defilippi
Pur non essendo un appassionato del genere horror rimango affascinato dalla ricchezza di questo dibattito. Complimenti a tutti.
Ragazze (e ragazzi…). questo forum è di una ricchezza strabordante, vertiginosa. Io tento di seguire una linea logica nelle domande, ma i sottotesti immessi durante la “lunga marcia” dialettica sono veramente tanti e straordinari per interesse. Adesso lancio il mio pensiero sul pregiudizio: io sto constatando che in ambito editoriale il famoso pregiudizio nei confronti degli italiani che scrivono horror e quasi – quasi – praticamente scemato (l’amato genere è arrivato persino in Einaudi in modo esplicito e non mascherato… Diana con “Demonio” per dire uno). Adesso deve scemare da parte del pubblico. Perché in Italia sono veramente ancora troppi quelli “che non si fidano”, che per capirci e semplificare comperano King a scatola chiusa, ma su tre italiani due non li prendono perché seguono una via autoctona, legata alle paure nostrane e a quel minimo di sperimentalismo che il genere, da par suo, richiede. Insomma, c’è da lottare, ma qui sta il bello. Anni fa quando avevo ancora un agente, mi fu proposta una saga vampiresco-metropolitana da pubblicarsi con pseudonimo anglosassone. Dissi di no per incapacità a procedere, ma ero sicuro che il marketing la vedeva lunga… Preferisco sperimentare, creare “mostri nuovi” (passatemela, giusto per capirci), ma soprattutto amo essere IO… E credo che nel filone vampirico si sia ancora spazio per la novità perché no, italiana… Adesso vi lascio, perché il lavoro mi sta beccando la giugulare… Non prima di avere promesso a Simonoir che sì, ci vedremo a Milano, giuro… anche perché le tue foto mi rimandano un’immagine sì pericolosamente bella… e mi sento molto Dracula la prima volta che vide la foto di Lucy…
argh! A dopo…
… Beh, il lavoro in Italy, quello sì che sta scemando… Veniamo alle Notti di Salem. Certo che l’ho letto, è un must. E nessuna versione filmica o Tv ne è all’altezza. Grandi idee e grandi svisate sul tema. Allora funzionò meravigliosamente la struttura Peyton Place all’interno della Vampire Story, struttura che come tutti sapete il Re ha sempre più espanso sino ad arrivare all’incredibile reticolo umano prigioniero della Cupola… Sì, mi rendo conto, parliamo sempre di King. Ma King ha dimostrato che l’horror può inglobare – come un Blob culturale – tanti altri generi, se non tutti… Pensateci, così magari c’inoltriamo in un altro sentiero biforcante…
Grazie a Seby e a Francesca Giulia che mi fanno gli auguri per la nascita della mia quarta bimba!
Giusto Danilo (mmm, che bei complimenti mattutini, quando lo specchio ti rimanda a tutt’altra realtà…): King credo abbia il merito di inglobare nell’universo orrorifico qualsiasi particolare quotidiano senza necessariamente ricorrere a creature soprannaturali. Da Cujo a Il Gioco di gerald, Misery, Dolores Clayborne, The Dome… Molti di questi libri potrebbero anche non essere catalogati come horror eppure… Come c’è riuscito King a diventare un fenomeno mondiale tanto che i suoi libri ormai si vendono da soli, anche quando fanno cagare? Com’è che i lettori hanno capito e apprezzato questo inglobamento di generi e poi qui storcono il naso quando si parla di horror?
Paolo dice che non c’è scetticismo nell’editoria, però c’è da dire che nessuno dei nomi citati da lui ha preso il debito volo, nessuno è diventato il King italiano, purtroppo. Mi chiedo come mai.
Quindi è giusto dire che l’horror può avere tante sfaccettature, noir, thriller, giallo, molto più degli appena citati colleghi generi. L’horror è poliedrico, non è sempre guidato da un commissario o un serial killer, non è inscatolato in cliché. E’ solo una questione di preconcetti, e mi pare che in questa discussione un po’ di sana demolizione la stiamo facendo 😉
Rispondendo a Simonetta, mi viene da dire che King sia unico perchè certi fenomeni richiedono – appunto – l’unicità (esiste questa parola ?) per essere riconosciuti come tali. Viene istintivo ad ogni lettore – a me per primo – guardare ad un possibile emulo di King come un usurpatore (nel senso buono, intendo). King ha avuto il merito … di essere King, e di aver scritto così bene e così tanto che diventa difficile per chiunque, ora come ora, sia misurarsi con la sua leggenda che sfuggirvi. A volte il merito non sta solo nel talento, ma anche nel venire prima (che è poi talento esso stesso). Però l’horror va ben oltre la figura di King (anche il nome, a volte, fa gioco). E penso ormai siamo tutti d’accordo nell’affermare che nel genere detto horror possano starvi comodamente anche tutti gli altri, di generi. Il problema è che a volte si tende – per comodità, più che per ignoranza – ad etichettare un autore con un genere. Il trucco, mi pare di capire, sia di non farsi etichettare come autore horror. Bisognerebbe fare (tanto per citarne uno) come fece Cortàzar, che ha scritto romanzi e racconti splendidi dei generi più vari e poi ha inserito qua e là dei veri horror che sono gioielli. Ma nessuno si è mai sognato di etichettarlo come autore horror. Poi ripeto, l’Italia mi pare un paese particolare anche dal punto di vista della letteratura: credo (poi magari sbaglierò) che spesso si proceda anche per luoghi comuni e figure preconfezionate. E poi l’editoria derve pur campare. A che pro promuovere un bel libro che però va controcorrente o non sfrutta la scia del momento ? Per la gloria ? Meglio andare sul sicuro con quello che tira e con i nomi che fanno vendere. Io per esempio sono rimasto impressionato (sfavorevolmente) dal fenomeno scatenato dal libro di Saviano, che va ben oltre i meriti e i demeriti del lbro stesso. Ora come ora sembra che la Camorra l’abbia scoperta lui. E’ diventato addirittura un consulente televisivo sull’argomento. Ancora un po’ e ce lo vedremo roganizzare la forza pubblica e guidare i raid. Questo credo ci dica qualcosa sulla faciloneria di chi gestisce una buona fetta di cultura nel nostro paese.
@ Massimo. certamente! E grazie dell’occasione.
Simo, se nessuno prende il volo, il problema mi sa che stia molto più nelle mani del lettore (che poi è il compratore…) che in quelle dell’editore. L’alchimia che si ritrova dietro un successo o un insuccesso è sempre qualcosa di arcano che spessissimo dribbla il marketing. Non faccio l’editore, ma ne ho frequentati e, per quel che può valere la mia esperienza, li ho visti sempre equamente innamorati di ogni loro creatura, fosse l’esordiente di turno, il vecchio nome eterna promessa che mai decolla, quello che di sicuro t’infila il best-seller e quello che ha l’idea bella ma rischiosa. Torno sulla frase che ho usato prima: “non ti compro perché non mi fido”, molti compratori (anche forti. ovvero quelli che puntellano il nostro traballante mercato) disdegnano gli horroristi italici perché temono – come di dice a Roma – “la sola”, che possiamo tradurre in scopiazzatura, derivazione dai soliti modelli anglosassoni, cliché triti e ritriti, noia nonché l’eredità storica, pesante, del “marziano a Roma” o del vampiro a Cascina Gobba che non funziona (perché poi, Cascina Gobba è un posto terrificante…). Un credito di fiducia che non ti arriva dai tuoi simili, quelli che sono come te appassionati delle stesse Cose vampiri compresi, è un mistero, anzi il Mistero… Ai tempi di Interno Giallo, il mio grande amico Marco Tropea tentò – tramite le sue uscite di McCammon e Simmons – di capire quanti horroristi lettori ci fossero in Italy… Non lo capì mai. E mi puntava il dito contro: “Ma in quanti siete? Seimila per Danza Macabra e mille per Stephen Callagher? Voi non siete pubblico ma carne da macello da trasformare in galoppini politici!” Per carità, i tempi sono cambiati, ma questi sono anche i tempi in cui Dalai (Dalai!) dichiara che un suo autore diventa di successo (ovvero, prende il volto) a quota tremila copie vendute. Dalai non pubblica horror (ogni tanto gli scappa un John Saul o Una carezza dell’Uomo Nero…) e men che mai horror italico. Ma allora di che parliamo? … Il punto è: azzerare la sfiducia preventiva che non fa bene a nessuno… Riuscirci…
Premetto, non sono un’appassionata del genere vampiresco ma quando ho letto la trama del 18°Vampiro di Claudio Vergnani ne sono rimasta subito colpita. Non era la solita storia del vampiro bello e dannato o del cacciatore supereroe come in molti film si è soliti vedere. Era qualcosa di tutt’altro genere, qualcosa di originale. Così L’ho comprato e nel giro di una settimana l’ho letteralmente divorato.
Per me che sono di Modena è stato bello riscoprire i luoghi che sono solita frequentare sotto una luce diversa. Ma quello che più mi ha colpito è stato il mix di ironia, umorismo, citazioni colte e terrore allo stato puro. Qui i vampiri sono esseri putrefatti, esseri corrotti e non c’è nulla di seducente in loro. Così come i cacciatori…gente comune, alle prese con i problemi della vita quotidiana, la depressione, la disperazione…Nessun supereroe ma gente reale, vera che cerca di trovare il proprio posto in questo mondo.
Il romanzo offre riflessioni sull’attualità davvero meritevoli ed i personaggi hanno una psicologia molto ben caratterizzata in cui chiunque, per un verso o per l’altro, può riconoscersi.
Lo consiglio a tutti, specialmente a chi è stanco di leggere sempre le solite storie sui vampiri.
Eh la madonna, finalmente qualcuna/o che ci trova umorismo e ironia nella letteratura Horror (e vampiresca in particolare).
Io avevo postato un “Instant Raccont”, ma non sono stato cag…oops, considerato per niente perchè gli amici erano troppo impegnati a tirar fuori esegesi psicoanalitiche.
C’è, ma forse c’è stato in passato, tutto un mondo di persone che andava nei cinemini di Iv categoria per schiattarsi dalle risate vedendo Cristopher Lee ed altri, la voce dev’essere arrivata a Mel Brooks, che inventò un capolavoro giocando sui luoghi comuni e sul loro rovesciamento: “Frankestein Junior”.
Qualcosa del genere era già stato fatto da Polansky con i vampiri con “Per piacere non mordetemi sul collo”.
La questione che pongo è:
La ricerca di sorriso, scherno, umorismo nei film horror e dovuta alla paura che molti cercano di dissimulare, o ad un approccio approssimativo del fenomeno?
Il successo planetario di King, secondo il mio modesto parere, è derivato , aldilà dei suoi meriti oggettivi, dalle innumerevoli trasposizioni cinematografiche e televisive delle sue storie, iniziate con Carrie e Shining in un momento in cui la letteratura horror produceva ben poco di rilievo e Hollywood era in cerca di qualcosa di innovativo… Che poi alla regia si siano ritrovati rispettivamente De Palma e Kubrick, proiettando il Nostro su scala mondiale, be’, un po’ dipenderà dalla bravura dell’agente di turno (a quando un thread su quelli italiani, Massimo?), che ha saputo proporre le storie del suo assistito a gente con le palle; per il resto, da culo… scusate il francesismo, come direbbe il nostro Claudio.
I nostri agenti non riescono a vendere un horror italiano nemmeno in Lussemburgo o in Andorra, neppure se l’autore e l’editore rinunciano a qualsiasi anticipo o minimo garantito. Se proponi, che so, una storia di fantasmi, ti rispondono che in questo momento tirano solo i vampiri. Se proponi i vampiri, ti dicono: ancora? adesso basta, il mercato è saturo.
Delle medie di vendita sul mercato interno ha gia detto Danilo. Il nostro cinema horror è fermo a un Argento non più vivo da anni, oltre che a improbabili esordienti che hanno la presunzione di scriversi e filmare le proprie storie con budget risibili (gli unici che, con estrema difficoltà, trovano copertura). A parte Pupi Avati (con il cui fratello produttore ho appuntamento a breve per proporgli due titoli), che predilige comunque la commedia e che si (e ci) regala un horror ogni dieci anni…
Ma dove vogliamo andare?!
Il che, naturalmente, non vuol dire rinunciare a combattere e non fare il possibile per accrescere la cassa di risonanza. Personalmente, sono sempre alla ricerca del nuovo autore che renderà se stesso famoso e me ricco…
John Travolta dichiara spesso nelle interviste di essere un vampiro. In effetti il mondo e’ pieno di vampiri che succhiano la vita delle altre persone. Ad esempio gli attori, i personaggi televisivi, i cantanti per non parlare delle top model: loro succhiano la vita degli altri, per osservare la loro vita noi smettiamo di vivere la nostra. La vita passa davanti alla televisione e arriviamo in fondo con una bella fregatura: aver buttato tutto il nostro tempo a immaginare un’altra realta’, altre realta’ senza averne vissuta una. D’altra parte anche le donne troppo belle sono vampiri che ti rubano la vita: le guardi vivere tanto sono belle, qualsiasi cosa tocchino o facciano ti rapisce, e tu rimani ancora una volta fregato. Ecco forse per questo i vampiri ci piacciono ancora: perche’ alludono a una condizione estremamente reale. Siamo noi vestiti con una maschera.
ma che bel post! ma che voglia di scrivere storie di vampiri! e mi viene anche una certa sete…
@didò
io non faccio la psicoanalista: sarà per questo che mi è tanto piaciuta la tua “chicca”?
Vorrei soffermarmi un attimo sulla capacità del’horror di esorcizzare le paure quotidiane.
Sono decisamente orientato in senso positivo. L’horror, l’ho ripetuto in più di un’occasione, è la forma d’intrattenimento più rassicurante: leggere un romanzo horror nella confortevole morbidezza di una poltrona o sotto l’ombra rinfrescante di un ombrellone, così come godersi un film horror nel buio amniotico di una sala cinematografica o alla luce ipnotica del televisore domestico, nella consapevolezza che siamo assolutamente al sicuro, ci riporta a un’emozione primaria: al brivido di paura e piacere insieme che, quando eravamo bambini, provavamo nel sentire genitori o nonni o tate compiacenti narrarci, per favorire il sonno, favole che, immancabilmente, includevano una strega, un orco, un lupo cattivo… E quanto gusto nel meccanismo iterativo di terrori già noti: dai, raccontamela ancora…
E poi c’è una considerazione che appare incontestabile: nella storia più recente, i periodi di maggiore successo dell’horror sono stati:
– gli anni dei grandi mostri cinematografici della Universal, cioè quelli immediatamente seguenti al crollo di Wall Street e alla Grande Depressione derivatane;
– gli anni del revival operato dalla Hammer (con Cushimg, Lee, Fisher, ecc.). cioè il periodo in cui i sonni della popolazione del pianeta erano turbati dalla Guerra Fredda e dalla paura dell’atomica
– i nostri giorni, in cui le vicende sdolcinarte dei vampiri alla Moccia e i (pochi) brividi che ne derivano vanno a distrarre da un mondo in cui di orrori e paure c’è solo l’imbarazzo della scelta: dalle vicende politiche, alla crisi economica, alle guerre sempre in atto, all’AIDS, al proliferare improvviso di calamità naturali che fanno pensare a un Dio incazzato e vendicativo…
Non ci sono, mi pare, altri generi letterari o cinematografici capaci di fare altrettanto.
Ma qui va sentito necessariamente il filosofo Arona…
P. S. Sono intervenuto anche troppo in questo dibattito. Mi riservo, nei prossimi giorni, un ultimo sfogo su un qualcosa che proprio non mi va giù e che esula dalle provocazioni del padrone di casa. Dopodiché mi limiterò a seguire con interesse tutti gli altri, compresi quelli che ancora non si sono fatti vivi, o almeno non-morti…
Fra tanti Vampiri nei corsi e ricorsi storici ( a partire dall’impero romano ad oggi) che hanno dissanguato Napoli,Peppino Esposito,rappresenta,quello che si potrebbe definire un vampiro atipico.Succhiatore non per bestialità,ma per necessità di vita. Male in arnese come tante figure del popolo napoletano,emerge per il suo surrealismo(che poi nella città partenopea tanto surreale non è) Un racconto humor-noir che non ha nulla da invidiare alle collane classiche del genere. Ho riso. E’ questo è l’importante ..il risultato. Bravo Francesco -DiDo’
Dolorante dopo una orrorifica seduta dal dentista (stasera non riuscirei a mordere neppure una mozzarella, figuriamoci un collo…) dico che non si può non essere d’accordo con Claudio, Danilo e Paolo. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
L’etichetta… Ebbene sì, l’etichetta di scrittore horror non piace, almeno in Italia non funziona granché. Ricordo quando agganciai l’agente del fortunato Paolo Giordano dopo una presentazione. Le dissi chi ero, le diedi il mio libro, le spiegai che non sono una autrice splatter.. E lei mi fa: “Ma perché non scrivi un bel giallo? Qui di bravi non ce ne sono!” Ma se io personalmente, solo a Napoli tra giallisti e “noiristi” ne conosco almeno una dozzina di cui tre sicuramente affermati… Superfluo aggiungere che non mi ha mai contattata.
E qui confermo che sarebbe interessante un post sulle agenzie letterarie in Italia.
Allora, se la Nord edita libri come Il vangelo secondo Satana di Patrick Graham (bellissimo libro, devo dire, peggiore il sequel) etichettandoli come THRILLER, allora io che scrivo? Non lo so mica più. Come mi devo presentare a un eventuale quanto anelato agente per convincerlo a rappresentarmi? Almeno si leggessero gli scritti e poi mi rifiutasero.. Invece è un no a prescindere. Questione di etichetta, dunque?
@ Didò: tu saresti capace di trasformare pure Pulcinella in un vampiro assatanato, la tua duplicità è incredibile! 😉
Ora vado a piangere sul mio dente martirizzato… 🙁
ho letto il libro “Io vampira” di Mia .. davvero un bel libro.. un mix tra horror e romanzo d’amore.. uno stile che cattura l’attenzione del lettore e lo spinge a leggerlo tutto di un fiato..
Ultim’ora:
annunciata imminente marcia su Roma da inconsueti gruppi di vampiri. Il New Gothic è tra noi.
Rispondo @ Massimo che ha chiesto: Caro Claudio, perché non ci dài qualche coordinata sul nuovo romanzo a cui stai lavorando (se possibile)? Si intitola “Il 36° Giusto”, se non ho capito male…
Di cosa parla?
Sì, il titolo è proprio “Il 36° Giusto”. Si tratta del seguito de “Il 18° vampiro” (i riferimenti numerici ovviamente non sono casuali). L’idea portante – al di là della trama – è quella di mixare horror non scontato, un approccio interessante, umorismo e uno sguardo scanzonato ma profondo nella natura umana (anche e soprattutto nelle sue debolezze meno lusinghiere). I personaggi inoltre – a differenza di quanto accade spesso – conoscono molto bene la letteratura vampiresca, e si divertono a confrontare la “realtà” che si trovano ad affrontare con le varie finzioni lettarie e cinematografiche. Ho utilizzato un linguaggio crudo, ma proprio per questo decisamente realistico. Così come per Il 18° vampiro, ho voluto provare a scrivere un romanzo che potesse accontentare e appassionare chi – come il sottoscritto – ha ormai letto e visto tantissime cose sull’argomento vampiri. Poi, ovviamente, come ho già detto nei post precedenti, l’ambientazione horror è anche uno “sfondo” nel quale inserire spunti e riflessioni su che tipo di sentimenti debbano affrontare i personaggi alle prese con avvenimenti terribili. E come riescano (e più spesso NON riescano) a farvi fronte.
In ogni caso , per chi fosse interessato a saperne un po’ di più, consiglio di dare un’occhiata al Blog Gargoyle, dove potrà trovare informazioni e recensioni
Un grazie a tutti per la pazienza.
Il successo dei vampiri è solo una recrudescenza. Non ha mai avuto davvero battute di arresto dopo la prima uscita di “Dracula”. Semmai, oggi, vi si unisce il senso di angoscia e incertezza che attanaglia i giovani, privi di concrete prospettive di inserimento nella vita e nel lavoro, dunque inclini a cercare uno scampo virtuale nel fantastico più sanguinario.
Per gli adulti, invece, specie in età matura, il vampiro incarna il sogno della non-morte e dell’ipersessualità. Meglio del Gerovital di una volta e dei vari Viagra e Cialis.
Il problema, per chi scrive, sta nell’escogitare formule narrative che sviscerino l’antropologia e il folklore. Gli angloamericani hanno il vantaggio dell’eredità celtica. Stephen King non esisterebbe senza Halloween. Preceduto magistralmente da Ray Bradbury. Anche Edgar Allan Poe, pur non avendo toccato direttamente le corde vampiriche, ne ha lasciato scorci abbondanti (Waldemar), sempre attingendo a quell’albero genealogico delle culture nordiche.
Nel salutare altri amici arrivati – in particolare Alessandro – mi sembra bello sottolineare quanto importante sia per profondità, ricchezza di spunti e qualità di scrittura, l’apporto di una serie di interlocutori nostrani – parecchi dei quali presenti a questo dialogo. Grandi scrittori e spesso persone splendide, il che non mi pare secondario. Se per esempio siamo qui a parlare di vampiri è anche perché Danilo, diavolo di un uomo, ha aperto la strada in anni in cui questi argomenti erano out: col suo lavoro di saggista – quando i film horror non si trovavano nella videoteca sotto casa, e bisognava inseguirli in remoti cineforum o evocarli medianicamente – ha buttato basi per una critica sociale e psicologica a cui tutti poi ci siamo rifatti. Di più, come specialista di leggende metropolitane, o meglio di quella risacca psichica che si svela – ambigua e a volte minacciosa – della stessa natura dei fantasmi, ha inventato una forma tutta sua, originalissima di romanzo-saggio: e le sue Melisse & Co., frantumate in infiniti grumi di soggettività dispersi tra autostrade nebbiose e vie del web, sono sicuramente imparentate coi vampiri di domani. Con la differenza che lui sa vederli già oggi… Penso a Gianfranco Manfredi, che ha regalato capolavori come Magia Rossa, Ho freddo e quello straordinario Ultimi vampiri dove troviamo i nostri amici nella forma prestokeriana di esuli da tutte le patrie, fuoriusciti da tutti gli schemi sociali noti, e sbandati della storia (tra l’altro, I figli del fiume è anche una storia d’amore formidabile). L’avevo letto tanti anni fa e sto godendo ora questa ultima versione estesa, riscoprendo a ogni pagina la sua coltissima, lussureggiante eleganza visionaria. Penso a Valerio Evangelisti, con le creature vampiresche del ciclo di Eymerich, uno dei personaggi più potenti della letteratura fantastica contemporanea a livello internazionale… E, per le nuove leve, penso al delizioso Claudio Vergnani, con l’immenso Trionfo della (non-)Morte che ha saputo affrescare, e ora vogliamo assolutamente sapere come continuerà; penso a Flavio Santi, col suo sabba vampiresco di narcolettici, uomini-specchio e piovre fluttuanti su un mondo alla deriva – e mi limito a qualche nome, senza assolutamente voler far torto ad altri narratori. O narratrici, e mi vengono in mente i languidi vampirismi torinesi (addirittura una setta di succhiasangue, per di più collocata vicino a casa mia…) dell’amica Anna Berra. E d’altra parte spererei che un altro formidabile evocatore di inquietudini fantastiche tra angeli ribelli e possessioni psichiche, il già citato Alessandro Defilippi dalla penna di rara eleganza, volesse regalarci anche un romanzo di vampiri. No, non abbiamo niente da invidiare agli altri…
Ringrazio ancora una volta tutti voi per i nuovi interventi. Devo dire che questo dibattito si sta sviluppando in maniera “sanguigna”!
(Ma forse avevo già sfruttato questa battuta… non ricordo).
–
Anticipo che in conclusione dei miei soliti “commenti a raffica” inserirò le risposte alle domande che mi ha inviato via mail Gianfranco Manfredi.
@ Franco Pezzini
Caro Franco, ci siamo incrociati.
Grazie di cuore a te e a gli amici che hai (giustamente) citato nel precedente commento.
@ Samuele e Cristina
Grazie a te, Samuele…
E grazie anche alla cara Cristina Bove.
(Un ri-saluto a Didò)
@ Miriam/Mia
Cara Miriam (o meglio Mia). Raccontaci un po’ di questo tuo romanzo: “Io, vampira”.
Da chi è edito? Di cosa parla?
@ Elisabetta Modena
Cara Elisabetta, ti faccio (di vero cuore) tantissimi auguri per la tua quarta figlia. Per portare avanti famiglie numerose, oggi, ci vuole molto coraggio. Ancor più che affrontare vampiri…
Eroina! (senza alcun riferimento a droghe e simili).
🙂
Un abbraccio forte.
@ Simonetta
Dài, Simonoir… secondo me, oggi, c’è una gran riscossa dell’horror al femminile (di cui tu sei una delle paladine).
@ Paolo De Crescenzo
Caro Paolo, so che Valerio (Evangelisti) sta attraversando un periodo particolare (e temo sia impossibilitato a partecipare)… comunque proverò lo stesso a invitarlo.
Per il resto, il dibattito è aperto a tutti.
Mi rivolgo a te e agli altri amici “addetti ai lavori”: se conoscete altri “esperti” da coinvolgere nella discussione (quali Sergio (Alan D.) Altieri, ecc.), vi prego di invitarli voi stessi.
Auspico una ulteriore moltiplicazione di voci. ;-))
Ne approfitto, ancora una volta, per ringraziare te, Franco Pezzini, Danilo Arona, Claudio Vergnani e Flavio Santi per i nuovi ottimi spunti.
Un saluto (e un benvenuto) a Matteo Piccione.
@ Alessandro Defilippi
Grazie per il tuo intervento, Alessandro. La tua presenza qui a Letteratitudine è sempre graditissima. Ti faccio tanti in bocca al lupo per il tuo nuovo romanzo in uscita per Einaudi (ti inviterò per discuterne insieme).
–
p.s. Alessandro Defilippi è anche l’autore dell’ormai mitico articolo sul carnevale – orginariamente pubblicato su “Tuttolibri de La Stampa”che ho praticamente adottato in questo post
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/13/un-carnevale-da-raccontare/
:-))
@ Laura Costantini (e Loredana Falcone)
Di seguito, il vostro racconto “vampirico”… eh, eh, eh :-))
NELLA NOTTE SANGUIGNA DEI LAMPIONI
racconto di Laura Costantini e Loredana Falcone
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Ci risiamo. Come si fa a costruire una metropolitana in una città dove basta infilare un dito nel terreno per trovare un reperto archeologico? Siamo indietro con i tempi. Chi glielo dice adesso al geometra? Mi faccio largo tra gli operai curiosi e snocciolo tre bestemmie delle mie. I cunicoli mi mettono ansia e l’idea di infilarmi lì sotto proprio a fine turno… Accendo il faretto sul casco e cerco di non pensare che sono ingrassato e che il cunicolo è ancora solo un abbozzo. Giuro che se lì sotto non c’è la tomba di Augusto, mi faccio i cazzi miei e faccio spianare tutto.
Terra umida e grassa, Pietrisco. Fuori trenta gradi e qua sotto mi cago sotto dal freddo. Peggio di una catacomba. Ma dove l’hanno visto ‘sto sarcofago? Qualcosa mi cammina su per il polpaccio. Lo so che è solo un’impressione. E poi il pericolo non viene mica da ragni, scarafaggi o topi. Però prude, cazzo! Mi strofino e sento qualcosa di umido: una poltiglia di ragno mi impasta i peli, che schifo. Mi pulisco con una manciata di terra mentre continuo a muovere la testa per illuminare il più lontano possibile. Se mi hanno fatto scendere qua sotto per niente se la vedono con me. Altro che turni di riposo. Li faccio scavare pure il giorno di Ferragosto.
Eccolo. Pietra chiara sul fondo del tunnel. Non sembra niente di che. Non è neanche scolpita. Però è una parete. Vuoi vedere che abbiamo trovato sul serio la tomba di uno importante… Quelli delle Belle Arti ci fanno il culo, altro che storie. Questa è proprio una cripta. Tre pareti di travertino e la quarta l’abbiamo sfondata noi con la trivella. A ‘sto punto, perso per perso, io un’occhiata la do. Trovassi qualche pezzo da rivendere…
***
Sapevo che sarebbe successo. Il paradosso del genere umano è che non può vivere senza spargere sangue. Il salvifico odore del sangue. E il sapore. Immergo le labbra nella pozza che stilla ai miei piedi. E’ come rinascere. La vita che defluisce dal tuo corpo agonizzante mi riempie, mi restituisce forza. Emergo dalla nuda terra, incontro i tuoi occhi e ritrovo la pietà. Soffri ancora. La trappola è scattata e la lancia ha compiuto il tuo destino. La trappola che era lì per me. Stolti. Davvero pensavate fosse facile liberarsi di quelli della mia razza? Mio sfortunato amico, non sarei ancora qui dopo quanto… dieci, cento, mille anni? Ritrovo brandelli di lana sul mio corpo nudo e sempre più tonico ora che il tuo sangue si unisce al mio. Non resta traccia della mia toga. Ma la pelle riprende colore mentre i tuoi occhi si spengono. Vale.
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Il mistero della metro C
Brancolano ancora nel buio gli inquirenti chiamati a indagare sulla morte di Luigi Borghetti, 45 anni, operaio specializzato trovato trafitto da una lancia all’interno di una cripta di età romana. L’uomo, chiamato a fare un sopralluogo per il ritrovamento di resti archeologici in un tunnel della nuova metropolitana, è stato trovato nudo e completamente dissanguato dai colleghi, insospettiti dalla prolungata assenza. Al momento nessuna ipotesi viene scartata. E se è stato scoperto il meccanismo che ha fatto scattare la lancia, nessuno sa ancora spiegare che fine hanno fatto i vestiti, il casco e, soprattutto, i resti del cittadino romano di epoca imperiale tumulato nella nuda terra. Prassi questa piuttosto inusuale per membri della nobiltà romana, quale doveva essere lo sconosciuto proprietario della tomba.
***
Marinella accartoccia la copia del “Messaggero” del giorno prima e la lancia nel cassonetto. Quel cantiere della metro, quello del morto, è proprio vicino casa sua. Lì dove la periferia prende il suo aspetto indeciso tra strade a scorrimento veloce, palazzine abusive e capannoni industriali. Un panorama spettrale alla luce rossastra dell’illuminazione al sodio mentre, traballando sulle zeppe da venti centimetri, torna alla stanza in subaffitto. E’ stata una nottata fiacca. Ormai la concorrenza delle minorenni slave e dei trans sta prendendo il sopravvento su quelle come lei. Prostitute qualsiasi, tra i venti e i trenta, con tariffe oneste e la pretesa di usare il guanto. Nella borsetta minuscola, imitazione di Gucci, ci sono 50 euro. Tutto quello che è riuscita a guadagnare passeggiando avanti e indietro sul suo tratto di marciapiede. Mo’ chi glielo dice a Dodi? Marinella è più stufa di prendere schiaffi che cazzi. Fosse stata in centro, si sarebbe attardata a bere un caffè. Ma lì non c’è niente, solo il cantiere della metro C, circondato dai bandoni gialli e dai nastri della Polizia. Le da un brivido pensare all’operaio impalato lì sotto. Un brivido che le si attacca addosso, come la merda dei cani sotto le suole delle scarpe. Si guarda intorno, nella luce senza ombre. E’ sola, a parte le rare automobili che transitano sulla Casilina. Ma c’è uno sguardo. Ne è sicura. Se lo sente strisciare addosso, acuminato come un coltello, minaccioso. Affretta il passo, anche se significa correre incontro a Dodi, portandogli soltanto 50 euro. Una miseria che non le perdonerà. Si prepara a parare la mano pesante di anelli mentre, con un sollievo inaspettato, riconosce da lontano la sagoma della Yamaha.
***
Non conoscevo la paura prima di trovarmi sbalzato in un mondo che non è il mio. La parte più razionale di me mi impone di considerare che il mio sonno può essersi protratto ben al di là delle mie supposizioni. Quello che ho intorno è un universo sconosciuto. Una realtà che ha ingoiato la mia città, lasciandone solo dei macabri resti dimenticati dagli uomini. Rovine. Solo rovine restano dei fasti che sono appartenuti al mio tempo. Roma è caduta. Come me si è addormentata per risvegliarsi tra mura grigie e luci fredde, sotto un cielo privo di stelle, umiliata da un idioma straniero.
Ho paura di questo mondo, di questa gente che non mi vede né mi teme. Uomini, donne e bambini confusi in una folla amorfa. Tutti. Meno lei.
Si è accorta di me. Sento il suo cuore battere in fretta, pompare l’odore dolce del sangue oltre la barriera della pelle, arricchito dall’aroma della paura. Ho sete. Tanta sete.
***
Gli ultimi passi di Marinella somigliano a una corsa. Quasi stia per gettarsi tra le braccia di Dodi. Quasi sia un’innamorata che rivede l’amato dopo tanto tempo e non una prostituta che va incontro all’ennesima fregata di botte.
“Oh, frena. Che te stanno a rincore?”
Marinella si volta a guardare il tratto di strada percorso. Ha il cuore in gola, ma l’asfalto è deserto e quasi lucido alla luce dei lampioni.
“Allora?”
“E’ stata ‘na serataccia. Ce so troppe brutte facce in giro.”
“Caccia li sordi, Marinè, che nun ce casco.”
Ecco, il momento è arrivato. Non ha senso mandarla per le lunghe. Apre la borsetta e prende le banconote, le conta. Neanche fossero aumentate nel frattempo. Le mette nella mano tesa di Dodi, senza alzare gli occhi.
“E questo che è? ‘Na presa per culo?”
Non le dà il tempo di rispondere. Le strappa la borsetta, la fruga, poi la getta lontano. Non fa caso ai suoi occhi spaventati. Neanche la guarda mentre, con un tono di voce che è tutto un programma le fa: “E’ che nun ce metti passione. Manco come mignotta vali un cazzo!”
Il manrovescio non la coglie di sorpresa, ma fa male. Sente le labbra rompersi, prese in mezzo tra anelli e denti. Il sapore del sangue è salato e tristemente noto. Cade a terra e Dodi comincia con i calci.
***
L’odore è fortissimo. Da stordire. Non è solo il sangue e la paura di lei. E’ la rabbia prepotente di lui. Lo guardo infierire sulla donna come neanche un barbaro. La sete ha preso il sopravvento. Esco allo scoperto.
***
“Manco li carci te meriti”, dice Dodi cercando le sigarette in tasca. “Che ce devo fa co’ te?”
Marinella vorrebbe rimanere lì, raggomitolata contro l’asfalto caldo. Sa che qualsiasi cosa dica, servirà solo a riaccendere la sua rabbia. Non sente dolore, quello arriverà dopo. Ma il freddo sì. Sembra avvolgerla come un bozzolo, costringendola a stringere i denti.
“Arzete, cammina.”
Dodi la prende per un braccio, sollevandola quasi di peso.
