Novembre 15, 2024

210 thoughts on “FACCIAMO SILENZIO di Vladimir Di Prima

  1. Lo abbiamo detto altre volte. Un libro non si può giudicare da un estratto di testo. Ma noi non siamo qui per giudicare… pittosto per discutere, giusto?
    Tuttavia sentitevi liberi di esprimere le vostre impressioni sul testo che Azimut ci ha messo a disposizione.
    Questa è la formula che ho scelto di adottare. Ogni volta che, nella presentazione di un libro qui a letteratitudine, non troverete “l’estratto” vuol dire che non ho aottenuto l’autorizzazione da parte dell’editore.

  2. @ Serena Chiarion:
    Ti ringrazio molto per la recensione e ti invito a partecipare al dibattito.

    Ovviamente Vladimir Di Prima sarà a disposizione di chiunque desideri interagire con lui.

  3. Prima di addentrarmi nello specifico testo presentato lascio una traccia mia legata alle domande per il dibattito.
    I silenzi sono un tema che mi sta molto a cuore perchè li sento ovunque, li vedo nelle dinamiche familiari, nelle relazioni di qualsiasi tipo e natura, li ritrovo in talune scelte, sono causa di molte azioni, abbandoni, perdite, sospensioni.
    Molti silenzi celano parole non dette. E tutto quello che non diciamo, teniamo dentro, si trasforma in un ‘certo’ tipo di silenzio. Che non da pace. Non costruisce, il più delle volte distrugge perchè trattiene.
    Ci sono poi silenzi necessari, per recuperare equilibri, per allentare tensioni, ritrovare il giusto contatto con se stessi. Per ‘mollare la presa’ direbbe qualcuno.
    Secondo me però sono molto più numerosi i silenzi nocivi. Sono ormai radicati in talune dinamiche (anche intime, di affettività profonda). A volte è più semplice tacere, più comodo diciamo solo che si trascurano troppo facilmente gli effetti di questo ‘non dire’ per evitare che.
    Altre volte semplicemente ci vergognamo. Di dire ‘certe’cose che sono poi sempre le stesse, legate ai sentimenti importanti. Ci sembra che non sia mai l’occasione giusta. Finchè l’occasione svanisce, non ci sarà più.

  4. Dimenticavo il fattore carattere.
    Ci sono persone che non considerano ‘silenzi’ talune parole non dette. Semplicemente perchè non sentono il bisogno di esternarle, o perchè sono state abituate a vivere in questo modo, a trattenere diciamo. Certi muri nascono così, trasformando in routine il non dire, anestetizzando la voglia di condividere, di raccontare, ascoltare.
    Perchè se c’è silenzio non ci si deve preoccupare di ascoltare. Ascoltare può essere faticoso. Capire altrettanto. Condividere può diventare un’intrusione se.
    E il paradosso che ritrovo spesso è che viviamo in un mondo di rumori, suoni, musiche, radio, televisioni, chiacchiere ma se scaviamo (non tanto, un pò) scopriamo di aver trascorso la giornata in silenzio.

  5. OOOOOOOOO finalmente uno scrittore sicilianoooooooooo. Era oraaaaaaaaaaaaa 🙂
    Dunque, ho letto molto di corsa, causa fretta, l’estratto del libro in questione ma ovviamente mi riprometto di rileggerlo con calma.
    Intanto rilevo una scrittura, nervosa, incazzata, da pesci in faccia e senza compromessi. Mi piace….per ora

  6. ps:
    ho visto or ora che l’autore si sta specializzando in criminologia. ecco perché “mi bruciava il culo”! i “cani miei” li riconosco da come mozzicano
    🙂

  7. L’equilibrio tra detto e non detto.La cosa più difficile da fare.
    Concordo con Barbara Gozzi. Il silenzio “per amore della pace” è sempre nocivo.Distruttivo.Anche perchè in genere riguarda le corde più dolenti. Quelle degli affetti davvero profondi, viscerali.
    Il silenzio dell’attesa, invece, è diverso. Dare il tempo a un altro (compagno, figlio) di percorrere la propria strada. Di non anticipargli le cadute, gli ovvi errori per poi uscirsene con “te l’avevo detto”.
    Se questo silenzio è rispettoso e al tempo stesso vicino, non distante, partecipe e commosso, può essere un silenzio salutare.

    @ Vladimir Di prima. Il testo mi pare graffiante, forte. Mi ha dato emozione.Mi fa pensare. Due cose che uno scrittore dovrebbe sempre comunicare. Mi piace!

  8. ”…alla scuola media Arnaldo Fusinato, poeta della patria e di ’sta minchia.”
    Frammento poetico estratto da ”Il sogno felice” di Arnaldo Fusinato (da ”Poesie complete”, Milano 1913):
    Vidi l’inerte gioventu’ presente
    a magnanime imprese erger la mente,
    e un po’ alla volta col voler di Dio
    rifarsi il mondo a modo vostro e mio.
    Vidi quanti vi son popoli e genti
    vivere insieme senza mostrasi i denti,
    e in quel crogiuolo che noi chiamiam Progresso
    fondersi tutti in un fraterno amplesso.
    Vidi… ma tutti questi casi strani
    ed altri ancor che vi diro’ domani,
    io li ho veduti, e a dirlo mi vergogno,
    io li ho veduti, ma soltanto in sogno.

  9. Pero’ – a parte questa mia istintiva precisazione sul grande poeta e onestissimo patriota Arnaldo Fusinato, il quale non credevo meritasse di esser trattato in maniera tale – devo dire che stavolta abbiamo beccato uno giusto: Vladimir Di Prima e’ tosto. Sa scrivere col cuore, con lo studio dell’arte grammatical-sintattica e quindi mi affabula senza farmi scadere nel puzzolente risaputo chiacchiericcio, nello sciatto e nel simil-televisivo. E’ bravo. Complimenti, per quel poco che ho visto, Di Prima!
    Sozi

  10. Signora Chiarion. Introduzione fatta ordinariamente. Attenzione, pero’: il verbo ”centrare” vuol dire prendere al centro, colpire al centro, non ”cose che non centrano nulla con quello che stiamo ascoltando o, perlomeno, sembrano non centrare.”
    Eh… la grammatica!

  11. Ad una prima lettura non mi ha coivolto. Pur trattandosi solo di un estratto, ciò non è positivo. Anzi. Ho come la sensazione di un testo studiato a tavolino. Di certo sono in errore.

  12. Il tema del silenzio è affascinante. La scrittura di Di Prima mi pare davvero buona. Complimenti.

  13. Eventounico, lo so, la narrativa di oggi e’ sconfortante, in genere, per il suo andamento a macchie di leopardo (se non stucchevolmente omogeneo, come unica alternativa). Lo stesso si manifesta in questo testo di un giovane autore. Qui, comunque, ci sono passaggi molto interessanti; ad esempio il seguente:
    ”Alla deriva è il tempo della tua gestazione feticista, che senza doglie di femmina e con voglie da bambino partorisci a otto anni quando le gemelle chewing-gum sbatacchiano fumi pomeridiani in luogo di congetture post liceali.”
    Almeno prova a mettere qualche ombra di pensiero nella scrittura. Ha la stoffa del prosatore d’arte, mi sembra. A tavolino, appunto, nasce quel tipo di prosa che a me personalmente interessa molto.

  14. Scambiare c’entrare con centrare è un errore piuttosto comune. Però Sergio, mi hai un po’ sorpreso. Non sarebbe stato più da gentiluomini segnalare l’errore a Massimo chiedendogli di correggerlo e magari farsi dare la mail della Chiarion per redarguirla dietro le quinte?
    Senza polemica
    🙂

  15. Simona,
    esiste un’alternativa: cercare di far capire ad una persona – con le parole, coi fatti, con i gesti e gli occhi, con l’anima – che si sta scavando la fossa, o che sta rischiando seriamente di farsi o di far ad altri del male. Poi, quando quello cade nel suo fatale errore nonostante cio’, evitare di dirgli ”te l’avevo detto”. Sempre.
    Sergio

  16. Cara Stefania,
    l’ho fatto, come sempre, senza cattiveria. Ma e’ un errore grave per un critico. Grave. E io non faccio il proto o il correttore di bozze: leggo, partecipo e dico quel che penso in piazza a chi sulla piazza si espone. Sempre senza malignita’. E poi i difetti bisogna farli notare agli altri come bisogna augurarsi che qualcuno ce li faccia notare. Cosi’ si migliora: con la gavetta, non con le carezze. Esperienza vissuta e che vivo. Senza alcuna superbia o malignita’, spocchia eccetera. Grammatica pura.
    Tuo
    Sergio

  17. Sì, ma i difetti si possono far notare anche dietro le quinte. E poi gli errori possono capitare, no? E poi qui si sta parlando di un libro non della recensione al libro… e poi… insomma, un cavaliere vero… e poi…
    E poi chiedo scusa a Massimo. Lungi da me l’intenzione di sollevare polemiche.
    Ciao Sergio.
    Stefy

  18. E inoltre… Parlare del Silenzio?
    Dobbiamo proprio? Sapete, il Silenzio non e’ cosetta da riderci sopra, da pausa caffe’. Il silenzio mozzica! E’ un mostro mitologico ed eterno – come d’altronde tutti le siffatte bestie – avente due soli occhi ma di color diverso:
    un occhio e’ nero come il niente, ed ingannatore perche’ finge di non esserci mentre invece esiste, seppur in quanto spirito muto;
    l’altro occhio e’ rosso sangue: provoca l’anima altrui tramite il suo ammiccare alla Parola virulenta che, lo sa bene lui, gli sonnecchia pensierosa e frenetica alle spalle.
    Il Silenzio e’ cosi’: ambivalente e ”duopolico”: due citta’ in un’unica faccia umana. Ipocrita. Nostra. Spregevole.
    Dunque lasciamolo stare e preghiamo Dei e Semidei che non ci prenda sottocchio. Se no siamo finiti: dovremo specchiarci in Lui e sputarci in un occhio.

  19. Stefania: dimmi quello che ti pare, mica mi scandalizzo: troppe botte ho preso (per fortuna: ne ringrazio sinceramente i miei professori. Seri professori che sapevano l’italiano) e troppe botte sono pronto a prendere ancora: ottimo! ben vengano! E ripeto che scrivere non e’ chiacchierare. Non lo e’. E dietro le quinte io non sono il tipo da starci, e’ la mia mentalita’ – per i motivi etici e professionali, eccetera, anzidetti. Comunque quel che avevo da dirti te l’ho detto prima. Punto.
    Saluto Caro
    Sergio

  20. (Forse sarebbe il caso invece di ringraziarmi per la sincerita’ e la platealita’ delle mie osservazioni – ripeto: mai maligne. Hai presente quelli che ti ossequiano davanti e ti trattano da analfabeta da dietro le spalle? Ecco: io non sono nel numero).

  21. “E inoltre… Parlare del Silenzio?
    Dobbiamo proprio? Sapete, il Silenzio non e’ cosetta da riderci sopra, da pausa caffe’. Il silenzio mozzica! E’ un mostro mitologico ed eterno – come d’altronde tutti le siffatte bestie – avente due soli occhi ma di color diverso:
    un occhio e’ nero come il niente, ed ingannatore perche’ finge di non esserci mentre invece esiste, seppur in quanto spirito muto;
    l’altro occhio e’ rosso sangue: provoca l’anima altrui tramite il suo ammiccare alla Parola virulenta che, lo sa bene lui, gli sonnecchia pensierosa e frenetica alle spalle.
    Il Silenzio e’ cosi’: ambivalente e ”duopolico”: due citta’ in un’unica faccia umana. Ipocrita. Nostra. Spregevole.”
    Meraviglioso Sergio.
    Ecco perchè invece dovremmo parlarne.
    Lo facciamo già troppo di rado secondo me.
    Il silenzio ci circonda ma non sempre siamo in grado di riconoscere quello necessario da quello distruttivo.
    Andiamo di fretta, il tempo ci stritola, poi i figli, la famiglia, la casa, gli impegni e il lavoro (in ultimo ma non necessariamente per priorità generale). Abbiamo mille pensieri che spesso restano tali, si ammassano, magari ci ricordono di esistere nelle notti errequiete, ogni tanto ci rendono nervosi e ci sembra di non sapere ‘perchè’. Secondo me quando la botte è piena fatica a contenere qualcosa che continua a crescere, evolversi, ingigantirsi. I silenzi sono anche questo per me. Il tentativo di non liberare parole che poi si ribellano (in modi diversi, d’accordo, con tempi differenti, idem, ma lo fanno. Eccome). E dietro a quel ‘non liberare parole’ c’è un universo di spiegazioni, paure, dolori, egoismi, menefreghismo, testardaggine…
    [ Fermo restando che i silenzi necessari, positivi diciamo, possono aiutarci a stare meglio, a ritrovarci, per cui non vanno demonizzati a priori. Certi silenzi ci aiutano a capire gli altri, a recuperare la capacità di ascoltare. E ascoltare può renderci meno soli perchè smettiamo di sentire solo i nostri bisogni, il ‘nostro’ mondo. ]

  22. Brava Barbara! Concordo! La nostra lotta – anzi la principale di queste lotte umane – e’ proprio, infatti, quella da condurre per ottenere un risultato piccolo ma importante: pensare meno e pensare meglio (ricordi: ”Lavorare meno, lavorare tutti”? Basti aggiungere un ”meglio” e lo slogan e’ attualissimo).
    Tuo
    Sergio
    Accipicchia che citazione! Mi fai sentire meno scemo del solito.

  23. Alla tragica Susanna Sarti dico che e’ come dice lei. Ma per fortuna esistono la vita e la bellezza, il piacere condiviso e l’amore, il sogno e le Muse, gli Dei e Dio. Ci pensi. Anzi: cerchi di sentirlo, che pensare richiede troppo sacrificio, inutile e sciocco. E’ per aver pensato troppo senza sentire che siamo in questa situazione idiota. Inutili nell’inutilita’. Ma, attenzione, badi bene: il pensare a proposito del sentire invece e’ obbligatorio od almeno auspicabile. Per chi ne e’ capace, certo.

  24. Gentili amici buonasera. Mi presento: sono Vladimir Di Prima, l’autore del romanzo in questione. Prima di ogni cosa mi preme ringraziare Maugeri per la visibilità che offre con questo blog al mio libro. Non ho molte cose da dire, quelle che avevo le ho riversate nel mio lungo racconto, FACCIAMO SILENZIO, appunto.
    Volevo rispondere al buon Sergio Sozi che ha speso parole lusinghiere nei miei confronti e per questo lo ringrazio; solo per dirgli che Vladimir conosce bene l’alto valore della poesia di Arnaldo Fusinato e che il trattamento che si permette di riservagli con quel “poeta della patria e di ‘sta minchia” è naturalmente riferito al pensiero del personaggio che in quel periodo ha poco più di tredici anni e si trova nella condizione di emigrante umiliato e poco gli importa chi sia nei fatti il grande Fusinato.
    Di seguito riporto un altro stralcio del libro e non perchè in qualche modo voglia confermare o smentire coloro che la pensano come scrittura a tavolino, ma solo perchè ritengo sia un passaggio importante nel prosieguo del dibattito. Grazie ancora. Vladimir

    da FACCIAMO SILENZIO cap.13
    (…) Poi torni a casa. Nella buca, una lettera, pare che l’abbia lasciata
    un postino speciale. Viene dagli Stati Uniti. Non ci crederai,
    ma è proprio quella lesbicona della tua Fata Brevetti. E l’incidente?
    La vecchia Fiat 128 trovata carbonizzata nella scarpata? La
    sua borsetta coi trucchi e le liriche di Sylvia Plath? Tutto perfettamente
    architettato per liberarsi di Brigitta, quella che nella lettera
    lei chiama la baldracca fetula. La tua Fata Brevetti è viva, e al
    diavolo la miseria se non sta meglio di te! Scrive che a settanta
    anni può cominciare una nuova vita, che certe cose non si spiegano,
    capitano così, al punto di stravolgere determinate certezze con le
    quali si pensava di concludere la propria esistenza e maggiormente
    quella degli altri…
    E poi ancora: si arriva a un punto in cui la luce del sole è vernice
    bianca sulle cose, e tutto si muove staccato da ogni senso o solo perché
    si scuote il capo, diversamente dall’annuire e dal negare. Dove le voci
    sono toni inutili e ripetuti, i colori marginali, le montagne e i mari moltiplicanti scenari di plastica. Dove anche l’aria traspare come una
    massa solida di blocchi più o meno uniformi e le stelle si delineano in
    buchi di primitivi errori.
    Si arriva a un punto in cui tutte queste cose insieme rivelano che
    tutto è finto, debole, persino incompiuto a volerlo giudicare.
    Quello che abbiamo creduto e inseguito con occhi raggianti e ali
    sguainate verso un olimpo riscattante, resterà tale, immobile come un
    cane di legno sulla palafitta dei sensi; resterà tale per dare spazio ad
    altri, miseri rottami di ossa e cervella che, in tempi diversi, spalancheranno uteri umidi e nutriranno gli stessi vermi che noi abbiamo nutrito pensandoli gambi di fiori colorati.
    Continui a leggere.
    …invece non è vero niente. L’uomo è una bestia crudele, si fortifica
    di sale e fra tutte è la più provvisoria; esercita l’incoerenza come una
    materia di fede, si proclama promotore di pensieri arguti, coniugatore
    di mezzi, si eleva a miscelatore di opportunità e ne spaccia le stesse in
    pretese da esaudire; non sa, non conosce l’uomo la gogna che tende
    nelle piazze del suo giudizio. L’errore che rimarrà di più non è dato correggerlo,
    universale emerge il bisogno di vita, misera la certezza di possederla
    ancora… Per quanto tu faccia –ricorda- saranno gli altri a fare
    di te quello che sarai…

  25. Vladimir, l’osservazione che muovi a Sergio è giustissima (e lo stesso Sergio non avrà difficoltà a riconoscerlo). È bene evitare di imputare all’autore il pensiero o la frase di un personaggio, o di un io narrante. Mi pare ovvio.
    Ma credo che Sergio, più che altro, abbia voluto cogliere l’occasione per offrire un tributo alla memoria di Arnaldo Fusinato.

