Ottobre 13, 2024

116 thoughts on “STRANE COPPIE n. 3: ANNA MARIA ORTESE, INGEBORG BACHMANN

  1. E proprio dalla lettura della relazione di Haas mi sono venute in mente un paio di domande che vi rivolgo nella speranza di riuscire ad avviare una discussione “collaterale” a quella connessa alla figura delle due scrittrici…

  2. Haas scrive che in ambedue le opere qui considerate una voce femminile esprime il dolore del mondo.
    Allora vi domando:
    Secondo voi le voci femminili, nella scrittura, riescono a esprimere meglio il dolore del mondo?

  3. Dalla lettura della suddetta relazione emerge, poi, la grande stima della Ortese nei confronti della Bachmann. Un stima immensa, che – al tempo stesso, come capirete leggendo – è indice di una grandissima umiltà.
    Così vi domando…

  4. grazie per questo post. la ortese è una delle mie scrittrici preferite. lo leggerò con attenzione e interverrò in questi giorni

  5. Sì, per me le voci femminili, nella scrittura , riescono a esprimere meglio il dolore del mondo.Ma non tanto per la forma e lo stile , quanto per i contenuti.

  6. @Massimo carissimo, ho letto le intense e splendide relazioni di Antonella Cilento e Franz Haas.
    Scriverò un frammento di quando l’esordiente Anna Maria Ortese, si distinse per la sua prosa raffinata con l’opera ” Il mare non bagna Napoli”. E nel lontano 1953, le fu assegnato un Premio Speciale, al Viareggio – Répaci.
    Ecco le sue immediate impressioni:-” L’avviso, un foglietto grigio piegato in quattro, stava nascosto dietro il calamaio.” –
    ” Avviso di conversazione. La S.V. è invitata a recarsi presso questo ufficio per una conversazione telefonica richiesta da Viareggio per le ore 18,30 del 21.8.” – “Se ricordo queste parole con tanta esattezza significa che il rombo con cui riempirono la mia mente fu enorme.
    Da quel momento tutto fu movimento,luce, febbre, gioia. Mi ricordo la notte in treno, quel riposo nel moto, quella calma nella stanchezza:
    quel rifare i conti della propria vita, adagio, quel vedere che tornano, che la bilancia è risalita.”
    (da Storie del Viareggio- Mauro Pagliai Editore, di Gabriella Sobrino)
    Commovente vero Massimo? Chi di noi non ha provato un simile
    tremore? Spero, come mi scriveva Gabriella in una lettera, che
    ” il pezzullo” ti sia piaciuto. Un abbraccio festoso.
    Tessy

  7. La Bachmann mi piace molto. Invito tutti ad approfondirne la conoscenza.
    Ottimo post.

  8. Lascio uno scritto della Bachmann per contribuire a farla conoscere.
    ***
    In Biographisches, scrive:

    “Ho trascorso la mia gioventù in Carinzia, nel sud, al confine, in una valle che ha due nomi: uno in tedesco e uno in sloveno. La casa in cui i miei antenati – austriaci e sloveni – hanno vissuto per molte generazioni reca tuttora un nome straniero. Così, si può parlare di due confini, non di uno; il secondo è quello linguistico, e io ero di casa sia di qua che al di là della linea di demarcazione, insieme alle storie di spiriti buoni e di spiriti cattivi di due… anzi: di tre Paesi; perché al di là delle montagne, a un’ora di strada, comincia l’Italia.
    Credo che la ristrettezza di questa valle e la consapevolezza del confine onnipresente mi abbiano trasmesso la nostalgia per il mondo. […] E il fatto che io più tardi sia stata a Parigi e a Londra, in Germania e in Italia, significa ben poco, poiché nei miei ricordi il tragitto più lungo rimane quello che dalla mia valle natìa porta a Vienna. […] Rimane la domanda degli influssi e dei modelli, dell’ambiente letterario in cui uno si sente a casa propria. – Per diversi anni lessi di tutto; dei poeti moderni prediligevo principalmente Gide, Valéry, Eluard e Yeats, e di sicuro ho imparato parecchio da loro. In fondo, però, sono ancora soggiogata dalla dimensione fantastica e piena di miti della mia patria, che è un pezzo di Austria concretizzata solo in parte, un mondo in cui si parlano svariate lingue e tagliato da molti confini.
    Scrivere poesie è per me l’impresa più ardua, in quanto si devono risolvere i problemi di forma, tematici e di lingua. Le poesie obbediscono ai ritmi del tempo, ma devono ugualmente mettere ordine, nel nostro cuore, all’insieme di cose nuove e antiche che comprendono passato, presente e futuro.”
    ***
    (Biographisches, pag. 301 e segg. Scritto tra il maggio e il settembre 1952)

  9. Ho apprezzato in particolare il post di M.Teresa Santalucia Scibona.
    Vorrei chiederle se ha dunque avuto modo di conoscere e parlare con la Ortese e se ha qualche aneddoto da riferire.

  10. grande la ortese!!!! prometto di leggere la bachmann, che non conosco.
    c’è una sua bella citazione sulla lettura che ho visto da qualche parte. se la trovo, ve la scrivo.

  11. eccola, l’ho trovata.
    “Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive e legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando – per ragioni pratiche – è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. È un povero, e rende la vita più povera. (Anna Maria Ortese, da un’intervista del 1977, ora in “Corpo Celeste”, Adelphi, 1997)”

  12. Non ho letto la Bachmann. La Ortese la adoro, non solo per la sua scrittura ma in toto per il suo modo di essere, fuori dalle congreghe e dalle mode (che pure le avrebbero fatto comodo). “Una zingara assorta in un sogno” come ebbe a definirla Vittorini. La considero una delle più grandi scrittrici in assoluto per le sue capacità di spaziare, di portare la narrazione oltre ogni confine, quasi a livello di allucinazione, che va ancora oltre la favolistica. Come tanti grandi è morta in disgrazia, sostenuta dalla legge Bacchelli. Un grazie a Calasso per averla riproposta.
    @Massimuccio. Un esempio di artista umile? Guarda me.

  13. concordo con salvo zappulla. è triste che un’artista come la ortese sia sopravvissuta grazie alla bacchelli

  14. @Grazie Letizia. Pensa anche alla fine che ha fatto Bassani, D’arrigo, Emilio salgari e tanti altri ancora. I grandi spiriti non pensano a curare la loro immagine e le loro finanze. Devo cominciare a batter cassa al titolare del sito per le collaborazioni.

  15. La Bachmann è anche un’ottima poetessa.
    Ecco un esempio:
    DIRE COSE OSCURE

    Come Orfeo, io canto
    la morte sulle corde della vita,
    e nella bellezza della Terra,
    e dei tuoi occhi che rispecchiano il cielo,
    so dire solo cose oscure.

    Non scordare che anche tu
    quel mattino, quando il tuo giaciglio
    era umido di rugiada e il garofano
    ti dormiva sul cuore, vedesti d’un tratto
    il fiume scuro,
    che vicino ti passò.

    Con la corda del silenzio
    tesa sull’onda del sangue,
    afferrai il tuo cuore sonante.
    I tuoi riccioli si trasformarono
    nel crine d’ombra della notte,
    e fiocchi neri d’oscurità
    ti nevicarono sul volto.

    E io non ti appartengo.
    Ora piangiamo entrambi.

    Ma, come Orfeo, conosco
    la vita sulla corda dell’amore,
    e colgo il blu
    del tuo occhio chiuso per sempre.

  16. salvo, secondo me il titolare del sito è messo male. sempre con la stessa camicia! 🙂

  17. Non è la stessa camicia, si fece rifilare da un rappresentante di passaggio una fornitura di 200 pezzi di camicie celesti. E le deve consumare.

  18. Provo a rispondere alle domande: secondo voi le voci femminili, nella scrittura, riescono a esprimere meglio il dolore del mondo?
    No. Non credo che ci sia differenza tra voce maschile e femminile nella scrittura. Non in quel senso, secondo me.

  19. che relazione c’è tra arte e umiltà?
    La grandezza di un artista può essere collegata alla sua umiltà?
    Io credo che la grandezza di un uomo e di una donna dipendano anche dal grado di umiltà. Chi è grande, chi è davvero grande, sa che filtrare la propria vita con l’umiltà è un atto di crescita. Questo vale per tutti, anche per gli artisti e per l’arte. Ovviamente in un contesto in cui tutto è apparenza ed esibizionismo di umili non se ne vedono tantissimi in giro.

