Dicembre 1, 2024

173 thoughts on “OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI (a cento anni dalla nascita)

  1. Piccola premessa (a beneficio dei nuovi frequentatori del blog) con riferimento alla AVVERTENZA che potete leggere nella colonna di sinistra del blog.
    La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela.
    Vi ringrazio anticipatamente per la collaborazione.

  2. Come ho scritto sul post, trentacinque anni fa, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva brutalmente ucciso (battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto) sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma.
    In questi giorni, in occasione del 35°, si sta dando ampio risalto alla tragica notizia di allora, anche per via delle recenti riaperture delle indagini giudiziarie.

  3. Sul post vi ho segnalato un servizio pubblicato su WUZ (a cura di Sandra Bardotti).
    Nel corso della settimana vi segnalerò alcuni articoli (pubblicati su quotidiani e magazine) dedicati a Pasolini.
    Vi chiedo di fare altrettanto (qui tra i commenti).

  4. Sul post ho anche inserito i riferimenti ad alcuni libri pubblicati di recente sulla figura di Pasolini.
    Anche questa sezione sarà aggiornata nel corso della settimana.
    Al momento i libri segnalati sono quattro:
    – “Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini” di Roberto Carnero
    (Bompiani, 2010)
    .
    – “Pasolini in salsa piccante” di Marco Belpoliti
    (Guanda, 2010)
    .
    – “I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinema” di Marco Bazzocchi
    (Bruno Mondadori, 2010)
    .
    – “Pier Paolo Pasolini. Una morte violenta” di Lucia Visca
    (Castelvecchi, 2010)

  5. Ho pure inserito tre video (nel primo, Pasolini risponde alla domanda “che senso ha scrivere?”; il secondo, contiene l’ultima intervista che ha rilasciato prima della morte; il terzo, è uno speciale RaiNews sulla citata riapertura dell’inchiesta giudiziaria).
    Date un’occhiata, se avete tempo (e se vi va).

  6. Naturalmente la ricorrenza offre anche l’occasione per ricordare il Pasolini scrittore, poeta, regista e giornalista.
    Ed è quello che vorrei fare (e invitarvi a fare) con questo post (così come è accaduto qualche settimana fa per Italo Calvino). Seguono le solite domande, volte a avviare la discussione…

  7. Bell’argomento. Mi piace molto Pasolini. Leggo il testo e guardo i video.
    Domani se posso proverò a rispondere alle domande.

  8. 1. Che rapporti avete con le opere di Pier Paolo Pasolini?
    Ero a Roma quando è stato ucciso…E’ sempre stato un punto di riferimento per me, per il coraggio, la lungimiranza, la forza, per il fatto di essere onnicomprensivo…un poeta sempre
    2. Qual è quella che avete amato di più?
    difficile….credo Affabulazione…e il film Medea
    3. E l’opera di Pasolini che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    Teorema
    4. Preferite il Pasolini scrittore, poeta o regista?
    scrittore
    5. Tra le varie “citazione” di Pasolini di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economica, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi
    6. A trentacinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Pasolini ha lasciato nella letteratura italiana?
    Quella di un punto di riferimento per le idee ma anche per la forma

  9. Le Ceneri di Gramsci :
    Me ne vado ti lascio nella sera che benchè triste cosi dolce scende tra noi viventi alla luce cerea che al quartiere in penombra si rapprende

    Puo ‘ il Ministro Della Giustizia Angelino Alfano, che ha avuto un ruolo importante nella riapertura del processo, dare un nome e un volto questo magistrato !

    ” questo barbuto, maleducatissimo, che si dava un mucchio di arie, seduto dietro la scrivania squallida di una stanzuccia squallida, che mi trattava come una delinquente, sgarbato, aggressivo».

    e al cancelliere

    ” Una ragazzaccia volgarissima, con questi capelloni tutti scarmigliati e con una maglietta, invece della toga – come io credevo che dovesse avere un cancelliere – una maglietta senza maniche, una t-shirt, con un grande topolino disegnato sul davanti. Vedere questo topolino seduto su uno scranno, a giudicare un cittadino trattato come fosse alla gogna, lo trovai mostruoso. Mi inorridì».

    per chiedere loro il perchè del loro atteggiamento ?

    Oriana Fallaci: la mia verità negata sulla morte di Pasolini

    Dopo l’articolo sull’Europeo, fu condannata per reticenza sulle fonti
    «La mia scarsa stima del sistema giudiziario non è incominciata quando
    i magistrati si sono messi a fare politica. Ma per questa esperienza»

    ORIANA Fallaci è a New York e non avrebbe voglia di parlare di Pier Paolo Pasolini, della sua morte, delle inchieste e delle speculazioni successive, delle rivelazioni recenti, tardive e incomplete di Pino Pelosi. Tantomeno vorrebbe farlo per telefono. Però poi acconsente, «perché Pasolini era amico mio e di Alekos Panagulis». La stessa ragione per la quale, trenta anni fa – lei che era già «la Fallaci», quella del Vietnam, delle interviste ai potenti, dello scontro con Yasser Arafat, lei che non si occupava di cronaca – decise di misurarsi su un omicidio. Per lo smisurato affetto di una donna straordinaria verso uno straordinario uomo. E acconsente per un motivo insospettabile: «Vede, la mia scarsa stima del cosiddetto sistema giudiziario non è incominciata quando i magistrati si sono messi a fare politica, ossia ad applicare gli interessi dei loro partiti, la loro ideologia politica, al Codice Penale. E’ incominciata proprio per l’esperienza che ho avuto dopo la morte di Pasolini».
    L’edizione dell’Europeo del 14 novembre 1975 fu nobilitata da un breve e fulminante articolo di Oriana Fallaci. Cominciava così: «Esiste un’altra versione della morte di Pasolini: una versione di cui, probabilmente, la polizia è già a conoscenza ma di cui non parla per poter condurre più comodamente le indagini. Essa si basa sulle testimonianze che hanno da offrire alcuni abitanti o frequentatori delle baracche che sorgono intorno allo spiazzato dove Pier Paolo Pasolini venne ucciso… Pasolini non venne aggredito e ucciso soltanto da Giuseppe Pelosi, ma da lui e da altri due teppisti, che sembrano assai conosciuti nel mondo della droga…». Oriana l’aveva scritto di getto, all’ultimo minuto, col giornale già quasi in stampa. Oggi ricorda: «Ho vissuto molto intensamente la morte di Pasolini perché era un amico. Aveva scritto una bella prefazione a un libro di Alekos Panagulis, un libro di poesie, “Vi scrivo da un carcere in Grecia” (1974, ndr)». Era il tempo in cui Alekos e Oriana vivevano insieme. Lui era stato imprigionato e torturato per l’opposizione al regime dei colonnelli, e da poco graziato. Chiese a Oriana di presentargli Pasolini e il sodalizio si allargò. «Nacque un rapporto frequente, andavamo spesso a cena», dice lei.
    L’ultima, di cui Oriana narra nell’«Apocalisse» e alla quale Alekos mancò per via d’uno sciopero aereo, fu in un ristorante lungo la via Appia. Parlarono dell’omosessualità, dell’esclusiva riservata ai rapporti eterosessuali: la procreazione. Fu allora che Pasolini abbandonò per un istante la sua dolcezza: «Devo spiegarti perché odio, perché detesto, perché aborro il tuo libro “Lettera a un bambino mai nato”. E perché mi nausea ascoltare ciò che stai sostenendo. Io non voglio sapere che cosa c’è dentro un ventre di donna. Io inorridisco a sapere che cosa c’è dentro un ventre di donna. Una volta anche mia madre tentò di spiegarmi che cosa c’è dentro un ventre di donna. E ci litigai. Io che amo tanto mia madre». Poi Pasolini carezzò la mano di Oriana.
    Ci sono molte cose che Oriana ricorda di Pasolini. Sono le cose per le quali si convinse a scrivere dell’assassinio, a scoprire tutto meglio e prima; a sopportare un’incriminazione e una condanna (per reticenza, quattro mesi di reclusione) che a pensarci oggi ci si immalinconisce. New York, 1966. Pasolini scoprì l’America e andò a far visita a Oriana in un grattacielo della Cinquantasettesima strada. «Mi disse: sono stato tutta la notte a “cercare” – e quando lui diceva “cercare” io so cosa intendeva – e a passeggiare nel Bronx. E mi ricordo che io balzai in piedi. “Che hai fatto?! Dove?! Ma lo sai cos’è il Bronx?!”. Ora il Bronx è meglio ma a quel tempo andare nel Bronx era come andare in un ghetto di Calcutta. E lui, camminando su e giù per il living room con un sorriso quasi beato mi fece il ritratto della sua morte. Mi disse: “Sai, io sono un gattaccio torbido che una notte morirà schiacciato in una strada sconosciuta…”».
    La mattina in cui seppero del massacro di Ostia, Oriana e Alekos occupavano un appartamento all’Excelsior di Roma. «Si restò senza fiato», racconta. Si mise al lavoro. Rintracciò il testimone (o “la” testimone o “i” testimoni: «Io non rivelerò mai, mai, mai il nome della persona o delle persone da cui ho saputo che ad ammazzare Pasolini non era stato Pelosi da solo. Io sono una persona d’onore. Giurai di non fare il loro nome e non lo farò mai, morirò col mio segreto punto e basta») e scrisse una verità alla quale soltanto oggi pare si voglia prestare attenzione: Pelosi non poteva aver fatto tutto da solo. Lo diceva la logica. Lo dicevano le indagini di Oriana Fallaci per l’Europeo. Oggi lo dice Pelosi stesso. Lo dice (al Corriere della Sera di martedì 10 maggio) Torquato Tessarin, ex direttore di produzione di Pasolini. E’ stato uno dei pochi, forse il solo, a ricredersi: «Voglio chiedere pubblicamente scusa a Oriana Fallaci, l’unica ad aver scritto che Pasolini fu ucciso da tre persone». Trent’anni fa Tessarin dichiarava la Fallaci pazza ed esaltata, «visionaria come lo era stata nelle corrispondenze dal Vietnam».
    Lei ora non se ne cura: «Io non so chi sia questo ex direttore di produzione e attore e regista che mi ha chiesto scusa sul Corriere. Non ho la minima idea di chi sia. Di quelli che componevano il piccolo mondo intorno a Pasolini ricordo soltanto il nome di un tale che chiamavano “Cavallo pazzo”. Non so se “Cavallo pazzo”, il quale pronunciava delle bestialità irripetibili, degli improperi vergognosi nei miei riguardi, sia questo direttore di produzione. Tutti del resto facevano a gara a chi era più bravo a insultare in modo più sconcio, più rozzo. Fu una rara, rara prova di inciviltà in un paese che l’inciviltà la conosce bene. Ma il punto non è quello che dicevano i cavalli pazzi. Il punto è il modo in cui si comportarono la polizia e poi la magistratura».
    La polizia, spiega la grande scrittrice, «prese a perseguitarmi. Mi mandava, soprattutto all’ufficio dell’Europeo di via Boncompagni, vicino a via Veneto, degli strani individui che, si capiva, avevano il compito di trarmi in inganno, di tendermi trappole per farmi dire che avevo mentito e scritto cose non vere». Niente a paragone della magistratura: «Se lei mi chiede qual è l’immagine che io ho del magistrato, non è quella del signore con la barba bianca, gli occhiali e la toga nera dignitosamente assiso in tribunale. E’ quella del magistrato che per primo mi interrogò dopo gli articoli dell’Europeo, che mi convocò in procura e io andai da bravo cittadino – ho l’ingenuità dei bravi cittadini – non pensai di portarmi l’avvocato, andai, dissi, sentiamo, forse è interessato a quello che noi dell’Europeo abbiamo scritto. E trovai questo barbuto, maleducatissimo, che si dava un mucchio di arie, seduto dietro la scrivania squallida di una stanzuccia squallida, che mi trattava come una delinquente, sgarbato, aggressivo».
    Voleva sapere i nomi dei testimoni ai quali Oriana Fallaci si riferiva nei reportage. Lei si appellò al segreto professionale, allo statuto dei giornalisti, alla norma deontologica che impone di tutelare le fonti, specialmente se rivelarne l’identità può metterle in pericolo. Era certamente quello il caso, e la Fallaci lo ripeté al processo, sia in primo che in secondo grado. Ma non le evitò la condanna e nemmeno le procurò la solidarietà, dovuta e sacrosanta, dell’Associazione della stampa. Non si tratta soltanto dell’ingiustizia: «Io so cosa significa essere condannati ingiustamente: è una delle cose più ributtanti che esistano». Si tratta anche di una questione di dignità. La tracotanza del pubblico ministero, l’aria di sufficienza di giudici maldisposti, l’alterigia e la villania degli avvocati a lei contrari. Le provò su di sé e «dopo quella duplice esperienza, davanti all’ingiustizia della giustizia non mi sono più stupita: il mio battesimo l’ho fatto in seguito alla morte di Pasolini».
    Paradossalmente, ciò che più le è rimasto nella memoria di quelle udienze è l’immagine catastrofica e offensiva di un cancelliere donna: «Una ragazzaccia volgarissima, con questi capelloni tutti scarmigliati e con una maglietta, invece della toga – come io credevo che dovesse avere un cancelliere – una maglietta senza maniche, una t-shirt, con un grande topolino disegnato sul davanti. Vedere questo topolino seduto su uno scranno, a giudicare un cittadino trattato come fosse alla gogna, lo trovai mostruoso. Mi inorridì». Questa sciatteria insieme con le prevaricazioni e i vilipendi subiti la spingono oggi a riparlare di Pasolini: «Questa faccenda mi interessa soltanto nella misura in cui ha aperto la strada della mia disistima per il giornalismo, la polizia, la legge. Soprattutto della legge, soprattutto dei magistrati, del sistema giudiziario e di chi lo amministra».
    La pena è stata amnistiata ma ad Oriana Fallaci importa poco. Ritiene che lo Stato le dovrebbe delle scuse, la rifusione dei danni morali e materiali. E in fondo le interessa relativamente riporsi la solita domanda: perché? Perché ci fu tanto accanimento contro di lei, e soltanto contro di lei, non contro altri dell’Europeo? E perché non si spesero altrettante energie per dimostrare che Pelosi non era un assassino solitario? Se l’è chiesto per un po’. Poi «mi sono guardata bene dal continuare a rimuginare sulle loro miserie morali e mentali. Ma è una domanda che io ora pongo a voi: perché gli dava tanto fastidio che l’Europeo avesse detto questa verità? Perché l’hanno rifiutata? Perché per rifiutarla se la sono presa con la Fallaci e basta? Sono domande senza risposta, per me sono come il dogma della verginità della Madonna». Ci si potrebbe rituffare nelle teorie dei complotti, nei grovigli politici, e in fondo questo era il sospetto di Tommaso Giglio, direttore dell’Europeo in quegli anni. Si potrebbe ragionare sul fatto che anche adesso sono in pochi a trovare la voce, e comunque è una voce flebile, per dire che pure quella volta la ragione era di Oriana Fallaci. Si potrebbero sostenere tante tesi, ma senza troppi appigli. Forse è sensato e sufficiente tornare all’inizio di questo articolo, ripetere che nel 1975 Oriana Fallaci era già Oriana Fallaci. Già quella del Vietnam, quella delle interviste ai potenti messi spalle al muro. La Oriana Fallaci detestata perché scriveva quello che nessuno sopportava leggere: in che direzione stava girando il mondo. O, per dirlo con parole sue: «Già a quel tempo e da parecchio tempo ormai ero il bambino di quella fiaba di Grimm, il bambino che dice: “Il re è nudo”».