  26. @ Barbara:
    grazie per i tuoi commenti. So bene che il tema del silenzio ti è caro.
    Ne approfitto per dirti pubblicamente che ho letto il tuo racconto pubblicato su “Paginauno” (e ti ringrazio per avermi spedito copia della rivista).
    Ti faccio i miei complimenti, Barbara. Mi confermi quello che ho sempre pensato leggendo le altre cose che mi hai proposto. Sei dotata di una scrittura ficcante, incisiva e con un alto senso del ritmo. Del resto mi pare che quel racconto sia pure in tema, nel senso che la protagonista “subisce” e “agisce” pressoché nel silenzio: una sorta di silenzio ferale.
    Sono curioso di vederti all’opera con la scrittura a largo respiro: il romanzo.

  27. Sergio, io, al cospetto di un prosatore d’arte, m’incanto. E’ così raro poterne incontrare uno. Quasi un ultimo esemplare di una specie che avrebbe meritato di popolare il mondo letterario. Quando parlo di testo predisposto a tavolino intendo fare cenno esplicito ad una prosa nella quale i termini sono studiati singolarmente per il loro peso assoluto e non per il contributo che coralmente possono dare ad un lettore. Una rappresentazione per immagini, non una narrazione. La prevalenza della tecnica sul libero ed istintivo fluire dei pensieri. Sia chiaro. La tecnica è indispensabile, quanto una buona istruzione. Tuttavia essa non dovrebbe mai nascondere il “male di scrivere” di cui ogni autore dovrebbe essere portatore. Qui mi fermo. Perchè servirebbe la lettura dell’intera opera per un giudizio complessivo.
    Sul silenzio mi richiami alla mente malinconiche dissertazioni notturne, ma preferisco rimandare ad altrro commento.

  28. Non ho dubbi su questo; infatti il mio voleva essere solo un chiarimento. Ed anzi, trovo bellissimo il pensiero di Sozi nel voler riprendere una poesia di Fusinato. Mi piacerebbe trovare fra questi commenti quello di Elisabetta Sgarbi, la quale so essere una frequentatrice di Letteratitudine. Elisabetta è una persona che stimo tantissimo e un suo parere sulle dinamiche del silenzio sarebbe sicuramente ben gradito da tutti. Il mio è un invito ufficiale e spero venga accolto.

  29. @ Enrico:
    Sì, Vladimir Di Prima è siciliano e della provincia di Catania. A questo punto se vuoi avere speranze che qui a letteratitudine si possa parlare del tuo futuro libro ti conviene cambiare residenza a favore di qualche città sicula. A te la scelta.
    😉

  30. Ringrazio Vladimir Di Prima per l’offerta di un ulteriore stralcio del romanzo che, ne sono sicuro, riceverà il successo che merita.
    Tuttavia mi premeva dirgli che, a parlare di scrittura a tavolino, sono stato l’unico.

  31. @ Sergio Sozi, Stefania e Serena Chiarion.
    In Sergio Sozi, convivono tre anime: quella dello scrittore, quella del critico e quella dell’insegnante di italiano (o meglio, docente di letteratura italiana).
    Ha già precisato che non c’era cattivera o spocchia nel suo intervento.
    Per il resto, direi di non farne un caso. Capita a tutti di sbagliare.
    Ha me e capitato…

  32. @ eventounico

    L’eventounico è sempre unico! Grazie per gli auguri che offre. Sarei curioso, dico sul serio, di sapere cosa ne penserebbe del romanzo dopo una lettura integrale. Se avrà modo di farla soddisfi – per piacere – questo mio prurito.

  33. @ eventounico

    La metto in tasca come una promessa, di quelle che si piegano a mo’ di fazzolettino. Intanto la ringrazio per l’onore, un complimento che non veste mai male.

  34. @ Eventounico:
    Cosa intendi esattamente per “scrittura a tavolino”?
    Io di Vladimir Di Prima ho letto gli altri libri (questo lo sto iniziando a leggere adesso). La scrittura di Vladimir, a mio avviso, tende alla ricerca e alla sperimentazione. Non è una scrittura istintiva, la sua; nel senso di improvvisata. Sono istintive invece l’idea, il pensiero, la creatività… che portano alla scrittura.
    Vladimir, tu cosa ne pensi? Ti ci ritrovi?

  35. A tutti quanti: io non sono altri che Sergio Sozi. Insegnante, critico, eccetera: non mi importa assai. Anzi niente. Questo esser Sergio Sozi pero’ mi basta ed avanza per esprimere un’opinione. Buona dell’autore e cattiva della recensione. Parola pura, la mia, che si presenta da se’. Senza bisogno di ”scusanti”. Parola d’onore. Rispettosa. E se sbaglio a scrivere una virgola, eccomi qui: sparate.

  36. Sparare? Sparare?
    Io credevo che questo fosse un luogo dove poter discutere di libri con serenità, anche con giovialità. Ripeto, può capitare a tutti di sbagliare una parola. Lo ha detto anche Massimo. Ma se qui ci deve essere un cane da guardia della parola scritta pronto ad azzannare alla prima occasione… mi dispiace. Ho altro da fare.
    Massimo scusami, tu sei una persona in gamba e so che hai lavorato duramente per creare questo posto. Tuttavia, mi dispiace, ma questa è l’ultima volta che scrivo qui.

  37. Caro Vladimir (in questo caso e’ d’obbligo dire in primis: poi anche caro Massimo, cari Evento, Stefania, eccetera),
    Bene. Siamo d’accordo. Allora precisero’ che io discutevo il pensiero del Vladimir bambino che sta nel Suo libro. Un pensiero che non condivido, come ho detto all’inizio nel mio primo commento. Un pensiero del Suo personaggio, no? Mica Suo. Lo specimen, comunque, e’ molto interessante e da Eventounico stavolta devo, purtroppo, divergere. Vi noto l’insorgere della prosa d’arte. Cosa meritoria. Non vi e’ ricerca nelle parole che non sia anche nella sintassi, quanto, invece, mi sembra, vi e’ chiaramente espressa una pregevole voglia di realizzare dei costrutti armoniosamente poetici e artistici, con tocchi vari di assortite barbarie infantil-adolescienziali assieme ad altri sentimenti ambigui che andrebbero meglio precisati. Il bilancio e’, per me, buono, in quanto alba, semi-esordio. Fusinato, pero’, quel ragazzino, non lo conosceva e per questo ne parlava da arrogante superuomo. Il personaggio, eh. Non lo scrittore. Mai sia.
    Saluti Cari
    Sozi

  38. Ma scusami Stefania: mica ti ho detto niente di personale, no? Non posso dire che un errore e’ un errore? Suvvia… facciamo la pace! Dai! Ho preso tante insufficienze che orami ci ho fatto il callo. Non offenderti!
    Tuo
    Sergio

  39. Ma non capisci che così la gente scappa? Non ci arrivi? Qui non siamo a scuola, Sergio. Questo, mi pare, è un luogo d’incontro… non un luogo d’insegnamento…
    Perché dovrei scrivere qui con la paura che un giorno, se sbaglio a scrivere una parola, una sola parola, potrei essere fustigata pubblicamente?
    Massimo, ancora una volta ti chiedo umilmente perdono.

  40. … e poi era un’esagerazione, Stefania: una iperbole, capiscimi. Cane da guardia non sono: faccio attenzione solo a quel che leggo. Per rispetto di chi scrive e di me stesso. Non ti arrabbiare.

  41. Tutti sbagliamo, Stefania. Ognuno pero’ e’ quel che e’. Chi finge di onorarti ti pugnala alla schiena. Chi non dice pensa male. Io sono sincero e chiedo sincerita’. Ma la stima umana e’ una cosa, la stima professionale un’altra, non trovi? Mica ci puo’ piacere tutto di tutti. Le mortadelle dal salumiere, persino, le scegliamo. Nella Letteratura analogamente.
    Con amicizia

  42. Massimo, a Vladimir Di Prima, ho già offerto la piena disponibilità (e la voglia) di rivedere un commento basato su uno stralcio (ma quello ci è stato offerto) leggendo l’intero libro. D’altro canto la libertà con la quale commentiamo ed anche le divergenze che abbiamo credo attestino l’assoluta buona fede di tutti i presenti.
    In merito alla scrittura a tavolino ho spiegato nel mio post precedente cosa intendessi. Riprendo la tua definizione per indicare in quello che tu chiami ricerca ciò che io ho percepito come “studiato”. D’altro canto nel mio ruolo di lettore non posso prescindere da gusti, inclinazioni ed esperienze personali. Peraltro sono in linea con il pensiero di Sergio che è meglio dire apertamente ciò che si pensa. Evidentemente nei limiti del buon gusto.
    A Stefania chiedo di credere a Sergio, per favore. E’ una persona autentica e, di solito, le persone autentiche pagano di persona.

  43. Oltretutto, Evento, mi sembra del tutto legittimo chiedere correttezza letteraria… alla critica letteraria!

  44. (Io non mi sono mai permesso di dire a qualcuno ”ma ci arrivi?” come se parlassi con un imbecille. Roba da non credere. Il difensore di uno che sbaglia che da’ del cretino a chi e’ nella ragione. Il mondo al contrario!)

  45. ”infantil-adolescienziali” (vedi sopra). Eh no! Non si dice ”adolescienziali” con la ”i” ma ”adolescenziali” senza la ”i”! Ahi ahi! Signor Sozi! Lei mi cade sul pisello!
    Sozi
    E qui chiudo che me so’ rotto.

  46. Dedico idealmente allo scrittore Vladimir Di Prima il mio testo, con il cordiale augurio che il suo bel romanzo faccia invece, molto rumore…
    ELEGIA DEL SILENZIO (Il silenzio è il guardiano dell’anima)- Bossuet
    Ho fatto il vuoto di parole vane.
    Totale spolazione
    sul convulso blà blà
    d’una conversazione
    che nessuno ascolta.
    Strepito insulso
    che deturpa il mistero del silenzio.
    Farò terra bruciata
    per ogni frase inutile, usurata.
    Farmi plagiare non vorrò
    dall’inganno disumano delle parole
    levantine, sonore
    che promettono invano.
    Parole senza peso, sediziose,
    tossine della mente
    si propagano in semplice rumore.
    Voglio soltanto ammutolire dentro
    nella pace interiore,
    per annullarmi
    nel bosco del silenzio.
    M. Teresa Santalucia Scibona

  47. @Vladimir
    La sua scrittura ha stile e può anche piacere, ma le immagini con cui ha rivestito questa sua uscita letteraria, creano imbarazzo e pongono interrogativi. O è un frutto dell’ingenuità oppure è solo il vuoto lasciato da un’anima, che non sopportava più la coabitazione con la mente.
    Mi dispiace che lei sia amico di Massimo, ma non riesco a trattenermi dall’esprimere quello che penso.

  48. Buondì a tutti,
    sono Guido Farneti, editore di Azimut. Voglio innanzitutto ringraziare Massimo per l’ospitalità nei nostri confronti, ma anche per il grande lavoro che sta compiendo, sia con questo blog, sia con la newsletter.

    Ahimè il tempo mi è tiranno, e vorrei dire troppe cose.
    Glisso sull’affaire grammaticale, per non fare polemiche, e perchè un discorso su quale sia la grammatica, quale debba essere, quanto stia mutando -come la lingua- e chi la stabilisca o la debba stabilire, è questione da sviscerare in altri momenti.

    Della scrittura, dello stile di Vladimir c’è poco da dire. E’ vero, è manierato, è arabescato, a volte potrebbe sembrare poco spontaneo: e Vladimir lo sa, io stesso gli dissi cose simili, nel momento dell’editing. Ma.
    Ma bisogna intendersi su cosa significhi “studiato a tavolino”, e su quanto eventuamente possa essere questa dfinizione una critica.
    Senza tirare in ballo il de gustibus, esprimo il mio parere dicendo che -forse data la mole di testi che leggo per lavoro quotidianamente- alla fine giungo a preferire di gran lunga un testo studiato, scritto con coscienza e preparazione piuttosto che una delle ahimè troopo frequenti opere d’impulso tutta passione e istinto e -magari- poca sostanza.
    Mi fa molto piacere, tuttavia, leggere che il giudizio verrà approfondito dopo una valutazione del testo nell’interezza.
    E credo anche, ma forse è superfluo dirlo, che un testo, una poesia, un romanzo, possano non solo essere “studiati a tavolino” (nell’accezione negativa), ma pure scritti con l’istinto e la passone e poi “limati a tavolino”…

    Sull’opinione della signora ravasio, mi piacerebbe avere spiegazioni: non credo di aver capito ciò che intende, ma mi affascina ciò che ha scritto.

    Ecco, e per fortua che dovevo essere breve.

  49. Un saluto a tutti gli amici. Mi dispiace non poter partecipare a questa interessante discussione ma la Fiera mi sta tenendo impegnato fino a sera tardi, tra l’altro l’abbiamo prolungata fino a Natale. Ho letto solo l’ultimo post, quello di Guido Farneti. Vorrei chiederle: si parla tanto di scrittura, di stile, ma lei come Editore, vagliando i manoscritti che arrivano in redazione, non spera di trovare la storia magica? Le grandi invenzioni letterarie, quelle che vanno oltre il quotidiano, surreali, alla Calvino o alla Buzzati per intenderci.

  50. Buongiorno a tutti!
    Ma che è successo qui ieri sera? Mamma mia che musoni!
    Ora ci penso io.
    Intanto complimenti a Vladimir. La tua scrittura è raffinata nella forma e aspra nei contenuti. Una bella combinazione. Bravo davvero.
    Per quanto riguarda il video sono d’accordo con Miriam.
    A me ha disturbato un po’. Ma è la mia opinione.
    Smile

  51. il silenzio mi è prezioso, perché l’ho apena imparato
    nel silenzio muovo i primi incerti passi
    il silenzio, per me, è un punto d’arrivo, perché dimostra che ho superato quell’horror vacui che mi costringeva a parlare, fare
    il ilenzio che intendo io è anche quello dei gesti, e se possibile, anch quello dei pensieri
    inteso così, ed è dono raro, è un segno di equilibrio (il mio è ancora precario)
    due persone che riescono a stare in silenzio dimostrano armonia, tra loro
    e fiducia
    con le parole ci si controlla, si pretende sempre di entrare nell’altro
    se io mi fido, se sono capace di lasciarti il tuo silenzio e di avere il mio, vuol dire che siamo in sintonia
    certo, poi ci sono i silenzi, ocme quelli che ancora capitano con mia madre, per esempio, forse con tutte le figlie femmine e le loro, pur amatissime e stimatissime madri, che a volte è pesante, perché nasconde rancori e rabbie
    e questo silenzio, a volte, sta capitando con mio figlio
    mi limito agli affetti più intensi e importanti della mia vita, nell’esemplificare (perdonatemi la parolaccia) il mio pensiero sul silenzio
    perché nel condividere la vita quotidiana ci si conosce, e nel quotidiano i legami sono veri e intensi
    riesco a godere il silenzio con poche persone, e forse è ancora colpa mia, della mia incertezza
    ma quando accade, quando si crea un momento (un lungo moento, un pomeriggio intero, per esempio) di silenzio pacifico, silenzio sereno, di NON-NECESSITA’ di controllarsi e invadersi reciprocamente, mi accorgo che mi fa stare bene

    lanasmooth

  52. A Stefania.
    Stefaniuccia, ma che avevi ieri sera? Dai, torna con noi. Perché te la sei presa così tanto?
    Però capisco le tue perplessità.
    Lancio una proposta a Massimo e a tutti voi. Se qualcuno riscontra errori di grammatica o ortografia nella scrittura di qualcun altro, perché non comunicarlo a Massimo via email?
    Massimo potrebbe correggere e comunicare l’errore alla persona che lo ha commesso. Così l’ “effetto crescita” a cui tiene Sergio ci sarà comunque ed al contempo eviteremo la pubblica umiliazione di colui o colei che ha errato.
    Che ne dite?
    E sorridete!
    Smile

  53. La prosa di Vladimr la assimilerei a certi formaggi che, già da lontano, ti accorgi di quanto il loro odore sia “devastante”. Odore di sugna, di scarpone d’alpino dopo 50 chilometri di marcia. Avvicinarsi a quei formaggi e mangiarli non è da tutti. E chi riesce a farlo non è nè più bravo nè più intelligente. Semplicemente apprezza i gusti “forti”.
    Io personalmente, quando mi imbatto in romanzi che sanno di anima, di pensieri, di merda, di sudore e di sangue, sono portato ad apprezzare.
    Comprendo ovviamente chi, come Miriam, si accosta a Vladimir con un minimo di disagio.
    Ma anche in pittura, c’è Bosch e c’è Piero della Francesca. Chi è migliore?
    Impossibile decidere, direi, se non con il consueto metro…”mi arriva o non mi arriva”.

