Marzo 19, 2024

104 thoughts on “IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ANNA MARIA ORTESE

  1. La Ortese nacque a Roma il 13 giugno 1914 (morì, a Rapallo, il 9 marzo 1998).
    Come ho scritto sul post, a cento anni dalla nascita, nella tradizione di Letteratitudine, vorrei ricordare questa nostra grande scrittrice con il vostro aiuto.

  2. Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Anna Maria Ortese con l’intento di celebrarla, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questa nostra grande scrittrice a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere, tra cui vanno citate senz’altro (giusto per ricordarne qualcuna): Il mare non bagna Napoli (1953, premio Viareggio), L’iguana (1965), Poveri e semplici (1967, Premio Strega), Il porto di Toledo (1975), Il cardillo addolorato (1993) e Alonso e i visionari (1996)…

  3. …ma chiedo a tutti di partecipare all’iniziativa lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Anna Maria Ortese e la sua produzione letteraria.

  4. Come ho precisato sopra, qualunque tipo di contributo sulla vita e sulle opere di Anna Maria Ortese (citazioni, stralci di brani, considerazioni, recensioni, link a video e quant’altro) è gradito.
    Siete tutti invitati a intervenire, dunque.

  5. Ciao Massimo. E’ da tempo che aspettavo la proposta di un nuovo dibattito da parte tua. Sono particolarmente contenta di questo, perché ho letto Ortese e la apprezzo molto.
    Una scrittrice che forse non è ancora stata pienamente apprezzata che tutti i suoi meriti, benché abbia avuto un buon riscontro e ottimi riconoscimenti.

  6. «Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch’è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento. Il mare! Ecco cos’è una vita quando gli anni si mettono a correre tra noi e la riva diafana sulla quale siamo apparsi la prima volta: assopito, remoto, mormorante mare»
    (Il Porto di Toledo).

    1. Salve. Questo passo è da tutti accreditato nel Porto di Toledo, ma io il romanzo l’ho letto da cima a fondo, ma non l’ho trovato. Mi sa dire dove è? Saluti

  7. «Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch’è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento. Il mare! Ecco cos’è una vita quando gli anni si mettono a correre tra noi e la riva diafana sulla quale siamo apparsi la prima volta: assopito, remoto, mormorante mare»
    (Il Porto di Toledo).

  8. Credo che siamo di fronte anche a una grande donna, non solo a una grande scrittrice.
    La Ortese ha sempre avuto la capacità e il merito di scrivere ciò che desiderava e di ciò in cui credeva, andando anche controcorrente e rischiando.

  9. Spero che domani anche la televisione ne dia notizia, di questa ricorrenza.
    Intanto grazie per i videodocumentari postati. Li vedrò con calma.

  10. Anna Maria Ortese è una grande scrittrice. Sarebbe bello che ogni città dedicasse eventi per ricordarla in occasione del centenario.

  11. Grazie per questa iniziativa di Letteratitudine.
    Molto belli gli interventi speciali delle 4 scrittrici: Battista, Cilento, Lo Iacono, Maraini.

  12. Ortese,ricerca di senso.Corpo celeste:”La libertà e’ un respiro.Ma tutto il mondo respira,non solo l’uomo”

  13. Caro Massimo, sono molto felice per questa discussione finalizzata a ricordare la Ortese.
    Provo a rispondere alle tue domande

  14. 1. Che rapporti avete con le opere di Anna Maria Ortese?
    Ottimi. Ho letto quasi tutti i suoi libri. Molti li ho letti diversi anni fa, dunque è necessario procedere a una rilettura. Parte del mio tempo libero estivo sarà dedicato a questo.

  15. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    “Il mare non bagna Napoli” mi ha sempre affascinato particolarmente, anche per il coraggio con cui ha raccontato le squallide condizioni della Napoli del dopoguerra

  16. 3. E l’opera della Ortese che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    Credo che “Il mare non bagna Napoli” sia anche l’opera più rappresentativa della Ortese, probabilmente la più nota.

  17. 4. Tra i suoi racconti, qual è quello che preferite?
    Mi piace molto ill primo racconto di “Il mare non bagna Napoli”. Si intitola “Un paio di occhiali”. Nel 2001 ne hanno anche fatto un film per la regia di Carlo Damasco.