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  10. Preferisco il Pasolini regista, seppure ci siano alcuni suoi film difficilissimi da digerire. Ho visto una sola volta “Salò”, quando uscì, nel 1975. Un film grandioso; ma avrei molta difficoltà a rivederlo.
    La sua opera cinematografica è importantissima. Non casualmente è in buona parte sparita dalle sale italiane e dalle programmazioni tv. Chi ha mai rivisto (o visto) “Mamma Roma”? Un film paradigmatico, che ci potrebbe aiutare (anche) a riflettere sulla terrorizzante realtà carceraria italiana. E “Porcile”? Sparito anch’esso dagli schermi (cinematografici e/o televisivi). E “Il fiore delle Mille e una notte”? Idem, ecc.
    I suoi film che preferisco:
    1- “Che cosa sono le nuvole?”: bellissimo, imperdibile; è un episodio che fa parte d’un film collettivo (“Capriccio all’italiana”) composto da altri cinque episodi di registi diversi.
    2 – “Il Vangelo secondo Matteo”: un film che ho rivisto, a distanza di anni, molte volte;
    3 – “Il fiore delle Mille e una notte”: l’ho visto alla sua uscita, nel 1974, e poi soltanto un’altra volta, uno o due anni dopo. Lo rivedrei volentieri.

  11. P.S. Relativo a Oriana Fallaci, citata precedentemente.
    A mio parere, ha scritto un libro bellissimo “Un uomo” e, alla fine della sua vita, un libro bruttissimo “La rabbia e l’orgoglio” emblematico, quest’ultimo libro, del ruolo svolto da alcuni importanti intellettuali nel sostenere il gravissimo degrado della cultura e della situazione sociopolitica italiana; un volume intriso di sorprendenti e rabbiosi stereotipi.

  12. “Quando penso a Pasolini, a come agiva rispetto alla società, alle cose, mi stimo molto poco”.
    (Massimo Troisi)

  13. Morte di un poeta ( per Pasolini )
    di Pasquale Lucio Losavio

    Il pratone è rosso
    del sangue del poeta.

    Avevi ragione.
    Forte la dolce voce
    ci diceva
    gli assassini della patria.
    I tempi non erano venuti
    e tu cantavi l’Apocalisse.
    Non riconosceresti nessuno
    dei figli che partoristi
    mutati ormai estranei
    non hanno più occhi puri e furbi.
    Solo l’aggeggio ipnotico
    detta senso all’esistenza.
    Ninetto canta er Piotta.
    I confini della metropoli
    non conservano innocenza.
    Tu lo sai. Vittima del sacrificio.

    Il pratone è rosso
    del sangue del profeta.

  14. Ho conosciuto Pasolini presto, e dalla strada più immediata, più diretta. Un saggio, ricordo. “Vita attraverso le lettere”, Einaudi, a cura di Nico Naldini.
    Naldini era primo cugino di Pierpaolo e ne ripercorse tutta la crescita attraverso carteggi appassionati con la madre, gli scrittori, gli amici, i giovanissimi amanti.
    Ciò che emergeva, limpida, purissima, affilata come una gemma, era la voce.
    Una voce già straziata dalle scoperte su se stesso, umilissima e mai banale, arrochita dal peso di una condanna senza appello: essere se stesso, e non poter essere altro, uomo e ancora uomo, pur nelle ristrettezze di un mondo pronto a puntare il dito, a giudicare, a maledire.
    Quelle lettere avevano già in se’ il supplizio del dopo, la mannaia che calò impietosa sulla sua vita anche a occhi ormai spenti, la coscienza, profonda e già dolentissima, di uno scontro feroce con gli altri. Con le certezze bardate e inneggianti, senza cuore nè tremori di moribondo.
    Lo sapeva e lo aveva detto:”La morte non è nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi”.

  15. di Pasolini manca il senso di autorevolezza sprigionavano le sua parole, a prescindere dal fatto che si fosse d’accordo con lui oppure no.

  16. di Pasolini manca il senso di autorevolezza che sprigionavano le sue parole, a prescindere dal fatto che si fosse d’accordo con lui oppure no.
    (a correzione dei refusi)

  17. Forse ancora più di Pasolini manca il Carisma di Pasolini. Il Carisma che esercitava con le sue parole e le sue produzioni artistiche. Oggi se ne sente la mancanza. Perche’ mancano gli intellettuali di valore? No. Quelli ci sono. E’ perche’ sono delegittimati. E’ perche’ hanno delegittimato la cultura.

  18. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. Pasolini (da Cos’è questo golpe? Io so, Corriere della sera, 14 novembre 1974)

  19. 1. Che rapporti avete con le opere di Pier Paolo Pasolini?
    Un rapporto buono, ma incompleto. Nel senso che non ho letto tutti i suoi libri e non ho visto tutti i suoi film.
    Urge recuperare.

  20. 2. Qual è quella che avete amato di più?
    Come ho detto non ho letto tutte le sue opere, ma ricordo con piacere “Ragazzi di vita”.

  21. 3. E l’opera di Pasolini che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
    Sempre “Ragazzi di vita”

  22. 5. Tra le varie “citazione” di Pasolini di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
    Non me ne viene in mente nessuna in particolare. Ma sono curiosa di leggere quelle che indicheranno gli altri commentatori.

  23. 6. A trentacinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Pasolini ha lasciato nella letteratura italiana?
    Una voce e un’icona che diventano ancora più di peso per via della carenza di punti di riferimento intellettuali.

  24. Visto da destra o da sinistra Pasolini era sempre tabù
    (LA STAMPA – 28.10.10)

    di FABIO MARTINI
    .
    Era l’autunno del 1975, Pier Paolo Pasolini avrebbe vissuto ancora pochi giorni e a quei giovani della Fgci romana che erano così intrigati dalla sua visione del mondo e così diversi dai severi dirigenti del Pci, il poeta fece una promessa: «Salò, il mio ultimo film, è terribile, ma a voi ho dedicato una scena che dovrete indovinare…». Qualche giorno più tardi, era il 2 novembre di 35 anni fa, Pier Paolo Pasolini morirà, schiacciato sotto le ruote della sua GT color argento, e quei giovani comunisti a lui così legati – Gianni Borgna, Walter Veltroni, Goffredo Bettini – dovranno aspettare la prima proiezione del film per decrittare la promessa che aveva fatto lo scrittore. Allora capirono: a loro era dedicata la scena di un giovane che saluta a pugno chiuso, interrompendo così il rosario di umiliazioni che segnava quel film così cupo.

    Una dedica che il destino finì col tingere ancor più di poesia, e che al tempo stesso allude al rapporto tortuoso e problematico tra il poeta di Casarsa e la sinistra italiana. Ma anche se Pasolini scoperchiò tante tematiche «politicamente scorrette» per la sinistra e che sarebbero potute piacere alla destra (aborto, famiglia, tradizione), dai missini fu invece osteggiato con una violenza che spesso debordò nell’odio. A questa duplice incomunicabilità, seppur di intensità molto diversa, è dedicato un libro di prossima uscita, Una lunga incomprensione. Pasolini tra Destra e Sinistra, scritto per Vallecchi da Aldaberto Baldoni e Gianni Borgna, due intellettuali di sponde opposte che coltivarono con Pasolini un rapporto di reciproca simpatia.