  54. Accetto l’idea di Elektra e sono con lei. La penserei diversamente, pero’ e’ meglio come propone lei, cosi’ si evita di litigare. Io d’ora in poi faro’ dunque cosi’ nei confronti degli altri: se noto un errore lo dico a massimo via e-mail.
    Pero’ gli altri nei confronti miei li pregherei di non fare cosi’: io i miei errori voglio che vengano visti pubblicamente e corretti pubblicamente.
    Sergio
    P.S.
    E adesso, come precisato giustamente da Eventounico, direi di tornare all’argomento del ”post”. Io la faccio finita con le polemiche.

  55. Scusate se mi faccio vivo solo adesso, ma prima proprio non potevo.
    Intanto consentitemi di ringraziare Elektra. Grazie mille, tesoro. I tuoi “smile” sono un toccasana. Per quanto riguarda la tua proposta, se gli altri sono d’accordo, per me va bene. Però sulla “questione dell’errore” è giusto che io mi prenda le mie responsabilità, nel senso che avrei dovuto leggere con più attenzione il contributo di Serena (come ha fatto Sergio), accorgermi dell’errore e correggerlo automaticamente.
    Colpa mia, dunque.
    Chiedo scusa a tutti.

  56. è una botta allo stomaco. può essere bellissimo o una schifezza, non lo so.
    ma mi viene voglia di leggerlo per decidere. e questo è già un risultato.
    il silenzio. già, il silenzio.
    c’è il silenzio buono, quello che si fa carico del peso di non rigurgitare addosso al mondo e a chi è vicino ciò che si ha sullo stomaco: angoscia, rabbia, errori commessi, fastidi subiti, sensi di colpa. il che implica una grande capacità di elaborare e riconoscere i propri meccanismi interiori, accettandoli e scegliendo consapevolmente di non metterli in funzione, e imparando quindi a vivere bene con se stessi e di conseguenza con gli altri.
    e poi ci sono i silenzi della paura, che sono in un certo senso il contrario.
    il chiudersi in sé come un animale ferito, come un bambino che ha rubato la marmellata, come un testimone minacciato. e qui secondo me di se stessi si è vittime, prede di vissuti irrisolti.
    mi ha molto colpito nel passaggio citato nella recensione un altro tema: quello della difficoltà enorme a comunicare.
    perché ogni cosa che uno dice è figlia del suo passato, e chi ascolta lo fa con le orecchie del suo. linguaggi differenti, spesso reciprocamente incomprensibili.

  57. @ Stefania:
    intanto non devi affatto chiedermi perdono. Né tu, né nessun altro di coloro che scrivono qui. MAI. E per nessun motivo.
    Per quanto concerne il tuo alterco con Sergio, però… devo dirti che la tua reazione mi è sembrata un po’ spropositata. In fondo Sergio non si era rivolto a te. Ti invito a tornare a scrivere qui, Stefania. Mandami una mail, che ne parliamo con calma.

  58. @Guido Farneti.
    Occuparmi di immagini è il mio lavoro, con le immagini ci vivo. Mi piacerebbe affermare che vivo anche di Arte, ma, questo si sa, è più difficile. Io penso che il tempo delle provocazioni sia finito. Non c’è più spazio: lo stagno ormai è colmo di sassi e aggiungerne altri significa solo aumentare il volume della massa. La parola, a differenza dell’immagine ha la potenza del pensiero che si dispiega offrendo infinite riflessioni. Anche le più irrisolte. L’immagine, invece, si consuma; l’immagine è figlia di questi nostri tempi, è corrotta e corrompe, implode ed esplode, ma il più delle volte vanifica. Hai presente quella bellissima canzone di Dalla che narra la storia del coyote e della stella? Sono versi straordinariamente interpretati. Noi viviamo in un tempo coyote e gli artisti non possono più permettersi trasgressioni-utili, cioè finalizzate a catturare l’attenzione. Quel tempo è finito nella cronaca quotidiana delle nostre miserie. Siamo predisposti al Male e un artista, perché chi scrive è un artista, deve, E’ NECESSARIO che si disponga al Bene, altrimenti è solo crudele oscenità. Sul post dedicato a “Bambine: tra letteratura e vita” c’è un mio ultimo intervento dedicato ad Amabili resti, libro di successo su cui ora si sta realizzando anche un film; quel libro, noir, apre al Bene. Il Male è il soggetto da cui si sviluppa il racconto, ma alla fine della lettura ci si sente predisposti alla vita. Secondo me, oggi, questa è l’unica strada, per noi, sensibili e spiritualmente ricchi. Il video di presentazione del libro, è truce e compiacente, aria marcia per pance già gonfie.
    Io lo rivedrei, ma questa è solo la mia umilissima opinione.
    Diamoci del tu, con affetto, Miriam.

  59. Per dirimere la controversia tra Sergio e Stefania...

    Solo due parole, poi torniamo al libro di Vladimir e al tema del silenzio.

    Cara Stefania, ti invito ad approfondire la conoscenza di Sergio. È un intellettuale che stimo, questo è ovvio, altrimenti non gli avrei mai affidato, su questo blog, la rubrica “Ritorno ai classici”. Per natura Sergio è diretto, schietto e immediato; e a volte può apparire caustico ed eccessivo quando si parla di scrittura, libri e letteratura… ma solo perché è uno che ci crede veramente. Ma sa essere anche affabile e comprensivo. E quando sbaglia, sa riconoscerlo.
    Come ha scritto Eventounico, Sergio “è una persona autentica e, di solito, le persone autentiche pagano di persona”.
    Ti cito Eventounico perché il suo commento è emblematico.
    Anche Eventounico, inizialmente, non conoscendolo bene, era rimasto “irrigidito” da alcune “uscite” del Sozi e aveva deciso – addirittura – di non partecipare più ai dibattiti avviati su questo blog. Poi però si è ricreduto… e oggi lo difende.
    Eventounico, cos’è che ti fatto cambiare idea?
    Ti chiedo di raccontare questa esperienza come “piccolo aiuto” per riportare Stefania a noi.
    Potrei rivolgere la stessa domanda a Enrico Gregori.
    Rispondete, se lo credete, e poi chiudiamola qui.
    Non è mia intenzione creare un “caso Sergio Sozi”.

  60. @ Giudo Farneti:
    grazie per essere intervenuto.
    Raccontaci un po’ di Azimut. È nata nel 2005.
    Cosa spinge oggi, con i tempi che corrono, a creare una nuova casa editrice?
    Eroismo? Passione?
    O cos’altro?

  61. Torniamo al libro…
    @ Eventounico:
    in merito al discorso della “scrittura a tavolino” ti ho scritto perché penso che potresti avere ragione e che anche Vladimir possa essere d’accordo.
    Sono curioso di leggere la replica di Vladimir anche a seguito di quanto ha precisato Guido Farneti.

  62. @ Miriam.
    Hai scritto: “Mi dispiace che lei sia amico di Massimo, ma non riesco a trattenermi dall’esprimere quello che penso”.
    Vladimir è amico mio così come lo sei tu e tutti gli altri che scrivono qui.
    😉
    Possiamo e dobbiamo esprimere con sincerità quello che pensiamo, altrimenti non ha senso discutere e non ci può essere nemmeno dibattito. E come sai, come sapete, io credo moltissimo nei dibattiti (purché siano corretti e non si offendano opinioni e persone).
    Hai fatto benissimo a dire la tua. Io stesso, in premessa, ho precisato che a mio avviso quel video è “forte” e provocatorio.
    Vladimir ha la possibilità di spiegarci il perché della provocazione.

  63. Cito il sig. Farneti, col quale concordo appieno, dunque, in questo punto, egli parla in mia vece:
    ”(…) Alla fine giungo a preferire di gran lunga un testo studiato, scritto con coscienza e preparazione piuttosto che una delle ahimè troopo frequenti opere d’impulso tutta passione e istinto e -magari- poca sostanza.
    Mi fa molto piacere, tuttavia, leggere che il giudizio verrà approfondito dopo una valutazione del testo nell’interezza.
    E credo anche, ma forse è superfluo dirlo, che un testo, una poesia, un romanzo, possano non solo essere “studiati a tavolino” (nell’accezione negativa), ma pure scritti con l’istinto e la passone e poi “limati a tavolino”…
    Sergio Sozi

  64. Riscrivo le domande iniziali per chi si fosse messo in “ascolto” solo ora.
    😉
    Quante parole non dette si celano dietro i nostri silenzi?
    Quando il silenzio è utile?
    Quando, invece, diventa nocivo?


    A più tardi.

  65. @ stefania:
    tenterò di essere serio il più possibile, ma dubito di riuscirci.
    Sergio Sozi è integralista, noioso, ridondante, spocchioso, intollerante, autoreferenziale, petulante e rompipalle.
    ma anche: colto, generoso, coraggioso, autoironico, paziente, profondo, e onesto.
    Misi sui piatti della bilancia il positivo e il negativo. Mi accorsi che i pregi (a me) colpivano più dei difetti. Come prova del nove mi domandai: “affiderei il mio portafoglio a Sergio Sozi?”. Mi risposi: “sì, e probabilmente ci troverei dentro 50 centesimi in più”.
    Tutto ciò, ovviamente, non mi impedisce ogni tanto di mandarlo a fare in culo. Ma con tanto affetto
    🙂

  66. Gentili signori e soprattutto signore, non potevo mai immaginare che nel giro di qualche mezza giornata nascesse un dibattito così acceso, per certi aspetti estremamente coinvolgente. Vorrei dire anche la mia in merito ad alcune osservazioni che sono state mosse. Procedo per gradi e cercherò la chiarezza come prerogativa essenziale al mio dire. Prima di addentrarmi in discorsi quali scrittura, arte, editore-autore, vorrei rivolgere un affettuoso saluto alla signora M. Teresa Santalucia Scibona capace di suscitare nella mia persona sentimenti di tenerezza non mediata con la sua commevente dedica.
    E vengo al dunque. Miriam Ravasio: che dire? Semplicemente nulla; ha soltanto espresso il suo parere riguardo un qualcosa che Le è stato democraticamente proposto e come tale lo accetto con grandissimo rispetto. Tuttavia niente mi impedisce di considerare l’arte – non la provocazione spicciola perchè di provocazione in quel video non volevo metterne neppure un grammo – secondo miei particolari registri e canoni espressivi. Direi, secondo il mio modesto avviso, che siamo più sul binario dell’iper-realismo o di un realismo esasperato all’ennesima potenza; il che può rendere il booktrailer confondibile sul piano della mera provocazione. E’ giusto, ci può anche stare. Punti di vista, tutti rispettabilissimi.
    Capitolo scrittura; vi dico come la penso, almeno, cito la mia esperienza.
    In me questa forma di espressione nasce istintivamente, cioè molte delle frasi che avrete modo di leggere nel romanzo hanno un parto spontaneo, quasi fossero suggerite da una mano clandestina che dall’utero del pensiero ne strappa via l’essenza parlata per spalmarla su un comodo A4. Ahimè, a volte capita di non avercelo l’A4 e nemmeno un quarto di A4, così che molte belle cose fuggono via e non ritornano più in testa. Giusto che poi tutte le frasi all’interno della struttura narrante necessitino di una disinibita revisione che le renda, diciamo sì, più “commestibili” (mi si passi il termine improprio, ma forse molto calzante). Per me la scrittura di un autore deve avere una riconoscibilità e uno stile; sia chiaro, non che questi vadano cercati col lanternino fra le maglie di vocabolari, grammatiche e istruzioni per l’uso. Lo stile germoglia da solo e, nello scrittore bravo ad arare la pagina, si sedimenta col tempo, anche con molto tempo. In fondo, vi chiedo- mi chiedo, la letteratura cos’è se non scrittura? Grazie.

  67. Come avevo detto subito: questo e’ un VERO scrittore. Non avrebbe bisogno di video e robe simili. Basta la sua scrittura.
    Sozi

  68. Ho letto il romanzo di Di Prima. Mi sembra scrittore fuori dal coro, per questo autentico, forte, dirompente; per questo meritevole, da parte mia, di essere segnalato alla nuova rubrica di libri del tg1, Benjamin. Ho mandato una mail alla redazione, spero, gli auguro, possa essere presa in considerazione. Perchè, e mi assumo la responsabilità di quello che dico – se qualcuno volesse ribattere è libero di intervenire – qui abbiamo un cavallo di razza. Che non si monti la testa, però, il giovane Vladimir: ha dimostrato qualcosa ma devo ancora tutto. Quindi gli rivolgerei un grande in bocca al lupo con l’augurio che nel tempo conservi sani valori come l’umiltà e la coerenza verso la scrittura, che è una cosa seria.

  69. @Stefania,
    sono stato uno dei primi a litigare con Sergio Sozi, se avessi avuto i suoi soldi, o quelli di Gregori, sarei andato in Slovenia per lanciargli il “Guanto di sfida” (un opera in marmo dell’artista Laslo Kominienk del peso di 2 tonnellate) in faccia; oggi gli voglio un gran bene (anche se dopo questa affermazione, mi terrò a 120 cm di distanza se dovessi incontrarlo): dai è cosi bello essere criticati, si sente il cilicio francescano! Dai che tra 11 giorni è il tuo onomastico, e undici è un numero magico per l’esoterismo e anche per quei rusticoni di Al-Quaeda!

  70. Francesco,
    io invece a Partenope ci sono stato. Pero’ cercavo lei, la Sirena, non te! (ah ah!)
    Tuo
    Sergio

  71. P.S.
    Io voglio bene a tutti, cioe’ a tutti gli esseri normali – dunque escludendo i Ciclopi come Dido’ e le Dee Kali-millebraccia quali Greg(ori e argenti). Massimo, che e’ la controfigura di Narciso nell’omonimo film di Tinto Brass, invece, lo ritengo un buon diavolo. Piu’ diavolo che buon.

  72. Alla sig.ra Cenci,
    su, faccia un atto di carita’ cristiana, un dono natalizio per i piu’ bisognosi: segnali anche ”Identita’ dirupate” di Massimo Maugeri al TGUno. Cosi’ ce ne liber… ehm cosi’ gli diamo il rilievo che merita – come disse mio padre a me sperando che sparissi in una cartina geofisica nel ruolo di un monte.

  73. @ sergio:
    qui ci stiamo sforzando per rivalutarti agli occhi di Stefania, ma se prosegui così è fatica sprecata. come si dice a Roma: “è come lava’ ‘no stronzo”
    🙂

  74. @ Vladimir: padre comunista?
    Comincio a sfarfallare subito; io in fondo sono un imbucato, uno sempre parallelo alla cultura; uno che si trovò una sera, per puro caso, a cena con Julian Beck e Judith Malina, dopo aver assistito ad una loro performance: la cena fu più divertente. Non mi è mai piaciuto il Living teather, ho sempre amato poco la sperimentazione, adoro che la cultura viva “in progress”, sedimentando e autoriproducendosi.
    Non mi piacque neanche quello sputo che il magico Carmelo Bene lanciò a “Giulietta”, lui Romeo, una magica sera del ’77 al teatro Mediterraneo di Napoli, ma la saliva, ripresa dai riflettori e fischiata da qualche critico in sala, gli valse dei titoli formidabili nelle “terze” pagine dei giornali.
    Non mi piace la copertina!
    Non mi piace il video!
    Per le cose che dicevo sopra e che argomenta molto meglio di me
    @Miriam Ravasio!
    Sicuramente, occupandoti di multimedialità, sai che se blocchi qualcuno per strada con un cazzotto, cercando di vendergli un cerotto di buona fattura, se non lui, un altro passante lo comprerà: purtoppo per vendere dei buoni cerotti bisogna ferire prima la gente!
    Mi piace come scrivi, è credo, come dicevo sopra, parlando di work in progress, che sia la progressione di un linguaggio vivo già nei giovani d’oggi; è già il verbo del divenire, e il fatto che m’intrighi conoscere il resto del racconto fa si che sia d’accordo col progetto.
    Altri, perdonami, hanno fatto un ragionamento non uguale ma verosimigliante, e parlo di Giuseppe Montesano, ma quello che non comprendo di quest’ultimo è il perchè non riversi sui saggi o racconti giornalistici (“Il Mattino” di Napoli), la stessa cifra stilistica, ecco io spero che questo non avvenga con te e neanche con Sergio (Sozi) che mi ha sconvolto con il racconto “Il Maniaco”, spero che chi fa dello sperimentalismo poi prosegua ad interagire con se stesso e con quel tipo di linguaggio.
    @Evento…, non pensi che tutta la scrittura sia, debba essere, “a tavolino”, qualcuno può credere che Bukovski scrivesse veramente di getto?
    E’ un po’ di tempo però che sono costretto, per leggere dei buoni libri, ad interessarmi di infanzie, di storie di bambini, di pedagogie dell’esistenza (“Vita” della Mazzucco, le storie stupende di Ammanniti -che quando risolverà i suoi problemi edipici probabilmente smetterà di scrivere-, il libro della Ciaravini…), o di violenze. Poi uno legge “Seta” di Baricco e si accorge che si può ancora prendere un treno e addormentarsi col libro tra le gambe, nel gran rumore – tu-tum, tu-tam, tu-tum, tu-tam…che diventa silenzio.