  18. 5. Tra le varie “citazione” della Ortese di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Erano molto veri il dolore e il male di Napoli, uscita in pezzi dalla guerra. Ma Napoli era città sterminata, godeva anche d’infinite risorse nella sua grazia naturale, nel suo vivere pieno di radici. (da Il «mare» come spaesamento, aprile 1994, introduzione a Il mare non bagna Napoli, Adelphi, 1994)

  19. 6. A cento anni dalla nascita, qual è l’eredità che Anna Maria Ortese ha lasciato nella letteratura italiana?
    Un’eredità molto importante e peculiare, che la differenzia da altri scrittori. Riporto un passaggio estrapolato dalla enciclopedia Treccani: ” Ortese si affidò sempre alle sollecitazioni del mondo esterno, di un realtà con cui si è sentita eternamente «in polemica», in un bisogno estremo di sincerità. Ha oscillato tra l’inchiesta giornalistica e l’invenzione narrativa, rifiutando programmi ideologici o di poetica”.

  20. E’ un romanzo che immette il lettore nel cuore del mistero dell’esistenza, dei suoi annaspi contraddittori, vita e morte, umiltà e fierezza, docilità e violenza, amore e odio.

  21. E’ la storia accorata di tre viaggiatori nordici, il principe Ingmar Neville con l’amico artista Albert Dupré e il commerciante Alphonse Nodier. Giungono a Napoli in pieno secolo decimo ottavo e ai loro occhi si apre un paesaggio così incantevole che “non poterono quasi reprimere un grido d’ammirazione”.

  22. Ma, ad un certo punto, l’Autrice interrompe la descrizione: “E qui ci fermiamo. Rievocare i paesaggi del passato non si può, diremmo che Dio non vuole; vi è in essi alcunché dell’Eden consentito all’uomo una volta sola… egli non può rientrarvi.”
    Si rende necessario dunque frenare la percezione della bellezza e tanto più se essa è legata al passato, un tempo che è concesso violare una volta soltanto, che é perdonato all’uomo vivere in un unico atto.

  23. E su tutta la vicenda campeggia il cardillo, il tragico uccello, il cui canto risuona malinconico e disperato, mettendo a nudo la labilità di ogni cosa umana.
    Nel romanzo, ne offre una definizione meravigliosa la vecchia domestica Ferrantina; alla domanda del principe: “Credete, dunque, che il Cardillo nuoccia a chi lo ama?” Ferrantina risponde: “E’ così… Distrugge chi lo ama… Perché è la nostra memoria, signore… il desiderio dei giorni belli…i giorni impossibili, che tutti abbiamo incontrato… almeno una volta nella vita.”

  24. Sintesi dolorosa e dorata delle bellezze e angustie di Napoli, “Il cardillo addolorato” è un libro che non può piegarsi a definizioni, perchè è come la stessa Ortese. Luogo di visione, ma anche di disinganno, e cuore di metamorfosi, ma anche di immobilismi, e favola barocca, ma anche nostalgia di fine, come un’accesa e arida narrazione decadente.
    La Ortese è stata tutto questo: incantatrice ma anche realista, dominata da un senso sacro della percezione del mondo.

  25. E Napoli era sintesi di tutto questo: falsità e verità, oro e miseria, fasto e vergogna.
    Della città amatissima diceva: “Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui, […] tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, […] tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva […] una impressione stranissima, come di una orchestra i cui istrumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di meravigliosa confusione”

  26. Caro Massimo,
    che dire di Annamaria Ortese che già non sia stato detto? Per me è grandissima, un mito, un punto di riferimento, uno sguardo lucido, disincantato e nello stesso tempo colmo di amore, credo, per Napoli che condivido. Ho letto molto di lei, senza presunzione quasi tutto. Nel mio cuore ci sono i suoi romanzi, i suoi scritti che mi hanno accompagnato nelle diverse stagioni della mia vita. Scusami non rispondo a tutte le domande ma voglio solo dire che “Il mare non bagna Napoli”, “Poveri e semplici”, “Il Porto di Toledo”, “Il Cardillo addolorato”, questo per fare solo un accenno alla sua straordinaria produzione letteraria, sono i miei baluardi. Chi scrive e scrive a Napoli come me, a mio avviso non può prescindere dalla Ortese, dalla magia della sua letteratura, dall’incanto della sua lingua onirica, barocca, eppure così reale e tragica. E’ un faro a cui guardare con umiltà e perseveranza. Credo che oggi – rispondo all’ultima domanda – a cento anni dalla sua nascita, in una epoca di linguaggi spesso usa e getta, di affannose velocità, di scritture polimorfe e talvolta sospese nella vacuità, lei rimane uno dei più grandi riferimenti della letteratura italiana. Grazie per aver rammentato questo straordinario anniversario. Saluti cari.

