Aprile 23, 2024

126 thoughts on “DI PROTEO E DEGLI INTRIGHI. VEIT HEINICHEN

  1. Ringrazio Sergio Sozi per avermi passato l’intervista.

    @ Sergio
    Ovviamente sei chiamato a co-condurre e co-moderare il post.
    (Con tuti questi co-co mi sento un po’ una gallina).

  2. Ripeto le domande del post.

    Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna? (Vi invito, se potete, a motivare la risposta).

    Ritenete che le notizie dei giornali siano davvero così stereotipate come sostiene Heinichen (nell’intervista) ?

  3. Ovviamente l’intervista offre ulteriori spunti di riflessione.
    Lascio a Sergio il compito di metterli in luce.-

    Ovviamente chiedo ciascuno di voi di commentare l’intervista medesima in riferimento a uno o più passaggi.

  4. Grazie, Massimo, il gioco mi acchiappa. Dunque a mia volta non ”nomino” ma ”vorrei nominare” lo stesso Heinichen ”CO-CO-DE”’ (COordinatore COstitutivo DEl dibattito).
    Cuccuruccuccu’ a tutti
    Sergio

  5. @ Sergio
    Mi farebbe piacere se Veit Heinichen potesse partecipare al dibattito che (spero) partirà su questo post.

    @ Veit Heinichen
    Caro Veit,
    considerati benvenuto qui a letteratitudine.

  6. @ Gea e Luciano (again)
    A beneficio di chi non lo sapesse…
    Vi ho nominato principi di questo post perché siete entrambi di Trieste.
    Secondo voi com’è la città descritta nelle pagine di Veit Heinichen?
    La Trieste del commissario Proteo Laurenti corrisponde alla vera Trieste?
    Ecco… mi piacerebbe che si parlasse anche di Trieste (io ci sono passato solo una volta… anni fa).

  7. @Sergio caro,sei riuscito a proporci una esauriente ed intrigante intervista, alquanto appassionante.
    Trieste è una città che amo molto, si è vero è ricca di contradizioni per tutte le contaminazioni etniche e le sofferenze che nel tempo ha dovuto subire. Personalmente ci sono venuta spesso per accompagnare, insieme ad un capitano militare, le mie compagne più giovani, che come me erano orfane di guerra. Immancabilmente il viaggio proseguiva per visitare ed onorare il Sacrario di Redipuglia. E ti assicuro che le medaglie al valore guadagnate col sangue dei nostri padri per servire la Patria, non hanno sopperito alla loro assenza, che ha tarpato e modificato pesantemente la vita delle madri vedove e di noi figli.
    Non condivido del tutto la risposta che ti ha dato lo scrittore
    @ Veit Heinichen quando dice:- Siamo tutti a cui piace tanto delegare il bene e il male, ma soprattutto volgere le spalle a quei fatti che ci circondano…Veramente la maggior parte dei cittadini italiani non delega un bel niente, se mai subisce ogni giorno pesantemente sulla sua pelle e sul misero salario, le incongruenze e l’indifferenza di persone senza scrupoli e di quei politici, che beati loro, non hanno gli stessi nostri problemi per mal vivere. Mi piace inoltre evidenziare che gli italiiani sono un popolo molto generoso,(oserei dire troppo…) lo dimostra l’alto numero di Associazioni di Volontariato che con tanta abnegazione e impegno personale, si prendono cura dei più poveri e degli emarginati anche stranieri, per un aiuto solidale che avrebbe dovuto erogare lo Stato. L’italiano tutto pizza e mandolino è un brutto luogo comune. Il nostro è un popolo glorioso che quando ce n’è stato bisogno ha saputo rimboccarsi le maniche e per intelligenza, laboriosità e creatività in tutti i campi non è secondo a nessuno! Sono daccordo quando lo scrittore afferma che siamo tutti coinvolti . Coinvolti in questo dilagante caos che ci sommerge, purtroppo si, ma indifferenti no. Almeno non tutti! Tu stesso Sergio, combatti giornalmente esponendoti con coraggio per le troppe cose che non funzionano. E molti di noi reagiscono giorno dopo giorno, senza clamori e con tanta dignità. Vi è poi la folta teoria degli eroi che continua ad allungarsi, per aver voluto affermare le proprie idee a costo della vita, come Falcone ,Borsellino e tanti altri che vorrebbero un mondo più giusto e vivibile. Non volevo innescare una sterile polemica, ma chiarire al nostro scrittore che siamo un popolo dal temperamento – spiccatamente individualista- ed è bene non fare di tutta l’erba un fascio…..Comunque io sono qui a disposizione pronta a sviscerare tale argomento. Grazie Sergio e grazie se l ‘Autore vorrà rispondermi, mi scuso per la mia franchezza.
    Tessy

  8. Innanzitutto complimenti all’intervistatore che ha fatto il massimo per far emergere le idee e le propensioni dell’autore. Per inciso il singolare Proteo Laurenti appare un nome banale di fronte a Euterpe Santanastasio.
    Di Veit Heinichen avevo solo sentito parlare. Poi mi è arrivato tra le mani “I morti del Carso”, gentile omaggio dell’amica Gea.
    Ovviamente lo leggerò, se non altro perché l’autore calca “scene” che pesto anche io.
    Prima o poi risponderò alle domande di Maugeri. Intanto, come al solito, auspicherei un estratto del libro, se possibile.

  9. Non conoscevo questo autore, quindi ringrazio Massimo e Sergio per aver colmato la lacuna. Mi batto da sempre contro i luoghi comuni che ammorbano l’Italia e quindi son qui a saltellare felice perché un tedesco ha pensato bene di dire ciò che io vado dicendo da sempre: i luoghi comuni attecchiscono bene nelle menti pigre. E la pigrizia mentale si batte guardandosi intorno, interrogandosi, tenendo ben aperti gli occhi e lontane le fette di prosciutto con le quali siamo soliti incartarli.
    Per rispondere alle domande di Massimo ci vorrebbe ben altra tastiera che la mia. Il giallo è un genere che merita ben altra considerazione rispetto al sentire comune. Mi capita spesso di sentir gente che classifica come lettori di serie B coloro che leggono i gialli, e come scrittori di serie B chi li crea. Quelle persone non hanno la minima idea di quale enorme e difficilissimo lavoro si celi dietro la confezione di un giallo che abbia tutti i requisiti di credibilità per avvincere il lettore. Conoscenze storiche, scientifiche, tecnologiche, informatiche e chi ne ha più ne metta, da inserire in un contesto di personaggi con un vissuto verosimile, con caratteri forti e ben delineati. Il tutto ben impastato per dare tracce della soluzione finale senza che il lettore riesca a individuarle alla prima occhiata. Un lavoro pazzesco che va ad unirsi con un quadro della società, uno spaccato che spesso hanno più profondità di tanti saggi editoriali di pensatori di professione. Quindi rispondo si alla prima domanda di Massimo e si anche alla seconda, perché sono domande matrioska, a mio parere. Lo scrittore, se è degno di tale nome, spesso ha un punto di vista più libero, più disincantato e insieme più approfondito che non il giornalista. Il quale giornalista il più delle volte non ha il tempo materiale per approfondire il tema. Ciò che Heinichen dice rispetto al trasporto dei rifiuti in Germania è cosa nota, ma mai abbastanza sottolineata. Il gioco al ribasso, al gettarci monnezza in faccia da soli (parlo di noi italiani) trova massima espressione nei titoli e nei lanci dei giornali. Sputtanare il fatto che siamo costretti a pagare i tedeschi per smaltire il nostro pattume fa più gioco, a tutti, che il dire che i tedeschi, per toglierci dalle peste, si fanno pagare meno di quanto ci costerebbe occuparcene a casa nostra. Che è oggettivamente una vergogna sulla quale meditare, invece che accapigliarsi su chi ha detto cosa e quando. Ma qui si aprirebbe un discorso che fete peggio dei mucchi di spazzatura della Campania. Quindi restiamo alla letteratura, che è meglio.
    Laura

  10. Confesso che il nome di Veit Heinichen mi era nuovo, nonostante io abbia sposato un triestino e trascorra a Trieste quasi tutti i miei giorni di vacanza! Davvero una vergogna, dovrò recuperare.
    Anche perchè ambientare un giallo a Trieste non è semplice, ci vuole del coraggio: ricordo di avere letto sul Piccolo che la media degli omicidi a Trieste è di 1 all’anno (che nel 90% dei casi rimane irrisolto… e per forza, non sono abituati!).
    Credo che per una città di frontiera, che convive con l’immigrazione clandestina non sia per niente comune, questa calma.
    Di Trieste posso dire che è la città più “canuta” in cui sia mai stata: davvero la percentuale degli anziani, a colpo d’occhio, sorprende. Sarà per quello che il crimine non dilaga? Sopraggiunti limiti di età?
    Da “foresta” (nel senso di forestiera, non in senso botanico) mi divertono, i triestini: festaioli (un’occasione per aprire una bottiglia di vino e affettare un prosciutto si trova sempre), brontoloni, sarcastici, innamorati della loro città, del loro dialetto, delle loro canzoni (i festival della canzone triestina si sprecano). Dividono la penisola in modo piramidale: triestini (all’apice), furlani e ‘taliani. Ancora in molti dicono che vanno in “jugo” (non val la pena di distinguere slovenia o croazia) ma ci vanno poco e sempre con l’aria di scendere tra gli indigeni. A parole sono estremamente razzisti, nei fatti invece, dopo la diffidenza iniziale sanno accogliere con una generosità che raramente ho visto altrove. Che siano slavi, senegalesi, cinesi o tunisini, non appena riescono a parlare qualche parola in triestino diventano parte della comunità. (sono più tenuta a distanza io, che mi ostino a parlare in italiano e a raccontare poco i fatti miei, due cose che vengono guardate con sospetto).
    Sarei curiosa di sapere se questo mio ritratto trova riscontro nei romanzi di Veit Heinichen.

  11. Ciao a tutti e grazie per gli interventi. Vado di fretta perche’ sto da solo con Laura e fra poco siamo attesi al compleanno della sua amica Titka. Quindi stasera sul tardi leggero’ e rispondero’ a tutti con la consueta attenzione e spero chiarezza.
    Per il momento vi dico che ho invitato tramite lettera elettronica personale Veit Heinichen a partecipare, ma non mi ha ancora risposto.
    Un estratto di un suo libro? Io i libri li ho lasciati a Capodistria e qui a Lubiana non ho niente di cartaceo in casa. Vedro’ su Internet.
    A piu’ tardi, popolo!
    Vostro
    Sergio

  12. Carissimo Dott. Maugeri,
    Le sottopongo alcune considerazioni sul giallo in Italia.
    In Italia il libro giallo si è diffuso quasi sempre in ritardo perché importato. Scrittori di grande impegno hanno talvolta affrontato l’ambiente poliziesco come tema di qualche loro opera. Basterebbe citare C.E.Gadda, L. Sciascia “Il giorno della Civetta” inventato tra la mafia. Ma si tratta di opere al di fuori degli schemi tradizionali del “Giallo” e con analisi di altro genere. Tuttavia, successivamente, più di uno scrittore ha tentato il giallo vero e proprio con G. Scerbanenco con “I ragazzi del massacro” ecc. ,P:Chiara e la coppia Fruttero-Lucentini col fortunato “La donna della domenica”.
    Il genere poliziesco non mi pare congeniale agli scrittori italiani che, in genere, nelle storie poliziesche, non riescono a creare un personaggio, una serie, un detective a livello di diffusione mondiale, come gli scrittore di lingua inglese e francese.
    Gli spunti che la Società attuale può offrire agli scrittori di questo genere sono, purtroppo, numerosissimi al punto che oggi sarà sufficiente fotografare la realtà senza dover ricorrere all’inventiva.

    Maria Luisa Papini Pedroni

  13. Per quanto riguarda la prima domanda credo che la nostra società ed il nostro mondo siano così complessi che non basta il solo romanzo giallo per comprendere tutto. Può essere una cartina di tornasole ma non completa.
    Per quanto riguarda invece le notizie sui giornali, io non ho molta esperienza di giornali esteri, ma quelli italiani sembrano oramai una marmellata informe ripetitiva e piatta. Si parla spesso dell’appiattimento delle coscienze, ma raramente si pensa che a volte le coscienze hanno bisogno di essere destate, e i nostri media che oscillano praticamente fra la piattezza e sensazionalismo più sfrenato hanno un effetto narcotico pazzesco su tutti noi.

  14. sono troppo stanca..
    spero di riuscire ad intervenire domani. sono giornate un po’ complesse, temo.
    farò del mio meglio, prometto.
    🙁

  15. DOMANDE
    1-Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna?

    2-Ritenete che le notizie dei giornali siano davvero così stereotipate come sostiene Heinichen?

