Questo, sulla letteratura dell’ironia, è un post a cui tengo molto e che – di fatto, nel tempo – si è trasformato in una sorta di spazio permanente.
Sarà, dunque, uno di quei post che verrà aggiornato periodicamente con l’obiettivo – nella fattispecie – di sostenere la letteratura che dà spazio all’ironia (con particolare attenzione all’area partenopea… ma non solo).
Massimo Maugeri
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Sono molto lieto di riaprire questo spazio dedicato alla “letteratura dell’ironia” ospitando nuovamente Pino Imperatore (Re dell’humour-lab partenopeo), già presente in questo forum con altri suoi libri. Stavolta l’occasione dell’incontro la fornisce la recente pubblicazione del suo nuovo libro pubblicato dalla Giunti e intitolato “Benvenuti in casa Esposito“: un romanzo che, tra le altre cose, sta riscontrando un grande successo editoriale.
Si tratta della storia che racconta “le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista”… la famiglia Esposito, appunto.
Il rione Sanità, dove è nato il principe della risata Totò, è uno dei più affascinanti e misteriosi di Napoli. Qui vive, con la sua famiglia allargata, Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra. Tonino riceve dal clan un sussidio mensile e potrebbe vivere di rendita. Invece si intestardisce a voler imitare le gesta paterne, senza riuscirvi. Perché è goffo, sfigato, arruffone, incapace di difendersi: un antieroe tragicomico, che tra incubi e visioni, ingenuità e imbranataggini, ne combina di tutti i colori.
Uno spaccato divertente e allo stesso tempo crudele della Napoli contemporanea, città dalle mille contraddizioni e dalle tante difficoltà, capace però di non perdere mai la speranza in un futuro migliore.
Vi propongo, di seguito, la bella recensione di Ciro Paglia (pubblicata su Il Corriere Nazionale, nell’inserto Scritture&Pensieri curato da Stefania Nardini).
Avremo modo di discutere con Pino Imperatore di questo suo nuovo libro, ma – contestualmente – ne approfitterei per “allargare” le prospettive di dibattito sulla base delle seguenti domande che pongo…
– In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?
– Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?
– Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?
– Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?
A voi!
Massimo Maugeri
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Il realismo comico? E’ qui alla Sanità!
Un affresco ironico e vero sul mondo della camorra napoletana
recensione di Ciro Paglia (da Il Corriere Nazionale – Scritture&Pensieri del 12 marzo 2012)
“Benvenuti in casa Esposito” non è un libro che si legge tutto d’un fiato. No. Perchè pagina dopo pagina strappa la risata sonora, suggerisce mille spunti di riflessione, induce alla voglia di rileggere una descrizione, perfino di andare a scoprire, per chi non le conosce, quelle stradine del rione Sanità a Napoli dove accade tutto e nulla, dove i colori e gli odori si mescolano, le notizie si trasmettono con la velocità della luce, dove la vita è allegria, pessimismo, serenità, paura, euforia, pianto. E quando non è tutto questo è sorriso e amarezza. Dunque è un libro che cattura dalle prime righe e sequestra il lettore. Tant’è che dopo l’ultima pagina si ha voglia di conoscere meglio questo effervescente autore che ha saputo coniugare con distacco sentimenti e vizi, platealità e pudori, passione e rassegnazione di cui è punteggiata la napoletanità, anche quella becera e plebea. E lo ha saputo fare con destrezza Pino Imperatore, nato a Milano dove i suoi genitori erano emigrati ma napoletano jus sanguinis. “Benvenuti in casa Esposito” (Giunti editore) non è soltanto un viaggio nel mondo della camorra che l’autore – Pino Imperatore – ci fa rivivere con spietato realismo e con lo sberleffo di chi sa raccontarne le miserie, ma è anche un affresco di scuola napoletana, quella stessa scuola di Eduardo Bennato che con poche pennellate tratteggia i caratteri somatici della sua città: stanca, rassegnata, innocente, invasata, nuda, svergognata, tradita, condannata. E sono sfiziosi e contraddittori, plebei e sbruffoni, da ridere e da compiangere i personaggi che Pino Imperatore ci regala in casa Esposito o ci fa conoscere attraverso la ragnatela di rapporti più o meno autentici che gli Esposito hanno con le mille anime del quartiere. L’autore di questa recensione ha dovuto leggerlo due volte, da buon napoletano che vive all’estero “Benvenuti in casa Esposito”: la prima per riappropriarsi dell’essenza di una città che uno crede di conoscere a fondo per poi scoprire che tanti, troppi volti, li avevo appena intravisti senza coglierne le infinite sfumature. E una seconda lettura per seguire – quasi come nelle sequenze di un film – le altalenanti vicende di Tonino Esposito ( anni trentacinque sciupati dalla calvizie e da una imbarazzante pancetta, brillantino all’orecchio sinistro, lampadato, ufficialmente disoccupato), di sua moglie Patrizia (ritenuta, nel giudizio del maschio medio napoletano, una femmina fresca e tosta), di sua madre Manuela che aveva conosciuto don Gennaro, papà di Tonino, a Firenze durante il servizio militare, prima che diventasse capo camorrista (poi “caduto sul lavoro” cioè assassinato per mano di camorra), del boss Pietro De Luca ‘o tarramoto (un uomo prestante, con uno sguardo che faceva squagliare le femmine e agghiacciare i maschi), che quando muore il padre di Tonino ne prende il posto, Enzuccio che ad ogni fine mese accompagna Tonino a riscuotere il pizzo (anzi il “contributo per la sicurezza” come lo definisce il boss), Tina che contesta i genitori che la vorrebbero velina mentre lei sogna di diventare giornalista, nonni, suoceri (esilarante è Gateano che si atteggia a intellettuale e “tombeur de femme”), l’immancabile Olga, domestica e cuoca, tutta ucraina ma anche napoletana e gli animali di casa Esposito, Sansone l’iguana e Gigetto il coniglio. E l’avventura si snocciola e si srotola quasi come infilzata in un girarrosto: si comincia con un dato obiettivo ma che induce alla perplessità (“o pullastro nun s’è cuotto bbuono”) per concludersi con un altro dato, stavolta preoccupante (“o pullastro s’è bruciato”). E tuttavia non finisce qui. Perchè altre sorprese, esilaranti e angoscianti, Pino Imperatore ce le riserva proprio nel gran finale, un finale che riporta alla mente quei botti di Capodanno che solo a Napoli sanno fare e che costituiscono anche l’incipit di “Benvenuti in casa Esposito”. Un romanzo nell’interno della camorra. Ma non solo. “Non ho fatto altro – spiega Pino Imperatore – che registrare e illustrare, mediante il formidabile strumento dell’ironia, fatti e personaggi che a Napoli si verificano e si incontrano tutti i giorni. Chiamatelo realismo comico, se volete. Più che in qualsiasi altro posto del mondo, a Napoli la realtà supera ogni fantasia”.
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Ne approfitto per mettere in evidenza le domande del post originario (soprattutto a beneficio dei nuovi commentatori).
– Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
– A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
– Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo di Asmodeo), vi sentite più d’accordo?
Per meglio capire il senso di questo spazio è consigliabile leggere (o rileggere) il testo integrale del post pubblicato il 16 febbraio 2008.
A voi…
(Massimo Maugeri)
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AGGIORNAMENTO DEL 4 febbraio 2010
Nuovo ospite di Letteratura dell’ironia è… Maurizio De Angelis.
Maurizio De Angelis (nella foto), è nato a Napoli, ha vinto nel 2006 e nel 2008 il Premio Massimo Troisi per la scrittura comica, giungendo finalista nel 2007 (testi pubblicati da Comix). Presente, con una pagina a lui dedicata, nell’Agenda Comix 2008, è autore di cabaret per Gaetano De Martino e di teatro comico-brillante per Maurizio Merolla. Per la tv ha scritto testi comici per Promossi Sposi, clerical quiz con Gaetano De Martino, e dal 2009 è autore dei testi di Don Consiglio, per il programma I tappi, su Radio Kiss-Kiss Napoli.
I nuovi libri di Maurizio De Angelis (di cui avremo modo di parlare) sono:
– Achei, il prezzo è giusto! (Boopen, 2009): La più folle e divertente riscrittura del mito greco nel primo racconto demenzial-epico della storia.
– Il padrino parte prima così non trova traffico (Centoautori, 2009):
Credo che il buon umore letterario sarà assicurato.
Massimo Maugeri
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AGGIORNAMENTO DEL 23 febbraio 2009
De Vulgari Cazzimma (I mille volti della bastardaggine)
di Francesco Di Domenico (Didò)
“Prendete una buona dose di perfidia ed amalgamatela con l’astuzia e con la furbizia. Aggiungete un pizzico di cinismo, una manciata di prepotenza e un tocchetto di egoismo. Insaporite con la malizia e aggiungete un filo di scaltrezza.
Avrete così ottenuto la cazzimma, un intruglio dal gusto amarognolo.”
Inizia così, questo saggio serissimo e scientifico, del più grande umorista napoletano contemporaneo, Pino Imperatore. Il termine napoletano “Cazzimma” e uno di quei vocaboli interni ad una lingua praticamente intraducibile, tanto per fare un esempio, un po’ come gli anglosassoni “Spleen” e “Serendipity”. Una parola che deriva con chiarezza dall’innominabile attrezzo umano dalla triplice funzione, di scarico biologico delle scorie superflue, di produttore di piacere e di strumento formidabile di riproduzione umana. Ecco, il primo a dover essere additato a possessore di questa qualità è proprio lui, il cazzimmoso pene: “che cazzimma! Tre funzioni in un solo soggetto (o oggetto?)!
Ma il lemma, di cui parla l’autore nel libro è un sostantivo che va’ oltre la sua radice etimologica, serve ad identificare negli individui che la posseggono, una capacità micidiale di abbindolare, truffare, sfruttare o semplicemente irridere i soggetti o le situazioni che si trova ad incontrare o con cui è intenzionato a confliggere. Un’indagine del genere solo un umorista poteva produrla perché la cazzimma è molto vicina alla cattiveria e la cattiveria fa ridere, mentre la bontà ci rasserena ma spesso ci angoscia.
Imperatore fa un viaggio storico e geografico nei mille modi con cui si può identificare un “cazzimmoso”, scovandoli in tutte le loro attività, dalla politica alla guerra, nei rapporti economici e nella filosofia, fino ai cartoni animati, dove per esempio c’è: “… il canarino Titti, che dietro l’apparente innocenza nasconde una cazzimma sopraffina. Direte: lo fa per salvarsi le penne. D’accordo, ma l’uccelletto spesso esagera…”. I cazzimmosi sono i colleghi di scrivania cosi ben descritti da Totò & Peppino in “Chi si ferma è perduto” dove il rag. Guardalavecchia e il rag. Colabona, ne combinano e se ne combinano di tutti i colori; gli astanti nell’autobus che, dopo averti calpestato un piede, invece di scusarsi ti invitano a spostare il piede dalla linea gialla di pericolo.
L’inchiesta, gradevole e allegra, è sorprendentemente accurata, se si pensa che nella bibliografia sono citate oltre 130 fonti letterarie autorevolissime. Risulta un corollario di soggetti e ambientazioni curiose ma esplicative del portato di questo che potremmo definire un neologismo (il termine si comincia a sentire a Napoli negli anni ‘50 del ‘900), che da tempo ha varcato i confini della repubblica culturale partenopea per veleggiare su moltissime bocche italiane.
Nel suo spettacolo Fiesta il comico napoletano Alessandro Siani ha fornito, mediante un dialogo tra un napoletano ed un milanese, un esempio di cazzimma autoreferenziale:
«Milane’, tieni ‘a cazzimma!».
«E che significa ‘a cazzimma?».
«Nun t’ ‘o vvoglio dicere. Chesta è ‘a cazzimma».
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LETTERATURA DELL’IRONIA: POST PUBBLICATO IL 16 FEBBRAIO 2008
La letteratura “dell’ironia” (da quella tendente al comico a quella che trasborda nel drammatico) può vantare una grande tradizione: da Boccaccio a Cervantes fino a Pirandello, giusto per fare alcuni nomi. Eppure ho l’impressione che oggi sia considerata come una sorta di genere minoritario.
Di seguito troverete la sintesi di questo articolo di Asmodeo, intitolato “L’ironia nella letteratura”.
Subito dopo Francesco Di Domenico (in arte Didò) ci presenta Pino Imperatore e la sua “Trilogia del buonumore”: tre volumi editi dalle edizioni CentoAutori.
Vi invito a esprimere la vostra opinione sull’argomento.
Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo), vi sentite più d’accordo?
(Massimo Maugeri)
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“L’ironia nella letteratura” di Asmodeo
Definizioni “L’ironia è l’espressione di una persona che, animata dal senso dell’ordine e della giustizia, si irrita dell’inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d’errore o d’impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto” [Morier, Dizionario di poetica e retorica] Questa definizione di Morier è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell’ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d’animo (secondo lui, un’irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l’antifrasi o l’anticatastasi, cioè attraverso l’uso di figure retoriche. Sigmund Freud sostiene che l’ironia “consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l’occasione di contraddire: l’inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice”. Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l’ironia, e soprattutto l’ironia letteraria, non si limita a essere un’antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un’infinità di altre situazioni reali o retoriche: può “giocare sulla permutazione di spazi, sull’inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull’evitamento, sul mimetismo del discorso dell’altro, e senza dubbio su numerose altre figure” (P. Hamon, L’ironia letteraria). C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell’ironia, mette in luce l’esistenza di due tipi di ironia: l’ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l’ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l’ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l’oggetto dell’ironia e l’osservatore che percepisce l’ironia, l’ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell’ironia. L’ironia letteraria appartiene, ovviamente, all’ironia verbale, e mette perciò in gioco il suo stesso “trio di attori”: l’autore, che attraverso il suo libro si rivolge al lettore, sulle spalle di un terzo, vittima dell’ironia. Ma la complessità di un testo letterario, tra livello dietetico e livello extradiegetico, deve spingere la nostra ricerca molto più avanti e non può limitarsi a questa osservazione. In un testo letterario, infatti, le figure in ballo sono assai più numerose di tre. Accanto all’autore, al lettore e alla vittima dell’ironia, è necessario almeno aggiungere il narratore, e spesso anche altri personaggi che possono farsi portavoce dell’autore. In questo senso, e riallacciandosi alla concezione dell’Umorismo di Pirandello, si può affermare che lo spazio privilegiato dell’ironia è il teatro. Con le parole di Philippe Hamon possiamo dire che “l’ironia è messa in scena, il che presuppone degli spazi differenziati (sala, quinte, scena), ma anche, di conseguenza, dei ruoli o degli attori specializzati. Questi attori sono proprio quelli che abbiamo menzionato sopra; riassumendo: • autore • lettore • narratore • personaggio morale (portavoce della legge) • personaggio sovversivo (portavoce dell’ironia) • vittima dell’ironia. Tra questi “attori” ci possono essere sovrapposizioni, e non è detto che ogni figura sia sempre presente; il ventaglio delle possibilità combinatorie è in realtà molto ampio. Ad esempio, il narratore può essere anche il personaggio “morale”, cioè colui che si fa portavoce dell’ordine costituito, della legge contro cui si erge l’ironia, e diventare quindi anche, automaticamente, vittima dell’ironia. La cosa si complica ulteriormente nel caso, più frequente di quanto si possa credere, di situazioni in cui l’ironia si rivolge su se stesso: è l’auto-ironia. L’auto-ironia si trova quasi sempre in testi fortemente ironici. Si evince da tutto questo quanto sia il caso di “sostituire la nozione di opposizione ironica, che rischia facilmente di essere presa in un senso troppo stretto, con quella di campo di tensione o di un’area di gioco ironica” (Beda Alleman). Quest’area di gioco, o di tensione, si carica di ulteriori significati spaziali: la nozione di distanza e di marginalità. L’ironia segna un territorio, come una vera e propria metafora del sociale, dove l’ironista è spesso un outsider, volontario o costretto ad esserlo, che mantiene delle distanze, dei confini molto netti rispetto alle cose o a sé. (…)
Alcune citazioni celebri
“È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)
“Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve)
“L’ironia è il pudore dell’umanità” (J. Renard)
“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)
“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
“Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard)
“L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” (J. Benavento)
“Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)
“L’ironia non è piuttosto spesso una forma di sentimentalismo, un sentimentalismo che fa una giravolta?” (K. Van de Woestijne)
“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov)
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LA “TRILOGIA DEL BUONUMORE” di Pino Imperatore
recensione di Francesco Di Domenico
La “Trilogia del buonumore” è l’ultimo surreale colpo di scena di Pino Imperatore. Probabile unico caso al mondo di uscita in contemporanea con tre libri (quelli del Guinness, contattati, hanno risposto: “Interessante!”) di un autore.“La catena di Santo Gnomo”, “Manteniamo la salma” e “Questo pazzo pazzo mondo animale” sono legati ad un filo conduttore unico, quello dell’umorismo involontario.
La risata che si scatena alla vista di una situazione ordinaria, come quella di un epitaffio funebre o di un manifesto dove per un leggero errore di un tipografo la realtà si capovolge – come quella della povera donna di nome Rosa Fiocco deceduta e assurta ai fasti del sorriso postumo per una burocratica stampa dell’avviso: “E’ morta Fiocco Rosa”! “La catena di…” è farcita di 99 racconti super brevi, fulminanti, a detta di Imperatore “bonsai”, perché al “secolo breve” ha fatto seguito “l’era del pensiero breve”. Li avrebbe scritti Carver se fosse stato un umorista. Alcuni freddi e quasi ebraici, altri scoppiettanti come i libri di cucina di Tognazzi (“la cipolla in padella dev’essere abbronzata come una puttana e non bruciata come un’africana”). Ultimo snobismo comico: il libro è numerato al contrario. “Manteniamo…” è un’enciclopedia di epitaffi, alcuni veri, altri che potrebbero esserlo, di passati di là, che hanno attraversato il di qua ridendo, fino alla fine. Monumentale la citazione sulla tomba di Groucho: “Scusatemi, non posso alzarmi”. Epitaffi falsi e credibili, frasi vere invece che potremmo considerare improbabili. Nel libro è compresa anche la citazione che Pino ha lasciato per la sua lapide.