  27. Effettivamente è difficile poter dire su un’autrice così immensa qualcosa che non sia già stata detta da persone più competenti di me. Penso che sia un tipo di scrittura così densa così profonda da richiedere più di un approccio. Sono legata al primo libro letto: “Il mare non bagna Napoli”, ed in particolare ad un racconto. Questo è Interno familiare, la storia di Anastasia Finizio, donna non più giovane con una vita grigia e triste risvegliata da una vana speranza di un vecchio amore. I sogni ingenui della donna immersa in una realtà quotidiana senza felicità si infrangono di fronte alla realtà della notizia di lui che sposerà un’altra.
    «Un sogno, era stato, non c’era più nulla. Non per questo la vita poteva dirsi peggiore. La vita… era una cosa strana, la vita. Ogni tanto sembrava di capire che fosse, e poi, tac, si dimenticava, tornava il sonno».

  28. Significativo è anche Corpo celeste, un insieme di pensieri della scrittrice che ci lasciano emergere il dolore e la sua visione di un mondo sempre meno umano.
    Mi pare essere tristemente attuale questa parte:
    “…Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze
    umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che
    sono tutte le altre specie -, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per
    una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto
    il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come
    un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.”

  29. Un abbraccio a Massimo e grazie per queste occasioni di riflessioni…
    Grazie anche a tutti i bellissimi contributi letti.

  30. Carissimi amici, grazie di cuore a tutti per i vostri ottimi interventi!
    Ne approfitto per salutarvi e ringraziarvi singolarmente a partire dalle amiche scrittrici per i loro contributi “speciali” su LetteratitudineNews.

  31. Buongiorno! Ieri poi non sono riuscita ad intervenire. Lo faccio oggi, che è il “the day”.

  32. Mi piace riportare qualche notizia biografica sulla Ortese (fonte wikipedia). Secondo me è importante leggere le opere di un autore tenendo conto anche della sua vita. Forse avrei fatto prima a mettere il link, però così i pigri possono leggere anche da qui senza aprire una nuova pagina. 🙂

  33. Anna Maria Ortese nasce a Roma il 13 giugno del 1914, figlia di Oreste Ortese, originario di Caltanissetta, un funzionario di Prefettura, e di Beatrice Vaccà, originaria di Napoli, una discendente da una famiglia di scultori originari di Lunigiana. La scrittrice ha cinque fratelli e una sorella, Maria, con la quale conviverà per tutta la vita.

    Nel 1915, con l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, il padre è richiamato nell’esercito e la moglie, i figli, e la nonna materna lasciano la capitale e si trasferiscono in Puglia e poi in Campania, a Portici.

    Nel 1919, alla fine del conflitto, la famiglia si riunisce a Potenza, nuova sede di lavoro del padre, e vi soggiorna fino al 1924. Qui la Ortese frequenta le prime classi della scuola elementare che riprende dal 1925 al 1928 in Libia, dove la famiglia va a risiedere per tre anni.

    Nel 1928 ritorna in Italia, a Napoli dove frequenta per un breve periodo una scuola commerciale. I suoi studi sono irregolari e la sua formazione sarà quella di un’autodidatta.

  34. Nel gennaio del 1933 muore alla Martinica, dove si trovava con la sua nave, il fratello Emanuele, marinaio. La perdita dell’amato fratello le lascia un dolore cupo, uno smarrimento che la porta a scrivere.

    Pubblica dopo alcuni mesi sulla rivista L’Italia letteraria alcune poesie che le valgono qualche elogio e il primo incoraggiamento a scrivere. L’anno successivo, sempre per la stessa rivista, scrive il suo primo racconto, Pellerossa, “…dove è adombrato un tema fondamentale della mia vita: lo sgomento delle grandi masse umane, della civiltà senza più spazi e innocenza, dei grandi recinti dove saranno condotti gli uomini comuni”.

  35. Nel 1937 la Bompiani, consigliata da Massimo Bontempelli, pubblica i racconti Angelici dolori, i quali sono accolti con molto favore, ma anche con violente critiche da Enrico Falqui e Giancarlo Vigorelli.