    RISPOSTE

    1-Non del tutto, e comunque bisogna vedere dove e come il giallo è ambientato. Potrebbe esserci, oggi, un geniale scrittore che ambienti i suoi noir nel Risorgimento. Quindi addio società moderna.
    Ma anche se pescasse nell’attualità credo che possa descrivere atteggiamenti o costumi, ma non certo essere specchio della società. Ma a questo non arrivano completamente nemmeno i libri di sociologia. Insomma, a ognuno la sua parte.
    2-Il mestiere del giornalista è comodissimo, come quello del commissario tecnico della Nazionale di calcio. Se per caso ti distrai, hai sempre 55 milioni di persone che ne sanno più di te.
    Ma guarda quello, fa giocare Inzaghi! E metti Iaquinta, porca troia, e gliene facciamo tre!
    Idem per le notizie. Uhhhhh, ancora le pensioni? E che palle! Parliamo dei rifiuti!
    I quotidiani stereotipati? Può darsi, discutiamone.
    Io tutti i giorni leggo Il Messaggero, La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa. Altri ne sfoglio. Sono pronto a parlare di omologazione e stereotipi. Attendo.
    Meglio i telegiornali? Po’ esse.
    Un telegiornale dura mezz’ora. In mezz’ora (forse) si fa in tempo a leggere due pagine di un quotidiano. Chi è più superficiale?
    Comunque, per chi vuole approfondire, ci sono i periodici. Si userebbe così nel mondo. Il quotidiano informa per l’essenziale, il periodico approfondisce.
    Ma questo discorso non riguarda l’Italia, dove non si legge. Vale per il resto dell’Europa civile.
    Se poi qualcuno esce fuori dalle convenzioni, allora manco va bene.
    Il telegiornale più alternativo che esiste (impaginazione compresa) è quello di Emilio Fede.
    Che il suo cuore batta per Berlusconi mi lascia del tutto indifferente. Altri direttori hanno altre passioni. Almeno Fede lo dice.
    Parlo di cronaca, di taglio dei servizi e di scelta delle notizie.
    Inoltre, piccolo dettaglio, la sua redazione fatta di pochi professionisti e pochi mezzi aprì le dirette sulla guerra del golfo, sulle torri gemelle e sulla guerra in Irak prima di tutti.
    Fede andava in diretta con gli Skud di Saddham mentre la Rai ci faceva vedere ancora A come agricoltura e Protestantesimo. Forse perché i caporedattori della Rai se ne stavano a giocare a calcetto o farsi fare una pompa in sauna. Pompa che, per inciso, paghiamo noi con il canone. Vedere Fede che lecca Berlusconi se non altro è gratis.

  16. Oh, eccomi qua. Allora vediamo:

    1) Cara Maria Teresa,
    certo, come tu sai la Patria e’ uno dei miei primi valori: per essa scrivo ed opero, nel mio piccolo, a fronte alta. Heinichen non pensa male di noi Italiani, ma analizza il Paese con gli occhi dello straniero che ci vive e lo ama e che, pertanto, dice solo quel che dopotutto e’ vero: che dobbiamo lavorare di piu’ tutti insieme per la nostra Patria, per eliminare i suoi difetti (difetti che Heinichen analizza assieme ai tanti pregi, leggi bene l’intervista). Questo e’ anche il mio intento, visto che un Patriota e’ essenzialmente una persona che lotta per migliorare la Nazione in cui vive. Migliorare l’Italia pero’ e’ difficile, visti i troppi comportamenti mafiosi e l’ammirazione per i potenti che molti hanno nei fatti. Che sia l’unico Paese europeo dove gli scrittori non vengono pagati e dove non c’e’ una sana selezione degli stessi, la dice lunga sul livello di rispetto REALE che si ha generalmente, sia riguardo al criterio meritocratico, sia rispetto alle condizioni di un lavoratore (scrivere=lavorare, secondo gli Europei; scrivere=fare un hobby per un Italiano. Siamo fuori dall’Europa). Il lavoro nero, le morti bianche, l’evasione fiscale, l’ossequio per il primo cretino che va in televisione o che si candida, l’abbassamento del livello culturale della scuola, la litigiosita’ eccessiva ed intollerabile, sono un insieme di cose che ci danno la vera sintesi dell’Italia reale: un Paese medievale nel cuore con solo l’apparenza tecnologica a dipingere il malanimo sostanziale (vedasi per la tecnologia le tesi di Umberto Galimberti, filosofo vivente e acuto). Questo noi Patrioti lo vogliamo cambiare, cioe’ migliorare. E Heinichen e’, cosi’, un Patriota Italiano, sebbene venga dalla Germania. Io infatti, magari, non condividerei altri aspetti del suo pensiero, aspetti come il solito trito e ritrito ”relativismo”: guardare in faccia ad ogni singola persona (come afferma Veit) senza valutarne anche la reale rilevanza degli aspetti comuni al popolo cui essa appartiene e’ cosa per me inaccettabile. Un uomo secondo me e’ fatto di tratti individuali sommati a dei tratti comuni alla sua Nazione, presi dai suoi connazionali ed interiorizzati.

    Cara M.L. Papini Pedroni,
    In larga parte siamo d’accordo. Ma esistono anche scrittori come Camilleri, De Giovanni, Carofiglio, i quali sono parzialmente diversi e direi interessanti come ”narratori-parzialmente-gialli”. Pero’ e’ vero: la genialita’ dell’opera letteraria di qualita’ che sia anche un giallo ben funzionante e’ merce rara nel Bel Paese. I piu’ non fanno che riportare, con sciocche iperboli o mera tecnica cinematografica, la realta’ che gia’ ci asfissia a sufficienza. Giornalismo riportato paro paro sui libri. E questo detto senza considerare per amor di Patria la troppa gente che non conosce nemmeno grammatica e sintassi e pretende di scrivere. Ma questa e’ cosa che pervade, purtroppo, tutti i generi letterari. Finche’ la Letteratura – cioe’ il leggere lo studiare lo scrivere ed il pubblicare – non diverranno una meta professionale ma resteranno, com’e’ ora, solo un giochetto per gente che ha soldi e tempo da buttare, un sollazzo da salotto per ragionieri e impiegati di vario genere, niente cambiera’. Professionalizziamo anche l’editoria italiana, che ha bisogno di direttori editoriali meno idioti e banali oltre che di dirigenti-imprenditori piu’ lungimiranti – nonche’ piu’ dotati di liquidita’ PROPRIA (cioe’ non quella presa dalle tasche degli hobbisti di cui sopra).

    Caro Outworks110,
    sai cosa ti dico, tagliando la testa al toro? Lasciamo perdere i giornali, la tivu’ e altri troppo abusati mezzi di comunicazione e ricominciamo ad essere veri uomini, veri cittadini e veri Patrioti. Come? Semplice. Torniamo nelle piazze e sui corsi, ma non per fare manifestazioni: per parlare con gli altri. Cosi’ un Paese si rinnova e insieme ritrova le proprie radici. Parlando, facendo le cose con gli altri e aiutandosi a vicenda. Con l’attuale isolamento, i mass media ci prendono per i fondelli a iosa. Colpa nostra, non di altri, come il malcostume, lo sfruttamento dell’Italiano sull’Italiano e la maleducazione diffusa, la rabbia stupida di tutti contro tutti, il pregiudizio sempre volto ”al peggio”. Iniziamo percio’ col considerare ”buono ed apprezzabile, fino a prova contraria” il nostro vicino di casa e poi via di seguito… continuando questa ”rivoluzione”.

    Cara Sabrina,
    io a Trieste ci ho lavorato cinque anni, pur vivendo a Capodistria (dunque in ”Iugo”) e pur essendo perugino di origine romana, cioe’ ‘taliano. Il tuo panorama mi sembra molto veritiero: magari aggiungendo qualche pennellata di nero in piu’ ci potremmo stare. La cosa che piu’ mi turba di quella citta’, in verita’, e’ la generale indefinibilita’ dei suoi abitanti – cosa difficile da comprendere per chi, come me, ha sempre vissuto, e vive tutt’ora, in citta’ ben definite caratterialmente (Roma, Spello, Perugia, Capodistria, Lubiana). Insomma, Trieste mi sfugge e devo ammettere che anch’io le sfuggo. Volontariamente.

    Enrico e Laura,
    un po’ di fiato e torno da voi, cari. Scusatemi un attimo.

    Sergio Sozi

  17. Ottima, come sempre, la presentazione e l’informazione fornita da Letteratitudine, in questo caso dal buon Sozi, e che mi ha consentito di conoscere Heiniken. Alle domande del Navigero rispondo:
    1) ritengo che il giallo, già a partire dai noir di Poe (assimilo i due generi) sia lo specchio di una società che, potendo rivedere (rivivere) le cose orrende e tragiche della vita (grazie alla comunicazione, letteraria e visuale) le esorcizza compiacendosi di poterle riprodurre a piacimento. Qui chiamo in soccorso Zauberei: anziché l’epos (es.Iliade) mi sembra che oggi tanatos esprima l’eros represso o distorto (es.Dario Argento). Così riteniamo erroneamente di avere un controllo su ciò che una volta, pur controllato dal mito e/o dalla religione, era comunque ritenuto naturale. La nostra società rifiuta il naturale (es.paganesimo) rifugiandosi sempre più nell’artificiale (virtuale). Concludendo, il giallo ne è, per me, esattamente l’espressione letteraria moderna.
    2) Nell’informazione, non solo dei giornali, mi sembra che gli argomenti siano sempre più stereotipati, tanto che ci vengono presentati serialmente (come i killer). Non c’è giorno in cui i mass-media non ci somministrino la dose di horror/paura quotidiana, quasi che non possano esserci notizie diverse (e la cultura?). Se non ci sono notizie particolarmente catastrofiche, le creano. Così abbiamo i periodi: della mucca pazza, dell’aviaria, buco dell’ozono, inondazioni, siccità, ghiacci che si sciolgono, meningite ecc. (Le guerre, protraendosi, non fanno più scalpore).Così come i gialli si estendono, nel medioevo, nell’antica Roma,
    e ora nel rinascimento. Questo, secondo me (Zaube dove sei) significa che l’allontanamento progressivo dal naturale (una volta possibile solo col bere o i funghi/erbe) si sta facendo più massiccio e ci sta sfuggendo di mano il controllo, temo, dei nostri cervelli.
    Avendo abusato dell vostra pazienza, torno a firmarmi…Catilina.

  18. Quanto al punto 2 di Gianmario, ovviamente non va bene manco quando i giornali parlano di veline, di carla bruni, di camilla, del grande fratello.
    Nell’ambito di un giornale in realtà ci sono i settori e i diversi tagli.
    Laddove si fa cronaca, quella è. Se il giorno di Ground Zero si fosse dato più spazio al termovalorizzatore di Borgo San Cazzetto, non si sarebbe fatta informazione alternativa ma informazione stronza.
    Se a Scampia ammazzano tre persone al giorno non credo il giornale migliore sarebbe quello che minimizzasse i tre omicidi e valorizzasse una kermesse di mandolini.
    Non si vuol leggere la cronaca? C’è lo sport, gli esteri, lo spettacolo, l’economia. Oppure l’alternativa è non leggere, chissenefrega.

  19. Sottoscrivo per ora i pareri espressi da Gianmario, in attesa con lui di sapere che ne pensa Zaube e di ragionarci ancora su un pò anche io.
    Ma mi incuriosisce questo Heiniken (che non conoscevo) che sceglie Trieste, la città dei vecchi, la città a più basso tasso di criminalità, come teatro dei suoi gialli. Che vengono risolti da un commissario di Salerno nato dalla mente di uno scrittore tedesco. Certo che se il vento può generare la follia la bora allora….
    La cosa si fa molto interessante.

  20. Enrico, stavolta non sono d’acordo con te. Capisco il tuo onore di corpo, ma la situazione dell’informazione in Italia è francamente indifendibile. Non è un caso se osservatori internazionali sulla reale libertà di stampa ci mettono in classifica tra qualche stato africano e qualcuno sudamericano, ben al di sotto di qualsiasi altro stato europeo. Credo che una situazione di concentrazioni tra TV e carta stampata in mano a pochi poteri politico-economici tra loro intrecciati, del tutto anomala in uno stato normale, la dica lunga. Non che per questo non vi siano anche bravi, talvolta ottimi giornalisti, ma in senso generale l’informazione è del tutto carente, proprio non ci siamo. Se così non fosse neanche Grillo troverebbe uno spazio che è qualcun altro a lasciargli.

  21. Per capirci Enrì, non è il fatto di raccontare gli episodi di cronaca quello che non va. E’ l’uso che se ne fa. Sono le villette di Cogne che ancora vengono ricostruite in scala nel salottone mediatico di Vespa per farne il puntatone del porta a porta, con l’illuminante parere dello psichiatra di turno (turni? ma è sempre lo stesso) e magari della Parietti, dopo 10 anni dal fatto, la sera in cui qualche cosa di politicamente molto più scomodo potrebbe tenere banco.