“Questo pazzo…” è una ricerca interessantissima e autentica sull’umorismo animale; un catalogo impressionante di situazioni che riguardano le bestie e il mondo che le circonda. Se si vuole esulare dall’umorismo tout court, è anche un volume per curiosi, un “giro del mondo in 580 bestie”. Pino Imperatore stupisce ancora per la levità delle sue storie. Che i suoi grandi maestri siano stati Achille Campanile, Marcello Marchesi e Beppe Viola, lo si intuisce chiaramente da ogni riga delle sue pagine. Non è un umorista acido, anche nelle battute più grevi si può leggere la morbida ironia di Guareschi, l’aplomb di Jerome K. Jerome; non ha paura del “vecchio che avanza”. Per concludere con una sua battuta sul coraggio: “Se vai a letto con le galline, all’alba dovrai fare i conti col gallo”.
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Pino Imperatore nasce a Milano nel 1961 ed emigra a Napoli. Giornalista, poeta, scrittore, ma soprattutto umorista, è uno dei personaggi più eclettici del panorama culturale napoletano. Nel 2001 con l’opera “In principio era il verbo, poi vennero il soggetto e il complemento” vince il Premio “Massimo Troisi”. Oggi è lui stesso il curatore del premio (sezione Scrittura Comica). Nello stesso anno fonda il Laboratorio “Achille Campanile”, prima scuola italiana per autori comici ed umoristici, che conduce con il ludolinguista Edgardo Bellini. Con lo stesso Bellini nel 2005 ha curato l’antologia “Quel sacripante del grafico si è scordato il titolo”, primo volume che raccoglie le nuove leve dell’umorismo napoletano. Nel 2004 ha pubblicato “Un anno strano a Roccapeppa” (Kairòs Editore), un esilarante diario di 365 giorni di una meta-Napoli da cartoon disneyano. Agli inizi del 2007 è tornato in libreria con “Le mirabolanti avventure del Gladiator Posillipo” (Cento Autori Editore). Sue pubblicazioni sono presenti un po’ ovunque; una su tutte, l’agenda Comix.
Mi scuso con Francesco Di Domenico.
Gli avevo detto che avrei pubblicato questo post venerdì (ieri) e l’avevo messo in preallarme.
Chiedo venia per il ritardo.
Pino Imperatore è chiamato a intervenire (se può e ne ha voglia, s’intende).
E a Didò (sempre se può e se ne ha voglia) chiedo di aiutarmi a condurre il dibattito su “La Trilogia del buonumore”.
@ Pino Imperatore
Sarebbe bello se potessi fornirci, nel corso del dibattito, alcune “pillole” (leggasi stralci) estratti dalla trilogia.
Ripeto le domande relative al “dibattito generale”.
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– Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
– A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto, vi sentite più d’accordo?
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“È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)
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“Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve)
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“L’ironia è il pudore dell’umanità” (J. Renard)
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“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)
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“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
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“Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard)
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“L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” (J. Benavento)
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“Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)
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“L’ironia non è piuttosto spesso una forma di sentimentalismo, un sentimentalismo che fa una giravolta?” (K. Van de Woestijne)
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“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov)
@Massimo,
a proposito del tuo mirabile ragionamento sull’ironia, una mia umida (umile?) massima:
“L’umorista è cane alla catena che appena sciolto mozzica e da’ la rabbia”.
…
Pino Imperatore sarà in linea appena possibile, se volete formulargli delle domande fatelo pure, lui mangia pane e umorismo, a volte solo umorismo (perchè dimentica di comprare il pane); è amico di Campanile (il figlio), è una persona lunare e allegra (sarebbe solare, ma sta troppo di notte al pc a scrivere); ha un solo problema irrisolto: la mia amicizia.
quale personale omaggio per francesco di domenico
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Soren Kiekegaard, Sul concetto di ironia:
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“Quanto più forti e dinamiche le opposizioni, tanto più c’è bisogno di ironia per domare e dominare gli spiriti che vorrebbero farla da tiranni. Più c’è ironia, tanto maggiore è la libertà poetica con cui l’autore si libra sulla propria opera. L’ironia non sta quindi in un qualche punto particolare dell’opera, ma vi è presente ovunque, sicchè l’ironia visibile nell’opera è a suo turno dominata ironicamente. L’ironia pertanto libera, in uno, la poesia e il poeta. Ma perchè ciò avvenga, il poeta stesso dev’essere padrone dell’ironia. Non sempre è detto tuttavia che, per essere riuscito a padroneggiare l’ironia nell’istante creativo, un poeta la padroneggi anche nella realtà cui egli stesso appartiene. In generale si suol dire che la vita personale del poeta non ci riguarda.”
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…eppure anche la sua vita personale, le sue amicizie, attestano quanto francesco frequenti la casa dell’ironia, invitato o furtivamente introdottosi, lascia sempre un verso a testimonianza del suo passaggio.
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didò hai saltato la mia fermata
@ Francesco..per me l’ironia è segno di grande umiltà, sopattutto quella verso se stessi.Che ne pensi?
quella verso se stessi è segno di intelligenza
La citazione che preferisco è quella di Sacha Guitry: chi teme l’ironia è semplicemente stupido, mi pare una grande verità e che proprio qui da noi, in Italia pochi se ne siano resi conto.
Quanto alla letteratura, beh, tra le mie prime letture c’erano sicuramente libri improntati sull’umorismo e sull’ironia: P.G. Woodhouse, J.K. Jerome, Guareschi, Carletto Manzoni (mi ricordo una serie completa di romanzi con l’investigatore Chico Pipa, che dai titoli sembravano canzoni di Buscaglione: “Che pioggia di sberle bambola”, “Io quella la faccio a fette”, e così via). E poi il sommo Campanile, e Groucho e il grande poeta dell’ironia cinematografica, Buster Keaton, che non era secondo a Chaplin e cui deve moltissimo anche Woody Allen. In letteratura ai vertici metterei comunque Raymond Queneau: “I fiori blu” è un autentico capolavoro di ironia, ma anche “Troppo buoni con le donne” è semplicemente esilarante (per citare solo un paio di titoli).
Oggi ne vedo molto meno in giro, tra i libri (salvo forse Benni , del quale ho sempre trovato più efficaci i racconti che non i romanzi). Ma la trovo, meravigliosa, surreale, a volte poetica, nelle vignette di Gary Larson.
In Italia c’è molta satira, più che ironia. E al momento i miei favori vanno largamente alla Litizzetto.
Ben vengano quindi i libri di Pino Imperatore, che molto mi intrigano. E molto mi fido se a consigliarli è il pirotecnico Didò.
@ carlo
sottoscrivo pienamente.
abbiamo anche letture simili.. che sia generazionale? ho comunque provveduto a passare mano, leggendo ad alta voce ai miei figli piccoli jerome e woodhouse, e confidando nell’atmosfera. per sopravvivere a casa mia di ironia e humour c’è gran bisogno.
a me personalmente come citazione piace parecchio anche quella di victor hugo..
Signori,
a rispondere dovrebbe essere di più Pino che spero entro domani risolva i suoi problemi col pc (gli ho detto che s’è sciolto e si chiama piddì ma non mi crede). Lui, come avrete letto dalla scheda, è il fondatore del primo laboratorio umoristico italiano, molti suoi figliocci calcano i palcoscenici del cabaret italiano (Zelig su tutti), molti altri scrivono per quelli che calcano. Se solo poteste assistere ad una serata di corso vi rendereste conto che è una scuola di psicologia più che un corso di umorismo. Gente che s’iscrive per abbattere la noia e il tran-tran e si ritrova a scrivere, dopo un paio di mesi, cose di un divertimento assoluto.
…
@Evento l’ha messa subito giù dura citando la sorella di Kierkeegard (citavi direttamente lui, l’incubo di Allen): “…Non sempre è detto tuttavia che, per essere riuscito a padroneggiare l’ironia nell’istante creativo, un poeta la padroneggi anche nella realtà cui egli stesso appartiene. In generale si suol dire che la vita personale del poeta non ci riguarda.”
Infatti, in molti casi, è così. Totò era triste, Troisi lo era e potremmo citarne all’infinito, Allen è di una tristezza tombale.
Poi c’è un altro dato: si nasce umoristi, si muore drammatisti. Molti autori (Michele Serra, chi altri? Aiutatemi…ma si anche Woody, che considero prima uno scrittore e poi un cineasta), cominciano con scrivere di umorismo per poi scrivere cose drammatiche e spesso lo fanno bene perchè aiutati da una scuola di ironia antica.
L’errore sta probabilmente nel categorizzare, come ho più volte detto in altri momenti, la letteratura, ma l’arte più in generale: giallista, umorista, narratore di racconti.
…
@Carlo’s,
dice di Benni e dei racconti. Beh, guardate, chi riesca a scrivere un vero libro umoristico è un genio e non ne abbiamo molti e, comunque, nel percorso del libro dei momenti di stasi si trovano (Jerome K. Queneau, pennac). Un romanzo umoristico completo, che salti la soglia delle cento pagine è un sogno. Quindi ci si ferma, per sfinimento, al racconto.
Scrivere un racconto umoristico è un gioco bellissimo, quando lo cominci ridi da solo, ma deve essere una percussione continua, appena abbassi la guardia ti annoi, e se ti annoi non sei più un umorista, non scrivi più per ridere (umilmente si,@Simona cara!), ma scrivi per gli altri e allora sei un barzellettiere, un battutista, professione encomiabile, ma altra.
E’ pronta la pizza: ci si sente più tardi!
Non chiudete le lapidi, ci sarà sempre qualcuno che ve le rimbocca!
Ma siete d’accordo sul fatto che oggi, in generale, c’è un po’ meno spazio per la letteratura umoristica? O è solo una mia impressione.
Non mi riferisco, ovviamente, ai libri di barzellette.
(off topic)
Se avete voglia di divertirvi vi consiglio di fare un salto qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/16/voi-siete-qui/
La letteratura dell’ironia, forse, oggi è oscurata dalla mediocre ironia televisiva che si trasferisce poi in molti casi su carta, producendo un gran numero di volumi di scarsa qualità, in consonanza con la fonte di provenienza.
Per quanto riguarda la letteratura del Novecento cito due autori, entrambi russi: Daniil Charms (nato a Pietroburgo nel 1905; durante la sua breve vita è perseguitato dallo stalinismo. Muore a Leningrado in un ospedale psichiatrico nel 1942); nel 1990 la casa editrice Adelphi con il titolo “Casi” pubblica per la prima volta in Italia una raccolta delle sue opere; Sergej Dovlatov (1941-1990), emigrato negli Stati Uniti nel 1978. Le sue opere sono pubblicate in Italia da Sellerio. Godibilissimo.
Un frammento di Charms: FIABA NORDICA
“Un vecchio, senza sapere perchè, andò nel bosco. Poi, tornò e dice: ‘Vecchia, oh, vecchia!’. E la vecchia prese e cadde lunga e stesa. Da allora d’inverno tutte le lepri sono bianche.”
Acuni italiani: il grande Zavattini scrittore, da riscoprire (a partire da “Totò il buono”), Paolo Villaggio, “Fantozzi”, il suo primo libro, comicissimo, del 1971, forse sottovalutato. Paragonato, durante un convegno di molti anni fa sui rapporti tra letteratura russa e italiana, a certa scrittura alla Gogol, per quel che riguarda il mondo della burocrazia impiegatizia. Nella nota biografica si legge, tra l’altro: “A Roma ha fondato con un gruppo di nobili una frangia politica di estrema sinistra molto ‘in’ che si chiama ‘POTEVE OPEVAIO’ “. Una scrittrice: Rossana Campo, “In principio erano le mutande”. E il grande Daniele Luttazzi: alta qualità stilistica, misuratissimo nel passo narrativo sia nei libri che in scena.
Continuando a ruota libera: leggendo “Il giovane Holden”, ridevo da solo come un matto. E infine, mi vengono in mente i libri di Woody Allen: “Saperla lunga”, “Citarsi addosso”, ecc. Memorabile la parodia del personaggio della morte del film “Il settimo sigillo”.
Un caro saluto a tutti,
Gaetano
Sono per Kierkegaard. Peraltro spesso l’ironia feroce è involontaria. I giornali a volte ne sono fonte automatica.
Ricordo un titolo su una pagina locale (credo abruzzo). Si voleva dar notizia che, finalmente, dopo tanti mesi di buio, era stata ripristinata una piccola lampadina a illuminare la statuetta della Vergine che stava in una strada. Il titolo fu..”Un po’ di luce per la Madonna!”.
Così come a un povero diavolo che si era bruciato vivo, dopo giorni di agonia, fu dedicato….”Si è spento il clochard che si era dato fuoco”.
E che dire di un titolo che doveva dare l’idea dell’aumento dei prezzi delle verdure?…..”Le fave s’impennano”, ei fu.
A pensarci due giorni non ti verrebbero in mente. Per fortuna interviene l’estro per fare l’estro…nzate.
Ma ora, più che mai, necessitano stralci. Imperatore è pregato di concederceli.
Ciao Massimo, ciao Didò, un abbraccio a tutti.
Sono felice che abbiate dato vita a questo dibattito sulla letteratura comica e umoristica. Felice di ascoltare le vostre opinioni in merito ad un genere letterario al quale da un decennio sto dedicando gran parte delle mie energie, con l’obiettivo di valorizzare, nei limiti delle mie possibilità, un segmento della scrittura che purtroppo continua ad essere ingiustamente considerato, in Italia e altrove, di serie B.
Parto da un quesito “strategico”. Ci sono oggi nel nostro Paese scrittori umoristi? Fatta eccezione per Stefano Benni, che però negli ultimi anni si è alquanto immalinconito (leggere “La grammatica di Dio” per credere), chi altro può essere definito scrittore umorista “puro”? Nessuno, a mio parere. Michele Serra ormai fa altro. Dario Fo e Daniele Luttazzi fanno satira. Alessandro Bergonzoni si è spostato sulla sperimentazione ermetica (lo si comprende già dal titolo del suo ultimo libro: “Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa”). Luciano De Crescenzo sembra aver esaurito la sua creatività. Luciana Littizzetto, Antonio Albanese, Giobbe Covatta, Flavio Oreglio, Gioele Dix (e tanti altri) sono stati e sono innanzitutto attori (bravi) prima ancora che scrittori, ed hanno pubblicato i loro libri in seguito al successo ottenuto in tv o a teatro o al cinema.
Dobbiamo ormai constatare di essere orfani della grande generazione di umoristi del Novecento: Achille Campanile, Giovannino Guareschi, Gino Patroni, Romano Bertola, Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Leo Longanesi, Beppe Viola, Terzoli & Vaime, Fruttero & Lucentini, Toti Scialoja, Carletto Manzoni (complimenti, Carlo, per averlo ricordato!), lo stesso Italo Calvino (ricordate “Le cosmicomiche?”).
Perché? Perché sono cambiati non solo i gusti e i costumi, ma anche le regole del mercato di riferimento. Perché i libri comici ed umoristici sono oggetti progettati e pubblicati per essere venduti in quantità industriali. E per essere venduti in quantità industriali, devono avere come autori personaggi facilmente e rapidamente riconoscibili dal grande pubblico. In particolare dal pubblico televisivo. Non conta che il libro contenga una caterva di baggianate. Conta il nome di chi l’ha scritto (o se l’è fatto scrivere).
Proprio il mese scorso ho incontrato un “pezzo da novanta” dell’editoria comico-umoristica italiana (non ne faccio il nome per ragioni di privacy), il quale aveva letto la mia “Trilogia del Buonumore” e mi ha detto: “Per l’originalità e per i contenuti, i tuoi libri meriterebbero di essere pubblicati da una grossa casa editrice. Ma ciò non avverrà finché non diventerai famoso, magari partecipando ad una trasmissione televisiva di grande richiamo”.
Eccole qui, le nuove regole del mercato. Regole di cui fanno le spese anche straordinari scrittori che si occupano di altri generi letterari. Avrete sicuramente sentito parlare, nelle settimane recenti, di Boris Pahor, lo scrittore sloveno-triestino che solo oggi, alla veneranda età di 95 anni, sta ricevendo il giusto tributo dalla critica italiana, dopo anni di successi e riconoscimenti ottenuti oltreconfine grazie soprattutto al suo capolavoro: “Necropoli”.
Che fare, allora? Arrendersi? No, non credo proprio che sia la strada giusta. Personalmente, se avessi voluto ascoltare le “sirene” del mercato, avrei mollato l’umorismo da tempo e non avrei neanche lontanamente pensato di pubblicare tre libri umoristici in un colpo solo. Ho voluto farlo anche come atto di sfida, e per fortuna ho trovato un editore coraggioso che ha condiviso il mio progetto.
Continuerò su questa strada, perché sono convinto che le cose prima o poi dovranno pur cambiare. E poi perché in questi anni, attraverso le attività svolte con il Laboratorio “Campanile”, ho avuto modo di conoscere, frequentare ed apprezzare, a Napoli e altrove, tante persone straordinarie (tra cui Didò), che come me hanno la passione per l’ironia di qualità e che se ne fregano del mercato. Siamo démodé? Siamo minoritari? Siamo una nicchia? Non fa niente: manterremo la salma.