    Sempre nel 1937 un altro grave lutto colpisce la scrittrice: muore in Albania il fratello gemello Antonio, marinaio come Emanuele.

    Dal 1938, insieme alla famiglia, la giovane Ortese incomincia a spostarsi in varie città dell’Italia settentrionale, Firenze e Trieste, nel 1939 è a Venezia, dove trova un impiego come correttrice di bozze al Gazzettino.

    Nel 1939 si reca a Trieste e partecipa ai Littoriali Femminili, vincendoli: ciò le consente di collaborare con importanti riviste come Belvedere, L’Ateneo veneto, Il Mattino, Il Messaggero e Il Corriere della sera.

  36. Anna Maria Ortese e Napoli

    « Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui, (…) tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, (…) tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva (…) una impressione stranissima, come di una orchestra i cui istrumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di meravigliosa confusione… »
    (Anna Maria Ortese, L’Infanta sepolta, Adelphi, Milano 1994, p. 17. )

    Nel 1945 ritorna a Napoli, e in questa città per lei quasi magica, l’ispirazione e l’immaginazione della scrittrice trovano presto un correlativo oggettivo per manifestarsi appieno.

    Nel dopoguerra collabora alla rivista Sud, diretta da Pasquale Prunas accanto a giovani scrittori come Luigi Compagnone e Raffaele La Capria.

    Il suo secondo libro di racconti “L’Infanta sepolta” arriva nel 1950, e nel 1953 pubblica la raccolta di novelle “II mare non bagna Napoli”, alla quale viene assegnato il Premio speciale per la narrativa all’edizione 1953 Premio Viareggio.

  37. “Il mare non bagna Napoli” consiste di cinque capitoli, aventi come oggetto le squallide condizioni della Napoli del dopoguerra, caratterizzata da disperazione e senso di rovina. Dal primo racconto della raccolta, Un paio di occhiali, è stato tratto nel 2001 un film (regia di Carlo Damasco) presentato alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Ma è soprattutto l’ultimo racconto, II silenzio della ragione, dedicato agli scrittori napoletani, che suscita in città violente opposizioni, tanto che l’Ortese avrà difficoltà a tornare a Napoli, almeno fisicamente, perché la sua mente non finirà mai di ricordare la città, come testimoniano i due libri scritti molti anni più tardi: “II porto di Toledo” (1975) e “II Cardillo addolorato” (1993). Inizia per la scrittrice un periodo molto sofferto e problematico, d’emarginazione e di strisciante ostracismo, a causa delle sue posizioni critiche nei confronti del mondo intellettuale e culturale dell’Italia dell’epoca.

  38. Anna Maria Ortese e Milano

    In uno dei suoi trasferimenti a Milano scrive alcuni racconti che sono raccolti e pubblicati nel 1958 dalla casa editrice Laterza con il titolo “Silenzio a Milano”.

    Da un racconto di questo libro, I ragazzi di Arese fu realizzato un documentario cinematografico trasmesso nell’ultimo numero di RT di Enzo Biagi, per la regia di Gianni Serra.

    La Ortese riprende a viaggiare sia in Italia sia all’estero (Londra, Mosca) scrivendo ottimi reportage. Nel 1963 scrive L’iguana romanzo pubblicato dalla Vallecchi due anni dopo.

    Di nuovo a Milano nel 1967 pubblica “Poveri e semplici” che vince nello stesso anno il Premio Strega, libro che avrà un seguito ne “Il capello piumato” (1979).

    Tra 1967 e il 1969 va collocata la stesura del testo teatrale “Il vento passa”, come ha dimostrato Pasquale Sabbatino.

  39. L’Ortese, nonostante il suo carattere individualista, ha a cuore la comunità ma reagisce a suo modo, rifugiandosi nei ricordi dei primi racconti, e così le ritorna alla mente l’adolescenza, la Napoli che non aveva capito o veduto, tutt’altro che letteraria o angelica. La situazione non felice della città e della famiglia, la madre impazzita, la tragica morte dei fratelli e gli eventi grandiosi e disgreganti delle guerre, portano la scrittrice a scrivere “Il Porto di Toledo”, pubblicato nel 1975 da Rizzoli. La prima edizione del libro per disavventure editoriali viene portata al macero e la scrittrice con grande ostinazione e abnegazione continuerà a lavorarci fino alla fine dei suoi giorni.

  40. Gli ultimi anni

    Anna Maria Ortese nel 1975 si trasferisce con la sorella a Rapallo.