  22. Caro Gianmario,
    le valvole di sfogo – approntate per diminuire il carico di dolore vitale di ognuno – sono una priorita’ per qualsiasi forma organizzata di vita fra umani. Questo oggi come in tutte le ere finora apparse.
    Solo che la morbosita’ (un eros-thanatos alquanto misantropo) diffusa oggi – in Italia perche’ non bisogna fare ”di ogni Nazione un fascio” – e’ tale da rasentare e spesso oltrepassare il comun senso della fisicita’, della vitalita’, della speranza, dell’amore per i concittadini, i figli, i parenti e per chicchessia. Dunque la superficialita’ e’ cio’ che, in Italia ripeto, ne scaturisce in toto, a far le somme. E, letterariamente parlando, ne’ una ”neoepica”, ne una ”neolirica”, ne’ altro di sostanzialmente profondo e carnale viene scritto. Analogamente, direi (e’ ovvio), la nostra societa’ e’ composta da individui che non fanno niente di artisticamente vitale, essendo stanchi, debilitati, viziati, sciocchi e fisicamente deboli. Nonche’ egocentrici.
    Il nostro e’ un Paese che non vive, vivacchia.
    Soluzioni a questa decadenza italiana?
    Una guerra (cosi’ e’ da sempre per ritrovare il gusto di vivere: combatti e se sopravvivi ti fortifichi) o un approccio diverso alla vita: capire che la vita individuale e collettiva e’ bella perche’ possiamo lottare una pacifica guerra per amare ed essere amati, per fare figli che siano parti di noi eppur individui a se’ stanti, per lavorare nel campo delle arti ed esser valutati ed eventualmente accettati e dunque pagati, eccetera. Insomma: o si fa una guerra vera e propria, coi morti veri, o si lotta per essere una comunita’ migliore, ognuno a modo suo ma mettendo l’amore innanzitutto. Altre soluzioni non ne vedo.

  23. Carlo,
    spero proprio che non serva la psichiatria per capire un Paese. Se no vuol dire che l’Italia va messa sotto tutela ONU, altro che Comunita’ europea…
    Pero’ Enrico sottolinea una cosa che reputo vera, tangibile. Questa:
    gli Italiani hanno l’editoria che si meritano, e ciononostante sono insoddisfatti; ma che vuoi, dice sostanzialmente Enrico, giustamente: tu, cittadino, leggi il mio giornale acriticamente, non ti organizzi per far niente di diverso ne’ scrivi lettere, non motivi i punti di disapprovazione costruttivamente (perche’ sei troppo incompetente e nonlettore per poterlo fare) ma hai da lamentarti! Fallo tu, no, il giornale, Italiano de’ miei corbelli, vediamo cosa ne esce, o caro genio incompreso della strada.
    Cosi’ e’: sono gli intellettuali a non opporsi a questo status quo e i politici a essere pro domo sua. A loro fa comodo cosi’, l’informazione, e a tutti i cittadini comuni, evidentemente, anche.
    Allora muoviamoci, facciamo altri organi di stampa o stiamocene zitti e leggiamoci quel che passa il convento. Senza scassare i cosiddetti.

  24. P.S.
    Chi parla cosi’ e’ uno che ha diretto per cinque anni un trimestrale culturale. Naufragato perche’ gli Italiani criticano criticano ma, poi, in quanto a far di meglio…

  25. P.P.S.
    Io vorrei, avrei sempre voluto, una stampa piu’ incentrata sulla cultura e dunque mi sono mosso, ho fatto un periodico. E dunque mi muovo e critico, a ragion veduta spero, gli attuali organi di stampa. Ma intanto non mi gratto la panza: scrivo, vedo, partecipo. Rompo le scatole e molto. Per togliere i mortammazzati dalla prima pagina e la morbosita’ dalle priorita’ di Italiani e giornalisti. Io lotto, non chiacchiero, orcomondo.

  26. @ Carlo:
    se scorri i miei interventi ti accorgi che io ho parlato di “tecnica” e non di qualità. La qualità complessiva dell’informazione italiana è mediocre, ma la concentrazione o la suddivisione delle testate in mano ai gruppi editoriali c’entra poco. L’omologazione e la mediocrità avvengono perché ogni giornale tenta di intuire cosa fa l’altro per fare esattamente uguale. E tutti quanti insieme tentano di copiare le scalette dei telegiornali.
    Il risultato è che spesso le scelte sono identiche nella rilevanza e nella collocazione. Ma cambia spesso il taglio e il risalto dei particolari. Lo dico perché lo so. Perché i giornali li leggo per mestiere. E dello spirito di corpo me ne frego perché non ne ho manco un po’. Il livello dell’informazione è complessivamente mediocre perché c’è la corsa a essere tutti uguali per paura di sbagliare. Il risultato è che, spesso, il colpo d’occhio è mortificante.
    Non credo però che il giudizio tassativo debba arrivare da osservatori internazionali. Osservatori di cosa? E internazionali di dove? Gli inglesi? Quelli che per anni hanno messo in prima pagina il culo di Lady D?
    Gli americani? Quelli che quando uno abbatte a revolverate dodici studenti di un college mandano ancora il giornalista dalla madre del morto a chiederle “cosa prova?”
    La soluzione non è togliere di mano a Vespa il plastico di Cogne, ma far usare quel plastico a che sa cosa farsene per spiegare come e perché ci sono piste plausibili e ipotesi irreali.
    Il plastico della villetta per dire “signori, il sangue stava qui”, non serve a un cazzo.
    Così come servono a poco gli psichiatri se devono dire “è probabilmente una persoanlità disturbata” a proposito di uno che ha ammazzato padre, madre, moglie e figli e ha dato i corpi in pasto ai cinghiali.
    Hai ragione, Carlo. Ci sono giornalisti seri e anche giornali spesso seri. Ma come lo si stabilisce? O anche, come fa uno a deciderlo?
    Con la passata di pomodoro è facile. Ne provi cinque marche e alla fine quella che ti piace la individui.
    Si potrebbe fare la stessa cosa con i giornali. Cosa cambierebbe?
    Uno ne compra 2-3 tutti i giorni e poi decide.
    E’ scomodo? E’ fuori luogo? Si fa prima a dire che fanno cacare tutti?
    E’ troppo impegnativo fare dei confronti sulle parole piuttosto che sul pomodoro?
    La realtà, temo, è che di informazione ne parlano tutti senza saperne poi una gran fava.
    In Italia si vendono circa 6 milioni di copie di quotidiani al giorno. E tra questi devi contare quelli specializzati (e diffusissimi) sullo sport e sull’economia.
    Fatti un po’ i conti in quanti leggono una copia di un quotidiano di informazione. A occhio, direi, un italiano su dieci legge ogni giorno un quotidiano di informazione. Mi spieghi come cazzo fanno tutti gli italiani a dire che i quotidiani fanno tutti schifo? Devono essere veggenti o coglioni, perché è matematicamente impossibile che li leggano tutti.
    Molti lo sentono dire e si accodano. Omologati, esattamente come non vogliono che i giornali siano. Bah!

  27. Cara Laura,
    siamo perfettamente in sintonia sulla tua constatazione tecnica riguardante i giallisti professionali: la chiamo appunto ”constatazione”. Ma tra quanto hai detto tu e lo scrivere dei veri capolavori letterari ricorrendo al giallo ce ne corre: solo chi ha sfruttato il giallo come contenuto di un contenitore prettamente letterario (Sciascia, Gadda, qualche Simenon) e’ riuscito ad evitare il rischio che io sintetizzerei come segue: fare un contenitore giallo che contenga tutte le caratteristiche che tu hai elencato ma ne dimentichi una principale: la poetica; questo e’ il rischio. Fare narrazioni perfette ma senza poesia e spesso perfino senza una poetica.
    Insomma, a riassumere e chiarificare: fare un giallo e’ difficile, ma chi lo sa fare quasi mai e’ uno scrittore capace di unire filosofia, poesia, trama, struttura, estetica letteraria, suspence, eccetera.
    Un solo genio vivente mi sovviene: Umberto Eco. Ma gli altri? Gli altri, i sopracitati Gadda ecc., non hanno scritto dei gialli. No, hanno scritto dei romanzi d’altra natura – senza entrare nel merito.
    Ciao, cara
    Sergio

  28. Una domandina la pongo ai Triestini:
    finalmente, nel Duemilaotto, il professor Boris Pahor (novantacinque anni, mi sembra, d’eta’) e’ assurto al ruolo di autore di un supervenduto romanzo italiano (”Necropoli”/”Nekropola”, Fazi Editore), dopo anni di emarginazione triestina, ossia di chiusura nel ghetto della minoranza slovena di quella citta’.
    Cosa dire…

  29. Fuori argomento:
    a tutti segnalo il mio articolo sul pagamento degli autori italiani, oggi disponibile su:
    http://www.libmagazine.eu
    chi lo condivida diffonda il link o ne parli, intervenga, scriva, sottoponga il problema ai parlamentari o ad altri intellettuali sottopagati o non pagati, per il suo ed il comune interesse.
    Sergio Sozi

  30. Sulle mie domande (mi rispondo).
    a) Credo che il romanzo giallo/noir abbia avuto un ruolo importante, anche in Italia, per descrivere mali e contraddizioni delle società contemporanee.
    Credo che sia sbagliato considerarlo un genere minore (la distinzione va sempre fatta tra libri buoni e libri meno buoni).
    Ho l’impressione che, per via di un uso forse eccessivo, il genere giallo/noir (che, ripeto, non deve essere considerato minore) stia cominciando a dare segnali di “stanchezza”.

    b) Nei media (in tutti i media) il rischio dello stereotipo è sempre dietro l’angolo. Il giornalismo italiano (nella fattispecie quello cartaceo), in tal senso, rischia moltissimo. Ma rischia di più rispetto al giornalismo di altri paesi? Non ne sono così sicuro.
    Di una cosa sono sicuro, però… che da questo punto di vista Internet svolge una funzione correttiva che sarà sempre più forte.
    Cosa voglio dire?
    Anni fa il giornalista batteva a macchina, mandava il pezzo in stampa e… punto. Chi legge… legge.
    Oggi no. Oggi chi legge replica e lo può fare su Internet, per esempio.
    Il giornalista di oggi sente sul collo il fiato dei lettori molto più che in passato.
    Che ne dite?

  31. La tuttologia della chiacchiera ha stancato solo pochissime persone; la maggior parte si limita a cambiare gli argomenti. Per questo faccio l’orso, evito contatti, influenze incerte e imbarazzanti lodi. E’ una vita dura e spericolata, ma quando il sole c’è, è splendida!
    Buonadomenica a tutti.

  32. Sergio, quanti “impiegati” potrebbero avere di che vivere non confinando la scrittura al ruolo di hobby (utilizzo del poco tempo personale) ?
    .
    Come lettore devo dire che ogni quotidiano presenta punti di forza e punti di debolezza. Scelgo quotidiani ed ambiti in base a questo. Dunque Repubblica (soprattutto) per la cultura e l’economia, Corriere per politica e la cultura, Stampa/Messaggero(a volte) per la cronaca, IlSole24ore per economia e la politica (articoli brevi e di contenuto). Non mi sembra che WallStreetJou e HeraldTrib o NYT siano così avanti. Ho letto qualche volta ElPais e mi ha fatto una buona impressione, ma può anche darsi che il sugo gli fosse venuto bene.
    .
    Su cosa penso degli italiani mi sono espresso tante volte e divento noioso anche a me stesso. Ricordo solo che ognuno di noi può ricordare da dove veniamo e decidere di smettere di essere furbo. Non serve molto altro per cambiare l’Italia.

  33. @Enrico
    Giornali omologati perchè italiani omologati. Si, qui hai perfettamente ragione; però è anche un gatto che si morde la coda. Direi che vari fattori concorrono ad un risultato sotto gli occhi di tutti: il trionfo del pensiero omologato.
    @Sergio
    Fai bene a sollevare il “caso Pahor”. Molto apprezzato all’estero. Si parla di candidatura al Nobel. Quasi ignorato in Italia. E’ colpa di Trieste? E’ colpa dell’Italia? E’ colpa in qualche modo del “pensiero omologato “?

  34. @ Evento
    Smettere di essere furbi. Quoto al 100%. Purtoppo ahimè oggi circa la metà degli italiani andrà a votare uno che fa della furbizia il suo vessillo.
    E a me cascano le palle.