    Un libro che condisce l’ormai corrivo «visto da destra e visto da sinistra» con una ricca sequenza di episodi pieni di sapore e di significato. Pasolini visse un rapporto di amore e odio col Pci, partito al quale si iscrisse nel 1947 nonostante il fratello fosse stato ucciso dai partigiani comunisti; dal quale fu presto espulso dopo l’accusa di corruzione di minorenne, e che lo tenne sempre a debita distanza. Ma all’inizio degli Anni Settanta, anche se il Pci lo considera ancora un eretico («Pasolini non legge più un libro dai tempi di Lombroso e di Carolina Invernizio», scrive Maurizio Ferrara), i giovani della Fgci iniziano a frequentare lo scrittore, sono accanto a lui in manifestazioni pubbliche e in conversari privati, nella casa dell’Eur di Pasolini. E uno di quei dialoghi viene pubblicato da Roma giovani: «Il 1968 – esordisce uno dei ragazzi – ha introdotto nuovi costumi tra i giovani…». Pasolini lo interrompe: «Dici parole puramente retoriche». E suggerisce di impadronirsi della televisione: «Ci sono stati da parte del partito intrallazzi e taciti assensi. Bisogna andare a Canzonissima e impedire che si faccia la trasmissione». I ragazzi non seguono i consigli di Pasolini ma lo ammirano e lui ricambia: annuncia che alle elezioni comunali di Roma darà la preferenza proprio a Borgna. E proprio lui, ai funerali di Pasolini, accetterà di pronunciare un’orazione funebre.

    Di natura molto diversa il rapporto tra Pasolini e la destra. Negli Anni Settanta Baldoni era caposervizio Interni al Secolo d’Italia e i suoi suggerimenti di non criminalizzare un personaggio che riprendeva temi cari alla destra era liquidato dai superiori senza perifrasi: «Pasolini? Comunista e frocio!». Erano anni in cui l’Msi non esisteva sui giornali e dunque le proiezioni dei film di Pasolini diventavano l’occasione per i giovani di destra per farsi un po’ di «pubblicità» grazie a trafiletti sempre uguali: «Gazzarra fascista davanti al cinema…». Ma Baldoni sperimentò la delicatezza d’animo del poeta. Una volta, contando di non essere riconosciuto, andò a seguire un dibattito nel quale parlava Pasolini, che riconobbe Baldoni, ma non disse nulla: «E quelli erano anni in cui, se avesse “suggerito” la mia presenza, per me sarebbe finita male».
    (LA STAMPA – 28.10.10)

  25. “Mangiamoci Pasolini in salsa piccante”
    (LA STAMPA – 31.10.10)

    di MARCO BELPOLITI

    Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere». Con questi versi si apre la quarta parte de Le ceneri di Gramsci, pubblicate nel 1957 da Pier Paolo Pasolini. Versi che esprimono in forma efficace il suo atteggiamento, non solo di poeta, ma anche di uomo.

    Parole nette: lo scandalo, la contraddizione, l’essere con te e contro di te, il cuore e le viscere, la luce e il buio. Parole che commuovono e che chiedono, com’è stato detto, una fraterna e totale complicità. La complicità con chi ti sta dicendo che è con te e contro di te nel medesimo tempo. Una contraddizione, ma anche un’identificazione. Questo è Pasolini. Alfonso Berardinelli in un suo saggio ha perfettamente individuato la «sublime autocommiserazione» e l’«orgoglio irremovibile della vittima» grazie al quale Pasolini ha potuto esprimere al meglio il suo messaggio. L’effetto è quello dell’emozione e della repulsa insieme: «I conflitti morali in cui Pasolini trascina il lettore sono conflitti che riguardano anzitutto lui: amarlo o respingerlo. Ma è lui stesso che sembra costretto, nello stesso tempo, ad accettarsi o a respingersi». Che è quello che ci chiede con i suoi versi – sulla mia generazione, ma anche su quella dei miei fratelli maggiori, e anche dei padri, l’intellettuale corsaro e luterano ha avuto un’influenza decisiva, sino al ricatto, o all’auto-ricatto morale -: essere con lui e contro di lui.

    Un esercizio difficile, ma necessario quasi non fosse possibile che l’aut aut, e non già l’et et. Tuttavia ora è venuto il momento dell’et et: possiamo accettarlo e respingerlo nel contempo. Per fare questo occorre penetrare nelle motivazioni con cui Pasolini, a partire dal 1968-69, ha acuito la sua analisi della società italiana, della omologazione in corso, dell’inarrestabile «mutazione antropologica». Ragioni che risiedevano, e risiedono, nella sua estetica, che è poi la fonte della sua etica. Pasolini è stato osteggiato, escluso e perseguitato in vita, non solo dalla destra, dai giudici, dai giornali benpensanti e reazionari, ma anche dalla sinistra. Che non apprezzava la sua contraddizione, che respingeva la sua scandalosa omosessualità, mai nascosta ma sempre esibita, fonte e ragione della sua ispirazione poetica. E soprattutto politica. L’etica di Pasolini infatti si fonda sull’estetica omosessuale, come è evidente sin dal primo articolo comparso sul Corriere della Sera nel gennaio 1973 e dedicato ai «capelli lunghi», ai corpi dei ragazzi, scritto che ora apre Scritti corsari (1975).

    Certo c’è chi l’ha amato incondizionatamente anche a sinistra, in particolare tra i giovani aderenti al Partito comunista, cui Pasolini ha dedicato dopo il 1970 una forte attenzione e un’incrollabile speranza; ma anche questi ammiratori con ogni probabilità non hanno mai davvero preso atto della sua omosessualità, l’hanno ideologicamente sublimata, come accade sovente nell’entusiasmo dell’essere giovani, cogliendone gli esiti politici polemici ma non certo le premesse estetiche. Poi l’atteggiamento si è rovesciato: il mondo intellettuale, la società letteraria e quella giornalistica, e perfino la politica, sia di destra sia di sinistra hanno vissuto la morte di Pasolini alla stregua di un’accusa, come un ricatto cui era impossibile sottrarsi. Come in una nemesi divina, l’ammirazione verso il poeta ha finito per nascondere una sorta di rancore, di risentimento, prodotto dalla sua «diversità», e tramutato nel suo opposto.

    Oggi, a 35 anni di distanza, c’è chi ne fa la vittima, se non proprio il martire, delle trame occulte che dal 1969, e anche prima, hanno intorbidato e manipolato la storia del nostro paese: Pasolini assassinato dai servizi segreti deviati; Pasolini che scopre le piste nere, gli autori degli attentati neofascisti e per questo viene eliminato. Una fantasia? Con ogni probabilità sì, ma anche il sintomo, in senso psicoanalitico, della propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana, o almeno alcuni intellettuali, scrittori, e persino giudici. Il Grande complotto, quello che Umberto Eco e Carlo Ginzburg hanno raccontato con efficacia in due opere diversissime ma illuminanti, Il pendolo di Foucault e Storia notturna, alla fine degli anni Ottanta, nella convinzione che occorresse liberarsene in modo definitivo. In questo modo l’attesa messianica di una Giustizia finale sul delitto Pasolini, come su tanti altri attentati, omicidi, atti eversivi degli anni Settanta – visti come un’unica catena -, finisce per diventare paralizzante e per sostituirsi a una più terrena e contingente giustizia. Come se rivelando il Complotto al paese, per questo solo fatto, lo si potesse davvero, e di colpo, dissolvere.

    Senza rinunciare a ricercare gli autori dell’omicidio del poeta – molte cose restano oscure – è però venuto il momento di fare i conti con Pasolini seguendo le sue stesse indicazioni, ovvero perseguendo quella contraddizione che ci addita nei versi de Le ceneri di Gramsci, quella contraddizione che spesso costituisce una sorta di scacco per chi legge le sue opere, per chi vuole comprenderne le ragioni e farle sue: andare oltre Pasolini con Pasolini. Le accogli o le respingi. Tutto nel poeta e nel corsaro e luterano è così: innocenza e colpevolezza, onestà disarmata e mistificazione ingegnosa. Pasolini lo si accetta in toto o lo si rifiuta. È il suo ricatto, condotto sino alle forme estreme, di cui la stessa morte, al di là delle molte cose oscure, appare in definitiva come il ricatto dei ricatti. Una morte di cui non sembriamo più in grado di liberarci; per farlo, come accade e ancora accadrà, ci s’inventa un complotto e ci si fa detective e accusatori per stornare da sé quella estorsione, più interiore che esteriore, che Pasolini compie in ognuno di noi.

    Per andare oltre Pasolini con Pasolini bisogna seguire il consiglio che il Corvo dà ai due suoi compagni di strada, Totò e Ninetto, in Uccellacci e uccellini: i maestri si mangiano in salsa piccante. Piccante, se possibile, per digerirli meglio. Attuare il procedimento di cui il poeta è stato un maestro: divorare chi ci ha preceduto in sapienza, intelligenza ed età, ingerire con il maestro anche il suo sapere e la sua forza. Restando a livello del solo amore o, al contrario, della sola repulsa, non c’è scampo. Amarlo fino al punto di divorarlo, e ingerirlo per digerirlo.

    Se negli anni Settanta la sinistra intellettuale e politica disdegnò gli articoli del poeta comparsi su giornali e riviste, spesso pensando, o dicendo ad alta voce, che si trattava di cose già dette e ridette, da Marcuse, da Adorno, da Horkheimer, una sorta di divulgazione di ben maggiori pensieri espressi decenni prima, oggi invece Pasolini diventa l’unico sociologo, o pensatore, o moralista, in grado di interpretare la grande trasformazione italiana dagli anni Sessanta in poi, mutando l’indifferenza o l’ostilità di un tempo in ammirazione sconsiderata; e non solo la sinistra, ma anche la destra non fa che manifestare questa devozione senza riserve ora, dopo averlo crocifisso con calunnie e campagne di stampa. Dell’autore di Salò, ora ci viene sovente offerto un santino quasi fosse – e per tanti magari lo è – il Padre Pio della sinistra, bisognosa, come i fedeli dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo, di uno sciamano che decifri in modo rabdomantico il presente, un sant’uomo cui rivolgersi con religioso stupore e abbandonata fiducia per conoscere il nostro futuro anteriore.

    Mangiare Pasolini per capirlo meglio, per trarre forza da lui, dalla sua contraddizione, per non subirla, ma per declinarla. Per non restare vittime del complesso-Pasolini che attanaglia ancora chi attende la palingenesi generale della nostra società, tutta da salvare o tutta da perdere, inclinazione moralistica che il poeta per primo avrebbe, ne sono certo, colpito e sferzato con la sua urticante vis polemica.

  26. torno dopo, con più calma. per il momento lascio questa considerazione. credo che la figura di Pasolini sia stata mitizzata proprio a causa della tragica fine.
    bisognerebbe riconsiderare il valore letterario ed intellettuale di Pasolini separandolo dalle tristi vicende che ne hanno segnato la fine.
    siete d’accordo?

  27. “Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo”
    Pier Paolo Pasolini
    da Il successo: l’altra faccia della persecuzione, intervista con Enzo Biagi (Filmato e trascrizione testuale dagli archivi Rai)

  28. La tv: qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d’importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come “valletta”.
    Pier Paolo Pasolini
    (al “maschio” Mike Bongiorno e affini). (dall’intervista di Dacia Maraini, «Ma la donna non è una “slot machine”»)

  29. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù… (dai Dialoghi con Pasolini, settimanale Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961)

  30. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.
    Pier Paolo Pasolini
    (dal Corriere della sera, 9 dicembre 1973)

  31. molto interessanti i video, grazie. non avevo mai ascoltato l’ultima intervista rilasciata da Pasolini.

  32. @ simone prenna
    sono d’accordo. bisognerebbe separare il valore letterario ed intellettuale di Pasolini, dalle tristi vicende che ne hanno segnato la fine. però è anche nell’ordine naturale delle cose che personaggi pubblici che muoiono in circostanze particolari finiscano con l’essere “mitizzati”. penso a Marilyn Monroe, John Lennon, Lady Diana.