    A partire dagli anni ottanta, inizia una corrispondenza con Beppe Costa che la spinge a pubblicare prima “Il treno russo”, con il quale viene premiata a Rapallo, e successivamente “Estivi terrori”.

    Usufruisce della Legge Bacchelli grazie alla raccolta di firme ed interventi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri organizzata dallo stesso Costa insieme a Dario Bellezza e alla giornalista Adele Cambria.

    Lo stesso Costa la convince ad accettare la proposta del direttore della casa editrice Adelphi, Roberto Calasso, di ristampare le vecchie opere. Tra queste “L’iguana”, che nel 1988 viene tradotta in francese da Gallimard ottenendo un discreto successo anche in Francia.

    Durante gli ultimi anni spezza l’isolamento trascorrendo brevi periodi a Milano, ospite di Adelphi.

    Sono pubblicati “Il cardillo addolorato” (1993), ambientato in una magica Napoli settecentesca, e “Alonso e i visionari” (1997), nei quali torna a parlare di sé, anche se in modo velato. Nel 1997 la giuria del Campiello le assegna il premio alla carriera.

    La casa editrice Empirìa pubblica due raccolte poetiche Il mio paese è la notte (Roma 1996) e La luna che trascorre (Roma 1998).

    La morte la coglie nella sua casa di Rapallo il 9 marzo 1998.

  41. «Ah, io non mi sbagliavo! Vi era qualcosa, vi era una fine polvere, un filtrare sottile di avvertimenti, in tale discorso; vi era un franco quasi brutale conoscimento della mia situazione di toledana sulla via dell’Ovest, ma da qualcosa smarrita, fermata; e questo qualcosa è incivilitudine, ignoranza, inadeguatezza alla vita, gli averi, il medesimo minimo essere. Vi era un dirmi assai rapido «costruisci qualcosa, e fuggi, Damasa». Vi era, in quella disperata, radente allusione a Lemano, vi era trasporto del cuore, incitamento taciuto e puro; cosa che dire non serve, ma accenna: che là, dove lui era, crescendo, divenendo adulta, raggiungerlo, forse, avrei potuto. Là, dove orrore esaltante della vita, sua altezza, anzi segreto strepitoso, – sempre appena intuito, – precipitare, infine. Là, un giorno, divenuta consapevole e svelta, potrò con gli altri allinearmi sulle vie dell’Ovest, vie di radente luce.
    (Sì, era così.)
    Avrei, forse, avuto Lemano là; e sempre al suo fianco perduta, nella sua giacca contro il viso perduta, e poi naufragio. Naufragio di tutto.»

    Da «Il Porto di Toledo»

  42. Comprai il “Cardillo” a non molta distanza dalla sua uscita. Non sembrava nelle mie corde. Lo abbandonai e me ne dimenticai. Lo ripresi, con curiosità, diversi anni dopo, dopo avere conosciuto Franz Haas, un allora giovane lettore di tedesco all’Università di Roma, e oggi professore a Milano, che la aveva conosciuta e aveva intrattenuto con lei una certa corrispondenza. Me ne decantava il valore indiscutibile. Poi, proprio in queste pagine di Massimo , fu postato un parallelo tra Ortese e Ingeborg Bachman, a cura di Antonella Cilento. A quel punto mi tuffai nell’universo Ortese scoprendone i tesori. Ancora una volta mi fu difficile valicare i muri di un libro ostico e difficile come “Il Porto di Toledo”, ma vi trovai la chiave dopo avere letto “L’Iguana”, e a quel punto Ortese divenne per me una delle figure più notevoli della letteratura del 900, e non parlo di quella italiana (che peraltro ancora oggi la sottovaluta, tendendo nel peggiore dei casi ad ignorarla). Oggi tra il “Cardillo” e “Toledo” non saprei quale scegliere come sua opera più rappresentativa. Del primo mi affascina il magico equilibrio, così perfetto, tra realtà e fantasia magica, tra i toni lievi e drammatici, nella coralità dei personaggi, sia maschili che femminili, e nelle loro storie che si intrecciano in un vortice perfetto. Sembra che la scrittrice qui venisse sfiorata da una particolare grazia.
    Dell’altro la capacità di trasfigurare i propri personali ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza in una storia originalissima, quasi una fiaba.
    La struttura del libro è labirintica, onirica, volutamente falsa nel prendersi gioco del tempo e dei luoghi. Infarcita di poesie e racconti che altro non sono che i componimenti giovanili della stessa Ortese, apparsi (spesso con varianti) tra le sue prime pubblicazioni. Una sorta di falsa autobiagrafia quindi (o come dice il sottotitolo, un libro di “Ricordi della vita irreale”). Ma reale e irreale si fondono nella magia visionaria e stupefacente della Ortese che indaga sul senso della memoria, in un grande gioco di scatole cinesi dove si confondono l’autrice gli altri personaggi, e il luogo e i tempi (Toledo-Napoli, epoche borboniche-anteguerra e dopoguerra, adolescenza-maturità, quasi personaggi essi stessi).

