Luglio 27, 2024

18 thoughts on “INTRODUZIONE – “L’OCCHIO ALATO: storie di disumanizzazione scolastica” (di Miriam Ravasio)

  1. Approfitterei del bel racconto di Miriam per intavolare (come al solito) un dibattito.
    Ho estrapolato tre frasi, ma nel testo sono presenti altri “riferimenti” interessanti:

    – “Lavorare con i bambini necessita di una preparazione adeguata, una sensibilità che non può venire mai meno, un’attenzione continua e generosa.”

    – “Ogni giorno mi scontravo con l’assurdità di una logica espressa, inseguita e perseguita con incongruenza che produceva esiti incerti, comici e tristi. Paradossi da teatro, ma noi eravamo a scuola!”

    – “Come don Milani riflettevo sul significato di essere uomo, spaccando il capello in quattro per cercare di capire dove, come e quando era iniziato questo processo di disumanizzazione scolatica”.

    Parliamone. Raccontate le vostre esperienze se ne avete.
    E comunque… cosa ne pensate?

  2. Hey Miriam, complimenti. Non vedo l’ora di leggere anche le successive puntate di questa tua esperienza.
    Secondo me la disumanizzazione scolastica dev’essere vista su due binari: dal punto di vista degli insegnanti e da quello dei discenti (alunni).
    Io quando ho appreso che l’insegnante (era palermitana?) che per punizione aveva fatto scrivere ripetutamente al suo alunno “io sono un deficiente” è stata scagionata ho fatto salti di gioia. Voi che ne pensate di questa vicenda? Avete presente a cosa mi riferisco, no?

  3. Da Cicerone 4, in riferimento al commento di Elektra.

    – – –

    09 giugno 2007
    Palermo, mercoledì la sentenza con il rito abbreviato. Il pm ha chiesto due mesi di cella per «abuso dei mezzi di correzione»

    «Scrivi: sono deficiente». E la prof rischia il carcere

    Punito studente che insultava un compagno: sei gay. L’insegnante: dovevo farlo

    PALERMO — Lo sa che rischia due mesi di carcere per avere fatto scrivere cento volte «Sono un deficiente» a un suo alunno, ma anche se il processo va avanti da un anno e si concluderà mercoledì con il rito abbreviato, questa professoressa di 56 anni, da trenta in servizio alle medie, giura che da due mesi è certa che qualcosa di incisivo andava fatto: «L’ho capito il 5 aprile, quando quel povero ragazzo di Torino si è suicidato perché i bulletti della scuola lo sfottevano indicandolo come gay».
    Il tragico epilogo di Torino e la storia emersa adesso in un quartiere popolare di Palermo hanno più di un’assonanza. Nessuno difese però lo studente ossessionato da chi gli faceva il verso chiamandolo Jonathan, come il personaggio di un reality. Mentre a Palermo una protezione l’ha trovata quel bimbo additato a 12 anni come «gay e femminuccia» da un compagno di classe pronto a bloccargli l’accesso nel gabinetto dei maschietti, spalleggiato da altri bulli più grandi. Appunto, la protezione dell’insegnate che ha rimproverato il «colpevole» condannandolo alla pena delle cento frasi al centro della denuncia con cui il padre dell’irrequieto scolaro chiede pure un risarcimento di 25 mila euro per le presunte turbe psichiche provocate nel figlio.
    «Dopo tanti anni di servizio e madre di ragazzi adesso grandi, ho solo cercato di tutelare la vittima di un’ingiustizia, ragionando con tutti gli alunni sull’arroganza di quel comportamento e sul concetto di deficienza…», spiega l’insegnante che si danna di essere stata interrogata dal pubblico ministero Laura Vaccaro prima di quel cinque aprile, giorno in cui chiamò il suo legale, Sergio Visconti. «Gliel’ho detto all’avvocato che la terribile storia di Torino mi ha dato amara conferma di quel che andava fatto. Comunque vada, mi assumo le responsabilità per la scelta fatta. Perché anche nella mia storia, da una parte, c’è il ragazzino che fa combriccola con altri più grandi e, dall’altra, un bimbo indifeso, succube di chi si arroga il diritto di sbatterti addosso ogni marchio».
    La professoressa ripercorre con un certo sgomento le tappe di una escalation cominciata il 28 gennaio dell’anno scorso, quando da quel bagno un bimbo torna in lacrime, lei istruisce un piccolo processo e intima all’altro ragazzino di scrivere nel diario quelle cento frasi precedute da due righe di suo pugno per invitare i genitori a presentarsi a scuola.
    Perché non una nota sul registro? E’ la domanda del pmagli atti del processo. E la risposta è un invito a leggere quel registro: «Nei giorni precedenti c’erano state sette, otto note siglate dai miei colleghi, non da me, proprio su quel ragazzo. Una perché disturbava, un’altra perché si alzava dai banchi, un’altra ancora perché aveva danneggiato un portone… Non serviva l’ennesima nota. Occorreva una riflessione su quanto accaduto e un confronto con i genitori». Ma il giorno dopo il ragazzo torna nella scuola a due passi dal Policlinico di Palermo senza diario. «E fino al tre febbraio non c’è traccia del padre o della madre. Dal 4 all’8 io sono in malattia. Torno il 9 e l’alunno mi presenta il diario con due righe firmate dal padre: “Mio figlio sarà deficiente, ma lei è c…”».
    L’offesa brucia. La professoressa capisce che quella parolaccia è nota agli altri scolari. E teme: «Non si può affidare a un figlio quel tipo di schiaffo al docente. Una scelta devastante nell’equilibrio dei ruoli. Così salta tutto. Con serenità mi rivolgo allo studente. ‘Perché tuo padre ha scritto questo? Io vi ho spiegato cosa significa deficiente’. E lui: ‘Mio padre dice che non significa mancanza, ma è parola di offesa, l’ha cercato su Internet…’». Il pm insiste: «Non poteva seguire altre vie?». E la professoressa: «Sulla parola ‘deficienza’ abbiamo discusso a lungo cercandone l’etimologia. Ecco il compito che infine più mi ha colpito, quello di un alunno estraneo ai fatti: “Ha sbagliato la maestra a dire quella parola, a fare scrivere la parola al compagno, ma forse ha ragione lei, siamo tutti un po’ deficienti’…”».
    Felice Cavallaro