  20. Non ho letto nè la Ortese, nè la Bachmann. Spero di riuscire a rimediare. Però le parole che la Ortese ha speso per la collega austriaca,lette in questa relazione di Hass, sono davvero belle e lasciano presagire che la Ortese è stata una grande donna prima ancora di essere stata una grande scrittrice.

  21. Complimenti a Massimo per la scelta di questo argormento e ad Antonella Cilento per la sua sensibilita’.
    Adoro sia la Bachmann che la Ortese. Sto moderando il forum letterario Flannery su “Il cielo e’ dei violenti” (grazie agli amici che sono gia’ intervenuti su: http://flannery.blog.kataweb.it) e il tempo a mia disposizione e’ veramente poco, ma non potevo certo mancare di fare un salto sulla fantastica Letteratitudine per dire un paio di cose.
    Per rispondere a Massimo: sì, le voci femminili sanno raccontare il dolore del mondo, ma non so so se più o meglio degli autori maschi. Comunque nelle donne ci sono delle antenne ricettive molto forti, sanno raccontare il dolore del mondo perche’ sanno incarnarlo, farlo proprio con ogni fibra del proprio essere. E restituirlo purificato.
    In modo particolare la Ortese e la Bachmann, due grandi donne fedeli all’invisibile…

  22. Anch’io credo, come scrive Giulia, che ‘l’umiltà , negli uomini comuni, è un atto di crescita’, chi raggiunge l’umiltà, ha raggiunto la propria infinitesimale dimensione, e la giusta ottica. Questo è ancor più vero per i ‘grandi’, compresi gli artisti.
    Non credo, invece, che vi sia differenza tra voce maschile e femminile nell’esprimere il dolore di questo mondo, non, almeno, tra chi ha raggiunto così elevati gradi di sensibilità da sfiorare l’arte.
    Un grazie a Giulia, che non conosco, ma di cui ho condiviso i pensieri per un attimo.
    E, soprattutto, un ‘grazie ad Antonella’, per i suoi numerosi, costanti, vivacissimi, stimoli di riflessione e dibattito che sono sempre una grande ricchezza! Aggiungerò questi due testi alla lunga lista di testi consigliati da leggere.

  23. Non conosco la Bachmann, ma la poesia inserita da Amelia Corsi è davvero bella. Conosco invece la Ortese per aver letto Il cardillo addolorato e altre cose. Vorrei dire di più, ma sono a caccia di notizie strane (lo sapevate che i Beatles ora sono anche un videogioco?: http://strangenews.splinder.com/ ringrazio gli amici che interverranno per esprimere le loro opinioni).
    Secondo me ci sono voci che sanno raccontare il dolore del mondo a prescindere dal sesso, non importa se maschili o femminili.
    Perdona la mancanza di stile, Maugeri. Ma se lo fa la Di Lorenzo, lo faccio anche mi 🙂

  24. Il dolore non ha sesso, appartiene agli esseri viventi e in particolar modo alle persone più sensibili, quelle che assorbono con maggiore violenza gli eventi traumatici. Non tutti sono capaci di tirarlo fuori attraverso un’opera scritta o una tela da dipingere (Munch c’è riuscito in maniera superlativa) o in qualsiasi altra maniera, e sono costretti a tenerlo dentro, imploso, a macerarsi, a espandersi come una metastasi fino ad annientare.

  25. Massimo, prima di leggere il post sulle due scrittrici scrivo due righe sull’umiltà degli artisti: mi sembra proprio una “conditio sine qua non”…
    Non che i veri artisti non abbiano coscienza della loro arte, ma non la mostrano, non ne parlano. Basta guardare e ascoltare un’intervista a Ingmar Bergman, per averne un esempio; oppure un’intervista a Vanessa Redgrave: mai dalla loro bocca escono espressioni quali: ” la mia arte…. io sono un artista…”. Prova, invece, ad ascoltare le interviste a giovani attori famosi dei nostri giorni…… Parlando di se stessi dicono sempre: “noi artisti…” e l’espressione stessa ne nega la verità.

  26. Ho conosciuto Franz Haas molti anni fa attraverso comuni amici (conoscevo sua moglie fin da quando si era ragazzini) ed ebbi modo di apprezzare una persona di una grande simpatia, una profonda cultura, una gentilezza squisita. Mi fa un enorme piacere trovare qui un suo scritto e su due scrittrici immense, e poi scoprire che lui ha avuto con la Ortese una frequentazione assidua, e una fitta corrispondenza letteraria.
    Il ritratto che ne viene fuori dall’articolo qui pubblicato, ma anche da questo:
    http://insonnoeinveglia.splinder.com/tag/franz+haas
    è quello di una persona di una grande umiltà, capace di affidarsi con cieca fiducia a un ragazzo, molto più giovane di lei, e ringraziarlo per averle fatto scoprire la Bachman e Gadda. Gustoso invece, come contraltare, l’aneddoto dell’incontro al Caffè Greco con Sartre e la Beauvoir, che la trattarono con freddezza “ferendola molto”.
    Essere grandi scrittori e possedere anche una grande umiltà ed umanità (e saperla praticare) credo sia una grande qualità. Ma non poi così diffusa, se ogni volta che la incontriamo un po’ ce ne stupiamo.

  27. x maria di lorenzo e strangenews
    attenti che chi di autopromozione ferisce, di autopromozione perisce 🙂

  28. Pongo una domanda a tutti: cosa ne pensate della solidarietà mostrata dalla Ortese a Priebke? E’ stato un atto di superficialità? O un atto di grande umanità?

    Coraggio, si vincono 500 euro.

  29. A Salvo rispondo che non lo so. Lo sapeva la Ortese, forse, e io non mi sento un giudice di alcuno, tanto più alle intenzioni.
    (Ho vinto?)

  30. @Salvo
    Caro Salvo, prima di andar via ti scrivo: se è vero ciò che scrivi, hai fatto bene a dire della “solidarietà” a Priebke; per me questo già sancisce che non ho intenzione occupare il mio tempo a leggere di questa scrittrice. Mi fa inorridire.
    Chiedo scusa per la franchezza.

  31. Ps: come può essere “un atto di umanità” la solidarietà a un nazista?
    E’ un atto che è in contraddizione con il concetto stesso di “umanità”.

  32. L’umiltà passa dalla verità e la verità passa dal dolore.
    Per questo lo scrittore deve essere umile. Per questo Anna Maria Ortese lo era. Perchè chi scrive cerca la verità. Su se stesso.
    Ce ne fa uno struggente ritratto la scrittrice Adelia Battista che per Minimum fax propose, l’anno scorso, “Ortese segreta”.
    Un’Ortese conosciuta personalmente dall’autrice (in occasione della redazione della propria tesi di laurea) e colta tra sacchi della spesa e infinite bozze da correggere. Spersa a sorseggiare una solitudine che era dimensione e abbandono. Convinta – fino in fondo – che chi scrive non può che partecipare all’infinita compassione del mondo ( per il mondo) , al destino degli ultimi, dei diversi, degli sfollati.
    Chi è poi, lo scrittore, se non uno sfollato con bagagli sempre disfatti, un viaggiatore in sè e fuori di sè, un inesausto consolatore, un ossessionato amante dell’uomo.
    Scrive infatti la Ortese che la letteratura è “dono di sé, ispirazione malinconica, scrittura allusiva, turbamento per tutte le tristezze terrene”.
    Ma è soprattutto affinità con l’invisibile, e con il limite di dirlo, è condivisione segreta e misteriosa con un palpito stellare e alto,
    soprattutto quando è scrittura come respiro, tirata su a pieni polmoni. Soprattutto quando attinge a quel varco che ostinatamente ci restituisce ciò che sta oltre le cose. E che chiamiamo anima.
    Ecco. La scrittura non è che questo.
    Noi, poveri noi, poveri tutti in questo assedio, in questo abbandono stanco e perplesso. Mai veramente capito, che è la nostra vita.
    Non resta che l’invenzione e un refolo di struggente penetrazione, non resta che uno sguardo flebile e trasognato come quello del cardillo, o di chiunque canti per amore. Sapendo, però, che questo amore e la sua memoria sono sfuggenti e inarrivati, sono venti che sfiorano e che il mattino disperde anche sulla carta…
    D’altra parte, scrive ancora Anna: “Rievocare i paesaggi del passato non si può, diremo che Dio non vuole; vi è in essi alcunché dell’Eden consentito all’uomo una volta sola”.