  75. ”Bompiani era un editore che, oltre che i libri, amava gli autori. Può sembrare banale ma non lo è, in un’epoca in cui ci sono nel mondo editori che non amano neppure i libri, nel senso che non se ne occupano, perché si divertono solo ad architettare fusioni. […]
    Ricordo (avendo lavorato per una ventina d’anni con lui) certe scenate omeriche (Bompiani andava celebre per le sue scenate, che terrificavano anche chi vi assisteva senza essere coinvolto, anche chi sapeva che lui le costruiva a freddo) nei confronti di un tecnico che talora, avendo un titolo troppo lungo da mettere sul dorso del libro, decideva di risparmiare sull’autore mettendo solo le iniziali del nome di battesimo. Bompiani diventava rosso in viso e dava in escandescenza: non si scrive «A. Moravia», come se fossimo in caserma o al municipio. O nome e cognome per intero o solo cognome: «Questo è un Autore, capisce?», gridava, «non è un numero qualsiasi, è un Autore!». E lo gridava anche se l’autore era un Anacleto Brambilla o un Pasquale Esposito che pubblicava per la prima volta, e forse per l’ultima; non importava, essere Autore era una dignità tra le più alte (e lui era l’editore che lo aveva unto).”
    Estratto da un articolo di Umberto Eco su aspetti della personalità dell’editore Valentino Bompiani.

    Questo mi ha ricordato Guido Farneti con il suo intervento che considero una straordinaria manifestazione di rispetto per l’autore.

    Il fatto che io e Miriam abbiamo sentito la libertà di esprimere qualche giudizio non in linea credo, così come ho già scritto, che debba essere considerato un valore per questo blog. Inoltre il livello di coinvolgimento dimostrato attesta, ove esistesse dubbio al riguardo, che qui i libri non sono mai considerati argomenti banali.

    Nel gioco della parti tra autore e lettore deve esistere lo spazio nel quale riversare le emozioni di entrambi. Solo per il loro tramite, infatti, si legittimerà l’esistenza stessa del libro, prima ancora del suo valore. Un prodotto creativo, se privato del giudizio di chi lo osserva, perde la ragione stessa del suo essere. Un testo, il suo stesso autore, se non è oggetto di attenzione, rimane come pagina bianca. E’ un tema questo sul quale rifletto ormai da qualche anno.

    Venendo, poi, all’accenno, perché tale è stato, alla scrittura a tavolino, intesa come scrittura artificiale e non spontanea, ho rimandato un giudizio definitivo al momento della lettura complessiva e reiterata dell’opera. Tuttavia ritengo mi sia concesso di avere il convincimento che la vera originalità stia nella semplicità, che è cosa assai diversa dalla banalità. Troppi sono coloro che indossando il paludamento della ricerca tentano di costruire una originalità che si rivela all’atto pratico talmente goffa, insipiente e stroboscopica da scadere nel ridicolo. Viviamo in un’epoca di mezze figure, mezzi uomini, mezze donne, mezzi politici,mezzi comici. Dunque cosa può desiderare di meglio un lettore se non uno scrittore tutto intero che, con la originale semplicità del suo libro, lo renda più ricco ? E lei, Farnet, come editore ?

  76. Sul silenzio tornerò poi.

    @Francesco
    Ho scrito sopra “io, al cospetto di un prosatore d’arte, m’incanto. E’ così raro poterne incontrare uno. Quasi un ultimo esemplare di una specie che avrebbe meritato di popolare il mondo letterario. Quando parlo di testo predisposto a tavolino intendo fare cenno esplicito ad una prosa nella quale i termini sono studiati singolarmente per il loro peso assoluto e non per il contributo che coralmente possono dare ad un lettore. Una rappresentazione per immagini, non una narrazione. La prevalenza della tecnica sul libero ed istintivo fluire dei pensieri. Sia chiaro. La tecnica è indispensabile, quanto una buona istruzione. Tuttavia essa non dovrebbe mai nascondere il “male di scrivere” di cui ogni autore dovrebbe essere portatore.”

  77. Ti ringrazio.
    Questo è quello che intendo per “critica costruttiva” e la accetto con umiltà. Sto imparando tanto da questo “posto” (come è brutto dire blog) e mi vergogno per delle mie antiche intemperanze.
    Mi va’ di dire, come una volta diceva un Maurizio Costanzo diverso dall’oggi : “Bella gente questa sera a BONTA LORO!”

  78. Be’, Francesco: io ho fatto una scelta chiara da ormai molti anni: adotto il linguaggio e la sintassi della critica per i pezzi critici; applico, quando posso, la mia personale poetica per la poesia; do il mio stile ai miei racconti e pratico lo stile epistolare per le lettere.
    Tutto questo, salvo restante un modo di vedere le cose che resta unico, mio, seppur con sfumature cangianti come richiesto dalle circostanze: mica andiamo in pantaloncini corti alle feste aristocratiche e mettiamo l’abito da sera per andare a far due tuffi al mare!
    …Questo te lo dice uno monolitico come me, che spesso fa da tirassegno per il primo che s’e’ svegliato col mal di testa.

  79. Ho smesso di scrivere, anche se delle impellenze me lo imporrebbero, da quando sto seguendo in modo un po’ più attivo il blog, mi sembra di essere tornato a scuola, o a bottega, come quando andavo nei laboratori dei miei colleghi per “rubare il mestiere”…
    “…tu stai li e aspetta, anche nel posto più recondito del mondo/te ne càpitano di cose…” Henry Miller

  80. Bhe, Sergio, perdonami, non sono stato felice, ma – parlando di Montesano – spero non si offenda lo conosco (mi ha stretto la mano una sera, quella cosa come diceva Totò…piacere-piacere), dicevo. perchè i suoi racconti, pubblicati sul giornale sono stilisticamente diversi da quelli in tomo, non quando compila il bollettino Enel!
    Mi diresti: chiedilo a lui!

  81. Anche a me ”Di questa vita menzognera” piacque. Montesano e’ un autore che apprezzo molto. Ma tu mi dici una cosa che – stando fuori Italia – purtroppo non sapevo: che cambia la veste ai suoi racconti quando vengono riuniti in volume. Cosa che, francamente, sembra anche a me piuttosto discutibile. Anzi sbagliata tout court, se le modifiche sono sostanziali, stilisticamente addirittura.
    E poi che c’e’ da scusarsi? Io non ho la coda di paglia e tu non sei mai offensivo nei miei confronti. Come tutti i miei altri amici veri.
    Sergio

  82. Domanda a Evento:
    ti sembra che la mia scrittura narrativa sia sperimentale? (Non anticipo il mio pensiero a riguardo). Grazie se mi rispondi subito.
    S.

  83. Al caro Dido’, dal quale io imparo molte cose letterarie:
    quanto sopradetto: ”…Questo te lo dice uno monolitico come me, che spesso fa da tirassegno per il primo che s’e’ svegliato col mal di testa”, non era riferito a te.

  84. Sergio, la sperimentazione non è solo la ricerca di elementi nuovi, ma anche la originale ricombinazione di elementi preesistenti, meglio se presi dalla cultura classica.

    Ti ho risposto ?

  85. @ sergio:
    sebbene non interrogato rispondo anche io. la tua scrittura non la definirei sperimentale. Tendi a una forte personalizzazione ma, più che per uno stile che in qualche modo sgorga in maniera “animale”, grazie a una commistioni di stili antichi e moderni che, alla fine, formano un “mix” molto tuo.
    Devo dirti che io ho un po’ “faticato” a leggere il tuo libro, ma alla fine sono stato molto contento dello sforzo perché certamente il tuo “Maniaco” è originale e anticonvenzionale.

  86. Condivido, gente (tutti e tre, ognuno perche’ ha aggiunto il proprio tassello)! E do’ un saggio di scrittura sperimentale classicomoderna:
    ”Si lavora e si fatica per il pane e per la mica” (la mica muscovite e’ il minerale a cui tutti aspirano, la pietra sacra. Poi esiste anche la ”mica nera”. Inarrivabile. Vedi vocabolario enciclopedico alla voce ”mica”).

  87. Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiihh! Sozim’haoffesachiedolaprotezionedelconciliodiTrentoedellacirconvenzionediGinevra!!!!!!!!!!!!!
    (Absit iniuria verbis)

  88. Scusatemi, vorrei rubare uno spicchio di spazio al bravo Vladimir.
    Mi commentate questo brano?
    Non vi do altre indicazioni!

    “-Aveva passato inverni terribili, a fare asole e a sentire i discorsi infiammati del padre che inveiva contro Mussolini, insieme con i suoi amici, che facevano la “resistenza” nella bottega di sarto del padre bevendo anice e fumando le “Serraglio” o le “Edelweiss”.
    Il bruciore, ancora nelle pupille, dell’umiliazione subita da papà Antonio, rosso di capelli, rosso di rabbia (“Totonno o ’russ’ lo chiamavano)quando don Peppino Pirozzi, entrato con violenza insieme a due schifosi in camicia nera, gli sfasciò la radio Geloso di bachelite color pignuolo, col bastone. La voce di Ruggero Orlando aveva smesso di gracchiare .
    “Così ‘a fernisci di sentire ‘sti sporchi inglesi”.
    Forse era stato un bene, forse papà Antonio avrebbe smesso di mettere in ansia la famiglia con la politica, ma l’impressione era durata un attimo, il tempo che era servito a mamma Graziella di uscire da dietro la tenda del retrobottega, con un battipanni di vimini, impugnato come spada, gridando “Fascist’ scurnacchiat ’, tiene è ‘ccòrn ‘”. Pirozzi era quasi scappato, aveva paura di sentire il resto, ma il resto mammà non lo doveva andare a comprare, lo teneva già dentro, negli scaffali del cuore, glielo aveva urlato dalla soglia della sartoria, più doloroso del battipanni con cui non era riuscito a colpirlo: “Ho sposato un uomo non un fascista, e tu tè spusata ‘na troia”.
    Mentre i pochi passanti, camminando svelti e a testa bassa nascondevano un sorriso, al mazziere risuonava in mente “Sposa me, che sono un vero uomo, non ti mettere con uno sporco socialista”.

  89. Enrico: sei grande!
    Stefania: torna tra noi!
    Sergio: continua a fare il prof ma sempre sorridendo… anche io sono proffy e so quanto posso ferire con una correzione giusta ma “sbagliata” in un altro senso…
    Il silenzio… Un bel tacer non fu mai scritto. è un paradosso, vero? La letteratura se ne sta in silenzio dentro le pagine e parla soltanto quando la leggiamo. Ma non sta zitta. Silenzio è lo spazio bianco che ritma la musica dei segni neri che si rincorrono sulla pagina.

  90. Io comunque non faccio il prof. Faccio il lettore esigente. Anzi: lo sono. Perche’ il bianco e’ sempre bianco e ognuno gli da’ la valenza che vuole. La parola invece resta. E io, come dici tu, Maria Lucia, sono anche capace di ridere, e lo faccio spesso finche’ non si parla seriamente. ”Seriamente” e’ un avverbio che cerco di adottare perche’ mi sono stufato di questa civilta’ dove la parola vale meno di niente: si puo’ insultare, fare e rinnegare patti, sconfessare tesi dette un minuto prima, a cuor leggero, come se fosse normale e ovvio. Ossia con la leggerezza della superficialita’. Mancare in una parola data succede a tutti, anche a me, ma dare un valore generalmente relativo alle proprie e alle altrui parole e’ cosa che non mi riguarda. La parola e’ parola. Assoluta, almeno nei nostri intenti, nelle nostre buone intenzioni.
    Bacioni
    Sergio

  91. Dido’:
    e’ bello, il brano, ma non mi sembra opera tua. Non saprei, pero’, di chi altri. Mo’ ci penso. Aspetta.

  92. @Sergio,
    Si, il brano è estrapolato da un mio racconto ancora in elaborazione e fermo da quattro anni; è sospeso perchè mi innamoro di più dei miei racconti strampalati e surreali legati all’umorismo ondivago tra Konisberg e Jannacci (tra l’altro se consenti mi faccio dare la tua mail da Maugeri e ti spedisco qualche “campione omaggio”).
    Ho riaperto questo brano per caso e volevo un giudizio così a caso, è una storia che prenderebbe il via dalla fine de “La Pelle” di Malaparte (Vittorini?) per raccontare altri pezzi di Napoli, ma c’è tempo, c’è sempre tempo.

  93. Continua, Dido’. E’ difficile, forse, ma l’incipit funziona. Io al posto tuo piano piano devierei verso le mie (cioe’ le tue) fantasie. Senno’ resta troppo realistico (io e il realismo, neo o vecchio, siamo due rette parallele).
    ”La pelle” di Malaparte. Bellissimo e tremendo. Scioccante. Solenne.
    Secondo me piace anche a Vladimi Di Prima. Tradotto anche in sloveno, lo sai?
    Vladimir, e’ vero che adori Malaparte?

  94. @ Sergio, Francesco, Enrico, Eventounico, Maria Lucia… e a tutti:
    Mi avete fatto un regalo bellissimo.
    Mi avete dimostrato che è possibile passare un sabato sera insieme (virtualmente… ma non solo) qui a letteratitudine, in armonia e allegria.
    Questo blog diventà sempre più un concentratodi umanità.
    Grazie di cuore.
    😉
    vosto Massimo Maugeri, “il natalizio”

  95. Domenica che ha livori in cielo, domenica come tante altre. Ed ecco, in prossimità del natale, mi trovo qui a offrirvi una testimonianza, la mia di me bambino…
    Sapete – vi racconto – erano gli anni che si era imparato a leggere da poco e le parole in lettura venivano zoppe come morsicate alle caviglie. Leggevo Robin Hood, l’isola del tesoro, Scurpiddu; tuttavia non amavo i libri, volevo giocattoli, robot, costruzioni Lego…
    La mia famiglia, a quel tempo, come tante e tante famiglie del mondo mi faceva trovare un libro sotto l’albero. Ogni volta rimanevo puntualmente deluso, speravo di trovarvi un incarto diverso, un “involtone” che lasciasse la speranza allo scarto di coloratissime suggestioni. Invece no, invece. Il solito rettangolo, più o meno spesso, confezionato con maniacale cura, sul quale germogliava a mo’ di fungo un fiocchetto azzurrognolo. Mi dicevano: “contento?”. Ed io, per non deluderli esclamavo un sì che si scioglieva poi in un grosso no agli occhi. Passava il natale, arrivavano i compleanni e si cresceva, sbadati, col conforto di qualche lira in tasca da spendere in videogiochi e futili intrattenimenti. I libri continuavano a passare lo stesso sotto gli alberi ed io pensavo a un babbo natale che ce l’avesse proprio con me. Tuttavia imparavo ad apprezzarli, ad annusarli come fossero coca rigenerante; investigavo sull’autore, penetravo le sue frasi dallo spioncino di un’infomale curiosità. Molti di quei libri non li finivo: la carta cominciava a puzzare, mi respingeva, anche il proseguire nella storia mi respingeva. Però, però, però…
    Oggi nessuno mi regala più libri. Li compro e con molta umiltà propongo qualche cosa di mio. Ne leggo almeno dieci al mese. Li amo. Sono la mia vita. Perchè? Perchè il libro nel cuore di un bambino è una tartaruga che prima o poi arriva al traguardo. Se sotto quei tanti alberi addobbati non avessi trovato un libro, se ci fossero stati solo giocattoli, probabilmente oggi non conoscerei l’emozione, il conforto e pure l’amicizia che possono offrire solo i libri. Il mio vuole essere un invito a tutti quei genitori che avranno modo di leggere questo post: per natale regalate un libro ai vostri figli; un libro che li faccia sognare, svagare e non chiedetegli se gli sarà piaciuto. Da grandi saranno loro stessi a ringraziarvi. Buona domenica.