“Te ne devi guadagnà armeno artri cento prima de chiude bottega.”
Marinella non lo ascolta, non lo guarda neppure. I suoi occhi frugano la notte sanguigna dei lampioni, sgranati.
***
Mi ha visto. Incrocio il suo sguardo e mi assale una sensazione che avevo dimenticato. Esisto. Il terrore nei suoi occhi è la mia legittimazione. Il riconoscimento di questa nuova vita. Ma l’emozione non basta. Ho bisogno di sangue. Tanto sangue.
***
Marinella non capisce l’ondata di orrore che la investe. Quello che si avvicina rapidamente alle spalle di Dodi è un uomo. Un semplice uomo, con le vesti di un operaio, troppo grandi per lui e chiazzate di scuro. Forse un barbone. Eppure la voce le rimane incagliata in gola, mentre tenta di avvertire Dodi del pericolo. Non fa in tempo. Marinella vede lo sconosciuto mettere una mano sulla spalla di Dodi e costringerlo a voltarsi.
“Ma che caz…”
Il rumore è terribile. Disgustoso. Un gorgoglio vischioso mentre tutto il corpo di Dodi freme, guizza, si consuma.
La bocca dello sconosciuto è sporca di sangue quando lascia cadere l’involucro accartocciato di quello che era un uomo.
Marinella è caduta in ginocchio. Non crede, non vuole credere a quello che ha appena visto. E’ ancora lì che cerca di convincere se stessa che è tutta un’allucinazione quando il vampiro le porge la mano.
“Surge.”
E’ un sussurro gentile. Marinella non capisce, ma afferra la mano. E’ fredda mentre l’aiuta a tirarsi in piedi. Lo sguardo del vampiro è attratto dalla sua bocca insanguinata dal manrovescio e lei si ritrova a pensare che sembrano tutti e due reduci da un banchetto.
“Ne time. Nolo tibi male facere.”
E’ latino. Una vaga reminescenza scolastica la assale e la sconvolge. Neanche nella più fervida delle allucinazioni potrebbe immaginare quelle parole.
***
Non capisce. Non può capire. La mia lingua, la lingua dell’Impero più grande del mondo, è ormai morta. Mi guarda e l’orrore danza nei suoi occhi unito alla curiosità. Il sangue sulle sue labbra promette delizie. E’ bella come un’etera di Cipro e la brama che mi agita rivela la profondità della mia solitudine. Sarebbe così facile spingerla a offrirmi la tenera curva del collo. Ma spegnere la sua vita mi lascerebbe ancora più solo in questo mondo che non mi appartiene.
***
Le dita fredde scivolano via da quelle di Marinella e lei batte le palpebre, come risvegliata da un sogno. Il vampiro fa un passo indietro e le indica la strada deserta. La lascia libera. Libera di correre via, di rivedere la luce del sole. Marinella esita. Fa qualche passo, poi si volta a guardarlo. Lui è sempre lì, ombra tra le ombre, immobile. Lei non sa se riesce a scorgere il sorriso che le distende timido le labbra dolenti. Ciò che sa con certezza è che qualcosa li ha uniti, qualcosa che non svanirà con le prime luci dell’alba ma tornerà a trovarla ogni sera, nella notte sanguigna dei lampioni.
Laura Costantini – Loredana Falcone
Mentre che ci sono ne approfitto per pubblicizzare il racconto di uno scrittore mio concittadino. Non è un racconto sui vampiri, ma è dotato di una netta atmosfera gotica e ha a che fare con i fantasmi. Lui sostiene che sia un “peccato di gioventù”… ma io non sono molto d’accordo.
Potete scaricarlo e leggerlo gratuitamente da qui: http://www.imalavoglia.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=31
Ah… dimenticavo…
Lo scrittore mio concittadino si chiama Giovanni Verga. Il racconto si intitola: “Le storie del castello di Trezza”.
😉
@ Didò
Credo che la tua “chicca” si passata tutt’latro che inosservata…
…
Un caro saluto e un ringraziamento a Lucia De Carlo e a Giorgia
Ancora per Paolo De Crescenzo:
Prima o poi organizzerò un dibattito coinvolgendo gli agenti letterari… sarebbe interessante, in effetti.
Credo, tuttavia, che il problema dello “sdoganamento” dei romanzi (vampirici e non) all’estero riguardi non solo l’Italia. Anche se – a mio avviso – in questo momento le produzioni letterarie ispaniche e quelle nordeuropee (sull’onda del successo di Larsson) stanno conoscendo una discreta fortuna.
–
P.s. Intervieni ancora, dài… :-))
Un saluto e un ringraziamento a Marco Candida.
Marco è autore de “Il mostro della piscina” (Intermezzi):
http://www.intermezzieditore.it/il_mostro_della_piscina.php
nonché del sito: http://www.websitehorror.com/
…
Saluti anche a Maria Assunta e a Sebina (benvenute a Letteratitudine!)
@ claudio vergnani
“Il 36° Giusto” si profila come un romanzo da divorare… anzi, da “succhiare”.
Pare molto interessante, Claudio. Ti faccio tanti in bocca al lupo perché tu lo possa realizzare al meglio.
Ringrazio e saluto anche Enzo Verrengia per il suo intervento.
Enzo è autore di questi libri: http://www.ibs.it/libri/verrengia+enzo/libri+di+verrengia+enzo.html
E ora ecco a voi le risposte di Gianfranco Manfredi alle mie domande (le inserisco qui di seguito a suo nome).
– Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
Non è entrata, c’è da sempre e non ne è mai uscita. Riguarda fondamentalmente il nostro rapporto con i morti. Dunque è un dato antropologico. Qualcosa di più di una figura dell’immaginario.
– Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
Le alternative o-o nel caso dei vampiri non esistono. Il vampiro è un ossimoro cioè una compresenza di contrari (cadavere vivente). Per lui si può usare solo la congiunzione “e”. In ogni “passione” del resto si cela un contrasto. L’energia si trasmette tra poli opposti.
– Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
A prima vista il vampiro letterario è un totale ribaltamento del vampiro storico. I presunti vampiri dissepolti e straziati per più di due secoli nella Storia europea e non solo europea, erano contadini e in prevalenza donne e bambini, cioè i membri più deboli della famiglia. Il vampiro letterario nasce aristocratico oppure è un giovane dandy borghese. Credo però che questa trasformazione stesse nelle cose. Alla figura storica del vampiro ha contribuito la diffusione delle malattie cosiddette “consuntive”, come ad esempio la tubercolosi. L’infezione è partita dal popolo e si è propagata alle classi superiori. Analogo decorso ha avuto la Melanconia o depressione che all’origine era una malattia prostrante dovuta a condizioni di vita e di lavoro affliggenti, ma che nel passaggio tra settecento e ottocento si sparse a tal punto tra i commercianti, gli uomini d’affari, l’alta borghesia, da diventare addirittura la malattia simbolo prima dell’ascesa e poi della decadenza borghese. Nel ribaltamento di classe, il vampiro non ha affatto smarrito la sua forza simbolica. Già presente nelle tradizioni dei popoli di tutto il mondo, non c’era da stupirsi che si insediasse anche a tutti i livelli di classe. Il vampiro vive di contagio. Sarebbe tuttavia importante se ci si rendesse maggiormente conto che tra figure simboliche, costumi sociali e pratiche rituali c’è sempre, in tutte le culture, un collegamento profondo. Non esiste la vita concreta da un lato e l’immaginazione dall’altro. E’ davvero importante ricordare (e ho cercato di farlo con il mio romanzo “Ho freddo”) che i vampiri storici non sono stati riesumati e mutilati dal dottor Van Helsing o da tenebrosi Inquisitori, ma dai loro stessi famigliari, i padri in particolare, che infierivano sui cadaveri dei figli, e questo è accaduto nel nostro mondo civilizzato fino alla fine dell’ottocento. Stoker immaginava, è vero, però le cronache delle profanazioni di cadaveri poteva anche leggerle sui giornali. Questo cambia non poco la prospettiva.
– Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
Il vampiro sul piano squisitamente letterario è un essere mutante. Un mainstream vampirico non esisteva neppure ai tempi di Stoker. Lasciamo pure perdere i vampiri del folklore, ma anche se ci limitiamo ai vampiri letterari c’è una notevole differenza tra il Vampiro di Polidori, le vampire di Poe, Varney, Carmilla e Dracula. Venendo ai nostri giorni si sono visti vampiri del tutto devianti rispetto alla tradizione più consolidata: vampiri immuni al crocefisso, addirittura vampiri preti, vampiri che si muovono in pieno giorno con l’unica accortezza di un paio di Ray-Ban, vampiri mondani da discoteca o da concerto rock, vampiri non-violenti che si alimentano con il sangue delle sacche ospedaliere, vampiri eternamente adolescenti e (tra l’altro) ripetenti a vita perché (come la Meyer insegna) frequentano sempre la stessa classe (pensa che rottura). In sostanza non mi pare abbia alcun senso richiamarsi a una presunta fedeltà al Mito, che nel caso del vampiro non c’è mai stata. Il vampiro è una perpetua trasgressione, anche da se stesso. L’unico aspetto davvero ineliminabile è la sua natura di non-morto che ritorna ad angosciare in vario modo i vivi.
– La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
La scrittrice californiana Chelsea Quinn Yarbro, con cui ho avuto modo di parlare di recente, trova quanto mai naturale ambientare storie di vampiri in Italia. La stessa Meyer ha ambientato alcune situazioni in Italia. Questa tradizione, in America, risale a Hawthorne e Poe. Il nostro strano paese è stato la culla del romanzo dell’orrore moderno, letterariamente (a partire da Dante Alighieri), geograficamente (si pensi alle ambientazioni italiane del gotico inglese), scientificamente (si pensi agli anatomisti del seicento, ai pre-Frankenstein del galvanismo, allo spiritismo positivista).Se dunque l’Italia è insieme scenario e culla del romanzo horror moderno, perché non ha espresso una cospicua letteratura di genere? Forse perché gli scrittori italiani hanno preferito spargere umori “perturbanti” fuori dai confini di genere. Al di là dello specifico tema “vampiri”, c’è un “nero” diffuso italiano su cui richiamava l’attenzione Oreste del Buono e che percorre trasversalmente la nostra letteratura. Un esempio di altissimo livello di come il visionario e l’orrifico non siano affatto estranei alla letteratura italiana moderna è “La pelle” di Curzio Malaparte.
– C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
Alla fine dei settanta, dopo aver tradotto per Bompiani “Frankenstein Liberato” di Brian Aldiss, proposi (non dico a chi, ma trattavasi di figura eminente dello stesso gruppo editoriale) il mio “Magia Rossa”. Mi si rispose senza neppure lasciarmi il tempo di esporre il tema del romanzo, che dell’horror in Italia non fregava niente a nessuno. Pubblicai in seguito il romanzo da Feltrinelli senza alcun ostacolo e l’esito fu ottimo. Diversi anni dopo, proposi alla stessa Feltrinelli, il mio “Ultimi Vampiri” e anche quella volta l’idea fu ben accolta. Alla rituale riunione dei venditori però, questi, compattamente, emisero il solito verdetto: dei vampiri in Italia non frega niente a nessuno. A una settimana dall’uscita il libro era già in classifica. Conclusione: non sono i lettori a nutrire pregiudizi. Sono piuttosto i cosiddetti “esperti” a esserne imbevuti. Ma questo non è un fenomeno soltanto italiano. La stessa identica cosa avviene in America. Solo un grande successo riapre la pista e in genere per poco perché la sovraproduzione riseppellisce il vampiro per anni. Se però andiamo a vedere i dati delle letture in biblioteca, segnalano (tanto in Italia, quanto in America) che l’horror e la narrativa vampirica in particolare, a differenza di altri generi, non registra mai flessioni ed è sempre ai primi posti nella scelta e nel gradimento dei lettori. Cioè il flusso editoriale è intermittente, il flusso delle letture costante. Il filtro tra i due flussi sta nella diffidenza per la letteratura popolare di cui si alimenta l’addetto ai lavori medio. La cultura davvero alta, nell’editoria come nelle Università, non conosce queste prevenzioni, né di genere, né nazionali. Per persone di formazione e inclinazione cosmopolita, la letteratura o è universale oppure non è. Il nazionalismo culturale è un residuato bellico.
– Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella storia della “letteratura vampirica”?
Modesto. Stephen King non si è mai particolarmente distinto riguardo ai vampiri. Sono altri i suoi temi forti. Mi è stato riferito in proposito, dalla Yarbro, un divertente aneddoto. In un convegno letterario, King parlando del suo “Salem’s Lot”, sostenne che era perfettamente plausibile che una comunità vampirica potesse sopravvivere insospettata in America. La Yarbro replicò con un racconto nel quale una comunità vampira del New England (nell’immaginaria città di Jericho) viene smascherata da un ispettore fiscale. Lo inviò a King che rispose: Hai perfettamente ragione, una comunità vampira può vivere indisturbata, ma a patto che paghi le tasse.
– A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
Sicuramente agli adolescenti, svezzati prima dai “Piccoli Brividi” di Stine e poi dai telefilm di “Buffy”. Erano già predisposti alla Meyer. Brava lei ad accorgersene.
– Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
I lettori oggi sono prevalentemente lettrici. I maschi purtroppo leggono pochissimo. Il successo di Twilight è anche un successo di “genere” (nel senso di genere femminile). Completamente diverso dal successo di Harry Potter, che invece va ben oltre il mercato generazionale e alle distinzioni maschio-femmina, come del resto è sempre stato per la letteratura fiabesca che non è mai stata esclusivamente per l’infanzia o l’adolescenza. Dubito fortemente che la saga della Meyer, se resta immutata nei suoi tratti, possa avere la stessa durata e solidità. In genere gli adolescenti al secondo titolo già si stancano, come è vistosamente avvenuto per Moccia. L’onda si allarga accogliendo i ritardatari e i curiosi e grazie a sfruttamenti collaterali come quello cinematografico, ma a ogni nuovo titolo della saga il rallentamento è evidente. Il target degli adolescenti è per sua natura incostante (lo si vede molto bene nella musica pop), per il semplice fatto che crescono. Un adolescente può passare in un anno da Britney Spears al post-punk.
– In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
L’horror, lo si comincia a leggere da bambini come “prova di coraggio” . La sua funzione è cioè al principio “sciamanica” e simile a quella delle fiabe fosche: condurre al superamento della paura. Questo resta valido nell’età adulta, dove le prove di coraggio da superare si fanno più complesse, cioè meno basiche e “primitive”, pur conservando caratteristiche ancestrali. Il gotico in particolare (che prediligo) è un percorso dalla mostruosità all’elevazione spirituale. Un percorso, non un esorcismo. Cioè, la liberazione dalla paura e dagli incubi non avviene per opera di un celebrante esterno (lo scrittore), ma è esperita direttamente dal soggetto-lettore. Lo scrittore può essere al massimo una guida (il Virgilio che conduce Dante attraverso l’Inferno). Un autore horror dovrebbe sempre guardarsi dal proporsi obiettivi scopertamente consolatori. Non facciamo anche dell’horror una palestra per buonisti, altrimenti siamo davvero rovinati.
Ringrazio di cuore Gianfranco Manfredi per le ottime e interessanti risposte alle mie domande e per il contributo notevole allo sviluppo di questa nostra discussione.
Naturalmente siete tutti invitati a interagire, anche alla luce dei nuovi contributi.
In conclusione vi comunico che, dato che questo è un dibattito sui non-morti, ho intenzione di “immortalarlo” all’interno del nuovo volume di “Letteratitudine, il libro” (uscita prevista: dicembre 2010).
Forse domani mi prenderò un giorno di vacanza dal blog… ma tanto ci sono Laura e Simonetta… e poi, ovviamente, ci siete tutti voi.
😉
Una serena notte a tutti (e ancora grazie per i numerosi interventi).
Non sono i lettori a nutrire pregiudizi. Sono piuttosto i cosiddetti “esperti” a esserne imbevuti. Ma questo non è un fenomeno soltanto italiano. La stessa identica cosa avviene in America. Solo un grande successo riapre la pista e in genere per poco perché la sovraproduzione riseppellisce il vampiro per anni.
Lo dice Gianfranco Manfredi e io ci credo e lo sottoscrivo. La domanda a seguire, poco attinente al tema vampiresco (o forse no?) e’ questa: agli addetti ai lavori, di qualunque settore, si chiede di cavalcare semplicemente l’onda, di vampirizzare il fenomeno gia’ avviato o di annusare l’aria e capire da che parte girera’ il vento? Forse sbaglio, forse come scribacchina ho la tendenza a considerare coloro che lavorano nel mondo dell’editoria come deus ex machina, ma se a uno stilista si chiede di creare uno stile nuovo, se ad un agente cinematografico si chiede di scovare il nuovo talento che buchi lo schermo, allora perche’ agli agenti letterari si chiede di prendersi cura di chi ha gia’ sfondato le barriere del mercato con decine di migliaia di copie? Perche’ i venditori sono persone che riescono a vendere solo cio’ che in pratica si vende da se’?
Lo so che sono domande cosmiche, ma i vampiri sono tra noi e, nel mondo dell’editoria, succhiano fino allo sfinimento solo coloro che hanno gia’ avuto successo. Un comportamento poco salutare, sia dal punto di vista ematologico, sia dal punto di vista strettamente legato al marketing. Non e’ forse il ricambio dei prodotti la logica vincente del consumismo? 😉
Pur non essendo un’appassionata del genere horror e della letteratura gotica, rimango molto affascinata da questo post e dagli scambi che ho letto.
Mi colpisce in particolare anche l’aspetto metaforico della figura del vampiro, che molti di voi anno messo in evidenza.
La prima domanda d Massimo è questa.
Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
Può sembrare una domanda banale, ma non lo è.
Manfredi sostiene questo: “Non è entrata, c’è da sempre e non ne è mai uscita. Riguarda fondamentalmente il nostro rapporto con i morti. Dunque è un dato antropologico. Qualcosa di più di una figura dell’immaginario”.
Io non sono molto d’accordo. E’ vero che il rapporto con i morti, con la morte, nasce con l’esistenza stessa, e che l’uomo, di conseguenza, ci ha sempre dovuto fare i conti. Secondo me, però, il dato antropologico, rispetto alla fattispecie, si risolve e confluisce nella nascita delle religioni. La figura del vampiro, secondo me, viene dopo. Mi sembra le derivazione della figura demoniaca presente un po’ in tutte le religioni. Di più, la figura del vampiro è una “figura demoniaca” che discende fortemente dalla religione cristiana. Infatti il rapporto del vampiro con la croce cristiana è strettissimo, indissolubile.
Il vampiro è una sorte di anticristo. Se Cristo risorge attraverso la Croce, attraverso la Croce il vampiro ri-muore. Se Cristo dà il proprio sangue per la salvezza dell’altro, il vampiro prende il sangue dell’altro per la propria salvezza.
Una figura speculare. Un angelo della notte: il principe delle tenebre, appunto. E forse è proprio per via di questa sua specularità che è entrato così fortemente nell’immaginario collettivo.
scusate i refusi, dovuti alla fretta. Il senso del discorso, tuttavia, mi pare chiaro.
saluti a tutti.
Complimenti a Laura Costantini e Loredana Falcone per il loro racconto. Mi è molto piaciuto.
@Vincenzo: tutto giusto, ma la figura del vampiro era presente molto, ma molto prima della religione cristiana. La troviamo nell’Antica Grecia, a Roma, nella cultura assiro-babilonese e tra i fenici. In questo senso e’ meravigliosa la contaminazione tra dato storico e fantasia che ne fa Ann Rica immaginando la creazione stessa del vampiro, nato dal connubio tra un demone assetato di sangue e la carne umana.
@Amelia Corsi: grazie, anche a nome di Loredana 🙂
Sottoscrivo in pieno quanto scritto da Gianfranco Manfredi, che è un maestro e un punto di riferimento. In particolare ha messo il dito sulla piaga – è il caso proprio di dirlo – di un paio di snodi a mio avviso fondamentali.
Intanto il fenomeno Meyer è un falso problema in prospettiva “letteratura vampirica e affini”: lì a fare da traino è la storia d’amore, il romance, condito di elementi fiabeschi (il fatto che siano dei vampiri è abbastanza casuale alla fine). Dunque poco o nulla c’entra. Il fenomeno Meyer è interessante in chiave di sociologia della letteratura tout court, semmai.
Secondo punto: i lettori. E qua giù la maschera: se i libri italiani di vampiri, zombie e affini non creano addiction nei lettori nostrani, il problema è del libro (i controesempi ci sono: i libri di Manfredi vendono, e bene). Vuol dire che finora non sono stati scritti libri efficaci, intriganti, *** (mettete l’aggettivo che più vi trova in sintonia), perfino ruffiani, perché no? (anche essere ruffiani e bucare la pagina non è facile, tutt’altro, ci vuole, come diceva il buon Montale, un mix di genialità e imbecillità). Probabilmente per funzionare l’horror non deve essere fine a se stesso, pura marmellata splatter, ma deve essere metafora, allegoria di qualcos’altro. Prendete un libro meraviglioso, stranamente (tutta invidia?) non ancora citato: “Lasciami entrare” dello svedese Linqvist (il libro, non il film, che purtroppo è molto più semplicistico). Lì il vampiro è metafora della condizione adolescenziale, del passaggio di età, dell’incomunicabilità, dell’amore che ti rende schiavo, ecc. Non c’è mai compiacimento sul vampiro in sé, che invece è sempre tratteggiato in chiave psicologica. Non a caso è stato un bestseller. Non a caso perché ha saputo cogliere qualcosa dello “Zeitgeist”.
(Vero è che le problematiche legate al lettore sono dannatamente complessse. Ad es. da noi manca la percezione dell’orrore come mezzo di conoscenza, percezione molto viva fin da sempre nel mondo anglosassone. Per cui forse partiamo svantaggiati su questo fronte. Poi i gusti comunque variano da cultura a cultura spesso, e ciò che è bestseller in Olanda, poniamo, qua vende due copie. Penso a un meraviglioso libro sugli zombie uscito da noi per Cooper, World War Z, di Max Brooks, praticamente passato sotto silenzio. Oppure, per cambiare ambito, il thriller scientifico “Un semplice caso crudele” di Juli Zeh, super-mega-bestseller in Germania, e qua da noi totalmente ignorato. Perché?)
Sì, però la figura del vampiro che “è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale” per come la conosciamo noi oggi è quella che ho descritto e che è divenuta popolare dopo il Dracula di Bram Stoker. Non so se sei d’accordo e cosa ne pensano gli altri.
Ancora saluti a tutti.
Il filosofo Arona raccoglie il lancio del Master De Crescenzo e, sbilanciando il suo ordine di risposta, propone una considerazione risalente al ’95 appartenente a Michele Serio, scrittore – mi pare – napoletano (Pizzeria Inferno) che già allora sosteneva quanto: l’horror è dilagante in molti altri generi, da quelli più ovviamente contingui ad altri meno sospetti e verrà il giorno che sarà il vero collante di tutte quante le categorie estetiche della società (certi telegiornali, compresi…). Ed è chiaro, già da qui, come l’horror esprima nel profondo – ma anche un po’ più su – la ormai cronica dimensione di alterazione coscienziale e di disagio collettivo che più o meno tutto il mondo vive dall’11 settembre. Citando un vero filosofo, Virilio, noi viviamo tutti i giorni a stretto contatto con l’idea di Apocalisse, perché cìè un’Apocalisse permanente nei cervelli di chiunque dal momento in cui ci risvegliamo. Naturalmente quasi tutti lo negheranno, perché trattasi di meccanismi non consapevoli né percepiti e perché poi c’è nella società una bella fetta di personaggi-marketing che “normalizzano” gli eventi con il filtro che “è tutto normale, tutto sotto controllo, tutto statiscamente prevedibile” (un bell’esempio qualche giorno fa: si stacca dall’Antartide un iceberg grande come il Piemonte ma il riscaldamento globale non c’entra nulla… ma si sprecherebbero gli esempi e andremmo fuori tema), però chiunque in Occidente vive con questa spada di Damocle, con l’informazione sepolta della strage in aereo, alla stazione o l’onda anomala di 8 metri che ti ghermisce DENTRO una nave da crociera (appena successo… ma già tutto visto sul Poseidon), Che voglio dire? Che a livello mediatico – e quando vogliono tranquillizzarci ottengono risultati opposti – Tutto è Paura: il futuro, l’ignoto, il nuovo, il vecchio, la bolla, il cibo, l’amore, la morte, la notte, la solitudine, la malattia, lo spazio, il sottosuolo, il gay, il migrante… non c’è soggetto-oggetto che non possa essere spiegato e identificato con la Paura. E naturalmente con l’orrore, il thriller, il grottesco, lo splatter e quant’altri mai elemento di quella vasta Zona crepuscolare, visionaria e culturalmente “alta” che per comodità di definizione chiamiamo “horror”. In tutto questo sedimentare di idee cozzanti e vaganti, si appura innanzitutto che “l’horror non abita più qui” ma ha debordato, aggiudicandosi il potere di spiegare al mondo- se volessimo… – persino i misteri della politica italiana (ah, Dan Simmons, come volteggiò sul tema con Danza Macabra…) e si annota anche che i vampiri in tutto ci azzeccano e ci marciano alla grandissima. Perché, “sotto”, ci ricordano – nelle viscere – che il vampirismo è soprattutto “contagio”, l’ossessione planetaria di questi anni sbarellati. Contagio come terrore del contatto con lo straniero. Contagio dei corpi malati. Contagio erotico da contrapporre alla campagna puritana in atto sul pianeta…. E tanto, troppo sangue sversato sull’altare del consumo quotidiano (che neppure ai tempi del Vietnam televisivo…): le stragi, corpi straziati all’ora di colazione, mass murders familiari, le 97 coltellate della strage di Novi contro i 9 anni di galera di Omar Favaro… Insomma, i vampiri sono fra noi (Volta) e Io credo nei vampiri (De Rossignoli) da decodificare come verità e pulsioni in cronaca… Pant, stacco un attimo, mi esce SANGUE dal naso!
Prendete un libro meraviglioso, stranamente (tutta invidia?) non ancora citato: “Lasciami entrare” dello svedese Linqvist
Perche’ invidia? Quel libro non l’ho ancora letto, ma e’ in lista. Non ho visto il film. Immagino che Flavio non intendesse aprire un dibattito in questo senso e quindi mi scuso preventivamente, ma sono un po’ stufa di sentir dare dell’invidioso a chiunque per il semplice fatto di non aver dato lustro a questo o quell’autore. In questo sono una seguace di Stephen King che scrisse: leggete! Leggete sempre, con la massima ammirazione, se il libro lo merita, o con il massimo disprezzo, se non lo trovate brutto, ma leggete.
Io, nel mio piccolo, ammiro sfegatatamente, se e’ il caso. E ignoro, se a mio giudizio il libro non vale. Ma non invidio il successo di nessuno. E vorrei che qualcun altro si esprimesse su questo punto. E’ vero, secondo voi, che gli scrittori sono una massa di serpi invidiose di chi vince il premio, becca la recensione, sbanca il botteghino? Siamo veramente cosi’ miserabili, oppure ci dipingono cosi’?
@Vincenzo: si’, lo stereotipo e’ quello tramandato da Bram Stoker. Ma a me affascina molto la figura del vampiro precristiano, del vampiro/demone che non teme nulla, tanto meno due pezzi di legno legati a croce 🙂
Laura: naturalmente la mia era una provocazione, calata infatti tra parentesi. (Non è il caso di spostare il baricentro della discussione sull’argomento, perché adesso si parla di vampiri e molto bene, e l’ultimo post di Arona, ad es., è molto illuminante. Però visto che siamo in argomento lancio una proposta a Massimo Maugeri per un prossimo dibattito: l’invidia degli scrittori. Che non è, come potrebbe sembrare, un argomento così pellegrino, visto che gli scrittori sembrano così solidali con tutti i vizi capitali, tranne l’invidia e poco altro – tutti golosi, lussuriosi, accidiosi ecc. Per fortuna ci sono Alessandro Piperno e Martin Amis a ricordarci come l’invidia sia un sentimento molto ambiguo e potente, che può anche trasformarsi in singolare carburante creativo – l’ammirazione è un sentimento statico, l’invidia è dinamico, ma per questo e altro magari a un’altra occasione).
@ Laura, sono d’accordo con te. Caro Flavio, se alcuni dei nostri libri non vendono bene non è detto che non siano efficaci, intriganti ma perché se pubblicati con una piccola casa editrice TE LI SCAFONANO IN FONDO AL PIU’ REMOTO SCAFFALE!! Senza offesa, ma i libri di Feltrinelli, Mondadori, Einaudi, Sperling e via dicendo sono esposti in bella mostra, non puoi non vederli e quindi è facile che conquistino anche il lettore che non conosce l’autore. Le librerie sono le prime a fare questa selezione quasi nazizta e lo fa perché sa bene che vende il grosso editoe più del piccolo sconosciuto, ovviamente. Ma io sostengo (e mi batto) che piccola o media casa editrice non vuol dire piccolo o medio prodotto. Non è sempre necessario acquistare un bestseller per avere una buona lettura. Però ci devi faticare, farti amico il libraio, controllare se il tuo libro è ancora lì, sullo scaffale. Con VAMPIRI ho avuto più fortuna in quanto la Gremese ha un maggior credito nelle librerie ma poi ci si cheide perché la corsa al grosso editore: perché sennò nessuno sa che esisti, purtroppo. Tanti piccole realtà meriterebbero ma le barriere sono troppe, e lo scrittore non decolla.
Per ciò che riguarda l’essere scrittore, invece, cara Laura, di serpi ce ne sono eccome, dietro ogni angolo. L’importante è battere sentieri in cui sai di non incontrarli.
@ Flavio: non conosco abbastanza il mondo degli scrittori per dirlo, ma nel mio piccolissimo – almeno per ora – ho trovato simpatia, accoglienza e sostegno. O almeno così mi è parso. Non ho percepito un’atmosfera da “nido di vipere” , ma naturalmente posso sbagliarmi (forse nel mio caso non c’è nulla da invidiare, tutto qui)
Sono sicuramente invidioso – spero nel senso buono, perchè di certo non ci perdo il sonno alla notte – di chi scrive un libro che vende moto. Gli invidio le entrate, non la gloria. Un libro può essere buono e non vendere, essere buono e vendere, fare schifo e vendere, fare schifo e non vendere. Personalmente, neanche a farlo apposta, Lasciami entrare non mi è piaciuto, il che – ovviamente – non significa che non sia un buon libro. Semplicemente non incontra il mio gusto. Tutto qui. Valutare un libro non è come correre i 100 metri, dove c’è un cronometro imparziale a stabilire chi ha fatto meglio. I parametri variano continuamente e – fatte salve le solite eccezioni nel bene e nel male – tutto è opinabile. Anche per la stessa persona (romanzi che mi piacquero vent’anni fa ora mi lasciano freddo, e viceversa). Per ciò che concerne il “qualcos’altro” e “l’allegoria” ti rimando al mio posto precedente dove si dice – mi pare – proprio questo.
@Flaivio: l’ammirazione è un sentimento statico, l’invidia è dinamico
Sara’, preferisco ammirare oppure criticare, non invidiare. E credo che la mia fantasia sia in grado di galoppare anche senza il pungolo di un sentimento cosi’ inutile e negativo quale l’invidia. Se poi galoppi su sentieri gloriosi o su stradine solitarie, questo e’ un altro paio di maniche. Ma dubito fortemente che le grandi opere della letteratura abbiano avuto bisogno dell’invidia per essere partorite.
@Simonoir: Le librerie sono le prime a fare questa selezione quasi nazista e lo fa perché sa bene che vende il grosso editore più del piccolo sconosciuto, ovviamente.
Vero, ma non troveremo mai un libraio disposto ad ammetterlo. Devo ancora trovare un libraio che consigli libri al di fuori delle classifiche di vendita e per me che non ho mai puntato all’arricchimento, quanto piuttosto alla possibilita’ di raggiungere il maggior numero possibile di lettori, e’ una cosa inconcepibile. Non c’e’ proprio piu’ niente che non sia soggetto a regole di mercato. Tutti a sacrificare sull’altare del dio denaro.
L’idea che il vampiro derivi dall’idea cristiana di Diavolo risale a Voltaire, ma invito tutti a leggere il capitolo dedicato ai vampiri dal grande antropologo James George Frazer nel suo Le religioni primitive. L’idea di vampiro è intimamente legata al rapporto tra vivi e morti e ai rituali di seppellimento, è presente in tutte le culture del mondo (dagli eschimesi ai Maori) e risale a millenni prima del cristianesimo (la nostra idea della Storia umana è in genere troppo corta, alcuni miti egizi cui si ricollega il cristianesimo e la figura stessa di Cristo strettamente imparentata con Horus, risalgono al 3000 A.C.). Smettiamola col ritenere che il cristianesimo sia la religione suprema, questa è una bufala suprema. Una volta Paolo De Crescenzo disse in risposta a un’intervista, che il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica tende a pretendere il monopolio sulle questioni legate alla vita e alla morte. La sopravvivenza della letteratura vampirica testimonia che l’elaborazione del tema va ben al di là dell’appartenenza confessionale. L’idea stessa di vampiro mette profondamente in crisi la teologia cattolica: se la resurrezione dei corpi non è post-apocalisse, ma è possibile in QUESTO mondo, l’idea stessa della salvezza va in crisi, come molte altre ad essa collegate. Nella letteratura italiana pre-Dante si ammetteva (da parte di autori vicini al cattolicesimo) che il demonio potesse resuscitare i morti sulla terra servendosi del loro corpo, poi però secoli dopo, e proprio in epoca di peste vampirica, la Chiesa Cattolica rinnegò questa convinzione. Il Papa che più si battè per escludere la possibilità dell’esistenza dei vampiri fu Benedetto XIV (1675-1758). Ci avete fatto caso che l’attuale papa ha voluto chiamarsi Benedetto XV? Il centro del suo messaggio sta proprio nel ristabilire l’autorità indiscussa e universale della Chiesa Cattolica sui temi della vita e della morte.
chiedo scusa a tutti se è da un po’ che non intervengo assiduamente. leggo sempre, ma il tempo per commentare si è ridotto 🙁
però l’argomento di questo post è particolarmente affascinante.
@ Laura: e qui torniamo al discorso del marketing, dunque.
@ Claudio: concordo. E anche a me Lasciami entrare non m’è piaciuto. Se analizzato dal punto di vista strettamente horror, l’ho trovato lento e noioso. A livello di significati e metafore, forse… ma non è quello che cerco in un horror.
E non credo che siamo tutti totalmente scevri di invidia; non cerdo nel totale buonismo di sentimenti. Credo invece che un’invidia buona, come l’ha definita Claudio, sia quella certa spinta che t’impone di andare avanti, cercare di meglio. Un sentimento dinamico mi pare un’ottima definizione.