  33. Uno dei motivi per cui apprezzo Pasolini – figura controversa, non ‘è dubbio – è il coraggio con cui ha presentato al mondo la sua omosessualità.
    L’ha fatto in un contesto ben più difficile di quello odierno…

  34. ho ascoltato il primo dei tre video proposti.
    Pasolini dice: “Scrivere è una cosa completamente priva di senso. Scrivo per inerzia, perché ho sempre scritto”.
    Questa affermazione mi pare priva di senso. non la capisco. Perché uno scrittore dovrebbe dire che scrivere non ha senso? Non è un po’ come delegittimarsi come scrittore?

  35. comunque anch’io preferisco il Pasolini regista, come ha detto Subhaga Gaetano Failla.

  36. Pasolini, scene da un delitto – di Laura Antonini
    ***
    Lo scrittore fu ucciso il 2 novembre 1975 a Ostia in circostanze mai chiarite. Lucia Visca, la prima cronista che arrivò sul luogo dell’omicidio, ora ricostruisce tutto in un libro-inchiesta: dalla confessione di Pelosi fino alla recente riapertura delle indagini
    (29 ottobre 2010)

    continua su “L’Espresso”…
    http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pasolini-scene-da-un-delitto/2137316/9

  37. – corri stanno uccidendo pierpaolo,
    corri che siamo testimoni e ho paura. –

    lo hanno colorato pop pierpaolo
    e ci servono aperitivi al pigneto
    su grandi sottobicchieri con il sorriso,
    giallo, rosso e verde, di pierpaolo
    come fosse marylin, pierpaolo.
    era diverso e l’hanno pestato pierpaolo.
    ti trucidano solo per farti pop. blu.

    che la storia fosse diversa,
    almeno una volta, mi sarebbe piaciuto
    festeggiarlo qui con un bel brindisi.
    salut pierpaolo

    ma ora che vi dico divertito?
    non leggetelo pierpaolo;
    non parlatene mai
    non passatelo in TV
    che resti vivo e làscito
    al proprio pubblico
    a chi lo ama, ai pochi che
    lo hanno amato allora pierpaolo.
    censuratelo ora pierpaolo,
    salvatelo dall’inesorabile
    corruzione morale
    e la politica, l’esistente
    e ciò che non è più reale
    resti lontano da ostia
    nel giorno dei morti.

    giù i calici sulla tua tomba
    a pierpaolo solo i gigli.

    il resto l’ho messo tutto qui.

    https://docs.google.com/fileview?id=0Byf3QtDwAHxaY2MxNjg5Y2MtMDhjOS00YTc5LWFkNjUtYWM0NzM5YWYzZDIy&hl=it

  38. Forse non tutti sanno che Pasolini era un grande amante del calcio, nonostante si tratti di un gioco di massa.

    Non ha importanza dove si è nati, quando come e dove si sono avuti i primi approcci con il calcio, per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita. Io abitavo a Bologna. Soffrivo allora per questa squadra del cuore, soffro atrocemente anche adesso, sempre.
    (citato in Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini, Limina, Arezzo 1996)

  39. @Simone Prenna. E’ vero, bisognerebbe separare la figura di Pasolini da quell’epilogo. Da quel corpo riverso, misterioso nella sua fissità. Segreto.
    Ma come riuscire di fronte al valore profetico di certe sue parole? Per esemio:
    “…. Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile.
    Come finirà tutto ciò? Lo ignoro…”

  40. Sarò breve Massimo, e saròllo cioè perchè in realtà io non divrei commentare questo post, ma così saluto te e tutta la brigata.
    Diròllo
    Diròllo Diròllo
    Ma io ecco, Pasolini ecco, io Maremma prosopopea LO DETESTO! Io detesto proprio il mondo concettuale, l’atteggiamento mentale una serie di vezzi della sinistra che ha portato lui. Alla domanda per me fondamentale – che capisco non cambierà la vita de nessuno, lo vorresti a cena coll’amichi tua? Manco a li cani!
    Detto questo – a me il Pasolini cinemino piace molto. Amo moltissimo il suo Vangelo. Gli riconosco grandissima e meritata importanza, a tratti riesco a leggerlo volentieri.
    Naturalmente massimo rispetto per i pasolonisti oltranzisti, e anche per quelli moderati, abbasta che quando cominciano co “Pasolini diceva” non mettano al seguito anche un sospiro di rammarico colla pausa teatrale…
    Niente tolgo il disturbo:)

  41. E grazie a: Pasquale Lucio Losavio, Simona Lo Iacono, Ivano, Andrea, Ste, Amelia Corsi, Simone Prenna, Sandra, Leo, Laura, Vincenzo Locarro, Gianni, Mariella Lo Giacomo, Fabio Masetti, Filippo e Zauberei.

  42. Se qualcuno di buona volontà volesse inserire informazioni biografiche su Pasolini e approfondimenti sulle singole opere… ne sarei davvero grato.
    Potrebbe essere un modo per far conoscere un po’ meglio (e un po’ più) l’autore protagonista di questo post.

  43. forse bisognerebbe aprirla quella scatola: a molti adoratori di Pasolini, il libro di Belpoliti non farà piacere.

  44. Stando alla recensione letta su TuttoLibri è un po’ imbarazzante…
    spinosa la lente dietro la quale Belpoliti scruta l’universo pasoliniano. Però un amante dello scrittore deve necessariamente confrontarsi con quel testo…

  45. Ho aggiornato il post inserendo la nota di quest’altro libro: “Storie bastarde. Quei ragazzi cresciuti tra Pasolini e la Banda della Magliana” di Davide Desario
    (Avagliano, 2010)

  46. Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975) è stato uno scrittore, poeta, regista e giornalista italiano.

    È internazionalmente considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Dotato di un’eccezionale versatilità culturale, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi come poeta, romanziere, linguista, giornalista e cineasta.

    Attento osservatore della trasformazione della società dal dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi italiana, ma anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti.

  47. L’INFANZIA E LA GIOVINEZZA

    Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale romagnolo Carlo Alberto e della maestra friulana Susanna Colussi, nacque nella zona universitaria di Bologna, in una foresteria militare, in Via Borgonuovo 4, ove ora c’è una targa in marmo che lo ricorda.
    A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che risiedeva a Parma, nel 1923 si trasferì a Conegliano, e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guidalberto. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo prima di compiere i sei anni fu iscritto alla prima elementare.
    Pier Paolo a CasarsaL’anno successivo traslocarono in Friuli, a Casarsa della Delizia, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti di gioco. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ripresero i trasferimenti ad un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa.
    « … vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana. »
    Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa.
    Dopo un breve soggiorno a Idria (oggi in territorio sloveno), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. A Conegliano iniziò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 1932-1933 il padre fu trasferito a Cremona dove la famiglia rimase fino al 1935, quando ci fu un nuovo spostamento a Scandiano (con gli inevitabili problemi di adattamento). In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Al ginnasio di Reggio Emilia conobbe il primo vero amico della giovinezza, Luciano Serra, che incontrò ancora l’anno seguente al Liceo Galvani di Bologna.
    A Bologna, dove trascorrerà sette anni («Bella e dolce Bologna! Vi ho passato sette anni, forse i più belli…») Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati del Portico della Morte. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni.
    Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno.
    Pier Paolo Pasolini con gli amici a Bologna nel 1937Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative.
    Frequentava intanto il Cineclub di Bologna dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu promosso capitano di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, cosicché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal Regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana.
    Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa, e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio:
    « L’unità spirituale e il nostro modo unitario di sentire sono notevolissimi, formiamo già cioè un gruppo, e quasi una poetica nuova, almeno così mi pare. »
    I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale:
    « Davanti a Eredi dovremo essere quattro, ma per purezza uno solo. »
    La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Iniziarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano anche se le poesie inviate agli amici continuavano ad essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana.

  48. LE PRIME ESPERIENZE LETTERARIE

    Di ritorno da Casarsa all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati a spese dell’autore e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi.
    A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolse all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto durante i giorni dell’otto settembre del 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli per poi rinunciarvi e passare ad una tesi più motivata sulla poesia del Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di letteratura Italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’Antologia della lirica pascoliana tra il 1944 e il 1945, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche cui è informato lo studio, una personale selezione di testi dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. La discussione della tesi fu il 26 novembre 1945, ma solo nel 1993 l’Antologia vide la luce per i tipi della casa editrice Einaudi.
    La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche fronda culturale. Pasolini aderì e ne diventò redattore capo, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo soli sei numeri ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista.
    Sempre in quell’anno partecipò ad un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo – evidentemente sfuggito alla censura – Cultura italiana e cultura europea a Weimar, che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul “Setaccio” tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo, e della sofferta sensibilità critica.

  49. IL PERIODO DELLA GUERRA

    Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare:
    « Un continuo turbamento senza immagini e senza parole batte alle mie tempie e mi oscura. »
    Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando:
    « Ho voglia di essere al Tagliamento, a lanciare i miei gesti uno dopo l’altro nella lucente cavità del paesaggio. Il Tagliamento qui è larghissimo. Un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro. Ci sono arrivato ieri in bicicletta, giovane indigeno, con un più giovane indigeno di nome Bruno… »
    Alla vigilia dell’Armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Livorno nel 1943, all’indomani dell’8 settembre disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia con i quali il giovane Pasolini cercò di formare un gruppo culturale che rivendicasse l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio del 1944 con il titolo “Stroligùt di cà da l’aga” (“Lunario [pubblicato] di qua dell’acqua [il Tagliamento]”).
    Nel frattempo la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti di fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò ed iniziavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto aprì in casa sua una piccola scuola privata per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine. Nell’ottobre del 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di un chilometro per raggiungere la loro sede scolastica. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. In questo periodo Pier Paolo visse il suo primo amore per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalč, che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. La vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra.
    Il 7 febbraio del 1945, a Porzus, in Friuli Venezia Giulia, una milizia di partigiani filocomunisti massacrò la Brigata Osoppo, gruppo di partigiani moderati: si trattava del famoso Eccidio di Porzus. Tra i caduti c’era anche Guido, fratello diciannovenne di Pier Paolo. Questa notizia giunse a Casarsa diverse settimane dopo la fine della guerra gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l'”Academiuta di lenga furlana” che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi[3] e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale:
    « Friulanità assoluta, tradizione romanza, influenza delle letterature contemporanee, libertà, fantasia. »
    Pier Paolo Pasolini e la scolaresca della scuola media di ValvasoneIn agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, iniziò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati in un primo volumetto a spese dell’autore. Nello stesso anno aderì all'”Associazione per l’autonomia del Friuli” e dopo il ritorno del padre, prigioniero degli inglesi in Africa poi rimpatriato dal Kenya, Pasolini discusse la tesi di laurea su Antologia della poesia pascoliana: introduzione e commenti. Con la laurea il ruolo di Pasolini come insegnante-direttore della scuola, che era stato fortemente contrastato dal provveditorato dal momento che alla sua fondazione egli non era ancora laureato, divenne effettivo.

  50. GLI ANNI DEL DOPOGUERRA

    Uscirono intanto nel 1946, con la data del 1945, sulle “Edizioni dell’Academiuta”, una breve raccolta di poesie intitolata I Diarii e, sulla rivista fiorentina Il Mondo, due poesie scelte e tratte dalla raccolta dallo stesso Montale. Isolato a Versuta (la casa di Casarsa fu distrutta dai bombardamenti) Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga dove risiedeva la famiglia Mauri, e approfittando dell’occasione si recò a Domodossola per incontrare Contini.

    Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. In ottobre Pasolini si recò a Roma dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria” e nel maggio iniziò le prime pagine del diario intimo che chiamò Quaderni rossi perché scritti a mano su quaderni scolastici dalla copertina rossa. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti.