    Fonte: Corriere.it
    http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/06_Giugno/09/professoressa.shtml

  4. Questo “Gioco della strega impalata” mi ha lasciato di stucco. Mi verrebbe da dire: ma è una storia vera?
    Pensavo che il concetto di caccia alle streghe fosse relegato al medioevo.

  5. Per Rosa: i fatti sono tutti veri. Incredibilmente veri…leggerai

    Per Elektra: ho gioito anch’io. Ma adesso sono stanca, ti scrivo domani. Ciao, una felice notte.

  6. Grazie a Dio la professoressa palermitana e’ stata assolta.
    Non sempre il mondo e’ alla rovescia.

    Piccolo, stringato, sintetico commento, in forma di (tre) domande retoriche:

    1) Ma come si fa a chiedere due mesi di condanna penale per una delle poche insegnanti che cercano di limitare – come e’ loro dovere – l’imbarbarimento della scuola?

    2) Ma come si fa a tollerare un clima di continuo ricatto nei confronti dei pochi adulti che oggi tengano ai ragazzi, i quali a nessun altro spesso importano niente?

    3) Ma come si fa a non esprimere solidarieta’ e a non offrire assistenza e protezione all’insegnante perseguitata?

    (l’ultima domanda e’ rivolta ai presidi, professori, politici, giornalisti e agli altri addetti al settore scuola-cultura: gente che si ”attiva” molto in fretta solo quando si tratta di far lotte elettorali o pro domo sua, ma che tace molto bene se si tratta di affermare cose pericolose, come il sostegno a chi fa il suo dovere. Come per i poliziotti ammazzati da mafiosi e terroristi: prima si permette che qualcuno spari loro e poi si piangono lacrime di coccodrillo. Eh gia’, il mondo della scuola e’ fatto cosi’: si sta da soli, in balia dei genitori, dei presidi e di chiunque altro si senta, da un momento all’altro, di insultarci e prenderci a calci nel didietro).

    Scusatemi per la rabbia

    Sergio Sozi

  7. Dimenticavo: ho anche cercato di pubblicare, dieci giorni fa, un articolo in difesa della professoressa siciliana. Invano: nessuno voleva rischiare denuncie per quel che dicevo.
    Adesso che e’ stata assolta, pero’, posso dirvi almeno il titolo del mio intervento:

    ”Io sono un genitore deficiente”.