Ah, l’Imperatore milanese ha edificato la sua reggia a Napoli? Stai a vedere che, cammina cammina, un giorno che aveva perduto il bus per Assiago Cementino o Burlasco Pantalone Centro, fermandosi un attimino ha detto: ”’Sto posto me ricorda qualcosa” e si e’ piazzato. Si e’ piazzato bene, perche’ a Partenope l’hanno fatto imperatore. Sotto un Pino, ma sempre sovrano, ehssi’: all’ombra del Gran Pino in Fiore, dopotutto, gli obbedivano mirmidoni e calenoppi, friturghesi e assiaci, berenotti e cinodelfi! L’unico problema del de-feudo era la concimazione, per cui il Pino Imperatore (non il pino pino che stormiva stornelli ma non verbalizzava) si costrinse a mettere in pratica il famoso inter-detto ”caca che ti passa”. Dopo tre decenni di estromissioni il Regno era ancora un po’ malmesso, ma mai nessuno che commentasse: ”questo e’ un defeudo bestiale!” – eccetto nonna Deiezia, detta anche zia Deianonna, la quale si lamentava di continuo nel suo infradenti: ”Non c’e’ piu’ spazio per la letteratura umoristica, fra tutte ‘ste piramidi fumanti e marronglase’. Che decadenza continua! Se non ti scansi decade su di te. Roba da farti rimpiangere l’epoca del Gran Puzzone, il nostro caro Truce D’Azzo, marchese di Toilette e Grazialmazzo.”
Ma l’editor cortese era all’agguato, innamorato pazzo dello sprofumato andazzo per vincoli indiscussi col proletario andazzo – tutto orientato sul ”Sono dunque puzzo” di operaistico lignaggio un po’ fabbrica e tanto anche sondaggio. Denudatosi della borghese ascendenza e mangiato formaggio tarlato dall’intonsa credenza, l’editor veronese (tal Antonio Novella) crede’ quindi d’aver puzzadifette a paspartu’ per la bella conquista del Pinimperator e andette ad incontrarlo un di’ ch’era odoroso maggio.
”Vengo a porgerVi omaggio” disse il Novella all’Imperatore ”e a chiederVi: sara’ mai che voi abbiate l’ardir e il coraggio di vivere senza un testo o una scorreggia che eco faccia per la plebe futura, or che Vostra Maesta’ sotterra vada senza una memoria imperitura?”
Punzecchiato, il Pino crollossi in un imperciocche’: ”Ditemi voi, odoroso stampator che siti non conoscete se non di papiri e autodafe’, all’umor del mattutin primocaffe’.”
”Eh… atti di fede me ne hanno chiesti a iosa ma non e’ cosa: voi dovete tra-mandare un vostro alito; una fragranza che compatti il volgo entro un’austera sembianza. Io editor sono: la politica e il democidio sono il mio trono, il mio intimo stillicidio. Al settimo cielo, sarete, se ai tipi crederete! Bodoni, dunque, ordinate Maesta’, o Colioni, Nuovoromano o Pussadano? Padano? Non ce l’ho, che’ il gallo mio e’ cedron e non fluviale di Po, manco un poropopo’. Popo’ dicevo, stando in argomento, ordunque che famo? Niente sgomento sire!”
Lo scettro ligneo dell’umorista ”in nuce” si curva ma non si spezza, seppur sia triste, non apposta!, per tal proditoria proposta: l’eternita’ m’e’ caduta proprio qua, tra una seduta e un trallalla’??!! Comunque disse e response, dopo ulterior tazzobagnica concimazione:
”Ebbene si’. Che sia il mio contado e borghesaglia, milizia e blasonizia, nel suo etterno divenir blandita da apposita rima e narrazion ardita. Mi autoeleggo per volonta’ della deiez… ooops, della Nazione, sparasentenze e collezionatore di quel che viver meglio fa ognun per delle ore!”
Cosi’ fatto fu il ragu’ – di Pinuccio e non di Artu’. E lasciatemi dir che nella mia panza ogni suo scritto salta e balza, provocando una risata detta ”storica speranza”.
Sergio tu sei buono, vero ?
@ Gregori
In effetti voi giornalisti siete abbastanza sarcastici; sarà perchè vostro malgrado portate le notizie che, in larga misura, sono negative e dovendo sdrammatizzare…
L’ironia comunque è molto importante, anche negli incontri: Pino Imperatore ha giustamente scritto di comici diventati scrittori e di scrittori che scrivendo hanno fatto i comici agli occhi del lettore. Sono persone che generalmente sanno trasformare i lati tristi dell’esistenza in qualcosa da guardare con distacco, per tradurli al meglio. Usano il loro focus sui particolari di persone e situazioni, ci impastano sopra la fantasia, io lo so, mi capita col disegno…a volte sviluppo certe idee che quasi quasi mi sembro una specie di beffarda capace di pensare cose assurde!
Ciao
Cribbio, Messer Sozji, Cribbio!
Pura goduria, un po’lezzante/ma carnal novella. Non genufletto per penuria di ceci. Preci…e ‘notte!
P.S.
Egregio Signor Pino Imperatore, naturalmente non mi sarei mai permesso di scherzare cosi’ se non fossi stato convinto della Sua somma, reale (ops: reale, imperiale, ehm) intelligenza umoristica. Sono pazzoide, mi sa. Abbia pena! Oltretutto vivo a Lubiana e presto recensiro’ Boris Pahor. Doppia pena per me, per favore. RingraziandoLa per la Sua presenza in questo ”blog”, spero di non aver fatto – ma bonariamente certo – un flop!
Sozi
P.S.
Do’ del Lei a tutti: soprattutto a Lei. Lei chi? A Sua nonna no che non la conosco. A Lei Pino Imperatore, che mi rallegra tutte le ore! Grazie, Pino, di cuore, Pino pino, Pinoimperatore!
Grazie, Franceschi’: …Oh… dico: non si sara’ mica offeso il Nostro? Sai com’e’…
Pasqua’: buono. Arrosto. Senno’ puzzod’asinovivo.
Buona Domenica a tutti (mi sa che sonnecchiate è molto presto:))
Alcune osservazioni.
– Mi ha interessato molto, l’articolo inzialie sull’ironia, e le varie spiegazioni fornite. Anche se sono tutte mi sembra osservazioni parziali. l’ironia è un modello possibile di concettualizzazione, volto a comunicare qualcosa – alle volte ha lo stampo morale del sovvertimento di senso alle volte no, alle volte lo vuole meramente confermare. A leggere Morier sembrerebbe che l’ironia sia qualcosa solamente propria degli spiriti nobili, quando invece molti qualunquisti ne fanno un uso smodato. Per esempio per dichiarare allegramente che dell’ordine e della giustizia je frega sto’ cavolo.
– anche la teoria dell’ironia come distanza di sicurezza dal presunto outsider è parziale e unilaterale. Chi fa ironia e ancor più chi fa autoironia è anche qualcuno che si immerge in un complesso tentativo di seduzione, che per lui è vitale. Se volesse mantenersi fuori distinguersi dall’altro, se ne starebbe bello bello per cazzi suoi, anzichè rivolgersi a un altro. L’ironia ha un’intenzione eminentemente comunicativa e per me ha sempre qualcosa di malinconico nel disperato desiderio di garantire quell’isola beata della comunanza-
Ridi!
Allora tu mi capisci
Allora un noi esiste.
Soltanto il Sarcasmo è l’ironia che vuole produrre una distanza emotiva. Ma è un altro discorso.
-Ora cercherò di impegnarmi nell’arduo tentativo di esprimere delle critiche, o meglio uno stato d’animo, o forse semplicemente cercherò di spiegare perchè non sono tentata di comprare i libri del signor Pino Imperatore. Sono sinceramente imbarazzata, perchè non voglio essere offensiva e ho molti rispetto per una persona che ha lavorato per qualcosa che ama e in cui crede, e spero veramente di non risultare troppo arrogante.
– Il fatto è che se io leggo un titolo con uno gnomo che dice “manteniamo la salma” io rimango interdetta. quel titolo è azzeccatissimo e rinvia a un modo di scrivere e ai mondi a cui vuole rinviare. E’ un gioco di parole e fa ridere in modo molto veloce. Ma la sensazione che mi da questo titolo come gli altri accenni umoristici desunti dai suoi testi, è un tipo di ironia che si ferma al gioco di parole, alla bufferia senza pretese. allora io non conosco il contenuto dei libri di Pino Imperatore e naturalmente non posso giudicarli, ma la recensione avrebbe dovuto invogliarmi e nonostante la recensione di Francesco Di Domenico sia molto ben scritta, non lo sono affatto. Perchè la mia sensazione è come di trovarmi davanti a un’ironia leggera e ecco, profondamente innoqua, profondamente ancorata a un genere. Non esce dal genere e non sembra avere bisogni di pesantezza. Tutto sembra avere tranne quel sacro fuoco dello scandalo etico di cui parlava la prima spiegazione dell’ironia, e sembra attenersi invece alla qualunquistica contemplazione di un mondo di cose stralunate, e di giochi di parole. Riderò si, ma per un tempo veramente breve. troppo. Il mercato è certamente una brutta cosa, ma è vero che in Italia non dico tutti, ma molti lettori sentono il bisogno di ben altro.
Ciò non toglie che io faccia i miei più sentiti in bocca al lupo al signor Pino Imperatore.
@Massima per Massimissimo, fresca di conio:-
“L’ironia è l’arguta gemella della vita mia!”
@Sergio, l’ardimentoso aquilotto di Lubiana e per Didò, fragrante bocciol di rosa, sempre troppo tardi vi ho lasciato incautamente un messaggio nel blog. di San Valentino.
@Didò e gli eventuali guaglioni.. appassionati del lotto, con mille scuse per l’uso maldestro del dialetto napoletano. Attendo vostre gradite correzioni…Para-poesia scritta quando il bizzoso n.34 detto” Capa Tosta”, ostinato come un mulo, non voleva essere estratto.
********
INVOCAZIONE PROPIZIATORIA
Il 34 detto “Capa Tosta”
è proprio nu’ scugnizzo dispettoso
pare che si diverta e faccia apposta
a non uscire e rendersi prezioso..
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Il ragioniere Esposito Vinicio
nutriva in petto un sogno ambito e folle:-
sputare in faccia al vile Capo Ufficio
girare i tacchi e volarsene alle Azzorre.
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Mentre l’affascinante donna Bruna
facendo un pò di cresta sulla spesa
aveva sperperato una fortuna
ed ora non sapeva chi pregare….
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Peppino “U guappo, dopo i sortilegi
si era rivolto solo a San Gennaro
e promesso gli avea candele e preci.
Invece niente……
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L’avverso imponerabile destino
ignorando speranze e le promesse,
aveva irriso per mano del bambino
la brava gente e tutte le scommesse.
*****
Insomma, 34 io t’invoco
abbi pazienza, nun si fa accussi…
Il gioco è bello quando dura poco
datti na’ regolata piccirì….
Siena, 1985-86
Tessy l’adorabile….
Un caro saluto a Pino, che ho conosciuto in occasione del Premio Massimo troisi due anni fa (sono arrivato secondo, mica cazzi! E solo per il fatto che il primo era il cugino di Didò). Io ritengo che due sono le doti che possono fare di un grande scrittore un genio: l’ironia e la capacità di andare oltre con la fantasia, ovvero il surrealismo magico, trasmettere su carta gli incubi devastanti che affollano le menti più complesse (kafka, Buzzati, Landolfi sono gli esempi). Non credo affatto che i romanzi umoristici siano un genere minore. Assolutamente. Però è necessario riuscire a creare materia letteraria senza scadere nelle barzellette, che sono anch’esse un genere nobile, ma altra cosa. I vari Littizzetto, Albanese, Covatta, Bergonzoni sono un prodotto di consumo televisivo, tra qualche decennio nessuno si ricorderà di loro. Neanche Stefano Benni mi sembra eccezionale. Mentre Achille Campanile (il genio Achille Campanile) rimarrà alla storia della letteratura, così come Zavattini, Flaiano, Woodheouse ecc. Io amo la letteratura umoristica, quella vera, introdotta con classe e delicatezza all’interno di una storia più ampia, e la scrivo anche. Se qualcuno mi chiede chi sono i miei riferimenti letterari, rispondo: Campanile prima di tutti. E Beppe Viola: i suoi articoli sulla Gazzetta dello Sport erano fulminanti, un concentrato di sarcasmo e buon umore, c’era moltissimo da imparare dal grande Beppe. Di Pino ho letto qualche racconto qua e là e mi pare che raggiunga risultati efficacissimi, ha un senso innato del paradosso, gli viene spontaneo trovare il lato comico di qualsiasi argomento. E non è facile, quindi mi complimento. Per concludere una chicca: nel cimitero del mio paese c’è un epitaffio dedicato a una signora che in vita faceva la sarta, roba di cinquanta anni fa. Il marito volendo far risaltare l’arte della consorte, fece scrivere: “Qui giace Antonietta Pasini, donna di facili costumi”.
@ zaub
dici una grande verità: ”L’ironia ha un’intenzione eminentemente comunicativa e per me ha sempre qualcosa di malinconico nel disperato desiderio di garantire quell’isola beata della comunanza-”. la malinconia secondo me sta nella consapevolezza amara della propria profonda solitudine, ed è in un certo senso un mettere le mani avanti: lo vedi? io sono così, per cui non ti piacerò come tu non piaci a me. parliamo lingue diverse, vattene. un depliant spietato per un prodotto di nicchia. e quando, di rado, succede che l’altro capisca, si dischiudono scenari bellissimi nei quali il rischio di delusione è minimizzato.
poi c’è da distinguere tra ironia e autoironia, umorismo, sarcasmo, comicità (con tutte le sue sfumature, dall’avanspettacolo più becero allo slapstick) e satira. sono cose differenti, e ognuna di esse ha innumerevoli varianti. una cosa che fa ridere me non necessariamente fa ridere anche te. non esiste una universalità della risata. ogni cultura, e all’interno di essa ogni gruppo sociale, e via restringendo ogni clan, ha i suoi modi.
e poi ci sono i gusti personali… che casino.
🙂
@ Tessy, dopo Faber De Andre, solo tu potevi spaziare così bene sul nostro dialetto: ecco questo è quello che mi sembra l’autentica fusione tra “ironia” e “umorismo”. Sulla bontà semantica del testo, bhe Imperatore e pochi altri a Napoli possono esprimersi, il napoletano è lingua complessa e difficile al pari di qualche altra (Sardo, Siciliano: Buttitta docet) che mi terrorizza, ha una grammatica che non proviene direttamente dall’italiano, visto che la precede.
Con orgoglio (ma anche un po’ di vergogna)devo affermare che non fu un napoletano doc a sancirla come lingua ma un mio concittadino, il filosofo Giovan Battista Basile di Giugliano in Campania (15 km a nord) autore anche del famoso “Lo cunto de’ li cunti”, da cui poi la mitica “Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone.
…
Mi piacerebbe ancora sentire opinioni su ironia e umorismo, vedo che c’è un bel dibattito, grazie a Gea, Zaub, Zappulla…insomma sto ancora dormendo…appena sveglio faccio un ripasso!
Caspita! Mi accorgo solo ora che sono pochissimi i libri ironici che ho letto. L’ultimo è stato “La cerimonia del massaggio” di Bennett Alan. Però, in cambio, sono abbonata a Linus 😉
Tornando alla domanda di Massimo: ebbene si, credo che questo genere di letteratura goda di spazi minori. Il motivo? Forse viene sottovalutato e forse l’ironia non paga. Soprattutto gli editori.
“Osate! Osate! Osate!” E’ l’esortazione che mi rimase impressa, pronunciata proprio da Pino Imperatore a noi allievi del suo corso di scrittura umoristica. Ed egli stesso l’ha fatta propria, dando alle stampe questa surreale trilogia. Ciò che più ho apprezzato, oltre alle indubbie e coinvolgenti qualità narrative ed intuitive che traspaiono dalla lettura delle tre opere, è proprio quel senso di sfida urbi et orbi: sfida agli oligopoli letterari, ai duopoli televisivi, a tutto il brodo primordiale nel quale siamo immersi, che più che cultura intende fare coltura.
Sì: il libro su Santo Gnomo ti incatena, quello sulle salme è per una nicchia, quello sugli animali è un best seller.
Osate, osate, osate: nello scrivere, nello scrutare, e anche nello esposito, che è un amico mio.
Ha ragione Gea…c’è l’ironia, l’autoironia, la comicità, l’umorismo…E poi ci sono romanzi che pur non potendo definirsi di genere tuttavia hanno una vena umoristica latente che strappa un sorriso e – come ben dice Zauberei – una riflesione. Anzi credo che l’arte sia altissima proprio quando riesce in entrambi gli intenti: a farci sorridere con amarezza, o a farci commuovere con leggerezza.
E’ un equilibrio difficile e comunque nulla toglie a chi, come i bavissimi Didò e Imperatore, sanno puntare tutto su un bel sorriso che invita a trarre un sospiro di sollievo e a comunicare comunque profondità.
Uno dei romanzi letti di recente che – come sopra dicevo – non può dirsi di genere ma strappa molti sorrisi e un po’ di malinconia è “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery, che sta spopolando in Francia e in Italia.
Ecco…qui nonostante le riflessioni siano filosofiche e il finale decisamente tragico quasi ogni pagina scorre ridendo…
Complimenti a Francesco, a Imperatore e ad Evento, al quale dico: sì, l’autoironia è segno di intelligenza, così come l’umiltà.
@ Sergio
Offendermi io? E perché? Anzi complimenti per il tuo componimento Est Temporaneo.
@ Kierkegaard
Nel mio cuore invece, si è piantato un altro dardo. Fin dalla più tenera età. Poi mi ci sono volute pazienza, esperienza, cocciutaggine e coraggio per scoprire gli altri colori dell’anima, auto-ironia compresa, a cui ricorro, solo fra amici più intimi . Forse è vero che, fra tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente: è un “tocco” che va usato con grazia e con grande cuore, altrimenti si trasforma in accidia.