  96. Eccomi qua.
    Tanto cose da scrivere e pochissimi minuti.
    Ringrazio Sergio per la sua verve (ma il do con l’apostrofo, o l’accento, non me l’aspettavo :-P) e per ciò che dice. Mi piacerebbe discutere molto a lungo delle sfumature, e del linguaggio creativo, o poetico, e di quello saggistico, o critico. (Sono un editor, prima che un editore, e uno che scrive e ha scritto varie cose, prima che un editor, e sempre col focus sul linguaggio).
    Ringrazio Evento, per le sue parole su Bompiani. Il Conte Bompiani è stato il mio modello: oh, per carità, sono giovane, ho 30 anni, ma da una dozzina vivo in questo mondo, e ho avuto maestri (buoni e cattivi) e modelli da studiare. Bompiani è stato uno di quelli. Un vero editore.
    [Mi si permetta un’adulazione: Elisabetta Sgarbi, che oggi dirige quel marchio prestigioso, è una degnissima, degnissima, erede.]
    Ringrazio Miriam per le sue critiche: ma c’è una cosa che mi sfugge -e spero non per la fretta- e cioè il fatto che si critichino le immagini, che a quel modo non servono molto. E però le immagini sono solo la trasposizione del libro, o un’idea, un excerptum. E dunque, cosa dire del libro? O meglio, del fatto che tali immagini siano anche la base del libro? Vale lo stesso discorso? Ne sono curioso.
    Ringrazio chi non ama le nostre copertine, e chiedo il motivo, per poter migliorare.
    Ringrazio anche, e purtroppo non ritrovo l’intervento, chi mi ha chiesto della storia magica, di quella unica: ma io probabilmente l’ho già pubblicata, non la sto aspettando. E anzi, azzardo di averne pubblicata ben più di una. Certo, se poi parliamo di quelle che hanno successo… beh lì la magia -anzi, lì il libro- conta una percentuale irrisoria.
    (A proposito, su Calvino… beh, non lo stimo a tal punto)
    E riprendo il discorso Bompiani, per rispondere infine al nostro ospite MAssimo: perchè fare gli editori oggi? I motivi sono tanti, e non sempre così candidi da poterli raccontare apertamente… 😉
    Io posso dire cosa spinge a fare gli editori come lo fa Azimut: una pazzia clinicamente verificata. E’ questo che rispondevo ai giornalisti alla Fiera di Più Libri, quando ci chiedevano della nostra provocazione dell’ultimo giorno (cfr. sulla scorta dei Radiohead, stand selfservice, take and pay, dai al libro il valore che ritieni abbia, e pagalo quanto credi).
    Quella pazzia che ti spinge a credere solo nei libri, senza tutti i mezzucci così in voga per fare denaro. A sacrificarti giorno dopo giorno, notti comprese e festività pure, per sperare chissà un piccolo applauso. Ma il motivo fondamentale, quello ultimo, è uno: io, per me, faccio l’editore perchè non saprei fare altro, se non tentare di dare voce a chi se la merita.

  97. @ Vladimir.
    Bravo Vladimir, bel commento.
    Speriamo che i genitori sappiano regalare libri giusti e consoni all’età dei loro piccoli.
    Non il tuo. Il tuo è un libro per gente più grande; ma è comunque un’ottima idea-regalo.
    Riesci a leggere dieci libri al mese? Dici davvero o ti stai un po’ allargando?
    😉
    Io non riesco ad andare oltre i quattro (quando ci riesco).
    Come fai?

  98. @ Giudo.
    Caro Guido,
    grazie per questo tuo commento.
    Auguro il meglio a te e ad Azimut e spero che alla tua “pazzia clinicamente verificata” possa corrispondere un “successo meritevolmente duraturo”.
    Continua a “tentare di dare voce a chi se la merita” e da parte mia avrai sempre l’applauso più grande.
    Per quanto piccolo esso sia.
    😉

  99. Filodrammatico il Farneti. Mi convince. Bravo. Ha compreso la responsabilità del suo mestiere e quando dice di aver già pubblicato la storia magica la dice lunga sul fatto suo. Si parlava di Di Prima come scrittore vero; qui, mi sembra, ci siano anche i presupposti per affermare di essere di fronte a un editore VERO, umanità davvero rarissima.

  100. Gentile Vladimir, grazie per la tenerezza che le suscito, ampiamente ricambiata, poichè solo ,con le critiche anche feroci, il nostro orgoglio è
    stimolato a dare il meglio del meglio, anche per dimostrare,nel tempo, che si ernano sbagliati. E’ importante che lei scriva, proprio come si sente. perchè ognuno di noi, avverte intimamente se ha elaborato un’opera che vale o no. L’isola misteriosa, che lei ha esplorato in ogni libro che ha letto, allargherà comunque i suoi orizzonti mentali. Alcuni autori sono magiche miniere, ricche di pepite d’oro e lasceranno tracce indelebili nel suo animo sensibile. Altri sono solo pirite che luccica, ma prive di valore,le serviranno comunque come sempio per non scrivere banalità come loro!Se la può consolare amo sia lo stile stringato di Hemingway, sia lo stile barocco e ineccepibile di Gesualdo Bufalino, che in perfetto, negletto nascondimento sino alla sua scoperta, si è nutrito di alata cultura, che poi ha generosamente riversato su noi lettori, pronti a recepirne ogni pagina.Coraggio e avanti. Auguri di vero cuore.
    M. Teresa Santalucia Scibona

  101. Farneti ha le idee molto chiare e le espone in maniera brillante, con chiarezza e senza possibilità di equivoci. Bravo. Ottima maniera di fare l’editore. Purtroppo non ho potuto seguire il dibattito, mi sarebbe piaciuto intervenire con maggiore profondità. Su Calvino non sono d’accordo, ritengo che la trilogia surreale appartenga ai capolavori della letteratura italiana. Ma non siamo qui per parlare di Calvino.

  102. Dando una sbirciata veloce ho visto che la Maria Teresa è diventata una perfetta padrona di casa nel sito. Forse ci siamo persi per strada Stefania (speriamo di no). Sono disposto a fare lo sciopero della fame pro Stefania o a organizzare una spedizione punitiva nei confronti di Sozi (a scelta). Suvvia, concludiamo in bellezza con una bella stretta di mano. Sergio è un gran signore, si sente lontano un miglio. E poi le persone capaci di chiedere scusa, sono le più intelligenti.

  103. @ Massimo
    In questo periodo ho molto tempo a disposizione quindi cerco di riempirlo spesso con la lettura. Dieci libri al mese sono una media pressoché costante. Devo fare alcune precisazioni però: di questi 10 libri almeno tre sono di poesia, 4-5 di narrativa e 1 di criminologia, psichiatria, psicologia, materie delle quali mi occupo. Dei 4-5 libri di narrativa c’è sempre un classico. Il gioco è fatto, no? Proprio oggi leggevo IL LADRONE di Asturias, un libro bellissimo.

  104. Cari lettori, vi lancio una provocazione che spero possa scuotere la vostra attenzione in questa uggiosa e fredda domenica dicembrina: e se da domani, lunedì, l’editore Tal De’ Tali pubblicasse il primo libro scritto interamente da un cane che nel corso dell’evoluzione della sua specie ha imparato a scrivere, secondo voi varrebbe ancora quel detto “questo tizio scrive da cani?”. Nel senso, una scrittura di cane potrebbe paradossalmente, e di gran lunga, superare una “scrittura da cani”. Sottile quanto retorica? Boh…passo a voi la parola.

    P.S. si parlerebbe di processo di alfabetizzazione dei cani?

  105. Sulla sovrastante provocazione di Vladimir farei una premessa. E’ evidente che egli, forse a causa del recente sciopero dei trasportatori, ha terminato le sue scorte di marocchino. Si è visto quindi costretto a fumare il contenuto del sacchetto dell’aspirapolvere e come cartina ha usato una pagina del libro di Sergio Sozi.
    Tornando all’argomento, ora non mi vengono in mente opinioni significative. Diciamo che, come è noto, noi uomini siamo un’evoluzione (bah!) dei primati. Quindi, in teoria, ci siamo evoluti fino ad avere la capacità di scrivere. Ma, nonostante l’evoluzione, i risultati non sono sempre ottimali. In sostanza io personalmente, al cospetto di molti libri “umani”, credo preferirei un romanzo scritto da una cercopiteca in calore.

  106. Credo che Vladimir possa serenamente scrivere dieci libri al mese forte delle rassicurazioni di M. Teresa Santalucia Scibona, la quale, con i soli nomi e cognomi, ha fatto già più di quanto io possa sperare in una vita intera. Lasciatemi, però, rivolgere un pensiero a quei poveri scrittori che sono stati definiti “pirite” e nessuno si preoccuperà di informarli della loro condizione. Magari Zappulla durante la sua spedizione punitiva potrebbe fare delle brevi soste giusto per comunicarglielo. A Natale qualche atto di bontà si potrà pure compiere ?

  107. @ Farneti e Vladimir
    La critica era per le immagini, non per la scrittura – fatico ad esprimermi su un testo che non ho letto integralmente. Vladimir parla di espressionismo eccessivo, ma lui quelle immagini le ha scelte, gli ha dedicato ore, entusiasmi e sentimenti per ordinarle e studiarne/presentarne la sequenza; io le ho viste una sola volta e ho reagito come uno spettatore, un lettore, un cliente (i lettori sono anche clienti). Ma ho reagito anche da essere umano, che su certi temi, svolge una sua donchisciottiana battaglia. Tutto qui. Affermo però che questo nostro fradicio mondo, ha bisogno più che mai dello spirito artistico; quello illuminato, preveggente, anticipatore. Soprattutto anticipatore, l’artista è come il marchese di Posa del Don Carlos, l’artista è contemporaneo ai posteri. L’arte, intesa come azione creatrice, nel presente intuisce il futuro. In questo contesto, si deve collocare l’impegno e l’azione, altrimenti è solo un buon esercizio tecnico, che nulla dà e nulla lascia, solo parole. Un insieme di “parole”, di gesti misurati per un risultato relativo, come i centri delle beghine: punti precisi intrecciati ad estenuanti litanie. Provo rabbia per la facilità con cui ci sottomettiamo al fascino del Male, a quella stupida infetta banalità e al suo persistere. Penso che sia ora di ricercare nuove strade. Qualcosa sta già cambiando e i giovani, per primi, dovrebbero captare le nuove onde. Manituana, per fare un esempio noto a tutti, si colloca proprio in questa direzione e la ricca e appassionata partecipazione ai “dibattiti” conferma l’entusiasmo dei lettori. Per essere più chiara: anche lo scrittore dovrebbe sentirsi più Artiere che Artista, e partecipare ad un grande movimento rinnovatore, un insieme delle menti, che includa anche una nuova “politica” editoriale.
    A Vladimir
    Ho letto con gusto il tuo racconto sui doni di Natale; anche a me capitava, più o meno la stessa cosa, ma i miei genitori, persone semplici (operai e contadini) si affidavano ai consigli del libraio. Così ad otto anni mi regalarono, in occasione della mia prima comunione, una riduzione del Don Chisciotte; forse devo a quella mia esperienza il piglio battagliero, da cavaliere visionario, che ancora oggi mi turba ( anzi, a volte, turba di più gli altri). Buon Natale.
    (a Farneti: concordo su Calvino)

  108. Caro Vladimir,
    che bella la tua prolusione sui libri e sui bambini.
    Io invece amavo i libri, ma per i miei genitori, i libri, se non servivano per la scuola, non erano considerati importanti, non credevano in una lettura fuori dai circuiti didattici…però a Natale le feste si passavano dagli zii e mio zio aveva una biblioteca formidabile.
    Loro giocavano a tombola e io cominciavo ad entrare nel mondo della cultura dalla porta reazionaria e para-nazista del Reader-Digest, una rivista quasi gratuita editata dal governo Usa: ma era così affascinante (chi è vecchio come me? Gregori? Bhe lui la ricorda!).
    E i romanzi russi, quante volte ho spizzicato a dieci anni “Guerra e pace” rilegato in pelle marroncina, mentre mio zio entrando in salotto mi gridava “Francesco, non gualcire le pagine, quelli non sono per te”, come se fossero giornali porno, vieni a giocare a tombola.
    Non ho più letto ne “Guerra…”, ne molti altri russi, ma c’è tempo, c’è sempre tempo!
    Quel mondo luccicante che autorappresentavano gli americani
    @Farneti,
    carissimo e bravo editore, ce ne fossero come te.
    Ero io a non essere d’accordo con la copertina.
    Troppo ammiccante verso il mondo giovanile, graficamente ostica (ma è un mio limite), troppo neo-futurista; ma se mille giovani comprano il libro, attratti dalla copertina e dieci adulti no…bhè, allora ho torto perchè comunque vada il libro va venduto.
    Con affetto.
    Didò

  109. @scusate c’era una frase fuori contesto

    Loro giocavano a tombola e io cominciavo ad entrare nel mondo della cultura dalla porta reazionaria e para-nazista del Reader-Digest, una rivista quasi gratuita editata dal governo Usa: ma era così affascinante (chi è vecchio come me? Gregori? Bhe lui la ricorda!).
    Quel mondo luccicante che autorappresentavano gli americani

  110. Caro Farneti,
    la stima e’ reciproca. Grazie.
    Pero’ il dizionario G. Devoto – G.C. Oli (edizione 1971), a proposito della grafia del ”do” prima pers. sing. del verbo ”dare” (che io ho scritto con l’accento: non e’ un apostrofo il mio perche’ ho una tastiera straniera priva di accentate), ammette il ”do” sia con che senza l’accento. Vedasi al lemma ”dare”. Io ho scelto di mettercelo.
    Anche correggere il prossimo e’ difficile: occorre frequentare il dizionario.
    Con rispetto e gratitudine
    Sergio Sozi

  111. A Vladimir Di Prima,
    grazie per il suo raccontino ”pedagogico”: i migliori auguri natalizi finora giunti su questo blog! Grazie di cuore, Vladimir!
    Il suo sincero estimatore
    Sergio Sozi
    P.S.
    Il mio racconto ”Eh… Quando c’era Lui!” e’ a Sua disposizione nella sezione di Letteratitudine ”Ritorniamo ai classici”, la mia rubrica fissa. E a far parlare i cani ci ha pensato Bulgakov nel bellissimo racconto ”Cuore di cane” (eito anche da Newton Compton, mi pare). Buon Natale anche a Lei!

  112. Cribbio, Maestro Sozi,
    velocità da bora triestina!
    Saettante tastiera nell’universo dei vocaboli, ha, in modo immantinente, incappiato il malcapitato e simpatico editor.
    Peggio di un bounty-killer del verbo, un’altra tacca sul computer!
    Mi ha fregato anche in velocità (la mia è bradipea come quella dell’insaccato bolognese che ultimamente si occupa della regia del film “Italia”):”Cuore di cane” è il mio mito!

  113. @ Sergio, Francesco, Guido e a tutti:
    Intervento al volo sulla questione linguistica e correzioni.
    Avevo sottovalutato la proposta di Elektra. Invece mi accorgo che ha un suo fondamento. Non vorrei che, cominciando a correggerci a vicenda, si crei un’atmosfera di tensione. Che ne dite?
    Cioè… potremmo pure farlo, ma in ottica goliardica.
    Se vi andate a rivedere il post su Moravia, per esempio, Sergio e io (che su Moravia abbiamo opinioni discordanti) ci siamo “combattuti” a colpi di citazioni manualistiche ed enciclopediche. Ma è stato divertente (almeno… io mi sono divertito) perché lo spirito era anche goliardico.
    Se riusciamo a mantenere questo spirito… bene!
    Altrimenti mi viene da pensare che sarebbe il caso di accogliere la proposta di Elektra “d’ufficio”; nel senso che, la prossima volta che leggo un commento a fini correttivi… lo “casso” e apporto automaticamente la correzione.
    Che ne dite?

  114. @ Sergio.
    Sul verbo dare…
    La lingua si evolve e cambia rapidamente. E il vocabolario che tu citi è un po’ anzianotto.
    Faccio un esempio. Fino a pochissimi anni fa il verbo “velocizzare” non era riportato sui vocabolari. L’uso di “velocizzare” (che però si usava nella lingua parlata) era considerato errore. Il verbo corretto era “velocitare” (che non compariva nemmeno su tutti i vocabolari).
    Oggi “velocitare” non esiste più e anche nella lingua scritta si usa “velocizzare” (i vocabolari sono stati aggiornati adeguandosi alla lingua parlata).

    Nella fattispecie (verbo dare), l’ultima versione (quella più aggiornata) del “De Mauro” indica quanto segue: s.m. (io do).
    Punto. È categorico.
    Altri vocabolari, invece, ammettono l’uso di “dò” oppure di “do”, così come di “dai” o “dài”, “danno” o “dànno”.
    L’unica certezza riguarda la terza persona: “dà”.
    Qui i vocabolari sono tutti d’accordo.
    Però mi accorgo che la maggior parte degli editori propendono all’uso del “dai” o “danno”. La lingua, appunto, si evolve.
    È possibile che tra qualche anno l’uso di “dai” o “danno” sarà obbligatorio. Così come il “s.m. (io do)” secondo il De Mauro.
    Ora, mi domando: dobbiamo ridurci a questo?

  115. Maxim,
    suvvia, è delizioso quando Il Sozi prende la “curva delle acque minerali” in grammatica, lascialo animare di ottani il blog; lui ogni tanto innesta la “sesta”, è una specie di Ayrton Senna; crea cortocirciuti di parole, è il passaggio dall’ottocento al duemila senza passare per il ‘900; è il “Ritorno al futuro” della letteratura; il “Blade Runner” del verbo essere: “Eravamo/Saremo, non esiste il “Siamo”!
    Lui crea ferite che poi cicatrizza, sputandoci sopra sentenze giuste: è il “Doctor House” del blog.
    p.s. Se Gregori mi da’ del cazzone lo querelo!

  116. Certo Francesco, però se tra te e Sergio non intervenivo io a buttare acqua sul fuoco a quest’ora eravate ancora a prendervi a “cazzotti” (si fa per dire, eh).
    O no?
    😉

    Mi piacerebbe conoscere il parere degli altri.