@ Danilo: Michele Serio è sì un bravissimo scrittore napoletano, simpaticissimo nonché mio amico.
non essendo una esperta, non mi addentro in argomenti tecnici che non conosco. però raccolgo la provocazione di flavio santi, senza voler spostare il dibattito fuori argomento.
l’invidia è un sentimento umano, ed è forse uno dei più diffusi. in quanto sentimento umano diffuso è evidente che esista anche tra gli scrittori e tra gli artisti in generale. anzi, paradossalmente, dato che secondo me l’artista è un egocentrico ( lo dico non necessariamente in senso negativo ), l’invidia in campo artistico è all’ordine del giorno forse ancora più che in altri ambiti.
non credo sia un bene, perché è fondamentale la distinzione tra competizione (che è sì un sentimento dinamico) e l’invidia ( che è un sentimento che , secondo me, nuoce sia chi lo riceve sia chi lo manifesta).
quello che ho apprezzato in questo blog è il tentativo di dare spazio allo spirito di condivisione,al confluire delle voci, che va in direzione opposta rispetto a quello dell’invidia
una domanda in tema con il precedente commento potrebbe essere: ma il vampiro è un essere invidioso? ciao a tutti 🙂
Laura: anch’io tifo per l’ammirazione (la frase è una citazione da Amis), però cerco sempre di pormi in maniera critica e di vedere le cose con il maggior numero di punti di vista possibile (migliori, peggiori, ecc.). Certo, poi come dice Ovidio “Video meliora proboque deteriora sequor”, e lì è un altro paio di maniche, e a me scatta il dubbio – anche perché io sono un essere imperfettissimo e le mie invidiuzze le ho avute e le ho, perché negarlo? Perciò mi chiedevo: l’invidia è un sentimento esecrabilissimo, certo, però non ha un che, paradossalmente o no, di potentemente creativo o distruttivo? Trovo solo un po’ semplistico liquidarlo come una cosa che non ci tocca, tutto qui. Ma parliamo di vampiri – che a ben pensarci sono dei gran invidiosi, invidiano il sangue, l’amore, noi umani…
i vampiri invidiano il sangue o ne hanno semplicemente bisogno per sopravvivere?
Riguardo all’altro tema, tra i più trattati in questo forum, e cioé il rapporto editori-scrittori-vampiri, suggerisco il racconto di Poe “Vampiri a Manhattan” pubblicato in Italia da Shakespeare & Company nell’antologia di Poe “Scritti ritrovati” (1984). Il racconto di Poe si apre con una nota del Sindacato Scrittori in merito alla “rapacità degli editori che ingrassano sul sangue degli scrittori” . Poe mette in satira questo atteggiamento. L’ansia degli scrittori nasce dalla pretesa di essere sempre pubblicati “ad alta tiratura” naturalmente al nobile scopo di “elevare la qualità della vita del Paese”. Segue un mini dramma in sei atti, intitolato La Tragedia dello scrittore Vampirizzato ovvero Il perfido editore succhiasangue. Vi si ricorda: 1. che gli editori abitualmente non leggono i manoscritti, casomai si limita a “catalogarli”; 2. che al cospetto dello scrittore, fingono di averlo letto; 3. che il valore di un’opera sia per l’editore che per lo scrittore si misura sull’entità dell’anticipo; 4. che dopo infiniti tira e molla, il povero scrittore offre la propria opera gratis purché venga pubblicata oppure segnalata e raccomandata ad altro editore; 5. che lo scrittore trova la sua opera pubblicata “su carta di infima qualità, rilegata con copertina di colore sporco, e venduta al dettaglio per non più di un misero quarto di dollaro”, eppure lo scrittore se ne appaga ugualmente con queste precise parole :”dopotutto ho avuto anch’io il mio quarto d’ora di gloria” (alla faccia di Andy Warhol… Poe lo aveva anticipato); 6. nel finale lo scrittore muore e un editore inglese annuncia la pubblicazione delle sue opere, che grazie all’effetto morte ora venderanno molto di più. Senonché lo scrittore resuscita come un vampiro. L’annuncio lo ha fatto rivoltare nella tomba e risvegliare per la rabbia. Nella sua nuova vita vampirica, decide però di fare il calzolaio.
Un’ultima cosa e poi non rompo più – ho rotto fin troppo, credo.
Sarebbe interessante a questo punto interrogarci, ognuno di noi, su cosa cerchiamo in un horror (lo spunto me l’ha dato Simonetta, grazie!, quando ha detto che non le è piaciuto Linqvist, e che lei cerca altro nell’horror: benissimo, che cosa? Ecco, magari proviamo, ognuno di noi, a fare il decalogo dell’horro perfetto, che dite? è un gioco, ma potrebbe essere utile a semplificare e sintetizzare le varie posizioni).
Grazie e ciao.
Flavio
@ gianfranco manfredi
😀
@ Giancarlo: Prospero Lambertini, alias papa Benedetto XIV, scrisse anche il trattato “Vampiri al lume della scienza” nel 1749.in cui han tentato di smontare con la logica fenomeni a suo avviso inconoscibili in quanto impossibili, perché contrari non solo alla fisica ma soprattutto alla teologia: se solo Cristo e i suoi fedeli possono risorgere, il vampiro come entità maligna deve essere per forza un’illusione o un fenomeno meccanico non definibile come resurrezione.
@ Flavio: fico! Parliamo di film o libri?
@ Simonetta: tornando a quanto dicevi tu sulla distribuzione e sulla visibilità delle case editrici piccole, concordo pienamente. Devo anche ammettere però che io per primo – per banalissimi motivi economici – da qualche anno mi servo essenzialmente della biblioteca, che purtroppo (dico non a caso purtroppo, paradossalmente) è molto fornita e aggiornata. Esempino terra terra: il mio libro – Il 18° vampiro – è presente in tutte e tre le succursali cittadine della biblioteca (e Modena non è New York) e il libro è sempre in prestito in tutte. Rientra, è prenotato e riesce. Ottima cosa, da un certo punto di vista, però non posso fare ameno di chiedermi quanti tra quei lettori, se il libro non fosse stato presente nelle biblioteche, magari lo avrebbe acquistato. Si parla ovviamente di numeri molto piccoli, però, insomma …
l’idea del decalogo dell’horror perfetto mi pare geniale. si potrebbe arrivare, dopo varie contrattazioni, alla formulazione di un documento condiviso. alla faccia dell’invidia.
🙂
che ne dite?
sono d’accordo. Si potrebbe ragionare anche al contrario. Scrivere, cioè, tutto quello che un orror perfetto non dovrebbe contenere.
Il decalogo dell’horro perfetto? Roba da far ghiacciare il sangue nelle vene. Non so se sono in grado di produrne uno. Sono una kinghiana convinta, leggo un po’ di tutto, ma non scrivo horror (non ancora) e… insomma, posso provarci, ma non garantisco.
Per cominciare: a me fa paura cio’ che non e’ definito, catalogato, descritto nei particolari. Pur avendo visto numerosi film horror, la scena che mi ha veramente fatto saltare sulla poltrona e’ contenuta nel primo Alien (propriamente un film di fantascienza): il capitano dell’astronave decide di andare a stanare il mostro nei condotti di aerazione. Fino a quel momento nessuno lo ha visto bene, piu’ che altro hanno visto i risultati dei suoi attacchi. Il capitano si avvia carponi nel tunnel buio, seguito via computer dalla Weaver. E’ lei ad accorgersi che una specie di sonar invididua un’altra presenza nel tunnel, una presenza sempre piu’ vicina ma che il capitano, in un dialogo concitatissimo, non riesce a vedere. Fino a quando non e’ troppo tardi.
Ecco, in un horror cerco la paura distillata allo stato puro, la paura dell’ignoto che e’ tanto piu’ grande quanto piu’ ignoto resta il pericolo.
Solo un commento al volo per complimentarmi con tutti i partecipanti (e ovviamente con l’ideatore Massimo) per l’interessante e feconda discussione, che ho seguito, sto seguendo e seguirò con molta attenzione. Da parte mia, la letteratura horror – ancorché gotica – ha “coperto” le mie letture ormai una decina di anni fa, limitatamente ai classici (Walpole, Shelley, Stoker, Meyrink poi Poe e Lovecraf, qualcosa di King), quindi non sono molto “competente” sulle tendenze attuali, ammetto che devo aggiornarmi (ma questo post è utilissimo in tal senso!). Un saluto a tutti!!
Cosa cavolo significa “decalogo dell’horror perfetto?” Nulla. Chi pensa che alla base di una narrazione ci possa essere una ricetta non sa nulla di letteratura. Il fantastico in particolare è legato all’inconscio. L’idea contemporanea secondo cui la tecniche della scrittura e la scelta di temi base siano fondamento della creatività, è un colossale imbroglio mercantile. Le scuole di scrittura creativa coltivano e dilatano questo pericoloso equivoco. Suggerirei invece Scuole di lettura, perché se non si impara a leggere, difficilmente si impara a scrivere. Suggerirei anche di partecipare a iniziative che stanno appena fiorendo in italia, ma già molto diffuse all’esterno. Mi riferisco alla cosiddetta “persona-libro”. Consiste nel leggere ad alta voce (leggere non recitare) racconti, brani letterari o interi volumi per capitoli in pubblico, sia presso case di amici, sia per strada. La diffusione orale della letteratura è stata fondamentale per la vita dei romanzi alle sue origini. Lo strano caso del dottor Jekill e Mr. Hyde di Stevenson vendette al momento dell’uscita venticinque mila copie, ma la sua eco fu immensa perchè ogni copia veniva d’abitudine letta ad alta voce in famiglia, tra gruppi d’amici , in sale conferenze e altri luoghi pubblici. E’ questo a cui dobbiamo lavorare: alla rinascita della tradizione orale, al piacere di raccontare e di raccontarci storie gli uni gli altri. E’ leggendo e raccontando a voce che si scopre l’arte del narrare, non compilando ricette.
@ gianfranco manfredi
mi sa che ha preso l’idea del decalogo un po’ troppo sul serio. credo si tratti di una specie di gioco. nulla di più.
bella l’idea della “persona-libro”.
comunque, a proposito di ricette e di vampiri http://www.halloween.it/italia/ricette/sangue_provetta.htm
😉
M’inserisco su un tema delicato che è stato sfiorato, quello dell’invidia… intorno alla quale mi sto rendendo conto che molti di voi danno ragione a una tesi primaria di qualche giorno fa (siamo in cuor nostro tutti vampiri… sì? no?), l’invidia dello scrittore come metafora dell’invidia del vampiro – lo scrittore negletto che invidia il suo analogo di successo e il vampiro non amato che invidia l’amore, fisicamente non eterno, dei mortali – Possono quagliarsi reciprocamente queste due posizioni ideali?
Vediamo… Un po’ di tempo fa, sconcertando la platea, Claudia Salvatori se ne uscì sostenendo che lo scrittore “è l’essere più narciso e ipocrita nel suo campo di azione” e “che gli scrittori, quando si dichiarano solidali ai propri simili, mentono sapendo di mentire” (metto un virgolettato simbolico, ma il concetto espresso da Claudia era esattamente questo…). Io ero – forse sono ancora – tra gli sconcertati (ma non ritengo di stare ad assillarvi con quanto mi suggerisce al proposito la pancia perché non suonerei credibile…), però Claudia non parlava né a vanvera né a sproposito. La ragazza, mia cara amica – dalla cui esistenza come scrittice non mi sento affatto minacciato nella mia integrità di scrittore -, ha credo provato sulla sua pelle il peso di una “pericolosa diversità” all’interno dell’invisibile mondo degli Scriptori. Esistono queste problematiche, non fingiamo il contrario, soprattutto per chi vuole usare il genere in senso “contro” o in chiave “meta”: esistono a cominciare da uno strisciante isolamento dell’artista in oggetto. Presumo che l’horror, come campo d’azione mestierante di uomini e donne che ne scrivono, si presti – o debba farlo – a un uso sovversivo dei suoi codici (per dirla con Paco Taibo, sovvertire il genere per affermarne l’universale funzione di macrocategoria), ma presumo anche che chi lo sovverte sul serio corre il rischio di non incontrare l’apprezzamento dei suoi simili (simili che poi forse tramutano supponenze in invidia nei confronti di chi è giudicato un po’ troppo avanti dalla critica…). Non conosco le vicende di Claudia così bene, ma so per certo che Claudia è un oggetto scomodo all’interno dei generi – non sai mai dove e come “catalogarla”, fattore sulla mia agenda di totale pregio… Ma, estrapolando anche qualcosa di me e del mio percorso, garantisco che i soggetti che deviano sono un po’ invidiati e un po’ detestati (parliamo sempre di meccanismi non sempre consci…) e spesso volutamente “ignorati”. Ci sono 2 anime nell’horror: semplificando al massimo banalizzabile, l’una è restauratrice (trionfo della luce sul buio, i mostri che vengono sconfitti, il paletto vendicatore che disintegra il vampiro, insomma si è capito…), l’altra no (non sto a dire rivoluzionaria, ma un po’ sovversiva sì…) perché “sperimenta” le mille possibilità intrinseche del genere di scagliarsi contro le stesse fondamenta del gotico nonché di proporsi come scheggia metalinguistica subdolamente vagante… Insomma, scrittrici e scrittori della 2° categoria appaiono un po’ come rompicoglioni, perciò passibili d’invidia per il coraggio dimostrato di romperle a tutti. Forse l’ho già detto, ma se l’horror non osa, non ha molto senso. Però dentro il genere ci stanno tanti che non osano mai, propongono compitini pulitini che inquietano ma poi alla fine tranquillizzano, e che di sicuro invidiano gli Altri – i veri abitanti dell’isola di Lost – che lo fanno perché “quella è la Mission”… Non so se l’antifona è chiara. Ma probabilmente non si è scrittori se non si è narcisi. Per “L’estate di Montebuio” ho ricevuto lodi sperticate da chiunque. Ho fatto una statistica della pertinenza territoriale dei recensori con 4 stellette: nessun scrittore… ah, no, uno straordinario e super partes che si chiama Sergio Altieri che sempre legge quel che deve leggere…, per il resto confermo: nisba. Sintomatico: scrivi un’opera “contro “, “meta” – che attacca persino l’editoria e gli scrittori del gruppo addetto al Restauro, e nessun collega che ti dica niente. Invidia? Invidia di un presunto coraggio? Sospetti strani sul fatto che “Montebuio” vada stretto al genere? Boh, che ne so… Però uno scrittore qui presente – se vuole, può svelarsi – tanti anni fa mi disse: “Tu hai un bel coraggio a scrivere l’horror che scrivi”… Lo presi come un complimento, chissà se lo era?…
Ciò detto, chiudo con Arona (perché il Narciso sta prevalendo) e lancio quel che mi attendo io dall’horror (che però è diretta conseguenza del discorso sui Narcisi…): io voglio un horror che mi parli delle paure di oggi, delle Twin Towers e dell’energia demoniaca che circola per il pianeta – quella che entra nei cervelli e che arriva in cronaca alla voce “omicidio inspiegabile” – , voglio un horror che mi racconti l’Apocalisse in atto, le poesie di Bondi, la Tanatosfera e il Progetto HARP. Voglio un horror che non mi faccia dormire e che sia totalmente VEROSIMILE (perché, smettiamola di far distinguo tra Reale possibile e Giochino intellettuale…), vampiri, demoni e fantasmi sono anche entità verosimili… Io ne ho incontrato qualcuno, ma non è più argomento da forum… Acc, ricomincia il sangue dal naso!
Avrei una domanda da porre agli esperti. Più che una domanda è una curiosità. O meglio una domanda che mi sono posto io stesso più volte senza darmi risposta. Mi riferisco ai vampiri, ma si potrebbe estendere al genere horror (o letteratura del brivido) in generale.
La domanda è: secondo voi oggi è più facile o più difficile incutere paura scrivendo storie, rispetto al passato?
Che cavolo, Danilo! Ti esce il sangue dal naso e lo sprechi così… Pensa quante vampire, o aspiranti tali, sarebbero pronte a correre per lapparlo fino all’ultima goccia…
In quanto all’idea della persona-libro, anche se in termini un po’ diversi, mi sembra ci avesse già pensato tempo fa un certo Ray Bradbury che, se non sbaglio, è uno dei tuoi modelli di riferimento, isn’t it?
Bradbury, yeah… Il mio amico Gian Maria Panizza, quello dell’Ora del Lupo (le tre del mattino), sostiene che Bradbury ha già scritto tutto prima di tutti… Sul sangue dal naso tranquilli… E’ la metafora della pressione creativa che sale sino a quando non suona la campanella della ricreazione. Ho scoperto con una certa sorpresa che i forum m’infiammano… C’è un meccanismo perverso che vado a studiare, un “rapporto di sangue” tra i forumisti…
L’idea contemporanea secondo cui la tecniche della scrittura e la scelta di temi base siano fondamento della creatività, è un colossale imbroglio mercantile. Le scuole di scrittura creativa coltivano e dilatano questo pericoloso equivoco. Suggerirei invece Scuole di lettura, perché se non si impara a leggere, difficilmente si impara a scrivere
Mi dichiaro disposta a fondare il fanclub di Manfredi. Se non esiste. Se esiste mi iscrivo subito, anche pagando la tessera se necessario 🙂
@Danilo Arona:
Per “L’estate di Montebuio” ho ricevuto lodi sperticate da chiunque. Ho fatto una statistica della pertinenza territoriale dei recensori con 4 stellette: nessun scrittore…
Non so se posso considerarmi una scrittrice, ma il tuo libro e’ in lista di lettura. Ti faro’ sapere 😉
@ Romeo Antoci
qualcuno l’ha scritto anche prima. storie come quelle dei vampiri, vengono lette maggiormente quando aumenta la paura del reale. dunque, non so se oggi è più facile o più difficile incutere paura scrivendo storie di vampiri, ma forse ce n’è più bisogno proprio per esorcizzare o controbilanciare la paura del presente.
Claudia Salvatori, caro Danilo, è una scrittrice notevolissima, Nel mio caso credo lei non possa dire né che io l’abbia invidiata, né trascurata, dato che appena ho letto il suo romanzo Superman non deve morire (dove tra l’altro mi infilava come personaggio pur non avendomi mai conosciuto) , l’ho contattata, invitandola anche a collaborare come sceneggiatrice prima con la Dardo, poi con la Bonelli. Ha anche pubblicato un romanzo con il mio editore Tropea cui l’avevo segnalata. Tra le ultime cose sue, la sua Valchiria Nera mi ha entusiasmato. Un po’ meno , anche se brillante, il suo Sorriso di Anthony Perkins. Posso però dire, senza invidia alcuna, che il suo ultimo Abel invece non mi ha convinto affatto? Il protagonista è uno zombie giovane, bello e sapiente. Questo è uno di quei casi che per quanto io sia alieno dai mainstream e aperto a tutte le devianze possibili, mi lasciano assai perplessi. Lo zombie è un uomo massa, del tutto spossessato da pensieri autonomi e da passioni umane, a parte la fame atavica e una disordinata memoria di comportamenti meccanici. Se diventa una sorta di genio ordinatore, principe delle creature dannate e persino dotato di buoni sentimenti e di senso umanitario, che fine fa lo zombie? In questo dibattito, molti hanno sottolineato la stessa cosa riguardo ai vampiri della Meyer. Dando per scontato che i miti sono mutanti, e in costante adattamento e trasformazione, c’è un limite non valicabile oltre il quale diventano irriconoscibili. Se resta soltanto il Nome, temo finiscano per somigliare alle patate transgeniche che alla lunga non sono più nemmeno patate, ma solo etichette di patate. L’attualizzazione, se diventa un nuovo abito di comodo, pura confezione per intrigare il consumatore del momento, è pericolosissima. A me sinceramente, non frega nulla delle Torri Gemelle sul piano del racconto horror. Mi frega invece molto di quel simbolico che è all’origine di quanto raccontiamo anche se non ce ne rendiamo conto. Nel Satyricon di Fellini si vedono i Budda Afgani sforacchiati dalle pallottole, vent’anni prima che il fatto accadesse. In Fight Club si vedono crollare le torri prima che l’attentato venisse addirittura pensato. Questo vuol dire che la visionarietà insita in un racconto ha tratti profetici e ciò non sarebbe possibile se i simboli non sprigionassero la loro forza in noi. Invece di limitarsi ad accogliere ed elaborare la cronaca, uno scrittore con la propria immaginazione può anticipare gli eventi. Questo è accaduto spessissimo e ben al di là di quel genere di narrativa di anticipazione che é la fantascienza. La visione, nel pensiero degli Indiani d’America cui sono molto legato, è percezione onirica di quanto era implicito nel passato, cova nel presente e si rivela nel futuro. Questo è anche uno dei motivi per cui molti autori “fantastici” vengono riscoperti a distanza di decenni. Rileggendoli ci si accorge di quanto siano stati anticipatori, mentre all’opposto autori sempre in sintonia con la loro attualità, a distanza di anni diventano illeggibili. Keats, nella sua epoca, non lo conosceva nessuno, mentre tutti celebravano Byron. Oggi Keats è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi poeti della Storia, mentre Byron è puramente e semplicemente illeggibile. Se ci preoccupiamo solo di essere in sintonia con il nostro tempo, in realtà si rischia di perdere l’unica sintonia che appartiene a uno scrittore e che è quella suggerita da Salman Rushdie: perdersi nel fiume delle storie. Il fiume è sempre lo stesso, l’acqua (quando ci immergiamo la mano) non è mai la stessa acqua. Per uno scrittore, rinunciare all’invidia e restare appassionato lettore, significa distaccarsi dal proprio piccolo ego e rendersi conto che le storie sono sempre più importanti di chi le scrive. Noi siamo parte di qualcosa di molto più ampio di noi, che è il narrare in quanto tale. Oscar Wilde (fior d’autore e anche personaggio popolare) diceva che la massima aspirazione di un autore dovrebbe essere quella di diventare Anonimo. Cioè l’esatto contrario di quanto si fa oggi, dove gli scrittori si propongono non attraverso le opere, ma al contrario attraverso gli scritti cercano di imporre se stessi come merci- persona. Questo è il narcisismo di cui parla Claudia. L’autoreferenzialità che fa degli scrittori dei non-leggenti, come se quanto raccontano gli altri non li riguardasse. Ecco perchè è diventato importantissimo propagandare il leggere. Circolano troppi scrittori non-leggenti!
Pero’ io il romanzo di Simonetta Santamaria l’ho letto, giuro! 🙂
Certo, dovrei aver letto anche tutti gli altri, ma finanze a parte (che i libri costano troppo e anche questo sarebbe tema da trattare) c’e’ anche il tempo a farsi tiranno, i classici che magari si sono lasciati indietro, la scrittura che ogni tanto chiede udienza e lo spazio ormai concluso delle mie cinque librerie… Ok, non ho convinto nessuno e vado a cospargermi il capo di cenere prima di correre in libreria a comprare tutti i volumi consigliati da questo post 🙁
Confesso allora che io invece il romanzo di Simonetta non l’ho letto e prometto di farlo. E’ ovvio che non si riesce a leggere tutto, è però anche molto spiacevole quando a un convegno si incontrano altri autori , anche molto affini, e dopo poche parole si scopre che nessuno ha letto i lavori degli altri. In questo gli anglosassoni sono più seri. Se uno viene invitato a una tavola rotonda, si preoccupa di informarsi in anticipo su cosa hanno scritto gli altri. Anche perché altrimenti si chiacchiera sul nulla.
@Gianfranco Manfredi: hai ragione, da vendere. Ma confesso che il tempo di leggervi tutti prima di questo post non lo avrei mai avuto… Ok, adesso la testa la infilo direttamente nel caminetto.
Straordinaria replica di Gianfranco alla quale è impossibile non accodarsi. Mi riprometto di tornare sul tema delle “visioni” con esempi concreti… A poi, spero al più presto.
Non posso parlare per altri, personalmente mi ritengo un lettore vorace ed onnivoro, ma lavorando a tempo pieno, scrivendo nei ritagli e alla sera e cercando di dare spazio ad un minimo di vita privata, francamente fatico anche a leggere tutto. Seguo il più possibile blog e news sul web per tenermi aggiornato. Ovvio che se potessi mantenermi solo scrivendo potrei avere un approccio più professionale nei confronti della materia, ma ora come ora non è assolutamente ipotizzabile.
Signore, signori, vampiri e scrittori, mi duole lasciarvi, ma il dovere quotidiano mi chiama. A rileggerci domani mattina, quando anche Massimo Maugeri e Simonoir saranno tornati tra noi dopo una rifocillante assenza a caccia di… sangue fresco.
…. però il mio riferimento alle Torri Gemelle è proprio in senso profetico. Ovvero, per la serie “quando l’horror anticipa quel che accadrà….”. Uno a caso, che la vide lunga (e qualcosa di quel che vide lui noi non l’abbiamo ancora visto…) è Lovecraft….
Toccata e fuga, ma alcuni scrittori horror – che conosco – hanno le visioni (come Magico Vento…)
Cara Laura,
per amore della precisione, i versamenti per la sottoscrizione delle tessere vanno effettuati sul conto di Gargoyle. Coordinate bancarie a richiesta…
@ Danilo: bisogna vedere se l’horror profetizza o ispira …
@ Romeo: scusa, mi era sfuggita la tua domanda. Credo sia infinitamente più difficile. A mio parere il motivo è chiaro, i lettori sono più informati, esperti e disincantati, e molte trovate già sfruttate più e più volte. Ovvio, esiste ancora un pubblico abbastanza disinformato, che però si nutre di tonnellate di prodotti horror (soprattutto cinematografici) di ogni tipo. Ma il fruitore esigente e informato (e appassionato), cui credo tutti ci rivolgiamo, ha visto di tutto e più volte. Ma il bello è proprio questo. A chi scrive oggi andare oltre – o provarci – facendo tesoro della tradizione del passato.
Dubito che a Bin Laden sia venuta l’idea, vedendo Fight Club, tantomeno mi risulta che i taliban siano appassionati di Fellini. Non volevo tanto dire che si profetizza un singolo evento, anche se ciò può accadere, ma che a volte si intuisce oscuramente un percorso futuro, quando tutti o quasi nel proprio tempo prevedono il contrario. La condizione di mostruosità dell’unico uomo normale sopravvissuto del capolavoro di Matheson Io sono leggenda, del tutto sconciato dall’orrido remake con Will Smith, da un lato certo poteva essere letto nel contesto della letteratura post-atomica dell’epoca, dall’altro però illuminava perfettamente la condizione futura dell’individuo che cerca di costruirsi una vita autonoma e autosufficiente in un contesto di post-consumismo, in cui regna il cieco dominio di masse spossessate. Nell’opera di Malaparte che citavo e che parla delle ultime fasi della guerra di liberazione dai nazifascisti a Napoli e in Italia, sono sterminate le osservazioni e le riflessioni che allora venivano spesso considerate bizzarre e anche incongrue, ma che oggi saltano agli occhi come profetiche. Illuminante quanto scrive a proposito del suo modo di vivere la Resistenza: cioè come una lotta contro il tiranno inseparabile dalla lotta contro la tirannia di massa. Questo non vale soltanto per l’epoca in cui il romanzo è stato scritto. E non si tratta di un’osservazione ideologica, bensì di una conclusione maturata nei fatti e nell’esperienza. L’altezza della sua visionarietà e della sua capacità di penetrazione simbolica raggiunge un altissimo vertice d’orrore quando narra del suo incontro con una foresta di uomini crocefissi che si rivelano per ebrei. Non doveva essere facile in quel periodo scrivere che l’immagine concreta di Cristo erano gli ebrei, cioè che l’Olocausto era anche una tragedia cristiana. Una visione del genere pare oltraggiosa anche oggi. Leggete, vi prego, quel capitolo (e gli altri ovviamente). E’ tra la pagine più orrifiche della Storia della Letteratura italiana. A volte la propensione al “genere” confonde. In Italia i sapori orrifici e visionari si sono sparsi trasversalmente in letteratura, invece di rinchiudersi in un ghetto di genere. Qualcosa di molto simile è avvenuto in Francia. Hugo, Zola, Celine hanno scritto pagine d’orrore altissime, ma non sono qualificabili autori horror. Ecco perché è fuorviante cercare ricette per l’horror. Il vero orrore , il visionario, non hanno confini di genere. In tutti o quasi i romanzi di Amanniti ci sono una quantità di situazioni orrifiche, per quanto egli non si definisca uno scrittore horror. Viceversa molto horror americano degli anni 80, ha potuto raggiungere notevoli livelli letterari e larghi strati di pubblico, perché a forza di contaminazioni, ha liberato l’horror dal ghetto del paperback . E’ vitale per uno scrittore leggere al di là del proprio campo di riferimento, cioé a tutto campo. Ed è vitale quando si scrive cercare sempre di andare al di là dell’ambito di genere. L’horror in particolare, vive d’orrore più che di paura. L’orrore nasce quando si legge qualcosa che non è soltanto inatteso , è osceno. E’ la rivelazione di una realtà orribile cui preferiamo non pensare. L’horror migliore non è affatto un esorcismo, è al contrario sprofondare nel delirio quotidiano vivendolo in prima persona ed esprimendolo simbolicamente. Si comincia a lettere romanzi horror o a vedere film horror da bambini, come “prova di coraggio”. E’ in qualche modo un’esperienza sciamanica che ci guida ad affrontare fino in fondo la paura, ad elaborarla e a superarla. Questa esperienza è vissuta dal lettore. Lo scrittore può al massimo guidarlo lungo un percorso, come un Virgilio che accompagna Dante nell’Inferno. Ma non opera alcun esorcismo, cioè non sposta altrove il Male, né consola rimuovendolo o presentandolo sconfitto, anzitutto si pone il compito di rappresentarlo. Sta al lettore compiere il cammino, con la propria sensibilità. Ed è spesso il lettore a comprendere il senso delle visioni ben al di là dell’interpretazione che ne dà lo scrittore. Adesso la pianto, non preoccupatevi. Era per buttare là qualche stimolo…
Temo di essermi anche ripetuto, ma dal web arrivano in certi periodi interviste a raffica e a un certo punto uno non ricorda più cosa ha detto in un blog e cosa ha detto in un altro.
Per Claudio: bisogna vedere se profetizza o ispira…
soprattutto bisogna VEDERE, re-imparare a esercitare lo sguardo. Ha ragione da vendere Gianfranco sull’horror visionario che non ha (non deve averne) confini di genere…
… ma allora perché vuoi confinare le Torri Gemelle nel recinto di una lettura realistica ? (non certo perchè una fatto “realmente” accaduto… )…
… ma secondo me ci sta l’ultimo sassolino della giornata:
se la smettessimo di chiamarlo “horror”?
(del resto nessuna chiama “horror” il Vampire Harmony cresciuto a ridosso del fenomeno Twilight – anzi, i fan s’incupiscono non poco…)
A domani, almeno per me…
Arieccomi! saluto Laura che se ne va e gli altri che restano. Mamma mia quanta produzione! Se avessimo modo di incontrarci più spesso ne avremmo di cose da dirci, verrebbe fuori un gran bel dibattito!
E’ chiaro che non possiamo leggere tutto di tutti, è giustificabile e ovvio. Io, ad esempio, mi rubo una mezz’oretta di mattina presto e mi dedico al libro che è sul comodino. Una volta finito lo ripongo in libreria e subito un altro libro prende il suo posto. Non credo che ci sia mai stato un vuoto, su quel comodino. Eppure non riesco a tenere il passo. Così cerco di darmi un ordine, per evitare che un libro diventi troppo “vecchio” prima che arrivi su quel comodino.
L’importante è conoscerci tra noi, sapere che esistiamo. E Letteratitudine ci sta dando un’opportunità eccellente. Alcuni di noi sono amici su Facebook e non si sono mai incontrati. Però ci passiamo notizia, e compriamo i loro libri. O, come nel caso di Laura, comprò il mio romanzo prima che ci conoscessimo.
E sono d’accordo sul dire che non ci sono ricette per l’horror perfetto perché il concetto di perfezione è soggettivo. Anch’io amo l’horror quotidiano e verosimile, l’eccesso di fantasy mi spegne la suspense.
E, un’ultima cosa, anche per avallare il discorso di Danilo sul rapporto scrittore-scrittore: prima di modificare il mio sito (e anche qui il buon Arona mi consentitì di scopiazzarne la struttura.. 😉 ) avevo una pagina dedicata ai libri italiani in uscita, con linkaggio all’autore e all’editore. Mi affannavo a stare dietro alle uscite. Poi mai un grazie, cacchio. E allora, dopo tre anni, ho tagliato la pagina. Un faticaccia inutile. Anche la mia libreria su Anobii dev’essere aggiornata. Pure le recensioni di tutti i libri che ho letto (asnche lì solo italiani). Ora vedo con piacere che c’è una certa sinergia tra noi e la cosa mi fa molto piacere. Io, nel mio piccolo, ho proposto una giovane autrice di fantasy alla Gremese e la cosa è andata in porto. Non sono invidiosa (nel senso becero del termine) ma mi piacerebbe sperare che all’occorrenza un amico facesse lo stesso con me. Sapete bene quant’è difficile arrivare ai direttori editoriali, ecco perché elogiavo Paolo de Crescenzo (devo avere ancora la sua risposta di qualche anno fa da qualche parte (peccato che sbagliai a fidarmi dei falsi consiglieri di allora: Paolo, se ci ripensi… 😉 ) Ma purtroppo capita pure di incappare nelle “orecchie da mercante”. Vabbe’…
Giusto, non chiamiamolo più horror: e come? Come ho detto in un’intervista per Thriller Magazine, non rimangono molti vocaboli a disposizione: brivido se lo contendono il giallo e il thriller, nero è ormai appannaggio del genere noir… Manco più un colore ci è rimasto. Ma la Paura, quella non ce la toglie nessuno. Ditemi chi cosa scriviamo, noi, che così so come devo presentarmi agli agenti letterari che tanto mi schifano.
A proposito, se ne avete uno in gamba da presentarmi…
Sì, sulle Torri gemelle ci si potrebbe scrivere un grande horror (per ora chiamiamolo ancora così). Forse è ancora troppo recente e cocente per trarne un romanzo che non sia “realista”. Ma vedrete che prima o poi qualcuno ci pensa.
Finisco di rispondere all’ennesima (grazie a Dio!) intervista.
A dopo! 😉
Buona sera. Una rapidissima precisazione. Il gioco del decalogo era – appunto – un “giuoco”, come direbbero quelli chic, con nobilissimi natali, ispirato alle Ten rules di Elmore Leonard (cfr. http://www.elmoreleonard.com/index.php?/weblog/ten_rules_for_writing_fiction/). Mi sembrava un modo simpatico per sintetizzare e chiarire certi nodi e snodi, tutto qui. Ognuno dava le sue dieci regole auree su cui discutere e confrontarsi. D’accordissimo poi su quello che dice Danilo: smettiamola di chiamarlo “horror”. Infatti non esistono i generi (gli unici generi che conosco sono i mariti delle figlie, diceva Flaiano), ma solo libri scritti male o bene (Oscar Wilde, stavolta)
Sta al lettore compiere il cammino, con la propria sensibilità. Ed è spesso il lettore a comprendere il senso delle visioni ben al di là dell’interpretazione che ne dà lo scrittore.