    Sergio

  8. Ho avuto il privilegio di leggere “L’occhio alato” di Miriam: è una ventata d’aria fresca, un modo diverso di affrontare l’insegnamento. Ho capito che si potrebbe cambiare il futuro, ma il futuro passa attraverso i bambini: solo un modo fresco, intelligente come quello prospettato da Miriam potrebbe riuscirci.
    Che avrei dato, quando ero bambino, per poter essere coinvolto nelle lezioni proposte da Miriam!

  9. @Sergio ed Elektra:
    I Dirigenti scolastici temono il calo degli iscritti, tutto quello che fa chiasso nuoce.
    Gli insegnanti, per preparazione, estraneità ambientale, burocrazia e tanti altri motivi, si sentono soli.
    I genitori vogliono bei voti e l’assicurazione che il proprio figlio è sì vivacissimo ma assolutamente intelligente.
    La psicologia, facile disciplina a portata di mano, copre, come una glassa, tutte le torte.

    Per Adriano:è vero il futuro passa attraverso i bambini.
    Grazie a te per aver letto il diario e… per tutto il resto. Un forte abbraccio

  10. @ Sergio Sozi.
    Capisco benissimo la tua rabbia. Credo che sia quella di molti di noi.
    Devo dire che nei giorni precendenti la decisione del giudice ho letto su diverse testate articoli di solidarietà nei confronti dell’insegnante e un invito al giudice a far prevalere il buon senso (come è stato).
    Comunque il problema scuola esiste e questa rubrica di Miriam offre grandi occasioni di dibattiti e confronto. Peraltro, a mio avviso, questo “L’Occhio alato” ha anche una valenza letteraria di tutto rispetto. Voi che ne dite?

  11. Miriam e’ un’ottima scrittrice (soprattutto sulla falsariga della memorialistica, diro’ semplificando), mi pare, oltre ad essere una donna forte, sia di sentimenti che di convinzioni. Magari come lei tante altre!
    Il problema della scuola comunque resta tale: tanta burocrazia, tante perdite di tempo per riunioni pseudo-democratiche e poco tempo lasciato ai docenti per studiare e per prepararsi; poca tutela quando qualche barbaro ci aggredisce, a cagione della propria barbarie, cosi’ dandoci dei ”barbari” – contraddizione frequente: tu, il civile, devi ”spiegare” con dovizia di particolari all’accusatore incivile che ”non sei come lui”. Roba da matti. Roba moderna.
    Lo Stato esiste solo alle parate militari? E chi lavora per Lui, chi lo difende? E, se tanto mi da’ tanto: chi difenderebbe mai l’Italia se venisse aggredita veramente ”manu militari”? (Attenzione, avviso ai lettori: e’ un iperbolico procedere, questo).

    Sergio

  12. SCUOLA: BOCCIANO FIGLIO E PICCHIA PROF, ARRESTATO
    Il 15 giugno picchio’ l’insegnate di educazione musicale della scuola media “Ugo Foscolo” di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), “colpevole” ai suoi occhi del mancato passaggio del figlio dalla seconda alla terza classe. Adesso, il gip Marina Salvo ha disposto l’arresto per il 35enne Benedetto Genovese, venditore ambulante di fiori, eseguito dai carabinieri su richiesta del pm Francesco Massara che ha coordinato le indagini. Il magistrato contesta al genitore violento, che nell’atrio della scuola di piazza Convento aveva sferrato all’insegnate quattro pugni, i reati di minacce, violenza a pubblico ufficiale, lesioni e tentata estorsione perche’ avrebbe preteso di far cambiare con pressioni e minacce la valutazione dell’alunno, attraverso la convocazione di un nuovo consiglio di classe. In seguito al rifiuto maturo’ la missione punitiva. Prima dell’aggressione, secondo il racconto della vittima, erano arrivate le minacce: “Quello li’ la paghera’ cara”, aveva mandato a dire. E, infatti, dopo un tentativo di mediazione, sono arrivate le botte. “Ho cercato – racconta il docente – di ricondurre alla ragione una persona che mi e’ sembrata esasperata in maniera eccessiva e spropositata, anche perche’ temevo e temo ancora di piu’ oggi delle ritorsioni”. L’uomo, posto ai domiciliari, nei prossimi giorni sara’ sottoposto a interrogatorio di garanzia.

    da Repubblica.it del 03/7/07
    http://www.repubblica.it/news/ired/ultimora/2006/rep_nazionale_n_2351679.html?ref=hpsbdx1

  13. (da Cicerone 1)

    SCUOLA & GIOVANI

    “Gli insegnanti sono diventati una specie di sotto-proletariato”