    La loggia di San Giovanni, dove Pasolini affiggeva i suoi manifesti politici giovanili, prima d’essere espulso dal partitoIl 26 gennaio del 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano “Libertà” di Udine una dichiarazione che farà scalpore tra i politici comunisti che smentirono la sua iscrizione al PCI: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad:

    « L’altro è sempre infinitamente meno importante dell’io ma sono gli altri che fanno la storia. »

    Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo.

    Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però ad ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Malgrado queste delusioni letterarie egli si sentiva felice e scriverà agli amici:

    « Sono sereno e anzi, in preda a un’avida e dionisiaca allegrezza. »

    Alla fine dell’anno ottenne l’incarico di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI partecipò nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in Maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace. Nell’ottobre dello stesso anno, Pier Paolo venne però denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico e i suoi avversari politici, sfruttando lo scandalo, lo accusarono di omosessualità[4] mentre i dirigenti del PCI di Udine decisero di espellerlo dal partito. Gli venne anche tolto l’incarico dall’insegnamento.

    Trascorsero due mesi molto difficili per Pier Paolo che nel gennaio del 1950 si rifugerà con la madre a Roma. I primi tempi a Roma saranno difficili per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Mentre cercava senza successo di dare lezioni private, si iscrisse al sindacato comparse di cinecittà, si offrì come correttore di bozze presso un giornale, riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva iniziato in Friuli: Atti impuri, Amado mio, La meglio gioventù. Inizia a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, che saranno in seguito riprese in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, che diventò l’amico inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel ’51 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo aiuterà ad apprendere il gergo e il dialetto romanesco costituendo, come scriverà lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente, nel dicembre dello stesso anno, fu assunto come insegnante nella scuola media parificata di Ciampino. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di “Ragazzi di vita”, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre del ’52 con una recensione di Eugenio Montale.

    Nel 1953 prese a lavorare ad una antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo segnalò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo.

    Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta (LU). Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto “per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila”.

  51. pasolini o lo ami o lo odi, lo capisco, ma è indubbia la sua onestà intellettuale, la feroce e disarmante verità con cui sapeva dire di se stesso. solo con questa assoluta trasparenza ha potuto dare vita al vangelo. ha potuto tagliare la figura di Cristo con fedeltà e giustizia. se è riuscito è stato perchè non fuggiva al problema della morte, non fuggiva a ciò che era e a ciò che amava, non si negava all’appello. diceva infatti di questo suo film: “Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile”.
    e non è demistificabile perchè è la morte il compimento delle potenzialità, il significato necessario, la soglia tra indicibile e detto. come quando riflette: “È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità”.
    non è un caso che le ultime parole dalla croce siano parole rivolte alla comunicazione, alla comprensione del mistero, alla traduzione dell’insondabile:”Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie”.
    e non è un caso, neanche, che Maria sia la stessa madre di pasolini, fattasi maternità di una resurrezione aspirata, voluta, cercata senza nascondersi. forse senza assolversi.

  52. Prime esperienze cinematografiche e pubblicazioni letterarie

    Risale al marzo del 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume e a giugno venne pubblicata l’intera opera delle sue poesie friulane, La meglio gioventù, con la dedica a Gianfranco Contini che vince il premio Carducci ex aequo con Paolo Volponi.
    Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio del 1955 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera “Le ceneri di Gramsci”.

    Il 13 aprile del 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità.
    Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il “Premio letterario Mario Colombi Guidotti”.
    Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la denuncia di “carattere pornografico” del libro.

    Il 28 ottobre del 1955 il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà presto “Officina”, rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile “Eredi”.
    Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi, procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente.

    Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura di un film di Luis Trenker. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura iniziano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini:

    « Procedo parallelo per due binari speriamo verso nuove stazioni. Non ne inorridisca come fanno i letterati mediocri qui a Roma: ci senta un po’ di eroismo. »

  53. Polemiche e denunce

    Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Salinari e Trombatore che scrivevano sul Contemporaneo.
    A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze: di Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi “perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati” e non contenente oscenità perché “i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà”. E di Giuseppe Ungaretti che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni[5].

  54. Credo che questo post su Pier Paolo Pasolini si possa ben collegare con quello precedente su Shield, per sottolineare ancora una volta la differenza fra Realtà e realismo, più specificatamente “neo-realismo pasoliniano”. Parlo di un intellettuale che si occupava prinicipalmente del “sociale” attraverso immagini e scritti che miravano al diseredato, alla povertà estrema, alle frangie dell’umanità ai margini della società, mirando ad un forte “impatto emotivo” su chi vive altre realtà. Generalmente Pasolini detestava la borghesia.
    Dal video dove viene intervistato da un bravo giornalista francese, Pier Paolo Pasolini ammette di provare un certo gusto nel “fare scandalo”, anzi, in un certo senso, sottintende di voler fondare la propria arte sul crudo manifesto delle problematiche umane. Alt. Poichè qualcuno sta già pensando che queste forme realistiche siano state il modo più diretto per parlare di verità e dare la frustata psicologica. Punti di vista. Forse ci vuole anche questo.
    A me piacciono i quadri di Boch popolati da milioni e milioni di uomini-insetti, straordinario l’espressionista francese Rouàlt che riesce a dipingere la luce dentro strani bizantinismi persino con figure circensi, qualcuno conosce Courbèt caposcuola del realismo francese dell’ottocento e la sue dettagliate scene da osteria? o ancora i ritratti di Gèricault, vero conoscitore della psiche e del Lombroso, a quel tempo le indagini si facevano così…

  55. Ho inserito un po’ di notizie (fonte Wikipedia). Il resto a dopo, o a domani.
    Mi è molto piaciuto il post di terzo anno di lettere moderne.
    Ciao.

  56. Scelgo questa citazione:
    “Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”
    (dai Dialoghi con Pasolini, settimanale Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961)

  57. Mi riesce difficile parlare della statura artistica di Pier Paolo Pasolini: immensa, profetica, moderna. Ecco a trentacinque anni dalla morte penso che la sua eredità consista nella grande attualità della sua opera. Lui c’è sempre anche se non c’è più. E’ difficile parlare di Pasolini, dunque, per la complessità, la vastità di tutta la sua produzione artistica e mi sento tanto “piccola” per esprimere qualsiasi cosa che lo riguardi. Se proprio devo dare delle preferenze voglio allora ricordare i suoi film: il Decameron, il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci Uccellini (quelli che ho amato di più), l’inchiesta televisiva Comizi d’amore che è lo specchio di un cambiamento epocale dell’Italia, le raccolte di scritti Petrolio, Scritti Corsari. C’è stato tanto, tanto nell’uomo e nell’artista. Intellettuale profondo, di lucida onestà, Pier Paolo Pasolini ha lasciato tracce incancellabili e, credo, una perdita profonda. Delia

  58. ”Pasolini e il teatro” sara’ anche il contesto in cui mettere a fuoco la drammaturgia di Pier Paolo Pasolini. In altre parole, come spiega Pressburger “la sua capacita’ di fondere e prevedere elementi che affluiscono dal teatro barocco cosi’ come dal teatro greco antico, e che nel mio ‘Caldero’n’, portato prima in scena e poi trasposto nel 1981 in un film (premiato col Globo d’Oro e il Premio della Criticas internazionale al Festival di San Sebastia’n), ho cercato di riportare, inserendo la presenza di un grande coro di trenta elementi, un rimando alla grecita’ che Pasolini voleva introdurre pur salvando le forme del teatro barocco”. ”Pasolini e il teatro” e’ un cartellone di incontri, tavole rotonde, proiezioni e letture ideato da Angela Felice, direttore del Centro Studi Pasolini di Casarsa, e da Stefano Casi, docente al Dams di Bologna, studioso del teatro pasoliniano, ed e’ organizzato con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Assessorato alla Cultura, della Provincia di Pordenone e della Citta’ di Casarsa. Nelle giornate di mercoledi’ 10 e giovedi’ 11 novembre, inoltre , ci sara’ il convegno internazionale di studi recenti sul teatro di Pasolini, per la cura di Gerardo Guccini e Stefani Casi che si svolgera’ nella sede del Cimes-DMS di Bologna: previsti tra gli altri gli interventi di Martina Banchetti, Andrea Biasi, Paola Bignami, Alessandro Cadoni, Stefano Casi, Barbara Castaldo.

  59. Cineasta e scrittore

    Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Fellini alle Notti di Cabiria.
    Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale “Il Punto” (la prima recensione sarà per “La Bufera” di Montale) e assiste i nuovi giovani scrittori di “Officina”, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo ’63.
    Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri.

    Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in Ungheria – Rivolta di Poznań – ) il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta.

    Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori.
    Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”.

    Collaborò intanto a “Vie Nuove” e a luglio, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a “Una vita violenta”, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, “La notte brava”, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti”.

    Nel dicembre del 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo del 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega.
    Apprezzato e stimato comunque da una consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani.

    Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Traduce l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo.
    L’Azione cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia “per oscenità” alla magistratura per “Una vita violenta”, denuncia che verrà però subito archiviata.

  60. Il suo primo film: Accattone

    Nell’anno 1960 Pasolini iniziò a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, raccolse i versi de La religione del mio tempo e soprattutto si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del ’43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati.
    Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone.
    L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini, al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio.
    Federico Fellini, per il quale aveva scritto una scena de La dolce vita, lo aiutò a realizzare due sequenze del film.

    Pasolini presentato come corruttore della gioventù sul settimanale di destra “Il borghese” nel 1960Il 30 giugno di quello stesso anno Pasolini ricevette una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente ma l’accanimento contro la sua persona lo amareggerà molto.

    « Questa è una cattiveria, che, a colui che ne è colpito, dà un profondo dolore: gli dà il senso di un mondo di totale incomprensione, dove è inutile parlare, appassionarsi, discutere; gli dà il senso di una società dove per sopravvivere, non si può che essere cattivi, rispondere alla cattiveria con la cattiveria… Certamente quello che devo pagare io è particolarmente pesante, delle volte mi dà un vero e proprio senso di disperazione, ve lo confesso sinceramente. »

    Sempre nel ’60 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile.
    Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India.
    A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”.

    Erano intanto iniziate nel mese di aprile le riprese del film l’Accattone che a settembre viene presentato al Festival di Venezia. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson.

  61. GLI ANNI SESSANTA

    Nell’autunno del 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962, annoverando fra gli interpreti Anna Magnani.
    Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia ottenendo un grande successo.

    Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, ad un film a episodi insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il primo marzo del 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di stato”.

    Pier Paolo Pasolini durante il processoIl processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno.

    Come scriverà Alberto Moravia su L’espresso:

    « L’accusa era quella di vilipendio alla religione. Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana. »

    Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio iniziò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo.
    Insieme al biblista Andrea Carraro e un troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi.
    Dopo averlo cercato tra poeti come Evtusenko, Ginsberg e Goytisolo, trovò per caso uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta.

    Contemporaneamente alla preparazione del film Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Iniziò a scrivere La Divina Mimesis, il rifacimento in romanesco del Miles gloriosus di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il menabò e la Notizia su Amelia Rosselli.

    Nel maggio del 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile iniziarono le riprese del Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera è stata girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali.
    Il film, presentato a settembre dello stesso anno a Venezia, venne stroncato all’inizio da molti intellettuali di sinistra tra i quali Sciascia e Fortini. Il film venne presentato a Parigi malamente accolto da alcuni critici di sinistra tra i quali Jean-Paul Sartre. Ma il film, presentato in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes. Nel mese di ottobre del 1965 iniziarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown. I titoli di testa e di coda del film sono cantati da Domenico Modugno.

    Nel novembre del ’65 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia.

    In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala, partirà per un viaggio in Nord Africa.

    Già sofferente di ulcera, nel marzo del 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa.
    Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero.

    Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse.

    Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre ad elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón.
    In agosto si recò a New York e durante il soggiorno pensò di ambientare in questa città un film su San Paolo. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg che rincontrerà l’anno seguente a Milano.