  35. @ massimo:
    la copia di uno veviva sfogliata da altri. uso l’imperfetto in quanto oggi non avviene praticamente più, o se avviene non fa statistica. i tempi si sono accorciati, e chi sfogliava il giornale per leggere grosso modo solo i titoli, oggi si avvale del televideo, mini-notiziari, informazione via web e tramite cellulari. Funziona? Ognuno si assuma le proprie responsabilità.
    Non vorrei essere minimalista, ma i giornali non servono soltanto a sapere delle Torri Gemelle o dello Tsunami.
    Esempio:
    “pronto, messaggero? qui nel mio quartiere non c’è luce”
    “vero signora. l’azienda sta facendo manutenzione e oggi mancherà l’energia per tutto il giorno”
    “ah. e noi come facciamo a saperlo?”
    “l’azienda usa mandare comunicati ai giornali che pubblicano gli orari del black-out e i motivi del medesimo. infatti noi lo abbiamo pubblicato”
    “ah. ma io i giornali non li leggo. e allora?”
    “accenda una candela, e con quel po’ di luce che ha, provi a prendersela nel culo”

  36. Visto che si parla di votazioni…io dico la mia moooooooooolto brevemente!!! Per me sarebbe meglio non votare(e in effetti né io, né mio padre voteremo). E si lo so che si tratta di dovere civico e bla bla bla ma, sul serio, non c’è nessun candidato per il quale valga la penna consumare la punta di una matita. Berlusconi non credo abbia bisogno di commenti(riesce da solo a rendersi ridicolo di fronte a chiunque non soffra di cali neuronali eccessivi) e, per quanto riguarda Veltroni…beh…due giorni fa le mie povere orecchie gli hanno sentito dire:”Desidero ringraziare Bassolino per il lavoro svolto”…cosaaaaaaaaaaaaaaaaa?! Bassolino per il lavoro svolto? Per esserti fottuto milioni di euro non lavorando, forse. Beh…se dobbiamo ringraziare Bassolino, a sto punto, ringraziamo pure lo stesso Berluscodi, Prodi, De Gennaro e tutta la compagnia cantante. Se a non votare fossero almeno il 40% degli italiani,forse, i nostri politici, si renderebbe conto che è finita l’era delle prese per il culo ma, si sa, l’Italia è una paese di pecore. Domani però mi sa che vado fuori a qualche scuola ad intervistare chi ha votato Berlusca. Solo per chiedergli:”Secondo lei perchè, il nano arcoriano, ha dichiarato che non si sarebbe più ricandidato e poi lo ha fatto e, nonostante avesse perentoriamente affermato di non allearsi mai più con Bossi, alla fine la lega riesce a tenerlo per le palle…quanto coraggio ci vuole a votare un uomo così?”. Poi passerei a Veltroni…
    Povera Italia

  37. @Sergio, sono daccordo con con te per quanto scrivi anche su Sciascia e Gadda.Oggi si parla molto del genere giallo, sembra quasi che per ogni autore, sia divenuto l’unico filone possibile e vincente.Oltre alla poetica un altro elemento importante credo che sia la giusta atmosfera del romanzo. Poiché in un triller, alcuni personaggi essenziali sono destinati a morire e non si possono più difendere, a te, a Enrico e a Veit Heinichen vorrei porre una domanda provocatoria, per chi nella trama della storia, assume la suprema prerogativa di indagare il colpevole, esiste in lui una giustizia assoluta che possa riparare l’ingente danno subito dal defunto? In quanto ai giornali, che hanno il compito di approfondire i fatti, spesso sono omologati nel riportare le notizie, l’unica differenza fra l’uno e l’altro, la attua l’acuta penna dello scrittore che non si è mai lasciato ammansire da nessuno, come Indro Montanelli, Enzo Biagi, Sartori e anche tu Sergio, sei sulla buona strada…Ho già parlato del famoso proclama al mio parco Editore, che si è limitato ad un fatuo risolino agro-dolce. Ma, imperterrita ritornerò alla carica e non solo con lui. E noi..,Sergio uniti e compatti, suoneremo le nostre campane…
    Felice Domenica.
    Tessy

  38. (off topic)
    @ Laura
    In riferimento, e a supporto, dell’articolo di Sergio segnalo a te (e a coloro che l’hanno ancora letto) questo pezzo di Roberto Alajmo che pubblicai tempo fa su letteratitudine.
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/10/08/pubblicare-su-riviste/
    Per eventuali commenti vi prego di utilizzare “la camera accanto”. Anzi… ora sposto (e posto) il dibattito anche lì.
    Qui continuiamo a discutere dell’argomento on topic.

  39. @ Enrico
    Alcuni giornalisti miei amici (preferisco non far nomi) si lamentano del fatto che oggi le “pressioni” su chi scrive nelle redazioni (pressioni volte a orientare il taglio dell’articolo in certe direzioni, anziché in altre) sono molto più forti rispetto a qualche anno fa.
    Per dirla in maniera schietta, c’è chi si lamenta che il “servilismo” dilaga. Soprattutto tra i giovani.
    Qualcuno mi ha anche detto che la situazione dei praticanti è drammatica e sarebbe bene scoraggiare molti giovani dall’intraprendere la strada del giornalismo (a meno che non siano, appunto, disposti a piegarsi ad atteggiamenti “servili” e non mostrino di essere “troppo intelligenti”).
    Ti chiedo, Enrico, a tuo avviso c’è del vero nelle suddette riflessioni o si tratta dei soliti luoghi comuni?

  40. @ Germano, non fare lo Sgarbi di sinistra, poi diventi come Pierluigi Diaco e invece di diventare un grande scrittore apri una casa di tolleranza, vai a votare, per chiunque, mio nonno ha dato la vita per concederti queso privilegio e Camilleri resterà oltre otto minuti senza fumare, a 82 anni, per assicurarti un futuro.

  41. carlo S ha scritto
    Direi che vari fattori concorrono ad un risultato sotto gli occhi di tutti: il trionfo del pensiero omologato.
    giornali omologati, c’è del vero, certo.
    e allora – mi chiedo – ci si sfoghi in rete. ma ditemi: quanti sono i blog che dicono cose diverse rispetto ai giornali?
    i giornali non sono da difendere.
    non è questione di servilismo, solo (che c’è, certo che c’è).
    bocca anni fa diceva che con l’uso dei fax i giornalisti si erano imborghesiti: fax e telefono, e non andavano più a vedere (questo sì, che è uno dei mali). Dopo Ustica è finito il tempo delle inchieste.
    ma a dire di giornalismo, di politica, di calcio e di letteratura, sentenziando, siam tutti buoni, scusate.
    bisogna viverle certe cose.
    sapete quand’è che un giornale diventa combattivo? quando lo sono i lettori, combattivi.
    i lettori, oggi ri-scusate ancora, si indignano ancora troppo poco.
    certo, comprano la casta e leggono saviano.
    ma a palermo, quando ci fu l’attentato a Lirio Abbate, sfilarono in 500, poliziotti compresi.
    Lirio Abbate è un giornalista che ha denunciato, con coraggio, facendo nomi: quanti tam tam è stato fatto dai blogger? (non c’è stata forse troppa… omologazione ai discorsi infiniti sul savaninismo?).
    è una questione semmai di coraggio.
    che oggi non c’è. in tutti gli strati sociali. faccio un esempio e chiudo.
    ho vissuto 7 anni di fabbrica negli anni 80. mi sembra un secolo. negli anni 80 la parola solidarietà aveva un significato preciso.
    ora esiste, dimenticata o quasi.
    rischiare per gli altri, magari il proprio posto di lavoro o il conto in banca?
    no, teniamo tutti famiglia.
    torno alla professione mia e quella di enrico.
    se un giornalista si espone rischia, in primo luogo, querele, e in secondo luogo magari botte, e in terzo luogo magari d’essere licenziato.
    chi glielo fa fare?

  42. @ Remo Bassini
    Giorni fa sul tuo blog pubblicasti un post dal titolo: “Dacci oggi il nostro sfogo quotidiano”:
    http://remobassini.wordpress.com/2008/04/07/dacci-oggi-il-nostro-sfogo-quotidiano/

    Riporto qualche passaggio…

    Quando assunsi la direzione del giornale, tre anni, fa, scrissi che avrei dato voce a chi non ne ha.
    E credo che questo, insieme al “raccontare piccole storie di tutti”, sia uno degli aspetti più qualificanti dell’informazione locale.
    Comunque.
    Così ho fatto, e ne vado fiero.
    Risultato: grane, querele, minacce di querele.
    Altro risultato: il giornale è cresciuto, più vendite insomma.
    Altro risultato: nessuna forza poltica apprezza la linea del mio giornale.
    Altro risultato: quando si tratta di cercare conferme, testimonianze, quelli che vengono calpestati e umiliati si ritrovano soli. Traduzione: io e loro.
    Vedremo come finiranno queste grane.
    Vedremo, vedrò: di sicuro non farò mai il giornalista che abbozza al potere, che abbassa la testa.
    (Ma che chiede anche scusa quando sbaglia: perché facendo questo lavoro, a volte pressati dalla fretta, succede di sbagliare. Non sono infallibile, io. Il giornalismo è tutt’altro che infallibile. Ma i miei giornalisti lo sanno: nel dubbio, tante volte, ho preferito non pubblicare).
    Comunque.
    L’ho detto due minuti fa ai miei giornalisti: o si continua lavorare così oppure arrivederci, posso smettere anche domattina.


    Sul tuo blog ti ho già espresso la mia solidarietà, ma qui ti chiedo: ti senti un po’ una mosca bianca?

  43. @Noir? Giallo? Ma “I Promessi sposi”? “Amleto”?…

    Poco tempo fa accesi una battagla divertente per perorare la causa di un giallo, che era ed è, romanzo a tutti gli effetti; narrazione di un periodo (Il Ventennio) spesso caduto nell’oblio culturale, e oleografia di una Napoli che non faceva folcloristicamente notizia (Il senso del dolore).

    In molti gialli l’omicidio è un mezzo, un veicolo che serve per raccontare. Non lo so quando sia nata questa discriminante, che vede la categoria sottostimata, probabilmente dalla nascita della grande scuola americana, in conseguenza della limitata produzione letteraria yankee (non mi uccidete, ma un “Grande Gatsby” non fa il paio con la devastante produzione europea del secolo breve).
    Siamo diventati succubi di mode letterarie per delle indovinate traduzioni (“Sei fortunata bambola, non picchio mai le donne alle 11 di sera”, chissà se questa frase è veramente di Raymond Chandler o frutto di una brillante traduzione).
    @Gregori,
    per esempio, nello scrivere “Un the prima di morire”, ha usato un’ambiente meta-americano, ma la sua cifra narrativa è maledettamente italiana, anzi direi romana e gaddiana, infatti, quando poi leggo un raccontino semplice semplice sul suo blog (lui lo consdera così, ma non è vero), noto che la sua sudditanza psicologica dagli americani è nulla e potrebbe tranquillamente allungarsi in un bel noir italiano, e romano metropolitano.
    Potrebbe raccontare la Roma de “Il Messaggero”, quella apolitica e caciarona, quella che farebbe a meno dei politici, ma si terrebbe stretto il Papa e “er Cupolone”, “artrimenti come la digerisco la pajata, se non posso mandà affanc…er prete”?

  44. Tempo fa mi è capitato di recensire per una rivista il volume “SETTE PEZZI D’AMERICA – I grandi scandali americani raccontati dai premi Pulitzer”.
    Riporto nel commento di seguito la recensione perché, per certi versi, è collegata all’argomento di cui stiamo discutendo.

  45. SETTE PEZZI D’AMERICA – I grandi scandali americani raccontati dai premi Pulitzer
    pp. 386, euro 15, a cura di Simone Barillari, collana Indi, Minimum Fax, Roma, 2005
    Traduzioni di Ada Arduini, Martini, Giovanna Schocchera, Marina Sirka Mosur e Martina Testa
    http://www.minimumfax.com

    Può la notizia avere la forza dirompente per scardinare un sistema? Il giornalismo, quella teso alla verità, può davvero resistere alle pressioni dei poteri che cercano di asservirlo ai propri scopi? E ancora, una notizia può valere la crisi di una nazione? È possibile trovare risposte a queste domande nel volume “Sette pezzi d’America – I grandi scandali americani raccontati dai premi Pulitzer” recentemente pubblicato dalla casa editrice romana “Minimum Fax” (www.minimumfax.com), nell’ambito della collana “Indi”.
    Le inchieste giornalistiche raccolte in questo volume (e tutte premiate dal Pulitzer), condotte nell’arco temporale che va dal 1972 fino al 2004, sono incentrate su argomenti che – sebbene diversi – sono tuttavia collegati dal comune sforzo da parte dei giornalisti e delle testate coinvolte di andare in profondità alla ricerca del vero nonostante inevitabili ostacoli e resistenze.
    Il primo “pezzo d’America” coincide con una delle inchieste giornalistiche più significative e devastanti di tutti i tempi, quella che ha avuto davvero la forza e il merito di scardinare un sistema forte e consolidato. Ci riferiamo allo scandalo Watergate che, nell’agosto del 1973, obbligò il Presidente in carica Richard Nixon alle dimissioni. I tre reporter del “Washington Post” – testata che condusse la battaglia in perfetta solitudine e nella generalizzata indifferenza dei concorrenti – si aggiudicarono nel 1973 il Pulitzer nella categoria “giornalismo di pubblica utilità”.
    Il secondo “pezzo” riguarda il cosiddetto “Caso Scientology”. Due reporter del “St. Petersburg Times” condussero un’inchiesta sulla nota setta giunta in Florida già dal 1975. È a partire da questa data che tra la setta religiosa e la stampa locale cominciarono forti attriti poi esacerbatisi allorquando due agenti di Scientology, tramite l’infiltrazione e il furto, si impadronirono di lettere private del giornale. Il “St. Petersburg Times” si difese pubblicando articoli di fuoco (ben quattordici nel solo dicembre 1979) che gli valsero il Pulitzer 1980 nella categoria “reportage nazionali”.
    Gli altri “pezzi d’America” toccano tematiche altrettanto scottanti e di estremo interesse come “L’esplosione del Challenger” – inchiesta del “New York Times”, premio Pulitzer 1987 – , il noto episodio in cui dopo pochi secondi dal decollo, a causa dell’esplosione del velivolo, perse la vita l’intero equipaggio di cui faceva parte anche la maestra di scuola Christa McAuliffe. Oppure l’inchiesta su “L’industria del tabacco” condotta da un reporter del “Wall Street Journal” – premio Pulitzer 1996 – contro la Philip Morris. Inchiesta che arrivò a dimostrare, tra le altre cose, l’addizione illecita di ammoniaca alle sigarette per dilatare gli effetti della nicotina nel corpo umano. O ancora lo scandalo dei “Preti pedofili”, con un’inchiesta portata avanti dal “Boston Globe” – premio Pulitzer 2003 – contro certi abusi perpetrati negli ambienti della Chiesa cattolica. E infine la recente inchiesta del “Toledo Blade” sul “Vietnam” – premio Pulitzer 2004 – che ha messo in luce brutali verità sui massacri commessi da alcuni soldati americani; come il sergente William Doyle che, tra l’altro, ha candidamente rivelato: “Se entravo in un villaggio e non erano tutti stesi per terra, io sparavo a quelli ancora in piedi.”
    Un saggio composto da sette inchieste, che si leggono come romanzi brevi, e caratterizzato da una scrittura secca, incisiva, lineare, secondo l’insegnamento di Joseph Pulitzer che – in riferimento, appunto, alla scrittura – raccomandava “precisione”, “limpidezza” e ancora “precisione”.
    C’è da riflettere, dopo aver letto queste vere e proprie lezioni di giornalismo, sulla blanda efficacia di certa stampa nostrana forse troppo avvezza alla ricerca del facile “senzazionalismo” a basso rischio. Certo, un’involuzione generalizzata del giornalismo doc c’è stata ed è in atto ancora oggi persino in America, se è vero – com’è vero – che in riferimento ai reporter è stato coniato un nuovo epiteto, “lapdogs” (cani da salotto) a parziale sostituzione del vecchio “watchdogs” (cani da guardia, della democrazia) e se, come stigmatizza nella nota introduttiva Simone Barillari, il direttore della collana Indi-Pulitzer, “dagli inizi del Novecento a oggi, il numero delle testate non ha quasi mai smesso di diminuire” (dai 2600 quotidiani nel 1909 ai circa 1750 di adesso). Senza contare poi il fatto che, a causa dell’aumento dell’incidenza dei grandi gruppi editoriali, assistiamo a un triste quanto disdicevole processo di oligopolio dell’informazione.