  117. 🙂

    caro Massimo, hai centrato (…) la questione. io, dopo anni di studi filologici (greci, soprattutto) sono arrivato ad una conclusione, e cioè che la grammatica non la fanno i dizionari, o le grammatiche appunto, o.
    ma la lingua, che è viva e si muta e si trasforma. e che, signor di domenico, non rende me il malcapitato, perlappunto come dimostrato, tra i marosi della linguistica, anzi.
    con questo non dico che tutto ciò mi piaccia, anzi. ma è innegabile, e credo anche non arginabile. tra l’altro, per diletto, di quando in quando mi appassiono ai dibattiti -vecchi- del forum del sito dell’Accademia della Crusca e ho ben imparato che sempre esiste un qualche caso in cui è ammesso… oppure è concesso… e che i dizionari, sin troppe volte e a volte a sproposito, sono un pò, come dire, refugium peccatorum… 😉

    Ciò detto, ribadisco, ma credo si fosse capito, che la mia è -appunto- pura goliardia. Tra amanti della lingua -e di fronta a un libro come quello di Vladimir- si può, no? 😉

    Tornando serio.
    Grazie, davvero grazie, a tutti quelli che hanno speso belle parole. Bellissime parole, e molto importanti. Per chi prova a fare l’editore, fors’anche in maniera anacronistica non lo nego, le parole quando sentite sono gratificazioni immense.
    Vorrei dire molto altro, ma non è lo spazio adatto, e soprattutto rischierei di cadere nel melodrammatico. Ma. Grazie.

    Miriam, comprendo bene il discorso. Credo tuttavia una cosa semplice, a monte di ogni discorso. E’ vero che esiste un interesse tra i lettori. Ma altrettanto vero è che spesso si tratta di un interesse superficiale o momentaneo. E comunque sempre troppo ridotto. Se -e dico se- un’immagine forte, un provocazione anche consunta, o una frase imbarazzante possono servir a scatenare una scintilla d’interesse, allora tutto ciò ben venga: il nodo, a parer mio, sta nel riuscire a fare in modo che l’immagine non sia fine a se stessa, ma semplice trampolino per entrare in una sostanza ben maggiore. Se riesco a spiegarmi.

    E riguardo alla copertina, il discorso è più o meno simile, e mi fa piacere che il ragionamento si concluda con l’interesse alla vendita.
    Devo però qui precisare il modo di lavorare di Azimut. Esiste un’artista, Adriana Merola, che dipinge e crea quadri precisamente su ogni libro, dopo averlo letto. Questi quadri a matita, gessetto, olio, materici, décollage, vengono poi lavorati dal grafico e “ingrigliati” nel modello di copertina.
    Perciò, smentendo quanto ho detto poco sopra, le copertine aziutiane in realà non nascono pensando a nessuno, nè al pubblico, nè all’autore, nè al vendere i libri. Nascono come interpretazione di un’artista. E l’unica cosa cui guardiamo, infischiandocene delle leggi di mercato o dei consigli degli addetti ai lavori (quando è nata Azimut, eravamo pressochè gli unici a fare una cosa: mettere titolo e autore in basso, in fondo all’immagine.. quanto ci hanno criticato!) è che la copertina vesta e riassuma il libro.

    Ringrazio davvero, ancora tanto. Da domani riinizia feroce la routine, e potrò leggere molto meno.
    Ma soprattutto, questo è lo spazio di Vladimir. E chissà che qualcuno, dopo aver letto Faciamo silenzio non trovi una risposta al quesito…

  118. Si, le do ragione Signor Farneti, sono andato sul sito di Azimut e mi sono ricreduto, sono belle copertine e non scherzo, mi creda.
    Non mi ero sbagliato però sul fatto che l’impostazione sia neo-futuristica, ma a questo mi dovrebbe rispondere l’autrice;
    incontrandola le porga i miei complimenti.
    (sono padre di una pittrice, è anche interesse privato)

  119. Massimo, a mio modesto avviso, il problema della eventuale correzione semplicemente non esiste. Dovrebbe essere segno di intelligenza accettare una critica invece stiamo cercando il modo di girare intorno alla questione addirittura segnalando la cosa off line. Io non ho fatto anni di studio di filologia greca come Farneti, pur essendo alquanto più vecchio, ma credo che sia risaputo da tempo che la lingua viene creata dall’uso.
    C’è un tempo per ogni cosa. Anche per la saggezza.

  120. Ahimè, di arte me ne intendo davvero poco, poco, poco.
    E dunque, chiederò all’autrice 🙂
    Grazie per le parole, comunque. Quel che ci piace, è che non passino inosservate in primo luogo, e in secondo, volevamo creare qualcosa che non ci fosse ancora, o non proprio così, nel panorama editoriale.
    Tra l’altro, la copertina di Facciamo Silenzio è ancor più particolare: nel senso che ciò che si vede sulla copertina vera e propria e solo un particolare del quadro, dell’immagine, che si sviluppa poi sulla quarta di copertina e sulla due bandelle.

    ma.. ops, sono ancora qua! (è che proprio non ce la faccio a fare l’editore serio, che non appare, che è sempre misurato, che una parola è poca e due sono troppe..)

  121. Ed è proprio in nome della saggezza, caro Eventounico, che rimetto la questione all’intera comunità di Letteratitudine.
    Peraltro proprio il tuo atteggiamento di amicizia nei confronti del caro Sergio mi fa tanto piacere. E sai perché.
    😉
    In ogni caso… tu hai espresso la tua opinione e hai fatto bene. Vediamo cosa ne pensano gli altri.
    Credo che il punto fondamentale è che non siamo tutti uguali.
    A me ciò che preme di più è continuare a mandare avanti Letteratitudine senza creare divisioni, fratture, o litigi.
    Credetemi, è difficilissimo. Per questo chiedo il contributo di tutti.

  122. Grazie a te Massimo,
    ma prima di andar mi confesso; e ti confesso che sono stato io a spingere Vladimir a contattarti: stima verso il tuo lavoro, e verso questo spazio giovane e già importante.
    E se vola qualche cazzotto, purchè sia onesto e franco… beh, non è arte anche quella? 😉
    Complimenti, davvero.

  123. Insomma, se siamo liberi di scegliere il dizionario che vogliamo, allora evitiamo di correggere il prossimo: ho fatto la mia scelta, contemplata in un dizionario illustre e non da poco (le cose buone rimangono fisse, come Dante). Chi mi dice che invece avrei sbagliato, sappia dunque che NON ho fatto un errore grammaticale. Devoto-Oli alla mano. Vecchio. Anche Dante e’ vecchio e a me i vecchi piacciono: sono il punto di riferimento linguistico e morale di un Paese dove le si trovano tutte per criticare senza ragioni oggettive l’operato oggettivo altrui. Punto. Se si sbaglia nel correggere gli altri si chiede scusa, non ci si incaponisce.
    S.

  124. A dirla un po’ piu’ ”intellettualmente”: nella lunga storia della lingua italiana, tutto quel che e’ stato registrato, catalogato, ufficializzato come concesso fin ora e’ concesso anche OGGI. Cio’ che sta fuori dai repertori lessicali non e’ concesso. E il mio do’ era concesso. Dunque lo e’.

  125. P.S.
    E questo dunque salva la lingua in quanto continua evoluzione, mi pare. E qui concludo. Io non ho sbagliato. Ha sbagliato chi mi ha criticato illegittimamente. Studi greci o non alle spalle.

  126. Eddai, Sergio…
    ti faccio tre sorrisi
    🙂
    🙂
    🙂
    Mettiamo punto? Altrimenti non ne usciamo più.
    Dài, datemi una mano tutti, please.

    Mettiamola così.
    È tutta colpa mia. Evidentemente non sono stato abbastanza bravo a gestire le piccole “tensioni” sorte in questo post.
    Mi assumo tutte le responsabilità e chiedo scusa a tutti voi.
    Mi aiutate però a voltare pagina?
    Altro sorriso.
    😉
    Elektra? Dove sei?
    Smile

  127. Massimo: mi sono divertito anch’io di brutto nel giocare con te sulle citazioni moraviane. Un gioco intelligente e spiritoso, alla maniera delle Accademie di un tempo.
    Pero’ stavolta mi si rimprovera un errore che non ho fatto. Ergo mi difendo. Anzi mi sono difeso. E per quanto mi riguarda la finisco qui.

  128. Bravo Sergio.
    Finiamola qui
    😉
    Però, appunto, la cosa che vorrei evitare è che questo possa diventare un luogo dove diventa necessario “doversi difendere”.
    Non è quello che vogliamo, giusto?

  129. @Farneti
    Discutere è sempre positivo. Poi, solo questa sera ho curiosato sul sito e ho scoperto cose interessanti, soprattutto fra gli amici di Azimut. Sulla copertina, non mi ero nemmeno soffermata, il mio disappunto era per il video e per una particolare figura.
    Ti scrivo all’indirizzo di Azimut.

    @Massimo: un correttore di bozze forse sarebbe anche utile, ma questo è un blog e fare errori è normale, è parte del gioco. Proposta: “correggi” (leggi con attenzione) i testi di presentazione, quelli ufficiali, per il resto invece no. Tempo fa ho partecipato ad un convegno molto importante dove nel titolo (manifesti, inviti, locandine) il termine valorizzazione era scritto con quattro zzzz! Si trattava della valorizzazione culturale di una provincia e l’impaginazione era stata curata da un importante studio grafico.
    @ Sergio: a volte le tue sottolineature linguistiche pesano un pochino. Prenditi delle pause. Tutto qui!

  130. Grazie Miriam.
    Leggerò e correggerò con attenzione i “testi ufficiali”. Però, dovesse sfuggirmi qualcosa… a voi il compito di farmelo notare (via mail magari).

    ‘Notte a tutti.

  131. A proposito del video del libro di Di Prima, sono perfettamente d’accordo con Miriam Ravasio. Basta la scrittura: una scrittura per adulti che non abbisogna di immagini reali, da quante ne ha nelle parole stesse il bravo Vladimir!

  132. Io confermo per l’ultima volta quanto ho gia’ detto in via definitiva – per quanto mi riguarda – ovvero che:
    1) Se avro’ degli appunti da muovere agli articoli (sono quelli che mi sembrano ”ufficiali” e pertanto criticabili nella forma) NON NE PARLERO’ MAI PIU’ SUL BLOG: PARLERO’, EVENTUALMENTE, DIRETTAMENTE CON MASSIMO (e con la mia solita bonarieta’).
    2) La stessa mia personale decisione NON RIGUARDA I MIEI SCRITTI, CHE AUSPICO SIANO INVECE CRITICATI DA CHIUNQUE APERTAMENTE. In questo caso, pero’, mi riservo di rispondere a tono al critico.
    Chiaro? Affermo che io le mie critiche le faccio fuori blog, le vostre le accetto nel blog e vi rispondo ”aperto visu”.
    A Dido’
    Bulgakov e’ uno dei migliori, vero? Ho letto quasi tutto del grande.

  133. Miriam, grazie per i tuoi suggerimenti. In uno spazio dedicato alla Letteratura pero’ si parla di questo: la Letteratura… in tutti i suoi aspetti. E io questo faccio. Quando mi va. Come te, no?
    Tuo
    Sergio

  134. Massimo:
    io credo che correggersi a vicenda sia bello e cristianamente utile (ho appena detto che io VOGLIO esser corretto), purche’ non lo si faccia cosi’ a casaccio, per umoralita’ o cattiva serata, ma su delle basi chiare e codificate. Purche’ lo si faccia con amore per la Letteratura, che e’ amore per l’arte scrittoria, la quale e’ il pilastro morale-artistico-estetico-esistenziale di una Nazione, a mio avviso. Io questo vorrei fare: scambiar due sane e amorevoli parole con gli altri per crescere insieme. Tutti. E QUI. Grazie soprattutto a te.
    Sergio

  135. @massimo:
    ma ci mancherebbe. “lui” era riferito al cazzone. il quale avrebbe tutte le ragioni di querelarmi se lo paragonassi a Di Domenico. E perbacco, anche i cazzoni hanno una dignità!
    @ sergio:
    sei abbastanza grandicello (anche se talvolta non sembra) per fare quello che credi. Il problema (per molti) non è quel che si dice, ma il tono con il quale lo si dice.
    Una volta, una persona di colore estremamente colta mi spiegò che la parola “negro” è graditissima e pregna di significato etnico-culturale. Alle persone di colore, quindi, richiama proprio il senso ancestrale della “negritudine”.
    Così come lo scomparso “padre” del movimento omosessuale italiano Massimo Consoli mi spiegò, anche con una trentina di pagine scritte in latino, quanto fosse nobile e profondamente storico-culturale la parola “frocio”.
    Se l’hai voluta capire…..
    con affetto

  136. Caro Sergio,
    non te la prendere ma secondo me Enrico ha proprio ragione. La cosa che dà più fastidio sono i toni che a volte usi. L’aveva fatto notare anche Maria Lucia in un commento precedente, se non ricordo male. Secondo me non te ne rendi nemmeno conto. Però, se lo pensiamo in tanti, è probabile che un fondo di verità ci sia.
    Qual è il problema? Che le persone che ti conoscono un po’ meglio ti hanno in qualche modo inquadrato e forse non ci fanno nemmeno caso ai toni che a volte usi, chi ti conosce un po’ meno è più facile che si risenta. Tutto qui.
    Forse dovresti riflettere un po’ su te stesso. Credimi, te lo dico con lo stesso affetto usato da Enrico nel precedente commento.
    Smile

  137. Uhm, che bagarre che ho scatenato… E per fortuna che avevo messo la faccina con la lingua… Ad ogni modo Massimo ha le mie controdeduzioni finali in mail, per non andare oltre qui (poi se volete apro uno spazio sul sito Azimut!) 😀

    Miriam, avevo capito ciò che intendevi, cioè il video. E rispetto pienamente ciò che pensi. E’ un pò ciò che ci siamo chiesti, a lungo, nel creare la scheda stampa del libro: un incipit del genere andava lasciato in trasparenza o amplificato? A parer mio va messo in bella evidenza: in fondo su di quello si basa la struttura circolare del libro, non è mera provocazione. E le immagini non potevano essere diverse.
    Ad ogni modo, sul nostro forum si può scaricare il suddetto incipit. Chissà cosa ne pensi, e se il parere sia diverso da quello per le immagini.
    🙂
    Sig. Di Domenico, finalmente credo di aver capito cosa intende per neo-futuristica. Ma, senza pur sentire ancora l’autrice, penso di poter dire che, salvi gli influssi futuristici, la copertina e il modo di lavorare della pittrice siano più neo-avanguardistici. In particolare, pesa molto Mimmo Rotella. D’altronde, penso che ciò sia calzante all’opera stessa di Vladimir: ma chi meglio di lui può dircelo?

  138. Ci ho messo un’ora abbondante per leggere, e neanche tanto bene, tutti i commenti. Si è scatenata una polemica linguistica! Arrivo tardi per intromettermi, e mi limito a dirvi cosa ne penso della scrittura di Vladimir. Concordo con qualcuno nel ritenerla “studiata”, senza che questo abbia un’accezione negativa. Semplicemente sono parole ragionate, incastrate volutamente in quella precisa forma. Non è il pensiero che vaga, libero di andare, e pur non conoscendo Vladimir sono quasi certa che nel quotidiano non parla come scrive. Mi pare giusto, e soprattutto mi pare vada bene così. Certo, dico la verità, faccio fatica a leggere una scrittura del genere, mi ci devo soffermare perchè non è immediata, anche se è un buon esercizio per la mente.
    Lo leggerò e poi farò sapere all’autore cosa ne penso, nella sua interezza.
    Intanto però, Vladimir,auguri sinceri per il tuo libro e per la tua vita.

  139. Quante parole non dette si celano dietro i nostri silenzi?
    Nei miei silenzi si sono sempre celate troppe parole. Ho imparato col tempo a saperne fare a meno- dei silenzi- per non avere rimpianti. Ho imparato a trattenere parole quel tanto che serve, solo per elaborarle meglio, e perché una volta venute fuori dalla mia bocca non dovessi mai pentirmene.
    E se non riesco a parlare scrivo, ma in silenzio non posso stare. Anche quando sono sola mi parlo, perché tutto sia chiaro perfino a me stessa.
    A volte sono gli occhi a prendere il sopravvento, e allora resto muta. Ma quello è un silenzio diverso, uno di quelli necessari, che sa di attesa e di speranza.

  140. @ Sergio Sozi e Guido Farneti.
    Vi invito a stringervi (virtualmente) la mano. Siete due appassionati e la passione deve unire, non dividere.
    Ci conto, eh?
    E poi siamo quasi a Natale…
    Perdonate la laconicità di questo commento (spero di riuscire a tornare più tardi).

    @ Guido:
    posta pure le tue “considerazioni linguistiche”. Che abbiano la valenza di “messa in comune” e nessuna polemica.
    🙂

  141. @ GUIDO, ho visitato con più attenzione il sito Azimut e ho scaricato l’incipit: un libro così non si può rifiutare, andava assolutamente pubblicato. La scrittura è maschile, come da tempo non si vedeva, e quell’inizio sembra il parto del male. Coraggioso e disgustoso insieme. La scrittura prende, e ricorda quella di Erri De Luca, è concepita come una musica ritmica, percussioni per una macumba! Personalmente mi sento più registrata su altre corde, però quelle parole affascinano. Un mondo cupo, rognoso, sghembo privo di armonia primordiale, che però occupa l’immaginazione. Con questo tipo di scrittura io ho chiuso da molto tempo, dai lontani anni settanta quando alle mie prime mostre appendevo figure nere ( simili a quelle del video ), che piacevano tanto al pubblico ma che nel giro di pochi anni mi hanno vuotato l’anima. Dal disastro buio, il percorso poi è stato luuuungo e faticoso. Ma io ho un’altra età. Voglio però augurare all’autore le cose migliori.
    Non penso che leggerò questo libro, invece sarei molto curiosa di leggere gli altri; e anche di saperne di più, vedrò di procurarmeli.
    Grazie per l’attenzione e complimenti vivissimi per la tua casa editrice, e soprattutto per l’attenzione all’arte. Miriam

  142. @Massimo!
    Un stretta di mano virtuale? che diamine, ho qui bottiglie di vino da stappare, se scappa l’occasione romana! E anche qualche buon sigaro toscano…
    @Miriam. di nuovo, grazie. capisco perfettamente ciò che hai scritto, e cosa intendi. e credo anche di condividerlo. sarà che -pur non capendoci nulla- sono appassionato d’arte, e non mi perdo una biennale (a proposito, venezia quest’anno l’ho trovata carina, dopo alcune edizioni sottotono) o triennale? 😀
    @Massimo-bis
    Te la sei cercata! Ma occhio a dare corda ai folli… E soprattutto, scusate il pistolotto.