Concordo. E’ giusto e naturale che sia così. Gli autori che più stimo sono quelli che, interrogati dai lettori sulla genesi di una qualche loro allegoria o significato recondito su quanto hanno scritto, si animano e rispondono: “Bello! Non ci avevo pensato!”
P.S. Amici horror writers, a proposito di interviste, in quest’ultima per Liberi di Scrivere vi ho citati tutti 😉
Un punto già sollevato nel nostro scambio di questi giorni, ma che meriterebbe qualche riflessione più ampia – in particolare degli amici narratori presenti – è il rapporto tra vampirismo e atto del narrare. Per molto tempo il vampiro è stato l’inconosciuto/inconoscibile, raccontato sempre da altri: non si accedeva al suo mondo interiore, ai suoi pensieri, non parliamo poi deai suoi sentimenti (laddove pure se ne riconoscessero), se non attraverso sue manifestazioni esteriori raccontate da altri. Per esempio, Carmilla la sentiamo parlare attraverso le memorie di una testimone (morta) al dottor Hesselius (morto) consegnateci dal suo esecutore testamentario (tonto, il che è persino peggio): un sistema di cornici che rende sempre meno affidabile la testimonianza. Mentre Dracula parla solo attraverso le memorie dei suoi nemici, oltretutto persone sempre in dubbio sulla propria lucidità e sanità mentale: mentre i vampiri suoi epigoni brilleranno per presenzialismo e magari rilasceranno interviste, Dracula resta distante, inconoscibile, ombra irriconosciuta – per questo forse non appare allo specchio – dei suoi stessi avversari e lettori. Spesso, invece, oggi il vampiro parla in proprio, nel segno di un’osmosi/vampirizzazione prima con il narratore e poi col lettore. Lo scotto è che ovviamente il vampiro si fa (direbbe qualcuno) umano, troppo umano – ma questo può anche piacere. Personalmente resto più affascinato dai vampiri “altri” – che in realtà siamo sempre noi ma nelle nostre proiezioni più involontarie e più imbarazzanti, e forse più interessanti – però mi piacerebbe capire come la vedete.
Vorrei ritornare brevemente sul tema del decalogo dell’horror. Certo che non ha molto senso definire regole che poi verrebbero immediatamente disattese (o proprio questo è il senso di avere delle regole in letteratura, che ci spingano ad affinare scrittura e fantasia per aggirarle?), però credo esistano aspetti che non possono essere dimenticati. Domanda: ma l’horror è sempre letteratura fantastica? Io credo che abbia ragione Todorov, quando dice che a caratterizzare il fantastico è l’esitazione tra spiegazione razionale e spiegazione sovrannaturale di un evento. A me pare che sia questo a definire il campo. Il brivido più forte ci arriva (o perlomeno a me arriva) quando non so capire se sono di fornte alla realtà o all’intrusione di qualcosa che non conosco (il mistero di cui parlavo in precedenza). Alcuni racconti di Cortazar sono in questo senso perfetti e naturalmente il testo assoluto è Il giro di vite di James.
Approfitto per salutare Massimo e ringraziarlo per gli auguri e per salutare Danilo Arona e Franco Pezzini.
Alessandro Defilipppi
@ Ad alessandro: sono d’accordo … Tra l’altro, per Cortazar, vedi un mio post precedente … 🙂
Ciao, grande Ale, maestro jamesiano dell’ambiguità contemporanea… Con la tua solita intelligenza senza confini (stasera mi paghi, però…) hai scoccato la freccia giusta: di che parliamo quando parliamo di horror… Qual è la linea discriminante? Hannibal è horror? No, eppure fa a gara con Faccia di Cuoio per la concia di maschere a base di pelle umana… Faccia di Cuoio appartiene storicamente all’Horror Territory, nessuno mai lo metterebbe in dubbio, però… Se l’horror oggi fosse soltanto quello del Body Language, per capirci lo splatter dei corpi da scannare inaugurato da cinema e letteratura negli anni ’80 tra serial killer e psicopatici? E se il resto, per capirci, fosse solo letteratura fantastica caratterizzata dalla post-moderna fusion dei generi? Sto lanciando sassi nello stagno, non intendo proporre risposte. E’ mattina e sono rintronato… Però il percorso è quello giusto. Una volta, stabilite delle discriminanti di “accesso” al genere (per me resta sempre valida la condizione “esitante” di supernatural per dire che stiamo nell’horror…), poi ci confrontiamo su dove ficcare i vampiri (ovviamente creature fissate tra questo e l’Altro Mondo…) e le Torri Gemelle, grande “fantasma” planetariio del Millennio… Per la dolce Simo: ne hanno già scritti alcuni, notevoli, romanzi horror sul MegaCrackMentale dell’11 settembre: c’è uno straordinario racconto di King di fantasmi, il bellissimo “Giochi d’infanzia” di Schwartz Lynne (Fazi, che per molti versi “esitanti” ci sta dentro…), Black Magic Woman della mia metà oscura, persino “Il sangue di Manitou” di Masterton (Gargoyle Books) è un bell’esempio in tal senso… Palla al centro, vado a svegliarmi con caffé doppio ristretto in tazza grande…
Grazie mille a Claudio ed a Seby per le risposte alla mia domanda.
un passaggio per ringraziare tutti i partecipanti al forum. sapete qual è l’impressione che ho, leggendovi? quella di gustarmi un ottimo saggio scritto a più mani, interattivo, che si autoalimenta. bellissimo.
Sull’horror. Confrontate Le benevole di Littell e The Dome di King, dopodiché c’è da chiedersi: è più dell’orrore un romanzo che non si propone come horror o uno che si propone per tale? Al di là delle etichette ( i generi ormai sopravvivono solo come categorie merceologiche) il problema è di “punto di vista” del narratore. I western di Larry McMurtry (inediti in Italia nonostante abbia vinto il Pulitzer) ridondano di horror . Difficile comprendere Cormac McCarthy se non lo si confronta con McMurtry. Però McMurtry non lo si traduce per la convinzione editoriale secondo cui del western in Italia non frega niente a nessuno, il che in parte è vero, almeno se si presenta un libro così cioè all’interno di un recinto di genere. Però uno scrittore notevole resta uno scrittore notevole e se non lo si pubblica si opera una censura di gusto e si impedisce al lettore italiano di conoscerlo.
@ danilo.
Ciao Danilo, Ti mando un bonifico al più presto!.
Hai toccato proprio una delle cose che mi lasciano più perplesso e cioè la spaltterizzazione dell’horror. Ammetto che lo splatter non mi fa paura per nulla. Mi pare anzi che quanto più si accentua tanto più si avvicini al grottesco o al già visto. Non propone simboli, in genere e per di più spiega troppo. Fa vedere le cose invece che evocarle. In un pezzo di qualche settimana fa su Tuttolibri paragonavo Avatar alla pornografia e il ciclo di Gormenghast all’erotismo: nel senso che l’uno mostra tutto e l’altro invece evoca, permettendoci di attivare il nostro immaginario. Ecco: se l’horror non evoca, come avviene quando ci mostra troppo, non stimola le nostre personali paure e quindi non ci dà il brivido vero. Perchè la paura è dentro di noi e il fantastico la va a stanare.
Il tuo Estate di Montebuio funziona benissimo perchè dà corpo agli incubi infantili di ciascuno: offre cioè una struttura su cui ciascuno evoca il suo personale incubo. Come già ti dissi, meglio di Dan Simmons.
@anonimo: cercherò il tuo post su Cortazar. Scrittore straordinario
Sul leggere. Il punto non è tanto tenersi aggiornati seguendo l’attualità, perché ciascuno di noi segue percorsi di lettura diversi. Ho una certa età e posso dunque assicurarvi che un tempo non si faceva distinzione tra la lettura di un libro appena uscito e quella di un libro pescato su una bancherella dell’usato. Io da ragazzo, Dracula l’ho letto in un’edizione del 1945 e sono nato nel 48! Una delle tante cose per cui sono grato a Paolo de Crescenzo è la sua capacità di ritrovare autori e romanzi che sono stati negati in passato al lettore italiano, opere di decenni fa che alla lettura di oggi si rivelano illuminanti e anticipatorie. Perchè l’editoria normale non fa questo lavoro? Perchè ad esempio , nonostante l’attuale voga vampirica, nessuno ha provveduto a ristampare un libro fondamentale come “I vampiri tra noi” di Ornella Volta?
Riallacciandomi a qualche post precedente : Le definizioni stanno strette, e lo sappiamo tutti, ma sono pur sempre un orientamento e un punto di partenza (e uno strumento almeno per iniziare a capirsi) … Per curiosità, di seguito, ecco quella di Wikipedia … che ne pensate ?
Una narrazione si può definire horror quando, agendo sulla fallacia delle percezioni sensoriali e sulle differenze soggettive della rappresentazione del reale, descrive possibili irruzioni di elementi irrazionali nella vita quotidiana e ne immagina le conseguenze, spesso connotate da reazioni violente e da sviluppi estremi, talora altamente drammatici e tragici.
Il tipico racconto dell’orrore alimenta le paure ancestrali radicate nell’inconscio collettivo dell’essere umano, come quelle:
per la morte e per le incognite che si celano nel mistero dell’esistenza,
per il buio e per i luoghi inesplorati,
per l’isolamento o per la perdita delle relazioni con le persone care,
per il sovvertimento delle regole della scienza e della vita in società.
Spesso l’autore del romanzo horror deforma, in modo a volte sensazionalistico e grottesco, le convinzioni presenti nelle fedi religiose, oppure enfatizza i contenuti emozionali e istintivi che si annidano nei rapporti sentimentali o nelle relazioni erotiche.
Alle volte, più banalmente, l’horror fa leva sulle comuni ossessioni e sulle fobie più diffuse nella pische umana, ed ottiene reazioni forti ed immediate facendo leva:
sull’istinto di conservazione,
sul disgusto provocato dalla malattia (fisica e mentale) o dalle deformità,
sull’angoscia suscitata dalla violenza e dal dolore,
sul disagio dovuto a condizioni di vita estrema, esposta alle avversità climatiche,
sulla reazione al contatto con certi animali ripugnanti (insetti, serpenti, ecc.).
L’orrore letterario trae origine dalle contrapposizioni violente dei rapporti umani, che vengono spinte ai limiti del paradosso, con percorsi e contenuti a tratti persino grotteschi ed ironici, e quindi in modo analogo, sia pure con maggiori estremismi, ai contenuti tipici del racconto tragico della classicità. Proprio come le cosiddette tragedie dell’orrore della tradizione greca e shakespeariana, il romanzo horror ricava gran parte della sua attrattiva dall’effetto catartico che si genera spontaneamente nel lettore, dopo che questi è stato messo brutalmente a confronto con le sensazioni più forti ed estreme, tali da far apprezzare con sollievo il ritorno all’esistenza normale.
Analogamente alla letterautura poliziesca o gialla, la narrazione horror si serve spesso della tecnica della suspense per mezzo della quale, insinuando progressivamente dubbio o senso di attesa circa gli sviluppi narrativi, determina nel lettore l’ansiogena sensazione di temere e, al tempo stesso, trepidare per la sorte dei personaggi principali e per quelle che saranno le rivelazioni e gli sviluppi presenti nella conclusione del racconto.
Elemento imprescindibile del racconto horror è la presenza di componenti soprannaturali, senza le quali il racconto, per quanto possa avvalersi di ambientazioni e situazioni tipiche dell’horror oppure determinare effetti psicologici analoghi, non appartiene a questo genere, ma può eventualmente rientrare nella letteratura gialla (thriller o noir).
Per Gianfranco Manfredi: ci siamo conosciuti a Genova qualche mese fa durante il convegno di Autunno Nero. D’accordo su molto con te, soprattutto quando parli di quelle straordinarie cacce che si facevano sulle bancarelle anni fa. Oggi è più difficile, mi pare, trovare il vecchio libro, mescolato com’è a quintali di novità subito obsolete. D’accordo anche su Littell e King.
Un po’ meno sul fatto che non si possa capire McCarthy senza McMurtry: tu dici giustamente che ognuno ha percorsi personali di lettura. Questo fa che ognuno abbia il suo McCarthy senza che ci sia un McCarthy più vero degli altri. Avrai certo provato anche tu, come me, lo sconcerto di chi ha letto un tuo libro e te ne parla come se fosse profondamente diverso da quello che tu stesso pensi e credi.
Opinione del tutto personale, comunque.
Sull’invidia e sul silenzio tra autori di cui ha parlato Danilo. Spesso non ci si legge vicendevolmente, ma altre volte ci si legge e si tace. Perché? Perché bisognerebbe discutere ed è imbarazzante dire a un altro autore che su certi aspetti della sua opera non ci si trova d’accordo. Se poi lo si scrive, succede un disastro. Da un critico si tollera una recensione negativa o limitativa, da un altro scrittore no. Di solito si scatena una polemica non in merito alle questioni sollevate, ma di tipo personale. Una volta ho scritto una recensione negativa su un romanzo italiano (non dico di chi) e per tutta risposta sono stato attaccato sul piano personale (da signore, non ho replicato). Ora il confronto tra scrittore e scrittore non dovrebbe essere uno scontro da arena di galli, se no si parla d’altro. Uno scrittore può essere nostro amico, possiamo anche aver molto apprezzato un suo romanzo e averne trovato brutto un altro. Bisognerebbe dirselo apertamente o quantomeno in privato. Alcune critiche fanno molto bene, perché giuste o sbagliate che siano, ci offrono un punto di vista diverso sulla nostra opera, cioè ne vediamo gli effetti. Il comune lettore è molto più sincero. Se vogliamo discutere proficuamente tra noi bisognerebbe anche accettare critiche senza risentirsene e reagire con attacchi personali. E invece… qualcuno ricorda l’insensata rissa dello Strega? O le polemiche contro tizio o caio non per le loro opere ma perché pubblicano dal tale o tal altro editore? Cosa c’entra questo con la letteratura? Nulla. Sono soltanto piccole meschinità. Ecco perché a volte si preferisce tacere, per non essere fraintesi e non finire implicato in risse da cortile.
@ Alessandro. Sono d’accordo con te.
Aggiungo solo a quanto sopra che nella definizione si insiste sull’elemento soprannaturale come imprescindibile. Cosa sulla quale – se ho ben capito – non tutti sono d’accordo …
Poi, ripeto, una definizione non è scolpita nella Tavole della Legge, ma può essere interessante riflettervi sopra e confrontarsi …
Ancora sullo scrivere: Gianfranco ha perfettamente ragione rispetto al punto di vista dell’autore. E questo, naturalmente, ci fa domandare (insieme a James Ellroy, peraltro) se i generi esistano davvero o esistano solo gli scrittori e ancor di più la scrittura.
Ma d’altro canto categorizzare è un bellissimo gioco, anche se un po’ pericoloso. E allora perchè non proporre una triade: fantastico, horror, gotico (mi riferisco più alla ghost story vittoriana e postvittoriana con tutto qul che ne deriva: Machen , Hodgson…). Tre contenitori permeabili, che possono slittare l’uno nell’altro, ma tra i quali ci sono nette differenze.
C’è una questione su cui vorrei sentire il vostro parere. Io ritengo che questo sia un momento molto importante, direi cruciale, per gli autori italiani sensibili all’horror. Fino a dieci anni fa ci si poteva contare sulle dita di una mano, oggi si nota un’indubbia crescita, a diversi livelli. E’ importante non perdere l’occasione. Due sono le strade: buttarsi sul genere in senso stretto e così facendo si rischia comunque di infilarsi in quell’imbuto di cui ha parlato Danilo citando Tropea: “ma quanti siete se di Simmons vengo solo cinquemila copie?” . E’ la scelta del ghetto. L’altra strada è cercare di capire come si inserisce la letteratura horror contemporanea nel percorso della letteratura in generale. Gli autori classici dell’horror (prendete Stevenson ad esempio) non erano autori horror, nel senso che scrivevano di tutto. e quand’anche puntavano su un tema cosiddetto horror lo facevano non rivolgendosi a un target di gusto, ma a tutti i lettori. La letteratura americana horror degli anni 80 è riuscita ad avere rilievo (anche di mercato) andando al di là dei confini di genere anche e soprattutto nel modo di scrivere e nei contenuti delle proprie opere. Uno dei temi favoriti e più importanti di King (e di quella generazione di autori) è stato ad esempio quello dell’infanzia e del passaggio tra l’infanzia e l’età adulta. Questo tema spesso è stato espresso con notevole forza poetica e assolutamente a prescindere dall’horror. Nei romanzetti pulp dell’età precedente, gli editor avrebbero detto: taglia questa parte perché non fa paura e non c’entra niente. E’ invece l’irruzione dell’altro e di quello che “non c’entra” che si superano i ghetti. Quando un romanzo sarà letto in quanto romanzo, non in quanto romanzo etichettato, allora potremo dire di essere tornati a un nuovo livello al modo di lavorare e di scrivere degli autori classici che l’horror hanno fondato. Ciò significa porsi degli obiettivi alti, nel lavoro di scrittura. Maturare stilisticamente, staccarsi da modelli prefabbricati e ripetitivi. Pensate a cosa è avvenuto recentemente alla narrativa gialla italiana. Nuovi autori a raffica, perchè il genere “commissario” funzionava. Iperproduzione, noia abissale del lettore, stanchezza degli scrittori, coro di massa: basta con i commissari dal volto umano, non se ne può più! Vogliamo che accada la stessa cosa con il nuovo horror italiano?
sulle critiche: nel mio piccolo – riconoscendo ovviamente che una recensione positiva fa più piacere di una stroncatura (e ci mancherebbe!) – posso dire che ritengo che le valutazioni negative siano parte del gioco, perchè se pubblichi non puoi poi pretendere di avere solo ritorni positivi, tanto più che in campo artistico – a qualunque livello – mancando per forza di cose unità di misura assolute come un cronometro o una bilancia, quasi tutto, se non proprio tutto, è opinabile. Se pubblichi è perchè – ritorno economico a parte – vuoi essere letto. Speri nella recensione positiva e nell’accoglienza calorosa, però poi non puoi non mettere in conto anche il rifiuto. Personalmente ritengo fastidioso il giudizio negativo fine a sè stesso, senza cioè un minimo di esplicitazione dei presupposti, personali o meno che siano. Dissentire non è un reato, nè una mancanza di rispetto, se la critica è fatta con educazione e avendo l’umiltà di chiarire qual’è la propria griglia di riferimento.
Poi, concordo con Gianfranco nel rilevare la differenza esistente tra ricevere critiche da un lettore o da un compagno di merende scrittore … In quest’ultimo caso brucia di più, perchè un minimo di competizione credo sia inevitabile avvertirla. Anche qui è però questione di misura. Personalmente non sto sveglio alla notte se qualcuno non gradisce ciò che ho scritto … 🙂
Scusate i refusi del precedente post.
Bonjour! Scusate il ritardo ma dovevo adempiere a una serie di “postaggi” e aggiornmenti dei siti…
Bella, quella della linea discriminante dell’horror: qual è? Ribadisco che io non riesco più ad edentificarla. Prima era diverso, prima c’erano le storie di fantasmi e vampiri, e dopo ancora zombi… Ora si aggiungono generi talmente affini come il thriller, lo stesso noir ha spesso connotazioni soprannaturali. Perciò rilancio per l’ennesima volta la domanda: come vi definireste voi, horror writers? Se vi doveste presentare direste piacere, sono x scrittore di…?
Le varie sfaccettature dell’horror di oggi risentono dell’influenza dello splatter anni ’80 e il genere si porta dietro questa sfortunata connotazione che lo rende un po’ il brutto anatroccolo. E, visto che si è menzionato lo Strega, mi piacerebbe sapere se mai un libro horror verrà inserito in un premio letterario italiano che non sia settorializzato.
@ Claudio: l’elemento soprannaturale potrebbe essere l’unico distintivo del nostro genere, ma ormai anche thriller e noir ne fanno uso. Ci stanno ripulendo bell’e meglio con il risultato che gli altri generi si evolvono e noi restiamo ancorati al Body Language di cui parlava Danilo.
@ a claudio. Posso garantirti che il tuo romanzo mi è piaciuto molto. la tua raffigurazione dei vampiri derelitti e disgregati nelle fogne è formidabile. Posso dire, e ti assicuro, non è per fare il professorino, che però secondo me tagliando la parte tra Padova e Venezia e qualche mangiata di panini di troppo, secondo me il tuo romanzo sarebbe stato formidabile? La cosa non riguarda soltanto te, ci riguarda tutti. A volte capita che scrivendo una vicenda, per identificazione con i personaggi, ne seguiamo le mosse giorno per giorno e minuto per minuto. Anche qui, i modelli classici invece insegnano. Certi passaggi andrebbero stretti . Dickens alterna una cronaca giorno per giorno dei personaggi con salti di tempo di una settimana o di un mese. Il tempo letterario è cosa diversa dal tempo reale. Te lo dico perchè anch’io spesso quando scrivo, seguo i personaggi quasi minuto per minuto. Poi però in sede di editing sono spietato e vado giù con l’accetta eliminando pagine e pagine, che magari di per sè sono espressive, ma nuocciono al ritmo dell’insieme. Spesso parlando con altri scrittori anche superprofessionisti e campioni delle classifiche ho invece scoperto allibendo che nemmeno rileggono quanto hanno scritto. Se poi un editor (dei sopravvissuti) della casa editrice gli corregge una virgola si imbufaliscono e gridano al delitto d’autore. Io sarò sempre grato a Grazia Cherchi che facendo l’editor dei miei primi romanzi, mi ha convinto a togliere interi capitoli , con il risultato che il romanzo ci ha guadagnato stilisticamente e che io ho imparato a scrivere e a farmi l’editing da solo con assoluta spietatezza.
Grazie, Ale (adesso sono in debito io per entità di cifra…). Comunque la discussione è tosta, anche se per età (quasi) manfrediana – nacqui nel ’50 nel giorno natale di Jeffrey Dahmer… -, attesto che è una querelle quasi istituzionale che prima si consumava esclusivamente in certi salotti editoriali o in convegni accademici. La bella novità è questa dimensione allargata che permette il formarsi in diretta di un Pensiero collettivo per quanto (positivamente) non uniforme od omogeneo al suo interno. Sparata la prima tavanata del mattino, tento di tornare a bomba sull’ordine delle domande poste per cui eccoci… alla Meyer, che francamente non mi attizza perché in primo luogo non sono di quella generazione. Al proposito quoto ancora Gianfranco che spiega benissimo e in pochissime righe le motivazioni basiche di tanto successo… Soprattutto da dove viene (Stine, Buffy, certa teen Tv…), considerazioni che fanno pensare a strategie di marketing mirate laddove si elaborano concetti di horror generazionali, di horror “d’amore”, passionali… Horror in cui il tono d’intensità deve restare basso a tavolino. Ovvio che il lettore tradizionale del genere fugge infastidito… Però intanto mai i vampiri hanno venduto tanto. Il tutto mi fa tornare in mente certe classiche teorie – sempre intorno alla definizione – che sostengono che l’horror altro non sia che una versione adulta e non censurata delle favole dell’infanzia. Il vampiro stesso, a livello folcloristico, sarebbe un prodotto di trasformazione a metà strada tra gli archetioi demonaici, certi animali notturni caratterizzati dall’aggredire il prossimo eccitati dal sangue e certe figure incubiche (elencate in Psicanalisi dell’incubo di Jones), caratterizzate dall’essere nightcomers, visitatori notturni che di solito violavano la casa passando dalle finestre in volo…
@ Gianfranco. Be’, intanto ti ringrazio. E sono molto contento di quello che dici. Adesso, tra l’altro, sono qui che “taglio” a più non posso le bozze de Il 36° Giusto, perchè Paolo mi ha detto che non lo pubblica se non accorcio 🙂 Faccio fatica, ma naturalmente è un limite mio, e Paolo ha ragione. Come hai ragione tu. E’ una difficoltà tecnica, la mia, alla quale spero di rimediare con un po’ di esperienza in più. Per le correzioni dell’editore ancora una volta posso riferirmi solo al mio rapporto con Paolo De Crescenzo,e quindi non posso che definire il suo apporto un aiuto prezioso e un valore aggiunto (lo dico senza piaggeria, anche se può apparire poco credibile). Disgraziatamente, sono talmente miserabile che non ho nessuno cui far leggere le bozze prima di inviarle all’editore, e quindi al poveretto arriva un malloppone di 700 pagine davanti al quale egli – pur navigato e di robusta spalla – atterrisce come e più che davanti – a proposito – all’orrore più viscerale. Nel mio e nel suo caso forse l’horror più autentico – al di là delle definizioni – sono proprio le mie bozze da correggere. 🙂
Ancora grazie per le belle parole sul mio libro …
Sullo splatter. Non sarei così negativo. Ha gettato un po’ di luce sul tema del “corpo” nella letteratura contemporanea. E non solo nella letteratura. Ero a Roma a fare lo sceneggiatore quando si consideravano i film di Fulci come bassa macelleria punto e basta, però un giorno salta fuori l’orrida vicenda di cronaca del mostro della Magliana, così mi sono chiesto se Fulci non avesse svelato in anticipo cosa covava nel sottoproletariato romano. La stessa cosa ci si potrebbe chiedere riguardo a orrori della cronaca come Abu Ghirab , pressocchè contemporanei al fiorire del torture-horror di Saw e di altri film. Mi viene anche in mente una discussione fatta anni fa con Laura Grimaldi la quale sosteneva che non si poteva in Italia scrivere di serial killer perchè i serial killer non esistono nella nostra tradizione criminale. Eppure bastava aspettare un po’… oggi non lo si potrebbe più dire. Tanto che arrivano qui dall’estero per informarsi ancora sul Mostro di Firenze. Spesso la sensibilità degli autori avverte il “clima dell’epoca” prima che i fatti lo confermino. Questo intendevo per anticipazione. Se invece esaminiamo le tendenze come puri ingredienti, questo legame tra simbolico e reale rischia di sfuggirci.
@ claudio. Le mie lodi erano sincere. Riguardano non solo la tua caratterizzazione dei vampiri, ma anche i tuoi personaggi randagi, drop out, le case scassate, gli intermezzi di desolante quiete apparente, quell’ondeggiare (come in Dylan Dog) tra la paranoia per un nonnulla e il prendere alla leggera situazioni davvero allarmanti. Erano anni che non leggevo un horror così. Proprio per questo, nel momento in cui il tuo romanzo si avvita un po’ su se stesso, mi sono un po’ irritato, quasi si trattasse di cosa mia (un lettore partecipa con la sua sensibilità alla costruzione del romanzo). D’altro canto il punto è che la riprova non c’è mai. Non si può sapere se i tagli giovano o nuocciono. Baricco ha proposto di recente (non so però che fine abbia fatto la sua proposta, probabilmente è caduta nel nulla come molte altre sue provocazioni queste sì da professorino) di pubblicare romanzi senza editing alcuno. A mio parere sarebbe disastroso. Favorirebbe proprio quel narcisismo egotista di cui parlava Danilo citando la Salvatori. Il problema è riuscire a un certo punto a staccarsi dal flusso narrativo di prima scrittura e rileggersi come se il proprio romanzo lo avesse scritto un altro. Appena intimamente avvertiamo la sensazione che una certa cosa non funziona o non risolve o è ripetitiva, insomma non quadra, dobbiamo toglierla. Carmelo Bene diceva che il lavoro artistico è tutto a togliere. In questo, le scuole di scrittura americane, qualcosa hanno insegnato. Si fanno esercizi del tipo: scrivi un periodo, poi prova a scriverlo con metà parole. Per autori generosi e tendenzialmente fluviali può anche essere una rovina stilistica, ma in genere c’è da guadagnarci. Quanti giganteschi romanzi di Stephen King (tipo Tommy Knockers) dilatano per centinaia di pagine un contenuto che sarebbe stato molto più efficace se condotto nella misura di un semplice racconto? I contratti di King sono “a parola”. Questo tipo di contratti è stato escogitato in America dagli autori per non farsi imporre un format dall’editore, cioè l’obbligo a mantenersi in un certo numero prefissato di pagine. Si è però rivelato un boomerang. Infilare in un romanzo due pagine di elenco di medicinali nello stipetto di un personaggio è sul piano della lettura affliggente. Se questo genere di contratti venisse applicato in Italia, si può star certi che gli autori invece di un aggettivo ne userebbero tre. Viva l’editing! Se ce lo facciamo da soli, tanto meglio.
@Manfredi: Sull’invidia e sul silenzio tra autori di cui ha parlato Danilo. Spesso non ci si legge vicendevolmente, ma altre volte ci si legge e si tace. Perché? Perché bisognerebbe discutere ed è imbarazzante dire a un altro autore che su certi aspetti della sua opera non ci si trova d’accordo. Se poi lo si scrive, succede un disastro. Da un critico si tollera una recensione negativa o limitativa, da un altro scrittore no.
Parole sante!
Di recente ho letto il romanzo di un collega che apprezzo molto. A un certo punto, tra un capitolo e l’altro, c’era un buco. Nel capitolo successivo ci si riferiva a fatti che non erano avvenuti. Così, pensando di non aver capito, ho chiesto al collega quale fosse il senso di quello scarto. La sua risposta è stata la seguente: la situazione mancante era una scena madre che mi ero riservato di scrivere dopo a conclusione del romanzo, per studiarla meglio nell’insieme. Però poi quando ho finito me ne sono dimenticato. Il libro stava per andare in stampa. Ho comunicato la mia dimenticanza all’editore che mi ha risposta: fa niente, non se ne accorgerà nessuno, e poi il libro è già lungo così. Ecco… quando sento queste cose mi pare di sognare. Possibile che la fretta di consegnare e di rispettare i tempi editoriali (tra l’altro eterni perché passano mesi oggi tra quando un romanzo viene consegnato e quando esce) debba spingerci a non rileggere parola per parola quanto scriviamo?
@Manfredi: Quando un romanzo sarà letto in quanto romanzo, non in quanto romanzo etichettato, allora potremo dire di essere tornati a un nuovo livello al modo di lavorare e di scrivere degli autori classici che l’horror hanno fondato. Ciò significa porsi degli obiettivi alti, nel lavoro di scrittura. Maturare stilisticamente, staccarsi da modelli prefabbricati e ripetitivi. Pensate a cosa è avvenuto recentemente alla narrativa gialla italiana. Nuovi autori a raffica, perchè il genere “commissario” funzionava.
Verissimo anche questo, ma mi consento di segnalare la saga del Commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni, che e’ l’esempio principe di come si possa prendere un filone sfruttato, rivoluzionarlo e farne vera letteratura.
@Manfredi: A volte capita che scrivendo una vicenda, per identificazione con i personaggi, ne seguiamo le mosse giorno per giorno e minuto per minuto. Anche qui, i modelli classici invece insegnano. Certi passaggi andrebbero stretti . Dickens alterna una cronaca giorno per giorno dei personaggi con salti di tempo di una settimana o di un mese. Il tempo letterario è cosa diversa dal tempo reale.
E’ quello che succede quando ci si innamora dei propri personaggi. A me (a noi, me e Lory) e’ successo spesso. Adesso non succede piu’, siamo cresciute, abbiamo studiato, ascoltato critiche che erano veri e propri insulti, letto, commentato, editato, capito. Lo scambio con gli altri, lettori o scrittori che siano, fa crescere. Questo e’ certo.
@Claudio: Disgraziatamente, sono talmente miserabile che non ho nessuno cui far leggere le bozze prima di inviarle all’editore, e quindi al poveretto arriva un malloppone di 700 pagine davanti al quale egli – pur navigato e di robusta spalla – atterrisce come e più che davanti – a proposito – all’orrore più viscerale.
Il tuo non e’ un editore, e’ un sant’uomo 😉
@Manfredi: Viva l’editing! Se ce lo facciamo da soli, tanto meglio.
Ma bisogna esserne capaci, altrimenti ci si deve rivolgere ad un editor professionista e pagarlo di tasca propria. Esattamente quello che pretendono alcuni agenti letterari per prendere in considerazione un’opera sulla quale vogliono garanzie da altri. Evidentemente non sempre sono in gradi di fiutare da soli il materiale buono da quello che non lo e’.
Ho comunicato la mia dimenticanza all’editore che mi ha risposta: fa niente, non se ne accorgerà nessuno, e poi il libro è già lungo così.
Ecco, questo e’ un editore tipo italiano.
Tra le ten rules di Leonard ci sono delle autentiche bestialità. Ad esempio quando sostiene che per uno scrittore usare gli avverbi è una sconfitta. Ora: questi benedetti americani prima ci hanno scassato con le rules di Hemingway che ad esempio sosteneva che tra una parola facile e conosciuta da tutti e una ostica, bisogna sempre scegliere la prima. Fesseria, perchè il facile e l’ostico di oggi, non sono il facile e l’ostico di domani. Molti libri degli anni 60 che fanno largo uso di linguaggio “facile” d’epoca oggi sono illeggibili perché quel linguaggio è caduto in disuso. Inoltre c’è un valore sonoro e musicale della parola che andrebbe considerato. E c’è anche un valore evocativo del termine sconosciuto che è importantissimo. I Figli della mezzanotte di Rushdie è avvincente proprio perché moltissimi termini “indiani” sono intraducibili e dunque ci tocca interpretarli fantasticamente. L’editing non vuol dire azzerare la qualità stilistica, né tantomeno limitare l’immaginazione e la libera interpretazione del lettore, senza la quale un romanzo infiacchisce. Il guaio della letteratura contemporanea spesso è quello della riduzione della lingua a basic . La rinunce stilistiche sono sempre più evidenti, specie nei best sellers. In Bikini, Patterson descrive così il suo protagonista: “somigliava a Daniel Craig, il nuovo James Bond”. Eccheccazzo! Lo so che così il lettore evoca più facilmente, però non è proprio questa scaciatezza una rinuncia stilistica dello scrittore a fare il suo lavoro? Vi figurate cosa sarebbe accaduto se Bram Stoker avesse descritto Dracula così: “somigliava a Henry Irving”? Un lettore di oggi cosa capirebbe? Nessuno si ricorda più la faccia dell’attore Henry Irving.
@ Gianfranco. Come non essere d’accordo. ? Era Gramsci (forse no) che alla fine di una sua lettera si scusò con il destinatario dicendo che non aveva avuto il tempo di essere breve ? Io rimasi colpito a suo tempo da Jan Fleming che nei suoi romanzi – del resto brevi – con protagonista James Bond, ogni volta che citava un prodotto, fosse una bevanda, un orologio, o un paio di scarpe, ne indicava anche marca e caratteristiche. Per non parlare delle descrizioni di pranzi e cene che erano parte integrante dela storia e contribuivano a definirne l’atmosfera. Rimasi anche colpito da ciò che un lettore disse di un romanzo d’azione (mi fare fosse di Altieri, ma anche qui non ne sono certo). Venivano citate le armi con le relative marche e caratteristiche, e questo si lamentava perchè non veniva specificato l’anno di fabbricazione del modello, spiegando che invece avrebbe aiutato un lettore informato a visualizzare meglio il tutto. Ovvio che questo è un caso limite, però credo chiarisca come magari un determinato lettore (forse anche in un deetrminato momento) ami avere dettagli che sono francamente tutt’altro che vitali. Detto ciò, anche io penso che tra due descrizioni di impatto più o meno simile, quella più breve si anche la più valida e pregevole.