  33. A Roberta vorrei dire che sbaglia, e molto. Cade in un difetto che purtroppo è molto comune: non sa nè il perchè nè il percome, ma le basta un brevissimo spunto, riportato telegraficamente da altri, per esprimere un giudizio, netto e definitivo. Senza indagare il contesto, senza cercare di capire , senza che la cosa la incuriosisca (e come se tutto ciò bastasse…). Quasi che avesse lei commesso i crimini di Priebke. E per questo decide che la Ortese non la leggerà mai.
    OK, non lo fare, Roberta. Ma non sai cosa ti perdi…

  34. @Carlo
    Sono andata a “documentarmi”, anche se velocemente, perché mi dispiaceva sentire che una scrittrice potesse non aver preso le distanze da un nazista ( e apposta non scrivo “ex-nazizta”, perché non lo era, un ex, fino all’ultimo). Poi ho letto un pezzetto dell’articolo+ commenti sul Corriere della Sera, in risposta alla “difesa” della Ortese. Se Massimo mi autorizza, si può mettere il link.
    Intanto la scrittrice aveva già 82 anni. E questo vuol dire ( se non altro che stava pensando che quando uno è vecchio è anche innocuo. Già, poverino..).
    Certo, non si può giudicare uno scrittore a partire da quella sua presa di posizione infelice. Ho letto un commento di Pietro Citati alla sua scrittura. E di Citati mi fido.
    Non saprei. Magari lei, la Ortense, non se ne fa nulla della mia lettura.
    Ma di questi tempi, tutto ciò che non prende le distanze da nazismo e dintorni mi sembra insopportabile.
    Lei ha scritto che “Priebke era come un povero lupo ferito” o qualcosa del genere. Qualcuno le ha risposto che paragonare un lupo a Priebke non andava nemmeno tanto bene ( dico per rispetto ai lupi, ovviamente).
    Bisogna leggere l’articolo della Ortense, per capire meglio il suo pensiero. Poi si vedrà.
    Ciao, grazie, comunque.

  35. Cara rob,stavo giusto per scriverti che mi sembra abbastanza riduttivo giudicare e liquidare una delle più grandi scrittrici del novecento italiano come la Ortese per una polemica nata da una frase estrapolata dal contesto di una lettera che lei scrisse a 82 anni,dove a mio modesto parere,voleva dare un suo significato di giustizia,che per quanto discutibile,guardava non all’ideologia nè alle colpe storiche,ma all’uomo affermando che “civilta’ e’ ridare speranza ai perdenti “,indicando nei perdenti soprattutto coloro che hanno sbagliano.Non voglio entrare nel merito della polemica ampiamente discussa in passato da personaggi più competenti di me,ma confido nella tua sensibilità di donna e di amante della letteratura per non privarti della lettura di una apprezzatissima e complessa autrice della nostra letteratura,fra l’altro stimata e amata anche da Pasolini.Se non hai mai letto le pagine forti e visionarie della Ortese,la sua capacità descrittiva cruda del dolore e della solitudine,la ricchezza delle immagini,io ti consiglio di mettere da parte il pensiero delle polemiche ideologiche per un attimo e cominciare da “Il mare non bagna Napoli” in cui ci sono racconti molto suggestivi e interessanti.Sono sicura che dopo avrai la tua idea della scrittura della autrice e avrai arricchito la tua già grande curiosità letteraria con un elemento imprescindibile della cultura italiana.
    un abbraccio

  36. Carlo come vedi abbiamo pensato,per fortuna,per amore della buona letteratura di dire le medesime cose alla nostra Roberta,ne sono felice.

  37. Prima che mi dimentichi…
    ne approfitto per ricordare che il prossimo appuntamento de “Le strane coppie” sarà giovedì 11 giugno h 18.30 all’Institut Français de Naples, con RITRATTI DI DONNA, dove Sandra Petrignani e Donatella Trotta racconteranno Claudine di Colette e Il paese di Cuccagna di Matilde Serao.

  38. E anticipo che, molto presto, Antonella Cilento sarà protagonista di un ulteriore post dove discuteremo insieme a lei del suo nuovo romanzo “Isole senza mare” (Guanda).

  39. Mi piacerebbe replicare a tutti i vostri commenti, ma – data l’ora – ne “riprenderò” solo qualcuno.
    Prima, però, vi ringrazio tutti per i vostri interventi: Letizia, Angela, Tessy, Filippo Ranno, Maria Citelli, Aldo, Salvo, Amelia, Giulia, Marina, Roberta, Carlo, Simona, Francesca Giulia.

    Grazie anche a Maria Di Lorenzo e Strangenews, generosi di link:-)

  40. @ Carlo
    Mi fa piacere che tu abbia conosciuto Franz Haas. Vediamo se riesco a portarlo qui (on line, intendo).
    Poi, scrivi: “Essere grandi scrittori e possedere anche una grande umiltà ed umanità (e saperla praticare) credo sia una grande qualità. Ma non poi così diffusa, se ogni volta che la incontriamo un po’ ce ne stupiamo”.
    Concordo, amico mio.

  41. @ Simona
    Bellissimo commento, il tuo. Grazie. Lo condivido in pieno.
    Anch’io avevo pensato ad Adelia Battista e al suo “Ortese segreta” (Minimum Fax). Domani la chiamo e le chiedo di intervenire (anche se – come sai – Adelia non ha molta dimestichezza con Internet).

  42. @ Salvo, Roberta, Carlo, Francesca Giulia
    Confesso di non essere molto informato sulle dichiarazioni della Ortese sul caso Priebke, dunque non mi pronuncio.
    Roberta, lascia pure il link…
    In ogni caso, stiamo parlando di una grandissima scrittrice. Su questo non ci sono dubbi.

  43. A proposito di arte e umiltà, vorrei riproporre questa frase che la Ortese scrisse ad Haas in merito ai libri della Bachmann:
    Quando l’ho letta, ho sentito tutti i miei limiti. Ma senza umiliazione. (Di tutti i miei libri, Lei lo sa, ne considero uno solo. Un solo libro ho scritto, e il resto è così così.)

  44. L’umiltà è un valore legato alla grandezza dell’animo umano. Un artista dal grande animo non può che essere umile e pensare alla propria arte come un dono di sé offerto agli altri. Purtroppo, molto spesso, prevale la sterile ostentazione di sé. Segno che i grandi artisti non sono poi tanti.

  45. Alla fine del mio romanzo “Alla corte del nonno masticando liquirizia”nel ringraziare scrivo”Ringrazio i professori che ho avuto nella vita. Mi hanno fatto capire che la via della conoscenza è segnata dalla virtù dell’umiltà”.
    Io non so se sono una persona umile e non credo di esserlo però posso affermare con sicurezza che scrivere è un cammino che ti fa scoprire cosa sia l’umiltà. Se non ti “rimpicciolisci” fino ad annientarti l’universo non entra in te, nè nelle creature che incontri “strada scrivendo”.Se non ti commuovi per il loro destino, se non le ami nel loro egoismo e nella loro cattiveria restano anime sconosciute, ossute che si parano davanti ti ossificano. Per me nello scrivere è come nella vita senza l’umiltà il cuore resta muto non conosce mai l’amore, vive una perenne ed inspiegabile solitudine.
    La cosa più difficile è capire e definire “l’umiltà”.
    Nel “fare”, nel desiderare siamo trascinati a sottometterci alla tirannia di scontri di potere, ma nel pensiero e nell’aspirazione siamo liberi da tutto ciò, liberi dalla costruzione meschina del potere di questo pianeta.Fino a quando mi indigno non sono libero e fino a quando non sono libero non sono umile perchè mi ribello e la ribellione è arroganza.
    Premesso questo ritengo che non possa esserci differenza tra scrittura femminile e scrittura maschile nell’esprimere il dolore. Tuttavia personalmente mi tocca le corde del cuore più il dolore maschile che quello femminile. Il dolore dell’uomo è muto, profondo, virile sa di universilità, è senza lacrime:è il dolore. Ho davanti il nostro indimenticabile Voitila.