Flajano fu grandissimo, proprio per questo, perché seppe trovare la sintesi fra i suoi pensieri più profondi e l’uso sapiente dell’ironia. Un’ironia che è pudore dell’anima, e che anche nel suo scritto più tragico, sta nella trama per rafforzare l’angoscia : ironia come parte stessa dell’essere, che non si riconosce o che si è dolorosamente riconosciuto.
L’umorismo invece è un’altra cosa e a me piace ridere moltissimo.
A dopo
@ Zaub
Massimo rispetto per le tue osservazioni, anche se non posso condividerle. Di pesantezza ne abbiamo già troppa. Basta guardarsi in giro, anche nel mondo letterario. E’ di sana leggerezza che si avverte la mancanza. Volendo limitarci all’umorismo, è proprio di sana leggerezza che è intessuta tutta l’opera di Achille Campanile: grazie ad essa, riuscì tra l’altro a mettere alla berlina comportamenti sociali conformistici e bacchettoni. L’ironia è un’arma micidiale, se usata con intelligenza.
Volendo fare un esempio legato al mio libro “Manteniamo la salma”, trovo che sia “pesante” lasciare su una lapide o su una tomba un epitaffio triste e drammatico, che non fa altro che perpetuare il dolore. Immaginiamo invece di capitare davanti ad epitaffi di questo genere: “Aspetto e spiro” – “Alma e sangue freddo” – “Sono sceso in campo” – “Non aprite questa morta” – “Sotto vuoto spento” – “Sto risollevando lo spirito”. In questi casi l’autoironia di colui che è trapassato ci aiuta a ricordarlo più col sorriso sulle labbra che con le lacrime agli occhi. A Milano sulla tomba del grande Walter Chiari c’è questo epitaffio: “Amici, non piangete, è soltanto sonno arretrato”. Straordinario.
@ Zaub
Piccola precisazione.
Anch’io resterei interdetto nel leggere un titolo con uno gnomo che dice: “Manteniamo la salma”.
Trattasi di due libri separati. Ne “La catena di Santo Gnomo” ho raccolto 99 microracconti umoristici legati l’uno all’altro (come in una catena di Sant’Antonio) da un argomento, da una situazione o da un personaggio.
“Manteniamo la salma” è, invece, un catalogo di epitaffi (divisi per categorie) ad uso e consumo dei viventi.
@ Salvo
Ciao Salvo! Teniamo sempre acceso il sacro fuoco della risata!
@ Gea
Verissimo: non esiste un’universalità della risata.
Le battute geniali di Totò sono intraducibili e/o incomprensibili in un’altra lingua.
I giochi di parole di Lewis Carroll sono apprezzabilissimi solo in inglese.
Gli epigrammi di Gino Patroni non avrebbero senso se tradotti alla lettera in un’altra lingua.
E via dicendo…
@ Maurizio
Sei sempre il solito: un grande.
Maria Teresa,
lo so: vai a vedere nel post di San Valentino: ti ho gia’ risposto (e anche a Maria Lucia, Gianmario e Dido’).
Sergio
Io sono sulla linea di Pino Imperatore, del quale condivido anche i gusti in tema di Letteratura umoristica.
@ Simona
Ti invio virtualmente un bacio sulla fronte per la bellissima definizione che hai dato: “puntare tutto su un bel sorriso che invita a trarre un sospiro di sollievo e a comunicare comunque profondità”.
Sei riuscita a riassumere in poche parole ciò che io, Didò, Salvo, Maurizio e tanti altri tentiamo di fare ogni volta che scriviamo.
Dido’,
la versione della Nuova Compagnia di Canto Popolare della Gatta Cenerentola e’ incantevole: mia figlia qui a Lubiana conosce quasi quasi piu’ la musica classico-popolare partenopea di quella in lingua!
Sergio
P.S.
Appena avro’ un po’ di tempo, seguira’ citazione basiliana.
Pino Imperatore,
grazie per l’apprezzamento del mio ”raccontino”! Se vuole glie ne faccio avere degli altri (qualcosa sta anche qui su Letteratitudine: vedasi l’archivio dei ”post”).
Saluti Cari
Sozi
@ Sergio
Inviameli pure. Potremmo pubblicarli sul sito del nostro Laboratorio: http://www.scritturacomica.it.
Aloha!
Per chi avesse una decina di minuti di tempo (per essere tristi c’è sempre tempo) consiglio il video della presentazione Fnac/Napoli, è esilarante, come in tutte le presentazioni di Pino.
Il presentatore è Lucio Rufolo, primario di pneumologia all’ospedale Cardarelli di Napoli e formidabile umorista, che fa tutta la presentazione spacciandosi per milanese (e dal pubblico si sentivano seri mugugni:”ma come un milanese che presenta un umorista napoletano?”); c’è il formidabile comico Giancarlo Siani; c’è @Maurizio De Angelis (altro vincitore di un Premio Troisi), che è intervenuto poch’anzi e saluto, con una domanda dal pubblico divertentissima.
…
http://www.centoautori.it/modules/knowledge/item.php?itemid=61
@ Didò
France’, il comico è Alessandro Siani, non Giancarlo Siani. Si vede che sei ancora a stomaco vuoto…
@Maestro Imperatore:
Enrico Gregori aveva chiesto degli “stralci”, per lui e la platea, dai non avere il “braccino corto”, sarai pure nato a Milano, ma la levatrice era di Genova (la zia me l’ha detto!)
…
@Giancarlo Siani,
caro @Pino, come vedi la memoria degli umoristi poi si vendica, inserendo degli imput di dolore per noi che l’abbiamo conosciuto.
Posso pensare ad un contrappasso dantesco, l’ascesa di un Siani comico dopo un Siani (“…il suo volto brillò come il sole…” dal Vangelo secondo Matteo)solare anch’egli , ma drammatico nei suoi reportage sulla nostra città.
off-topic, ma non tanto, @Maugeri ha affidato, in un impeto di follia, la pagina a degli umoristi e…
@Pino, tua cugina (mia moglie) ha messo in tavola i rigatoni al ragù, l’odore mi stà uccidendo, devo lasciare il blog: “O’ rragù è ‘na cosa seria, co’ rragù ‘nun se pazzéa!”
@ Navigero perso su rotte sconosciute: secondo me, c’è meno ironia oggi di una volta, facendo le proporzioni tra numero di persone e autori; perché? Sviluppando il sarcasmo di Brassens (‘più di quattro si diventa una banda di stronzi’) direi perché la moltitudine e l’ignoranza (in ordine invertibile) sono nemiche dell’ironia. Alla seconda domanda consiglio i maestri: Voltaire, Dizionario Filosofico; Rabelais, Pantagruel (più di Gargantua); infine (fidatevi) leggete gli Aforismi di Lichtenberg. Ne cito a memoria uno ‘Se il libro e una testa, scontrandosi, emettono un suono sordo, non è detto che la colpa sia del libro’.
Dimenticavo. Sono d’accordo con: “Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)
@Rosa Maria,
il sarcasmo è la cattiveria dell’umorismo, quindi dolore, non sentito ma provocato , sono d’accordo (Santuzza bella! Rosa Maria è un Premio Ilaria Alpi, mi si è arrossita la tastiera, ah questi catanesi!)
Ecco tre microstorie tratte da “La catena di Santo Gnomo”:
L’IMPREVISTO
Li ho visti, gli assassini, dalla mia finestra. Sono giunti all’alba e si sono piazzati ai lati del portone di fronte. Appena quello è uscito, gli hanno sparato. Tre, quattro, cinque, dieci colpi a bruciapelo e un colpo di grazia alla nuca. Poi sono scappati con l’auto di un complice.
Sono scesi in strada i parenti, si sono messi a gridare, è arrivata la polizia, qualcuno ha coperto il cadavere con un lenzuolo, hanno delimitato con i nastri il luogo del delitto, hanno bloccato la strada.
Ora chiamo in ufficio, avverto che non vado al lavoro. Ne approfitto per restare a casa a leggere un giallo: è il mio genere preferito.
MISTER MUSCOLO
Guardate che mano grossa e gagliarda che ho: trenta centimetri di muscoli, cinque dita una più spessa dell’altra, il dorso prestante, un palmo da vetrina, una presa vigorosa, i carpi, i metacarpi e le falangi che funzionano a meraviglia. E un bel callo maschio sul pollice.
Il telecomando fa miracoli.
PROVE TECNICHE DI MEMORIA
Controllò sulla cartina, verificò sulla guida turistica, consultò il navigatore satellitare, mise a fuoco la sua mappa mentale. Tutte le coordinate coincidevano: il posto era quello, non c’erano dubbi. Quella era la strada in cui aveva abitato fino all’adolescenza. Persino le case erano rimaste uguali, con qualche tocco di modernità.
Una sola cosa non riusciva a spiegarsi: perché al posto di “Viale Caduti della Resistenza” ora c’era scritto “Via Batman?”.
@ Gea
Sono d’accordo con te e con la frase sociologica di Zaub.
Negli ultimi tempi ho dedicato molto studio alla figura del buffone, del clown, del circense.Si trovano pittori molto interessanti come Roualt, Ensor, lo stesso Picasso e i suoi acrobati o i suoi arlecchini: raffigurano maschere sotto le quali c’è quasi sempre la mancanza della gioia nei confronti della vita, in alcuni l’angoscia del vivere.
Non so a che cosa sia dovuto tutto ciò.
Quand’ero bambina il circo non mi ha mai fatto ridere, lo trovavo un luogo errante e malinconico e non riuscivo neppure a capire quelli che lo trovavano divertente. Stessa cosa per le comiche: cosa ci sarà da ridere se la gente scivola su una buccia di banana o ha mille disavventure?
Appare tutto così patetico.
Ma chi dal nero tira fuori il colore, allora si che possiamo parlare di talento. Anzi i colori sono vivissimi su fondo scuro.
Ciao Rossella
Allora
Io ho questa associazione mentale, istintiva non ponderata, o meglio, scarsamente ponderata. Ve la metto qui sperando che qualche maugerolettore mi dica cosa ne pensa. Se gli suona, se non gli suona, perchè si – perchè no.
La mia sensazione epidermica e spontanea e pessima è:
l’ironia di tipo puro è facilmente qualunquista e magari conservatrice. La satira è più specifica e auspicabilmente progressista.
–
Penso questa cosa perchè il campo del surreale è un campo molto ristretto, e la risata spontanea se ne fotte della storia. Viene il sospetto che il suo pensiero sulla storia oscilli tra: “aaaah tanto va tutto a rotoli” a ” a me me sta bene così” in ogni caso, di occuparsi di complementi oggetti pesanti, dolorosi, storicamente determinati come invece fa la satira, proprio non je va.
–
Sono stata un po’ apodittica per amor di discussione, ma mi rendo conto benissimo che le cose non possono stare esattamente così. Diciamo – approssimativamente.
@francescodidomenico: e noi vulcanici siamo! 😉
A @Zaub, che tenta di vivificare il dibattito con deliziosa sapienza propongo:
…
“…si lanciò nel business spacciando vecchie costituzioni sovietiche all’angolo della Nomentana…Al processo per “Sfruttamento della Costituzione” fu condannato a tre anni ma il suo medico gliene diede due, patteggiarono e così morì dopo due anni e mezzo inciampando, ironia della sorte, nel libro “Stato e Rivoluzione” di Lenin (era stato rilegato da un marmista anarchico di Carrara). ”
…
Nel brano sopracitato vi dovrebbero essere: 1)surrealismo; 2)satira politica; 3)umorismo qualinquista.
Che ne pensi?
Ma sopratutto cosa ne pensate dei mini racconti di Imperatore?
Non siete ancora usciti dalla pennica pomeridiana?
A leggere gli stralci direi che siamo tra il racconto ironico e l’aforisma. Mi sembrano di buon gusto e sufficientemente “noir” per i miei gusti.
didò ricordete che nun zo alberto sordi . valuta se non sia il caso di saltare a piè pari questo commento.
Detto ciò. Oggi ho scritto un pezzo per il mio blog che posterò domani e che riguarda il concetto di camp. Se non ti suona camp, prova con postmoderno. Comunque, qualifico qui una certa rappresentazione come postmoderna perchè mette insieme oggetti provenienti da contesti diversi decontestualizzandoli e quindi togliendo loro significato. I risultati sono spesso gradevoli, ma alla fine spesso qualunquisti. Ecco. Il pezzo di sopra è un po’ qualunquista, decisamente umoristico. Ma no non c’è satira politica solo postmodernità.
@Zau
Camp? Interessante, allora domani passo a trovarti.
Ciao
@Zau, memoria lunga?
Risposta sordiana la tua: “Io so’ er’ marchese der’ Grillo, tu Didò…”.
Touchè!
Ma volevo, con la proposta di quel brano, riaccendere il dibattito sulle differenze, o osmosi, che intelligentemente @Maugeri ha introdotto presentando il post e titolandolo volutamente (volando alto) sull’Ironia e non semplicemente sull’umorismo.
@ Enrico,
hai colto immediato il “filo nero” di Imperatore, di solito gli umoristi lavorano sul corpo del racconto (umilmente me compreso), Pino è sostanzialmente pugilistico, lavora al corpo delicatamente per dei finali stravolgenti, da Ko. Esemplare è un suo racconto “Le lame del carnefice” pubblicato in “Sangennoir” – Kairòs Editore.
Il libro dovrebbe essere quasi esaurito, ma se ne trovo una copia…
@ zaub
io credo che i confini siano molto labili, a che comunque qualunque cosa ti costringa a mettere in moto il neurone, a inventarti nuove sinapsi per coglierne il senso, sia di per sè rivoluzionario. esiste anche la satira qualunquista, come esiste la comicità intelligente. e l’ironia, di suo, ha sì una valenza disincantata e pessimista che cozza con l’afflato progressista: (”ottimista e di sinistra” come la puttana di dalla), ma non è reazionaria.
io trovo orrida, repellente, squallida e nulla divertente certa comicità da avanspettacolo, pensata in malafede per far ridere facilmente sfruttando luoghi comuni, scatologia e difetti fisici.
quella è qualunquista. quella è volgare. quella è profondamente, intrinsecamente reazionaria.
-Didò:)
G-ea concordo moltissimo sulla seconda parte e te ne do ragione. Ma sinceramente no, non tutto ciò che procura una sinapsi è rivoluzionario.
Mi pare eccessivo – forse perchè grazie al cielo un mucchio di cose implicano lo spostamento di neuroni. e tra reazionario e rivoluzionario c’è un mondo di variazioni, di medietà.
Non ho chiamato in causa sinistra e destra. Men che mai ottimisti o pessimisti. Ma chi fa satira, lo fa perchè ha un’ideale umano alto, perchè continua a mantenere degli standard in cui crede in realtà l’umanità si debba identificare, abbia i mezzi per farlo, ma poi alla fine inciampa. Se non fosse così – chee ironizzerebbe a fare? non farebbe ridere nessuno, non ci sarebbe lo scarto che permette lo scarto emotivo.
E dunque si: ottimista e di sinistra.
Tre uomini in barca… Se ci penso rido sola, perché certi episodi in famiglia ci hanno fatto sempre scompisciare, specie quello – leggetelo, assolutamente – del quadro da appendere.
Certe pagine del Decamerone, comunque oggi un po’ ardue da leggere linguisticamente. Ne esiste una “traduzione” ad opera di Calvino ma non è la stessa cosa.
Achille Campanile: grandissimo ideatore di calembours, di storielle godibilissime, umorista di prima specie…
Amo anche l’ironia finissima di Jane Austen e degli inglesi in genere, vedi Coe tra gli attuali.
Vero è che la commedia, l’ironia, per loro origine e definizione generi “bassi” non hanno mai goduto di fama pari a tragedie, poemi seri e così via, specie in Italia.
z.
”rivoluzionario” era idealmente virgolettato, come in ”la verità è rivoluzionaria”. ovvio che le sfumature sono infinite, e lungi da me il manicheismo delle dicotomie. tra bianco e nero non c’è il grigio, ci sono tutti i colori del mondo.
e l’intelligenza secondo me ha comunque in sè il germe della positività.
comunque, du’ minuti di stronzaggine non si negano a nessuno…
🙂
Fulminanti e intelligenti. Meritano l’acquisto. Why not?
Caro Pino Imperatore,
il racconto ”Eh… Quando c’era Lui!” e’ gia’ su Letteratitudine, puo’ leggerlo subito cercando nell’archivio del blog. Altrimenti se mi lascia un recapito e-mail le invio dell’altro.
Grazie
Sergio Sozi
Molto interessante questo G-Azub-dibattito alla vieni avanti cretino. Arriviamo tutti noi e loro ci chiedono “dove siete stati ?” e noi ” a cercare ci capire dove finisce la comicità e finisce il noir, perchè in mezzo, un signore di una certa età, per strada, continuava a ripetere che prima o poi la satira sarebbe arrivata”.
Allora G-Zaub chiederebbero “voi siete a destra o a sinistra, ovvero subite o assistete alla satira ?”. E noi “veramente ci stavamo asserragliando perchè Sozi ha scatenato berenotti e cinodelfi, bestie immonde. I primi vorranno sicuramente aspirarealla presidenza del consiglio, i secondi si e no al ministero della Giustizia, la grazia la stanno presidiando insieme radicali e verdi”. Poi c’è il tema dei complementi oggetti pesanti. Allora noi “solo complementi leggeri, altrimenti lo sforzo travalica la fantasia e non c’è nulla di peggio che “non avere genio” di leggere. Ma tanto i racconti li pubblichiamo sul sito scritturacomica così si fanno tutti due risate che se le meritano”. G-Zaub “e poi ?” e noi, sempre più qualunquisti, rispondiamo “dobbiamo stare attenti ai Lupi che quelli sò tanti e mordono o fanno mordere e noi, comunque vadano le cose, saremo sempre dentro una nicchia con poca luce, i rumori della strada, lo smog, l’affitto e le mura umide. Mica ci possiamo permettere cose fuori-contesto noi. I due minuti di stronzaggine ce li hanno concessi e mò dobbiamo andare a studiare come si costrusce un camp di gioc che tanto sempre la palla al centr bisognerà mettere secondo i sondaggi”.