@ Laura. L’autore cui mi riferivo non lo nomino, ma l’editore era Mondadori. Lo nomino volentieri perchè nell’anno in cui pubblicai da loro, uscirono con l’autobiografia del mio quasi omonimo Nino Manfredi. Il libro venne pubblicato in una collana per un target popolare e per famiglie. Nei primi capitoli Nino Manfredi raccontava che il suo primo rapporto sessuale era avvenuto con una pecora e che durante la guarda aveva organizzato un casino con le donne sole del paese. All’uscita del libro qualche critico lo fece notare. In Mondadori non se n’erano neppure accorti perché non avevano letto il libro.
Ecco, appunto… E pensare che il sogno della maggior parte degli scrittori e’ pubblicare con Mondadori. Che tristezza!
@ Gianfranco. Spero che il citato libro di Nino Manfredi fosse un horror … 🙂
Il fatto che esista un casa editrice come la Gargoyle credo sia un patrimonio per il “genere” horror e i suoi appassionati (metto le virgolette perché anche a me piace distinguere i libri buoni da quelli scadenti, e non parlare di generi).
Come fare per tutelare questo patrimonio? Sostenendo la casa editrice, comprandone i libri. Ringrazio per questo post e auguro alla Gargoyle di conquistare fette di mercato sempre più importanti.
È chiaro che per conquistare fette di mercato, oltre alla qualità e alla progettualità, occorrono mirate politiche di marketing. Ci vorrebbe qualche idea forte, e innovativa, in tal senso.
@ Claudio. Sì il romanzo era Città Oscura di Altieri. Su queste cose gli autori americani tendono ad essere molto precisi e fanno bene. Il thriller in particolare è un genere prediletto dalle lettrici, che esigono dettagli. Credo Deaver ha detto che se in un romanzo si portano i quattrini di un riscatto in una valigetta è bene precisare di che valigetta si tratti, se non altro perché un milione di dollari in biglietti di piccolo taglio in una ventiquattrore non ci stanno. Questo vuol dire documentarsi. Non sono attenzioni superflue. Da noi si scrivono storie di polizia senza essere mai entrati in una stazione di polizia e senza avere la minima idea di come lavorano i poliziotti veri. Così i carabinieri non sono i veri carabinieri, ma maschere da commedia dell’arte, in parte da barzelletta (i sottoposti) in parte dei finissimi intellettuali (il protagonista). Ora: se uno scrive di carabinieri, non dovrebbe cercare quantomeno di conoscerne qualcuno? Basta… sono andato fuori dall’argomento horror, scusate. Però anche il racconto fantastico ha bisogno assoluto di realismo, anche sul piano del linguaggio. Se metto in bocca a un faraone la parola “inconscio” è la stessa identica cosa che se gli metto al polso un Rolex. Nell’horror in particolare le cose incredibili svettano tanto più se emergono da un contesto realistico. In Vergnani per esempio è proprio il contesto realistico a farci sobbalzare quando si trasforma in visionario. La precisione nella descrizioni dei luoghi, dei personaggi, delle abitudini quotidiane non è superflua, è fondante. Ovviamente con la giusta misura , perché a meno che il racconto non lo richieda, non è rilevante la marca delle mutande del protagonista.
Parlando di Nino Manfredi mi rendo conto d’aver scritto “durante la guarda” volevo dire “durante la guerra”. Faccio pausa, sto andando in tilt e ho già scritto troppo.
Ok, allora che Gargoyle sia! Vado a vedere il catalogo 🙂
E poi dite che non sono di parola, io!
@Paolo De Crescenzo: Ho cercato di ordinare dal sito una copia del libro di Danilo Arona “L’estate di Montebuio”, ma non riesco a compilare l’ordine perche’ il modulo non mi consente di indicare tutti i dati richiesti (paese, provincia, tipo di carta di credito e numero di carta di credito). Come posso fare? Lo trovo in libreria? Oppure devo venire a prenderlo in sede visto che siete a Roma? Fateme sape’ 🙂
@ Laura: Io l’ho comprato da Fnac: ma Gargoyle ha una buona distribuzione.
Sempre a te, in riferimento al tuo commento “E pensare che il sogno della maggior parte degli scrittori e’ pubblicare con Mondadori. Che tristezza!” io credo che gli autori se ne fregherebbero se l’editore si chiama Mondadori o Ciccillo Vattelapesca se Ciccillo avesse la stessa distribuzione e visibilità di Mondadori. Ma se scriviamo, almeno per quanto mi riguarda, lo facciamo perché vorremmo essere letti. E se non ci conoscono nessuno ci legge. Quindi bisogna essere presenti nelle librerie, in bella mostra sugli scaffali, sui giornali, nei blog, alle trasmissioni tv… Che palle!! Io finora ho ottenuto qualcosa in più perché ho pubblicato con Gremese: il resto (e ne ho scritte di cose…) sono tutte parole al vento e tempo sprecato, compreso il mio romanzo (che peccato… Quando ci penso mi viene su un arabbia…)
Parole al vento? No, non lo sono. Per pochi che ti abbiano letta, quei pochi si sono nutriti delle emozioni che hai saputo trasmettere e non le hanno dimenticate. Riguardo al mio dire: che tristezza! il riferimento era alla totale indifferenza di Mondadori per cio’ che viene mandato in stampa. Da una casa editrice di tale importanza e tradizione, uno si aspetterebbe una cura minuziosa del prodotto “libro” e invece sono sullo stesso piano del Filo, che pubblica tutto quello che gli si manda, senza alcun controllo (e ti credo, li paghi!)
@ Filippo: da giornalista ritengo che un’adeguata politica di marketing sia soprattutto fondata da un ufficio stampa con le palle che supporti editore e scrittore. I miei libri sono stati tutti abbondantemente coperti dalla stampa (tranne quando dell’ufficio stampa se n’è occupato il collega della CentoAutori…) perché mi sono dovuta autopromuovere. E non si può scrivere, farsi l’ufficio stampa, promuoversi organizzando presentazioni, stare in campana per eventi ecc… E’ dispersivo e poco professionale, oltre che deprimente, a volte: con la stampa nazionale fai spesso la figura dello sfigato.
@ Laura, e lo capisco, però almeno ti si vede. Mondadori ti dà un nome, anche una sorta di falso credito se vuoi, ma per la massa purtroppo funziona. Parole al vento, sì, Laura: il romanzo (che reputo un buon prodotto) è buttato al cesso (infatti non ti nascondo che voglio vedere se qualcuno vuole rieditarlo con qualche modifica, come Fandango ha fatto per de Giovanni. Noi tutti sappiamo quanta faticca c’è dietro un romanzo. Il racconto è diverso, quello puoi anche permetterti di regalarlo a destra e a manca (io ne ho pubblicati alcuni di davvero belli che stanno lì a morire) perché non ti costa tanto scriverlo. Ma il romanzo è cosa diversa. E farlo finire così è ingiusto per lo scrittore, immorale per un editore che si prende un impegno. Ecco perché mi mangio.. . Se non mi fossi lasciata consigliare da chi credevo un amico forse l’avrei pubblicato diversamente. Sì, Laura, è proprio fatica sprecata.
Eh, il problema è questo: i grossi editori pubblicano talmente tanto che non hanno tempo di leggere quello che pubblicano e nemmeno di studiare promozioni ad hoc. I piccoli e medi non sono tutti uguali… c’è chi cura con notevole scrupolo (come Gargoyle) e c’è chi va all’ingrosso anche quando pubblica i grandi. Certe traduzioni di Lansdale (non quelle di Einaudi) fanno accapponare la pelle dalla bruttezza e dagli errori. Si leggono cose tipo: sparò con la pompa! (Si intende col fucile a pompa). A proposito di Lansdale: è mai possibile che dopo che Einaudi lo ha scoperto debba uscire da qualsiasi editore qualsiasi scarto del suo cassetto anche roba assolutamente illeggibile, che viene il dubbio sia stata scritta da qualche ubriaco amico suo, e per di più tradotta da cani? E’ vero quello che dite: oggi a un autore si chiede di fare tutto, scrivere, controllarsi, autolimitarsi, promuoversi sbattendosi in proprio, fare il personaggio pubblico e le donne non hanno neanche la chance di partecipare alla nazionale di calcio scrittori ( c’è, certo che c’è!). Chi poi colto da improvviso quarto d’ora di celebrità entra nel turbine dei convegni, dei festival, degli incontri, degli inviti più disparati cui non si può dire di no, non ha davvero più il tempo per scrivere, non qualcosa di decente comunque. E non parliamo nemmeno dei Premi Letterari che per solito sono passerelle per gli assessori più che per gli autori . Uno si sbatte avanti e indietro e bene che gli vada accumula orride targhe, statuette di santi, opere scultoree di innominabili artisti locali. Ah quanto sarebbe bello venire almeno premiati in natura con prodotti gastronomici del posto! Senza contare che per parlare tra noi ci vogliono occasioni come questa, perché spesso ai convegni non è neppure previsto un cazzo di posto dove gli autori possano trovarsi a fare quattro chiacchiere tra loro. Io, a costo di fare la figura dell’orso, da mesi non vado più da nessuna parte. Andrò a Orvieto dove so che troverò qualcuno di voi e così avrò il piacere di conoscervi. Per il resto, dato che devo sorbirmi anche le Fiere del Fumetto, ho deciso di non uscire più di casa e starmene a scrivere. Ma lo sapete che c’è una Fiera del Fumetto a settimana? Come si fa a lavorare stando sempre in giro?
A proposito di decalogo. Tempo fa ne ho buttato giù uno su: le 10 ragioni per cui di uno scrittore si parla al telegiornale. 1. Conduce un programma sulla stessa rete; 2. Non sapevano di chi cazzo parlare; 3. Ha molestato il suo badante; 4. Ha vinto lo Strega; 5. E’ perseguitato dalla camorra o dai fondamentalisti; 6. E’ morto lasciando un grande rimpianto; 7. Fa anche il giornalista, il magistrato e il parlamentare (meglio se tutti e tre); 8. Ha venduto milioni di copie e tutti si chiedono perché ; 9. Da un suo romanzo hanno tratto un film , un telefilm e un Cd di canzoni di Mario Apicella; 10. E’ stato arrestato per droga o (a scelta) è stato pestato a sangue da un drogato.
Grande Gianfranco!! Parole sante, davvero. Sono comunque felice che ci sarai a Orvieto, così potremo incontrarci. Domenica io presenterò VAMPIRI e QUESTI FANTASMI, un’antologia. Spero ti tratterrai. Come spero che magari sabato sera riusciremo ad andare tutti a cena fuori per parlare un po’ (FINALMENTE!) tra noi. E’ vero, le occasioni sono davevro poche. E ci perdoni Massimo se stiamo un po’ uscendo fuori traccia ma la tematica dell’editoria tocca un po’ tutti, non solo noi horro writers.
E comunque, tanto per rafforzare quello che dici a proposito delle tavole rotonde, alla tavola rotonda di sabato sull’horror io non ci sarò. O meglio, ci sarò senz’altro ma nel pubblico, non certo come relatrice. Quando riuscirò a vedere la platea dall’altra parte del tavolo, sarò certamente più soddisfatta. Abbiamo di che faticare, noi donne, per un posto al sole… 😉
P.S. Al tuo splendido decalogo aggiungerei: 11) E’ stato ospite di un reality e ha preso a badilate qualcuno dei partecipanti; 12) E’ stato al Maurizio Costanzo Show e ha mandato affanculo qualche ospite.
A integrazione del n.5, è importante che il perseguitato dalla camorra o dai fondamentalisti abbia anche fatto i soldi, altrimenti vuol dire che se l’è proprio voluta.
Arrivederci a Orvieto. Spero proprio che avremo occasione di parlare insieme, perché alla tavola rotonda siamo in cinque per la durata complessiva di un’ora. Il che significa che un coglione come me che sta vicino alla Svizzera si deve sorbire qualche centinaio di chilometri di viaggio per parlare dieci minuti. E’ già una conquista dato che al recente Premio Alziator di Cagliari dove ero tra i premiati, siamo stati tenuti in teatro dalle 19 di sera all’una di notte, senza mangiare e senza che ci sia stata concessa facoltà di parola nemmeno per un minuto. Le targhe premio ci sono state consegnate in pulmann mentre ci riportavano in albergo. In compenso sul palco è sfilata la giunta al gran completo.
Presentava Michele Mirabella il quale nulla sapeva dei premiati né dei loro editori e leggeva i nomi da un foglietto facendo anche confusione. Essendo il presentatore di Elisir, man mano che andava avanti l’incredibile serata, mi è sorto il dubbio che si trattasse del premio Alzheimer. Il vincitore assoluto,lo hanno fatto arrivare in aereo dalla Cina. Quando passata l’una di notte è stato insignito del premio sul palco, Mirabella passandogli il microfono gli ha detto queste precise parole: “adesso mica ci rifilerai una sinossi del tuo romanzo!” No, figuriamoci… uno arriva dalla Cina e vuoi anche farlo parlare?
Che Italia felliniana… Immagino il cinese col sangue agli occhi. Se fosse stato giapponese avrebeb sfoderato la katana…
No, era Ugo Barbara un giovane autore italiano, ma che facendo il giornalista si trovava in Cina. Avrebbero dovuto esserci anche due autori stranieri: un egiziano e un palestinese. Nella loro sezione aveva vinto un’autrice israeliana progressista che non vedendoli alla serata c’è rimasta malissimo perché temeva che non fossero venuti a causa sua. E’ stata informata invece perché al contrario di noi si erano informati per bene e alla prospettiva di dover affrontare il viaggio per vedersi rifilata una targa e non poter nemmeno parlare dei loro libri hanno saggiamente rinunciato. Questo paese è al totale collasso. Lo so che reclamiamo tutti un po’ di attenzione per il nostro lavoro, però quando l’attenzione c’è sarebbe stato meglio che non ci fosse stata.
L’ho scritto da cani l’ultimo post. Vado a leggere che è meglio.
Miei “vamp-irosi” amici, io sono qui che vi guardo e che vi leggo… 😉
[scusate… “vamp-irosi” mi è venuta fuori adesso… non c’entra nulla ma non sono riuscito a resistere].
Ringrazio tutti per i numerosi commenti pervenuti e per gli ottimi contributi.
Come vi dicevo penso di rincodurre questo dibattito sul prossimo volume di “Letteratitudine, il libro”.
Letteratitudine-libro, è un biannuario: http://www.ibs.it/code/9788860030931/letteratitudine-libro.html
In effetti, anche questo post, è una specie di “libro” scritto a più mani. Pensate un po’… ricopiando post e commenti in un file word (times new roman 12), vengono fuori più di 120 pagine…
@ Gianfranco Manfredi
Caro Gianfranco, una curiosità “fumettistica”… o meglio, una domanda che ti pongo nella tua doppia veste di esperto di “letteratura vampirica” e addetto ai lavori nel mondo dei fumetti (sei il creatore di “Magico Vento” della Bonelli).
La domanda è: cosa pensi della serie Marvel “The Tomb of Dracula” di Gene Colan?
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Inserisco qualche link a beneficio di chi non conoscesse gli argomenti correlati alla domanda:
http://www.sergiobonellieditore.it/magico/servizi/autori.html
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http://fumettidicarta.interfree.it/Garage_Ermetico/DRACULA/Tomba_scoperchiata.htm
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http://it.wikipedia.org/wiki/Gene_Colan
Estendo la domanda del precedente commento a tutti, ovviamente…
Intanto ne approfitto per ringraziare Simonetta e Laura per la costante presenza e il supporto.
Andrea Ballarini mi segnala questo suo articolo “vampirico” uscito su “Il Foglio” nell’ambito della rubrica da lui curata “Vie Traverse”:
http://www.ilfoglio.it/vietraverse/
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Riporto il testo dell’articolo nel commento di seguito, come contributo alla discussione…
“Mondo canino” di Andrea Ballarini
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L’accademia dei vampiri; I tarocchi dei vampiri della notte eterna; La setta dei vampiri; La guerra dei vampiri; Il crepuscolo dei vampiri; L’impero dei vampiri; La rivolta dei vampiri; L’ora dei vampiri; La città dei vampiri; Io credo nei vampiri; Il vangelo dei vampiri; Il signore dei vampiri; Scopri e colora i vampiri; Dizionario dei vampiri e dei lupi mannari; e poi tutti libri da cui sono tratti gli episodi della serie tv True blood, dove i titoli contengono la parola morto in tutte le sue declinazioni: Decisamente morto; Morto stecchito; Morti viventi a Dallas; Morto per il mondo; Il club dei morti; Morti viventi.
Questi sono solo alcuni dei titoli che si trovano girando per librerie in questo periodo. Sulla scia del successo planetario della saga di Twilight, in cui si narrano le avventure di Bella ed Edward, la coppia mista umana-vampiro di teenager che difendono il loro amore fuori dagli schemi – roba che nemmeno la versione più illuminata dei DICO ha previsto – agli editori è partita la brocca. Ma è solo comprensibile avidità di denaro o c’è dell’altro sotto un’epidemia di vampirismo di proporzioni tali al cui confronto quella vittoriana è solo un’anemica anteprima?
Innanzitutto quando ero ragazzino il vampiro era sempre al singolare: Dracula, il vampiro, appunto e aveva immancabilmente la faccia pseudocarpatica di Christopher Lee. Certo, la produzione culturale pop è sempre stata attratta dalla figura del non morto e ha con regolarità tentato variazioni sul tema. Per citare solo un esempio legato alla mia giovinezza, ricordo una serie di epici albi in cui Za-gor-te-nay, ovvero lo Spirito con la scure, per gli aficionados solo Zagor, affronta e sconfigge un epigono del conte stokeriano, il barone Bela Rakosi. Ma nella fluviale produzione del personaggio di Gallieno Ferri e Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) si trattava pur sempre di episodi marginali. E comunque, il vampiro era e restava Dracula.
Quelli che avevano studiato sapevano che c’era anche un romanzo di Bram Stoker oltre i canini e gli occhi rossi dell’attore della Hammer. E qualche nerd antelitteram l’aveva perfino letto, ma finiva lì. Del vampiro si sapeva che era un essere fuori del comune, raro, misterioso. E proprio su questa eccezionalità si fondava gran parte del suo fascino. C’era anche una punta di superomismo in questo aristocratico transilvano che aveva la forza di dieci uomini, la velocità del lampo, il potere di assumere varie forme (lupo, pipistrello, topi, nebbia), che era invulnerabile alle pallottole e che, per di più, indossava il mantello foderato di rosso senza essere ridicolo e, anzi, nessuna delle bellissime donne che pullulavano nei suoi film si negava l’ebbrezza di farsi succhiare il collo dal sexyssimo conte: insomma, era una specie di James Bond delle tenebre.
Adesso, invece, il vampiro ci viene proposto in tutte le salse, moltiplicato, pluralizzato, serializzato. Ci manca solo la Barbie vampira nel suo castello di Moplen con tanto di gothic-Jacuzzi e poi abbiamo visto tutto. Così il vampiro si inflaziona e perde il suo charme; diventa il vicino di casa un po’ scemo che invece di fare la spesa al supermercato ogni tanto si succhia qualche ragioniera di passaggio. Praticamente uno sfigato con dei disturbi alimentari. Per non parlare poi di quando smette anche di essere cattivo. Che dire di quei poveretti di Twilight che, siccome sono vampiri sì, ma con il senso di colpa, succhiano solo lepri, caprioli, cervi e altri mammiferi della fauna nordamericana? Ma siamo matti? Cos’è, una versione ematica del metadone? Il vampiro dev’essere cattivo, santo cielo! Va bene che siamo in tempi di relativismo e che abbiamo capito che l’unica certezza è che non ci sono certezze, ma se cominciamo anche a sindacare i miti è veramente la fine. Adesso che perfino l’Inter si è messa a vincere non ci sono proprio più certezze. Poi dice che i ragazzini crescono sbandati in mancanza di parametri di riferimento…
Per la verità, il fenomeno dei vampiri si inquadra in un più vasto interesse per la magia, l’occulto, l’extrasensoriale, il sovrumano che negli ultimi decenni sta dilagando in tutto l’Occidente. Harry Potter è la dimostrazione che con ingredienti simili, frullati in proporzioni diverse – per la verità con un notevole talento, va pur detto – si possono scrivere storie di enorme successo. Evidentemente la gente ha bisogno di spaventarsi, di eccitarsi, di provare la catarsi della liberazione. E tutte queste cose gli riescono più facili se avvengono in quella zona grigia tra sacro e profano che è il terreno dell’immaginario esoterico, o meglio, pseudo tale.
Senza entrare in una letale dissertazione sui limiti epistemologici dell’esoterismo, da non confondere con l’occultismo eccetera, per i quali conviene rivolgersi ad autorevoli testi che scavando nel ciarpame misterico delle librerie è ancora possibile reperire, mi pare chiaro che i vampiri di oggi sopperiscano a una mancanza. Vi ricordate quei fantastici racconti in cui sacro e magia erano elargiti a piene mani, tra una spuma al ginger, una partita a bigliardino e un Mottarello, negli oratori di una volta? Chi non si è emozionato con le avventure di Mosè, il mejo fico del bigoncio dell’Antico Testamento? Uno che, tanto per dirne qualcuna, parlava a tu per tu con Dio, trasformava i bastoni in serpenti, divideva le acque del Mar Rosso e faceva delle cose che nemmeno David Copperfield. Oggi in chiesa ci va sempre meno gente e le storie ai bambini le racconta più Disney Channel che la nonna. L’unico vero tabù rimasto a questa società è la morte che, non a caso, è stata accuratamente rimossa dai mass media, salvo nelle sue forme più ecumeniche, quelle delle disgrazie naturali e degli attentati che, però, per il fatto di essere collettive sono sempre qualcosa che riguarda gli altri. E che i vampiri siano i non-morti forse qualcosa vorrà dire. Del resto, si sa, il rimosso tende a ritornare.
Non per metterla giù troppo dura, ma consentitemi qualche citazione. Nel 2003 il Vaticano per voce dell’allora cardinal Ratzinger condannava il maghetto con gli occhiali come agente di uno strisciante complotto magico-diabolico (ultimamente pare che, invece, il Principe Mezzo Sangue gli sia piaciuto). Ben prima del prelato bavarese il discusso scrittore tradizionale René Guenon ne “Il regno della quantità e i segni dei tempi”, se la prendeva con la desacralizzazione della società moderna che, chiudendo la porta agli influssi spirituali provenienti dall’alto spalancava la finestra a quelli provenienti dal basso. E prima ancora il caro Sigmund Freud metteva in guardia Jung contro la nera marea dell’occultismo. Alla luce di ciò mi verrebbe da dire, un po’ alla buona, ne convengo, ma sono un ragazzo semplice, che il modo più rapido per rimettere i vampiri al loro posto e riavere delle librerie meno monotematiche sia di ricominciare a mandare i bambini all’oratorio. O, per i laici, adesso che sta tornando di moda il vinile, di ritirare fuori le Fiabe sonore dei Fratelli Fabbri, dove gli orchi erano orchi, i lupi, lupi e Biancaneve non aveva ancora scoperto le gangbang con i sette nani. “A mille ce n’è, nel mio mondo di fiabe da narrare… da narrarar…”
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© 2009 – FOGLIO QUOTIDIANO
di Andrea Ballarini
http://www.ilfoglio.it/vietraverse/3
Ritorno più tardi per inserire ulteriori contributi.
Intanto, ancora grazie a voi tutti per la partecipazione…
Molto bello l’articolo di Andrea. Che dire, abbiamo già detto tutto. Ci sono i pro e i contro la modaiola metamorfosi vampirica. Io sono essenzialmente contraria. Anche per me il vampiro è e deve restare cattivo. Un’icona del mondo orrorifico non può essere “deportata” e snaturata fino a questo punto.
belle le fiabe sonore, pure io ce le avevo. Solo che poi sempre qui sono finita.
A domani! 😉
Grazie, cara Simonetta. A domani!
Come ulteriore contributo inserisco la postfazione di Loredana Lipperini a “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli (Gargoyle).
Ringrazio Loredana Lipperini e la Gargoyle per averla messa a disposizione di “Letteratitudine” autorizzandomi a pubblicarla.
Per favorire la lettura suddividerò la suddetta postfazione in cinque parti.
BRUCIARE LE STOPPIE di Loredana Lipperini (parte I)
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Credo nei vampiri, dice de’ Rossignoli.
La chiave non è il vampiro. È la parola iniziale: credo. È l’atto di fede e di passione verso la storia che si racconta. La certezza della sua plausibilità nell’essere, per definizione, non plausibile. I vampiri non esistono, così come non esistono uomini che si mutano in lupi sotto la luna piena. I vampiri non esistono, così come non esistono porte che si spalancano per far tornare i morti tra i vivi. I vampiri non esistono, così come non esistono i mondi roteanti, folli, sbagliati su cui si affacciò Lovecraft. Eppure, se chi scrive crede, riesce a convincere chi legge a guardare nella stessa fessura e a scrutare le stesse tenebre, per quanto spaventoso possa – e debba – essere.
Credo.
È lo stesso verbo usato da Stephen King nella prefazione a “Incubi e deliri”.
Credo.
“Credo che una monetina possa far deragliare un treno merci. Credo che nelle fogne di New York ci siano alligatori, per non dire di topi grossi come pony Shetland. Credo che si possa strappar via l’ombra a una persona con un picchetto da tenda. Credo che esista davvero Babbo Natale e che tutti quei tizi vestiti di rosso che si vedono in giro per le strade a Natale siano i suoi aiutanti. Credo che intorno a noi ci sia un mondo invisibile. Credo che le palline da golf siano piene di gas velenoso e che, a tagliarne una in due respirando l’aria che ne viene fuori, si resti uccisi. Soprattutto, credo nei fantasmi, credo nei fantasmi, credo nei fantasmi”.
Credo.
Provate a domandare, oggi, se qualcuno crede nei vampiri. Si alzerebbero fin troppe mani: ma l’idea di vampiro che hanno in mente non è quella di de’ Rossignoli, o di King, e tanto meno di Stoker. Nella maggior parte dei casi si affannerebbero a spiegarvi che, sì, stanno pensando ad una creatura dannata, ma la cui bellezza è stata miracolosamente preservata nel tempo. Una creatura che non snuderebbe le zanne come i non-morti narrati non solo nei libri, ma in film o serial fedeli al mito, come “Buffy the Vampire Slayer”. Il vampiro che sognano sarebbe, invece, diverso dagli uomini e per questo solitario: ma in cerca di un amore che lo scaldi. Magari avrebbe anche qualche riconoscibile debolezza: le moto, o le automobili potenti, esattamente come i maschi umani. Magari indosserebbe persino un giubbotto di pelle. Come, prima di lui, hanno fatto gli eroi delle adolescenti: Fonzie di “Happy Days” e Step di “Tre metri sopra il cielo”. Come avviene, ecco il punto, in “Twilight”.
Credo, direbbero.
Credo che i vampiri non siano così diversi da un ragazzo disadattato, magari con genitori separati. Credo che il potere dell’amore (del mio, che sono una lettrice di quindici anni, o una madre mai cresciuta) possa annientare il Male. Credo che il Male, infine, sia qualcosa che viene sempre ricacciato indietro, e che scivolerà via dalla nostra bella vita perfetta: da quella che noi sogniamo come una vita perfetta, non è per questo che ci piacciono le ronde e che i diciottenni hanno votato Lega?
Queste, temo, sono le parole che si ascolterebbero oggi: perché – è inutile negarlo – la saga creata quasi per caso da Stephenie Meyer ha aperto una porta che non affaccia sul buio, ma sul tinello di una sposa americana degli anni Cinquanta. Il mondo è andato avanti, direbbe King: vale anche per il mondo dell’horror. Avanti, verso il lieto fine e la Bella che addolcisce la Bestia.
Credo.
Il problema, però, è che l’Italia è il paese dove, dopo l’America, la saga di “Twilight” ha avuto più successo.
Il problema è che l’horror italiano è assai lontano dall’aver conquistato le posizioni americane.
Il problema è che molti difensori italiani del genere sono responsabili diretti della sua deriva verso il romance.
BRUCIARE LE STOPPIE di Loredana Lipperini (parte II)
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All passion spent
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Che cosa significa davvero la parola horror? Una copertina con una macchia di sangue rosso vivo? Il soffio di un gatto nero? No, questa è paccottiglia. Allora, riproviamo: una storia con morti inspiegabili? Un visitatore che bussa alla porta? Una ragazza molto bionda con la gola squarciata da due canini appuntiti? Ancora una volta, no: o almeno non dovrebbe essere soltanto così. Occorre dare nuovamente la parola a King, che in una vecchia intervista dichiarava che il suo obiettivo non aveva nulla a che fare con lo splatter:
“uno dei miei compiti in quanto scrittore è quello di assalire le vostre emozioni e forse di aggredirvi – e per far questo uso tutti gli strumenti disponibili. Forse sarà per spaventarvi a morte, ma potrebbe anche essere per prendervi in modo più subdolo, per farvi sentire tristi. Riuscire a farvi sentire tristi è positivo. Riuscire a farvi ridere è positivo. Farvi urlare, ridere, piangere, non mi importa, ma coinvolgervi, farvi fare qualcosa di più che mettere il libro nello scaffale dicendo: “Ne ho finito un altro”, senza nessuna reazione. Questa è una cosa che odio. Voglio che sappiate che io c’ero”.
Ha ragione, come sempre. Cosa sarebbe la letteratura horror senza le emozioni, senza la passione, senza personaggi forti e storie che guardano al mondo che abbiamo intorno? Perché nessun rovescio è possibile se non si ha presente il punto di partenza, e King, e Lovecraft, e Poe lo sapevano benissimo. Stereotipi. Perché soltanto il talento di un narratore che vuole suscitare emozioni può rendere reale, e temibile, il volto pallido di un vampiro, o la carne marcia di uno zombie, o il ghigno di uno scheletro. Non avviene così spesso: molti autori italiani – e non pochi lettori dei medesimi – pensano che la via all’horror sia semplicemente quella di fornire bocconcini di sangue a chi li chiede.
Così, mentre altrove si galoppa – grazie a King, grazie a Clive Barker, grazie a Neil Gaiman – qui si resta ancora agli anni in cui il giovanissimo Stevie pubblicava “Ero un giovane profanatore di tombe” su una fanzine (1966). Oppure, se va molto bene, a quel 1988 in cui vide la luce il primo libro del ciclo del “Drive in” di Joe Lansdale. Vero: i grandi scrittori di genere sono passati, tutti, attraverso l’omaggio allo stereotipo ingenuo. Ma trasformandolo. In Italia, rischiamo di fermarci a quello. Con pochissime eccezioni, che si contano sulle dita di due mani, la narrativa italiana horror sembra preoccuparsi molto poco delle emozioni e moltissimo dei vecchi ingredienti: coperchio di tomba che si solleva nella notte, scricchiolio di porte, sangue. Tette, quanto basta.
Fate, prego, un giro per siti amatoriali, fanzine, gruppi di discussione dedicati all’horror. Troverete che, a fronte di una potenzialità notevolissima, la narrativa italiana di genere rischia di restare saldamente nelle mani di una nicchia. E quando il varco si apre a testi che usano almeno una parvenza di emozione, tingendo il nero di rosa, quella stessa nicchia si divide in due fazioni: alcuni si indignano, altri sostengono che in fondo “Twilight” è un horror.
C’è un vampiro, che diamine.
BRUCIARE LE STOPPIE di Loredana Lipperini (parte III)
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Children of the corn
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Dunque, ripartiamo da qui. La parola vampiro, nei tempi recenti, si associa a una fisionomia ben precisa: ha i capelli color bronzo, lo sguardo ardente e le buone maniere di Edward Cullen, principe più adatto al castello di Biancaneve che a quello di Dracula. La tetralogia di Twilight di cui è protagonista è da mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti, inonda forum e gruppi di discussione, dove spesso si contrappongono fanciulle che gridano al genio e appassionate difese della purezza dell’horror. Quale horror? In tema vampiresco, non si difende Polidori, non Stoker, non King, non Lindqvist. Ma Anne Rice e Laurell K. Hamilton, creatrice della saga di Anita Blake. Su entrambe ci sarebbe qualcosa da dire: più avanti, però.
Cullen beve solo sangue animale e rispetta gli umani: qualcosa di inedito, e di profondamente sbagliato, nella letteratura fantastica, dove i vampiri sono, sempre, sintomo di ribellione. Cullen incarna l’esatto contrario. Invece di essere portatore di una non morale, ne ripristina una. Invece di spezzare le norme comunitarie, se ne fa difensore: è integrato nella società umana, impone il matrimonio alla sua amata Bella, rimandando il contatto sessuale a dopo le nozze, non intende farne una sua simile mordendola. E, non casualmente, il sole, indispensabile agli umani e fatale per i non-morti, non lo uccide, ma lo fa brillare come un gioiello.
Dunque, la saga della Meyer si fonda non sull’emozione, ma su un’astuzia: laddove il vampiro è portatore di eros, qui l’eros si nega, si rimanda, si allude. E quando, dopo il matrimonio, viene infine consumato, viene nascosto dietro la – vieta – metafora di “annegare in acque profonde”. Il modello Cullen si estende a non pochi dei numerosissimi libri sui vampiri usciti in questi ultimi tempi. Newton Compton ha mandato in stampa due dei quattro volumi de “Il diario del vampiro” di Lisa J. Smith, autrice specializzata in romanzi per giovani adulti e vampiri innamorati. La casa editrice ReNoir pubblica un’accoppiata romanzo più serie manga che si chiama Vampire Kisses, di Ellen Schreiber, dove si narra la storia d’amore fra una goth-girl di nero vestita e il bel ritornante Sterling. Ovunque, ci si imbatte in modelli più o meno estremi di inserimento dei vampiri nella società degli uomini, con la perdita della loro parte aliena. Avviene in Marked di P.C. e Kristin Cast. Avviene in manga come “Vampire Knight” e nell’acclamatissimo serial televisivo “True Blood”, nato dai romanzi di Charlaine Harris: dove il sangue c’è, ma è sintetico.
In Italia la Harris è pubblicata da Delos: editore attivissimo in rete, che pubblica anche due fanzine di genere come “Horror Magazine” e “Fantasy Magazine”. Un’occhiata alla vetrina. Senza guardare i titoli. O gli autori. Ma soltanto le trame:
“Kate McAlliston, giovane studentessa, accetta di lavorare come stagista presso una prestigiosa rivista di moda, “Tasty”. Dopo le prime angherie e umiliazioni inferte dalle colleghe e dalla direttrice, Lillian, quando finalmente Kate sta conquistando un piccolo spazio per sé, all’improvviso si trova di fronte a una rivelazione terrificante: l’intero staff della rivista sarebbe composto da vampiri”.