  143. Direte, ma quest’editore non ha nulla da fare. Beh, non proprio, ma la passione e il confronto, il confrontarsi, mi stimolano in maniera unica. E la lingua, la linguistica con tutti i fenomeni annessi e connessi, poi, sono una passione troppo forte.
    Voglio dunque portare qualche esempio, qualche norma qualche parere.
    Innanzitutto, mi spiace se in qualche modo ho mancato di rispetto o se qualcuno ha avuto questa percezione. Non era assolutamente mio intento, a maggior ragione avendo sempre condito i miei commenti con emoticons.
    Mi dispiace altresì che si sia arrivati a termini quali battaglie, scuse, offese e difese. Sarà la passione, che in noi latini è maggiore che in chiunque altro!
    Amo seriamente approfondie alcuni argomenti.
    E lo faccio -appunto- NON per correggere alcuno (Dio me ne guardi, sono il primo che avrebbe bisogno di serie e severe correzoni!), ma per portare fondamenta ai miei dicorsi.
    Spero davvero di essermi spiegato, con l’amicizia.
    Dunque.
    Intanto, la mia bonaria emoticon con lingua sull’uso del verbo dare.
    A quanto ne so, a quanto ho studiato, è sempre un bene utilizzare i dizionari. I dizionari, e non uno solo, per la pluralità delle fonti.
    Tuttavia, i dizionari stessi non fanno altro che cristallizzare ciò che vedono nel mondo in un dato momento, o fino a quel momento.
    Ma la lingua è viva e muta, e questo è un fenomeno da non sottovalutare. Anzi, è proprio in questo che sta (e deve stare) la forza e l’interesse di chi si interessa, nell’osservare la realtà senza porsi a censore.
    I dizionari riportano forme e possibilità, ma non si chiedono e non spiegano il perchè, dunque la norma, la regola che regola appunto gli usi.
    [Parentesi, e opinione personale: scegliere con grande cura quali dizionari e grammatiche utilizzare]
    Ora
    @
    @ sulla questione del verbo dare.
    Non esistono regole così precise. Esiste però un modus, una prassi che ha quasi valore di norma.
    Quando si parla, l’accento si fa sentire in tutte le parole chiaramente. Quando si scrive, non sempre c’è bisogno di segnare l’accento, anzi: i casi in cui è obbligatorio indicarlo sono pochi.
    L’accento, su alcune parole, anche nella declinazione del verbo dare, si usa per distinguere, nella grafia, termini che nella lingua parlata mai si confonderebbero (danno – dànno).
    (tra l’altro, uso desueto, ma tant’è).

    Ma, e qui tutti sono concordi, nessuno in una frase confonderebbe mai
    do – verbo dare
    do – nota musicale.

    Altrimenti… scriviamo forse Rè (Rè Artù), per distinguerlo dalla nota RE…?
    😀
    Un piccolo link: http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4016&ctg_id=93
    @
    @
    @
    @ Sulla questione “centrare/c’entrare/entrarci”.
    Non so se conoscete Lorenzo Renzi, ma credo di sì.
    Vi riporto qui un suo estratto, sul fenomeno dell’univerbazione.
    “Il movimento religioso potrebbe c’entrare poco o nulla negli orrendi massacri in Uganda.
    Le persone istruite considerano questa forma come un vero e proprio errore, o orrore, ma io, da quando mi sono accorto e osservo questo tipo linguistico, cioè da più di dieci anni, l’ho sentita dire più volte, mentre non ho mai sentito dire la forma giusta (tu non devi entrarci).
    “Entrarci” per “centrare”/”c’entrare” è ormai forma estinta. (…) A questo punto constato che non c’è più la normale alternanza di posizione del clitico “ci” che c’è per es. in “ci sto/starci”, visto che si dice “c’entra” e “centrare”, e quindi l’enclisi è scomparsa a favore di una proclisi senza eccezione. E quindi in realtà la particella si è fusa col verbo: c’e stata univerbazione. E’ così che si trovano scritte correntemente forme come “centrano” per “c’entrano”. E’ arrivato quindi il momento di registrare nei vocabolari due verbi “centrare”: il primo, transitivo, che vuol dire “fare centro”, il secondo, “avere a che fare”.
    (…)
    L’uso di “centrare” (chiamiamolo ormai così) è limitato ad un nucleo di usi di modo finito (centro, centravo, centrava, centrerebbe, ecc.) ma esclude per ragioni semantiche l’imperativo (“entraci!”). Inoltre il clitico è sempre “ci”, e non alterna con “mi”, “ti”, ecc. Così le forme infinitive, indebolite dall’isolamento, sono attratte dalla maggioranza.
    A questo punto “ci” cessa di essere un avverbio e diventa parte integrante della radice del nuovo verbo “centrare”. Si tratta, come abbiamo già detto, di un fenimeno di univerbazione. (…)
    L’univerbazione è un mezzo di cui i parlanti si servono per costruire forme nuove. Così per es. il tedesco “bist”, corrispondente al latino “es” presenta una -t finale proveniente da un pronome enclitico di seconda persona, d(u). La stessa cosa vale per la t finale del lombardo “te diset”, “te partiset” (taci, parti). In italiano la parola “lastrico” è il risultato dell’agglutinazione dell’articolo l’ con la parola di origine greca “astrakon” (per “ostrakon”, coccio). Si vede così che il caso di “centrare” è solo in apparenza banale, perchè ci porta in realta al cuore del cambiamento linguistico che corrode sì il vecchio, ma per formare il nuovo.
    Cade a questo punto, scrivendo, la necessità di apostrofare “ci”: forse non tutti sono d’accordo che si possa scrivere “centra” “centriamo” e non più “c’entra”, “c’entriamo”, ma di fatto quello senza apostrofo è l’unico modo in cui trovo scritto questo avverbio da quando me ne interesso.”

    Questo articolo, ma non vorrei sbagliare, si trova in Benacchio-Renzi, Clitici slavi e romanzi. CLESP, Padova, 1987.

    Insomma, ecco perchè mi ero permesso di dire ciò che ho detto, senza volontà di correzione alcuna verso nessuno (anche perchè, come scrissi ieri, chi è che ha la verità?), e senza umoralità domenicale,
    ma solo col desiderio -in un sito di letteratura- di scherzare e approfondire uno dei lati più forti -e che a me stanno più a cuore- della letteratura
    e cioè quello linguistico.
    Grazie, e scusate l’insopportabile pistolotto 😉

  144. @ Miriam Ravasio

    Gentilissima Miriam, leggo fra le sue righe una rara onestà di pensiero e questo mi spinge – con fiducia- a farLe una domanda circa il booktrailer: in tutta la sua carriera, oltre che in tutta la sua vita, sinceramente ha mai visto qualcosa di simile o uguale alla scena del prolasso nel bambolotto? Se sì, Le sarei grato se citasse le fonti. In caso contrario Le rispondo dopo.
    Le vorrei porgere un’altra considerazione, personalissima: non credo che l’Arte debba avere una propensione specifica o che debba essere diretta a schierarsi nelle classiche e inutili dicotomie quale bene-male, giusto-ingiusto, morale-immorale… l’Arte è cristallizzazione delle frequenze nello spazio x, nel tempo y. L’Arte non deve spiegare nulla, nè deve oggettivarsi in speculazioni pedagogiche. Opione, ripeto, personalissima e pertanto assolutamente aperta al dibattito costruttivo. Rimango in attesa.

  145. Invito altresì Adriana Merola ad intervenire al dibattito sorto intorno alla copertina di FACCIAMO SILENZIO in quanto autrice della stessa.

  146. Caro Di Prima,
    le classiche e inutili dicotomie quale bene-male, giusto-ingiusto, morale-immorale… restano tali, secondo me, fin quando una persona non si sente offesa da qualcuno. Poi invece, miracolosamente, contano. Quando si offende il prossimo, la morale non conta, ma improvvisamente, appena si viene offesi, conta.
    Per me la morale invece conta sempre.
    La mia arte resta quella appunto che non offende i sentimenti altrui. La Bellezza. Sempre.
    Sozi

  147. Caro Vladimir, non ho più osato guardare quel video: l’ho fatto ora e ho visto e ascoltato con attenzione. Voglio rispondere a quello che mi hai chiesto ma lo farò domani perché ora sono stanca. Ti spiegherò anche i motivi della mia reazione e ti dirò dell’altro.
    Ciao, a domani

  148. Gentilissimo Sergio, non mi si fraintenda; l’opinione, la mia, è strettamente personale. Non cerco affatto consensi per il video. Anzi, Le dirò senza ipocrisia, che la sua opinione, quella di ritenerlo brutto, mi fortifica nelle mie determinate convizioni; mi fortifica nel fatto di ritenerlo io stesso brutto, ma probabilmente di una bruttezza diversa o differente da quella che intende lei. Le confesso che un po’ male ci sarei rimasto qualora qualcuno avesse utilizzato l’aggettivo “mediocre” o “passabile”nel definirlo. Siccome, mi pare, nessuno si è prodotto in esclamazione di mezzi termini, mi ritengo fortunato e confortato dalla Sua e dalla comune parola.

  149. (Naturalmente senza alcun risentimento! Anzi in tutta amicizia! Averla conosciuta mi onora, Farneti! Ci si scambia le opinioni e le fonti, si ragiona, si medita e poi ognuno sceglie se cambiar strada o restare sulla sua vecchia… questa io considero la dialettica culturale.)
    Suo
    Sozi

  150. Elektra, ti rispondo come ho fatto poco prima con Massimo, ringraziandoti per un suggerimento di autoriflessione che comunque applico da solo sin da quando son nato. Ma a modo mio.
    Io credo che correggersi a vicenda sia bello e cristianamente utile (ho appena detto che io VOGLIO esser corretto), purche’ non lo si faccia cosi’ a casaccio, per umoralita’ o cattiva serata, ma su delle basi chiare e codificate. Purche’ lo si faccia con amore per la Letteratura, che e’ amore per l’arte scrittoria, la quale e’ il pilastro morale-artistico-estetico-esistenziale di una Nazione, a mio avviso. Io questo vorrei fare: scambiar due sane e amorevoli parole con gli altri per crescere insieme. Tutti. E QUI.
    Un affettuoso saluto
    Sergio

  151. Caro Sozi, per la carità! l’onore è mio e il dibattito mi fa stare bene, fisicamente bene.
    Ho sproloquiato solo perchè mi pareva d’aver letto da qualche parte di essermi incaponito in alcuni errori, e volevo far capire che forse non stavo del tutto sbagliando.

    Ciò detto, concluderei con un sorriso e con un elegante adagio del notevole poeta Eastwood Clint:
    “Le opinoni sono come le..”
    no, forse non è poi così elegante 😀

    Brindisi a tutti!

    PS
    Vladimir, Adriana non frequenta troppo il web, ahimè.

  152. Intervengo solo ora a una discussione in cui sarei voluta essere parte attiva perchè ho letto sia FACCIAMO SILENZIO che i libri precedenti di Vladimir Di Prima. Ma state scherzando quando dite scrittore vero? Quando parlate di libro assolutamente da pubblicare? Chissà quanti denari avrà sganciato lo scrittorino etneo al poco credibile Farneti ( paragone con Bompiani? avete poca fantasia nel prenderlo in giro..); ma si sa, pur di pubblicare e incassare…
    Di Prima ha un periodo che non regge, non ha niente da dire, scricchiola come una fetta biscottata. Insomma, un altro caso montato figlio della solita Italietta usa e getta.
    A Maugeri: la smetta cortesemente di propinarci queste bufale mascherate. La letteratura è altra.

  153. la solita, spicciola ironia del dilettante… mi pare che dalla frequenza con la quale Farneti interviene su questo blog abbia tanto da lavorare nella sua casa editrice, ma tanto… Beh, da uno che pubblica spazzatura non c’è da aspettarsi molto. Non se la prenda Farneti, mi hanno cresciuta a dire sempre la verità. E’ un male che non la dica anche lei.

  154. Viva la franchezza! Non concordo con Lei, sig.ra Ceravolo, ma ammiro la Sua vis. E non sono uno che si nasconde dietro i muri antiproiettile, lo sanno tutti qui (purtroppo per me).
    Vorrebbe cortesemente aggiungere qualche riga esplicativa per la Sua stroncatura del Di Prima?
    Grazie
    Sozi

  155. Cara Maria Lucia Riccioli,
    mi sorge un dubbio: non avrai mica pensato che le seguenti affermazioni fossero rivolte a te? No. Mai. Io parlavo in generale.
    …mi sono stufato di questa civilta’ dove la parola vale meno di niente: si puo’ insultare, fare e rinnegare patti, sconfessare tesi dette un minuto prima, a cuor leggero, come se fosse normale e ovvio. Ossia con la leggerezza della superficialita’. Mancare in una parola data succede a tutti, anche a me, ma dare un valore generalmente relativo alle proprie e alle altrui parole e’ cosa che non mi riguarda. La parola e’ parola. Assoluta, almeno nei nostri intenti, nelle nostre buone intenzioni.
    Sergio

  156. Gentilissima Patrizia, la sua presa di posizione così radicale, così estremista è quanto di più bello abbia sinora letto in questo blog. Libera, assolutamente, di pensarla come vuole e che nessuno osi convincerLa del contrario. Mi sembrano tuttavia gratuite e prive di fondamenta le critiche che rivolge a Farneti il quale, prima che editore, è gentiluomo dall’animo sensibile e generoso. Definirlo dilettante e quant’altro, appare operazione perlomeno scorretta, tranne che Lei basi il frutto di queste Sue convinzioni su una personale e profonda conoscenza dell’uomo. Vorrei anche chiarire un punto essenziale, onde ingenerare equivoci sulla scorta di frasi appena sussurrate: Azimut è una realtà editoriale SERIA, che svolge la sua missione culturale con COSCIENZA, RISPETTO e profondo senso di ONESTA’, e nei confronti del lettore e nei confronti dei suoi stessi autori. So quanto sia diffusa la piaga dello strozzinaggio editoriale e quanto la stessa Azimut lo combatta ferocemente. Ragion per cui, prima di sparare a salve si accerti che l’altro non abbia una pistola vera. Se conserva ancora dei dubbi su questo punto io e Farneti e chi in Azimut siamo disponibili al chiarimento.
    Per il giudizio che esprime sulla mia scrittura non posso contestarLe nulla, anzi ammiro il Suo modo così schietto di uscire dal coro. Sarebbe opportuno, per una crescita collettiva, che Lei, come propone Sozi, ci suggerisse qualche esempio per spiegare meglio ciò che afferma. Grazie

  157. Caro Vladimir, grazie della difesa (siamo una squadra fortissimi!…) ma penso che… no vabbeh, non dico.
    Aggiungo solo una frase che mi è venuta in mente:
    nondum matura est, nolo acerbam sumere.
    @
    E aspetto anch’io di leggere una critica approfondita a Facciamo silenzio. Perchè ritengo che possa essere criticato e criticabile sotto molti punti di vista, ma su quello della sintassi del periodo.. mh.. Aspettiamo altri commenti!

  158. ‘ Chissà quanti denari avrà sganciato lo scrittorino etneo al poco credibile Farneti ( paragone con Bompiani? avete poca fantasia nel prenderlo in giro..); ma si sa, pur di pubblicare e incassare…’
    Spett.le signora Patrizia Ceravolo, direi che il problema non si pone, no? Affermazioni come queste basta provarle e non ci vuole assolutamente niente perchè se un editore pubblica a pagamento qualcuno che ‘ha subito’ il trattamento e non è rimasto soddisfatto lo si trova senza neanche faticare troppo.
    Poi, che sulla questione editoria sommersa, strozzinaggio, pagamenti da parte di autori ect ci sarebbe molto da dire (urlando anche) sono d’accordo con Lei.

  159. @Vladimir:

    “la sua presa di posizione così radicale, così estremista è quanto di più bello abbia sinora letto in questo blog”

    “prima di sparare a salve si accerti che l’altro non abbia una pistola vera”

    come puoi pretendere che “FACCIAMO SILENZIO” ??????

  160. Caro Vladimir ho dormito malissimo.
    Eccomi ti rispondo con ordine e per non gravare il blog con lunghi “pistolotti” (il termine è del tuo editore), dividerò il mio intervento in tre punti:
    – espressione ed espressionismo (il perché della mia reazione emotiva)
    -l’arte e l’effetto ( a prosotito di immagini altrettanto forti; Arte?
    – l’uomo e l’effetto involontario ( a proposito del clown)
    Sto cucinando, a dopo
    PS. che tempesta di commenti, o meglio, che commenti tempestosi!