  46. @ remo.
    non è furbo esporsi, in nessun campo.
    intestardirsi alla correttezza quando è percezione comune che è da scemi non adeguarsi.
    continuare sotto sotto a crederci è malattia genetica, credo.
    incurabile. a volte letale.
    ma ringraziando il cielo qualcuno ancora ce l’ha, vero caro?
    continuo a sperare che sia contagiosa.

  47. Enrico, so bene che nei giornali non ci sono solo articoli centrati sulle catastrofi e che esiste il dovere di cronaca. Io mi limitavo a considerare l’aspetto ‘giallo’ , quello che mi sembra stia diventando prevalente, e solo di quello ho parlato, altrimenti facevo una sbrodolata. Più che i giornali, eccelle la TV e su questa vi posso dire che, in genere, all’estero, vi è meno insistenza sull’aspetto che giustamente Sozi chiama morboso; non che ritenga migliori le TV a me accessibili (in francese,inglese e spagnolo) anzi a volte sono molto più stupide della ns (non sono mai riuscito a seguire i canali canadesi, bambineschi). Fanno eccezione gli USA dove, anche i sequel (NCIS insegna) mostrano nei dettagli orrori da manicomio che noi, da bravi colonizzati, accogliamo lieti, come tutte le immondizie culturali.

  48. vedi massimo, enrico prima si è inalberato.
    giustamente, dico io.
    torno a ripetere: di calcio, giornalismo e politica sappiamo sempre tutto. e invece non è vero.
    i grandi giornalisti che in tv tuonano danno, a volte, l’impressione del coraggio: la gente dice, che bravo feltri a dire, che bravo travaglio (che è una persona che stimo, e che conosco da anni, dai tempi dell’università).
    faccio un esempio piccolo piccolo, ora.
    c’è una manifestazione, una fiera, ma sì, facciamo di libri.
    un giornale cosa fa: la presenta prima, fa il resocoto poi.
    c’è da considerare un’altra cosa, però: gli organizzatori della fiera, prima e dopo, fanno pubblicità su quel giornale.
    mettiamo che la fiera vada male, sia una schifezza di fiera.
    cosa capita, secondo voi, al giornalista che scrive la verità?
    ve lo dico io.
    magari rischia il posto per un pezzo da veti righe, solo che nessuno se ne accorge, nessuno saprà mai (che qualcuno gliavrà detto: Ragazzo, che fai, sputi nel piatto dove mangi?).
    a volte, succede per esempio facendo la cronaca nera, si scrivono cose che magari riguardano amici o degli editori o del direttore. bene, io ho visto episodi di eroismo che nulla hanno a che vedere con le scelte ideologiche ed editoriali.
    questo per dire che non è poi così facile capire cosa c’è dietro il nostro lavoro.
    l’eroismo, però, non è qualcosa che si delega. quante volte ai giornali arriva gente che sa e che ha visto ma dice, Per favore non mettemi in mezzo.
    oppure, scrivo, ma mettete Lettera firmata.
    se i giornali son piatti, e tante volte lo sono, è perché sono lo specchio, io credo, di un piattume diffuso.
    (grazie gea)

  49. Ammazza quanta roba! Intanto grazie a Remo. Era ora che ti affacciassi, stavo qui da solo a (non) difendere la categoria.
    Massimo introduce un argomento spinoso: il servilismo.
    Nel giornalismo (come mai ovunque) esistono figure che lavorano a contrattyo suscettibile di rinnovo. E’ ovvio che il ricatto è dietro l’angolo……”come lo vuoi impostare questo pezzo? perché sai…vedi…tu il contratto a tempo indeterminato non ce l’hai e allora…”.
    Ovvio che poi i “vari gregori” che hanno il contratto fisso da quasi 30 anni, se non vogliono subire, mandano a fare in culo direttori ed editori senza problemi. oddio, qualche problema ci sarebbe. Perché se è vero che non rischi il licenziamento, vai sicuramente incontro a mancanza di promozioni, di qualifiche e cazzi vari. Personalmente me ne sbatto i coglioni e, perdonate l’egoismo, io mi occupo di cronaca nera. Non c’è direttore o editore che possa chiedermi di scrivere che uno è stato ferito invece che ammazzato, oppure morto strangolato invece che crivellato di piombo.
    Alla fine, il sangue e la merda sono le cose più pulite del giornalismo.
    🙂

  50. @ maria teresa:
    per chi ci crede (e io vi rispetto) la giustizia suprema dovrebbe essere deputata a Dio. A occhio talvolta si distrae anche lui, immagina quindi quanto senso di suprema giustizia possa albergare in un investigatore che deve mettersi sulle tracce di un figlio di puttana.
    Diciamo che, se è convinto di aver trovato il colpevole, è ben contento di arrestarlo. Sia perchè è giusto, sia perché è il suo dovere.
    Insomma, trattasi di mestiere e non di missione.

  51. @ didò:
    il mio libro che hai letto è americanoide solo per un mio omaggio a Ed McBain. E’ americanoide anche la vicenda e il mood, ma è ovvio che io sono italiano e faccio muovere i personaggi così come li vedo muovere dalle mie parti.
    I prossimi saranno molto ma molto diversi.
    ps: sapete, per esempio, che l’FBI viene a studiare presso la nostra Polizia Scientifica modi e tecniche di indagine?
    Insomma….CSI è una fiction, che sia chiaro.

  52. “Alla fine, il sangue e la merda sono le cose più pulite del giornalismo.”

    La frase di Gregori è sicuramente d’effetto, però non ci sono solo i fatti, ma come uno sceglie di raccontarli, la scelta di utilizzare determinate parole piuttosto che altre. La merda può essere “rifiuto organico” piuttosto che “popo’” o “bisogno fisiologico” oppure “scempio” o “zozzura” o “liquami”

    Esempio: Una donna viene stuprata e uccisa. Questo il fatto, drammatico e brutale. Tutti ne parlano, ma come? Io mi aspetterei che ogni cronista chiamato a raccontare il fatto lo faccia mettendo l’accento su determinati particolari piuttosto che altri.
    Invece, quando mi accorgo che su tutti i principali giornali e tutti i tg la vicenda è narrata allo stesso modo, come se ci fosse un canovaccio uguale per tutti: citando, per esempio, ripetutamente nome e cognome della vittima (tanto che mi viene da domandarmi, all’inizio, se quel nome non dovrebbe già dirmi qualcosa, se la donna non è un personaggio noto), nazionalità dell’assassino prima di tutto… Ecco, a me il dubbio di una certa omologazione viene. Dà l’idea che sia passata una voce che diceva che quel particolare caso di cronaca andava trattato così, che non bastava che fosse brutale e drammatico, ma che doveva diventare Il Caso, e sollevare gli animi verso Il Problema.
    O, almeno, questa è stata la mia impressione, nel caso specifico, e, da che ho cominciato a farci caso mi accorgo di come alcune parole rimbalzino da un giornale all’altro come se ci fossero precise indicazioni a utilizzarle.
    Poi è chiaro che ci sono giornalisti che si fanno il sangue amaro per restare fedeli alle proprie idee e capisco che le difendano (e per carità mi unisco alla speranza di Gea che la malattia sia contagiosa), ma per me è anche evidente che se la maggior parte dei giornalisti sono precari, con la vita e la carriera appese a un filo, l’informazione non può certo dirsi libera.

  53. Viviamo lo “spaesamento” ( Heidegger) che ha investito non solo gli Uomini, ma l’essenza stessa dell’Uomo, che ora sta vagando. Siamo così spaesati che non sappiamo nemmeno riconoscere quello che ci succede. Così, di volta in volta, troviamo, non la via che consente il cammino della ragione, ma piccoli sentieri che ci portano ad individuare i brutti e i cattivi. Oggi parliamo di giornali e giornalisti. Secondo i filosofi, abbiamo smarrito la “cifra”, naufraghi in un mare di altri numeri (cifre vere) con cui facciamo i conti. E’ sempre domanda/ offerta e io credo che non sia nemmeno più questione di Grande Fratello, o altri grandi parenti: è l’omologazione nel consumo, anche quello colto e di nicchia. Ognuno ha il suo!
    A proposito di giornali (quotidiani) aggiungo, che si può sempre scrivere al “direttore”; se anche tutte le lettere non venissero pubblicate, sono comunque una testimonianza diretta del lettore nei confronti della linea editoriale. Forse sbaglio, ma mi sembra che all’estero questa abitudine sia più diffusa. Enrico?

  54. Dall’intervista emerge chiaramente che le nostre capacità percettive dipendono dai contrasti esistenti. Essi variano continuamente, così che ogni epoca differisce da un’altra attraverso le sue determinazioni e caratteristiche.
    Inoltre, mi sembra di intravedere un senso uguale o simile in ogni pensiero e azione fatta dall’uomo.
    È un senso apparentemente dualistico che noi definiamo “il bene e il male”, e che sempre si contrastano per essere assunti e percepiti da noi e darci il senso di muoverci e quindi di vivere.
    È la nostra realtà di sempre, che ci si presenta sempre modificata, seguendo il principio percettivo delle cause e degli effetti.
    Il nostro pensare e agire dipende da questo principio.
    È così che Trieste si adatta benissimo allo schema dei contrasti, nei quali ci appare più viva, forte e invitante delle altre città.
    Simile a un campo di culture mischie in fioritura, la città ci attira a perlustrarla e diventare parte di lei, assaporando la molteplicità delle sue espressioni, ognuna delle quali rimane semplice e originaria.
    La velocità degli scambi culturali ed economici rende la città di nuovo attraente e degna di abitarla e operare, migliorandola ancora.
    Dopo anni d’isolamento e depressione economica, Trieste si presenta oggi capace di ritornare agli splendori del passato, riuscendo a creare un’atmosfera tollerante e serena di convivenza delle molteplici etnie, così che esse risultano un dono per il suo sviluppo culturale ed economico e non un freno, come lo era prima.
    Guai, se i tempi e con loro la situazione economica, dovessero peggiorare; significherebbe il ritorno della diffidenza e incomprensione verso il differente, che potrebbero sfociare di nuovo nell’aggressione dell’odio, non più contenibile e rappacificabile.
    Il contrasto, che in questo caso tanto giove alla città, è l’ossigeno per le nostre intenzioni nei tempi di sviluppo verso il meglio, ma può tramutare in un veleno nei tempi di carenza e miseria.
    Ringrazio Sergio per la sua intervista, che rispecchia la situazione particolare di una città di confine, dove l’essere umano prova a uscire dal suo guscio protettore (cultura) alla ricerca di una vita migliore nell’unione con gli altri diversi.
    È un tentativo, diventato una necessità per tutti, di trarne insieme il meglio possibile, senza perdere le proprie radici, ma costruendo su di loro una forma di cultura migliore, eliminando le sue forme diventate restrittive e incompatibili con l’andamento dei tempi.
    Saluti,
    Lorenzo

  55. @didò. Hai ragione, il voto si dovrebbe sempre dare…ma, non so, mi sembra di buttarlo via. Lo sgarbi di sinistra dici?! uahsuahush…ma lo sai che sei geniale?! Comunque non credo sarò mai uno scrittore, amico mio; sono troppo incostante e troppo irregolare. Tuo nonno, comunque, dovrebbe prendere a calci nelle palle i candidati moderni insieme a noi, non credi?!Sono questi candidati, infatti, che offendono la memoria di chi ha dato la vita per assicurarci il diritto al voto.
    @Enrico. Vedo che ti sei inalberato con la tua solita, invidiabile verve, in un bel discorso sul giornalismo…inutile dirti che ho divorato i tuoi commenti e che, anche questa volta, mi trovo in piena linea con ciò che dici. Sarai il mio modello di ispirazione…ritieniti onorato;)

  56. A tutti,
    grazie per gli interventi.

    A Laura Costantini,
    grazie per il link con il mio articolo che propone una legge pro-pagamento pubblicazioni agli autori: fai del bene a te stessa e alla categoria.