  46. Credo alla scrittura di alcune donne come a una forma di approfondimento istintivo e naturale della realtà. Non è l’unico modo, ma sicuramente a me è congeniale. Cerco questo nei libri. Una storia ma anche uno spaccato sociale, psicologico, esistenziale. Non amo la letteratura di intrattenimento, che per questioni numeriche, credo, è soprattutto condotta (a volte magistralmente) dagli scrittori maschi. Ma questo è generalizzare. Quanto alla modestia e all’umiltà non sempre è un dono dei grandi. Ne abbiamo avuti di presuntuosi che hanno segnato la storia della letteratura, senza nulla togliere, con il loro pessimo modo di essere persone, alla grandezza delle loro pagine. meglio sarebbe leggere e non domandarsi chi ha scritto.
    questa è la scusa per madarti un saluto caro Massimo!
    un abbraccio
    Elisabetta

  47. cara mela mondi, perché dici che il dolore dell’uomo è senza lacrime? io non sono molto d’accordo. non pensi che sia un po’ un luogo comune? ci sono donne le cui lacrime sono state seccate dall’asprezza della vita, e uomini che sanno piangere senza vergognarsi. ma c’è vergogna nelle lacrime? ciao

  48. @ Mela Mondi che dice (giustamente) che la cosa più difficile da definire è l’umiltà, vorrei proporre la definizione di Santa Teresa di Lisieux, dottore della chiesa.
    Per Teresina l’umiltà è, sì “convinzione del proprio nulla”, ma anche abbandono fiducioso nelle mani del Padre. La fiducia nell’Altro prende il sopravvento su quella disistima che porta alla pusillanimità e non all’umiltà cristiana. Il vero modo di umiliarsi sta nel “sopportare con dolcezza le nostre imperfezioni”, rimanendo nella pace, perché amati da Dio.

    E’ bello ricordare – in assoluta aderenza al cardillo di Anna Maria Ortese – che il simbolo con il quale Teresa descrive il suo concetto d’umiltà è “l’uccellino” che, pur consapevole della propria debolezza, ardisce confrontarsi con le “aquile”, perché ha, con loro, la medesima meta: il sole = Dio (MA 261-264).

    Amare Dio con umiltà è lasciarci amare da Lui, così come siamo, con le nostre debolezze e miserie. “Quello che piace a Dio è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la SPERANZA cieca che ho nella sua misericordia. Ecco il mio solo tesoro”.

  49. Il cardillo addolorato
    ************
    Romanzo organizzato in cinquanta capitoli divisi in sette parti, “Il cardillo addolorato” è il pannello centrale del trittico del fantastico, delle “bestie – angelo”, che include “L’iguana” e “Alonso e i visionari”. Favola metafisica d’ambientazione vagamente storica (siamo in una Napoli di fine Settecento), l’opera è animata da una pluralità di voci e di personaggi le cui vicende si svolgono in una dimensione onirica tale da fondere i momenti reali e quelli sognati. I punti di vista del racconto sono molteplici e si sovrappongono in una struttura narrativa complessa che poggia su una lingua letteraria elegante, appena connotata d’elementi dialettali.
    Un gruppo di viaggiatori “di genere fantastico, viaggiatori nelle nuvole” giunge da Liegi nella città partenopea, “la città dal golfo fatato”: il principe Ingmar Neville, uomo dal carattere duro e malinconico, principale protagonista della storia; lo scultore Albert Duprè; il commerciante Alphonse Nidier. I tre stranieri sono ospiti del guantaio di Santa Lucia, don Mariano Civile, la cui famiglia ha una storia misteriosa. La figlia Elmina nasconde un segreto legato al ricordo di un uccellino morto a causa sua. Il cardillo Dodò era la passione di Floridia, sorella di Elminia che, da bambina, per farle dispetto, l’aveva lasciato morire. Per il dolore, la piccola Floridia morì ed Elminia diventò fredda e ruvida “come una pietra”. La giovane risveglia nel principe sentimenti contrastanti: egli è consapevole che la sua bellezza cela “un mistero non buono” e tenta di opporsi al matrimonio della ragazza col suo giovane amico scultore che se ne è subito invaghito. Gli sforzi di Neville saranno vani e i due giovani sposi convoleranno a nozze senza amore. Il contegno di Elminia sarà sempre più strano, come “una giovane capra” la donna non fingerà nemmeno di amare il marito. Taciturna e cupa, ossessionata dalla presenza – assenza del cardillo, entità fantastica che diventa “padrone malinconico” delle vite dei personaggi, la donna causerà anche la morte del figlio Alì Babà per “l’orrore di ombre” che infligge al piccolo. Dopo molti anni, il principe di Neville farà ritorno a Napoli dove troverà Elminia vedova, provata dalla solitudine e dall’indigenza, che si aggira tra i vicoli di Napoli “luogo di pena” insieme alla figlia Sasà e ad un piccolo deforme, muto e cieco, su cui riversa un amore insensato.
    http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/ortese/cardilloaddolorato.htm

  50. Approfitto della riapertura, suppongo momentanea, della piccola polemica intorno alla mia lettera a “Il Giornale” (del 12 gennaio), per chiarire due punti.
    Primo: il titolo della lettera, che ha dato avvio alla polemica, non e’ mio, ma del quotidiano che ha pubblicato la lettera. Io avevo scritto semplicemente: Il lupo nella neve. La pieta’ non c’entrava affatto. Del resto, mai mi sarei permessa di invocare questo sentimento in una questione che consideravo giuridica, e dove l’imputato mostrava il coraggio che si conviene (questa la dignita’ a cui accennavo) a chi ha sbagliato gravemente. La pieta’ (e la condividevo con Joyce, ma e’ conosciuto in Italia?) era dovuta semmai alla considerazione dei tempi atroci, a cui non tutti gli uomini, nemmeno oggi, sanno opporre resistenza critica e risoluzioni che si stacchino dalla media del loro paese. (Qualche tedesco, tuttavia, ha pagato con la mannaia). Il tempo scorre, e, alla fine, societa’ e intere generazioni si trovano ribaltate, esposte a situazioni nettamente invernali, amare, di separazione dal proprio mondo. Prendevo in considerazione – ecco il secondo punto – solo questo momento, in cui l’uomo civile deve, assolutamente deve, essere vicino al perdente, ridargli speranza. Se questa e’ metafisica, o morale da streghe, o comunque sentimento che non si addice alle donne, non so. Io non chiedo mai se un’azione mi sara’ utile o meno, e quanto ne ricevero’ in compenso. Si vive una volta sola. E il profitto ognuno e’ libero di cercarlo dove piu’ gli e’ naturale, in terra, in cielo, o anche in mare. Per significare: nel rischio, nella perdita, dove e’ posta tutta la impopolare dignita’ di alcuni scrittori.
    [“Civiltà è ridare speranza ai predenti” – Corriere della Sera – 22 gennaio 1997]

  51. Cara Roberta,
    la polemica del rapporto tra la Ortese e Priebke va inquadrata esattamente.
    Proprio l’anziana età della Ortese fa luce sull’episodio in cui Antonio Tabucchi volle vedere un’adesione ai valori del nazismo, ma che non era che uno degli atti più alti che un intellettuale (giunto alla maturità e all’assenza di giudizio per l’uomo) possa tributare alla pietà umana in assoluta libertà, senza temere i (prevedibili) attacchi e le (ancor più prevedibili) polemiche.
    Per la sola commozione di dire che il male – anche il più atroce ed estremo – può trovare redenzione. E che la solitudine è già un contrappasso.
    Come tutti sappiamo la polemica che ne nacque fu forte e odiosa. Tabucchi ritenne “oltraggioso e deplorevole” l’intervento della Ortese, altri se la presero con “l’intenerita coetanea del nazista”. Ma lei non si scompose e reagì con coraggio scrivendo un pezzo significativamente intitolato “Quest’Italia che mi è straniera”: “La terra sta diventando una fossa atroce per i deboli e quell’uomo è vecchio e solo e abbiamo torto ad identificare questa idea con il vecchio nazismo. No, il nazismo è oggi un altro ed è universale e, in qualche modo, perché universale, invisibile”. È il vecchio e nuovo conformismo.