Scusate è l’ora delle gocce. Poi torno e vi racconto di quando l’ufficiale giudiziario è venuto a pignorarci i mobili e mio padre mi ha detto al telefono “tu tieni in mano”.
A tutti,
anche se Stefano Benni e’ diventato serio, io sto iniziando a leggere in questi giorni il suo ”La Compagnia dei Celestini”. La sua scrittura mi attrae molto, anche se a volte stanca un po’ per il fuoco di fila dei neologismi, gli idiotismi, i doppisensi e altro accumulati tutti insieme.
Non credete che sarebbe meglio lasciar anche un tantino di respiro al lettore? Forse questa frenesia comica, questo incalzare con battute e eventi, e’ il maggior difetto di certo umorismo. Cio’ magari, ipotizzo, potrebbe essere la causa principale cagionante il ”declassamento” del genere cui allude Maugeri.
Cosa ne pensate, voi?
Sergio
Ultima domanda a tutti:
si e’ parlato finora principalmente di ”sarcasmo”, ”satira” e ”ironia”.
Ma il ”divertimento puro” esiste? Si puo’ ridere e far ridere senza dileggiare, canzonare, filosofeggiare o ”cattiveggiare”?
“…anche se a volte stanca un po’ per il fuoco di fila dei neologismi, gli idiotismi, i doppisensi e altro accumulati tutti insieme.” tu l’hai detto !
bè, a me pare che i du’ minuti di stronzaggine me li sono presi io.
la buona notizia è che sono finiti.
coraggio, pasquà, torno nei ranghi, e vado avanti (da brava cretina) col tuo libro. tvukdb (sarà camp anche questo?)
🙂 🙂
Gea quello è “accamp”
non il libro, pollo.. la sigletta cretina da sms adolescenziale
🙂
Pasquale,
be’… in effetti un briciolo di ragione ce l’hai. Pero’ devi ammettere che nei racconti veri e propri – non in questo scherzo brevissimo che ho scritto per Imperatore in mezz’ora – io un po’ di respiro lo do’ a chi legge. L’hai ammesso anche tu, parlando di Plauto. Faccio tiraemmolla: battute e poi pensieri distesi. Non sono del tutto campaniliano, mi sembra, insomma. Ho un ritmo variegato.
“Tre uomini in barca ” e “Tre uomini a zonzo” sono i primi libri che ho letto. Si leggeveno rapidamente, anche perchè il nome dell’autore era uguale al cognome. Non sono il solo a considerarli due capolavori dell’umorismo. Son stato di recente in Germania, ed alcune descrizioni dei tedeschi, a distanza d’un secolo, reggono ancora perfettamente. Ricordo la frase in cui Jerome assicurava che in Germania ci sono divieti ovunque: “Ovunque si vada, anche in capo ad una sperduta montagna, ci sarà un albero con su inchiodato un manifesto con un bell’elenco di verboten.”
Bravo Sergio. E’ nell’alternanza battute-pensieri distesi che, a mio avviso, si costruisce. E’ questione di tempi. Se chi legge non riesce mai a prendere fiato non ne avrà poi a sufficienza nè per ridere, ne per esprimere tutto il suo stupore. E’ questione di senso. Se devo capire troppe cose non riuscirò a stare al tempo di cui parlavo prima. Bisogna che la mente del lettore sia attiva, dentro quel ritmo, completando le parti mancanti come attesa di una risposta. E’ un passo a due verso la felicità, autore e lettore. Alla fine se ne vanno a braccetto. Attento, però, perchè potrebbero tornare a vedere che faccia hai fatto. E se ti trovano distratto, poi, ti fanno “mantenere la salma”.
Questo credo, ma io sono uno che ride e sorride. Leggerò Pino Imperatore. Come potrei perdermelo ?
A Maria Lucia,
certo: i generi ”bassi” come quello umoristico o puramente lirico (tipologie opposte ma accomunate dall’ignoranza della gente: Petrarca non e’ a pari, purtroppo, a Dante, presso l’opinione comune) in Italia non si confanno al nostro istinto, alla nostra attitudine melodrammatica: una vena autentica (guarda com’e’ la gente oggi e dimmi di si’!) questa. Siamo un popolo melodrammatico, decadente in ogni suo poro e vena. E dunque chi scherza o gioca o tocca il Paradiso (come Petrarca, per il Paradiso, o Campanile, per la giocosita’ pura) non piace: bisogna essere sarcastici, decadenti, tesi al basso, alla morte e alla bruttezza, alla perversita’ meglio. Il sarcasmo, infatti, io, da ”Italiano nonitaliano” (ossia Italiano delle Origini), lo disprezzo, mi sta sull’anima – eufemismo per ”mi sta sulle…”. Io ammiro gente diversa da quei tanti cinici sotto mentite spoglie: le formichette della Letteratura come i comici da avanspettacolo sciocco. I battutisti poi, per carita’ di Dio. Ammiro piuttosto la bellezza poetica dei grandi umoristi filosofici come Bontempelli o Gadda, qualcosa di Benni, Palazzeschi, Gide, Gogol (tutti molto spiritosi, in certi momenti, ricordiamolo, ma non ”battutisti” da spettacolo tivu’: profondi, sinceri, umani appieno, filosofici e pieni di amore)… Poi si passa agli altri tempi, i tempi dorati: Petronio, Plauto, Orazio, gli epigrammisti. Il resto e’ Sergio Sozi. Roba solo mia… con qualche tirata d’orecchie da parte di Bulgakov e Bruno Schulz, gente incommensurabilmente riassuntiva dell’intima essenza slavo-italiana… perche’ siamo molto vicini, per certi versi, non dimentichiamocelo, gente.
Sergio
P.S.
Gli altri pazzi che mi stanno nel cuore adesso non li ricordo: scrivo mentre figlia e moglie dormono e da solo tutto mi sembra poco, futile, piccolo ed incompleto. Soprattutto incompleto.
Sergio Sozi
P.S.
Dido’: come hai fatto a saper che i miei antenati avevano il mio cognome scritto con la i lunga e la i? Hai consultato l’enciclopedia della Letteraura Einaudi? Birbantello…
Salvo,
Buzzati, Landolfi, Riva, Campanile, Woodhouse. D’accordo. Aggiungiamo Petronio e Gogol, eh?
Ciaobbello
Sergio
Sergio@
Ma sì, aggiungiamo pure. Tanto per quel che costa! E mettiamoci pure Sergio Sozi e Salvo Zappulla. Crepi l’avarizia.
Ciaao.
Buona giornata a tutti!
Chiedo scusa per la latitanza.
@ Pino Imperatore
Rinnovo il mio benvenuto a Letteratitudine.
Spero che tu possa avere la possibilità di partecipare ai futuri dibattiti.
@ Maria Teresa
Grazie per massima. Davvero.
@ Didò e Pino
Gli stralci offerti fanno sorridere (o ridere a denti stretti). Ravviso un riuscito umorismo british-pertenopeo di origine meneghina.
Good!
Citazione di Luigi Pirandello (così giustifichiamo la foto di Franco e Ciccio,protagonisti de “La Giara”)
—
« Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere.
“Avverto” che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un “avvertimento del contrario”.
Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s’inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico. »
Continuate pure la discussione.
A stasera!
@Sozji,
come si può diventar colti per un tasto premuto per errore!
No, era voluto, amo tutto quello che può far sorridere e il tuo cognome si prestava ad un gioco slavo! Poi, in questo momento sono in ansia per la regione balcanica e per gli attriti serbo/albanesi: perchè non si può risolvere tutto sempre con un sorriso?
…
“Ah,ah,ah, sarà una risata che vi seppellirà” era il motto degli “Indiani Metropolitani” della rivolta studentesca a Bologna del ’77.
E’ stata una delle più divertenti proteste mai viste, colta e irriverente, l’umorismo applicato alla politica. I ragazzi servivano pasticcini ai deputati fuori dal parlamento mettendoli in grande imbarazzo, gridando: “Vi state mangiando tutto, vi manca solo il dolce…”
Ecco l’umorismo che salta il fosso del qualunquismo.
@Sergio,
sempre tu. Hai citato Bulgakov, lo hai nominato en passant, ma il Maestro è secondo me quello che più riassume la grande commistione tra ironia e umorismo, generando poi un’opera di letteratura grandiosa, trasfigurando la drammaticità dello stalinismo in un romanzo coraggiosamente (avremmo detto negli anni ’70) “militante”.
Parli di “genere basso”;
Dario Fo ci ha vinto un Nobel; Giorgio Gaber “un posto nella storia”, non voglio ascriverli agli umoristi, ma il teatro e la letteratura “irriverente” dei primi guitti ha sempre usato l’umorismo per, facendo politica, attirar spettatori e trattenerli in platea.
Trilussa poi, considerato in modo errato qualunquista sferzo il potere irriverendolo anche con un autoaforisma sulla propria morte quando Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1° dicembre 1950, venti giorni prima che morisse; già da tempo malato, e presago della fine imminente, ma con immutata ironia, il poeta commentò: “M’hanno nominato senatore a morte”(successivamente lo fece Troisi e buon ultimo Pino Imperatore che ha inserito nel “Manteniamo la salma” l’epigrafe per la sua, lontana spero, lapide).
Non ho fatto in tempo a leggere tutti i commenti, ma anche a me in prima battuta è venuto in mente Benni. Di lui avete già detto tutto. Ironico, divertente. La trilogia di Pino Imperatore mi incuriosisce molto, tendenzialmente è una letteratura che nel nostro panorama non ha molti spazi…ed è un vero peccato!
L’ironia, sottile, pungente, che spesso fa riflettere, è per me sintomo di grande intelligenza (mi ritrovo quindi nella definizione di S. Guitry). Non è facile giocarci senza cadere nella trappola della banalizzazione, del sarcasmo “cattivo”, quello che non fa ridere nè sorridere e che anzi infastidisce.
E visto che mi fido di Didò (ciao caro!), sono certa che la trilogia di Imperatore non deluderà. A lui i miei più sinceri complimenti.
Buongiorno Buongiornissimo:)
– regà io Benni non è che ci vado porprio matta ecco. allora io adoro Pennac.
– Mi piace l’esempio di Didò del 77, però a quel punto siamo nel terreno della satira politica.
– Per quello che riguarda Bulgakov. Ho adorato il Maestro e Margherita,e penso che valga per quel libro quello che penso dei grandi romanzi. Ovvero la capacità di muoversi fuori e dentro i confini di un genere. Se un lavoro rimane dentro le pareti di un presunto genere di derivazione, è un buon lavoro tuttalpiù, piacerà agli appassionati di quella fila di espressioni, ma la grande letteratura ha il potere/dovere di scavalcare di non reggere confini.
Ciò non toglie che io non ami certi filoni: Ho passato anni a leggere molta fantascienza: Ma certo tra un Asimov che scrive di Robot, e il meraviglioso “la possibilità di un’isola”di Houellebecq, e ‘ce corre…
Mi sembra che nessuno fino ad ora abbia citato Wislawa Szymborska Premio Nobel per la Letteratura nel 1996, la cui caratteristica fondamentale è sicuramente l’ironia. Cito una poesia su tutte tanto per dare un esempio del modo in cui la poetessa polacca usa l’ironia:
RINGRAZIAMENTO
Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicino a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come un orologio solare,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore non perdonerebbe mai.
Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che si trovano in ogni atlante.
E’ merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
L’ironia di poesie come Ringraziamento può servire egregiamente al fine di preparare un terreno propizio all’edificazione di una diversa maniera, di intendere l’uomo, l’impresa e la società, rispetto alle logiche devastanti dell’imperante scientific management. Si può guardare con positività alle relazioni umane anche quando, con tutta la buona volontà, ci troviamo nella necessità di confrontarci con persone “che non amiamo”: colleghi, fornitori, clienti. Si può credere al dialogo come valore essendo ben consapevoli del fatto che dialogare non è attività necessariamente “pacificante o consolatoria. Al contrario, dia-logare significa invitare e ospitare discorsi per sottolineare le loro differenze, senza, tuttavia, cancellare le comunanze” (Massimiliano Finazzer-Flory). Fare impresa conviviale non comporta un volemose bbene forzato e ipocrita, ma la capacità di non finire per essere tutti come Fracchia, o Fantozzi, o le macchiette proposte da programmi tipo Camera Caffè. Maschere che non solo raffigurano lo stereotipo delle debolezze umane, ma la rappresentazione di come queste debolezze sono strumentalizzate quando chi detiene il potere adotta una strategia ispirata allo scientific management. Che riesce a tirar fuori da noi solo il peggio. Che alimenta il tessuto psicosociale delle aziende di invidie, gelosie, egoismi, velleità, piccole e grandi meschinità.
L’ironia di Szymborska è un potente antidoto a tutto questo e non va scambiata con il sarcasmo: “a volte la gente confonde l’ironia con il dileggio, lo scherno, col disprezzo per l’altro, con un’altezzosità, che metterebbe chi ironizza su un piano più elevato rispetto all’oggetto dell’ironia. Ma l’ironia è quella che ha anche il carattere di compassionevolezza, che è vicina agli altri. Mai dimentico di ridere prima di tutto di me stessa. Questa è l’ironia che preferisco”.
Il fatto che Szymborska non sia stata fin qui evocata va forse ascritto alla scarsa attenzione che in Italia viene posta alla poesia. Su questo tema segnalo un commento di Andrea Amerio appena pubblicato sul Metablog le Aziende In-Visibili:
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/
Ode e gloria al nostro Sommo Imperatore e a Didò che con la sua ormai nota sagace ironia l’ha recensito. L’umorismo è la parte rosa del nostro essere; tutti noi, anche il più sfigato dei pessimisti ha una vena umoristica nel dna, solo che non lo immagina. La differenza sta nel fatto che, per buona pace degli umoristi veri, non è roba da tutti saperla esternare, saperne scrivere. E’ senz’altro più difficile far ridere che far piangere (e di far paura ne vogliamo parlare?) e Pino Imperatore ne sa qualcosa. Lui ha insegnato a molti a tirare fuori quella vena (osate, osate… come dice il nostro fantastico M. De Angelis), a farla pulsare, anche a chi non è umorista per vocazione. Uno dei pochi che non teme di condividere con gli altri il suo sapere. Non voglio fare paragoni con Benni, Woodhouse, J.K.Jerome… Pino Imperatore è Pino Imperatore, ha uno stile alla Pino Imperatore e non mi viene di pensare ad altri uomoristi mentre lo leggo, perciò…
La Trilogia merita il Guinnes per il sorriso: consigliato a tutti, specie a chi necessita una pillola di buonumore a ore alterne. Il mio preferito? “Manteniamo la salma”, ovviamente. Anzi, approfitto pe rchiedergli la liberatoria su uno dei suoi epitaffi così da usarla quando (tra mille anni con i dovuti scongiuri – che per noi donne sono così difficili da compiere, non sai mai dove mettere le mani) sarà il mio turno.
Complimenti, complimenti, complimenti!
@Marco,
d’accordissimo, c’è poca attenzione alla poesia, ma avevo citato Trilussa, che non credo sia un sotto-poeta.
@Zaub,
“…Ovvero la capacità di muoversi fuori e dentro i confini di un genere.”
Prova un po’ con questo:
“Un bastardo di cane nero era sdraiato quasi al centro della piazza, debosciato e insolente, il pelo luccicava come le lame di Toledo, … si mise a ridere quando il sole splendendo all’improvviso gli fece luccicare le palle. “Questa la racconto a Manuel” pensò “A Valencia ho visto i coglioni di un cane luccicare, lui mi crederà, lui mi crede sempre.”
…
Ci sono autori che travalicano facilmente i generi, senza essere dei grandissimi maestri. L’umorismo può contaminare, basta aver (ci) un buon stato d’animo, poi allegri, Dio bono, si nasce!
Ulla peppa,
ma tu guarda, cripte aperte in pieno giorno:
@Simonetta Santamaria, la Dark Lady italiana. Quale onore immaginarti di giorno Simonoir, venuta ad assistere allo spettacolo truculento della vivisezione di Pino Imperatore (l’hanno diviso in tre gli editori).
Signori consentitemi di salutare Simonetta Santamaria, vincitrice del Premio Lovecraft di letteratura noir, una che è meglio avere come amica.
Il suo “Donne in noir” ha distrutto il sonno di molti.
Grazie della tua presenza Simonoir,
mi permetto di farlo anche a nome di Massimo Maugeri (Il preside Maugeri è dovuto uscire e mi ha nominato bidello del blog).
Horror, Didò, “letteratura” (che parolone, quasi mi vergogno a usarlo) Horror. Con incursioni noir ma pur sempre horror (che vuoi, ognuno si sceglie la propria nicchia.) Di scrittori noir ce ne sono fin troppi, lascio a loro il palco: a me la Morte interessa più “dopo” che prima! 😉
Ne ho combinata un’altra: sono di nuovo inginocchiato sui ceci, urca!
@ Massimo
Grazie! Sarò sicuramente dei vostri anche per futuri dibattiti.
@ Simonetta
Ti concedo volentieri la liberatoria. E ti propongo un paio di epitaffi che tra mille anni potrebbero fare al caso tuo: “Una di queste notti verrò a raccontarvi i particolari” – “Ho posato l’osso”.
@ Silvia
Grazie per i complimenti. Mi auguro di farti morire dal ridere (in senso metaforico, s’intende).
E’ vero, per gli umoristi e per i comici il rischio di sfociare nel sarcasmo è dietro l’angolo. Ma ci sono modi e modi per essere taglienti senza precipitare nell’offesa e nell’ingiuria. Lo hanno dimostrato, tra gli altri, Ambrose Bierce con “Il dizionario del diavolo” e Stanislaw Jerzy Lec con “Pensieri spettinati”. Due capolavori di sferzante e intelligente umorismo.