    A Maria Teresa,
    grazie per le tue affermazioni di condivisione. Vedrai che l’articolo prima o poi verra’ ripreso da qualche ascoltatore piu’ noto di noi. Finche’ non sara’ cosi’, dovremo tutti darci da fare al massimo per farlo conoscere e leggere. Lotta dura senza paura: siamo nel giusto e affermo cose reali, riscontrabili dovunque in Europa. Per esempio qui in Slovenia, dove lo stipendio medio e’ la meta’ di quelli italiani e la vita non e’ cosi’ tanto meno cara, NESSUNO SCRIVEREBBE UN ARTICOLO GRATIS neanche per un depliant pubblicitario! (conosco bene l’ambiente degli scrittori sloveni e anche questo e’ un dato fattuale).

    Agli altri, Lorenzo, Remo Bassini, Germano, Gianmario, Gea, Miriam, Dido’ e Carlo S.,
    dopo torno qui e vi rispondo.
    Ciaobbelli
    Sergio

  57. Una osservazioncina generica:
    a me sembra che TUTTI i mezzi di comunicazione italiani diano troppo risalto alla cronaca nera. E’ un elenco di morti ammazzati, stupri, rapine e massacri che ci assedia, ci toglie il respiro. Per fortuna i giornali sono sfogliabili (una democrazia data dal matieriale, la carta), cosi’ vado direttamente alla cronaca culturale ed evito di angosciarmi con questa morbosa valanga di sangui assortiti. Ma i telegiornali bisogna proprio spegnerli, perche’ la loro scaletta e’ la tua scaletta.

  58. @ Sergio,
    mi stai facendo sorridere, con la determinazione di un bambino che fa il giudice hai sparato lì la tua sentenza! Condivido, bravo!
    Miriam maestrina.

  59. Massimo, sono d’accordo con quanto hai risposto alle tue stesse domande tranne che sulla tua collocazione del ‘giallo’ nella letteratura come genere. Per non farla lunga formulo delle frasi e delle domande. La fantascienza è letteratura minore o nobile come il giallo? Le short stories hanno lo stesso valore dei romanzi ? Un impromptu è da considerarsi come una sinfonia? (Weber è minore o uguale a Mahler?). Mi sembra che rientriamo nel discorso di cosa sia arte o no. Se non vogliamo fare mezzanotte, dobbiamo stabilire un semplice criterio, quello della significazione, che è indipendente dal genere, lunghezza o difficoltà dell’opera ma che non può in nessun caso essere confuso con la novità o lo stupore che può provocare (epater les bourgeois). E il significato è qualcosa che va al di là della pura emotività animalesca. Concludendo, intrattenimento o qualcosa di più? A mio parere 2001 Odissea nello spazio è opera d’arte, difficilmente potrei dirlo della maggior parte della fantascienza. Ciao.

  60. Caro Remo,
    purtroppo non ho mai letto il tuo bisettimanale, ma intuisco che tu sia un giornalista vero, onesto e coraggioso. Dunque, da ignorante qual sono rispetto al tuo lavoro, ti chiedo: pensi sia possibile un giorno fondare un bisettimanale d’informazione dove la cultura sia in primo piano al posto della cronaca nera, che cosi’ verrebbe relegata in seconda o terza posizione, dopo magari lo spettacolo?

    Cari Triestini,
    Veit Heinichen dimostra di preferire Pahor a Magris – e ne da’ le motivazioni. Voi cosa ne pensate?

    Caro Gianmario,
    Hai detto una cosa che considero giustissima. Tanto che la ripeto qui: ”gli USA dove, anche i sequel (NCIS insegna) mostrano nei dettagli orrori da manicomio che noi, da bravi colonizzati, accogliamo lieti, come tutte le immondizie culturali.”
    Le motivazioni di questo vassallaggio italiano – unico in Europa – mi sono quasi ignote. Magari e’ perche’ molti Italiani hanno un sentimento della Patria troppo debole. Ci vorrebbero altri tre o quattro Carlo Azeglio Ciampi. Ma ci vorrebbe una convinzione popolare profonda ed autogenerata, in primis, altrimenti manco San Gennaro ci farebbe questa Grazia.

    Caro Lorenzo,
    il caso dell’Italia esula un po’, mi sembra, dal tuo esatto discorso, perche’ e’ il caso di un popolo che, pur conoscendo poco se stesso e la propria Storia e cultura, si va a mettere per pochi soldi nelle mani degli stranieri meno ammirevoli (i soliti Americani). Imparassimo da Francesi e Tedeschi sarebbe un altro paio di maniche. Ma non dovremmo farlo, neanche da loro, pedissequamente, ma sempre con senso critico e creativita’ autoctona ed autonoma. Infatti il problema centrale dell’Italia di questi ultimi sfiniti decenni e questo: abbiamo smesso di creare e di aver fantasia. Grave fatto.

    Cara Miriam,
    se noi cittadini continuiamo ad alimentare la confusione mediatica seguendo i mass-media, poi non possiamo prendercela con nessuno se cadiamo noi stessi nel caos piu’ ampio e spirituale e filosofico e comportamentale, ne’ possiamo rimbrottare piu’ di tanto chi ci lucra sopra. E’ il mercato e le sue leggi dell’offerta e della richiesta… Come per la prostituzione, che va solo dove c’e’ mercato (esempio sloveno: di prostituzione qui ce n’e’ quasi niente e mai per strada, mai vista una ”di quelle” sotto un lampione in otto anni che ci vivo!).

    Caro Dido’,
    suvvia: ”I Promessi Sposi”, un giallo? Se vogliamo, allora, tutto puo’ esser giallo, se esiste un interrogativo irrisolto in un romanzo che alla fine viene sciolto… Me sa che stavorta l’hai sparata grossa, o no? Una trama e’ una trama, tutto qui.

    Cara Maria Teresa,
    ride bene chi ride ultimo… sta’ a vedere se chi dici tu ridera’ ancora se un giorno venisse obbligato per legge a pagarti a tariffa sindacale un tot a cartella. Risposta alla tua domanda sulla ”giustizia assoluta”: no. Una vita persa e’ un fenomeno irreparabile al di fuori di qualunque riscatto. Ed uccidere e’ la suprema pazzia umana. Credo solo che nell’Aldila’ si fara’ qualche conticino, che restera’ purtroppo eternamente ignoto ai viventi. Ma e’ ben magra consolazione, cara Teresa.

  61. Ancora una volta il Buccimpero concorda con Gianmario. Ogni genere e ogni dimensione narrativa (nel senso anche di lunghezza testuale) ha i suoi capolavori e le sue opere mediocri.

  62. Miriam,
    grazie per la condivisione: io dico ”sic et simpliciter” quello che penso con una certa sicurezza perche’ i dubbi me li risolvo da solo, prima di scrivere qualsiasi cosa. Ciao, cara.

  63. @ Gianmario
    La differenza tra libri buoni e libri meno buoni la applico anche alla fantascienza… che è ricca – come la “letteratura gialla” – di autentici capolavori: basti ricordare alcune opere di Asimov, o Dick, o Vonnegut (cito solo alcuni autori).
    Così come del resto ci sono racconti che valgono più di romanzoni insignificanti.
    Sull’esistenza o meno dei generi (o meglio sulla necessità di distinguere generi) possiamo discutere. Io per principio sono piuttosto contrario alle etichette e alle catalogazioni. Però, dal momento che usiamo le parole “giallo” o “fantascienza” accettiamo la catalogazione medesima e dunque la suddivisione in generi letterari. Non trovi?

  64. Buonanotte a te, Maugger Maximus, e grazie per lo spazio e la disponibilita’, l’eleganza di sempre.

  65. @ Perchè siete arrivati al giornalismo?
    Si parlava del giallo e di questo simpatico scrittore che nessuno conosce, dal nome di birra, e che se fosse entrato gentilmente in discussione con noi forse i ragionamenti non sarebbero deviati ( è un problema di lingua, herr Heinichen?); Sergio ha scovato, con geniale intuizione, questa commistione tra tedeschia, intelligenza meridionale e location (diamine, volevo dire ambientazione) romantica CortoMaltese-iana e ce lo ha portao su di un vassoio argentato, perchè abbiamo aggirato il dibattito?

    @Massimo Maugeri,
    Il giallo/noir non è stanco, se gli autori non hanno idee non ne hanno in nessuna categoria, se Ammanniti parla per la terza volta di adolescenti la questione è che è monotematico, saprà anche scrivere, ma per quello bastano anche i docenti di lettere.

    Non è vero che si rischia lo stereotipo nei media,
    basta scavare, nei giornali, nella tv, gli esempi sono tanti: Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo di Repubblica; Milena Gabbanelli nella Rai; i giornalisti siciliani (di cui non ricordo il nome).
    Ma la questione è la concentrazione, anche della stampa, in grandi gruppi, la nascita delle “Sinergie” (una come la Del Bufalo, che per anni ha avallato questo nel sindacato giornalisti e adesso è stata anche premiata, l’avete vista condurre da padrona le conferenze stampa);
    la nascita dei giornali gratuiti che, stranamente, sono di proprietà degli stessi gruppi dei giornali (Caltagirone è proprietario de “Il Messaggero”, “Il Mattino”di Napoli ma anche di “Leggo”) dove stà il trucco? E’ concorrente di se stesso?

    Internet? Maugeri, per adesso internet è è dispersiva, intercetta i giovani, una buona parte di loro, ma gli adulti hanno difficoltà, il mezzo che li incatena è la tv, e l’Italia è vecchia.

    La macchina da scrivere, obsoleta e spaccadita ti faceva ponderare di più la scrittura, una slow-word. Prima di mollare il pezzo ci si ragionava, oggi la velocità può far sbagliare. Tanto che fa? Velocemente, c’è l’Errata Corrige, insomma l’interazione replicante in rete.
    Dicendola tutta, anche qui ci sarebbe bisogno di una via di mezzo.

  66. – Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna? (Vi invito, se potete, a motivare la risposta).

    – Ritenete che le notizie dei giornali siano davvero così stereotipate come sostiene Heinichen (nell’intervista)?

    1. Le distinzioni di genere sono comode. Certo non possiamo pensare che “Edipo re” sia il primo giallo anche se ne ha molte delle caratteristiche! Non sto scherzando, non è mia la teoria…
    Naturalmente il giallo è nato dopo, con la nascita delle polizie moderne, con lo sviluppo della borghesia, dell’industrializzazione, dell’urbanesimo, e ne ha rispecchiato paure, aspettative, tensioni, pur nei limiti a cui lo si è confinato, cioè l’enterteinment. Però un giallo ha in sé qualcosa di più. Esagero? Una tensione filosofica, metafisica. La colpa e la punizione, la ricerca della verità, disordine e caos, delitto ed indagine, passione e ragione. E certe atmosfere di gialli e noir ci dicono più di un saggio di sociologia…
    2. I giornali. Remo, ciao! Un abbraccio a te e Francesca… Magari tutti i giornalisti avessero il senso della storia, del racconto, della gente come te! Voglio essere ottimista: c’è speranza. L’italiano medio non legge o legge poco, ma c’è Internet, ci sono i quotidiani in rete… Occorre una formazione migliore e la pluralità dell’informazione deve essere assicurata, ma fuori dall’Italia non credo vada molto meglio. I media sono da sempre fattori di condizionamento. La letteratura è la menzogna più vicina alla verità che io conosca, pù della cronaca…

  67. A Veit Heinichen: voglio leggerla, perché Trieste mi è nota solo letterariamente. Ho letto quasi tutto Svevo e la vedo come città misteriosa e difficilmente inquadrabile. Poco italiana?

  68. Maria Lucia Cara,
    posso per il momento solo rispondere ad una delle tue domande?
    Se in Italia la pluralita’ dell’informazione venisse salvaguardata dal correttivo della partecipazione da parte dei lettori, basterebbero tre giornali in tutto e vi leggeremmo mille opinioni. Invece oggi e’ il contrario: mille giornali con due o tre opinioni in tutto. E la colpa e’ di chi se li sopporta cosi’ senza intervenire costruttivamente – o creando altri organi d’informazione o scrivendo ai direttori. Se siamo passivi, la colpa e’ nostra. Poi servirebbero leggi anti-cartello e leggi che obbligassero al pagamento di tutti gli articoli pubblicati. Vedresti, poi, quanti editori sopravvivrebbero… il dieci per cento. Ma seri e che creerebbero lavoro vero, coi soldi in mano, non con le chiacchiere e lo sfruttamento dei giovani articolisti.
    Le altre domande mi fanno meditare, ed io medito con calma.
    Ciao, cara
    Sergio

  69. Dido’,
    io non ho molta confidenza con il sig. Veit Heinichen, l’ho incontrato solo per mezz’ora la volta dell’intervista, senza aver manco fissato l’appuntamento in precedenza. E’ stato gentile a concedermela (ero l’unico giornalista italiano presente a Lubiana). Poi gli ho scritto due volte, senza ricever risposta alcuna; dunque se non interviene, ritengo sia a motivo di sua eventuale assenza da casa, non certo per snobismo o mala gestione della nostra lingua. E’ un tipo, mi pare di aver capito, che giustamente si prende i propri spazi liberi e non e’ telematicodipendente.