    All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un cortometraggio dal titolo La terra vista dalla luna con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli.
    Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese del breve film Che cosa sono le nuvole?, ancora con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno.
    In aprile ebbero inizio le riprese dell’Edipo re nei deserti rossi del Marocco del sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna.
    Il film, che verrà presentato alla Mostra di Venezia quello stesso anno, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone.
    Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico.

    Nel marzo del 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film che verrà presentato alla Mostra di Venezia quello stesso anno e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “premio Ocic”. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: “A chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste”.

  62. Autore di canzoni

    A partire dagli anni ’60 Pier Paolo Pasolini fu anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore.

    Le prime canzoni furono scritte su musica di Piero Umiliani, e vennero incise da Laura Betti nel 1961: si tratta di Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione; Il valzer della toppa venne in seguito reinciso da Gabriella Ferri, che lo inserì nel 1973 nel suo album Sempre, mentre Cristo al Mandrione fu reinterpretato da Grazia De Marchi (e, nel 1997, dalla Ferri nel suo album Ritorno al futuro).

    Nel 1963 collaborò con Sergio Endrigo, per cui prepara un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano.

    Nel 1967 collabora con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole:

    « Recitai nell’episodio Cosa sono le nuvole, e dal titolo del film nacque anche una canzone, che scrivemmo insieme. È una canzone strana: mi ricordo che Pasolini realizzò il testo estrapolando una serie di parole o piccole frasi dell’Otello di Shakespeare e poi unificando il tutto »

    La canzone è poi stata reinterpretata dagli Avion Travel nell’album Vivo di canzoni. Modugno aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando i titoli di testa e coda del film Uccellacci e uccellini, che il regista aveva scritto in forma letteraria su musica di Ennio Morricone.

    Nel 1968 collabora con il gruppo di rock psichedelico Chetro & Co., per cui scrive il testo della canzone Danze della sera (suite in modo psichedelico), adattandolo da una sua poesia intitolata Notturno.

    Inoltre nel 1992 Alice ha inciso nell’album Mezzogiorno sulle Alpi la canzone La recessione, un testo di Pasolini messo in musica da Mino Di Martino (ex chitarrista dei Giganti).

  63. La polemica con i giovani sessantottini

    In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! che, destinata alla rivista “Nuovi Argomenti” uscì, senza preavviso, su l’Espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia.

    « Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale. »

    La poesia venne strumentalizzata da alcuni, non capita da altri, e ancora oggi, scomparso l’autore, viene spesso citata per sostenere tesi differenti. Può essere illuminante sulle reali intenzioni di Pasolini andare a rileggerne la versione integrale e soprattutto la tavola rotonda che l’Espresso ospitò qualche settimana dopo la pubblicazione, tavola rotonda a cui partecipò Pasolini stesso; nonché quanto lo stesso autore scriverà un anno dopo (17 Maggio 1969) nella rubrica “Il Caos” sul settimanale Tempo.

    Nello stesso anno Pasolini girò La sequenza del fiore di carta con Ninetto Davoli tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”.

  64. Fine anni sessanta, tra teatro e cinema

    Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano con un giudizio negativo sui testi scritti di Dario Fo.
    Il 27 novembre rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, alla fine del 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile.

    Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra.
    Dopo Porcile, che l’autore ritenne “il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente”, realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa.
    Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda, Tanzania e Tanganica per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana.

    Intanto era arrivato il 30 agosto e il film venne rappresentato alla Mostra di Venezia ma, ancora una volta, fu giudicato film poco gradevole e incomprensibile.

  65. >Avete già detto tanto,è sicuramente stato un grandissimo intellettuale e un artista versatile.Io forse lo preferisco come regista,uccellacci uccellini,il vangelo secondo matteo.Non amo particolarmente le posizioni radicali ma credo che Pasolini sia figli della onesta opposizione di quei tempi.I suoi scritti più rappresentativi credo Petrolio e Ragazzi di vita.Attuali e importanti opere. L’ho conosciuto da ragazzina scovando in casa un libro che ha suscitato in me grandi curiosità:L’odore dell’India.Posso dire che mi ha dato il desiderio di viaggiare e conoscere mondi lontani di cui non sapevo neppure l’esistenza.
    un saluto a tutti

  66. Pur riconoscendone le grandi doti intellettuali, il Pasolini scrittore non sono mai riuscito ad apprezzarlo come forse meriterebbe. Meglio il Pasolini regista, almeno per me.

  67. I miei film preferiti di Pasolini, in ordine di preferenza:
    Il Vangelo secondo Matteo (1964)
    Uccellacci e uccellini (1966)
    Mamma Roma (1962)

  68. Alberto ha indicato i tre film di Pasolini che preferisco anch’io. Però invertirei le prime due posizioni.
    1) Uccellacci e uccellini (1966)
    2) Il Vangelo secondo Matteo (1964)
    3) Mamma Roma (1962)

  69. Ringrazio Pasolini per avermi regalato una prospettiva “corsara” sulle cose. Invito tutti a rileggere i suoi versi, un vero fiume carsico di emozioni più che di concetti. Spero che abbia trovato pace e che un giorno si faccia davvero luce sulla sua fine.

  70. « Mi chiederai tu, morto disadorno,
    d’abbandonare questa disperata
    passione di essere nel mondo? »
    (Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci)

  71. “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
    con te e contro di te; con te nel cuore,
    in luce, contro te nelle buie viscere;
    del mio paterno stato traditore
    – nel pensiero, in un’ombra di azione –
    mi so ad esso attaccato nel calore

    degli istinti, dell’estetica passione;
    attratto da una vita proletaria
    a te anteriore, è per me religione

    la sua allegria, non la millenaria
    sua lotta: la sua natura, non la sua
    coscienza; è la forza originaria

    dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,
    a darle l’ebbrezza della nostalgia,
    una luce poetica: ed altro più

    io non so dirne, che non sia
    giusto ma non sincero, astratto
    amore, non accorante simpatia..”

    Pier Paolo Pasolini – Le ceneri di Gramsci – Garzanti

  72. Il Pasolini di Teorema ha una prospettiva spirituale che può essere accettata come la profonda riflessione di un cristiano.
    (Krzysztof Zanussi)

  73. Mia madre me lo racconta sempre quel giorno della morte di Pasolini.Era a Roma.
    Ricorda che fu portato in via Eufrate per l’autopsia. Rimase lì tre giorni e poi fu trasferito alla Casa della Cultura, a due passi da piazza Venezia e poco più da Campo de’ Fiori, per l’omaggio ufficiale da parte della gente e del Pci. La camera ardente era rossa di drappi.
    Tutti sostavano davanti al poeta. Ma in silenzio, sfilando senza pugni chiusi, solo per una preghiera. Ci fu anche chi protestò: chi scarabocchiava sui muri scritte come “pig”, o “perverso”, “blasfemo”.
    Mia madre mi dice che le parve un’altra violenza, il giudizio feroce su chi non poteva più difendersi.
    Era Novembre, ma non c’era freddo. La gente gli sfilava innanzi senza cappotti e sciarpe, mentre Franco Citti iniziava il proprio turno di veglia e il fratello Sergio deponeva la maglia numero undici di Pasolini sulla bara.
    Arrivarono nomi illustri: Bernardo Bertolucci, Antonello Trombadori, Francesco Rosi, Elio Petri, Graziella Chiarcossi. Ninetto Davoli piangeva.
    Alle cinque del pomeriggio la bara uscì dalla Casa della Cultura. La gente cominciò ad accalcarsi intorno, per almeno tre ore. Alla prima apparizione su largo Arenula scoppiò un applauso spontaneo, lunghissimo, accorato. D’amore.
    La calca si riversò sulla bara. Tutti volevano toccarla, sfiorarla, tastarne il legno. Non c’era servizio d’ordine e ondeggiò sulle teste come una barca. Poi proseguì a fatica verso Campo de’ Fiori. Il primo a parlare fu Alberto Moravia. Mia madre si segnò le parole su un quaderno. Disse: «Con lui abbiamo perduto un testimone costante delle contraddizioni del nostro tempo…». Disse anche: «La bontà e la semplicità di Pier Paolo Pasolini erano una cosa rara, non facile a trovare…».
    La mamma mi racconta che ebbe l’impressione che il mondo perdesse sempre troppo tempo a dimostrare amore. Che quelle manifestazioni avrebbero forse salvato Pierpaolo se fossero state tempestive. Se lo avessero persuaso a trovare calore nella direzione giusta.
    Perchè, come dice Camon:
    “Anch’io credo che la morte di Pasolini sia una morte per colpa. Anzitutto sua: non si gira di notte in auto per comprare minorenni. Ma anche nostra: è colpa di tutti se uno, perché omosessuale, deve consumare la sua sessualità così, di nascosto, in fuga, a pagamento, tra minacce continue, in Italia e nel Terzo Mondo. Pasolini è stato utile a tutti noi, ha denunciato molti nostri problemi, politici, morali, sociali, ha condotto analisi, esposto denunce per noi. Noi non abbiamo fatto niente per lui. Noi cattolici, noi democratici, noi comunisti, noi moralisti, noi italiani l’abbiamo lasciato sprofondare nella vergogna. Il PCI l’ha espulso per indegnità, invece di capire che anche gli omosessuali sono vittime della società borghese. Il padre si vergognava di lui . La psicanalisi non l’ha aiutato (è andato in analisi da Cesare Mulatti, ma dopo sette-otto sedute s’è ritirato). Queste sono le nostre colpe. Non l’abbiamo capito. Cerchiamo di capirlo adesso, e accettiamolo per quel che è stato. La sua scrittura grande era e grande resta. La sua vita è finita com’è finita. Pace.”

  74. il post di gioia e’ bellissimo. lo sottoscrivo, perche’ non avrei saputo dire di meglio. grazie

  75. Pasolini?
    Impossibile trascurarlo. E’ un caposaldo dellla letteratura civile e progressista, amalgamata da uno sperimentalismo di forme, linguaggi e contenuti proteso a ricercare, per affermarla, la verità sia riguardo ai luoghi che ai protagonisti, cioè alle persone. Avvalendosi delle analisi psicologiche e sociali, comunque razionali, sebbene fosse sempre combattuto tra l’ideologia marxista gramsciana e la passione visceralmente polemica e ribelle, anticonformistica se non rivoltosa.
    Uno scrittore neorealista innovatore, forgiato soprattutto – secondo me – dalla frequentazione assidua degli ambienti del sottoproletariato romano e della violenza istintiva, oserei dire esistenziale.
    Ho cominciato a leggerlo giovanissimo, ammirandone le forti capacità espressive, descrittive, interpretative che rimandavano (e rimandano) a evocazioni profonde e feconde, riempiendo la mente di immagini vivide, che resistono al tempo. Tant’è che ricordo come fosse ieri i versi, peraltro preferiti, de “Le ceneri di Gramsci” e i romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”.
    Tra i film, mi sono rimaste impresse le scene tanto intense quanto scabre de “Il vangelo secondo Matteo”, per me il suo testamento religioso ed etico.
    Cordialmente.

  76. Cosa avrebbe detto Pasolini di questo chatbot di nome cl0ne ?
    provate a dialogare con lui, ma non aspettatevi solo banalità 🙂
    http://www.cl0ne.com è l’indirizzo web in cui lo trovate.
    Mi piacerebbe inserire nella sua memoria il pensiero pasoliniano, in modo da avere un suo clone con cui dialogare e farlo così rivivere.
    Chi può darmi link o materiale testuale sull’opera completa del nostro?

  77. Pasolini per me è stato innanzitutto un sociologo copn gli occhi di un poeta. Uno capace di confrontare la rivoluzione della società dei consumi e delle merci con un mondo fatto di ignoranza, semplicità, contatti umani, pulizia.