Fra gli scrittori e poeti satirici a me cari vorrei ricordare Aldo Palazzeschi, (1885 -1974) pseudonimo di Aldo Giurlani, con le sue opere.- Poesie (1930) ” Stampe dell’Ottocento”(1932),”I fratelli Cuccoli”(1948), ” Il buffo integrale”(!966),Stefanino (1969),”Cuor mio” (1968),” Storia di una amicizia”(1971), Palazzeschi ha deliziato e contribuito attivamente alla feconda vita culturale del primo Novecento.” Le sorelle Materassi”(1934), è il mio libro preferito e mi è piaciuto tantissimo. Non solo l’autore è attento ai dettagli, ai piccoli eventi della vita quotidiana, ma le sue divertenti pagine sono intarsiate da una vena ironica, da originali situazioni grottesche e caricaturali, nelle quali non mancano una strana vena di malinconica tristezza esistenziale, che induce a riflettere.
****
Consiglio spassionato, ai baldi novelli autori desiderosi di emergere…:-
” Molti giovani scrittori commettono l’errore di includere una grossa busta affrancata, grande abbastanza per rispedire il manoscritto al mittente.
E’ una tentazione troppo forte per l’editore…!- Ring Lardener
@Maria Teresa,
non poni mai limiti alla mia meraviglia!
@ Maria Teresa
Aggiungerei “Il Codice di Perelà”: delizioso.
Citazione da “Prima o poi l’amore arriva” di Stefano Benni:
L’UMORISTA
L’umorista
come fa ridere!
chissà dove trova
le idee
in quale misteriosa
insonnia
in quale particolare
magia
da quale nuvola
esilarante
vede il mondo
contorcersi
e le parole cadere
giù dalle scale.
Cos’è l’umorista?
uno triste?
uno spietato?
un cinico affarista
o è disperato
perché non avrà mai indietro
le risate che ha dato?
@ Pino Imperatore …per me l’estemporaneità delle sue battute oltre che con il talento ha affinità con una qualità dello sguardo e della sensibilità…come a dire che, forse, con questa vena si nasce…E allora, per rispondere al carissimo Sergio Sozi, credo che fare ironia senza essere cattivi si può.Ma è necessaria questa qualità dell’anima che possiedono Pino e Francesco, questo incanto e questa innocenza quasi da bambini. Che poi sa colorirsi di tutta la pienezza di una maturità conquistata ma, proprio per questo, leggera.
@Eccelso Pino Imperatore, da quel poco che ho letto sul blog, della Sua Trilogia del Buonumore, si merita un successo pari e oltre a quel simpaticone di Giovannino Guareschi. Origliando come la Perpetua nella sacrestia di Don Camillo, ho sentito il buon prete lamentarsi con il suo Crocifisso. Il poveretto ha una fifa bleu, teme di perdere la sua collaudata fama e non vuol essere messo in minoranza. Don Camillo ha persino pensato che Peppone stia tramando contro di lui, poiché da voci di corridoio, ha saputo che l’energico sindaco ha deciso di tappezzare la vetrina e la libreria del paese, con l’opera omnia del bravissimo Pino Imperatore, uno scrittore che Don Camillo non conosce ancora. Comunque il buon prete sta pensando ad una rivincita e non potendo fare altro… per arginare la vincente invasione di copie, suonerà a distesa le sue campane. Scrittore avvisato… scrittore salvato!
La sua devota amica Suor Therese
@Pino Imperatore, mio Signore, chiedo venia, includiamolo subito, “opus est”.
@ Didò, carissimo, ma a noi chi ci tarpa le ali della fantasia? E’ l’unica ricchezza che possediamo….
Tessy
@Maria Teresa,
Imperatore celia, ma è, è stato, poeta. Una sua poesia è appena stata inserita ne “Dalla bocca del Vesuvio” – Giulio Perrone Editore – Nov 2007
…
(un po’ d’humour c’è sempre, il libro è stato stampato a Gorgonzola, non ho capito se nella città o direttamente con formaggio riciclato)
Esempio di sano umorismo. Due battute di due napoletani.
De Crescenzo: “Solo i cretini non hanno dubbi”.
“Sei sicuro?”.
“Non ho alcun dubbio!”.
Pino Imperatore: “Con l’AIDS si muore”.
“Perché, con L’INPS si campa?”.
@Salvo,
buon sangue d’umorista non mente. Tra l’altro c’ è una grande scuola siciliana: ce ne parli brevemente.
Non chiamarmi blasfemo, ma io adoro il surrealismo quasi milanese di Nino Frassica, ah se si fosse incontrato con quelli del Derby (Jannacci, Viola, Fo).
@ Subhaga Gaetano Failla
“La letteratura dell’ironia, forse, oggi è oscurata dalla mediocre ironia televisiva che si trasferisce poi in molti casi su carta, producendo un gran numero di volumi di scarsa qualità, in consonanza con la fonte di provenienza.”
Mi trovo tristemente d’accordo.
Ah Didò! Didò! ( Già il nomignolo è tutto un programma, sembra il suono di un gioioso campanello. Penso che il buon Pino se ti assume come agente farà la sua fortuna. I più grandi umoristi siete voi napoletani, ce l’avete nel sangue la risata, un senso innato a sdrammatizzare, a complicizzare, forse per dimenticare i guai e le nefandezze burocratiche. Avete avuto Totò, il grandissimo Troisi, Campanile ecc. ecc. Sai che non mi viene molto in mente di questa scuola siciliana di cui parli? A meno che non ti riferisci ai comici di Zelig. Ma quella è un’altra storia. Noi siciliani preferiamo piangerci addosso, e la mafia di Sciascia, i vinti del Verga, De Roberto, D’Arrigo. Letteratura legata alla terra e alle tradizioni. Pirandello riusciva a creare situazioni brillanti. Altri che mi vengono in mente sono Martoglio e quel grande attore che è stato Angelo Musco, maschera del tempo fecondo, profondo conoscitore dell’umanità, trasformava il testo intrecciando battute estemporanee e originali. L’unico scrittore di mia conoscenza che fa ridere ( spero nel senso migliore) sono io. Ma non mi pare il caso di approfondire.
cosi’ al volo…ricordo di aver letto il libero piu’ ironico e simpatico degli anni 70 – PICCOLISSIMO di Antonio Amurri !!!!!!!
per chi non lo avesse letto, consiglio vivamente di procurarselo……e’ un vero spasso raccontato splendidamente da quel simpatico antonio amurri che purtroppo non c’e’ piu’!!!!
un cao saluto a tutti anna di mauro
Beh: Amurri, Terzoli, Vaime, Marchesi. Tutto (o quasi tutto) quel che ci ha fatto ridere nella radio e nella tv degli anni 60/70/80 è stato scritto da loro.
Dal confine occidentale dell’Impero faccio un’invasione di campo a spese del Buccimpero e segnalo il JKJ continentale, Jaroslav Hascek e il suo Buon soldato Scveik (1921).
In primis, mi stupisco per la scarsità degli interventi di Enrico Gregori, uno che fa dell’ironia il suo cavallo di battaglia quotidiano.
I gusti personali spaziano dai moderni Jonathan Coe con la serie sulla famiglia Winshaw alla Littizzetto (quest’ultima forse è più satira che umorismo).
Ma io sono di gusti semplici, poco sofisticati; ad esempio ancora mi viene da sorridere al pensiero della scena del film “Scuola di polizia 1” quando il capo dell’Accademia che deve tenere un discorso ad ufficiali di altre scuole sale sul palco, inizia a parlare e… vabbè, chi l’ha visto non può averlo dimenticato.
L’umorismo nasce per caso, non è costruibile meccanicamente, proprio perchè non c’è una logica dietro, o è una ratio diversa dalla nostra ed è per questo che ci colpisce.
Il bravo umorista, come Pino Imperatore, probabilmente trae spunto da fatti quotidiani, da eventi che ci capitano davanti come potrebbero essere l’assurda suoneria del cellullare della tizia accanto sul tram (con gente che dice “per favore non rispondere, faccela sentire tutta”), o i commenti delle matrone al mercato ortofrutticolo. La situazione comica insomma si annida dovunque; basta avere il cuor leggero per saperla individuare.
Poi, imparato il trucco, tutto diventa più facile.
E, non lo dico certo per piaggeria, da molti dei vostri post sui blog di Massimo ci si potrebbe fare una raccolta di assoluta simpatia 🙂
Didò, scusa il ritardo, stavo giusto finendo la tua intervista . Domani è in rete, poi metto l’annuncio.
Allora, l’ironia, l’umorismo, be’ per me nasce dalla lucidità tipica dell’autsider, del disadattato.
Basta osservare quello che accade attorno a noi con gli occhi di un alieno, anche se un bambino va bene lo stesso. Da piccola per me gli zoccoli erano fatti col legno di sandalo. La celebre canzone di Gilbert Becaud, ve la ricordate? Et maintenant, que vais-je faire, de tout ce temps que sera ma vie? Io ero convinta volesse dire : il montanaro che vede una Ferrari s’emozionò perché non l’aveva mai vista …
Quando non capisci, sei fuori da un meccanismo vedi con l’occhio dell’umorista.
Poi nell’umorismo c’è la sorpresa e soprattutto l’erorcismo della paura. Una cosa tipica è sbellicarsi ai funerali. Succede, lo sapete meglio di me, di sbagliare la data della funzione. La mia famiglia napoletana si è recata in massa a dare l’estremo saluto ad un parente che però era stato sotterrato il giorno prima. Entrano e vedono tutti sconosciuti, senza pensarci attaccano a piangere. Dopo un po’ il prete inizia l’omelia: salutiamo il nostro caro fratello signor x. Ecco che i miei parenti, verificato l’errore, passano dalla disperaziona all’ilarità più sfrenata. Vorrebbero fuggire ma sono bloccati dai VERI parenti. La folla è così fitta da non potere respirare, non c’è proprio modo di andarsene da lì. L’unica è restare fino alla fine. Solo che la ridarella non è facile da frenare, le risa deflagrano tra le grida di dolore fino a che qualcuno sbotta. Inizia il litigio. Volano parole grosse. Scoppia la rissa. In chiesa. Durante un funerale.
Vabbè, si scrive outsider, Massimì, metti il pulsante edita bellemmà.
Uff bellemammà.
Ah, Rigo! Ho appena finito di leggere il tuo romanzo. Caspiterina!!! Ma da dove ti vengono certe cose? Devi essere un po’ matta. O forse completamente matta.
Una volta Antonino Uccello, famosissimo cultore di tradizioni popolari siciliane, venne a Sortino perchè doveva registrare il pianto di una vedova che aveva perduto di recente il marito. Nonostante i ripetuti stimoli (strofinio della cipolla sugli occhi, pizzicotti sulle guance) la signora in questione non riusciva a spiccicara parola. Due ore di tentativi andati a vuoto e Uccello sempre più nervoso con il registratore in mano. All’improvviso l’idea brillante: Diamole diecimila lire! Si scateno l’ira di Dio. La vedova cominciò a starnazzare e a strapparsi i capelli. Pareva una gallina a cui stessero tirando il collo.
Sergio, come sempre puntuale e competente… Concordo pienamente. Petrarca non è mai stato à la page come Dante, siamo la terra del melodramma e non dell’ironia, dell’umorismo che più delle viscere richiedono il libero gioco dell’intelligenza…
Zauberei, su Asimov non concordo. La letteratura di genere non è il B-side della Letteratura e spesso riesce, coem nel caso di Asimov, ad uscire fuori dalle convenzioni di genere ed essere molto altro. Quanta riflessione in lui, quanti tocchi di umanità e profondità…
Enrico, intervieni o questo post sull’umorismo diventerà molto serio.
Salvo, concordo con te ma la Sicilia è terra anche di loici ragionatori… l’ironia di Sciascia diventa passione civile, ma sempre ironia è. Martoglio è il nostro Trilussa e piango solo che sia misconosciuto. Io lo adoro. La sua poesia “Briscula ‘n cumpagni” è la prima poesia in assoluto che io abbia imparato a memoria, a tre anni…
Quando ho recitato qualcuna delle sue commedie ne ho capito l’arte finissima…. Leggete la “Centona”!!! Per i non siculi: “San Giovanni decollato” è la commedia di Martoglio da cui derivò quel film con Totò.
Non ha eredi, ahimè…
Frassica è un comico lunare, surreale, che mi piace tantissimo. I nostri comici come Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina sono forse degli umoristi che colgono siculamente le stranezze della vita. Guarneri con il suo Litterio credo sia invece una maschera.
@Salvo ho già inviato alla Fanti il commento richiesto per la tua bellissima “Pentelite”, lo devo spedire anche a te?
@Massimo, ti chiedo scusa se nel blog più pertinente. con la mia faccia di bronzo, fra i tanti capolavori citati, oso segnalare il volumetto ludico ed etilico, sulle baruffe, le gelosie e gli amori dei più blasonatii vini italiani, dai piemontesi di antica fama ,ai vini siciliani come il nobile Passito e la leggiadra Malvasia di Lipari nativa. Oper- ina partorita dalla insana fantasia di una scrittrice ironica minore o dir si voglia minorata…dal titolo”La Contesa dei vini” di M. Teresa Santalucia Scibona- Pascal Editrice -Siena, che tutt’ora viene declamata o letta nelle allegre e brille feste eno-gastronomiche della mia Provincia.Grazie e ancora mi scuso per la mia sfrontata sfacciataggine,ma anch’io tengo famiglia.
Tessy
@Teresa.
Non occorre è lei che sta preparando il servizio.
Zappulla, non è follia è emarginazione.
🙂
Grazie mille a tutti voi per i vostri nuovi commenti.
Un saluto particolare a Marco Minghetti
@ Maria Teresa
Ma scherzi? Di che ti scusi?
Forza Maria Teresa!
🙂
Enrico Gregori al momento non può partecipare alla discussione perché è impegnato a chiudere la trattativa con Mondadori per il suo nuovo romanzo.
Piaciuta la battuta nel commento precedente?
🙂
@Rigo.
Nel senso che, chiusa nella tua grandezza, emargini il resto del mondo?
Esaltato dall’aver letto tanti bei nomi spesso trascurati (Lec, Hasek, e il meraviglioso Palazzeschi di Perelà, fra gli altri) lancio una dotta provocazione: fino ad inizio Novecento si discuteva sull’assenza in Italia di una vera e propria letteratura umoristica (al contrario dell’inglese, per dire), non mancava il comico, in varie forme (la novellistica, Pulci, e l’eroicomico Tassoni) ma come umoristi veri e propri Pirandello ricordava il Machiavelli di Belfagor (anch’essa novella, ma dal taglio più moderno) e il semisconosciuto Cantoni. Il dubbio resta. Dunque: non è che questo secolo in cui la letteratura umoristica è pur sempre maltrattata in libreria e sulla stampa, non sia comunque un passo avanti? Il Nobel a Fo dimostra come certi umorismi siano apprezzati anche dagli accademici, solo in Italia si sono chiesti perché non l’hanno dato a Luzi, forse è proprio qui da noi che bisogna accelerare un po’, ma solo perché abbiamo più strada da percorrere.
Sulla trilogia: non ho parole (se non di elogio)
@ Maria Teresa.
Troppo buona. Dio t’illumini d’incenso.
@ Aldo
Olà, mitico Putignac! Ti ho appena inviato l’opera del Rufulus. A beneficio degli altri naviganti: trattasi di un breve saggio con cui Lucio Rufolo, nostro amico umorista partenopeo, ha tradotto in padano i proverbi e i modi di dire napoletani. Titolo dell’opera: “Per i piccinìn cuore affettat” (“I figli so’ piezz’ ‘e core”). Sarà pubblicato il mese prossimo Da Cento Autori.
@ Gianmario e Aldo
Ottimo l’aver citato Hasek. Contro la demenza della guerra e del militarismo si è scagliato, con il suo “Comma 22”, anche Joseph Heller.
Trullo di tamburi (rullo non più, da tempo, non so neanche più a quanto vanno le cartine, mi dicono le abbiano inserite nel “paniere”Istat)…campane a festa e saluti per la presenza, finalmente, di un altro nobile intellettuale napoletano:
@Aldo Putignano, che piacere!
Aldo Putignano, docente di scrittura, curatore di varie antologie, responsabile di “Homo scrivens” la prima compagnia italiana di scrittura (@Sozi, il tuo amico Francesco Durante fece una gaffe clamorosa sul Corriere della Sera correggendo “scrivens con scribens”, bhe Aldo lo sapeva bene, ma l’ironia è una dote che non hanno tutti…) e scrittore con “Il Caso Freud” – Giulio Perrone Editore -giugno 2007.
Benvenuto dal bidello Didò.
@ Simona
Cito testualmente dal tuo precedente intervento: “…questo incanto e questa innocenza quasi da bambini”. Puoi tranquillamente togliere il “quasi”. Io quando scrivo mi diverto come un bimbo. E quando tocco e leggo un libro di un grande umorista mi brillano gli occhi dalla contentezza. L’altro giorno ho trovato a Napoli su una bancarella, in vendita a 3 euro, quattro opere di Jerome in cofanetto (edizione Rizzoli 1950): “Tre uomini in barca”, “Tre uomini a zonzo”, “Pensieri oziosi di un ozioso” e “Loro e io”. Quando le ho acquistate, ero felice come un bambino alle prese col giocattolo più bello del mondo. Sono, insomma, affetto dalla sindrome di Peter Pan.
Didò è peggio di me: porta ancora il pannolino.