Ancora:
“Vicki Nelson, in passato detective della sezione omicidi della Polizia di Toronto e ora investigatrice privata, è stata testimone del primo attacco sferrato da una oscura forza magica che ben presto scatena il suo regno del terrore. A mano a mano che i casi di morti inesplicabili si succedono, Vicky si trova coinvolta in un’indagine per individuare la fonte di questi attacchi e che la portano a conoscere Fitzroy, un individuo che possiede conoscenze relative a regni che esulano da quello mortale, acquisite nel corso dei secoli che ha trascorso impegnato a dominare il suo personale, insaziabile bisogno, l’avidità di sangue propria di un vampiro”.
Oppure:
“Tutto quello che Damali ha sempre desiderato è creare musica e suonare davanti a un pubblico. E ci è riuscita: è diventata una apprezzata artista di Spoken Word e la principale attrazione della Warriors of Light Records. Quando cala la notte, però, Damali si trasforma. E inizia la caccia a predatori che la maggioranza delle persone considera soltanto miti o leggende: i Vampiri… L. A. Banks ha creato un mondo immaginario magico e brillante, che dona una vita intensa alle nostre più profonde paure, e Damali Richards, la dura e sexy cacciatrice di vampiri, è un’eroina destinata a durare nel tempo”.
Poi, leggete questo:
“Briana Davenport è la modella di punta delle campagne pubblicitarie dei diamanti Blackstone ed è per questo che non può permettersi di essere sedotta da un Hammond. Ma Jarrod è così maledettamente sexy che Briana cede alla folle richiesta di diventare la sua amante per un mese intero. Sia chiaro, ogni prestazione ha un prezzo, quando c’è di mezzo un Hammond, e il suo, Briana, l’ha già messo bene in chiaro: un milione di dollari e il divieto di innamorarsi. I sentimenti però non si possono imbrigliare e la passione tra i due divampa dentro e fuori dal letto, finché una misteriosa collana rischia di allontanarli per sempre”.
I primi tre sono horror. L’ultimo è un “Harmony”. Serie “Destiny”. I vampiri non hanno nulla a che vedere con la storia. Ma le parole sono, quasi, le stesse.
Non è un caso. La Harlequin ha deciso di aprire una sezione “paranormal”, Harmony Bluenocturne, primo titolo “Sulle ali della notte”. Storie: demoni e vampiri, che si innamorano di umane. Bellissimi. Potenti. Soli. Ma pronti a “illuminarsi con la promessa di un amore eterno”. Slogan: “Ti piacerebbe conoscere il lato oscuro dell’amore?” Spiegazione:
“Romanzi dove le vicende di vampiri, demoni e creature fantastiche si intrecciano alla realtà, in un turbine di passioni travolgenti e amori eterni, ma sempre tormentati. D’altra parte, lo sapeva bene già Bram Stoker, quando, in “Dracula”, dipinse una delle più grandi storie d’amore di tutti i tempi (…) Insomma, ci troviamo di fronte a favole moderne, non meno credibili, alla fine, di tanti altri romance; lo conferma il fatto che spesso uno dei commenti espressi dalle amanti del paranormal è proprio l’alto tasso di immedesimazione nelle vicende narrate. Che dire? L’amore non ha confini, di questo eravamo certe.
Un esempio su tutti, il grande successo riscosso da Stephenie Meyer: con il suo romanzo “Twilight” ha venduto 11 milioni di copie, riscuotendo un clamore tale da approdare a Hollywood: proprio oggi esce in Italia il film tratto dal libro e, grazie al fascino degli attori protagonisti, la pellicola si è già trasformata in vero e proprio fenomeno di massa”.
BRUCIARE LE STOPPIE di Loredana Lipperini (parte IV)
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Colui che cammina tra i filari.
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Il grano è cresciuto troppo: e tra le spighe non si nasconde una creatura misteriosa, come ne “I figli del grano” di King, bensì una caricatura di vampiro. Neanche più un gentleman, ma il ragazzo della porta accanto che desidera solo una cosa: essere come noi.
Perché quel che predomina nel filone romance dell’horror è un sovrannaturale addomesticato, che si rende identico al naturale. Mentre la dimensione altra del mondo dovrebbe, per citare di nuovo Stephen King, colare a poco a poco nella nostra realtà come liquido dal fondo di un sacchetto di carta. Contaminandola. Questa, per King, è la paura. Che è anche la parola chiave del nostro tempo: e forse è proprio l’accresciuto timore verso quel che ci è estraneo a spingere gli scrittori ad ammorbidire la figura mitica più spaventosa dell’immaginario. I vampiri sono morti che tornano. Sono, dunque, incarnazione di una tremenda anomalia sociale. Peggio: la estendono attraverso il contagio, rendendoci contemporaneamente vittime e colpevoli, come raccontò in modo esemplare Abel Ferrara in un film di oltre dieci anni fa, “The Addiction”, dove il vampirismo si diffonde rabbiosamente col morso di una studentessa (una versione più morbida dello stessa tema è in un altro romanzo, “Vampirus” di Scott Westerfeld: una versione di ben altro spessore è quella di Gianfranco Manfredi, in “Ho freddo”).
Di contagio (il male subito porta a commetterne altro) parla anche il semiologo Renato Giovannoli nel saggio “Il caso Manzoni-Dracula e altri casi di vampirismo letterario”. E ne parla John Ajvide Kindqvist, autore di uno dei romanzi più belli sul vampirismo usciti di recente, “Lasciami entrare”. Eli, il vampiro bambino, diffonde il male, anche se suo malgrado. Contagia il suo ex-protettore umano, un pedofilo ossessionato dal desiderio di possederla, al punto di non trovare requie neanche dopo la non-morte. Contagia Virginia, una donna alcolista, che respinge il suo nuovo status e cerca volontariamente la fine esponendosi alla luce (il sole, qui, consuma la pelle dei vampiri come acido). Non contagia Oskar: non fisicamente, almeno, anche se una delle pagine più belle del romanzo è dedicata al timore del bambino di essere diventato un vampiro (o di essere un omosessuale, quando scopre che Eli non è esattamente una femmina). L’influenza di Eli è semmai mentale: perché dopo averla incontrata Oskar troverà il coraggio di reagire, anche con la violenza, ai suoi aguzzini.
Negli indifferenti anni Ottanta in cui è ambientata la storia di Lindqvist, esseri umani picchiano, sniffano, bevono, insidiano bambini. Eppure, è Eli la loro paura. Perché non appartiene all’umanità, non ha un sesso, non ha dimora. Poco conta che sia capace di provare tenerezza davanti a un giocattolo e di lasciare messaggi d’amore a Oskar usando i dialoghi di “Romeo e Giulietta”. Infatti, non sarà lei a integrarsi: sarà Oskar a trasgredire ogni possibile norma pur di restarle vicino, allontanandosi per sempre dalla comunità. I docili vampiri di Stephenie Meyer, al contrario, cercano con ogni mezzo di adeguarsi al mondo umano: facendo propri gli aspetti superflui del medesimo, come le automobili lussuose e le carte di credito da donare alla fidanzata.
Ma l’horror, dice Lindqvist, non deve rassicurare, bensì mostrare “le cose in agguato degli angoli bui. Del mondo. Della mente”. Questo non accade più. Cosa è successo per trasformare il vampiro in figurina, o in sex symbol, come l’assai celebrato Jean Claude creato da Laurell Hamilton?
C’è stato un inganno. C’è stata, appunto, una deriva.
BRUCIARE LE STOPPIE di Loredana Lipperini (parte V)
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In qualunque punto ci aprano, siamo rossi
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Però c’è altro. Le onde arrivano, travolgono e poi si ritirano. Accadrà anche in questo caso. Ma cosa lascerà l’onda sulla nostra spiaggia? Non mostri, ma granchiolini che scambiano le proprie chele per quelle dell’aragosta gigante creata da King. Manca, in Italia, la consapevolezza della potenza letteraria dell’horror. Quella che potrebbe avere, e quella che ha avuto. È esistito, nel Novecento, un gotico italiano che sembra essere passato senza lasciare traccia: quello di Tommaso Landolfi, di Dino Buzzati, dello stesso Italo Calvino. L’horror italiano, oggi, è – salvo la decina di eccezioni di cui si parlava – quello di un piccolo gruppo che si trincera dietro l’incomprensione altrui, e che vivacchia senza guardarsi attorno.
In un’intervista di pochi mesi fa, Valerio Evangelisti mi ha detto:
“Abituati al ghetto, esistono scrittori che lo scambiano per il mondo intero. Finiscono per adattarvisi e per ritenere ostile, in nome del loro comfort, tutto l’universo ‘esterno’, che li ignora. Li comprendo, li stimo, ma ho fatto una scelta diversa dalla loro. A me interessa una narrativa che si scontra-incontra con grandi temi storici e sociali, che si confronta con il presente (anche se mascherato da passato o da futuro). Io non ho una formazione letteraria, ho studiato e per un po’ insegnato scienze politiche, storia, sociologia, economia. La grande fantascienza che lessi daragazzo era piena di suggestioni di quel tipo. Si parlava del futuro per riferirsi all’oggi. Chi si chiude nei recinti dell’horror, della science fiction, del giallo ecc. rischia di creare da solo il proprio campo di concentramento”.
Per esempio: diverso tempo orsono uscì un’antologia curata da Raul Montanari. Si chiamava “Incubi – Nuovo horror italiano”. La stroncatura che venne dai fan non era tanto sul contenuto. Ma sui nomi. Molti autori venivano da altri generi (Gianni Biondillo o Marcello Fois, per citarne due). Vennero definiti “immigrati clandestini”.
Eppure il rinnovamento del giallo e del noir italiano avvenne proprio grazie ai clandestini. Ancora Evangelisti lo ricorda:
“Il giallo-noir di Macchiavelli, Lucarelli, Carlotto, De Cataldo, Camilleri, Fois e altri, è stato il primo a sfondare le barriere. Parlava di società italiana proiettandole contro una luce fredda, mentre i bestseller correnti mettevano in scena drammi individuali magari interessanti, però avulsi dal contesto socio-economico, ed evitavano di prendere posizione. Qualche volta si limitavano a esercizi linguistici… Insomma, il ‘genere’ regge solo se è sorretto a sua volta da un progetto e da una filosofia. Altrimenti si riduce a trame stente e marionette spacciate per personaggi”.
Quei nomi arrivavano in un panorama che si aggrappava ai propri recinti, difendendone la presunta purezza: e lo rinnovarono. L’horror, evidentemente, è più resistente. Negli ultimi sei mesi scrittori che non frequentavano il genere fantastico hanno pubblicato libri che possono a pieno titolo essere definiti horror. Girolamo De Michele ha scritto una ghost story, “Con la faccia di cera”. Fred Vargas ha pubblicato “Un luogo incerto”, una storia di vampiri. Jacques Chessex, scrittore svizzero vincitore del premio Goncourt 1973, ha scritto “Il vampiro di Ropraz”. Giuseppe Genna, con lo pseudonimo di Lidia Colleoni, ha scritto “L’assedio del male”, horror ambientato a San Giovanni Rotondo, con Padre Pio in campo. Sono tentativi, esplorazioni, desiderio di riportare al reale l’irreale. Nessuno di questi romanzi viene citato nelle webzine di settore: Horror magazine (che invece dedica ampio spazio alla Meyer), Horror.it, il Cancello, Scheletri.
Il punto è qui. A fronte del disinteresse dei media tradizionali per la letteratura di genere, la rete dovrebbe essere il luogo dell’approfondimento e dell’ampio respiro: lo è nei singoli blog, o su aNobii. Nelle webzine (eccezion fatta per Carmilla) manca la consapevolezza di cosa sia stata e sia la grande letteratura gotica italiana ed europea: l’horror è caricatura, b-movie, schizzi di sangue. Roba da nerd malintesi e, va da sé, incompresi.
Invece, bisogna credere.
Credo, ancora una volta.
Credo nei fantasmi, credo nei vampiri: ma è il mio mondo quello che si rispecchia, capovolto, nei loro occhi. Per questo va raccontato: rovesciandolo e fingendo che sia altrove.
Credo che l’horror non sia una scorciatoia per la letteratura: ma che ne sia una delle forme più alte.
Credo che nella narrativa fantastica dormano possibilità ancora non colte. Che possano e debbano esserci, al suo interno, quelli che Wu Ming indicava come tratti comuni ai testi New Italian Epic: che valgono anche e forse soprattutto per l’horror: “assunzione di responsabilità, visione del futuro, comunicazione con altri mondi e messaggio alla comunità”.
Credo nel fuoco.
Credo che il fuoco sia necessario, oggi, affinché le stoppie brucino, e la consapevolezza cresca insieme alla passione.
Credo che sia necessario discuterne, ora, subito. Per ripartire.
Credo.
Credo nei vampiri, e credo che a volte ritornino. Anche quando tutto sembra finito.
Ringrazio ancora una volta Loredana, per la postfazione… e tutti voi per essere qui.
Considerato che di nuova “roba da leggere” ce n’è abbastanza, io vi saluto e – come sempre – vi auguro una serena notte.
Salve a tutti, rispondo al post inserito dal professore Maugeri.
Per quanto riguarda il mio romanzo: “Io,vampira”, è stato pubblicato dalla libreria editrice Urso e si narra di una vampira particolare, Maya, che non è attratta dal sangue e si sente diversa. Diversa dalla sua specie e diversa dagli uomini. Presto si renderà conto che la famiglia che l’ha messa al mondo vuole fare di lei un essere mostruso, una macchina che trasformi tutti gli uomini in vampiri, e si ribellerà.
La salvezza del mondo dipenderà da lei e sarà combattuta. Maya non sa chi o cosa sia veramente ma sa che tutto ciò che deve fare è non cedere al sangue, alla tentazione…
Inserisco qui di seguito il brano iniziale tratto dal mio romanzo…
IO, VAMPIRA
3 GENNAIO 2009
L’odore nauseante di chiuso mi riempì i polmoni infastidendomi notevolmente, sentivo la polvere solleticarmi la gola ma tossire fu peggio perché subito dopo ne inalai ancora di più.
Il mio respiro cominciava a diventare sempre più regolare e non mi accorsi di essere stata in preda all’agitazione fino a poco tempo prima.
Tutto appariva buio intorno a me, forse stavo per svegliarmi ed ero ancora in quella fase di incoscienza tra il sonno e la veglia. Nel frattempo, come se tutte le mie articolazioni si fossero a lungo congelate, sentii il bisogno di muovermi, e senza pensarci alzai d’istinto il braccio che mi parve pesante. Confusa cercai di grattarmi la testa, volevo sentire le dita a contatto con la mia pelle, ma anche queste sembravano non reagire.
Un impulso improvviso mi percorse il braccio, ancora sollevato a mezz’aria, e di scatto, sobbalzando insieme a tutto il resto del corpo, lo sbattei contro qualcosa di duro e freddo, sopra di me. Borbottai ricacciandolo di nuovo lungo il fianco, quasi arresa da un tentativo che avevo ripetuto già varie volte. Infine sospirai, avvolta da un buio che non riuscivo a comprendere.
Forse stavo sognando: era questa l’unica spiegazione razionale che potevo darmi.
Ebbi l’impressione di essere distesa su di una lastra solida e gelida, tra polvere e terra e pensavo che delle catene mi legavano al suolo limitando i miei movimenti.
Strani pensieri mi rendevano sempre più cosciente di essere sveglia e l’incapacità di muovermi cominciava ad innervosirmi, non riuscivo più a tollerare lo stato in cui mi trovavo e il bisogno di alzarmi era sempre più forte.
Lo desideravo, ardentemente.
Ci riprovai. Un brivido freddo mi percorse lungo la schiena tanto da farmi deglutire e mi accorsi che la bocca era arsa, la gola completamente asciutta e la lingua come la pietra in cui giacevo.
Sfiorai le labbra, erano secche, fredde, asciutte, desiderose di bere.
Volevo qualcosa di caldo.
Dissetarmi. Era questo che desideravo più di ogni altra cosa.
Borbottare mi fu naturale, un gemito soffocato, e ascoltarmi mi fece capire di essere sola.
Singhiozzai, ma senza piangere, non avevo lacrime da gettare, e mi sentivo piccola e indifesa.
Forse stavo davvero sognando. Nessuno poteva aiutarmi.
Dovevo solo svegliarmi.
E adesso desideravo svegliarmi.
Solamente io potevo aiutarmi, e dovevo aiutare me stessa.
Gettai la testa da un lato e il collo scricchiolò.
Rimasi così non so per quanto tempo.
C’era freddo, lo sentivo fin dentro le ossa e tutto sembrava reale, e poi, all’improvviso, delle voci infransero quella cortina di ghiaccio che mi avvolgeva.
Restai impietrita, e spalancai gli occhi.
Sogno o realtà ?
Sbattendo le palpebre più volte cacciai ogni mia incertezza.
Non ero ancora cosciente di dove fossi, né tanto meno come ci fossi arrivata: tutto era buio.
Tutto era vero.
Reale.
Mi resi conto di essere sveglia e il buio che mi circondava mi fece entrare nel panico.
Un luogo strano ed insolito.
Paura.
E mentre le voci, sempre più forti, si avvicinavano a me, iniziai a lamentarmi.
Volevo urlare, chiedere aiuto ma non feci né l’una né l’altra cosa.
Solo una lunga serie di lamenti e poi, quando le voci divennero un ronzio incomprensibile, mi azzittii, per paura di essere rimasta nuovamente sola.
Un tonfo. Dei passi sempre più pesanti e poi, il vento.
Misi da parte il panico, non mi avrebbe fatto capire ed io continuavo a non capire.
Luce.
Infastidita da un lungo bruciore chiusi gli occhi per un istante e udii altre voci, poi, tornò nuovamente il silenzio. Improvviso.
Anche il mio cuore aveva smesso di battere e il mio respiro era fermo, irregolare.
Un rumore, solo un’altra voce ed io avrei urlato, chiesto aiuto e anche implorato, se necessario, per ritornare ad essere libera.
Striscio.
Fremito.
Qualcosa di vivo mi sfiorò la gamba.
Sobbalzai ancora, la sensazione era piacevole.
Era caldo. Come desideravo.
Si spostava velocemente accanto a me, lo sentivo zampettare e volevo sentire ancora il suo contatto.
Lo cercai con lo sguardo, i miei occhi immersi in un buio terrificante.
Non c’era, io non riuscivo a vederlo eppure lo sentivo, era accanto al mio braccio e il calore che emanava mi turbava profondamente.
Lunghi baffi iniziarono a vibrare solleticandomi il dorso della mano, l’essere si stava orientando, e nel buio ci riusciva ancora meglio di me.
Provai un rancore improvviso e muovendo la mano lo sfiorai.
Scattò, spaventato, ma la mia mano voleva soltanto il suo calore e con forza brutale lo afferrai impedendogli di fuggire.
Gli stavo rubando la vita.
Le dita fredde si strinsero contro il suo debole corpo, erano pietra contro tenera carne.
Nel mordermi, per difendersi, gli si spezzarono i lunghi incisivi e il palmo della mia mano, assassina, continuava a chiudersi in una presa mortale. Non sentivo dolore ma percepivo il suo e il versetto stridulo che emise mi rese ancora più aggressiva.
Non mi rendevo più conto di ciò che stavo facendo, mi interessava il suo calore, volevo il suo contatto e poi, ero diventata crudele.
La presa divenne sempre più soffocante, spietata.
Invidiavo la sua vita e per questo lo stavo annientando.
Il misero corpo del ratto si sciolse tra le mie mani ancora chiuse in una trappola fredda ed il suo sangue cominciò ad arrossarmi le unghie, i polpastrelli e le dita di pietra.
Era caldo. Il sangue del miserabile era molto caldo.
Mi sentii infuocare, tutto il mio corpo era come avvolto da fiamme invisibili, bruciavo dentro e per un lungo attimo provai di nuovo piacere, poi le narici si spalancarono improvvisamente e mischiato all’odore dell’umida terra, sentii il sangue. Era come assaggiarne il sapore e il disgusto che provai fu immenso. Volevo scappare, contava solo questo e la reazione che ebbi fu spaventosa.
Niente piacere, nessun desiderio.
Adesso dovevo fuggire.
Non potevo più controllarmi, mi dimenavo e picchiavo forte contro le pareti freddi e pesanti che mi circondavano. Sentivo le ossa spezzarsi ma non provando alcun dolore non mi fermai.
Picchiavo con tutto il mio corpo. Mi lanciavo contro il muro.
Ogni parte di me si era improvvisamente svegliata, io volevo uscire da quell’insolito posto in cui mi trovavo e tutte le mie articolazioni collaboravano con me, per questo.
Il luogo che mi imprigionava era stretto, non c’erano vie di uscita ma io ero viva e da qualche parte doveva pur entrare l’aria che respiravo.
– Ah…-
L’odore disgustoso del sangue era diventato molto forte, mi sentivo di nuovo febbricitante e arricciando il naso portai i pugni verso le pareti per picchiare ancora.
L’aria era sangue.
Un altro pugno contro la parete, qualcosa di caldo cadde sul mio volto.
Sangue, l’odore era inconfondibile.
Disgustata e stringendo anche gli occhi mi accorsi che in una mano stringevo ancora il cadavere liquefatto del roditore.
Feci una smorfia. Mi gettai contro la parete e ricaddi in posizione supina.
Basta.
Mi arresi. E nel silenzio mi riaddormentai.
Scusami Massimo, ma non conosco niente dei libri che hai citato. Chiedo scusa anche agli intenditori.
Mi ricordo soltanto la scena di un famoso film intitolato Dr Jack e Mr Hide dove illustre dottore al plenilunio si trasformava in lupo, gli crescevano rapidamente arquate unghia lunghe, peli folti e ispidi sul dorso delle mani e sulle braccia, il volto assumeva le sembianze di una scimmia, in quell’antro, dimenandosi, lo scenziato alchimista era sopraffatto dalla bestia. Tutt’oggi la trovo una metafora della vita sulla quale riflettere.
Sono altresì daccordo con quanto ha scritto Andrea Ballarini (articolo acuto e divertente) e ne condivido lo stesso stupore di fronte al successo di “certi libri” – che a questo punto non riguardano solo fasce adolescenziali- un termometro, questo, che segnala una società con bisogni di ritorno al gotico,processi antievolutivi…trovo più interessante,invece ,osservare il comportamento di colui che appare un componente “qualunque” della società, il singolo che compone la collettività, per esempio il tizio che s’incontra quotidianamente sulla metro, l’insegnante di pesistica, il professore alla university, il borsista, lo scentista, quel popò di professionista ben vestito, profumato, lacchè,
ma che quando c’è la luna piena tira fuori lo scimmione senza ragione e sentimento, il bruto soddisfa comunque Darwin il quale, avendo paragonato l’essere umano agli animali, non ha comunque mai provato le vere origini del suo falso spiritualismo…
Ciao
Rossella
Chiedo scusa se non sono più presente. Ho un’emergenza casalinga. Se il forum si protrae sino a domani, interverrò di sicuro. L’articolo della Lipperini già a suo tempo ha provocato diversi malumori e fervide discussioni tra addetti ai lavori e non… Appena posso, dico la mia o le mie. Abbiate pazienza… Comunque grande forum.
Carissimi,
vi avevo annunciato un ultimo intervento prima di uscire di scena (momentaneamente) e lasciarvi concludere questo dibattito che – mi pare –
ha superato ogni aspettativa più rosea… Complimenti a Massimo.
Generalmente evito di parlare male di qualcuno o qualcosa, soprattutto quando si tratta di concorrenza, ma stavolta sento davvero la necessità di togliermi dalla scarpa quello che è molto più di un sassolino…
Mi riferisco al libro di vampiri più brutto mai scritto, UNDEAD-GLI IMMORTALI di Dacre Stoker e Ian Holt, edito da PIEMME (quindi MONDADORI) al modico prezzo di Euro 20 per 407 pagine di carta riciclata che, con una “gabbia” più contenuta, avrebbero potuto tranquillamente essere ridotte a 350 (Massimo, un altro spunto per un prossimo forum: il prezzo vergognoso che vanno assumendo le nuove uscite dei grandi editori – Dan Brown e King a 24 o addirittura 24,50 euro, mentre Gargoyle viene accusata di essere cara pur sbattendosi la testa per mantenere contenuti i prezzi al pubblico…)
Dunque: il pronipote (o preteso tale) di Bram Stoker decide di mettere mano a un’operazione editoriale che riguarda il principale asset di famiglia ( e fin qui niente di male) e decide di scrivere un sequel di Dracula. Essendo, ovviamente, a digiuno di scrittura, si rivolge per assistenza sul campo a un co-autore la cui qualificazione – cito dalla terza di copertina – consiste nelle seguenti credenziali: È appassionato di Dracula fin da giovane, tanto che ha visitato la Transilvania e ha anche passato una notte tra le rovine del castello di Dracula nella città di Poenari…
Nessuno, in una tale prospettiva, si attende di trovarsi di fronte a un capolavoro; ma qui ci troviamo al cospetto di un vero e proprio oltraggio!
Prendiamo i personaggi che compongono la squadra di eroi sopravvissuta alla caccia al vampiro: Jack Steward è diventato un drogato, Mina una derelitta combattuta tra pulsioni sessuali (è stato Dracula a sverginarla e ingravidarla, non il marito, impotente), Jonathan si dedica con puntualità alla mission di cornuto e fallito, Arthur Holmwood/Lord Godalming si macera nel ricordo colpevole di Lucy e della sua cruenta eliminazione, Van Helsing è ridotto a un rudere cardiopatico che finirà vampirizzato dal primo stronzo che si trova davanti. Poi c’è il figlio di Mina, Quincey (in memoria dell’americano morto, l’unico che – in quanto tale – si salva…): un paino azzimato che coltiva velleità di attore e che si sceglie come modello tale Basarab, la cui vera identità, dopo tre righe, diventa palese anche al più sprovveduto fra i lettori.
Ma non è finita qui: il personaggio sullo sfondo del romanzo, il vero villain, è la Contessa Bathory, nemica dichiarata di Dracula e – udite udite – l’effettiva colpevole dei delitti attribuiti a Jack lo Squartatore… Aggiungeteci un paio di poliziotti alla Ispettore Clouseau, Bram Stoker in persona, l’incendio del Lyceum, le trasvolate tra Francia e Inghilterra a volo di pipistrello, il Titanic (!), e un finale aperto che lascia la strada a un possibile quanto deprecabile sequel del sequel.
Per comporre questo sciagurato minestrone, gli autori non si limitano a scardinare in maniera vergognosa le caratteristiche con cui avevamo imparato ad amare i protagonisti di Dracula, ma arrivano addirittura a retrodatare di cinque anni l’azione del romanzo di Stoker per rendere non dico plausibile, ma cronologicarmente compatibile il ridicolo castello di carte messo in piedi.
Aggiungeteci, come tocco finale, alcuni personaggi secondari che, come originale citazione che testimonia la grande cultura horror degli autori, si chiamano Lee, Price, Joudan, Langella, etc.
Per spiegare il tutto, vengono aggiunti a titolo di postfazione:
– un intervento della Prof. Elizabeth Miller, massima autorità su Dracula, (pagata presumibilmente pesanti quattrini per convincerla a scendere in campo), la quale, in ogni caso, si guarda bene dall’esprimere una qualsiasi valutazione sul romanzo, limitandosi a rilevarne aggiustamenti e incongruità cronologiche;
– una nota degli autori, dove vengono spiegate le sofisticate citazioni di cui ho detto sopra;
– dei ringraziamenti finali, che avrebbero dovuto essere invece delle “scuse finali” a tutto e a tutti.
L’operazione, naturalmente, recando il nome Stoker ed essendo gestita da un grande agente americano (Danny Baror), ha avuto diffusione mondiale…
Mi chiedo se qualcuno a casa Mondadori abbia letto il romanzo prima di accettare di pubblicarlo. Altra domanda: perché non è apparsa una sola stroncatura da parte della critica? A voi la risposta.
Chiedo scusa per lo “sbrodolamento”, ma quello per Dracula è un amore che non tollera insulti di questo tipo… Se vi avanzano venti euro, fatevi voi stessi un’idea.
Un caro saluto a tutti e grazie per le espressioni di apprezzamento che, quasi all’unanimità, avete rivolto a Gargoyle. A presto per altri temi.
Finalmente abbiamo toccato un tema vampirico urticante. L’attuale epidemia buonista, nella quale inserirei anche i romanzi della Hamilton della serie Anita Blake. I vampiri in sostanza (per altri autori anche gli zombi) diventano attori della lotta per i diritti civili e si normalizzano. Perchè la lotta sopravviva, ovviamente, ci crea una razza di irriducibili dalla cattiveria addirittura insensata, contro la quale si battono sia gli umani che i vampiri. In questo modo si crea una razza intermedia, dove i buoni sono i collaborazionisti. E’ una visione simile a quella che scaturisce dagli attuali assetti coloniali: le nazioni neo-imperialiste si creano delle borghesie nazionali servili. I buoni sono servi, i cattivi sono talmente cattivi per cui non si può nemmeno ammettere l’idea di una qualche forma di trattativa. Sono alla lettera demonizzati, infatti caratteristica dei vampiri neo-cattivi è che sono sempre impegnati in riti demoniaci, organizzazioni segrete e pratiche terroriste: non attaccano la singola persona, ma l’umanità intera. A mio avviso la critica a questa impostazione deve toccarne il cuore politico, non il semplice slittamento simbolico, altrimenti non si capisce che genere di mentalità rappresenti e quale operazione ideologica la sottenda.
Da questo a sostenere il vampiro superuomo, però ce ne corre. Stiamo attenti, perchè il vampiro, ripeto, è un ossimoro. Cioè la sua potenza coesiste con un’infinità fragilità e debolezza. Basta un raggio di sole a dissolvere Nosferatu. Cioè forza e fragilità coesistono nello stesso essere, ai loro estremi. Dracula è anche uno sfigato, fin dal principio. Ma non ci avete fatto caso che pur possedendo ricchezze abbastanza da potersi pagare una residenza in Inghilterra il nostro conte vive in una dimora mal ridotta e deve persino guidarsi la carrozza da solo perchè non ha uno straccio di servitore? Se teniamo presente solo i caratteri di forza, potere e cattiveria e non consideriamo il lato triste, miserabile e affliggente della sua condizione di non morto , non contrastiamo affatto la tendenza buonista, portiamo acqua e sangue a questa nuova riscrittura del mito che prevede appunto, la separazione dei due estremi: vampiri buoni , arrendevoli e amici degli umani, contro vampiri dai superpoteri malvagi.
Il Dracula di Colan, da un lato potenziava gli aspetti da superpotere e dava rilievo alla cattiveria anche da un semplice tratto grafico: i baffi, che nel fumetto americano, a parte il caso isolato di Mandrake, sono sempre un segno di cattiveria. Il cattivo ha i baffi. D’altro lato però Dracula restava errabondo, impigliato in vissuti molto complessi, e alle prese con un Van Helsing che per quanto su sedia a rotelle era molto più cattivo e antipatico di lui. In seguito si sono aggiunti cacciatori di vampiri come Blade, e filiazioni come Vampirella che qualche risvolto buonista ( e anche un evidente risvolto bonista) ce l’aveva.
Sul carattere ideologico della figura di Dracula. Non dovrebbe nemmeno sfuggire il risvolto ideologico della creatura di Bram Stoker. Semplificando, la storia del romanzo può anche essere letta così: in Inghilterra, delle giovani donne restano vittime di una strana malattia consuntiva, che ha risvolti deliranti (per sottolineare i quali, le suddette vivono in un manicomio, anche se non sono pazze). Nei vicoli di , Londra, una di loro, compare come White Lady( cioè in abito da infermiera, come Stoker sottolinea esplicitamente) e fa strage (cioè: Jack Lo squartatore era una donna). Questo è un primo elemento misogino ( e radicato nell’omosessualità misogina inglese che è cosa molto caratteristica e si ritrova anche nel libro di Raven “Il morso sul collo” pubblicato da Gargoyle, ma ha un’origine in Dracula. Stoker era gay, per quanto sposato. E Dracula allontana le sue vampire da Harker, perchè Harker lo vuole lui, è il suo boccone prelibato). La colpa della diffusione della malattia consuntiva però non sta in Inghilterra, ma origina da un principe rumeno ! Se l’Inghilterra si ammala, la colpa è di un immigrato che dev’essere rimandato a casa sua e colà ucciso da un’armata transazionale in cui è incluso un americano dotato di armi più moderne di quelle di Van Helsing (un fucile a ripetizione). Van Helins dal canto suo, per un lungo tratto scompare dalla storia, perchè va a Roma a prendere acqua benedetta direttamente dal papa! Ora: avete idea cosa rappresentasse per l’inghilterra non papista da secoli, questo omaggio al primato di Pietro operato da Bram Stoker? Uno scandalo, un esplicito invito alla Chiesa d’Inghilterra a sanare la rottura con Roma ( e alla Britannia a guarire la piaga dell’Irlanda) . Insieme, si proclama l’unità tra guerra combattuta militarmente e guerra religiosa.
Perchè questi tratti di Dracula non sono stati affatto evidenti, per quanto marcati, ai lettori? Perché ci sono nel vampiro connotati simbolici ancestrali che vanno molto al di là delle loro versioni ideologiche e di comodo nelle varie epoche. La forza vera di Dracula è simbolica. E’ la forza del non-morto. Ogni epoca applica i suoi esorcismi e la sua interpretazione ideologica, ma questi mezzucci sono davvero irrilevanti, secondari, e patetici rispetto al fatto che il vampiro è un morto che ritorno, è la testimonianza che tra essere vivi ed essere morti c’è la possibilità di una condizione intermedia, è il non detto che permane anche nell’uomo moderno, civile e razionale di fronte alla morte di una persona cara. Al funerale si recita: Riposa in pace, perchè si nutre il sospetto che ove non debitamente onorato, il morto in pace non dorma affatto e possa tornare a perseguitarci . Quando una persona cara muore, chi resta in vita sovente si sente in colpa, come se di quella Morte forse oscuramente responsabile, per mancanza d’amore, di cure, di devozione. E’ il dramma di Roderick Usher si fronte a sua sorella. Di fronte alla potenza simbolica della Morte, tutte le ritrascrizioni politiche diventano insignificanti. Al momento della Morta nostra o dei nostri cari, della politica non ce ne frega assolutamente niente.
chiedo di nuovo perdono per i refusi, in questo genere di comunicazione è facile scrivere pensando…
Buongiorno! Sto cercando, a spizzichi e a bocconi, di leggere i lunghi post della mattinata. Intanto, la questione pratica mi colpisce sempre prima di quella filosofica, che volete fa’, so’ camionista…
@ Paolo: Piemme pubblica Stoker perché il nome arriva prima del contenuto. Che poi il lettore bestemmi sui 20 euro buttati è relativo, tanto quel libro (e probabilmente l’autore) non avrà un seguito e intanto il prodotto è venduto, e pure bene suppongo. Io non l’ho letto, confesso di essere stata guidata da una sorta di scetticismo che mi ha fatto deviare verso altri autori. Italiani, santoddio.