    “Raddoppiamo gli stipendi
    ai nostri professori”
    di PIETRO CITATI

    SONO così vecchio, che i professori della mia giovinezza avevano studiato ai tempi della Riforma Gentile. Non vorrei sopravvalutarla. Né vorrei sopravvalutare l’insegnamento dei miei professori di ginnasio e di liceo: conoscevano male le letterature straniere, e avevano la pessima abitudine di discutere interminabilmente le opinioni di Benedetto Croce su Dante o Leopardi o Ariosto. Ma ce n’erano alcuni straordinari. In primo luogo, meravigliosa conoscenza del greco e del latino, tanto che Giorgio Pasquali sosteneva che i migliori filologi classici provenivano dalle cattedre dei licei.

    Poi alcuni avevano un modo d’insegnamento che, in parte, si è perduto. Oggi la letteratura è studiata soprattutto come storia della cultura. Allora, i professori più intelligenti parlavano di Dante o Petrarca o Ariosto o Leopardi come se fossero una parte essenziale della vita quotidiana di ogni ragazzo. Vivevamo in loro e per loro. Uno dei miei professori discorreva di Machiavelli e di Guicciardini con tale passione e divertimento, che noi ne discutevamo tornando a casa e poi ne parlavamo a pranzo con nostro padre e nostra madre, come se tutti i problemi della vita moderna fossero illuminati dal Principe e dai Ricordi.

    Molti maestri, e soprattutto maestre, erano meravigliosi: molto più bravi di quelli ai quali De Amicis innalzò un monumento nel Cuore. Appena aprivano bocca, tutto diventava chiaro, limpido, luminoso: i numeri si addizionavano, moltiplicavano e dividevano per conto loro: i verbi irregolari non avevano più misteri; la storia diventava un romanzo d’avventure. Avevano un grande dono comunicativo: uno spirito materno maggiore, probabilmente, di quello che esprimevano a casa; e le violente o pacate tirate d’orecchie, e i rapidi colpi di bacchetta sulle mani, venivano accettati senza ribellione.

    Nei piccoli paesi, ogni maestra insegnava a due o tre classi, districandosi non si sa come in quel fantastico garbuglio. Ciascuna aveva un linguaggio e un timbro: tanto che si poteva ritrovare nelle voci dei bambini la voce delle insegnanti. E poi, la bellezza delle calligrafie (io scrivo orribilmente): tondi perfetti, linee slanciate, filettature, eleganze neogotiche. Credo che la perdita della bella calligrafia e dello studio delle poesie a memoria sia stata, come diceva Italo Calvino, una delle principali sconfitte dell’età moderna.

    Tutti sapevano che gli stipendi delle maestre e dei professori non erano alti. Ma, in generale, era una cosa dimenticata. Nemmeno i più altezzosi borghesi o aristocratici di Torino ricordavano che gli educatori dei loro figli erano pagati meno dei loro autisti, e che le professoresse non frequentavano le grandi sarte. Esisteva l’inconscia convinzione che i professori non appartenessero a nessuna classe sociale: ma ad uno strano regno, dove né danari né vestiti né vacanze costose avevano importanza.

    Sulla condizione dell’insegnamento nei licei, non posso che rinviare ad un libro preciso e piacevole di Paola Mastrocola, che possiede un’esperienza molto più diretta della mia. Ci furono periodi relativamente decorosi. Quello, per esempio, nel quale l’insegnamento nelle medie e nei licei fu assunto, quasi esclusivamente, dalle donne: lo stipendio era basso, ma integrava quello del marito; e poi rimaneva tutto il pomeriggio libero da dedicare ai figli. Ma questo interludio non fu lungo. Presto il Ministero elaborò una quantità mostruosa di materiale burocratico o semiburocratico e paraburocratico – riunioni, commissioni, moduli, discussioni, aggiornamenti, delirii – che distrussero i bei pomeriggi liberi, nei quali passeggiare o giocare con i figli.

    Per il resto, la storia della scuola elementare, delle medie e dei licei negli ultimi trent’anni è quella di un rapido disastro. Le cause furono innumerevoli: le conseguenze del voto politico negli anni dopo il 1968: la riforma della scuola elementare, che vide la dissennata suddivisione tra i maestri (come se un solo maestro non fosse capace di insegnare sia aritmetica sia italiano): l’immissione, per motivi politici, di moltissimi pessimi insegnanti: la conseguente mancanza di posti per i giovani laureati: la confusione del Ministero; la stolidità dei programmi e dei non programmi di studio. A un ragazzo di quindici anni bisogna far leggere Delitto e Castigo, che lo sconvolge e travolge, non la per lui incomprensibile Coscienza di Zeno. A questo si aggiunse l’influenza rovinosa di alcuni libri di testo, compilati da professori universitari di tendenza strutturaliste: i quali imposero ai ragazzi di imparare a memoria gli attanti e la diegesi di Gérard Genette, invece di invitarli a comprendere la bellezza e il significato della letteratura.