Impegnato nelle vignette sull’altra stanza mi sono un pò assentato da questo dibattito. Ho scorso velocemente quanto mi ero perso, ma colgo al balzo:
@ zauberei
Non sapevo tu fossi un’amante della fantascienza: hai mai letto Robert Sheckley ? E’ fenomenale: leggi (se lo trovi) “I testimoni di Joenes”. In un mondo del futuro dove sopravvive solo la tradizione orale si fa una enorme confusione temporale tra ricordi del XXI secolo del polinesiano Joenes, ricordato come una sorta di profeta dell’epoca, ed i libri della sua sconfinata biblioteca. Ecco che i cavalieri della tavola rotonda diventano membri di un Consiglio di amministrazione; il labirinto di Creta si sovrappone al Pentagono (diventato nel frattempo Ottagono) e così via. Un libro divertentissimo, ricco di una grande ironia (io ne posseggo una copia nella collana Urania che risale al 1963: spero ne esistano ristampe), sul quale mi ricordo di aver fatto grasse risate. Comunque Sheckley, di cui credo siano reperibili altri romanzi altrettanto divertenti in edizioni più recenti, resta uno dei rari esempi di fantascienza ironica.
@ FM Rigo
Senza dover ricorrere a Becaud ed al francese, mi ricordo che all’asilo o in prima elementare ci facevano cantare l’inno di Mameli: per me “discipio” era un aggettivo (di oscuro significato) riferito all’elmo; così erano aggettivi “sedesta” (forse voleva dire seduta) e “secinta” (forse puntuta).
e douglas adams? dove lo mettiamo? penso di non aver mai riso tanto…
@ Carlo
Mi hai incuriosito: da qualche parte scoverò il libro di Sheckley.
La fantascienza umoristica mi intriga molto: Douglas Adams (“Guida galattica per gli autostoppisti” e tutte le opere successive che hanno per protagonista Arthur Dent), Stanislaw Lem (“Il congresso di futurologia”), Anderson & Dickson (“Hoka Sapiens”)…
Per non parlare dell’esilarante “Nessuna notizia di Gurb” di Eduardo Mendoza.
@Imperatore…i pazzi e i bambini: due delle migliori categorie di persone che io conosca.
@ Gea
Incredibile: eravamo sulla stessa lunghezza d’onda! Poi è arrivato lo tsunami…
@ Simona
Sottoscrivo. L’importante è non fare pazzi falsi.
Dido’,
Francesco Durante veramente e’ conoscente di Attilio Del Giudice, non mio. Comunque la traduzione dei proverbi e modi di dire napoletani in dialetto ”padano” (lombardo, veneto, emiliano?) di Rufolo e’ cosa da tenere nella massima considerazione. ‘Sta Cento autori si muove bene, eh? Vi prego: fate qualche altro esempio di ”traduzione”! Quella dei pezzi di cuore da dare a colazione ai bimbi e’ stratosferica!
Sergio
Simona,
i pezzi e i bembini sono anche la mia piu’ grande passione. Perche’ di bambini interi oggi non ce ne sono piu’ e neanche di veri Pietro Bembo. Solo bembini.
(ehm… io mi adeguo al folleggiar di questa gabbia).
@ Aldo Putignano
La tua provocazione è giusta e giustificata. Però sono d’accordo solo in parte.
Da un certopunto di vista anche l’Italia può avnatre una tradizione umoristica importante. Nella parte iniziale del post facevo riferimento anche a Boccaccio. Il Decameron ha anche un forte taglio umoristico, non credi?
E a proposito di siciliani e umorismo, mi preme ricordare Vitaliano Brancati.
Credo siano tanti i meriti dell’autore nato a Pachino e cresciuto a Catania, ma tra tutti primeggia la capacità di aver saputo conferire alla propria opera una forte connotazione umoristica. Forse è proprio questa l’eredità principale che lascia.
Del resto Brancati non ha mai nascosto l’importanza che egli stesso attribuiva al comico, come è dimostrabile da questo stralcio tratto dal volumetto I piaceri: «Si ha paura del comico come di un potere diabolico. (…) Il male di non sopportare l’ironia non è vecchio in Italia. Comincia col Seicento. Nel Cinquecento, invece, il popolo italiano possedeva, insieme col più alto senso della realtà (Machiavelli), la più intelligente e poetica ironia (Ariosto). Dopo quel secolo, l’ironia abbandona l’Italia, lasciando al suo posto una forma pigra, passiva, rozza come la vignetta o la barzelletta. Eppure in nessuna parte del mondo essa è necessaria come da noi».
Uno dei libri che mi ha convinto che la letteratura fosse una faccenda seria è stato “Tre uomini in barca ” di Jerome K. Jerome. …….
Carlo S. segneròmmelo!
Solo che ora sono nella fase della rana pigra e perciò a stento leggo domenica quiz. Dura già da un po’ – speremo passi.
@Massimo…tra gli stranieri, invece, Voltaire: “Candido ovvero l’ottimismo”, non trovi?Credo sia il testo ironico per eccellenza.
@ Sergio
Accontentato:
“Ccà nisciuno è fesso” → “In questo loc nessun è allocc”
* * *
“Simme ‘e Napule, paisa’!” → “Sim de Napoli, o mi alpin!”
@ Massimo
Non ho mai letto libri di Vitaliano Brancati. Piuttosto a me pare che in Sicilia la risata è improntata molto su fatti legati al sesso, anzi direi che molti pensano solo a quello. Donnette comprese, culturalmente soddisfatte da uomini che in apparenza disdegnano il gallismo di Brancati ma che di fatto, sotto sotto, ne sono seguaci, come una specie di mito.
Hvala, drago gospod Joze Cesar (in sloveno significa ”Grazie, caro signor Pino Imperatore”). Trad. It. di Sergio Sozi:
”Date un coala a quel drago di Giulio Cesare, senno’ se mangia anche le vespe.”
@ Simona
Cara SuperSimo letteraria… tu citi, io fornisco i link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Candido
http://www.liberliber.it/biblioteca/v/voltaire/candido_ovvero_l_ottimismo/html/pr_i.htm
😉
Massimo,
Brancati era colto, leonino, aereiforme e fantasioso e dunque, a stringere, del tutto pazzo. E stigmatizzava il gallismo. Dunque mi piace istintivamente e per questo lo leggo, cosi’ assorbendone la mastodontica cultura e capacita’ analitica sia del presente che della Letteratura italiana – in senso sia storico che generale. Un coraggio bestiale, Brancati, uomo controcorrente, direi quasi ”femminista”.
Hai fatto benissimo a citarlo.
Sergio
@ Rossella
Quello che dici è in parte vero.
Quello che penso sul “gallismo” e Brancati lo trovi in questo post che riporta un mio articolo pubblicato su “Il Mattino” (da qui ho estrapolato il testo del commento qui sopra):
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/10/06/centanni-di-vitaliano-brancati/
@ Sergio
Infatti 🙂
(Penso che ti ricorderai di quel vecchio post)
Buonanotte e buona prosecuzione.
Vi leggerò domani.
Zappulla, così mi fai arrossire.
Sozi, che belli i bimbi!
@ Sergio
Scusami se lo faccio adesso ma ho bisogno di dirti che ho riflettuto su quella tua osservazione del tizio con una tonnellata di problemi a livello di cucuzza.
Stasera ho ricevuto circa quindici e mails oscene, il viagra e via dicendo; non ne leggo neppure i contenuti …..ma ad un tratto mi sono resa conto di quanto fossero vere le tue parole, una gran pena si sostuiva alla risata con la quale generalmente si considerano queste cose.
Necessariamente devo premere il tasto elimina dal momento che questi messaggi contengono virus. E’ veramente triste vedere lo stato psicologico di chi agisce così.
Ciao Sergio, quando ho letto del Kossovo ho pensato a te, ma forsi abiti da tutt’altra parte.
Carissimi Amici,
Carissimo Massimo Maugeri, che bel regalo ai fatto al mondo degli umoristi, e specialmente a quello nostro, dei napoletani. Sei partito con la “Letteratura dell’Ironia” e ti abbiamo trasportato in quella del sorriso.
E’ cominciato un dibattito un po’ freddo, complice il sabato sera, la stanchezza del week-end, i film in uscita, gli inviti a cena (e che ti porti il portatile per intervenire al blog?) e si è riscaldato lentamente.
Molti amici dietro il vetro dello schermo, senza intervenire, perchè abituati all’aura dolce di Pino (vabbe’ c’è Pino, parla lui per noi); la sua presenza riempie e da’ allegria alle menti.
Hai visto com’è bello essere colti rimanendo lievi? Bulgakov insegna.
C’è stata allegria, si è indagato, scrutato; ci si è domandati perchè ha qualcuno piace “leggere” il dolore, quando potrebbe sopravvivere nel ludico, nel rigo delle labbra insù?
Mi è mancato l’allegro guitto, il Caravaggio di questo giornale di parole, chissà dov’è finito il pirata Gregori. Ne avrà approfittato per far vacanza in qualche luogo di tragedie da raccontare, lui va’ sempre dove lo porta il fegato. Speravo mi trafiggesse con la sua verve da Belli, invece non vedo muovere neanche il sipario: è fuori dal teatro.
Si è scoperto il Sozji, crociato Brancaleone, umor dai mille umori.
La poetessa Tessy, antica come un pulcino, perchè la mente non ha età e ride sempre.
Molte amiche, simpatiche, un po’ musone, avranno detto: “Vieni avanti, cretino!” Restando seriose e zitte, e avranno scoperto che gli epigoni di Walter Chiari, restan cretini, ma in senso sciocco e buono; grullo, direbbero i toscani.
E tu Massimon, alla finestra, a stropicciar le mani e guardare il palco con un luccicone che ti fa pensare: che belle le parole dette bene.
Ho ballato per una notte e mi sono divertito, il mito di Cenerentola resiste ancora: indosso la scarpa, è quasi mezzanotte.
Posso fare un bilancio ”umano” di Letteratitudine? Qui secondo me ci sono moltissimi ”testoni” (in senso buono: persone competenti e intelligenti, sensibili): Gea, M.G., Silvia, Laura e Loredana, Rossella, Miriam, Zauberei, Enrico, Fausta Maria Rigo, Outwork;
poi ci sono alcuni personaggi magici, non solo ”personaggi”, credo: Dido’ e Maugger, Gianmario, Maria Teresa, Pasqualevento, Maria Lucia, Carlo S., Luca Gallina e Simona.
Cio’ che differenzia queste due categorie non e’ nulla di particolarmente ”qualificante”, non sto facendone una questione di ”classifica”, per carita’! E’ solamente una minuta differenza che non vuol dire ”miglior qualita’ umana”: ecco, i secondi hanno una vitalita’ capace di entrare in simbiosi con gli altri. Non e’ loro merito, credo: la Natura li ha fatti cosi’. La prima ”categoria” invece forse e’ piu’ raziocinante, meno istintivamente portata ad abbracciare il prossimo, anche se poi, dopotutto, lo fa, ma non di primo acchito.
Ed io?
Io sto fra i primi ed i secondi, ne sono sicuro, in una categoria a parte, un’isola strana: penso e rifletto, ririfletto e sparo la cannonata inimicandomi la platea e i commensali. Razionalizzo ma male, perche’ sono uomo di pancia, in fondo, non di intelletto, ma non mi basta questo e dunque razionalizzo procurando piu’ danni che altro. Certo di parlare sempre senza alcuna cattiva intenzione. Cosa che Rossella deve aver finalmente capito.
Un bacione a tutti – soprattutto a quelli che ho dimenticato di citare.
Sergio
Dido’:
meglio Sozij o Sozj. Cosi’ era a Perugia nel Cinquecento. O nel Seicento. Facciamo Settecento e non ne parliamo piu’! Aggiudicato!
Tuo
Brancasozione
Rossella:
troppi ne ho visti di matti in giro. Per questo sto chiuso in casa! (o mi ci hanno rinchiuso perche sono pericoloso? Non so piu’, non ricordo. Va be’, parliamo di cose serie, va’: vai a vedere la mia risposta nell’altro post alle tue affermazioni filosofiche sulla logica morale). Bacione. Sergio.
Ehi! Il dibattito qui continua!
Non si fermerà perché è stato pubblicato un nuovo post, vero?
@L’imperatore Pino,@Massimo bel Cavaliere tenebroso senza paura, @Sergio che più colto non si può…,@Didò più dolce e buono della pastiera,@Enrico assente ingiustificato…,@Evento il poeta malinconico,.. @Carlo.S bravo quasi, come il mio amico Em.Gia(Emilio Giannelli)@Silvia la dolcezza infinita, e poi Simona l’ingegnosa, Miriam la pensosa, M.Lucia la luminosa e le altre leggiadre donzelle del Blog. Mi scuso se involontariamente ho omesso qualcuno che si deve ritenere ovviamente incluso. Pour Vous Raccontino noir in trenta parole:-
IL CUOCO
****
Il cuoco piangeva
mentre con sguardi
esperti la spogliava…
Soda polposa,nuda
l’avrebbe fatta a pezzi
sul freddo tavolo di marmo.
Era la più bella cipolla di Tropea!
Tessy
@Salvo,amico mio carissimo, ma che sono rimbambita, come dimenticare la mia magica lampada di Aladino? Perdono, perdono perdono, da cantare con l’aria che sai.
Tessy
@ gluck:
la mia scarsa partecipazione è in parte dovuta al sovrintendere alla ristampa in 2 milioni di copie del mio libro e in parte al fatto che, appunto, il genio dell’ironia non partecipa a un dibattito in cui vengono citati autori (tipo Pirandello) talmente inferiori a me da rendere questa discussione quasi offensiva.
Comunque, tanto per concedere qualche perla di saggezza, mi viene da dire che ironia, sarcasmo e comicità mi stanno bene se in qualche modo finalizzate o parte integrante di un’opera.
Pirandello, appunto, mi sembra un esempio calzante.
Ironia e comicità pervadono anche la letteratura “gialla”. Basti pensare alla saga di Nero Wolfe. Ma, a mio avviso, in quel contesto l’ironia non deve mai soffocare l’intreccio sennò il libro diventa un’altra cosa.
Woodhouse e Kerome K Jerome mi sembrano più orientati verso una satira di costume e li ho trovati sempre molto eleganti…forse troppo.
Adesso mi ritiro. Il tipografo sostiene di non poter stampare più di un milione e mezzo di copie del mio libro, quindi devo andare a incazzarmi.
gli epitaffi della trilogia mi hanno fatto ritornare alla mente un libro di strafalcioni e comici calambours realmente avvenuti e registrati da un gruppo di avvocati nelle aule giudiziarie ,ambienti austeri,dove spesso,la prosopopea e le reminescenze approssimative,ad orecchio,delle massime latineggianti,o dei neologismi esterofili,il formalismo burocratese o la semplice ignoranza dei malcapitati imputati danno vita ad esilaranti impicci linguistici.
Massimo della pena (auore fittizio ma azzeccato) STUPIDARIO GIURIDICO ,edito da mondadori,1993
gli avvocati:
questo,vostro onore,significa mettere il carro
SOPRA I BUOI.
…dileguandosi nelle tenebre alla velocita’ della luce.
…un uomo con la fama di gran signore,di dandy,di TROMBEUR de femmes.
viene quasi da rimpiangere i tempi della SACROSANTA
inquisizione.
…di fronte a questi casi umani e’ impossibile SPIACCICARE una sola parola.
per cio’ che riguarda il primo capo di imputazione,nulla QUESTUA.
La procura in questo periodo e’ scossa da vioolente lotte INTESTINALI.
…vorrei spezzare un’ARANCIA in favore di..
inseparabili come Alluce e Polluce…
I testimoni oculari
ha detto proprio cosi,l’ho sentito CON QUESTI OCCHI.
..dapprincipio non ho voluto immischiarmi,e li ho lasciati litigare in santa pace.
ho sentito che stava succedendo qualcosa in strada perche’ io di notte,dormo con un orecchio solo.
appena seduto sal tavolo ha ordinato del vino e ha cominciato a bere a tutta birra.
Le parti lese
spero che questa condanna gli serva da MONITOR.
i vigili e i carabinieri dicono di no,ma io sono sicuro che è stato un incendio doloroso.
si sono presentati nel mio locale camuffati da clienti.
i rapporti della polizia e dei carabinieri.
Il cadavere al piede destro,aveva una sola scarpa.
l’uomo e’ stato ricoverato in camera di riesumazione.
il cadavere presentava evidenti segni di decesso.
Il cattaneo si rifiutava di aprire la porta.dichiarandosi irreperibile.
Durante il dibattimento i due imputati venivano alle mani con i piedi.
nell’asso di tempo..
trascinata a terra dallo scippatore la donna si e’ ferita alla fronte e si e’ slogata il naso.
trattasi di soggetto avvezzo a delinquenziare.
abbiamo rilevato ferite sullo stomaco e sulla zona pubblica.
sulla facciata del palazzo vigeva divieto di afflizione.
il signor Wong,di passaggio in Italia,dichiara di essere originario di Canton(TICINO).
gli imputati.
ho dovuto sparare perche’ mi aveva gia’ ferito alla pancia e a due gambe.
purtroppo,a un certo punto mi sono laciato prendere DALLA mano.
sono qui per esclamare la mia innocenza.
sono cresciuto in una baracca di legno,signor giudice.Lei che sta in questo bel tribunale non puo’ capire.
cosi’ oggi mi trovo qui,rilegato in questa cella..
appena torno libero ho deciso di cambiare vita:voglio diventare incensurato.
sono innocente,percio’ nn voglio diventare il capro respiratorio della situazione. non c’erano prove,hanno fatto un processo alle invenzioni.
due anni all’asinara mi hanno ridotto come un rettile umano.
Mio marito me le suonava,diceva che non ero una vera donna,che ero brigida.
stia attento a mia moglie,quella e’ in grado di corrodere il giudice.
ho chiesto il ricovero in infermeria,ma quei fetenti mi hanno detto che prima mi devo ammalare.
basta cosi ‘ma la rassegna e’ lunghissima.spero che vi siate divertiti.ciao.
A Perugia nel Cinquecento? A Napoli è dal Seicento che stiamo sozj.
Francesco Durante, ma dopo?