La mancata stroncatura: non so, forse perchè guardo con una certa diffidenza i critici letterari (quel loro modo di “smontare” alcuni libri, di analizzarli, vivisezionarli, non mi convince granché) dico che non è “comodo” mettersi contro una chiara (e spudorata) operazione commerciale gestita da un colosso dell’editoria, magari suo stesso datore di lavoro?
Sul discorso della Lipperini, che saluto, ci sarebbero da fare diversi step. Su alcuni concetti sono d’accordo, su altri meno.
La stroncatura dell’antologia Raul Montanari “Incubi – Nuovo horror italiano” da parte dei fan del genere è logica, capperi, se la intitoli in quel modo e poi lasci fuori nomi come Arona o la Teodorani o Baldini o lo stesso Manfredi, Evangelisti… Scrittori tipo Biondillo o Fois o (?) Nove… definirli “immigrati clandestini” è pure poco. Che cacchio c’entrano costoro con l’horror? Ma Nuovo horror italiano cosa?? Questi sono esperimenti letterari, autori prestati a generi “tanto per provare”, come se l’horror fosse la cazzata del secolom tutti possono scrivere horror, che ce vo’…
Scusate il turpiloquio, mi sono infervorata…
Chi siamo noi, allora? Noi che ci facciamo il culo per scrivere comunque un romanzo “di genere” pur sapendo che non avrà la stessa eco dell’ultimo noir col commissario Sticazzi di turno; noi che ci battiamo per tenere su la testa e non affogare tra la melma che ci circonda (perché di gente che pensa che scrivere horror sia facile ce n’è eccome…), noi che non siamo di certo i responsabili diretti della deriva dell’horror verso il romance.
Noi che CREDIAMO, quando scriviamo. Crediamo sempre.
Chi siamo noi, allora?
La parte iniziale del libro “Io vampira” in cui vi è la scena disgustosa dell’essere caldo di cui la protagonista si nutre, in un certo senso, è la parte più orribile.. secondo il mio parere.. dell’intero libro..
Chi siamo noi, allora?
Mi pare il titolo perfetto per un romanzo… 😉
–
Dài, Simonetta… discutiamo con serenità…
🙂
Ringrazio tutti per i nuovi contributi.
Tornerò a intervenire più tardi…
Vai tranquillo, caro Massimo, il fervore è il sentimento positivo di chi crede (appunto), da non confondere con la rabbia… Io sono serenissima, però sollevo la questione e aspetto il parere degli altri. Se diciamo sempre tutto ok, tutto bello, tutti d’accordo, non c’è più confronto, il dibattito muore.
O no? 😉
Aggiungo un piccolo comma a quanto scritto, riguardo alla Bathory. Perchè Stoker va a scegliersi Vlad, che era un eroe nazionale tipo Garibaldi, invece della Bathory? Perchè aveva proprio bisogno di un eroe nazionale. All’Impero Britannico, doveva contrapporsi un altro Impero, decaduto, primitivo, ma ancora letale. Danilo, se ci sei batto un colpo. Sei stato tu a provocare con le Torri Gemelle. E dunque: possibile che non ci dica nulla la teoria di Bush dell’Impero del male? Vi siete resi conto di cosa sarebbe accaduto se Giovanni Paolo II non l’avesse fermamente respinta? Una devastante guerra mondiale. Da Stoker in avanti, il potere della picca per essere risolutivo, ha bisogno di venire affiancato dal potere dell’acqua santa. La nuova narrativa vampirica che sembra apparentemente così giocosa, adolescenziale ed evasiva, in realtà adatta al nostro tempo una serie di superstizioni ideologiche davvero fetenti. Tornare al vero vampiro, significa ripulirsi nell’acqua non-santa di Edgar Allan Poe, cioè andare alla radice del dato antropologico, intimamente vissuto da ciascuno di noi, che è alla base del Mito del Vampiro. Le versioni ideologiche sono inevitabili adattamenti ai tempi, cui si possono certo contrapporre opposte visioni ideologiche. Però non è questo l’elemento determinante. I lettori possono anche non accorgersene, di questi correlati e ricadute, ma noi che scriviamo dovremmo saper leggere le metafore e capire quel è il senso politico di certe scelte narrative.
Riguardo a quanto scrive Simonetta, non posso che essere d’accordo circa i contenuti di certe antologie. Non mi offendo di non esservi stato incluso, anzi lo considero un motivo d’orgoglio. In genere il curatore di un’antologia si attribuisce un ruolo di potere, reclutando amici suoi o persone su cui potrà poi rivendicare la primogenitura. Questa è l’Italia, bellezza!
Ma certo, Simonetta. Non mi pare che il dibattito sia stato impostato per dire tutto ok, tutto bello, tutti d’accordo. Tutt’altro. E le domande che ho posto, del resto, sono “provocatorie”.
Però so bene – per esperienza – che se gli animi si scaldano troppo il rischio di “rissa” è sempre dietro l’angolo.
Ma non mi pare questo il caso.
Assolutamente! 🙂
A proposito di provocazioni…
Cosa penseresti (pensereste) se, un giorno, l’uomo con la camicia celeste (ovvero, il sottoscritto), si svegliasse e decidesse di cimentarsi per la prima volta con una storia “horror”?
🙂
Brrrrrrrrr!
Vi tranquillizzo subito, via… secondo me non sono capace di fare paura a un neonato. 😉
Mi sa che mi limiterò a leggere le vostre (bellissime) e orrorifiche storie.
A dopo.
Trovo particolarmente interessante il penultimo commento di Gianfranco Manfredi (quello delle ore 1:31 di oggi), e trovo acute le molteplici sue considerazioni precedenti. Non so se sia già stato citato, ma, a proposito di saggistica letteraria e non, ho trovato di notevole importanza il libro di Valerio Evangelisti “distruggere alphaville” (L’ancora del mediterraneo, 2006): una raccolta di testi che ha come titolo introduttivo, nella prima parte, “escursioni nella paraletteratura che fu”, dove si trova anche, per rimanere più specificatamente in tema, “dracula cristiano, carmilla pagana” ed altri validissimi testi sulla letteratura “di genere”.
@ Massimo: sarebbe un interessante esperimento letterario, come ho detto. Ma, con tutto l’affetto – e il rispetto – non mi sentirei di parlare di “nuove frontiere dell’horror”, almeno non finché non ne produrrai almeno una decina, di racconti… 😉
@ gaetano. Suggerisco anche la lettura dell’introduzione di Claudio Lippi al romanzo vampirico di George Martin, Il battello del delirio, in uscita da Gargoyle. In questa introduzione, Lippi , che del tema se ne intende davvero e ha curato al contrario di altri antologie davvero convincenti, traccia una mappa delle modifiche intervenute nella figura del vampiro nella letteratura americana recente.
Sono stato ad ascoltare affascinato gli sviluppi della discussione, e ringrazio in particolare Gianfranco che come sempre fa emergere spunti fondamentali nascosti tra le pieghe del tema. Credo si possa trovarvi conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che sul vecchio gotico c’è molto più da dire, da analizzare e da provocare di quanto si pensi – e solo pregiudizi grossolani impediscono oggi (quando ormai ci sono fior di studi) di coglierne l’importanza. Le categorie implicate sono alle radici di noi e della nostra società: prezioso che la Gargoyle stia riproponendo il ‘Varney’, che riporta alla luce una fase di evoluzione non sufficientemente nota al grande pubblico. Vi incontreremo un vampiro decisamente spiazzante, che si preoccupa di questioni di proprietà ed è afflitto da uno strano male di (non-)vivere… Ma – ripeto – un testo stampatissimo come ‘Dracula’ resta una miniera, anche se il suo protagonista ci sembra una creatura stranota, consumata dall’uso e persino dalla caricatura. Certo, parla il linguaggio storico, sociale e di costume, ma anche metatestuale e simbolico del proprio tempo: per esempio i riferimenti religiosi sottotraccia sono continui, e conferiscono a personaggi e situazioni una forza simbolica molto più provocatoria e inquietante di quanto possiamo cogliere a una lettura veloce. Solo un esempio: l’immagine di Dracula che fugge davanti alla croce è diventata talmente frusta (ricordate lo sfigatissimo Drak del fumetto ‘Zio Boris’?) che lo stesso cinema a un certo punto ha sentito l’urgenza di distaccarsene, mostrando il conte immune al sacro. Il problema è che per capire ‘Dracula’ dobbiamo metterci nei panni dei lettori vittoriani, cercare di cogliere le loro emozioni: e da questa prospettiva veniamo a scoprire che l’impatto dovette essere fortissimo – con le ovvie differenze, qualcosa di simile all’impatto de ‘L’esorcista’ negli anni Settanta (Danilo ha scritto pagine molto belle in materia). Parliamo di lettori che avevano una frequentazione ben diversa da quella di oggi con un linguaggio sacro e liturgico, e nel tessuto del ‘Dracula’ ne ritrovavano gli echi ma virati in nero: ci sono antisacramenti a base di sangue; c’è uno Sposo che viene che non è quello del Cantico dei cantici ma la sua contraffazione blasfema, un “maestro” anticristo e signore degli ossessi. Ed è proprio in questo quadro, per contrastare una simile potenza del male che Stoker fa un’operazione innovativa: Stoker non è cattolico ma anglicano, però è irlandese ed è affascinato dalla simbologia cattolica, e affida allo sciamano buono Van Helsing la santabarbara esorcistica di cui accennava Gianfranco – croci, ostie, eccetera – e che si rifà ai riti cattolici, anche se liberissimamente riletti. È vero che un anno prima dell’uscita di ‘Dracula’ nel 1897 una pellicola di Georges Méliès, Le manoir du Diable, 1896, aveva mostrato un cavaliere che cacciava un diavolo in forma pipistrellesca proprio impugnando un crocifisso: ma questo succedeva in Francia, mentre fino a questo punto il gotico letterario di lingua inglese aveva guardato con avversione al mondo simbolico dei papisti. Da questa funzione provocatoria nel romanzo, l’arsenale sacro del Dracula dilagherà nel cinema, e noi tendiamo a considerarlo ovvio – ma non lo è affatto e reca alle spalle tutto questo peso simbolico. Ma questo è solo un esempio e ci sono una serie di aspetti dirompenti anche più ideologici: il tiranno immagine del predatorio Oriente (dotato di un’harem dal sapore di incesto, e di una sessualità piuttosto equivoca) che acquista case – e dunque usa i contratti segno della “civiltà” – per infiltrarsi nella metropoli-segno dell’Occidente, la Londra vittoriana. Portando un’infezione che ha molto a che vedere con quelle che all’epoca tanto preoccupavano i vittoriani (dove abbiamo già sentito questi rigurgiti timorosi, gli stranieri che porterebbero malattie?); e per prima cosa dissangua e (orrore!) rende simile a sé Lucy Westenra, “la luce dell’Occidente”… Ciò che resta minacciosamente implicito – allora, come in certe paure di oggi – è cosa accadrebbe se Dracula diventasse l’Adamo di una nuova civiltà: qualcosa che va persino oltre la prospettiva di Matheson (che, non a caso, parte di lì) perché sta con un piede nella storia e con l’altro alle radici della nostra interiorità. Sto forzatamente banalizzando, perché il romanzo abbraccia uno spettro simbolico molto più vasto e variegato.
Per Paolo: non credo si parli male di Undead-Gli immortali perché ho la sensazione che non se ne parli affatto. L’ho comprato, mi sono arenato e non mi sento di giudicare un libro che non ho letto; ma mi ha profondamente deluso che in un romanzo che poteva trovare un punto di forza giocando sulla filologia (e questo pretende, chiamando in causa personaggi estratti dagli appunti di Stoker) ci siano libertà così pesanti non solo sul significato della storia ma anche su dati di cornice. Perché?
Il mio sogno sarebbe piuttosto un’edizione filologica – che a oggi non ho trovato, neppure in inglese – delle carte preparatorie trovate nel famoso baule di Philadelphia.
Ho invece trovato formidabile – e mi sento di chiedere all’Editore di investigare sull’Autore alla ricerca di altri testi in nero – ‘Il morso sul collo’ di Simon Raven, che affronta la categoria del vampirismo con un movimento narrativo obliquo, torpido e allusivo, elegantissimo, in termini insieme psicoantropologici e sociali. A evocare un male antico e sfuggente, annidato in comunità arcaiche attraverso la sopravvivenza di pratiche sadomasochistiche dall’insidioso potenziale infettivo; e insieme una prassi attiva di plagio legata alla gestione accademica di britannicissimi college, che riflette tentazioni, derive e cannibalismi delle istituzioni culturali (e non solo) di ogni tempo. Qualcuno ha detto che Il morso sul collo non costituisce tecnicamente un romanzo horror, e in effetti l’orrore che suscita la vicenda non è quello che più banalmente si attenderebbe dal topos vampiresco: e si connette da un lato a quel brivido antico che connota le esperienze indicibili, ma insieme ai meccanismi stritolanti, manipolatori permessi dalla vita civile. Letali, l’uno e l’altro, per vittime più o meno disponibili.
@ Simonetta. Diamo pure per scontato che nei prossimi due anni vedremo fiorire scritti vampirici di persone che dei vampiri se ne sono sempre fregate e che ora accorrono festanti al tema o perché se sono stati improvvisamente fulminati (cosa che può accadere) o perché intendono profittarne economicamente (cosa che accade regolarmente e non costituisce scandalo, bisogna pur campare e in passato una quantità di scrittori italiani che si occupavano d’altro, poi sotto falso nome pubblicavano horror pulp da edicola per KKK e altre serie commerciali, incluse quelle porno). Questo fatto ha da un lato un risvolto negativo perchè i veri appassionati restano disgustati da queste invasioni di campo, e perché creano un’ondata di superproduzione che poi ammazza il mercato. Ma hanno anche risolti interessanti perché spesso certi autori che nel passato di erano viste rifiutate certe loro opere inclini all’horror dagli editori, adesso invece possono permettersele. E anche perché le invasioni degli estranei spesso sono benefiche, apportano nuovi punti di vista, nuovi stili e nuove trasgressioni. Dunque non bisogna essere troppo categorici nel giudicarle. E soprattutto bisogna tenere distinto il giudizio sul fenomeno in generale dal giudizio sulle singole opere. E’ bene comunque avvertire sempre il lettore che nel gran mare della produzione sono più affidabili gli scrittori e gli editori che di questi temi si sono interessati per anni per un motivo non commerciale, ma di vocazione. Gli editori in particolare meritano il sostegno dei lettori, perché se prima certi editori “di nicchia” almeno non avevano troppa concorrenza, poi rischiano di finire stritolati dalla macchina del consumo. Gli autori su cui hanno lavorato per anni e che sono riusciti ad imporre a un mercato diffidente, poi nel momento del trionfo del genere gli vengono sottratti da case editrice grandi che possono garantire anticipi maggiori, pur restando pronte a scaricarli quando il tema non è più di moda. Insomma, bisogna propagandare, a cominciare dal web, i “marchi di qualità”, di origine controllata, i non-ogm, e fare di tutto per sostenerli, a cominciare dal fatto di comprarne i libri.
@ a Franco Pezzini. Profondamente grazie per i tuoi commenti sempre così lucidi e ad ampio spettro. Spesso ne ho ritrovati di simili nella ricerca di tanti studiosi italiani e stranieri che vivono a contatto con la ricerca viva, quella che si fa attualmente nelle Università di tutto il mondo e che è distante anni luce dalla critica che si legge sui giornali che su queste cose testimonia quotidianamente la sua ignoranza e pochezza. Il vostro lavoro fa ben sperare per il futuro. Su Raven. Ha interessato molto anche me. Vi ho però trovato un elemento per me ideologicamente insopportabile. Quel genere molto british di omosessualità virile (che qui ha il merito di essere non allusa, ma portata alla scoperto, confessata e rimarcata) che si nutre di valori guerrafondai e insieme trasgressivi, alla Lawrence d’Arabia, ma che è fondamentalmente unita da una profonda avversione per le donne, cosa che gli attuali movimenti gay invece rinnegano e non vivono affatto (anche se a mio avviso, qua e là cova, e lo si vede benissimo nella moda, pensate a Dolce e Gabbana) . Tutto il romanzo è la storia di un gruppo di amici omosex o bisex per puro opportunismo, che decide di andare a salvare un loro amico disperso in Grecia e sedotto da una mefitica creatura femminile che loro nemmeno conoscono, né si preoccupano di conoscere: è vampira da eliminare in quanto donna fascinatrice che ha sottratto un amico al circuito dei giochi da club esclusivo maschile (e omosex). C’è qualcosa di profondamente ripugnante in questa concezione, ma dopotutto è proprio dell’horror essere ripugnante. Dunque ringrazio De Crescenzo d’averlo pubblicato, anche se personalmente preferisco il ripugnante alla Ketchum. Queste opere comunque dimostrano come sotto certa letteratura considerata a torto facile, si nascondano e spesso si rivelino apertamente, problematiche molto difficili, persino inconfessabili, che la letteratura ufficiale preferisce non considerare , se non altro per non venire accusata di oscenità, con tutti i rischi di persecuzione che ciò comporta. Se dunque l’horror continua nonostante la trasgressioni e le prove letterarie a volte altissime “di genere”, è perché ha in sé un elemento profondamente contro-culturale e sovversivo che urta non solo le accademie, ma il comune senso del pudore e del “buon gusto” borghese.
Errata corrige: nonostante le prove letterarie altissime, ad essere “di genere”…
La generazione di vampiri buonisti (cui corrisponde la creazione di vampiri cattivissimi e alieni ) suona da questo punto di vista come un invito rivolto agli scrittori horror a “purificarsi”. Diventate più civili, diventando romantici, adolescenziali, giocosi, troverete anche maggior soddisfazione economica perché avrete più lettori. Perché insistete con il “perturbante”? Non capite che così facendo siete “alleati del Male”? Non capite che il vostro rock e la vostra letteratura diventano trasmissione di pulsioni demoniache? No! La vocazione di uno scrittore horror è più semplicemente quella di affrontare senza pudore le contraddizioni dell’umano. I mostri siamo noi. O come ha detto Tiziano Sclavi rispetto a Dylan Dog “Io non sono Dylan Dog, io sono i mostri”. Leggere il mostruoso in sé e nelle pieghe del sociale è impervio, ma è il compito che compete a uno scrittore horror. Il resto sono ingredienti accessori.
Prometto che per oggi mi taccio. Spero davvero che questo bellissimo forum non si concluda proprio quando è arrivato al suo nocciolo e al punto più vivo. Mi auguro di poter leggere interventi di chi finora non ha partecipato. Mi auguro, insomma, come ogni vampiro dovrebbe fare, tanto più il vampiro via web, che si sparga il contagio, e spero che Massimo che ha inaugurato il tutto con felice intuizione, riesca a sollecitare in proposito i molti citati e anche i non citati affatto a intervenire. Cosa penso io lo so già e cosa pensano gli altri che si sono espressi finora l’ho capito, li ringrazio e mi auguro che non abbandonino. Vorrei però leggere anche opinioni di altri, a cominciare da coloro che hanno seguito la discussione, ma hanno esitato ad esprimersi. Grazie a tutti.
Ma che bella la visione di noi scrittori horror come i veri Mostri.
E concordo, ormai le nostre opinioni si sono delineate: aspettiamo dunque ulteriori apporti.
Intanto continuo a scrivere…
😉
Ho letto i classici DRACULA e IL VAMPIRO di Polidori…
Nel libro di Bram Stoker la componente sensuale era molto presente data l’età in cui venne scritto. Bella comunque la compagnia di amici che tenta strenuamente di salvare le contagiate, tra cui proprio la fidanzata del protagonista (Mina, poi Mrs Harker).
Il perturbante è una categoria che si attaglia perfettamente al gothic tale… l’Unheimlich, cioè il non familiare, l’elemento estraneo che si insinua in una situazione apparentemente Heimlich, cioè familiare. Dracula che compra case e che poi – bara spedita – viene a far danno in Inghilterra… il medico che si ritrova un caso particolarissimo, il matrimonio vittoriano sconvolto da vampiresse (ricordate?)…
Qualcuno ha per caso citato – visto che si è parlato di epigoni Draculiani – Kim Newman ? Se non erro le sue rivisistazioni ironiche e – mi pare – affettuose (e il suo espediente narrativo di disseminari i suoi romanzi di camei più o meno evidenti) del mito di Dracula hanno fatto discutere …
Personalmente mi sento più propenso ad essere indulgente se chi maneggia (ed inevitabilmente rimaneggia) cotanta materia lo fa senza prendersi troppo sul serio …
@ a Gianfranco. Completamente d’accordo: il tema della lega degli uomini ordinari che fa fuori la minaccia femminile è inquietantemente classico, e il quadro di Raven – che peraltro non era un simpaticone – ideologicamente molto brutto. Anche lo sfondo greco cui si rifà la storia va a rabastare nelle pagine più torbide di Graves (la Dea che ama e che strazia, il giovane Re sacrificato…), e il tutto è circonfuso da un’atmosfera febbricitante, malsana. Ma, a parte la mia personalissima passione per gli autori britannici, ho trovato splendidamente raccontata questa rifrazione tra diversi vampirismi. Che è in fondo un topos, con una forma di bellezza abbacinante in ‘Lamia’ di Keats poi infinitamente rifratta: Gautier, Le Fanu… E che instilla un dubbio: che cioè dove la narrazione contempla un vampiro ce ne debba essere un altro nascosto – o una struttura-vampiro, spesso collegata a insospettabili poteri o istituzioni – di segno eguale e contrario. Come se il vampiro non potesse darsi, non potesse neppure essere pensato, senza una logica di oscura rifrazione, e in un contesto in cui non c’è spazio per “buoni” – proprio alla luce di quel che in un post successivo dici tu sulla lettura del mostruoso. Perché infatti il problema non sta tanto nel ravvisare chi sia buono e chi non lo sia (lascio questo a Hollywood) ma nel percepire gli aspetti mostruosi – ecco l’orrore – di un contesto più ampio in cui i personaggi si muovono.
@ a Claudio. ‘Anno Dracula’ è delizioso, una vera festa… e anche i seguiti sono niente male.
Chiedo scusa. Torno solo un attimo su King e i suoi vampiri. Come ho già detto, concordo con Gianfranco nel non ritenere indimenticabile il suo Le notti di Salem. Però mi torna ora in mente un suo racconto breve (anzi, brevissimo) intitolato The Night Flier (dal quale, manco a farlo apposta, è stato tratto l’ennesimo film) che è poco più di uno scherzo, ma che – nel suo non prendersi minimante sul serio – riesce a toccare corde profonde nel rapporto portagonista-lettore alle prese con un orrore prima deriso (il giornalista che se ne occupa crede che l’autore degli efferati delitti in aeroporti sempre differenti sia un pazzo che si crede un vampiro), poi lentamente compreso e, infine, subito senza alcuna difesa, raggelato dall’evidenza.
Buongiorno a tutti. Contribuisco al dibattito postandovi un mio pezzo uscito tempo fa sul settimanale “Gli Altri” di Piero Sansonetti.
Non si vive di solo Twilight
Basta Twilight e New Moon! Basta con il predominio monoculturale dell’inglese! Ma vi siete mai chiesti che lingua parlavano i vampiri? Be’, a giudicare dai famosi casi settecenteschi del contadino Peter Plogojowitz (1725) e del soldato serbo Arnold Paole (1732), avrebbero dovuto parlare almeno ungherese, rumeno, o comunque slavo. Invece no: i vampiri parlavano latino. Molto prima di Bram Stoker (il suo Dracula esce nel 1897) ci si rompeva la testa sui vampiri, e lo si faceva nella lingua universale: il latino. È questo uno degli aspetti meno noti di tutto l’affaire vampirismo; così noi lanciamo la scialuppa, poi se qualche lettore curioso vuole afferrarla e vedere verso che lidi porta, è il benvenuto. Per secoli lingua ecumenica come l’inglese ai nostri giorni, il latino era ormai tenuto in vita quasi esclusivamente per affrontare le questioni scientifiche, o cosiddette. Tra queste cosiddette imperversavano quelle relative al vampirismo. Bisognava spiegare devastanti epidemie, misteriosi contagi, allucinazioni collettive? ecco pronta la categoria del vampirismo: cadaveri che succhiano il sangue, molestano i vivi e diffondono pestilenze. Certo, cominciavano a prendere piede per le comunicazioni scientifiche anche le lingue nazionali: si pensi al Traité sur les apparitions et sur les vampires ou le revenans d’Hongrie, de Moravie del benedettino Augustin Calmet del 1749, sempre nel 1749 il trattato Del congresso notturno delle Lammie di Girolamo Tartarotti, mentre in tedesco è compilato uno degli articoli meglio documentati al riguardo, la voce Vampiri nel Lessico universale del 1745 di Johann Heinrich Zedler. Ma il primato spetta ancora al latino. Con quella stessa lingua nel 1749 il papa Benedetto XIV nel De servorum beatificatione et beatorum canonizatione nega decisamente la loro esistenza.
Ma accade un fatto singolare: se nelle lingue moderne si cerca di spiegare scientificamente il fatto, è nella lingua morta che si rievocano gli stessi eventi con grande compiacimento e gusto dell’orrido. Si può partire da lontano, da uno dei più famosi trattati di stregoneria: il Malleus maleficarum, scritto a due mani, da Heinrich Kramer detto Institor e da Jacob Sprenger, e pubblicato a Norimberga nel 1519, dove si parla già di morti che mangiano il lenzuolo in cui sono avvolti. Si può proseguire con un frate francescano di Pavia, Ludovico Maria Sinistrari, autore della Daemonialitas expensa, manoscritto del 1699, pubblicato da Carlo Carena nel 1986 per i tipi di Sellerio. Ma la nostra simpatia va a tutta una serie di eruditi tedeschi, per lo più medici con tanto di studi seri e seriosi: comincia Christian Friedrich Garmann, De miraculis mortuorum, del 1676; prosegue Philip Rohr con la dissertazione tenuta presso l’università di Lipsia, Dissertatio historico-philosofica de masticatione mortuorum (Lipsia, 1679) in cui si parla di una straordinaria fame animalesca che porta i defunti a mangiarsi gli abiti in cui sono avvolti, e le loro stesse carni. Michael Ranft, De masticatione mortuorum in tumulis liber (Lipsia, 1728) riprende Rohr e riferisce che ai defunti veniva posta sotto il mento una zolla di terra per impedire di mangiare e masticare. Il 1732 è un anno mirabile, perché vede la stampa di addirittura tre opuscoli (“dissertatio”, come si chiamano in latino): a Jena Johann Christian Stock con la Dissertatio physica de cadaveribus sanguisugis; a Lipsia Johann Christoph Pohl con la Dissertatio de hominibus post mortem sanguisugis; a Duisburg Johann Heinrich Zopff con la Dissertatio de vampyris serviendibus. Ed è divertente scorrere questi scritti, dove nella lingua togata per eccellenza si dà voce al massimo dello splatter: i vampiri sono chiamati sanguisughe, “cadaveres sanguisugi”, si parla di “vampertio”, vampirizzazione, si fa sfoggio di particolari truculenti insieme a commenti anatomici o filosofici di grande erudizione. Insomma una lingua morta per parlare di morti viventi. È proprio vero che le lingue si scelgono i loro interlocutori, gli argomenti preferiti e perché no? il loro destino. Il grande regista inglese Derek Jarman scelse proprio il latino come lingua per il suo provocatorio film Sebastiane (1976) sul martirio di san Sebastiano. Allora perché il prossimo regista della saga di Twilight non prova a far recitare Bella ed Edward in latino?
Amici, eccomi di ritorno e chiedo scusa per il lungo silenzio. Vedo con assoluto piacere che nel frattempo Magico Vento, da par suo, ci ha regalato praticamente un saggio nel saggio con punte d’intelligenza critica che mai noi comuni mortali… Grandi, ragazzi (tutti, ragazze comprese): In quella frase, foriera di 1000 approfondimenti, “il vampiro è un ossimoro”, forse ci sta un bel pezzo di tutto il senso di qs. forum (che ormai è dilagato a potenziale macro-testo estendibile agli sfortunati che non he hanno potuto godere…). Constato anche che del saggio, importante, di Loredana si è parlato in lungo e in largo e allora transiterei oltre… Dove? Ma dalle parti, visto che c’è una richiesta in corso, ancora delle intuizioni profetiche e delle Torri Gemelle… Ultimamente, su Carmillaonline, mi sono occcupato di Renfield, questo personaggio apparentemente secondario che secondo me Thomas Harris ha “piratato” per costruire il suo Hannibal (personaggio che in seguito è stato materiato anche con frammenti del Conte in persona…). Non ho bisogno di ricordarlo a voi, ma Renfield è l’Annunciatore, colui che apparentemente “pazzo” (ma che vuol dire poi pazzo…), entra in “risonanza” vibrazionale con l’arrivo del Conte nella capitale di Albione. Ora, assodato che le avvisaglie sono divenute nel tempo – e lo sono ancora oggi – un pilastro del gothic, vedo in Renfield (e soprattutto nella decisione di Dracula di ridurlo al silenzio…) un più che stimolante aggancio al “tempo reale” stokeriano – il “calendario di Dracula” così significativamente preciso… – e ai non pochi riferimenti “sociali” menzionati anche da Gianfranco. Renfield, personaggio quasi sempre travisato dal cinema, è la Sirena che suona l’allarme, una presenza che ambiguamente assimiliamo al Male ma che in realtà lo “anticipa” perché vive su un Confine dimensionale in grado di farlo viaggiare tra i mondi. Negli anni di riferimento – il tempo reale dello scrittore e il tempo del romanzo – stava arrivando qualcosa di terribilmente concreto: la rivolta contro il presunto ordine civile di Vittoria e la falsa rispettabiltà borghese dei mille bordelli londinese e le decantate virtù delle mogli altolocate. Puttane senza volto, ma non per questo meno reali, che corrono il rischio di guidare, salendo da Whitechapel, la rivolta contro il più ingiusto dei sistemi sociali, donne a cui bisogna tagliare la corde vocali e per questo si scatena l’aristocratico Jack… E’ il popolo oscuro, miserabile e cialtrone iul demonio che minaccia l’apparentemente tranquillo mondo vittoriano e Dracula con la sua nave “pestilenziale” in diretta dai Carpazi non solo lo evoca, ma potrebbe scatenarlo contro i “padroni”… La sconcertante modernità di Stoker ci regala ancora oggi un modello applicabile non solo al prototipo vampiresco… Renfield è tuttora vivo e presente, perché il pianeta – tanto in letteratura che Oltre … – è pieno di Renfield annuncianti. Il 2012 stesso è un’estensione fenomenologica della visione alla Renfield.
Personalmente mi basterebbe questo per de-ghettizzare il genere. Stoker, come molti – ma non tutti – colleghi suoi, temeva e annunciava l’Apocalisse (in questo non gli furono secondi i suoi rapporti con la Golden Dawn). E questo, a mio trascurabile parere, dovrebbe essere la Mission – o una delle … – dello scrittore di gotico moderno. Provate a guardare con questi occhi le invasioni di campo elencate nel saggio di Loredana: Genna, Vargas, Di Michele, Wu Ming, Evangelisti…. Estranei? Estranei a “chi dalla nascita si occupa di horror”? Tipica ingenuità da fan… Questi sono Orologiai dell’Apocalisse, i Renfield… E se ripenso a quel che scrisse Matheson negli anni ’50…. A dopo.
Torno a questo dibattito, che avevo seguito con attenzione all’inizio ma avevo poi (lo confesso) abbandonato (un po’ per impegni che hanno impedito una lettura costante, un po’ per pigrizia di fronte alla mole degli interventi). Torno dietro l’invito a esprimere un parere rivolto a tutti da Gianfranco Manfredi, per dire che trovo estremamente riduttivo leggere di vampiri “buoni” o “cattivi”, ed estremamente noiose (per me) le storie che si limitano a questo aspetto. Non è il fatto che un vampiro (incarnazione del male) possa essere capace di esprimere buoni sentimenti (come l’amore, p.es.) a rendermi una sua storia interessante.
E’ semmai come possa porsi di fronte alla sua condizione di morto-non morto, di non pienamente vivo. In possesso di immortalità pur senza una vera vita. Come vive questo, come una condanna? Come un potere ? Con nostalgia verso la vita vera precedente? E’ di indole melanconica o solo una crestura bestiale asseta di sangue?
Poco mi frega invece se sia capace di innamorasi di una ceatura uguale o diversa da sè, se segua le mode del momento, se vada a ballare in discoteca, o guardi in TV il grande fratello. Per questo trovo ben poco affascinanti i vampiri moderni.
Meglio quelli di una volta, o che comunque seguano quel solco così sinistramente (e divinamente) malsano.
@ Flavio. Il latino di cui parli era la lingua dei trattati scientifici e filosofici, come tu stesso osservi. Gli anatomisti scrivevano in latino, Cartesio scriveva in latino. Parlare in latino ovviamente è tutt’altra cosa. Però è importante ricordare che sulla peste vampirica furono i ricercatori e gli studiosi a indagare per primi, cioè molto prima che se ne occupasse la letteratura romanzesca (che nasce dopo). Questo già differenzia i vampiri che so, dalle fate, dagli gnomi, dagli unicorni o da altre creature prodigiose. I vampiri contribuiscono a creare la moderna casistica medica. Nei tempi antichi , in Galeno, per esempio, i trattati di medicina non prevedevano casistica. La casistica ( cioè l’indagine di casi concreti per svelare la natura di una sintomatologia e studiarne le possibili terapie) nasce con i vampiri.
Di nuovo su Twilight. Lipperini sottolinea in sostanza come il buonismo vampirico sia una deviazione perniciosa dal mito. Lippi, nell’introduzione che citavo, sottolinea invece il contrario e cioé che in America il buonismo vampirico è il vero mainstream e porta diverse prove (incluso il film di Coppola) a sostegno. Chi ha ragione? Secondo me, tutti e due. I due filoni ci sono sempre stati. In America il buonismo è stato prevalente, però, solo se si guarda al cinema, perché inerente all’uso hollywoodiano della letteratura (si è cambiato in happy end persino il finale tragico di un classico della loro letteratura come La Lettera Scarlatta). Nel caso di Corman però farei un’eccezione… è non è un’eccezione da poco! Comunque, non mi pare che lo stesso (cioè che l’inclinazione buonista sia prevalente) si possa dire della Letteratura in quanto tale. Lippi ad esempio non cita i vampiri di Woolrich, di Robert Bloch, di Fritz Leiber, di William F.Nolan, di Charles Beaumont, di Lansdale, di Simmons, cioè una schiera infinita di “americani” maledetti che con il mainstream buonistico non hanno proprio nulla a che fare. In sostanza: la tendenza buonista non risale affatto a Hamilton e Meyer, è di molto precedente. Questo è vero. La tendenza più “controculturale” e perturbante è però altrettanto presente e diffusa in terra d’America e lo è sempre stata a partire da Poe ( il cui ruolo nella letteratura vampirica Lippi sottovaluta troppo, citando la sola Berenice come vampira, peraltro dubbia. E Lady Ligeia chi è allora? E tutte le altre sepolte premature e risorgenti? All’epoca, come ho detto, consunzione e vampirismo erano la stessa cosa. Poe non aveva certo bisogno di esempi letterari, dato che sua moglie e sua madre erano morte di consunzione). Ora, sia la tesi Lipperini, che la tesi Lippi sono state pubblicate in quanto introduzioni o post-fazioni da Gargoyle. A parte il fatto che risulta evidente che a Paolo de Crescenzo bisognerebbe dare il Premio Par Condicio, vorrei far notare (questa è un’idea tutta sua) che le introduzioni e prefazioni dei romanzi Gargoyle si possono leggere e godere di per sé , come contributi saggistici a un’ideale rivista critica che esce a puntate in sintonia con l’uscita dei singoli romanzi. Insomma: si mantiene un legame tra narrativa e saggistica critica che credo possa far bene ad entrambe.