  52. @Robertina.
    A volte sei troppo impulsiva. Ti lasci sopraffare dai sentimenti a discapito del raziocinio. Però va bene anche così, sei genuina e autentica. Hai fatto scomodare la Ortese in persona dall’aldilà per risponderti. Mica poco! Gli uomini quando si aggregano in nome degli “ismo” diventano pericolosissimi: il fascismo, il comunismo il nazismo, il cazzismo, il berlusconismo e qualsiasi genere di estremISMO. Quando sanno di poter agire impuniti, di avere diritto di vita e di morte sugli altri, diventato lupi assetati di sangue. Ogni cosa va inquadrata nel proprio contesto storico e analizzata con serenità. Priebke in quel momento era un lupo che aveva perso il branco, un lupo sdentato, vecchio e morente. Un minimo di pietà si può concedere anche al più malvagio degli uomini in prossimità della morte.
    Robertina devi 500 euro a Carlo e leggere tutti i romanzi della Ortese per farti perdonare.

  53. Trovo molto “alte” le parole della Ortese, postate non so da chi, ma lo/la ringrazio, e necessiterebbero di profonda riflessione (basti la frase “Io non chiedo mai se un’azione mi sara’ utile o meno, e quanto ne ricevero’ in compenso. Si vive una volta sola.”
    E ringrazio poi Ranata per ciò che riporta anche lei e per come conclude, con le parole della stessa Ortese (“No, il nazismo è oggi un altro ed è universale e, in qualche modo, perché universale, invisibile”) e con le sue ” È il vecchio e nuovo conformismo”, che condivido in pieno.

  54. E ringrazio Salvo per i 500 Euro che mi farà avere da Roberta. Alla quale va comunque (nonostante la breve diatriba) tutta la mia simpatia (specie se mi farà avere le “palanche” che a questo punto mi deve: son genovese io). 🙂

  55. @Salvo: è molto bello quello che dici sugli “ISMI”.
    Ti riporto uno stralcio interessante:
    – La Fiera Letteraria: Che cosa intende per libertà di pensiero?
    – Anna Maria Ortese: Mi sembra essere la facoltà di osservare le cose, misurarle e trarne un giudizio senza tener conto di precedenti e anche aurorevoli giudizi che possano pensare siu di esse, ma solo badando che il nostro giudizio coincida con una verità di fatto: Non nostra, non personale, e priva perciò di ogni servitù a interssi o passioni personali, o di parte.
    – La Fiera Letteraria: Ritiene che tutti i pensieri debbano essere espressi senza che chi li esprime corra rischi di sorta?
    – Anna Maria Ortese: Tutti i pensieri concernenti una verità o la ricerca di una verità, dovrebbero essere espressi senza rischio. Ma bisogna tener conto della effettiva maturità di un paese.
    – La Fiera Letteraria: Sarebbe disposta a battersi per difendere la libertà di pensiero degli altri?
    – Anna Maria Ortese: Distinguere un pensiero libero da un pensiero asservito, è molto difficile quando i pensieri si siano organizzati in parti. Riconoscerei perciò un pensiero libero dalla sua solitudine, e dall’essere ugualmente osteggiato da parti tra loro contrarie. Lo aiuterei, se possibile. Ma ritengo che il meglio sia aiutare tutti i pensieri di una comunità o una nazione, a tornare liberi. A considerare legittimi, quindi, non solo i propri giudizi, e le loro ragioni, ma pure i giudizi e le ragioni degli altri, quando anche si oppongono ai nostri.

    [Anna Maria Ortese, Dibattito: Che cos’è la libertà di pensiero, La Fiera Letteraria, aprile 1973]

  56. Simona Lo Iacono? Non mi suona nuovo questo nome.

    Spesso la libertà di pensiero, la giustizia, la democrazia, diventano termini privi di contenuto, di cui facciamo abuso, per infarcire i nostri discorsi di belle parole e di significati vacui. Il nostro pensiero, anche quando riteniamo di esprimerlo liberamente, in realtà è condizionato da fattori esterni, dal nostro stato d’animo del momento, dai sentimenti che ci trasmette la persona a cui è rivolto, dalla convenienza spicciola che più ci fa comodo, dai preconcetti, dai nostri limiti a capire le ragioni degli altri, dalla mancanza di coraggio. Ecco perchè è importante che determinati equilibri nelle sorti di un Paese non vengano mai a mancare, affinchè non si instauri un pensiero dominante capace di sopraffare tutti gli altri. In realtà il peggior nemico della democrazia, ancora più subdolo, non è quello che ci impedisce di esprimere il nostro pensiero, ma lo lascia cadere nel vuoto,

  57. post bellissimo. Complimenti. La Ortese è una grande scrittrice,putroppo,non conosco la Bachmann
    Eccovi un mio art.su Anna Maria Ortese

    “Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese”acura di Maria Allo
    Data: Giovedì, 05 febbraio 2009 ore 16:31:51 CET

    Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del
    mondo:

    «Il personaggio che seguivo era una creatura “fatata”, di pace e di gioia
    fanciullesca. Per questo, Alonso è nato come una favola. […] La sua figurina di
    “piccino”, di “beato”, mi si inseriva in un tempo tremendo […] Il puma
    rappresenta tutta la terribile miseria del mondo»:
    Romanzo conclusivo della trilogia fantastica di Anna Maria Ortese, che consolida la scelta poetica della scrittrice per la rarefazione del linguaggio e le suggestioni oniriche (“…ritengo che l’Universo non sia circolare come si tende a definirlo, ma ellittico, ed esso perde di là, da quella sua deviazione – ancora, fortunatamente, splendente – tutto il suo sangue o sostanza, tutto ciò che chiamiamo tempo”), “Alonso e i visionari” s’incentra su un piccolo puma dell’Arizona intorno al quale ruotano le vicende dei personaggi, “i visionari”, cui tocca in sorte di incontrarlo.
    La vicenda si sviluppa per rivelazioni che ogni volta sembrano negare le verità precedenti, tra poliziesche e metafisiche, in merito ad un delitto accaduto, in una certa notte, in una casa vicino Prato.
    Tremenda storia “di assassini, di visionari e di complici”, l’opera narra “una vera storia italiana” di cui la narratrice è testimone. I protagonisti sono tutti legati da una sorta di pazzia che è come “un buco nell’intelligenza, nell’azzurro, dal quale entrano il freddo e la cecità degli spazi stellari”. Un noto professore d’italiano ispiratore di terroristi e di altri “uomini del lutto”, i suoi figli circondati dal mistero, un professore americano segnato dalla debolezza di voler capire e compatire, seguono le tracce del puma Alonso, oggetto ora di un odio irragionevole, ora di un amore inerme, in una storia intricata, un giallo che sorge sull’incessante “sgarbo agli dei” da cui ogni altro delitto ha origine, quel peccato molto comune agli uomini che è “il più grave di tutti i peccati: il disconoscimento dello Spirito del mondo”.

    ll valore dell’opera di Anna Maria Ortese, ‘scrittrice di visione’, si impone oggi dopo la dimenticanza e l’intolleranza subita in vita.

    Sulle difficoltà di comprendere la storia la Ortese è ben cosciente: «“è un libro,
    forse, oscuro, e cercare di chiarirne tanti aspetti, è stata la mia vera fatica. Ma non
    direi di esservi riuscita (non è chiarissimo)” […] “Secondo lei si capisce?” chiederà la
    Ortese a Paolo Mauri a lavoro concluso. “Io stessa ho faticato per venirne a capo, per
    ricucire tutti i nessi della storia” […] “Non capivo più niente. Questa è la parte
    dolorosa del mio scrivere. Spesso non so che cosa sto scrivendo. Scrivo perché ne
    sento l’esigenza. Il lavoro diventa un’avventura bellissima, inventare ogni giorno che
    cosa fanno, che cosa diranno i miei personaggi. E quando ho finito, non capire più
    nulla”» (L. Clerici, Apparizione e visione, pp. 615-616). Il concetto sulla difficoltà di
    comprensione della realtà è ribadito anche lungo la narrazione: Op avvisa l’amica
    Stella: «se vuole sapere qualcosa di più sull’uomo, ricordi che all’ultimo momento,
    quando sembra di vedere, capire tutto, le lampade più perfette si spengono» Anna Maria Ortese, figura per scelta personale appartata e schiva delle nostre scene letterarie, rischiava di scomparire del tutto se non fosse intervenuto il generoso repêchage dell’Adelphi. La casa milanese, accogliendola nel proprio prestigioso catalogo, le ha dato così non solo maggiore visibilità, ma ha contribuito notevolmente a una ripresa di vigore creativo (due romanzi nel volger di tre anni)