  43. Altri tesori sono raccolti tra i suoi racconti. Non tanto quelli del famoso “Il mare non bagna Napoli” (notorietà forse dovuta più alle polemiche, non certo cercate dalla Ortese, così isolata e riservata) che considero un’opera minore, ma quelli di “In sonno e in veglia” o quelli più giovanili dell’ “Infanta sepolta”. Tra tutti però la mia scelta va a quel piccolo gioiello che Adelphi ha più recentemente pubblicato a se stante: quel “Mistero Doloroso” che ha già in uno dei racconti di “In sonno e in veglia” un abbozzo con diversa variante, e la cui storia viene riutilizzata parzialmente anche in un capitolo del “Cardillo”.

  44. Un’ultima e azzardatissima considerazione finale: solitaria e unica nel mondo letterario italiano, lontanissima da qualsiasi scuola o corrente, isolata nella vita come nel panorama culturale, mi viene in mente un unico parallelo, peraltro, come detto, scandalosamente azzardato: quello con il fumettista e regista giapponese di cartoni “anime” Hayao Myiazaki. Forse l’animismo vagamente panteistico della Ortese è più vicino alla sensibilità orientale che alla nostra. Forse nelle fanciulle sospese tra realtà e sogno, e nella loro difesa della bestia (il “Drago” della Ortese e gli enormi cinghiali , o i genitori della bimba tramutati in maiali, o altri esseri spiritici di Miyazaki), nella loro capacità di percepirne e condividerne il dolore, possiamo scorgere proprio la stessa bambina della “Città Incantata” o la “Principessa Mononoke”.
    Non credo proprio che la scrittrice italiana e l’anziano regista giapponese (che io considero uno dei grandi maestri del cinema) abbiano mai avuto modo di conoscere le reciproche opere, così lontane per genere di espressione artistica e per terra d’origine. Ma mi piace pensare che se avessero avuto modo di incontrarsi si sarebbero piaciuti. E forse molto.

  45. Ottimo forum dedicato alla grande Ortese. Un modo per compensare il quasi totale silenzio della carta stampata.
    Vi sono grato.

  46. Ciao cara Simo, ho trovato una bella occasione per me di farmi vivo nuovamente qui. Quella di potere parlare di uno fra i miei scrittori preferiti in assoluto, e ringrazio Massimo di essere uno dei pochi a ricordarsene in questi giorni, a testimonianza di quanto ci sia ancora da fare, qui in Italia, per portarla al riconoscimento che merita.
    Un saluto a tutti i vecchi amici di Letteratitudine, ed ai nuovi. e uno speciale a Massimo , e ad Antonella Cilento, che contribuirono non poco a farmi scoprire la Ortese (e poi anche la Bachman, che non è certo da meno).

  47. Non resisto all’incipit!
    “Sono figlia di nessuno; nel senso che la società, quando io nacqui, non c’era, o non c’era per tutti i figli dell’uomo.”
    Ma confesso anche di non aver avuto in gran simpatia, tra i “ricordi della vita irreale”, le prose ritmiche. Dovrei forse rileggerle.

  48. Amo molto Anna Maria Ortese, scrittrice che scoprii intorno ai miei vent’anni, circa trent’anni fa.

  49. Vorre aggiungere qualcosa alle bellissime considerazioni e commenti che sono stati condivisi, ma temo di non aver nulla di particolare da aggiungere.
    Ci tengo però a ringraziarvi davvero per aver creato questo spazio di libera circolazione del pensiero dedicato alla Ortese ed ai suoi libri.
    GRAZIE!

  50. Il 17 dicembre ricorderemo A.Maria Ortese a Perugia alla biblioteca di S.Matteo degli Armeni con letture dai suoi testi.

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