@ Carlo S.
Per quel che vale (visto che comunque è breve) ho postato di seguito proprio la risposta di uno scalcinato vampiro alla tua domanda.
Accantonai paure, frustrazioni, amarezza, il desiderio di consultarmi con gli altri sul da farsi, e finalmente formulai la domanda – banale fin che si vuole ma essenziale – che avevo dovuto rimandare per tanti anni.
, chiesi,
Tutti, anche lo scarnificato, si fecero improvvisamente attenti. Tutti, compreso Wuker, si girarono verso Lorri, muti, in attesa.
Lorri, come riprendendo vita, alzò il capo. Mi guardò, poi, volgendo lo sguardo intorno, si rese conto dell’attenzione generale concentrata su di lui. Si leccò il liquido che gli impiastrava la faccia. Per un attimo parve ritornare alla sua catarsi, poi, stringendosi le mani in una sorta di tic, iniziò a parlare, dapprima con impaccio poi con maggiore disinvoltura.
Com’era essere un vampiro? Se lo era chiesto anche lui, quand’era capitato. Ebbene… – sorrise – magia, grande magia. All’inizio aveva creato ansia e timore, ma non più di come quando si cambia un vecchio lavoro conosciuto per un altro pieno di incognite. Le cose con il tempo si erano sistemate da sole. Quel che dapprima sembrava enorme si era rivelato una delle tante pieghe dell’esistere umano. Certo, c’erano regole da seguire. Ma alle regole – come alle rotture di coglioni – non si sfugge mai. Il rapporto con l’inesplicabile non dava problemi; c’erano più cose in cielo e in terra che eccetera eccetera… Confidava in Dio, che ci credessimo o meno. No, nessun rimpianto, non più. E di cosa, poi? Del sole? Del farsi una famiglia? Del lavoro ? Ma via! La notte era bella come il giorno. Come conviveva con i rimorsi? Be’, non era colpa sua se una notte, mentre tornava da un pub, una ragazza dallo sguardo di ipnotico (e anche dalle grandi tette, doveva ammettere) lo aveva abbordato e condotto in auto a una vecchia fornace fuori mano, appena fuori città. Ma non c’erano stati né sesso né amore. Solo cambiamento. No, niente genitori o parenti che lo potessero piangere. E non era casuale. Non ne era sicuro, ma probabilmente ne era stata dichiarata la morte presunta. Rischio di essere riconosciuto ? Non proprio: la morte modifica l’aspetto, almeno in parte. La pelle si contrae, il sangue morto tende a fare scherzi strani ai lineamenti. Certo, gli dispiaceva che per continuare a vivere qualcun altro dovesse morire, ma a quasi tutti veniva offerta la possibilità della non-morte. Una scelta c’era. Sì, lo sapeva, era un modo per mettere la sordina alla coscienza. Ma chi non lo faceva? In fondo vivevamo tutti, comunque, in un mondo di finto amore e dubbia giustizia. E se Amore vero c’era, allora esisteva solo a tratti, preziosissimi certo, ma infinitamente brevi.
Aveva trovato un mondo solo in parte diverso da quello che aveva conosciuto. Erano cambiati alcuni canoni, ma certo non lui. Né migliore, né peggiore. Stessi pregi e difetti. Da collocare, questo era ovvio, in una differente situazione. Era tutto lì. Era tutto quanto lì. Il sole portava con sé un senso insopportabile di sfinimento e di febbre, oltre alla seconda, definitiva morte. Ma la notte era dolce. Adesso doveva fare i conti con differenti schiavitù fisiche, questo sì. Ma erano l’altra faccia della medaglia della condizione umana. Vampiro era solo una parola. Era rimasto un uomo, misero e meraviglioso insieme. E poi con il Maestro si stava bene. Lui era la fonte di energia e una guida. Ovvio, si doveva rigare diritto. Ma dove mai ci si può permettere di non rigare diritto, quando si dipende da altri?
Ecco, più o meno… quello era essere un vampiro. Sì, mangiava e sentiva i sapori, ma i cibi non nutrivano, e diventava anche fastidioso liberarsene, perché lo stomaco era diventato solo un contenitore. La putrefazione? Non era chiaro. Alcuni imputridivano, con il tempo (e aveva guardato per un attimo, imbarazzato, lo scarnificato). Altri meno. Altri ancora no. La forza fisica? Magia! Magia anche quella! Una notte, in un’oscura periferia, era stato aggredito. Aveva sgominato i suoi assalitori unicamente mulinando le braccia. Una cosa impensabile, in passato. Ma soltanto in un secondo momento si era reso conto di essersi fratturato un osso dell’avambraccio e che una scheggia dell’ulna aveva perforato la pelle. E le ossa non si aggiustavano tanto facilmente, in quelle condizioni. Bisognava stare attenti. Se la vita era dura, la morte lo era altrettanto. Ma tutto, dopo un po’, diventava normale. Nuove abitudini, nuovi piaceri, nuove afflizioni. E poi, se parlava con noi, lì, in quel momento, allora voleva dire che non era del tutto morto, no? L’aldilà? Gli dispiaceva deluderci. Lui non aveva visto un cazzo. Ah, sì. La sete era molto brutta. Ma il sangue ancora caldo che pian piano gli riempiva il corpo mentre lo suggeva era l’estasi che – vivo – non aveva mai nemmeno immaginato.
Sollecitato da Danilo, butto l’ultimo e definitivo sasso. Mettendola giù piatta, il pazzo Renfield che si nutre di insetti, che ha antenne molto sensibili e che è pronto ad adorare e servire il Mito, può essere metafora dello scrittore horror? In effetti, pensateci bene: su cosa lavora uno scrittore horror? Quando un racconto horror “funziona”? Quando ci si concentra sul mostro. Chi è il protagonista di Frankenstein? La creatura. Chi è il protagonista di Jekill? Hyde. Chi è il protagonista di Dracula? Non Harker, non Van Helising, ma il mostro. La forza simbolica di un racconto horror si misura sull’evocazione e sul protagonismo occulto, di ciò che nella letteratura epica e avventurosa ad esempio, è l’antagonista. In Salgari il protagonista è Sandokan, non James Brooke. Nell’horror il protagonista vero è il mostro. Non credete che le migliori storie di King siano quelle (come Carrie, The Shining, Misery, Children of the corn) dove è il mostro a svettare? In It, cosa terrorizza? Il clown. Quando alla fine arriva il ragnone sotterraneo, beh di quel ragnone non frega niente a nessuno. E’ un mostro troppo generico, troppo incorporeo, troppo poco identitario per fare davvero paura. Si ispira chiaramente al Blob, ma il Bolb è molto più corente, perchè non zoomorto, perchè cioè della sua natura caotica e informe fa il suo stesso corpo. O sbaglio? In sostanza, quando noi scriviamo horror, il lavoro veramente difficile è quello di dar vita a una creatura orripilante, a indentificare l’orrore in un personaggio- simbolo reso in concreto, in una visualizzazione dello spirito fatto Materia. Che poi l’insieme della narrazione sia perturbante o consolatorio, non importa. Il mostro, la creazione del mostro, resta comunque l’elemento dominante. Questo non risulta affatto dall’articolo di Wikipedia citato da Vergnani che invece colleziona ed elenca elementi di tipo accessorio. Quanto sopra detto, riguarda anche la fantascienza horror. Chi è il protagonista e l’elemento vincente de L’Invasione degli Ultracorpi? Gli ultracorpi. In tutta la narrativa marziana, cosa conta davvero ? Che i marziani siano buoni oppure cattivi? No, conta il modo di rappresentare il marziano (l’alieno) in sè. Lo scrittore si pone il compito, come diceva Lovercraft, di narrare l’indicibile. Dire l’indicibile è un ossimoro. Se è indicibile come fa a essere detto? Se è fantasma come fa a essere persona? Se è morto come fa a essere vivo? Eppure è proprio questo ossimoro (risolto) a rappresentare il centro di un racconto horror. E dunque… non credete che per noi scrittori, l’elemento su cui davvero ci si dovrebbe concentrare, non è tanto e solo il plot, gli ingredienti, l’inclinazione “morale” delle storie, ma la creazione del personaggio-mostro, cioè il dare carne, vita e personalità, a un mito antagonista. Non l’eroe, ma l’antieroe. Ecco perché ritengo che accostare come pare fare Lipperini, horror e epico sia sbagliato ( a prescindere dal fatto che Lipperini citerebbe i Wu Ming per sua rispettabilissima preferenza anche se si discutesse di Botanica). Nell’horror il protagonista non è Teseo, ma il Minotauro. Non sono gli umani in quanto tali, ma i mostri evocati dagli umani.
d’accordo con carlo sirotti su tutta la linea. mi è sempre stato difficile prendere in considerazione il “male” un tanto al chilo fornito dai vampiri classici, che sforzarmi di includere nell’analisi le virate buoniste del nostro reo tempo quanto a vampiri e mostri vari, proprio mi pare uno sforzo eccessivo per la mia personale noja complessiva nei confronti della carta stampata. per interessarsi ai vampiri vecchi e nuovi ci vuole una piega dell’animo come una superficialità altrimenti inconfessabile. non a caso il successo attuale. se l’epoca in cui viviamo avesse profondità, si interesserebbe ai vivi, non ai morti: tantomeno ai non morti, foss’anche buoni.
hoc dictum sine iniuria
A integrazione ove non fossi stato chiaro. In un racconto d’avventura, gli ostacoli, i nemici, le prove da superare, vengono escogitati in funzione dei poteri e delle debolezze dell’Eroe. In un racconto horror gli eroi (spesso non a caso corali) sono funzioni dell’avversario. Nel racconto epico, l’eroe può, deve vincere. Nel racconto horror l’eroe può venire inghiottito dall’incubo, può cioè conoscere la suprema sconfitta. Commentando il Pozzo e il Pendolo, il grande Vincent Price scrisse: siamo sicuri che il racconto abbia un happy ending? E’ vero che il protagonista viene salvato dal pozzo, ma un uomo che ha attraversato una simile esperienza non ne resta marchiato? La sua apparente salvezza, non è il prolungamento angoscioso , agonico , di un trauma insanabile?
Lucy, a tua scusante si può solo dire che hai un nome vampirico. L’aspetto sostanziale della vita (e basta guardare il telegiornale per accorgersene) è che i morti sono tra noi.
@ Lucy: Come ebbe a dire l’ispettore Callahan (occupandosi peraltro di vivi) , Le opinioni sono come le palle: ognuno ha le sue.
Sia detto, ovvio, sine iniuria 🙂
Ah, che bello. NOI siamo i Renfield, stirpe scriptoria che ha le antenne e si nutre di insetti. Gente pericolosa, Bradbury docet in F 451. E’ uno spunto di straordinario interesse. Là fuori – dove i morti camminano fra noi – è forse in atto una planetaria strategia di contagioso parassitismo psichico e “qua dentro” i Renfield, magari inconsapevoli, stanno mettendo in atto un audace piano di controstrategia, semplicemente strepitando, scrivendo, discutendo sul Grande Fratello Vampiro…
… So che non c’entra nulla, ma questa straordinaria catatonica indifferenza collettiva di fronte di fronte allo Spettacolo quotidiano della Realtà, mi ricorda non poco la narcolessia della vittima, una volta subito il Bacio – telecatodico – del mostro…
Tornando a raffica, però il buonismo mutante con cui l’Archetipo è stato addomesticato potrebbe andare proprio in questa direzione. La normalizzazione del mostro come contromisura “politica” di un genere che di per sè è sovversivo nonché frequentato da folli che mangiano insetti e annuncano il Caos. La Gargoyle come serbatoio autentico dei tanti, volti dell’Archetipo (a presto il grandioso anello mancante, Varney) contro gli appiattimenti di senso di certi prodotti proposti da altri marchi editoriali… Uno lo avete citato ieri, ordito da un presunto discendente di Stoker… Chissà se qualcuno ricorda “Ritorno a Casa Usher” scritto da Robert Poe?…. Oh, ma andiamo, il vero Poe cavalca a fianco di Magico Vento!
“Ritorno a casa Usher” è una delle più colossali bufale mai pubblicate, condivido. Appropriarsi di un nome glorioso fa parte del grottesco editoriale.
Devo fare un’errata corrige obbligata. In un precedente post mi sono riferito a Giuseppe Lippi come Claudio! Porca puttana! Proprio io che mi sono sempre impermalito dall’essere chiamato Nino!
Tra l’altro quando ho conosciuto Nino Manfredi, la prima cosa che mi ha chiesto è stata: Ma tu ti chiami davvero Manfredi? Pensava che avessi applicato la tradizione dell’avanspettacolo di darsi un simil-nome confondibile con un nome famoso. All’epoca si esibiva in avanspettacolo un cantante che si era chiamato Enzo Jannace. L’equivoco purtroppo andò avanti a lungo. Una volta apparve su Panorama una foto di Nino Manfredi con didascalia che lo indicava per Gianfranco Manfredi. Un’altra volta è capitato che il mio agente cinematografico è stato contattato per una versione cinematografica dello scudo di Talos di Valerio Manfredi. Mi sono premurato di mettere in contatto la persona con l’agente di Valerio Massimo Manfredi. Detto agente, ridendo, ha detto al mio: “ah, non sa quante volte mi sono giunte telefonate per Valerio Massimo che invece si riferivano a Gianfranco!” Piccolo particolare. L’agente di Valerio Massimo non ha mai telefonato al mio per avvisarlo. A questo va aggiunto che essendomi esibito spesso con Ricky Gianco, un’infinità di volte ci hanno chiesto: chi di voi due è Rick e chi di voi due è Gian? Il che conferma che un autore o un personaggio dello spettacolo, per il pubblico è una categoria vaga di appartenenti allo stesso Circo infinitamente mutanti gli uni degli altri. Nessuno invece confonde Madame Bovary con Anna Karenina. I personaggi immaginari sono più riconoscibili e identitari delle persone. Noi siamo al loro umile servizio come Renfield con Dracula.
Già, chi era Baby e chi era Lonia?
La confusione tra persone è favorita dall’omonimia, ma non dipende da questa. Una volta in un ristorante uno mi è corso incontro con le lacrime agli occhi e mi ha detto. “Maurizio! Ho tutti i tuoi dischi! Mi fai un autografo?” Ho ovviamente firmato Maurizio senza capire di chi stesse parlando. E Faletti mi ha raccontato che all’epoca di Drive In, durante le serate gli chiedevano a gran voce di fare il paninaro che era il personaggi di Braschi. Il grande vantaggio di fare lo scrittore è di scivolare nell’anonimato. Se Wilbur Smith va in giro per strada, nessuno lo riconosce, e magari se firma Smith in albergo pensano che sia il solito Smith cioè l’anonimo per eccellenza!
Già che ci sono ne dico un’altra che mi è stata raccontata la settimana scorsa da Andrea Brambilla in arte Zuzzurro. Dopo essersi dedicati per anni al teatro, Zuzzurro e Gaspare sono tornati in televisione a Zelig e hanno dunque ricominciato ad essere “riconosciuti” per strada. Un tipo a un parcheggio, va incontro a Zuzzurro e gli chiede un autografo. Sbuca Nino Formicola ( cioè Gaspare) e quello fa: “Ah, ma c’è anche Vecchioni!” Ora. quale collegamento fisico o artistico può esserci tra Nino Formicola e Vecchioni? Nessuno. Apparentemente il regno dello Spettacolo è quello della riconoscibilità assoluta, in realtà non è così. Tutti quelli che ne fanno parte sono percepiti come una sorta di indiscriminata razza aliena di tizi e di caio trasmutanti gli uni negli altri. A nessuno invece capita di confondere l’Uomo Ragno con Batman.
Ultima. A volte con la confusione ci si guadagna. A un festival cinematografico di Taormina, sono stato invitato insieme al mio amico regista Salvatore Samperi. Però a lui hanno dato una singola, a me un principesco appartamento perché mi avevano confuso con Nino Manfredi. L’appartamento in questione era stato appena liberato da Dustin Hoffmann. Non c’entra nulla con l’horror, ma dopotutto è domenica.
Mah, alla fine forse c’entra… Il Doppelganger è una delle anime, forse la più importante, dell’Horror, soprattutto quello “esitante” che piace tanto a Defilippi e me. Gemelli (metafisici e nascosti), Stark, Hyde, Norman & Norma, donne che vissero 2 volte, i 94 Hiltler di Ira Levin, Studenti di Praga e William Wilson. E – ancora dedicata ad Ale Defilippi- Miles versus Quint e Flora vs. Miss Jessell. A questo punto nel gioco di Specchi occorre infilarci Dracula e Van Helsing. Dracula non può specchiarsi ma può riconoscersi “al contrario” nel suo Alter Ego persecutore. E sull’aspetto è doveroso ricordare il geniale ribaltamento Hammer in cui Van Helsing-Cushing è spesso ossessionato, sino a quasi incarnare lui l’essenza del mostro persecutore, sino alla patologia dalla sola possibilità di esistenza di un Dracula di volta in volta tornato in vita… Io personalmente, in più di un episodio, ho parteggiato per il vampiro. Grama vita la sua, soprattutto nei sequel e negli apocrifi.
Posso?
Insomma, bisogna propagandare, a cominciare dal web, i “marchi di qualità”, di origine controllata, i non-ogm, e fare di tutto per sostenerli, a cominciare dal fatto di comprarne i libri.
Io con questa dichiarazione qui non sarei tanto d’accordo. La qualità è ciò che cerco nei libri, sempre. Ma non erigerei paletti del tipo: scrivi romanzi storici? Allora non puoi scrivere gialli. Scrivi di vampiri? Allora niente licantropi.
Trovo che la contaminazione dei generi sia una ricchezza in letteratura. Questo ovviamente senza nulla togliere al lavoro di chi si è dedicato all’horror per passione e preparazione. Da questo punto di vista, la mia stessa presenza in questo dibattito non avrebbe motivo di essere, poiché sui vampiri mi sono limitata (ci siamo limitate, io e Loredana Falcone) ad un racconto e con l’horror stiamo tentando un timidissimo approccio. Che dobbiamo fare? Non essendo veterane del genere non dovremmo neanche provarci? Noi andiamo, da sempre, dove ci porta la penna, la suggestione, l’emozione. E trovarci, eventualmente, un giorno additate al pubblico ludibrio per aver osato tentare la strada della paura, beh mi sembrerebbe poco intelligente da parte di chi alzasse l’eventuale indice. Ancor più se dovessimo riuscire a produrre qualcosa di interessante.
Perdonate l’assenza, ma ho avuto qualche problema di connessione.
Intanto buona domenica a tutti e grazie (di cuore) a tutti per i nuovi commenti pervenuti.
vergnani e manfredi: certo che ognuno ha le sue opinioni e io non vedo perché dovrei essere “scusata” delle mie, per il mio nome vampiresco. tanto per cambiare, le opinioni non nel coro sono un po’ meno opinioni, nevvero?
Lucy, abbiamo scritto insieme. Ho dato una rapida occhiata ai nuovi commenti (non li ho letti tutti… spero di farlo tra oggi e domani). Ma no, tranquilla, Lucy… esprimi tranquillamente le tue opinioni. Quella di Nino Manfredi, no… ehm… Valerio… cioè, no… Gianfranco… insomma, l’autore di “Ho freddo” – sul tuo nome vampirico – è una battuta. 😉
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Scherzi a parte, non tutto può e deve piacere… ci mancherebbe.
Io, però, sono personalmente grato a tutti gli intervenuti perché ho appreso tante cose nuove sull’argomento. E il confronto credo sia stato (parlo almeno per me) molto interessante.
Ciò premesso, immagino che chi ama i libri della Meyer continuerà ad amarli, e viceversa. Chi non ama la “letteratura vampirica” continuerà (probabilmente) a non apprezzarla… e viceversa.
@ Laura
Sono d’accordo con il tuo commento delle h. 5:22 pm.
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Ne approfitto per rispondere scherzosamente a Simonetta: se dovessi decidere, un giorno, di cimentarmi con il genere horror… in un modo o nell’altro per il lettore sarà un’esperienza terrificante.
🙂
Un paio di risposte su commenti di ieri che ricordo a memoria…
@ Danilo Arona e a tutti
Questa discussione continuerà fin quando ci sarà qualcuno che avrà qualcosa da dire. Questo, a prescindere dalla pubblicazione di nuovi post.
Io auspico che si protragga il più a lungo possibile.
Intanto notifico che questo post rienterà nella classifica di post più commentati di Letteratitudine (che aggiornerò nei prossimi giorni):
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/post-piu-commentati-e-post-permanenti/
Ho inviato un paio di mail ad altri “addetti ai lavori” nella speranza di aggiungere ulteriori “voci” alla discussione.
[Certo… quando dovrò selezionare gli interventi per farli rientrare nel nuovo volume di “Letteratitudine, il libro” sarà un’impresa tutt’altro che facile… della serie: troppa grazia!]
WOW! Beh, essere stata presente in uno dei post più commentati mi riempie di orgoglio, anche se nell’ambito vampirico/horror sono una extracomunitaria 😉
@ Miriam Vinci
Prof. Maugeri? Macchè professore! Io sono qui per imparare. :-))
Grazie a te per essere intervenuta e in bocca al lupo per questo tuo romanzo e per il tuo futuro di scrittrice.
Approfittane, però, per leggere con attenzione gli interessanti interventi dei veterani del genere.
Io alla parola “confronto” aggiungo sempre quella di “condivisione”. Per me è fondamentale. Non condividere necessariamente le opinioni (altrimenti il confronto verrebbe meno)… ma senz’altro condividere i saperi, le esperienze, le idee…
Per questo ringrazio, ancora una volta, tutti gli intervenuti.
Intanto ne approfitto per annunciare che ospiti della prossima puntata radio di “Letteratitudine in Fm” (sulle frequenze di “Radio Hinterland” per i residenti a Milano e provincia e per tutti – in streaming – via internet) saranno Gianfranco Manfredi e Simonetta Santamaria: martedì, 9 marzo, h. 21:30 circa.
Per info: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
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@ Laura
🙂
@ laura. Sono d’accordissimo con te. Io stesso mica scrivo solo horror e mi sono dilungato anche troppo sul valore delle contaminazioni. Lì stavo parlando di altra cosa e cioè dell’exploitation. Sarò candido, però da appassionato, un film targato Hammer mi dà più garanzie di un horror prodotto da de Laurentis. Il che non toglie che il secondo possa risultare epocale. E mi girano le palle che notissimi editori che abitualmente respingono lavori di tendenza perché li disprezzano, poi quando col filone si ci guadagna, inzeppano il catalogo di porcherie dell’ultimo minuto. Non c’è l’ho affatto con la grande editoria in quanto tale. Mondadori ad esempio nelle Collane Urania, in quelle attualmente curate da Altieri, nei suoi spesso coraggiosissimi e frustrati tentativi di collane horror, è stato serissimo, ha avuto e ha ancora un ruolo di assoluto rilievo. Tra l’altro i curatori di queste collane, leggono le opere che pubblicano. Non altrettanto si può dire della sezione “generalista”. Spesso si individua a priori un target di mercato e si cercano titoli che possano rientrarci, senza nemmeno accorgersi che magari, quel titolo in particolare non c’entra niente. Altre volte si inventano collane del tutto farlocche, tipo quella Best sellers, nella quale compaiono una quantità di titoli che Best Sellers non sono stati affatto, anzi sono stati dei veri e propri fallimenti, cioè best sellers annunciati, ma non verificatisi. In questo caso l’etichetta è un imbroglio per il pubblico. Un espediente per recuperare un titolo di cui si erano stampate decine di migliaia di copie e che aveva invece venduto pochissimo.
@ Gianfranco
Tra gli altri ho scritto proprio a Sergio Altieri: magari avrà la possibilità di fare un salto qui. Vedremo…
Per il momento vi saluto e auguro a tutti una splendida domenica sera.
(Qui piove a dirotto).
Informo Massimo che ho personalmente contattato altri autori (quelli di cui avevo la mail) per invitarli a partecipare, così che il dibattito si allarghi e chi ha postato finora possa concedersi e concedere agli altri una pausa ristoratrice. Invito gli altri a fare altrettanto. Purtroppo non ho la mai di Claudia Salvatori, mi piacerebbe moltissimo leggere il suo parere sui temi trattati.
Ottimo, Gianfranco. Grazie di cuore.
Se il dibattito si “ingrossa” ancora, potremmo prendere in considerazione la possibilità di farne oggetto di un volume a parte (opportunamente rielaborato). Una sorta di “dossier”, a più mani, sulla “letteratura dei vampiri”.
La buttò lì… che ne dite?
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Di nuovo buona serata e buona domenica a tutti.
Ti prego in previsione libro, di correggere i molti refusi in cui sono incorso per il deplorevole vizio di scrivere alla velocità del pensiero. Quando pubblico qualcosa rileggo almeno venti volte con maniacalità (e poi alla fine qualche diabolico refuso resta sempre, comunque. Il refuso è da sempre il nostro nemico occulto), ma così corrispondendo al volo la mano scorre sui tasti, e a volte il refuso fa allegria.
Volevo proprio dire allegria, non allergia.
Un saluto a tutti e, per quel che vale, un riangraziamento a chi, intervenendo, ha allargato i miei orizzonti.
Spero di risentirvi tutti presto …
Uno a parte ovviamente, a Massimo Maugeri per la bontà dimostrata invitandomi a cotanto agone …
@ Massimo. Aggiungo solo una cosa. Mi avevi chiesto se non ho capito male di infilare un mio scritto, un incipit o qualcosa di narrativo in questo blog. Non l’ho fatto e non per motivi di diritto d’autore (personalmente sono anche oltre il creative common, ritengo che nelle forme attuali il diritto d’autore sia un abominio … se continua così anche leggere un brano in pubblico diventerà preda della SIAE perdendosi tra l’altro in un calderone diritti di cui agli autori non va un dollaro bucato) . Non l’ho fatto perché mi piace seguire e partecipare alla discussione collettiva e i contributi letterari (anche quelli che sono stati pubblicati) mi riservo di leggerli alla fine, con calma e autonomamente dalla discussione.
E nella prefazione al libro, ti prego di non mettere un decreto interpretativo.
Credo che Gianfranco non abbia interpretato al 100% il mio punto nell’articolo sul “Vampiro in America” (Gargoyle). Dove ammetto, sì, che il buonismo abbia rappresentato la chiave di volta per l’ingresso del vampiro americano nel mainstream, ma considero questa una disgrazia! Quanto al film di Coppola, gli do il fatto suo (impegno produttivo a parte…). Se sono diventato lettore di vampiri, è perché volevo averne paura, ammirarli – in segreto – ed esorcizzarli. Ora, con i buoni diavoli non mi riesce proprio!
Qualcosa si potrebbe ancora dire… intanto, per caso o per complotto, la diffusione del virus dell’AIDS ha rimpinguato, piaccia o meno, di metafora linfa la parabola vampiresca. In letteratura c’è chi ne ha approfittato in modo sublime come Rex Garton (Ragazze vive) e Dan Simmons (I figli della paura), mentre per il cinema diventa ibbligatorio menzionare il cupo e intenso The Addiction di Ferrara. Ma poi ci stanno negli ultimi anni al cinema titoli alquanto devianti che non si collocano affatto nella tradizione, ma che ci buttano addosso dallo schermo problematiche tutt’altro che consolatorie. Pensate a “Il buio si avvicina” della Bigelow (una famiglia di vampiri poveracci che gira l’America alla disperata ricerca di sangue con cui sopravvivere); a “Nadja” di Almereyda con un buffo Van Helsing che si sposta in bicicletta per la Grande Mela; il western Vampires di Carpenter, dove i Cacciatori suscitano molto più ribrezzo dei poveri mostri cotti vivi alla luce del sole del deserto, e molti altri ancora… Titoli alla rinfusa che dimostrano come il più arcaico esemplare del filone gotico sia una stupena lente dì’ingrandimento per portare alla visione di tutti i Mali nascosti del pianeta… Se guardate ad es. “Vampires” nell’ottica pensata da Carpenter, vi accorgerete che è il più incredibile attacco mediatico al Vaticano degli ultimi anni… altro che la finta tenzone alla Dan Brown…
Siete già stanchi? Ma va… Per Magico Vento: l’anno scorso ho commemorato un amico in pubblico dentro il Foyer del Teatro Comunale e il Comune ha dovuto pagare la SIAE… Vampiri? Dracula è un bambino in fasce…
Un piccolo contributo sulla letteratura dei vampiri :
http://giannidemartino.splinder.com/post/21040741/Morsi+e+scrittura+nel+Dracula+
@ lucy
Confesso di non avere compreso in pieno quello che dici, e che pare abbia un po’ irritato (e lo capisco) Manfredi. Siccome ti conosco, anche se solo blogghianamente, e ti stimo (spesso mi trovo anche io in piena sintonia con te), proviamo a intenderci: tu premetti di condividere tutto quello che ho detto, poi scrivi “per interessarsi ai vampiri vecchi e nuovi ci vuole una piega dell’animo come una superficialità altrimenti inconfessabile. non a caso il successo attuale. se l’epoca in cui viviamo avesse profondità, si interesserebbe ai vivi, non ai morti: tantomeno ai non morti, foss’anche buoni”.
Ma io non dicevo questo. Anzi. Io dicevo che non mi interessa se un vampiro sia buono o cattivo, se sia capace di innamorarsi o meno. In pratica che non mi interessano minimamente i vampiri umanizzati (o parzialmente svampirizzati) che oggi sembrano fare “nuova tendenza”.
E che mi interessa invece, e ne subisco il fascino, di vampiri (o mostri di qualsiasi tipo) capaci di interrogarsi sul loro stato, sulla loro diversità. Trovo che nei vampiri (vecchi o nuovi) possa benissimo esservi grande qualità letteraria. Non capisco perché solo interessarsi ai vivi (alla realtà del mondo?) debba connotare profondità di pensiero, e interessarsi a i mostri debba essere indice di superficialità. Come se Stevenson, o Poe, o Lovecraft (o il mio amato Machen), fossero nella storia della letteratura solo di straforo, o per un accidente del caso. E tutti quelli che oggi amano King? (io, confesso, non particolarmente, ma riconosco diversi pregi in alcune sue opere, anche se certamente non tutte, forse anche poche nella vastità della sua produzione). Parlare di morti (o di non morti, o comunque di mostri) in fondo è parlare delle nostre paure, è parlare di noi, e quindi sempre parlare della nostra realtà. Forse però di quella più nascosta, e per questo ci affascina tanto.
Mostri, streghe, vampiri, licantropi, alieni, cosa sono infatti se non la metafora del diverso? E la paura che possono suscitare nel lettore, cosa se non la paura del diverso? Ben lo sapeva il cinema USA degli anni ’50 che lanciò il nuovo genere della fantascienza, che in piena guerra fredda e in clima di maccartismo serviva allo scopo di instillare nel pubblico la paura dei russi (L’invasione degli Ultracorpi, La cosa di un altro mondo, .. ecc.) . Ma al di là dell’utilizzo politico, quei film sono godibilissimi ancora oggi, e anche da chi quella superficie ideologica è in grado di riconoscere e detestare. Vuol dire che al di sotto della superficie c’è qualcos’altro, che ha a che fare con la paura nel nostro essere più profondo, indipendentemente dall’ideologia o da qualsiasi suo uso “politico” che se ne puù fare.
Fantascienza, horror, noir, terrore, in fondo sono solo tanti modi diversi per inventare storie che parlano sempre di noi, per parlare a noi, per interrogare noi e provare a dare a noi delle risposte, che non sono necessariamente delle verità, ma non è questo l’importante, né il fine.
L’unica vera distinzione possibile (come sempre) è in termini di qualità. C’è chi fa buona letteratura, chi la fa cattiva o chi scribacchia senza farla per niente. Indipendentemente da qualsiasi genere.
Nel tuo discorso sembrava invece che tu non volessi riconoscere “dignità” ad alcuni di essi. E questo non lo condivido per niente. Sorry.
no no, carloesse, confermo. tu insistevi sul buonismo di oggi e io quello sottoscrivevo. punto. dopo il punto mettevo in campo un’ obiezione sulla letteratura vampiresca del passato, del tutto personale, in termini di tiepido apprezzamento, al cospetto del quale, in proporzione, la produzione più recente mi lascia del tutto indifferente. converrai che quando un fatto letterario diventa fenomeno, moda, boom, forse c’è da essere un po’ sospettosi. sai, oltre tutto sono una conquistata al poliziesco e al noir da poco tempo, i miei retaggi mi impediscono di aprirmi troppo: sul momento, poi chissà. sono altresì restia a riconoscere pieno statuto letterario a certa para-letteratura fantasy, horror etc.: è un mio limite, ma credo che anche le persone limitate (diverse?) abbiano diritto di esprimere le loro perplessità. non ti volevo coinvolgere in idee che non sono tue, scusami. la brevitas del web può indurre a tagliare passaggi logici, necessarie soluzioni di continuità.
a proposito: touchée! io sono una che scribacchia, ma non leggiucchia!
😀
Più ancora del film Vampires l’attacco al Vaticano – molto divertente ma non per questo meno duro – lo si può trovare in Vampire$, il romanzo di Steakley da cui il film è tratto … e che credo valga la pena di leggere.
Brevissimamente: per Danilo, guarda che Garton si chiama Ray, Rex è, a scelta, il piroscafo o il commissario…
Avete tirato in ballo la figura emeblematica di Renfield: non riesco a trattenermi dall’annunciarvi per il 2011 un romanzo che, a mio avviso, si prospetta come un vero capolavoro. Parlo del THE BOOK OF RENFIELD, di Tim Lucas, fin a oggi il più straordinario tra i prequel/sequel/spin-off del Dracula di Stoker che mi sono passati tra le mani…. Attualmente ce l’ho in corso di revisione, e mi comunica sensazioni che mi non fanno rimpiangere di avere scelto l’impervia strada dell’editore.
@ Gianfranco
Tutti refusi verranno immancabilmente corretti. Parola di uomo con la camicia celeste :-))
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p.s. leggendo i tuoi commenti si scopre una tua vena ironica che – a mio avviso – potrebbe fare concorrenza a quella horror.