    ll tratto saliente della scrittura di Anna Maria Ortese è quello della visionarietà. Visione quale memoria e premonizione che, sparpagliate nell’intera opera, con intelligenza sottile e sguardo attento all’inesauribile profondità del mondo, si condensano in una sorta di invito a una sosta contemplativa circa la bellezza e l’evanescenza di tutto quanto quotidianamente irrompe nel minuscolo universo esistenziale di ognuno.
    Il realismo non tiene conto che il reale è a più strati e l’intero creato, quando si è giunti ad analizzare fin l’ultimo strato, non risulta affatto reale, ma pura e profonda immaginazione.
    Siamo mutevoli come nuvole, il mondo non è materia, è sogno, apparizione. La mite e umiliata Ragione è tutt’uno con l’invisibile.
    L’espressività ortesiana si colloca dunque in quello spazio assolutamente libero che è la letteratura, considerando il reale non come riflesso del mondo, ma come secondo mondo o seconda realtà, un’immensa appropriazione dell’inespresso, del vivente in eterno, da parte dei morituri. Offrendo così al lettore uno spazio meraviglioso e un tempo estatico e sfuggente. Poiché è possibile entrare molto bene in contatto con ..tale inespresso finalmente rivelato, come una seconda irreale realtà, non tanto irreale, poi, se… la realtà vera… si disfa… continuamente al pari di un vapore d’acqua e la realtà irreale… domina… l’eterno. (da Il porto di Toledo)
    Tale concetto, che è il perno della poetica di Ortese, si impone al lettore oltre che per la mappa dei sentimenti umani tessuta con impronta religiosamente laica, tramite un insolito vai e vieni da un registro all’altro, nonché per l’uso della lingua, anch’esso visionario, essendo imprevedibile e anche scombinatorio delle regole. Scrittura fluttuante, sontuosa e arbitraria, in funzione del trasporto di quell’universo invisibile che però costantemente incide nella fenomenologia stupefacente del vivere e del sentire. Di modo che il costante snodarsi di ragionamenti e riflessioni, sotteso dall’esaltazione del valore di ogni singola esistenza (la scrittura di Ortese è sovente un ibrido tra saggio e affabulazione) unitamente a forme svariate di ricerca stilistica, fanno sì che la risultanza sia la cifra trasognata. Anche se nel complesso se ne ricava una sorta di concretezza dell’invisibile. In quanto il talento dell’autrice, un libro dopo l’altro, disegna un territorio meditabondo che favorisce la percezione piena della complessità del sentire, improntato da veemente energia vitale.
    Una prosa antirealistica condotta quindi con lucidità.
    Quasi che una forza misteriosa, producendo una costante pressione su ogni aspetto del reale, lo delinei prepotentemente. Ma con la singolarità di trasformare la pena in bellezza e le lacrime in canto. Poiché la spiccata vocazione estetica di questa zingara assorta in un sogno, come l’ebbe a definire Elio Vittorini, è costantemente permeata da un respiro pubblico che in virtù dello spessore morale mai incorre in inciampi apologetici, seppure fortemente connotato da schietto anticonformismo, da carica animalista, ecologista, e dall’identificazione con la parte sociale più negletta.
    Sarà perché, come per Cristina Campo, biografia e opere avanzano congiunte e sospese tra memoria e visione, trasmettendo l’incertezza e la precarietà della vita?
    Sta che Ortese non dimentica mai la propria condizione di nomade e di randagia, riuscendo a stabilizzare stretto legame tra biografia e scrittura. Infatti, la sua intera opera somiglia a un lunghissimo monologo assorto che, seppure incanta, graffia, assicurando al lettore un’esperienza non comune. Anche per via di una forza immaginativa, stemperata, nei punti in cui la visionarietà raggiunge l’acme, da una sorta di distacco progressivamente ironico.
    Senza meno un doppio sguardo quello di Ortese, tramite il quale la rappresentazione della realtà assume caratteri di coscienza vigorosa e l’immaginazione vasta e duttile immette in un tempo ricco di partecipazione emotiva. Per l’abile tessitura di metafore, similitudini, paragoni deformanti, prolissità dell’ossimoro quale rappresentazione della contraddittorietà della vita.
    Verità-finzione, reale-fantastico, ottenuti a mezzo di visioni strepitose, ideazioni inaspettate di luoghi e di immagini allo scopo di favorire il superamento della perdita, del compianto, dell’assenza, della nostalgia. In definitiva una lettura amorosa che introduce alla meravigliosa sfera del sogno dolcemente, naturalmente, senza eccitare il sentimento dell’enigma dentro il chiaroscuro della coscienza.
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    Cordialmente

    Maria Allo

  58. @ Maria Civitelli e Massimo caro, per ora nelle mie scartoffie non ho trovato altro. Continuerò a cercare però.
    @ Dolce Simo, col paragone di S. Teresina, chi ha più il coraggio di parlare di umiltà dello scribacchino? I tuoi inserti sono, come dicono gli scrittori laureati,… molto molto esaustivi, a parte gli scherzi, non sarebbe il caso di farti clonare per migliorare la cultura imperante di molti studenti e professori?
    @ Salvo, mio caro, sarebbe l’ora che non si pensasse solo alla convenienza dello scrivere in un determinato modo o di favorire i rapporti interpersonali che ci potrebbero avantaggiare nella carriera.
    Abbiamo una sola vita, una sola credibilità e se ormai per troppi di noi, l’onestà intelletuale è in completo disfacimento, per quel rimasuglio di etica che ciascuno ancora sbandiera, cerchiamo almeno di non nuocere…
    con le parole di pietra. Il sermone amico mio, è rivolto in prima persona a me. Senza l’umiltà di capire che siamo delle povere cose, in balia del vento e ora come mai, anche degli eventi, qualsiasi sgradito imprevisto riuscirà ad abbatterci.
    Scusami lo sfogo, conosco la tua intelligenza e sensibilità e certamente
    percepirai l’oltre che preferisco tacere. Oso invece dire :- Vi voglio bene.
    Tessy rientra nei ranghi

  59. Un’altra poesia della Bachmann che mi piace molto:
    Tutti i giorni

    La guerra non viene più dichiarata,
    ma proseguita. Le assurdità
    sono diventate normali. L’eroe
    non si lancia nella lotta. Il debole
    combatte in prima linea.
    L’uniforme di oggi è la pazienza,
    e la medaglia appuntata sul cuore
    è una misera stella di speranza.

    La conferiscono
    quando non succede più niente,
    quando gli spari si spengono,
    quando il nemico si è dileguato
    e il cielo si ricopre
    dell’ombra del riarmo permanente.

    La conferiscono
    per la diserzione dalle bandiere,
    per il mostrarsi coraggiosi con l’amico,
    per il tradimento di foschi segreti
    e l’inosservanza
    di tutti gli ordini.

  60. @Francesca Giulia+ Carlo+ Renata+ Salvo
    Vi ringrazio per gli affettuosi consigli. Ma vi risponderò in modo più “articolato” sulla camera accanto, non appena ne avrò il tempo materiale, perché qui temo che, se prendessi altro spazio su questo argomento, mi arriverebbe il “monito” di Massimo a riprendere le tematiche principali di questo post. Che poi il “monito” dovrebbe prenderselo Salvo, ché io mica c’entro nulla..ho solo “abboccato” alla sua provocazione.
    Cari saluti.

  61. @Tessy Cara, se non sapessi che sei già in cattiva salute, sarei tentato di venire a Siena per strozzarti. Mi fai pure i sermoni!!! A me, un moribondo. Il mio discorso sopra poco aveva a che fare sulla convenienza dello scrivere e sui rapporti che favoriscono le carriere. Chi mi conosce sa bene quanto sia spigoloso e quanto critico sia stato con intellettuali siciliani, anche di grosso nome, di cui non condivido l’operato. E quanto sia duro con un certo tipo di editoria poco seria. Il mio discorso era ispirato da certi manifesti politici che mi capita di leggere in questo periodo di campagna elettorare, da troppi appelli alla democrazia, alla libertà, a una società migliore. Parole che finiranno nel nulla, come sempre. Quando parlo di libertà di pensiero in qualche modo traviato, mi riferisco a tutti quegli interventi mediatici in grado di manipolare le coscienze. Il mio era un discorso squisitamente di natura politica più che culturale. Sono molto preoccupato per la situazione anomala che si sta verificando in Italia. Potrai ribattermi che c’entra poco con il post, ma ho voluto prendere spunto dalle parole della Ortese postate da Simona, (che in fondo sono di natura politica) per esternare la mia amarezza.
    A proposito della Simo: meglio non clonarla se no si inflaziona. Ne abbiamo una sola e ce la teniamo ben stretta qui a Siracusa. Anzi, vi mando un bacione a tutte e due.