  70. Mi piacerebbe che venisse discusso questo passo del colloquio (domanda e parte della risposta):

    ”Una memoria storica corta. Significa che l’Italia vive una contemporaneità dalla quale non riesce ad uscire. O sbaglio?

    Io credo che questa sia solo teoria, perché anche l’Italia uscirà da questa contemporaneità; perché la contemporaneità è una cosa semplice che si sviluppa sempre in avanti. Non siamo mica in una tribú nella giungla.”

  71. Ciao a tutti! non intervengo ma vi leggo sempre con attenzione….davvero molto interessante, questo post… Una domanda soltanto, visto che si parla di “gialli”: ma il giornalismo è colpevole o innocente?
    …E’ facile dire ( lo faccio spesso anch’io) che la politica è quella che gli italiani si meritano, che il giornalismo è quello che gli italiani si meritano, che la scuola è quella che gli italiani si meritano ecc. – un bel alibi per le categorie su-citate ( anche se condivisibile), ma sappiamo anche che esistono persone, in questo paese, che probabilmente si “meritano” qualcosa di più, di meglio, magari soltanto un po’ di serietà e onestà intellettuale… loro, da chi sono rappresentati, informati,educati? Siamo sempre lì, la politica, il giornalismo(soprattutto quello televisivo) non propongono ma si adeguano, assecondano gli istinti spesso morbosi (non dimentichiamoci che c’è gente che aspetta le mutande autografate di Corona, che staziona davanti ai panfili – ormeggiati alle banchine – di qualche vip del menga, che fa a pugni per vedere la Franzoni uscire dal tribunale..ec..ecc.) e i gusti della “maggioranza”…così è molto più semplice no? e degli altri…chissenefrega…tanto loro in qualche modo s’arrangiano.

    P.S.Una decina di anni fa, quando un treno arrivava a destino si potevano riempire sacchi con ogni tipo di quotidiano ora al massimo resta qualcuno di quei giornaletti striminziti distribuiti gratis nelle stazioni dove sotto il titolo di un articolo troviamo al massimo un altro titolo: questo è vero approfondimento.

    Concordo comunque con molto di quello che è stato detto finora e ho apprezzato particolarmente quello che remo bassini ha scritto.

    Un saluto particolare a carlo, gea e miriam…e a massimo naturalmente.

  72. Mi piacerebbe che venisse discusso questo passo del colloquio (domanda e parte della risposta):

    ”Una memoria storica corta. Significa che l’Italia vive una contemporaneità dalla quale non riesce ad uscire. O sbaglio?

    Io credo che questa sia solo teoria, perché anche l’Italia uscirà da questa contemporaneità; perché la contemporaneità è una cosa semplice che si sviluppa sempre in avanti. Non siamo mica in una tribú nella giungla.”

    No, non concordo. Magari fossimo una tribù della giungla! Quella gente vive immersa nella natura, ne rispetta ritmi tempi e spazi. Leggi. Noi no. In un mondo sempre più virtuale, è più facile connettersi ad un pc e dimenticare la monnezza che ti sale fin sul pianerottolo. No, la contemporaneità non è lineare e non va sempre in avanti come le magnifiche sorti e progressive di cui ci parlava il carissimo Giacomo Leopardi – a giugno 110 anni dalla sua nascita. Un italiano vero, un intellettuale lucidissimo anche a 15 anni e nonostante malattie isolamento e ristrettezze. Vorrei proporre a Massi un dibattito sul mio carissimo conte Giacomo e su un’opera di cui non parla mai nessuno sui costumi degli Italiani… Massi? Se pò fa’?
    🙂
    Si può anche regredire. Si può stagnare in un pantano di malasanità, malgoverno, malascuola malagiustizia…
    La storia i suoi salti li fa. In avanti e all’indietro. Gira in tondo e s’incarta. Come le nostre vite. Come le nostre anime. Come le indagini di un poliziotto. Come le storie di uno scrittore.
    Buona notte, bacio a tutti…

  73. Purtroppo concordo con Maria Lucia anch’io: come si fa a sostenere il contrario? Solo aggiungo una speranza: abbiamo fede, gente! Uniamoci, amiamoci e miglioriamo le cose. E’ possibile. E’ un dovere, se vogliamo far figli e/o se vogliamo creare un’Italia migliore anche per i figli degli altri Italiani. Lottiamo rasoterra e nell’anima… volando e guardando a terra con lucidita’ ed amore. Lottiamo senza violenza e senza rabbia.

  74. Io credo anche all’editoria che sale ”dal basso”: un gruppo di persone che prima fa un’ass. cult. e che si autodistribuisce, per poi crescere e diventare un vero giornale o periodico che paga la gente e paga se stesso. e’ possibile. L’ho fatto – anche se e’ morto presto senza raggiungere i miei obiettivi a causa della mia miopia nello scegliere certi collaboratori vittimisti e rassegnati. Ma e’ possibile. Ora. Sempre.

  75. sergio sozi mi ha chiesto
    pensi sia possibile un giorno fondare un bisettimanale d’informazione dove la cultura sia in primo piano al posto della cronaca nera, che cosi’ verrebbe relegata in seconda o terza posizione, dopo magari lo spettacolo?
    sergio, ora come ora no.
    e probabilmente mai.
    la gente che si alza il mattino, dopo il caffè (e la sigarette se fuma come me) accende la radio o compra il giornale per leggere cos’è successo.
    storie di vita e di morte.
    e poi. ho fatto la tesi di laurea, io, basandomi (anche) sul giornale che ora dirigo.
    sul giornale che ora dirigo scrivevano scapigliati come fausto faldella e achille giovanni cagna (i loro libri, ristampati, sono in circolazione; Cagna piaceva a Gobetti e Gadda…).
    se ripenso a quei vecchi giornali penso che sia giusto che ci fosse tutto: le notizie dal fronte, le beghe comunali, gli spettacoli teatrali, i racconti in terza pagina.
    leggendolo, ho come rivisto la mia città, un secolo e più fa.
    oltre che sul mio giornale scrivo su testate varie (per esempio ho scritto su Fernandel, o su Stilos), quindi mi piace scrivere di libri e di cultura in genere.
    ma so che è vero quel che sanno gli editori (ed è triste): che le copie vendute di un libro non hanno un rapporto diretto con le recensioni.
    si pensi al Cacciatore di aquiloni. cominciò non dico a vendre ma a stravendere solo sulla base della passa parola (e di altro, certo: la distribuzione, la copertina…).
    io, come giornalista, ho iniziato a scrivere di cultura e penso che finirò la mia carriera a scrivere di cultura.
    ma so che i giornali di cultura sono un po’ come i pezzi di fondo: pensieri e non “cose concrete”; la gente, invece, ha fame e sete di notizie.
    le notizie, alla fin fine, sono le cose che succedono a noi o al nostro territorio di riferimento…
    buone cose

  76. @ Gianmario:
    SOLARIS !!! SOLARIS!!! SOLARIS!!!
    Forse più di 2001 Odissea nello spazio, entrambi straordinari e irripetibili: si parlavano fra loro, comunicando con noi! Arte!

  77. @ Sergio ed Enrico, dalle vostre risposte che collimano, devo dedurre che ancora una volta la realtà supererà la fantasia, considerando che oltre alla giustizia divina, ci sono e ci saranno uomini coraggiosi come Roberto Saviano, pronti a rischiare la propria vita per cercare di ripristinare una giustizia equa e quindi assoluta. Sergio, fra gli scrittori che risiedono a Trieste annoverei anche Giorgio Pressburger, pure lui è socio del P.E.N Club italiano ed è stato relatore di un Convegno organizzato a Firenze per sostenere gli scrittori detenuti, per aver contrastato con i propri articoli le dittature dei loro paesi. Per rimanere in carattere vi segnalo il sito della mia amica francese Carole, che dal 21 al 30 aprile 2008, ha allestito a Marsiglia, una mostra internazionale di artisti, dal titolo
    “I Figli di Ararat “, l’intento e di non far cadere nell’oblio il terribile eccidio degli armeni:- http://www.chiche.fr/ararat-it2.htm
    A proposito di cronache ed eventi allucinanti, bisognerebbe che i direttori dei quotidiani prendessero la buona abitudine di segnalare almeno una buona notizia al giorno…per non farci convivere con l’angoscia. A presto dunque.
    Tessy

  78. – Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna? (Massi).

    …Forse, e sempre prendendo col dovuto equilibrio ogni distinzione di genere, la tipologia di giallo che rispecchia meglio la società odierna è il noir.
    Perchè nel giallo classico l’azione, il delitto e il castigo, sono sempre frutto di mano umana, ed umana è anche la ricerca delle risposte. Non a caso s’impernia quasi sempre su una figura geniale di investigatore dotato di fiuto e personalissimo senso della vita.
    Nel noir invece il delitto, lo sviare, il vivere contro, è frutto naturale della società, nasce da essa e ne porta incisi su di sè tutti i connotati. Non è un caso che il noir descriva quasi sempre realtà metropolitane, e che in seno ad esse maturi l’abuso, l’omicidio, la truffa.
    C’è una soprprendente coincidenza nei noir tra la tipologia di reati che l’autore descrive e la società che li genera.
    Ricordo un bel romanzo di Carofiglio “Il passato è una terra straniera” dove i delitti commessi in escalation (gioco d’azzardo, spaccio, violenza sessuale) maturavano col crescere dell’incapacità di sentirsi parte di Bari, del suo tessuto urbano e buio, assiepato d’anfratti e costoni dirupati, tanto da dare l’impressione di una foresta a stento domata dalla mano dell’uomo.
    Sono proprio i reati che in tribunale definiamo “a sfondo sociale” legati alla vita di città e la cui percentuale cala in contesti agricoli o paesani.
    Il potere evocativo del noir, il suo senso “filosofico” nasce proprio da questo imprescindibile legame tra ambiente e azione umana.
    E non è un’invenzione letteraria. Credo che sia “nero” come i nostri tempi.

  79. Hai ragione da vendere sergio, il problema è la rassegnazione: pensare continuamente che nulla possa cambiare…l’idea che ognuno di noi non
    conti niente a me dà un fastidio enorme!
    Ciao Miriam, un saluto a te e al grande Tarkowskij.
    stefano

  80. Remo Bassini,
    grazie per la risposta, anche se io la vedo diversamente: peccato mi manchino i soldi; se stessi in Italia mi basterebbero cinque validi collaboratori e nel giro di cinque anni creerei una realta’ editoriale diversa, basata sulla cultura. La ”mia” prima pagina: Taglio alto: culturale, taglio medio: buone notizie, taglio basso: nera e politica. Diffusione nazionale… diecimila copie bastano per farsi uno stipendiuccio senza rincretinire il prossimo con gli omicidi. Sarebbe un successo.

  81. Noir, giallo, cronaca nera, di politica o di varietà, e più ce n’è e meglio va bene per il consumatore comune, già consumato prima di leggere qualcosa, tanto i più leggono per consumare il tempo con il quale non riescono a far di meglio, nemmeno per sé stesso, immaginare poi per gli altri.
    L’industria del consumo ci ha liberato dal pensare e dal prendere posizione, tanto ci sono sempre gli altri, dichiarati ed accettati da noi perché di mestiere, che lo fanno per noi e ci sollecitano a continuare così.
    Il risultato non importa, tanto si pensa che sarà sempre difficile cambiare qualcosa nel meglio.
    Così sembra la situazione generale in Italia. È una crisi drammatica, causata dall’ammorbamento dei costumi al confronto con le imposizioni dell’economia del profitto, ora del mercato globale, dalla difficoltà dell’italiano a emanciparsi e quindi liberarsi veramente dai precetti, impostigli nel corso dei secoli passati dalla chiesa cattolica romana, come da quelli dei suoi governanti.
    Credo, però, che un giorno riusciremo a svegliarci e rifare la nostra rivoluzione, spero senza l’uso della forza, che costringerà i responsabili alle necessarie riforme, da decenni auspicate, ma tenute sospese nell’aria per difendere il loro tornaconto.
    Una simile situazione esiste anche in Austria, dove i progetti delle riforme vengono tenuti nel cassetto, che viene riaperto durante il periodo delle elezioni, per poi richiuderlo di nuovo dai nuovi, o vecchi, eletti con un gran sospiro di sollievo.
    Ritornando ai gialli, tema di questa discussione, ritengo che un buon giallo, ma a dire il vero ogni romanzo, dovrebbe riferirsi, anche se solo indirettamente, ai conflitti esistenti nella società odierna e indicare il loro superamento.
    Con questo intendo suggerire che ogni mezzo di comunicazione dovrebbe fungere da educatore, insegnante, istruttore, consigliatore, di modo che l’utente ne tragga sempre e ovunque le migliori ispirazioni a una condotta benefica, per lui e la società alla quale appartiene.
    Un libro è per me importante, quando m’insegna come orientarmi nella mia vita; ho bisogno quindi sempre di esempi da considerare, esaminare e adattarli alle mie caratteristiche ed esigenze, senza seguirli integralmente.
    Caro Sergio, concordo con la tua risposta alla mia; una volta t’invierò una mia, riguardante la mia opinione sugli USA, ma anche sui Russi. Grazie per la risposta.
    Saluti a tutti.
    Lorenzo

  82. Simona
    mi`è piaciuta la tua osservazione. Profonda e veramente attinente ai problemi che dovrebbero essere presi meglio in considerazione, e affrontati con più intelligenza, addestratezza e mezzi finanziari.
    saluti,
    lorenzo

  83. Maria Teresa,
    Pressburger e’ un intellettuale in gamba. Un mio amico perugino – critico cinematografico di livello nazionale – ci ha lavorato assieme quando Pressburger era Assessore alla Cultura a Spoleto e me ne ha parlato sempre benissimo; io poi ho parlato con Pressburger qualche mese addietro telefonicamente per via di un minitour letterario che Veronika ha fatto in Italia con altri scrittori sloveni (c’erano da concordare alcune cose per la serata letteraria che venne poi realizzata al Salone del Libro di Torino). Interessante e’ anche il volume di racconti ”Storie dell’Ottavo Distretto”, scritto a quattro mani da Giorgio insieme al compianto suo fratello Nicola (e ristampato in collana dal giornale ”Il Piccolo” di Trieste).