    Tutto questo ha portato alla degradazione della classe degli insegnanti. Cinquant’anni fa, era una non-classe, rispettata anche se non temuta. Oggi, gli stipendi miserabili hanno prodotto una sotto-classe, una specie di sottoproletariato, che possiede a malapena il danaro per vestirsi e nutrirsi, ma non per comprare un libro, sia pure in edicola. Ricordo con strazio la visione di una classe di professori, qualche anno fa: quei golfini spelacchiati, quei vestiti lisissimi. So di dire una cosa banalissima: oggi, quando la sorte della civiltà occidentale è affidata alla specializzazione, un buon liceo e una buona università sono assolutamente necessari. Invece, l’Italia ha perduto la precisione della sua vecchia cultura agricola, quando si sapeva potare un olivo e innestare una vigna. Quasi tutti lavorano in modo confuso ed approssimativo, come se la sorte del mondo non dipendesse dal dono di piantare un chiodo nel punto giusto.

    Non è più possibile continuare a pagare i professori delle medie e dei licei, che devono tornare ad essere un’élite, con gli stipendi di oggi. Gli stipendi vanno almeno raddoppiati, e via via aumentati nel corso del tempo. Gli economisti mi risponderanno che i soldi non ci sono: questa proposta porterebbe a una spaventosa catastrofe, a una disastrosa inflazione. Ma so ugualmente bene che, in Italia, quando bisogna sprecarli, i soldi ci sono sempre. Se risparmiassimo sulla rasatura delle guance dei senatori, i profumi e i dopobarba dei deputati, le tinture dei capelli ahimè biancastri delle senatrici, le bare degli assessori veneti, i cuochi e i camerieri del Parlamento, i gelati dell’onorevole Buttiglione, gli stipendi delle stenografe siciliane, i premi letterari (in gran parte finanziati dalle Regioni), la politica estera del presidente Formigoni, potremmo accumulare una ricchezza immensa.
    (3 luglio 2007)

    Fonte: Repubblica.it
    http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2007-cinque/raddoppiare-stipendi/raddoppiare-stipendi.html

  14. Ciceroni: grazie per i vostri post, siete preziosi!

    Ho appena letto l’articolo di Pietro Citati, che condivido ma a cui vorrei aggiungere alcune cose.
    Citati ci parla di una “non classe…uno strano regno, dove né denari né vestiti né vacanze costose avevano importanza”. Anni fa (facciamo finta che sia una favola)gli insegnanti dell’intera penisola si distinguevano dagli altri come gli appartenenti ad una categoria elitaria, privilegiati dal rispetto, che l’intera nazione riconosceva loro. Rispetto, devozione e stima, i loro stipendi erano miseri, i loro golfini lisi e smunti, ma il corpo insegnante formava la nazione. Erano tempi. Mi suona in testa una canzone
    “quelli eran tempi” dove il lavoro dava appartenenza, le corporazioni (organizzate o no)erano identitarie e in tutti i lavori, anche in quelli più faticosi e umili, c’era motivo d’orgoglio e, addirittura, davano un senso alla vita. In tutti c’era anche un po’ di vocazione.
    Poi, ovviamente le cose sono cambiate, ci siamo moltiplicati, sviluppati, riorganizzati, ecc e siamo diventati categorie.
    Possiamo pensare veramente che un raddoppio dello stipendio possa, in qualche modo, cambiare l’attuale misero stato in cui versa la scuola? Basteranno i soldi a riportare gli insegnanti ad una Dimensione Umana che non esiste più? Io credo proprio di no! Non voglio dire che le paghe degli insegnanti siano adeguate, ma penso che anche un raddoppio dello stipendio non cambi proprio nulla. Tempo fa telefonai ad un dirigente scolastico per proporre ufficialmente un progetto, che mi era stato ufficiosamente richiesto dagli insegnanti; gli proposi, nell’attesa della riunione, di inviare le sei cartelle via e-mail. La sua risposta fu lapidaria: ! Il tizio in questione era il dirigente di una scuola superiore professionale. Lascio ai lettori il commento. Io, Miriam a chi non sa ancora usare il computer, un raddoppio di stipendio, non lo concederei mai! Dalle materne alle elementari l’uso del computer ormai è diffuso ed è abitudine comune di maestre e collaboratori scolastici; alle medie e alle superiori invece no, c’è reticenza, perché?