  62. Pure la Roberta mi striglia!!! Non è proprio serata, stasera me ne vado in ritiro spirituale a fare ammenda dei miei peccati.

  63. Per raggiungere la sfera dell’arte, l’umiltà è una conditio sine qua non. Andare verso l’arte, è come dovere attraversare le tenebre di una caverna dove ci sei e vorresti uscire, ma non puoi perchè l’uscita è sbarrata da un masso. Per uscire da lì “l’io” deve morire. Lì la brama dell’indomito desiderio del potere e la paura che l’accompagna devono essere soffocate e seppellite. Quando lo avrai fatto il masso si sposterà da solo ed entrerai nel mondo della saggezza e della libertà. Il cuore sarà inondato dalla tenerezza e palpiterà di gioia e solo allora comprenderai che è possibile rimodellare il roprio mondo interiore nel crogiuolo della immaginazione, dove l’intuito creativo può trovare il riflesso della bellezza che cerchi e diventa “ALONZO” dopo avere incontrato il PUMA
    E’ dalla libertà dei nostri pensieri,ossia del nostro intelletto, sgravati dai dal peso dei nostri desideri personali, soggetti alla relatività storica, che puoi farti cooperatore di bellezza, contemplarla e vederla brillare.
    CARA SIMONA LO JACONO, grazie per aver citato Santa Teresa di Lisieux.
    Il Cristianesimo è l’unica religione che alla filosofia prometeica della ribellione ha contrapposto quella della rinuncia e dell’umiltà. Io ho voluto rendere in modo laico il nostro bellissimo e difficile messaggio cristiano per cui non ho detto che l’umiltà è l’l’unico strumento per vanificare le forze del male. Ed allora dico a LETIZIA DI GIACOMO che le lacrime maschili sono importanti e commoventi perchè le lacrime sono liberatorie par tutti.Smuovono i massi che sono nella caverna del nostro cuore.

  64. Conosco più la Bachmann della Ortese, ho letto Invocazione all’Orsa Maggiore e alcune sue poesie tempo addietro, ho molto apprezzato. A mio parere, rispondendo a una delle domande del post, la grandezza di un artista non può e non deve essere misurata con la sua umiltà: non ci vedo il nesso. Molti, oggi (non dico artisti, ma in generale), sono umili per posa, fingono di essere umili per avere elogi dagli altri: e gli altri, puntualmente, ci cascano. Se l’umiltà è una posa, non va bene; se la mancanza di umiltà fa parte di un carattere genuino, non è e non deve essere considerata una pecca.

  65. @ Barbara
    Cara Barbara, hai scritto: “Molti, oggi (non dico artisti, ma in generale), sono umili per posa, fingono di essere umili per avere elogi dagli altri: e gli altri, puntualmente, ci cascano. Se l’umiltà è una posa, non va bene”.
    Hai perfettamente ragione. Aggiungo, peraltro, che in tal caso sarebbe una “umiltà” vicina alla “falsità”.

    Ci parleresti delle Invocazione all’Orsa Maggiore della Bachmann?
    Di cosa tratta quest’opera?

  66. Quesiti e risposte molto interessanti. Due grandi scrittrici a confronto. Un commento molto bello. Quanto alla maggiore capacità di una donna che scrive di esprimere il dolore del mondo, non credo si possa affermare questo. Certo, se penso a Etty Hillesum, al suo diario, alle sue lettere, sarei tentata di dire di sì. Ma sarei ingiusta verso Leopardi, Manzoni, Primo Levi e tanti tanti altri grandissimi scrittori che hanno saputo rappresentare il dolore con una forza e una sensibilità uniche.
    Ho apprezzato di più la Bachmann, ma sono entrambe grandi, ciascuna a suo modo. È solo una questione di gusti. Della Bachmann apprezzo molto le poesie. È stata forse una delle poetesse più vitali del 900. Il dibattito potrebbe continuare all’infinito anche per quanto riguarda il concetto di umiltà. Sì, l’umiltà in un uomo e ancora di più in un artista è una grandissima qualità, ma esistono, sono esistiti, anche scrittori grandi e superbi. O meglio: consapevoli della loro grandezza. Dante, per esempio… Come la mettiamo?

  67. SALVO, sei il più simpatico moribondo del mondo, ma non pensi che dopo tanta carta, telefonate, suppliche e promesse da marinaio, ben poco cambierà? Tu rimarrai vegeto e vitale nella sonnolenta Trinacria a roderti il fegato. La povera tapina con la miserrima pensione statale del 1977, si arrovellerà la tarda mente su cosa ancora tagliare per arrivare col groppo in gola, al fatidico, grandioso 27!
    A Siena, costano care pure le acciughe, figurati il resto.
    Comunque se decidessi di venire a strozzarmi…, una corposa ribollita o salutare panzanella la troveresti comunque e non solo via! Mi rovinerei con un Dievole ( per capello? NOOOOO)- “Dievole Rinascimento” per- Bacco. Da
    Tessy nella fossa come il formaggio!…..

  68. Massimo, io non sono in grado di farti una recensione di Invocazione all’orsa maggiore, semmai posso dirti cosa ricordo di quelle poesie, di quel libro che, fra l’altro, nemmeno era mio. La prima cosa che ricordo è lo stile a tratti “maschile” della Bachmann, e questo vuole essere un complimento. Ricordo anche una grande tensione intellettuale che sfociava sovente nella ribellione. Nel commento precedente ho sbagliato a scrivere: non posso certo dire di “conoscere la Bachmann” a fondo. Però una cosa devo dirla: a volte mi capita di leggere qualcosa di autori e autrici che non fanno parte della “mia cerchia”, e pochissimi sono quelli di cui serbo un certo ricordo anche a distanza di anni. Ecco, Ingeborg, con quel libro, pur non facendo parte della “mia cerchia” (passatemi quest’espressione orrenda), è una che ricordo, che mi piace ricordare.

  69. Cari blogger di LETTERATUDINE, mi fa molto piacere che sia nato un dibattito così vivace intorno a Bachmann/Ortese.
    Sul caso Priebke: sono stato un po’ perplesso all’epoca e non ho mai parlato con Anna Maria Ortese di questo argomento. Oggi vedo la sua presa di posizione a favore di un criminale di guerra semplicemente come una parte della sua immensa umiltà nei confronti di tutti gli esseri viventi.
    Ringrazio Antonella Cilento e Massimo Maugeri per aver postato il mio contributo. Un saluto speciale a Carlo S. che ricordo benissimo e con piacere.
    Ci sarebbe una piccola cosa da correggere: nel post, in alto accanto alle foto di Bachmann/Ortese, c’è un errore: il titolo del romanzo della Ortese è “Il cardillo addolorato” (non “innamorato”, lapsus che capita anche agli ortesiani più afferrati).

  70. E il bello è che nessuno se ne era accorto.
    🙂
    Ciao Franz, e grazie per essere intervenuto. Spero di riuscire a reincontrarti presto (sto tramando in tale proposito insieme a Lena…)
    Carlo

  71. @ Franz Haas
    Caro Franz, grazie per essere intervenuto.
    E grazie per la segnalazione del lapsus (che ho prontamente corretto). “Il cardillo innamorato” è una mia invenzione.:-)