  84. Simona,
    per fortuna piu’ della meta’ degli Italiani vive in citta’ di provincia. Comunque va anche detto che fortunatamente c’e’ molto ”colore”, molto gusto per l’iperbole e per l’esagerazione. In realta’ mica tutte le grandi citta’ italiane sono cosi ”giungloidi”. Si parla spesso di ”leggende metropolitane”, ingigantite, elefantizzate dalle penne di scrittori e giornalisti e dalle bocche di chi non ci vive o ci vive ma esagera le definizioni. Meglio cosi’.

  85. Caro Sergio,
    devo purtroppo smentirti. Il tribunale mi dà modo di osservare tutti i giorni che non si tratta di leggende metropolitane. Purtroppo le aule di udienza sono un triste osservatorio, rispetto al quale – posso assicurarti -persino l’invenzione letteraria scolora.
    Processi di abuso su minori a porte chiuse, omicidi, spaccio, usura, per me sono pane quotidiano. E la percentuale di delinquenza minorile è in vertiginoso aumento. Il tutto in una realtà come quella di Siracusa considerata “provinciale”, rispetto a Catania o a Palermo.
    E’ una giungla, in cui spesso sopravvive il più forte se non il più baciato dalla fortuna.

  86. “LE MONDE: DIPENDENTI IN SCIOPERO CONTRO IL PIANO DI RIASSETTO (Il Sole 24 Ore Radiocor) –
    Parigi, 14 apr – I dipendenti di ‘Le Monde” hanno scioperato oggi e il più prestigioso quotidiano di Francia non
    è in edicola. È la prima volta che accade dalla fondazione di ‘Le Monde” nel 1944, che i giornalisti scioperano
    per ragioni interne. La protesta è contro il piano di riassetto che prevede la soppressione di 130 posti di
    lavoro su 600, tra cui 85-90 giornalisti (un quarto della redazione). Nel 2007 il gruppo, che ha un
    indebitamento di 150 milioni, ha accusato perdite per 20 milioni”
    ps: è brutto il giornale o sono brutti i francesi? quando avevte deciso fatemi sapere.
    @ sergio: sii certo che se Le Monde avesse messo in prima pagina il ritrovamento di un incunabolo sloveno invece che il mostro di Marcinelle non avrebbe evitato la crisi.
    🙂

  87. Debiti per 150 milioni di euro non si fanno in un giorno! Le responsabilità saranno sicuramente molte e da suddivedere equamente, ma quando un giornale ha problemi così grandi, o chiude o si ristruttura: si ripensa in un altro modo, per riconquistare il mercato dei lettori. Frontiere nuove si stanno aprendo per tutti, oppure, anche alla luce dei nostri risultati elettorali diciamo, che la falda corre attorno al monte e molto velocemente. Dobbiamo imparare a guardare con occhi diversi.

  88. 1) Ritenete che il romanzo giallo sia particolarmente adatto a rispecchiare la società moderna?
    Si, da questo punto di vista ha avuto una funzione importante. ma che il romanzo giallo sia un po’ affaticato lo sostiene anche Carlo Lucarelli.
    2) Ritenete che le notizie dei giornali siano davvero così stereotipate come sostiene Heinichen (nell’intervista) ?
    Ovviamente non si può generalizzare. Dipende dai giornali, dai contesti, dai giornalisti. Io mi sento ottimista.
    Smile

  89. Secondo me esiste anche un pubblico che si e’ stufato di leggere solo l’interpretazione melodrammatico-decadente dei fatti del mondo. Un giornalismo meno distruttivo potrebbe avere successo, si’, magari pure dando risalto alla scoperta di un incunabolo, alle gare fra aquilonisti e ad altro. Visto che nel mondo succedono cose di tutti i colori, non capisco le tinte esclusivamente fosche dei titoli italiani (molto piu’ cupi di quelli francesi).

  90. @ Didò
    In controreplica al tuo commento di Domenica, 13 Aprile 2008 alle 11:11 pm

    1) Scrivi: “Il giallo/noir non è stanco, se gli autori non hanno idee non ne hanno in nessuna categoria”.
    – Secondo me non si tratta solo di una questione di idee, quanto piuttosto di un uso eccessivo dei soliti schemi e modelli. E te lo dice uno che ha pubblicato un giallo-noir-thriller.

    2) Scrivi: “Non è vero che si rischia lo stereotipo nei media,
    basta scavare, nei giornali, nella tv, gli esempi sono tanti”.
    – Se per diimostrare che non è vero che si rischia lo stereotipo nei media bisogna addirittura scavare nei giornali e in tv siamo proprio messi male, perché significherebbe che lo stereotipo è la normalità. Per fortuna non è così.

    3) Scrivi: “Internet? Maugeri, per adesso internet è dispersiva, intercetta i giovani, una buona parte di loro, ma gli adulti hanno difficoltà, il mezzo che li incatena è la tv, e l’Italia è vecchia”.
    – D’accordo solo in parte. Anche perché l’eta media dei frequentatori di questo blog non è poi così bassa.

    4) Scrivi: “La macchina da scrivere, obsoleta e spaccadita ti faceva ponderare di più la scrittura, una slow-word. Prima di mollare il pezzo ci si ragionava, oggi la velocità può far sbagliare”.
    – Non sono d’accordo. La videoscrittura è solo un mezzo. Chi non riusciva a ponderare prima non pondera nemmeno adesso e viceversa.
    Tu, per esempio, queste considerazioni le avresti scritte nello stesso modo sia con la macchina da scrivere che con il pc.
    🙂
    (scherzo, Didò)

  91. @ Enrico
    A questo punto, come fa notare Miriam, bisognerebbe chiedersi come mai un gruppo editoriale storico e importante come “Le Monde” sia riuscito ad accumulare debiti per 150 milioni di euro.
    Errori di gestione?
    Direzione fallimentare?
    Immagino di sì.
    Io credo che, tuttavia, c’entri anche la generale rivoluzione dei media… quella stessa che sta generando un ribasso dei numeri risultanti dai dati auditel (mi riferisco alla tv, ovviamente).

  92. Le Monde ha/aveva una aura un po’ vecchiotta e si rivolge a un target di francesi che forse sono in via di estinzione. Se vuoi sopravvivere devi cambiare insieme alle generazioni, oppure proporre qualcosa di nuovo che faccia tendenza. Il giornale La Stampa ha progressivamente perso: il formato (come tutti del resto, per motivi economici) gli elenchi di stato civile (non redditizi) la terza pagina (interessa a pochi e ci vogliono le firme) e inserisce sempre più pagine pubblicitarie a colori (le uniche che rendono). Tuttolibri sta diventando una rassegna senza sugo, con presentazioni omologate che hanno perso il gusto salutare della critica.
    A mio parere ci vogliono scossoni, a partire dalle scuole, elementari, dove bisogna tornare a insegnare il gusto di leggere e scrivere e… fermarsi a pensare

  93. Miriam
    Mi viene da fare alcune osservazioni sulla tua affermazione, relativa a un grande giornale francese in crisi, che dovrebbe chiudere o ristrutturarsi nel caso abbia grandi problemi economici.
    Un concetto logico nel mercato del profitto, ma molti si chiedono già, che senso abbia lavorare per prevalere sempre sugli altri. Non raramente ne va a scapito di ciò che si produce, che, per conseguire il profitto richiesto, diventa una sofisticazione di ciò che dovrebbe rappresentare la necessità, l’utilità, come la verità con riguardo al lavoro svolto dal giornale.
    Quando ci si accorge che il nostro modo di vivere, dettato dal sistema economico in vigore, sta in contrasto con quello che ci renderebbe più sereni, soddisfatti, e liberi a svolgere attività più riflettenti i nostri bisogni naturali, allora è giusto chiederci nuove soluzioni.
    Il vecchio sistema è già stato provato e riprovato, sarebbe giusto tentare con altri che garantiscano più giustizia, legalità e solidarietà generale.
    Per lo meno si dovrebbe correggere l’attuale con norme che difendano meglio i principi morali ed etici che, come sappiamo, sono i capisaldi della società moderna evoluta.
    La globalizzazione dei mercati è un processo richiesto dall’economia del profitto, i cittadini del globo non sono stati preparati a sostenere i rischi che una tale manovra globale contiene.
    Negli ultimi sessanta anni siamo stati abituati a vincere sugli altri. Abbiamo vinto perché non ci siamo chiesti i motivi della nostra vittoria, che era lo sfruttamento delle masse umane senza istruzione e quindi riconoscimento alcuno.
    Ciò che più mi disturba nella competizione generale in corso, è che una casta di scaltri privilegiati si comportano come i nobili del passato e si arricchiscono a scapito dei lavoratori comuni.
    La globalizzazione è un processo necessario, ma abbisogna di norme, chiare e severe, che tutelino lo sfruttamento dei meno abbietti.
    Per il momento, sono solo loro i perdenti e giustamente protestano.
    Saluti
    Lorenzo
    Vale anche per te, qualora tu avessi intenzione di visitare Vienna, fammelo sapere.

  94. Scusate se vado un attimo FUORI ARGOMENTO.
    Vorrei segnalare, a chi leggesse lo SLOVENO, che uscira’ fra pochi giorni la traduzione slovena di ”Nuova grammatica finlandese” di Diego Marani (in Italia: Bompiani 2000; in Slovenia, Modrijan 2008). Io ho scritto la postfazione all’edizione lubianese; la traduzione del romanzo e’ di Veronika Simoniti.

  95. Simona,
    scusami avevo dimenticato di risponderti. Lo faccio ora. Certo, il crimine, lo squilibrio morale e la pazzia dilagano in Italia – tu mi parli di Siracusa usando delle fosche tinte che non conoscevo per la tua citta’. Ma va altresi’ detto che tutti noi siamo tenuti fuori dagli eventi positivi – o dai ”non eventi”, ovvero gli argomenti diversi dai delitti – dalle macabre titolazioni dei giornali. Danno risalto solo alle brutture… non sara’ il caso di parlare anche d’altro, senza nascondere niente, certo, ma variando un po’ la lugubre minestra massmediatica che alla lunga stanca e imbruttisce ancora di piu’ l’Italia? I pittori hanno una tavolozza intera di colori che da’ loro il mondo: perche’ appiattirsi sulle tinte funeree o fredde?
    Ciao, cara
    Sergio

  96. … Non sara’, Simona, che ‘sta cronaca nera e ‘sti litigi fra politici ci abbiano un po’ stancato? Proviamo dunque a raccontare la realta’ con la varieta’ di toni e di sentimenti che la contraddistingue.

  97. …che, forse, amore, nascita, bellezza, arte, Natura, Dio, tenerezza, umilta’, mansuetudine, tranquillita’ d’animo, speranza, gioia, gioco, sono veramente scomparsi, morti? La gioia deve star fuori dalla vita collettiva? E’ scandaloso parlarne, vero… oggi. Allora parliamone, Simona.

  98. Caro Sergio,
    non solo la nascita, l’amore, l’umiltà, la gioia non devono uscire dalla vita collettiva, ma devono controbilanciare i mali oscuri che la dominano. Volevo solo dire che i noir attingono dalla verità, purtroppo , e non da un’invenzione letteraria.
    Anche in essi, però, c’è spesso un finale consolatorio, che infondo suggerisce speranza e fiducia pur senza nascondersi l’immanenza della violenza e dell’abuso nella realtà umana.

  99. Preferisco i gialli-comico-poetici. Li ho inventati io, dopotutto… (eh! eh! eh!)
    Ciaobbella
    Sergio
    P.S.
    Uno dei miei folleggiamenti l’ho fatto avere anche ad Heinichen, al quale e’ piaciuto. Si e’ divertito molto, ha scritto. E ci credo: con tutti ‘sti morti sulla coscienza, vorrei vedere che non si divertisse con quel baccala’ di Euterpe Santonastasio!

  100. Veit Heinichen mi ha appena scritto, scusandosi perche’ purtroppo, essendo indaffaratissimo, non potra’ intervenire su Letteratitudine. Non commento ma riferisco.
    Sergio Sozi

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