    PS. Ancora una cosa: avete in mente il compenso ai politici, lavorano forse meglio?

  15. In effetti sull’articolo di Citati si potrebbe aprire un dibattito a parte!

    “Basteranno i soldi a riportare gli insegnanti ad una Dimensione Umana che non esiste più?”, scrive Miriam.
    Probabilmente no. Però potrebbero bastare per farli andare in giro con vestiti meno lisi. Poi, per carità… come l’abito non fa il monaco, così il vestito non fa l’insegnante.
    Voi che ne dite?

  16. Cara Miriam:
    l’educazione riguarda la preparazione culturale degli allievi. E per dare una preparazione culturale buona agli italiani del futuro, credimi, non e’ per nulla importante saper usare il computatore (lo chiamo cosi’, il ”computer” degli americani, parola derivata dal nostro Latino e che in italiano significa appunto ”computatore”). La cultura migliore, Socrate le trasmetteva oralmente, no? E’ indiscutibile che costui fosse migliore di questi signori ”geni dell’informatica” di oggi (spesso ignoranti d’altro).
    Pertanto, il raddoppio di stipendio, gli insegnanti dovrebbero averlo insieme al dimezzamento dell’orario di lavoro, o almeno insieme all’eliminazione delle scartoffie da compilare e delle inutili riunioni ”pseudodemocratico-burocratiche” a cui vengono obbligati.
    Ma lo Stato dovrebbe chiedere ad un insegnante di saper sillabare correttamente e di conoscere Carducci. Di saper scrivere con buona calligrafia corsiva e stampatella alla lavagna e sui quaderni – dico solo per esemplificare e semplificare.

    In sintesi: lo Stato dovrebbe chiedere ai docenti il possesso di un elevato tenore culturale da verificare ogni qualche anno, in cambio di questo impegno da parte docente dando stipendi molto migliori a questi suoi servitori.
    Semplice.
    Dunque, credo che la tecnologia e la cultura non siano due aspetti della stessa medaglia. Anzi. Tutt’altro: piu’ una scuola e’ ”tecnicamente dotata” e meno gli alunni ne sanno di Dante, Pitagora eccetera; cosi’ vedo la scuola italiana – ed europea – di oggi: tante buffonate, progetti, tecnologia, spettacoli organizzati, gite e viaggi, scambi, iniziative le piu’ pazze, ma cultura vera in diminuzione, in caduta libera. Io non condivido questo tipo di scuola massmediatico-globalizzata: per me la scuola italiana e’ fatta di docenti colti e studenti, libri, cattedre e lavagne.
    E molto amore fra costoro, naturalmente. Naturalmente, Miriam.

    Con la solita cordialita’
    Tuo
    Sergio

  17. Carissimo Sergio, a volte fatico a mettere in relazione il tuo viso con le cose che scrivi. Ti penserei diverso.
    Il “computatore” non è male, ad ogni modo oggi è uno strumento indispensabile e ineludibile e se poi ad usarlo sono i creativi come me, il mezzo, come lo chiamo io o compiuter, come correttamente tutti pronunciano, è una COSA STRAORDINARIA. Aiuta nello studio, nella ricerca e nella comunicazione come niente altro. Certo a Socrate stavano sulle scatole anche i dipinti:” E lo scritto anche questo ha di terribile, che somiglia veramente alla pittura. Infatti le creature generate da questa si ergono come esseri viventi: ma se chiedi loro qualcosa serbano solennemente un assoluto silenzio”. Ho fatto dei disegni con questa scritta, se mai un giorno ci conosceremo te ne regalerò uno, ne sarei felice.
    Citati nel suo scritto dice che “a un ragazzo di quindici anni bisogna far leggere Delitto e Castigo, che lo sconvolge e travolge, non la per lui incomprensibile Coscienza di Zeno”. E’ questo il punto! Ci fermiamo sempre lì fra Zeno e Rosso Malpelo. Facciamo così; aumentiamo gli stipendi agli insegnanti riducendo le ore, contemporaneamente però diamo il via a quella rubrica quotidiana d’informazione libraria: segna la pagina.

    Con affetto, miriam

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