  72. Carissimi amici e amiche di Letteratitudine, carissimo Massimo, grazie dell’abbandonate messe di commenti! Sono felice che l’iniziativa riscuota anche on line come dal vivo tanto consenso. Strane Coppie è un progetto cui tengo moltissimo e mi rallegra scoprire che il dibattito ferve, nonostante il cattivo clima generale intorno alla cultura in Italia. Portare nuovi lettori (critici e non) verso Ortese e Bachmann mi sembra già una conquista fuor di misura e ringrazio molto Massimo di aver anticipato il nostro prossimo e ultimo (per quest’anno) incontro del ciclo (giovedì 11 giugno al Grenoble, h 18.30) con Sandra Petrignani e Donatella Trotta, che narreranno di Colette e Matilde Serao (altre due donne, altre due visioni del mondo). Ci sono stati momenti in quest’anno di incontri che saranno ricordati: l’appassionata requisitoria di Giuseppe Montesano intorno alle Affinità elettive, la summa di Mariolina Bertini su Proust, la gentile difesa “inglese” di Fogazzaro di Francesco Costa, il dibattito fra Ivan Cotroneo e Antonio Pascale su Calvino e Borges, tanto amati e idolatrati nei decenni scorsi e ora quasi dimenticati se non attaccati… Ringrazio ancora Franz Haas per averci portato un’Ortese viva nel suo ricordo e Maria Attanasio per l’appassionata recensione alla Bachmann, dove in trasparenza ho rivisto lei e la sua scrittura e mi sono rivista anch’io (sì, le donne hanno alcune peculiarità in comune, difficili da catalogare e qui lo eviterò). E poi l’occasione creatasi con Domenico Starnone e Melania Mazzucco: durante il loro incontro, dedicato a Il resto di niente di Striano e Il secolo dei lumi di Carpentier, abbiamo scoperto, grazie alla presenza emozionata e emozionante di Apollonia Striano, che questa coppia, concepita rischiosamente da me e da José Vicente Quirante, direttore del Cervantes, era reale. Striano aveva in biblioteca il libro di Carpentier (leggetelo, è edito da Sellerio) e lo amava e era stata sua fonte di ispirazione. Starnone ha anche estrapolato una frase che richiamava il “nada de nada”, il resto di niente di Lenor, presente nel romanzo di Carpentier.
    Il prossimo anno è già in programmazione e spero di potervi proporre altrettanti confronti carichi di stimolo.
    Delle molte cose dette nei post torno rapidissimamente sulla questione “politica” di Ortese a proposito di Priebke, solo per porvi una domanda: leggete Verga pensando che era un conservatore che si espresse contro i Fasci siciliani? Leggete Cèline pensando che era un filo-nazista? I libri contano assai più di noi che li scriviamo: scriviamo proprio perchè i libri restino e non noi. La nostra umanità e variabile, i libri dovrebbero ( aspirano ) ad essere il meglio di ciò che esperiamo nel mondo. La nostra personale Verità. Ortese e Bachmann hanno da raccontare grandi Verità. Di questi tempi ci confondiamo troppo con la realtà: la letteratura non fa politica, produce pensiero e sogni, interpreta il mondo con scopi diversissimi dalla politica. Restiamo fermi nei nostri impegni ( e certo leggiamo Primo Levi per ricordare e non smettere di indignarci, ma lo amiamo oltre misura anche perchè è riuscito a sognare dove era impossibile farlo), ma scrivendo andiamo lontano e parliamo dell’oltre.
    Devo a Ortese la mia scrittura, ho scoperto Bachmann leggendo Tondelli: vite diversissime, scelte lontanissime, pure assai più simili di quanto non sembri. Tutte sono state votate totalmente alla scrittura.
    Un abbraccio a tutti/e e grazie
    Antonella

  73. Cara Anto,speravo proprio che tu intervenissi sulla questione Ortese,sapevo in cuor mio che avresti trovato le parole giuste per dire ciò che avevo tentato di esprimere anch’io,ricordo lo stage al PAN di Napoli con te e nell’ambito del convegno sulla Ortese con grandissimo piacere,devo dire che sei stata tu a farmi apprezzare più intimamente questa grande scrittrice.Un bacione e spero vengano molte altre persone alle strane coppie anche da fuori città,accorrete è una delle tante iniziative culturali portate avanti con passione e competenza da Antonella!!

  74. Per rispondere alle domande di Massimo, non credo che le donne siano più capaci di esprimere il dolore del mondo rispetto agli autori maschi. Dipende dalla sensibilità di chi scrive. Molti autori maschi lo hanno espresso altrettanto bene, tanti sudamericani, ma non solo. Riguardo all’umiltà, beh, temo che sia una specie di utopia. Fa parte del carattere umano ostentarla, ma sotto sotto… Comunque preferisco avere a che fare con persone umili, ma capaci. Se poi non lo sono, affari loro.
    Bello l’intervento di Antonella Cilento. La vita degli scrittori, a volte, non corrisponde con i nostri ideali. Ciononostante i loro libri sono belli. In fondo, perché dovremmo sempre guardare la pagliuzza? Sarebbe anche ora di cominciare a leggere le opere.

  75. Cara Antonella,
    sono io che ringrazio (ancora una volta) te, per avermi messo a disposizione la bella realtà de “Le strane coppie”. E ti ringrazio anche per questo tuo corposo intervento.

  76. Ho allestito più spettacoli intorno alla scrittura della Bachmann, tra cui poesie, Il Caso Franza e molto altro. Ho scritto un testo teatrale dove in un incontro ipotetico I. Bachmann incontra E. Hillesum, era il 1992. Credo, occupandomi di femminile, che chiunque a cui sia stata negata la parola per millenni possegga maggiori strumenti (più diversità) per raccontare il dolore. Inoltre, ritengo che la scrittura delle donne abbia un andamento molto più verticale (interiorità) e meno orrizzontale (lo sguardo del di fuori) di quella degli uomini sempreché, ovviamente, vi sia prepotente interrogazione. Il dolore, dunque, si colloca e si definisce diversamente. La Bachmann, che ebbe successo in vita, non era, da quanto credo di aver capito una persona umile, ma una persona consapevole dei limiti umani. E della possibilità che ogni essere umano (lei dichiarò in un’intervista l’uomo) possa costruire danno. Bachmann era ben consapevole del suo notevole talento che fece conoscere al mondo e cercò di difendere in tutti i modi. La condizione del dolore è precoce in chi intuisce, come lei intuì, l’impossibilità a sanare un dolore a cui rimane quasi difficile dare nome. Il discorso si farebbe molto lungo, ma volendo spendere qualche parola sull’altra meravigliosa scrittrice che è la Ortese, direi che esse sono, poiché straordinariamente originali, incomparabili. Il punto di vista della Bachmann circa l’opera d’arte è che essa non deve rivelare nulla della biografia dell’autrice o dell’autore (nessun pensiero forte nasce a caso) e tale è anche nell’Ortese nella cui scrittura mi è difficile poter riconoscere un qualsiasi episodio della sua vita. O quell’episodio che derminò (come nella Bachmann) più che altri, la condizione del dolore non sanabile a cui mi sono riferita in queste righe. Anni fa chiesi a Calasso (Adelphi) incrociandolo, se la Bachmann aveva teso a stare da sola o addirittura a isolarsi. Mi rispose che se fosse stato in me sarebbe stato molto attento a dire una cosa del genere. L’andare verso, creare spostamento di sé, dà carattere alla scrittura. Le scritture di Ortese e Bachmann, secondo me, dicono modi molto diversi di stare al mondo e inoltre, nelle opere della Bachmann il dato di realtà è molto più leggibile che in quello della Ortese. Con l’anima in gioco, sempre, in ambedue. Così credo. Maria Inversi

  77. Ho avuto il piacere di conoscere, grazie a Luigi La Rosa, Adelia Battista, scrittrice e donna piacevolissima che ci ha incantati parlandoci della Ortese, che ha conosciuto personalmente (ho avuto modo di vedere alcune cartoline e lettere che si sono scambiate… e a proposito: leggete il libro “Ortese segreta”, scritto da Adelia per Minimum fax).
    Sto leggendo “Il porto di Toledo”… scrittura visionaria, grandissima.

  78. Arte e umiltà?L’agire poietico deve necessariamente essere umile, investire l’humus che costituisce l’essenza dell’UOMO.Dato che l’uomo é nato dalla terra(humus-xamài)torna nella terra e si nutre dei prodotti della terra.E da ciò l’umiltà, l’essenza che ac-comuna.
    Il confronto fra le due “artiste”?Concordo con Giovenale sull’impossibilità di confrontare due artisti(Omero-Virgilio).Il mondo di ciascuno é”ALTRO”, e solo la “differenza”rivela l'”arte”, ossia la specificità del sublime.
    Caro Massimo come va?Un affettuoso saluto e grazie perché ci coinvolgi nella riflessione o-culta, ci dirigi nella vera dimensione culturale.

  79. dimenticavo una c…..oc-culta, dato che per me la cultura é scavo nella profondità.Interessantissimi tutti gli interventi. Lucia

  80. Complimenti per l’idea e le idee conseguenti…ma un apprezzamento particolare per Franz Haas….mio grande Maestro nei miei umili studi universitari

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