    Un grande patriota, un fine intellettuale, ma anche un uomo del popolo. Oggi pochi scrittori possono vantarsi di conoscere le persone semplici e incolte come le conoscvea lui. Pochi possono dire di amare davvero uno come Ninetto. Oggi i Ninetti vengono derisi e umiliati per i loro emoticons e le loro disortografie. Tra gli scrittori di oggi ed il popolo, ormai consunto dai miti della società dello spettacolo, si è aperto un varco quasi incolmabile.

    Ho sentito che Camilleri ha incontrato dei giovani e ha detto loro che lui sotto il fascismo era più libero di quanto lo siano loro oggi. Non credo proprio sia così, ma accetto l’iperbole. E immediatamente penso alla critica ferocissima di Pasolini ad una società individualista e omologata, in cui il potere delle merci è molto più pervasivo di quanto potesse essere la polizia fascista. Perchè subliminale, intimo, subdolo. perchè ci fa lavorare anche quando siamo nel presunto tempo libero. Perchè consumiamo anche senza comprare. Perchè sogniamo oggetti, e non relazioni!

    Poi non amo la rincorsa alla figura dell’intellettuale verboso e firmatutto, preso dalla coazione alla lotta, illuso di sapere di tutto e di poter sfoderare un parere illuminante su tutto. E qui devo essere severo non solo col pasolinismo, ma anche con Pasolini: il suo “Io so perchè sono un intellettuale anche se non ho le prove” non vale più. Bisogna dire “Io so perchè ho le prove e se non le avessi tacerei umilmente”. Non si tratta solo di umiltà e di rispetto dei confini disciplinari, ma anche di metodo gnoseologico. Di rispetto per le regole della conoscenza scientifica.

  78. Pasolini manca. Manca la sua franchezza, manca la sua freschezza, mancano le sue parole (comprese quelle scomode).
    Non so, tuttavia, se nel vuoto culturale di oggi Pasolini sarebbe riuscito a imprimere la sua voce.
    Nutro qualche dubbio.

  79. Intellettuale scomodo, Pasolini. A volte contraddittorio, polemico, ma assolutamente Vero. Ecco a me e’ questa la cosa che manca di più. La presenza di una voce autentica in questo presente così falso e artificiale.

  80. MA ALLORA PASOLINI E’ MORTO PER NIENTE?
    di Ferdinando Camon
    in Tuttolibri – La Stampa 6 novembre 2011

    “Meglio essere appassionati di belle ragazze che gay” ha detto Berlusconi il 2 novembre. Era l’anniversario della morte di Pasolini, e Pasolini ha fatto capire molte cose con i suoi libri, i suoi film e i suoi articoli, ma anche con la sua morte. E’ una morte sulla quale non abbiamo mai smesso di ragionare. Non sappiamo se Pasolini ci ascolti e ci risponda, da qualche parte nel di qua o nel di là (Vito Mancuso dice sì senz’altro, Giulio Giorello dice no certamente), ma possiamo dire che, se ha sentito quella battuta del premier, dentro di sè avrà pensato: “Ma allora io sono morto per niente?”. Pasolini ha vissuto la sua omosessualità come natura, esattamente come Berlusconi vive la sua eterosessualità. Il primo non aveva colpa della sua natura, come il secondo non ne ha merito. Ognuno è quel che è, vive per quel che è, ed è civile se riconosce lo stesso diritto agli altri. Se non glielo riconosce, li chiude nelle catacombe, li esclude dalla vita sociale, in un certo senso li uccide. Comunque sia morto Pasolini, è il berlusconismo sessuale dell’epoca che lo ha ucciso.

  81. “Meglio lesbiche che farsi attrarre da vecchi nani con la pelata asfaltata” (Dario Vergassola a “Parla con me”) è una magnifica risposta all’incipit del commento di Gaetano (ripreso da Camon, che cita a sua volta il nostro satrapo) qui sopra.
    Ma veniamo al dunque. Non ho mai amato Pasolini in modo sviscerato, anche se ho apprezzato molto i Ragazzi di vita (sia il libro che il film), il Vangelo secondo Matteo, il Fiore delle mile e una notte. Non ho mai digerito bene Teorema. Ho trovato spesso troppo dura, spigolosa sia la sua letteratura che la sua cinematografia, anche se spesso nascondeva dietro questa asperità una grande capacità di amore e tenerezza. Ho ammirato certe sue prese di posizione politiche, spesso in totale disaccordo con qualsiasi apparato della sinistra, ufficiale e non, che lo mise in controtendenza rispetto a tutti, e ne fece un isolato, ma con la mente libera da pregiudizi, da intellettuale vero.
    Lo ricordo gicare a pallone una partita tra cantanti e cinematografari contro nonricordobenechì, su un campetto di Via Vitellia, allo sbocco di Via Donna Olimpia (la strada dei “grattacieli” di Ragazzi di vita”), vicino ad un ingresso di Villa Pamphili. Ancora non erano state inaugurate le “partite del cuore” nei megastadi. Ogni volta che lui toccava palla il pubblico (proprio quello di Donna Olimpia che lui aveva immortalato) lo fischiava gridandogli “a’ frocio!”.
    Per me era come una pugnalata, ogni volta. Lui giocava, imperterrito.
    Mi sono sempre chiesto cosa provasse.

  82. @ Gaetano Failla
    Caro Gaetano, grazie mille per aver inserito le parole di Ferdinando Camon.
    Quando sabato mattina le avevo lette in prima pagina di Tuttolibri pensavo di inserirle in aggiornamento del post (cosa che mi accingo a fare adesso).

  83. Il trittico della vita

    Vuole essere Il Decameron il primo del trittico che Pasolini “dedica alla vita”. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte.
    Nel settembre dello stesso anno iniziò a girare a Caserta Vecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Era la prima volta che appariva in un film il corpo nudo di un uomo.
    « Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere. »
    Nel frattempo si propose di pubblicare tutte le sue poesie, dal primo libretto in lingua friulana del 1942 al volume che non ancora era stato pubblicato Trasumanar e organizzar, e intitolarlo Bestemmia.

    All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni impegnati di “Lotta continua” sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato”, ma non dimostrò di essere preoccupato e scrisse:

    « Se mi mettono in carcere, non me ne importa affatto. È una cosa di cui non mi curo: per me non fa nessuna differenza, nemmeno dal punto di vista economico. Se finirò in prigione, avrò modo di leggere tutti i libri che altrimenti non sarei mai riuscito a leggere. »

    Scrisse nel frattempo una recensione a “Satura” di Montale e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar accolta da lettori e critici distratti.
    Si accinse a scrivere la sceneggiatura dei Racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, “Il Decameron” ottenne il secondo premio.

    Sempre nel giugno 1971 fu tra i firmatari della lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso sul caso Pinelli[14][15].

    Nel 1972, accolto dalla solita indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare al romanzo, Petrolio, del quale, in tre anni, aveva compilato più di cinquecento pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo: “forse per il resto della mia vita”.
    Intanto, dopo le nove settimane impegnate alle riprese in Inghilterra di “Canterbury”, iniziò durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto nello Yemen, in Persia, in India e in Eritrea.

  84. La collaborazione con giornali e riviste

    A novembre iniziò a collaborare con il settimanale Tempo occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni.
    All’inizio del 1973 accettò di collaborare al Corriere della Sera e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò una ininterrotta serie di interventi riguardo l’ambito politico, il costume, il comportamento pubblico e privato. Questi articoli saranno raccolti nel volume “Scritti corsari”.

  85. Documentari e testi per il teatro

    Iniziarono nel frattempo le riprese del Fiore delle mille e una notte a Isfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana’a, che voleva essere un appello all’Unesco perché salvaguardasse l’antica città yemenita.

    Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Calderón e Affabulazione.

    Alla fine dell’anno lo scrittore aveva già in mente il progetto per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-teo-kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo.

    Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974 e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore.

  86. La polemica politica e i saggi

    Durante l’estate scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile.

    « L’Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra»

    Scrisse anche altri testi de La nuova gioventù e pubblicò, in seguito al referendum sul divorzio, l’articolo Gli italiani non sono più quelli.

    Sempre nello stesso anno, il 14 novembre, pubblicò sul Corriere della sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana.

  87. Il male radicale

    Interessato al progetto del film tratto da Sade si mise a studiare intensamente il kantiano “male radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi; e per spiegare meglio questa concezione, Pasolini analizzò il suo caso personale e descrisse le sue angosce:
    « Un omosessuale oggi in Italia è ricattato e ricattabile, arriva anche a rischiare la vita tutte le notti. »
    Il 19 gennaio uscì sul Corriere della Sera il suo articolo “Sono contro l’aborto” che suscitò altre polemiche. Ai primi di febbraio terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio e a metà dello stesso mese iniziarono nel mantovano le riprese di Salò o le centoventi giornate di Sodoma.
    Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane.
    Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per il Corriere della Sera dal 7 gennaio 1974 al 18 febbraio 1975 con una sezione “Documenti allegati”, nella quale vengono raccolti alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974.
    Sempre in maggio vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò.

  88. La trilogia della vita

    A ottobre uscirono le sceneggiature della Trilogia della vita con alcune pagine di introduzione Abiura dalla Trilogia della vita e consegnò a Einaudi La Divina Mimesis.
    Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma.

  89. La torre di Chia a Soriano nel Cimino

    La Torre di ChiaPier Paolo Pasolini si affezionò molto al paese di Soriano nel Cimino in provincia di Viterbo e proprio per questo motivo decise di viverci per alcuni anni; vi soggiornò sempre più spesso negli ultimi anni della sua vita.

    Nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini si fermò a Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, e ambientò la scena nel suggestivo panorama di una valle ricca di vecchi mulini ed attraversata da uno spumeggiante torrente, dai ruderi di una vecchia torre medioevale, chiamata la Torre di Chia, che divenne poi, nell’autunno del 1970, di sua proprietà.

    Nel 1966 il regista scrisse:

    « […] Ebbene ti confiderò, prima di lasciarti,
    che io vorrei essere scrittore di musica,
    vivere con degli strumenti
    dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare,
    nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto
    sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta
    innocenza di querce, colli, acque e botri,
    e lì comporre musica
    l’unica azione espressiva
    forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà. »
    ( Pier Paolo Pasolini, da Poeta delle ceneri, 1966-1967, in Bestemmia, Tutte le poesie, vol. I, Garzanti, Milano 1993)

    Pasolini durante i suoi anni a Soriano nel Cimino lottò anche per il riconoscimento statale dell’Università della Tuscia, allora ancora Libera Università della Tuscia.

  90. Amicizia con Marco Pannella e i Radicali

    Pur dichiarandosi comunista fino alla fine dei suoi giorni, Pasolini dedicò a Marco Pannella ed ai Radicali una grande attenzione.
    Nel 1974 ed il 1975 scrisse numerosi pezzi sul Corriere della Sera e su altri quotidiani dedicati alle battaglie radicali ed agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famosissimo articolo “Il fascismo degli antifascisti” (uscito sul Corriere del 16 luglio 1974).

    L’aspetto più rilevante di questa sua simpatia per i Radicali è però un altro: prima d’essere ucciso, nella notte tra il 1º ed il 2 novembre 1975, Pier Paolo scrisse quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico.
    Si tratta del testo del suo intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15º Congresso del Partito Radicale:

    « Cari Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali […] voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare. »
    (Testo dell’intervento di Pier Paolo Pasolini preparato per il 15º congresso del Partito Radicale)

  91. La morte

    « La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile. »
    (Alberto Moravia)
    Nella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975 Pasolini venne ucciso in maniera brutale: battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma.

    Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa. Sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo.

    L’omicidio fu attribuito ad un “ragazzo di vita”, Pino Pelosi di Guidonia, nei pressi di Tivoli, di soli diciassette anni, che prontamente si dichiarò unico colpevole.

    Secondo la propria versione, egli avrebbe incontrato Pasolini presso la Stazione Termini, il quale lo avrebbe invitato a salire sulla sua vettura, un’Alfa Romeo GTV 2000, per fare un giro insieme. Dopo una cena offerta dallo scrittore, in una trattoria nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si sarebbero diretti alla periferia di Ostia. Stando alla dichiarazione del giovane, la tragedia sarebbe scaturita per delle presunte pretese di carattere sessuale di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, sfociando in un alterco che sarebbe degenerato fuori dalla vettura. Lo scrittore avrebbe quindi minacciato Pelosi con un bastone del quale il giovane si sarebbe poi impadronito per percuotere Pasolini.

    La versione fu riportata dal telegiornale RAI il giorno dopo il delitto, violando le norme sul segreto istruttorio e venendo meno al carattere consueto di asetticità su temi sconvenienti all’allora etichetta televisiva.

    Il racconto dell’imputato presentava evidenti falle: il bastone di legno marcio non sarebbe potuto risultare arma contundente; Una colluttazione fra i due fu esclusa a causa dell’assenza di ematomi e simili nel corpo dell’omicida Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio in concorso con ignoti e nel dicembre del 1976, con sentenza della Corte d’Appello, venne confermata la condanna.

    Pelosi ha mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza fino al maggio 2005, quando, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva, affermando di non essere stato l’autore del delitto di Pier Paolo Pasolini, ha dichiarato che l’omicidio sarebbe stato commesso da altre tre persone. Ha fatto i nomi dei suoi complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa sua verità per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia.

    Le circostanze della morte di Pasolini non sono ad oggi ancora state chiarite. Contraddizioni nelle deposizioni rese dall’omicida, un “chiacchierato” intervento dei servizi segreti durante le indagini e alcuni passaggi a vuoto o poco coerenti riscontrati negli atti processuali, sono fattori che – come hanno ripetutamente sottolineato negli anni seguenti gli amici più intimi di Pasolini (particolarmente Laura Betti) – lasciano aperte le porte a più di un dubbio.

    A prescindere dai fatti e dalle reali responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che alcuni hanno paragonato la sua morte a quella di Caravaggio:

    « Secondo me c’è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt’e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi. »
    (Federico Zeri)
    Per lungo tempo l’opinione pubblica venne tenuta all’oscuro sugli sviluppi delle indagini e del processo, restando del parere di un delitto scaturito in “circostanze sordide”. Due settimane dopo il delitto apparve un articolo della giornalista fiorentina Oriana Fallaci, dove si ipotizzava una premeditazione ed un concorso di ignoti ma nel frattempo i due protagonisti erano spariti dalla cronaca. Dieci anni dopo, i mezzi di informazione iniziarono a sostenere l’ipotesi della Fallaci, dipingendo il Pelosi come “ragazzo di vita”, abitudinario della Stazione Termini, rilevato da Pasolini come esca per un’eventuale azione punitiva sui quali mandanti si immaginano avversari politici o malavitosi, ai quali lo scrittore avrebbe fatto dello sgarbo per dei tentativi altruistici di redimere dalla strada alcuni giovani.

    Il film di Marco Tullio Giordana esce nel ventennale del delitto. Nella storia dove viene riportato l’iter dell’inchiesta che demolisce definitivamente la versione difensiva del Pelosi. Emergono testimonianze ad indicare un’estraneità del giovane dall’ambiente della prostituzione maschile.

    A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione del Pelosi emerge la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morirà alcune settimane dopo.

    Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “a chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte.
    Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti e secondo alcune ipotesi giudiziarie suffragate da vari elementi, fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso. Il 1º aprile 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone che potrebbe aprire nuove piste investigative.

  92. A Pier Paolo Pasolini sono intitolate:

    – una via nel quartiere di Roma nord Ottavia, presso la via Trionfale.
    la biblioteca comunale del Municipio XII a Spinaceto (Roma).
    – L’Amministrazione comunale di Ciampino, nel 1997, gli ha dedicato la Biblioteca Comunale.
    Dal dicembre del 1951 alla fine del 1954 Pasolini insegnò a Ciampino alla scuola media di via Pignatelli, ora non più esistente; tra i suoi allievi vi fu Vincenzo Cerami, illustre scrittore, giornalista e sceneggiatore, che iniziò a lavorare come assistente di Pasolini. All’inaugurazione attesero l’allora sindaco Antonio Rugghia, Walter Veltroni e Willer Bordon (il primo a quei tempi Vice Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro dei Beni Culturali e il secondo Sottosegretario ai Beni Culturali).

  93. L’elzeviro dell’ultimo numero di Tuttolibri, firmato da Ferdinando Camon, era intitolato “Ma allora Pasolini è morto per niente?”. Esordiva, Camon, citando la volgare e indecente frase di Berlusconi “meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”. E sottolineava, Camon, la coincidenza temporale di quella sparata con l’anniversario della morte di Pasolini, il 2 novembre. Pasolini non è stato maestro di vita, forse, aggiungi, caro Paolo, ma di pensiero, sì. Ma in lui, Pasolini dico, vita e pensiero erano un’unica cosa; da maestro civile qual era, la sua pagina era, pur con l’inevitabile scarto che s’insinua sempre tra letteratura e vita, tra cinema e sofferenza vissuta, testimonianza tragica di un conflitto irrisolto. E i suoi lettori, eterosessuali e omosessuali, lo hanno amato come maestro di vita civile, che interrogava e s’interrogava su problemi scottanti, di politica, di costume, di società, per rendere l’Italia (e il ventre molle dei fascisti che la abitano) più aperta, tollerante, egualitaria, giusta. Non guardiamo agli esiti artistici, se i suoi romanzi siano o no capolavori (forse migliori i suoi film), ma ai suoi scritti corsari, alle sue lettere luterane, che, in un Paese sempre e soltanto controriformistico (questo lo scriveva anche un altro nostro Maestro, Leonardo Sciascia), seminavano dubbi, sollevavano polemiche, trascinavano alla discussione.
    Era questa la grandezza di Pasolini, che dava fastidio ai codini reazionari e benpensanti, la cui madre, come quella dei cretini, è sempre incinta.
    “Comunque sia morto Pasolini, – conclude Camon – è il berlusconismo sessuale dell’epoca che l’ha ucciso”.
    Cari saluti
    Paolo Fai

  94. 2 novembre 2015: QUARANT’ANNI DALLA MORTE DI PIER PAOLO PASOLINI

  95. Care amiche e cari amici,
    il 1° novembre del 2010 pubblicai un post dedicato a Pier Paolo Pasolini in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua morte (avvenuta a Roma, nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975). Adesso, a distanza di cinque anni, in occasione della ricorrenza del quarantesimo, ripropongo quel vecchio post del 2010 anticipando che nel corso della settimana – su LetteratitudineNews – saranno pubblicati vari post sull’argomento (che poi verranno linkati qui di seguito a mano a mano che saranno online).

  96. Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Pier Paolo Pasolini con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.

  97. Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.
    Un caro saluto a tutte e a tutti!

  98. Su Pasolini.
    Se ne parla tanto. Ne parlano tutti.
    E mi domando perché.
    Sul fatto che PASOLINI sia un GRANDE poeta e scrittore, un GRANDE artista, siamo tutti d’accordo.
    Ma chi è che conosce davvero le sue opere?
    Chi è che ha davvero letto PETROLIO, per esempio?

  99. Credo che Pasolini sia diventato un’icona pop.
    In questo paese di non-lettori lo conoscono tutti, ma quasi nessuno ha mai letto i suoi scritti.
    Ed è una cosa paradossale. E molto triste,
    Pasolini è un’immagine. Un nome facile da pronunciare.
    Ripeto. Pasolini è un’icona pop.
    E penso che a lui questa cosa non sarebbe piaciuta.

  100. Un’altra cosa.
    Credo che ci sia un senso di colpa collettiva nei confronti di Pasolini. La borghesia vigliacca e truffaldina che ha cercato di combattere si è risvegliata con la coscienza sporca 40 anni fa.
    E da allora la coscienza è rimasta sporca e la viltà e la tendenza alla truffa sono aumentate.

  101. Questo Paese di corrotti e corruttori, che non legge una pagina nemmeno con una pistola puntata alla tempia, celebra Pasolini innalzandolo a icona senza nemmeno (forse) rendersi conto di offenderne l’immagine vera.
    Quella coraggiosa e mai doma che emerge dai suoi scritti scomodi.

  102. Spero di non aver disturbato con i miei commenti.
    Comunque grazie per il tuo impegno e complimenti per il tuo lavoro.

  103. il video di Rep Tv però è bello. e restituisce un’immagine integra di Pasolini, secondo me. Piuttosto autentica. Non da icona pop. Ciao.

  104. L’importante è resistere alla tentazione di tentare di indovinare cosa avrebbe detto Pasolini oggi.
    Mi pare un esercizio piuttosto diffuso e alquanto fastidioso.

  105. Claudia ha usato il termine ‘paradossale’.
    Ma Pasolini era paradossale!
    Condannava il sistema pur facendone parte. Lo combatteva dal suo interno.
    Questa cosa dava fastidio.
    Per esempio, condannava la televisione parlandone in televisione.
    Anche questo era Pasolini.

  106. Sul discorso icona-pop, mi rifaccio ancora una volta a Claudia. Forse è vero che Pasolini oggi è un’icona-pop, ma è anche vero che stiamo parlando di colui che è stato il più personaggio di tutti tra gli intellettuali italiani dell’ultimo secolo.

  107. Il post è stato aggiornato con la segnalazione di diversi libri dedicati a Pasolini e usciti in libreria in questi giorni.
    Andate a dare un’occhiata!
    In settimana saranno pubblicati altri post collegati a questo “omaggio a Pasolini” di Letteratitudine.

  108. Ho scovato nella mia biblioteca un raro libricino bianco, pubblicato nel 1985 dalla piccola casa editrice vicentina La Locusta (famosa per aver divulgato i libri di don Primo Mazzolari) intitolato Sette poesie e due lettere di Pier Paolo Pasolini, nel decimo anniversario della morte.
    Caro Massimo, vorrei riportare quanto ha scritto nella presentazione l’editore, Rienzo Colla, sulla religiosità di Pasolini, sperando sia d’interesse per i lettori. Ricordo, per inciso, che la casa editrice e l’editore non esistono più.
    “Anche queste pagine testimoniano la sua profonda eredità cristiana. Si dice ‘eredità’ non a caso, nel senso che sarebbe forse rischioso dire di più. La sua religiosità infatti, sebbene sofferta e frantumata, è sempre affiorante, pur nel senso dell’ambiguità. La verità cristiana e la partecipazione sono un fatto inoppugnabile in tutta la sua opera. La sua stessa morte porta il sigillo della penitenza e del riscatto.
    Pasolini ha fatto di tutto per togliersi di dosso questa veste di dolore e di sofferenza: ha incrudelito contro se stesso e contro gli altri, ha dato scandalo, ha bestemmiato, ma tutte le volte ha finito per ritrovarsi ai piedi della croce o a invocare il nome di Gesù. Ecco perché ci sembra che la sua opera, pur sopportando diverse e molteplici letture e interpretazioni, alla fine non sfugge a quest’ultimo confronto”.
    Cordialmente, A. B.

  109. È incredibile il fatto che a distanza di 40 anni dalla sua morte Pasolini riesca ancora ad accendere dibattiti infuocati.
    Penso alla recentissima polemica di Muccino sul cinema di Pasolini.

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