  161. Intervengo a questo blog non per prendere le difese di alcuno, ma per dire semplicemente la mia su Vladimir Di Prima, o meglio, sulla scrittura di Vladimir Di Prima. Il mio giudizio, almeno per ora, può basarsi solo su quanto offerto in questo spazio e da quanto ho scaricato dal sito della casa editrice. Lo ritengo però sufficiente per potermi far dire: se questo ragazzo scrive così a trent’anni, la concorrenza potrà mettersi da parte sicuro per i prossimi cinquanta. Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Chi scrive oggi così in Italia? Il tessuto narrativo ha una profondità strutturale che non si vedeva almeno dai tempi di Sciascia e Moravia. L’incipit poi, nella sua coralità di sensi, è materia di altissimo livello. Sarei curioso di sapere da quali studi provenga la sig.ra Ceravolo, che secondo me ha preso un grosso granchio… Il male italiano è proprio questo: si scambia oro per rame e rame per oro. Qui signori miei, c’è veramente poco da dire, poco da giudicare. La bontà della scrittura mi pare così oggettiva che dire diversamente sarebbe, non dico reato, ma quasi! Prima di proseguire oltre, attendo però delucidazioni dalla suddetta signora, che tanto ha parlato, ma di argomentazioni valide non ne ha messe neppure una sul tavolo.
    Le adduzioni di Farneti mi convincono meno e su questo potrei anche, e in parte, concordare con il pensiero della Ceravolo. Il fatto che un editore sollevi qualche dubbio su un suo autore ( cfr. “Perchè ritengo che possa essere criticato e criticabile sotto molti punti di vista” ) non mi convince molto… A tal proposito vorrei chiedere a Farneti una cosa: quali ragioni l’hanno spinta a pubblicare Di Prima? Ragioni di marketing, il fatto che appartenga, l’autore, a una terra dove una pubblicazione può valere pubblicità? O semplicemente per monetizzare? E qui la mia è più una provocazione nel senso che credo nella serietà di Azimut. Mi risponda sinceramente Farneti, perchè da quanto scrive non mi pare dimostri piena fiducia nel suo autore. Da parte mia Le posso invece dire che questa ha tutti gli elementi per potersi definire “una storia magica”…
    Sul video sostengo la tesi di Miriam. E’ inopportuno, sterile, e per giunta sì, brutto, lo dico anch’io.

  162. Ok, ora rispondo.
    Perchè sinceramente, con molta franchezza, mi sembra che anche su questo spazio si faccia un gioco molto praticato al giorno d’oggi, che però io, per cultura ed educazione, non condivido. e dato che pare che chi arriva la debba sparare sempre più grossa per ricevere sempre più applausi.
    va bene così.
    @
    Le mi adduzioni convincono poco?
    quali adduzioni?
    il fatto che sollevo dubbi su un autore? e quali dubbi?
    ho semplicemente fatto ciò che appunto è contrario alle regole per la maggioranza in uso attualmente, e cioè professione di umiltà e modestia.
    ma forse ho sbagliato. già.
    avrei dovuto dire che Vladimir è il più grande scrittore mai esistito, che questo libro è l’unica cosa degna da leggere oggigiorno. che è perfetto come un uovo, e intangibile. e che appunto tanto vale che si chiuda bottega io e i miei colleghi editori, perchè per i prossimi 50 anni non ce n’è per nessuno.
    invece, ahimè, e mi scuso con Vladimir, lo ritengo un libro molto valido, ottimo sotto tanti punti di vista ma, come ogni opera, ogni opera a qualsiasi livello, criticabile.
    se questo significa sollevar dubbi, bene, lo accetto.
    quale ragioni mi hanno spinto a pubblicare Vladimir? trovo abbastanza offensivo che tra le ragioni esposte non vi sia quella della bontà del libro.
    Ma è ovvio, un editore deve sempre e solo pensare a monetizzare, a fare soldi, a farsi conoscere, ecc.
    L’ho pubblicato perchè credo in questo libro. in maniera così forte da pubblicarlo anche se non era il momento. e non era i preventivo. E dei suoi limiti ne ho parlato a lungo con Vladimir, prima che qui o altrove. E ci siamo trovati d’accordo.
    Una terra dove una pubblicazione vale pubblicità? Ma che significa? Che vuol dire, davvero? è forse un ragionamento mafioso? non so, non capisco. E una pubblicazione a milano non vale pubblicità? siamo ancora ai granducati? ha ragione Bossi? (brrrr :-D)
    Per monetizzare? Questo è ciò che mi infastidisce di più. Non è bastata la replica mia, ironica e bonaria, non è bastata la replica di Vladimir. No, ancora si deve far riferimento a questo punto.
    E le provocazioni sono belle e anzi segno di grande intelligenza quando davvero sono provocazioni. Non quando vertono su argomenti già trattati, e con ironia e con serietà.
    Ancora con questa sincerità, poi? Ancora? Ma credete che io, o altri miei colleghi, si divertano a scrivere sui blog perchè non hanno nulla da fare? o perchè questo provoca un aumento immediato delle vendite? O per dire bugie, così, per la sindrome da pinocchio?
    Ma su.
    Non ho dimostrato piena fiducia in Vladimir? Nel pubblicarlo e mandare un esordiente o quasi in promozione nazionale e in distribuzione nazionale?
    Va bene, mi scuso con Vladimir. E ringrazio anche del parere sul fatto che questa sia una storia magica. Se si leggesse prima di scrivere
    -ma questo è il male dell’italia, che si scrive senza leggere, libri articoli o messaggi sui blog-
    si sarebbe letto come io penso di averla già pubblicata la storia magica, e forse anche più di una.

    Ora, scusate, tolgo davvero il disturbo. Perchè forse non avrò molto da fare, forse sì, e se sto qui è perchè credo nel libro e volevo supportare Vladimir. Ma mi pare che la mia azione sia, da un lato inutile, dall’altro controproducente. Ragion per cui ringrazio Massimo, ringrazio tutti coloro che hanno apprezzato e criticato, e anche chi ha solo letto.
    E mi faccio da parte, tanto chi vuole proseguire certi discorsi può trovarmi molto facilmente, via mail, su blog, forum o pure di persona.

    🙂

  163. Espressione ed espressionismo.
    Tu mi chiedi se io conosco immagini abbastanza forti, quanto quella del bambolotto? Sì, e ti rispondo in due tempi, qui e nel prossimo post con i riferimenti del caso. Immagini altrettanto forti, disgustose e inquietanti, le disegnavo io, ed ero bravissima. Dai 18 ai 22 anni organizzavo performance, aiutata da amici, rivestivo lo spazio espositivo con la carta da pacco, bianca o marrone, e con pennelli e china nera dipingevo al momento, lì sul posto, la massa scura di “uomini”, che tali non erano ancora: feti neri, imprigionati nella placenta, orbite scure e piccole mani. Erano i tempi dell’arte e della sua comunicazione di massa, erano anche i tempi della contestazione, che poco dopo sarebbero diventati i momenti cupi del terrorismo. Su quella massa pregna, nera e scura, poi appendevo altri disegni (già fatti), primi piani di quegli esseri, messi lì come una specie di zoom, per attirare, stupire e gridare tutta la mia rabbia e il mio disgusto di giovane persona terrorizzata all’idea di diventare adulta. In quelle figure, di primo piano, spazi vuoti “spingevano” (davano il senso della compressione) “l’essere” fuori dal suo sacco. Lo sfondo bianco ( il nulla) diventava massa che comprimeva quelle figure e successivamente ( perché poi si continua e il discorso si “evolve”) le loro pance. Quelle immagini avevano anche un relativo mercato. Poi distrussi quasi tutto e per molti anni mi dedicai alla grafica artigianale.
    A dopo

  164. Gentilissimo Farneti, non la prenda a male. Volevo proprio sentirmi dire questo da lei. Non certo il fatto di ritirarsi a Gaeta e, come diceva quello, “rimirar dall’alte fronde…” . Credo che il suo contributo, la sua testimonianza, sia preziosa per questo dibattito; la invito quindi a continuare ad esprimere la sua opinione. Credo che nessuno mirasse all’apologia di Di Prima, nè al discredito dell’editore. Abito a Frascati, le chiederò un incontro per stringerle la mano.

  165. L’arte e l’effetto
    Le immagini forti, terribili e inconfrontabili che qui riporto sono due: l’occhio tagliato dalla lama, nel celebre film d’avanguardia Un chien andalou di Luis Bunuel; gli aerei dell’11 settembre. La prima è un’immagine d’arte, pensata e costruita per una seduzione surrealistica dell’immaginario; l’altra è un atto di morte, surreale nell’aspetto e che, oltre alla distruzione di migliaia di vite, ha “segnato” la fine del rapporto fra l’uomo e le sue creazioni. Da quel giorno, in molti hanno detto che: l’arte è morta. E’ morto quello spirito che dalla degenerazione romantica è sopravvissuto fino a noi, trasformando le percezioni e le intuizioni in sistemi di celebrità. Ma qui si ritorna al significato che diamo all’arte: effetto o “sentimento ?” Tu parli di Bene e Male come dicotomie superate, inutili, sostenendo che l’Arte è cristallizzazione delle frequenze nello spazio x, nel tempo y. Per certi aspetti è così, ma cosa distingue un’opera e la sua grandiosità da altre, che, appunto sono solo la cristallizzazione di un momento? L’effetto! Quando i fiamminghi sperimentarono i colori ad olio iniziarono una produzione di tavole “iperrealistiche”, dove l’erba era dipinta stelo per stelo, dove i metalli dovevano riflettere la luce più realmente del reale. Ci vollero i nostri maestri, Lotto, Giorgione, Tiziano (e a proposito del maestro, come collochi La punizione di Marsia?) e poi Rembrandt, il mai abbastanza celebrato, a stabilire l’assoluta inutilità e dannosità dell’effetto. L’effetto è uno pseudo evento e come tale è Kitsch; e il Kitsch, nell’arte rappresenta il Male. L’arte non è sociologia, né religione, l’Arte è Bene. E’ azione creatrice che si esprime per fantasia, tecnica, conoscenza. Fantasia, che è associazione libera di dati e percezioni, rielaborazione dei doni naturali, ricerca di linguaggi e codici. Conoscenza intesa come capacità dell’artista di attingere alla funzione generale della mente; con il richiamo e il riconoscimento dei dati ritenuti, cioè la memoria, e rielaborati in modo originale. L’effetto è Male, ed è brutto quel tuo chiedere il confronto con un effetto altrettanto forte. L’effetto non è dell’arte; l’effetto è quello di un gesto, o di un attentato terroristico senza precedenti.
    Anche per questo, i tempi degli effetti e delle provocazioni sono finiti. Siamo di nuovo a un inizio. La figura dell’artista, a cui tu ti richiami, non c’è più da un pezzo! Quell’Artista, che si considera al di sopra del Bene e del Male, e quindi vicino ad un pensiero arbitrario, trascendente e assoluto, è uno stravecchio retaggio romantico, che lo strapotere delle merci e del loro valore, hanno messo da parte ancora prima che tu nascessi.
    A dopo e a proposito del clown.

  166. @signor Lodi. Non me la prendo, ma non ho tempo per ribadire mille volte lo stesso concetto. Ad ogni modo, la nuova sede Azimut da gennaio sarà a 7 km esatti dalla Piazza di Frascati, cioè alla Borghesiana.

  167. Nel booktrailer le immagini sono simboliche e ricorrenti. Al pianto, cupo del “bimbo” si sovrappone, si affianca, si alterna quella di un clown. Nel leggere la sequenza mi sono ricordata di un documentario trasmesso su Raitre, qualche anno fa. Era la testimonianza di un intervento umanitario in un ospedale di Kabul; la messa in onda fu preceduta da una presentazione sentita e partecipata, una gesto alto che buoni cittadini, con la loro abnegazione rendevano all’umanità. Le mie impressioni furono diverse e presa dallo sconforto e dalla rabbia, scrissi ad un amico-internet l’e-mail che ora incollo.E penso, che su questo, saremo sicuramente d’accordo.

    “(…) Ho cercato chiavi di lettura diverse, ho ripensato alle immagini, al poco testo che le accompagnava, ho cercato di comprendere le intenzioni, le buone intenzioni…non le ho viste. Non c’erano. Ho impresso nella memoria due scene, terribili entrambe, quella all’inizio e alla fine del filmato. Nella prima, in una sala “operatoria” un gruppo di medici, con guanti sterili e mascherine, è intento in una operazione di medicazione delicatissima, togliere ad una bimba (una bimba molto piccola) le parti di pelle carbonizzata da un’ustione estesa a quasi tutto il corpo. La bimba, pur anestetizzata localmente, urla di terrore più che di dolore, sua madre trattenendo paura e lacrime cerca di essere all’altezza del compito, si fà forte, il più possibile e rincuora la bimba, aiutando contemporaneamente, i medici e le infermiere. Nella scena entrano due donne vestite da clown, senza maschere e senza guanti; hanno il volto dipinto, un naso rosso, parrucche stoppose ( sporche) e indossano gli stessi abiti da scena con cui si erano viste alla partenza da Roma. Una di loro si mette a suonare il violino, l’altra, con il suo pitturamento tragico di cerone grasso e colorato, si avvicina alla piccola e toccandola (sempre senza guanti) intona una cantilena di sì-sì-sì- no-no-no, brava-brava-brava…( BRAVA PICCOLA!)
    I medici continuano il loro lavoro, e la scena va avanti così, senza variazione, sino al termine della medicazione, fino alla fine del pianto.
    L’altra immagine è tranquilla, diversa, ma ugualmente simbolica. Ti ricordi le grandi grotte dei Buddha? Le statue gigantesche fatte saltare dai talebani? Sullo sfondo c’è la montagna con queste due grandi nicchie, a campo medio e in primo piano, un transito di bambini, uomini, donne con pacchi, carretti; poveri mezzi carichi delle loro cose. I colori degli abiti sono quelli delle rocce e le figure si notano solo per il movimento, per la polvere che spostano. In primissimo piano con i colori forti, sgargianti, tessuti svolazzanti, nasi rossi e parrucche da sfilata viareggina, i clown attraversano la scena sui monocicli e sui trampoli.
    Già, i trampoli…che effetto! Le stampellone …(per una tragedia grande ci vuole una stampella grande!)
    Mi sono sfogata un po’, grazie per la pazienza e ciao.”

    Vladimir, spero di non averti annoiato, ciao.

  168. In questo post si è creato un caos (o un caso).
    In attesa che venga fatta un po’ di chiarezza riguardo ai commenti a firma Patrizia Ceravolo (il cui IP pare coincidere con quello di Vladimir) cancello alcuni degli interventi precedenti a questo.
    Vladimir Di Prima ha intenzione di far svolgere un’indagine alla polizia postale.
    Succede anche questo.
    Abbiate pazienza!

  169. Considerando quanto la Polizia Postale abbia da fare a rintracciare on-line i pedofili, gli stalker e i pirati informatici, è davvero una bella soddisfazione sapere che dovranno perdere tempo con una troiata del genere. Bah!

  170. Penso che, in ogni caso, prima o poi qui (in questo post intendo) si dovrebbe chiarire la situazione.
    Io sono decisamente perplessa.
    Che internet sia un groviglio di persone, intenti, volontà, capacità… e il tutto potendosi celare dietro i microchip si sa.
    Ma che rivolgersi a VattiLaPesca significhi invece partecipare a qualcos’altro mi mette a disagio. Profondamente.

  171. Enrico, sono d’accordo con te. E sono personalmente molto amareggiato per l’accaduto. Per quanto mi riguarda ti posso dire che so benissimo che la Polizia Postale è impegnata in ben altri compiti. E molto seri.
    Del resto nemmeno io ho tempo da perdere.
    Vladimir si senta libero di fare ciò che crede.
    Anche se le perplessità di Barbara sono condivisibili.

    Credo sia meglio non scrivere più commenti su questo post.

  172. Ho davvero poche, pochissime parole per commentare quanto accaduto. Nel pomeriggio ho provveduto a sporgere denuncia presso le autorità competenti le quali mi hanno garantito la massima disponibilità e collaborazione.
    Sappia, chiunque sia l’autore di questa meschineria, che sarà perseguito a norma di legge e che il sottoscritto andrà sino in fondo per preservare la Sua immagine e quella della casa editrice.

  173. Scusate se a questo punto mi permetto di intervenire anch’io. Ma come autrice, traduttrice, redattrice, editor Azimut credo di essere stata chiamata in questione. Le insinuazioni che sono state mosse qui contro Azimut ci offendono tutti. Offendono tutti noi che quotidianamente, da quasi tre anni, stiamo credendo con tutti noi stessi nel sogno Azimut. Sacrificando il nostro tempo, le nostre energie… E ci si può dire di tutto, ma sentire che la nostra attività sia a fini di lucro, noi che inseguiamo la qualità, noi che passiamo un anno a tradurre libri anche se sappiamo che quasi sicuramente non diventeranno casi editoriali e non ci faranno guadagnare un euro, e badate, dico un euro non tanto per dire, no, questo davvero non lo accetto. E mi fa rabbia. Si badi alle parole, perché hanno ancora un senso. E che chi si è divertito a gettarci fango addosso sia perseguito a norma di legge, beh, mi sembra più che dovuto.

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