@ Didò
Hai condotto bene (meglio dell’autobus?)… non da bidello, ma da direttore scolastico.
De Angelis:
… e a Stoccolma mia zia, interrogata sulla gastronomia locale rispondeva: ”Io? sto colma!”, senza dunque invidiare il fratello, abitue’ del Bar-tolomeo, suo caro amico: i due, si sa, erano spesso s-bronzi a Riace, la’ dove d’orbace si rivestivano i ciechi sotto la luna di miele (come fanno molti orsi ed Orsini, che, fra nobili e soprannobili, hanno sempre curato molto l’apicoltura, proprio come la Piaggio. Non come quello scarafaggio che a maggio si mostrava alla moglie del pittor dicendo: ”tu, Cara vaggio, fammi un ritratto!”).
…Che famiglia!
Sozi
Grazie Massimo.
Grazie M.G. (fimmina o picciotto?)
…
@ Sergio, non cadere nella trappola di De Angelis, è un ragno sopraffino, una mitragliatrice di calembour, appena giri le spalle ti fulmina, conosco bene quella scorza!
M.g. è fimminissima!!
@ Sergio.
“E’ ORA DI AIUTARE LE FAMIGLIE.”
Tornando alla “triplice” di Pino: dei racconti di “Santo Gnomo”, qual è quello che più vi è piaciuto? Le mie preferenze vanno a quello dei due ausiliari.
A me sono piaciuti tutti. Ma credo che la mia opinione sia un po’ di parte.
Personaggio magico mi chiama Sergio, Maria Lucia la luminosa mi chiama Tessy e non sa quanto mi faccia piacere perché Lucia è mia padrona e concittadina – siracusana sono!!! – … insomma, faccina rossa rossa!
Grazie, non merito tanto…
Credo che sul web l’empatia sia più difficile perché mediata dalla tastiera, però in Internet spesso riusciamo a svelare cose di noi che de visu non risulterebbero… io sono più o meno come mi leggete. Dicotomica perché tra pancia e testa c’è una lotta continua. Maria si accappa con Lucia che è una bellezza. Però c’è la letteratura, c’è la musica, c’è l’amicizia e tutte le cose belle della vita. Homo sum: humani nihil a me alienum puto. Sono un uomo: niente di ciò che è umano mi è estraneo. Io adoro questa frase di Terenzio da quando la studiai a 13 anni a scuola e mi si è impressa nel cuore, nella mente e nell’anima. Occuparsi di letteratura è occuparsi di ciò che vuol dire umanità, è umanesimo nel senso più alto che possiamo dare al termine. Altrimenti facciamo i formalisti russi e gli strutturalisti ad oltranza, come panzer della parola…
A M.G. i miei complimenti per aver trascritto la spassosissima raccolta. Al loro autore, il massimo della pena!!
Sergio
Per me Pino Imperatore è un must. Compro i suoi libri a scatola chiusa, anche se questi tre ancora li devo leggere (devo ancora leggere, per la verità anche il penultimo: “Le mirabolanti avventuare del Gladiator Posillipo”). E’ che voglio riservarmi il piacere a quando sarò veramente in forma, per non guastarmelo. Del resto, se scrivo questo commento alle due di notte, mentre aspetto che la lavatrice finisca il ciclo, ci deve pur essere un motivo.
Ma su Pino vado ad occhi chiusi: prima che come autore, l’ho conosciuto come maestro, e devo dire che è un vero maieuta, gli paice tirare fuori il meglio dai suoi allievi, e lo fa per il solo piacere di farlo…
‘o mast è sempre ‘o must!
Figlioli grazie, continuate pure, ma (non me ne voglia Massimone Maugeri), il post è morto…insomma vive solo di noi napoletani che abbiamo il metabolismo lento…ci alziamo tardi, ma tu Pippo della Monica, ti alzi qualche settimana dopo. Sembriamo i giapponesi sull’isoletta, guagliù: romani e siciliani sono andati via. @Maurizio De Angelis, uscendo spegni la luce.
Saluto (scherzi a parte) la nobile figura di Pippo Della Monica, intellettuale di Torre del Greco, scrittore e traduttore letterario.
Ciao Pippo, anche a nome di Pino, che in questo momento è a Belgrado al Festival dell’Umorismo macabro Slavo.
@ Pippo
Dalla maieutica alla lavatrice il passo è breve…
* * *
@ Maurizio
Meglio mast e must che mest.
* * *
@ Didò
Lapalissiano: un “post” non può che essere morto.
Calmi, partenopei: ci sono qua anch’io (umbrolaziale), che voglio disintossicarmi dalle rotture criticasfitticoletterarie e pertanto mi unisco alla brigata – non al reggimento: chi reggerebbe mai un mento ispido come il mio?
Eccovi dunque, dolcissimi conquilini, un dialoghetto improvvisato.
–
Pasquale ha chiesto lumi su un volume da acquistare al criticone affermato suo vecchio dirimpettaio. Vecchi, poi, lo sono entrambi anche di eta’.
Il critico Boninsegna de’ Boninsegni: ”Mmmmh, rammento: lo assaggiai nel ’63. Be’ questo libro e’ nato in circostanze strane e frenologicamente instabili; roba, sai, d’avanguardia, contemporanea. Indigesta ma utile. Come le medicine. E tu sei malato d’ignoranza, no? – scusami la franchezza, Pasqualino, lo sai che ti voglio bene e ti stimo a iosa.”
Pasquale (lettore avvertito ma non luminare): ”Volete dire che e’ una cacata ma lo devo compra’ assolutamente, vero prefessore?”
Boninsegna: ”No! Peccarita’! Sciocco che sei! Non lo acquistare, vuoi scherzare?!”
Pasquale: ”E perche’, scusi?”
Boninsegna: ”Eeeeh, sei un buon selvaggio, tu. Ma per sentirti giovane, perche’ senno’? Fingi come il fungo di Campanile, che, interrogato se fosse un fungo o vi fungesse, rispose sai come? ”Fungo”. Semplicemente. Allora fungi anche tu, Pasqua’, anzi fingi, va’; e numme scassa’.”
Sergio
Francesco,
come al Festival dell’Umorismo Macabro Slavo, e’ andato Pino Imperatore? spiega, perche’ Pino sta a solo cinquecento chilometri dalla mia Lubiana e se voglio vado la’, sai? Che roba sarebbe ‘sto festivalle?
Sergio
Dare del must ad uno scrittore dell’ironia è come ammazzarlo. Dove sta il dovere, raramente c’è piacere.
Dargli del “mast”, “o’mast”, significa non volergli bene veramente oppure non dare ad intendere quanto. Meglio “sotto” e goduria. Una sottogoduria, insomma, è assai più desiderabile, ma solo un umorista può pensarla così.
@Pino: cambia la forza mAtrice…
@Maurizio: la meglia cosa è il most’
@Pino: come la mettiamo con il prepost(o)?
(Si vede che ho frequentato il laboratorio di Pino?)
Mmmmh… qui le batterie sono scaricucce anzicheno’ gente. Io me ne vado a cuorche. A ninna, dicesi.
HR (Humour Emergency) : Cazzo Pino! Lo stavamo perdendo, se non fosse stato per l’intervento “a bocca” di Pippo, il Bud Spencer della letteratura napoletana, il post era morto, ma come vedi è postumo a se stesso. Riemerge come quei sottomarini sovietici in apnea.
@Sergio Sozi, il festival è finito, ora Pino si è spostato a Pristina, al Convegno dei Sorridenti Kossovari, poi torna a Napoli dove terrà una prolusione sullo “Spurgo medievale dei caminetti a schiera” nel Convento delle Novizie in Tanga, invitato dalla superiora Suor Nora Liturgica dell’Ordine francese dei Sette Collant.
Non ha mai tempo, benedetto figliolo.
didò…ma è vero che gli umoristi sono un po’ snob ?
”Snob sara’ lei!!!!” Ribatte’ inacidito lo scrittor satirico ”E adesso tolga il suo piede dal mio mantello e esca dalla sala del trono o faro’ chiamare le guardie reali.”
Dido’,
tu menti! Ho visto Pino Imperatore ieri sera ad Asinocotto (Modena) al convegno ”Il caciocavallo fra le due Guerre: storia di una leggenda diffusa dalla prima mucca pazza europea”. Lui relazionava su ”Mitologia e forme, forme mitologiche – ovvero: epifania della forma di Parmi-Giano Bifronte”.
Tu menti, io cervelli: ognuno distrugge qualcosa.
@ Didò & Sergio
In verità, in verità vi dico: ho trascorso il week-end a Paralumera nel Convento delle Carmelitane Scaltre, dove ho tenuto una lectio magistralis sul tema: “Ara et labora – Nuove tecniche di coltivazione mistica degli oltraggi”.
Ah, Pino, adesso mi sento meglio: ultimamente mi era sembrato di averti intravisto a Ciecalogna, dove era in corso di svolgimento il raduno annuale dei nonvalenti.
@Evento: si è vero siamo snob, irridiamo i saccenti, i tuttotenenti, i riverenti, non siamo accoglienti (in senso di “coglia” che in napoletano è il testicolo cumulato, ‘nzomma, l’intero pacco scrotale) e siamo perdenti perchè dopo il sorriso incontriamo comunque la realtà.
@Biografia seria di Pino Imperatore:
Il CIRAU è un organismo che non è stato riconosciuto dall’ONU perché il suo presidente autonominato non ha i requisiti richiesti dall’Istituto di Psichiatria Bjorn Borg di Montecarlo (palleggiare con una palla da tennis per 18 minuti in via Pignasecca a Napoli senza mai grattarsi il naso).Le ricerche sugli esseri umani hanno rilevato quanti soggetti potranno diventare Einstein o Fred Astaire o fratturarsi il naso contro un palo camminando voltati ad Hyde Park .
Il Comitato Scientifico presieduto da Lino Banfi,che ha come segretario generale Egira Fiorini (domestica di Rita Levi Montalcini) ha stabilito che il celebre Pino Imperatore non esiste,è certa però sul pianeta l’esistenza di altri tipi di conifere come l’Abete Faria, pianta parassita che nasce in alcuni giardini della biblioteca di Buenos Aires.Anche l’Albero di Natale non esisterebbe,e sarebbe frutto della fantasia di Palmiro Natale un meccanico comunista di Pineta Mare,che andando a provare i freni di una Duna Fiat sulla Domitiana e dopo essersi intrattenuto a parlare delle teorie quantistiche con una intellettuale senegalese tale Urma Bbona,avrebbe avuto la sottile visione delle “palle luccicanti”(sensazione?).
Intanto ad Afragola,durante un convegno sulla ” Sensibilità poetica dei commercianti di Cipolla rossa”il professor Zichichi ,noto in continente per essere un estimatore del tubero(i tecnici del suono, nei convegni dove interviene ,spazzolano i microfoni con taniche di iodosan)ha affermato di aver visto un Pino Imperatore all’uscita dal ristorante “Ciro a Mergellina”,ma subito dopo è caduto in acqua,forse per lo stupore.
Tuttavia i numerosi indizi,tra cui le macchie di vino su un pigiama trovate dalla madre ed esposte al museo Guggenheim,battuto all’asta per venticinquemila dollari, potrebbero facilmente far pensare ad una sua esistenza,seppur effimera. I filosofi greci non erano sicuri nemmeno dell’esistenza del vino,perché appena messo in un bicchiere sarebbe poi scomparso all’interno del loro corpo,ma a quel tempo nessuno si era posto il problema dell’esistenza di un Imperatore e neanche di conoscere gli orari delle farmacie la domenica.
In conclusione ove non sussistano prove certe,ed inequivocabili,che so un incidente sulla tangenziale dove dalle lamiere sbuchi l’insolito pagliericcio a mò di pettinatura,
che neanche un Sioux disoccupato avrebbe scotennato,o la foto sulla patente raccolta da un brigadiere della stradale e regalata al figlioletto che colleziona le figurine dei calciatori della Viterbese (somiglia al cognato del portiere in seconda),si può affermare che se effettivamente esistesse sarebbe un problema ben più grosso dell’esistenza di Vito Schifani,di cui pochi ormai dubitano,ma con la convenzione più che comune ,forse universale è :che se ne potrebbe fare a meno.
didò a dire il vero me ne ero accorto dalla scarsa confidenza. La prossima volta porto anche i miei di amici…
Didò, grazie per questo nuovo commento.
La scuola è ancora aperta, eh?
😉
PINO IMPERATORE – HANNO DETTO DI LUI:
* * *
– Che sant’uomo! (PADRE PIO)
– Che pasta d’uomo! (GIGINO, il suo salumiere)
– Che persona assurda… (EUGENE IONESCO)
– In minigonna farebbe un figurone (MARY QUANT)
– Non dimentico mai una faccia. Ma nel caso di Pino ho fatto un’eccezione (GROUCHO MARX)
– Ma che cos’è questo Imperatore? (ACHILLE CAMPANILE)
– Ha fiuto (DIEGO ARMANDO MARADONA)
– Sa far circolare le palle (PELÈ)
– Mai visto né sentito (TOTÒ RIINA)
– Mai sentito né visto (GIULIO ANDREOTTI)
– Chi è? (LE SUE EX)
– Lo sposerei! (LIZ TAYLOR)
– Per lui farei follie (NONNA PAPERA)
– Se dovessi mangiarlo, scarterei il cervello: troppo marcio (HANNIBAL LECTER)
– I have a nightmare: Pino Imperatore (MARTIN LUTHER KING)
– Il compito degli uomini di cultura non è quello di raccogliere certezze, ma di seminare dubbi. E Pino Imperatore lo sa fare benissimo (NORBERTO BOBBIO)
– Give Pino a chance (JOHN LENNON)
– Ma chi si crede di Essere? (ERICH FROMM)
– Fa rima con Fassino. Dunque è un comunista (SILVIO BERLUSCONI)
– È una barzelletta vivente (GINO BRAMIERI)
– Uno di questi giorni gli spacco la faccia! (MIKE TYSON)
– È un immorale (MICHAEL JACKSON)
– Bleah! (ANDY WARHOL)
– Tra il barone rampante e il visconte dimezzato, meglio lui: l’Imperatore inesistente (ITALO CALVINO)
– Devo ammetterlo: è più bello di Camilla (CARLO D’INGHILTERRA)
– È un esercizio di bile (RAYMOND QUENEAU)
– Prima di lui il nulla. Anche dopo, in verità (KARL POPPER)
– Non vale tre soldi (BERTOLT BRECHT)
– L’umanità si trova a un bivio: una strada conduce alla disperazione più assoluta; l’altra a Pino Imperatore. Che il cielo ci dia la saggezza di fare la scelta giusta (WOODY ALLEN)
– Ma chi ce lo ha fatto fare… (I SUOI GENITORI)
@Pino Imperatore
Davvero bello il tuo brano “Pino Imperatore – hanno detto di lui”! La citazione che preferisco è quella di Martin Luther King: “I have a nightmare: Pino Imperatore”.
Be’, ricambio il tuo godibilissimo brano con una citazione brevissima (ma qui il sorriso diventa amaro). L’autore, Antonio Porchia, è quasi del tutto sconosciuto qui in Italia; eppure è nato e vissuto fino a 15 anni in un paesino della Calabria per poi emigrare e morire in Argentina (Conflenti (CZ), 1886 – Buenos Aires, 1969). La sua opera “Voci” (l’unica pubblicazione in italiano, mi pare, è quella che possiedo: A. Porchia, “Voci”, Il melangolo, 1994) è stata tradotta in numerose lingue, c’è perfino una edizione con l’introduzione di Borges.
E infine ecco la citazione:
“L’uomo, quando sa di essere una cosa comica, non ride.”
In bocca al lupo per i tuoi libri! Un caro saluto,
Gaetano
Bellissimo!!! Il brano è esilarante…
Bertolucci disse: Meno male che è l’ultimo…
Gli zoologi e i botanici: Un uomo un mistero… Dopo la farfalla regina, dopo il re leone…
Disney: Mannaggia: a pensarci prima!!!
Napoleone: Il Papa mi ha preso in giro! Chi ha incoronato al posto mio?
Fabrizio Corona: Per fotografarlo gli salto in testa…
Scusate le fesserie, sono stanca…
Devo correggere alcune mie piccole inesattezze su Antonio Porchia; e aggiungo qualche altra notizia (ho consultato Wikipedia). Nasce in Italia nel 1885, muore in Argentina nel 1968, emigra dall’Italia per l’Argentina all’età di 17 anni. La sua unica opera “Voci”, pubblicata per la prima volta nel 1943, tradotta in moltissime lingue, è stata giudicata positivamente da critici e scrittori come Andrè Breton, J. L. Borges, Roger Callois, Henry Miller e molti altri.
Visto che siamo in clima carnascialesco (quindi allegro) ho pensato di rilanciare il post sulla “letteratura dell’ironia”.
L’occasione ce la offre l’uscita del nuovo libro di Pino Imperatore, qui recensito da Francesco Di Domenico.
Vi invito a dire (o a ri-dire) la vostra sulle domande generali del post e a interagire con Pino Imperatore (che sarà dei nostri).
@ Didò e Pino Imperatore
Cosa si deve intendere per cazzimma non sono sicuro di averlo capito…
Insomma, (detta papale papale): che cazzimma è ‘sta cazzimma?
Avevo otto anni quando scrissi il mio primo romanzo comico. Nelle mie intenzioni di ingenuo fanciullo doveva essere un romanzo tragico, pieno di sangue e di passione. Ricordo che terminava con una specie di duello al sole in cui due amici per la pelle se la facevano davvero tra loro (la pelle). A ripensarci c’entrava forse il fatto che il mio miglior amico mi prendeva sempre in giro per un certo sedere a mandolino che mi ritrovavo e di fronte alle mie rimostranze ribatteva: “ma tu non hai il minimo senso dell’umorismo!”. Questo influenzò definitivamente i finali dei miei libri (che terminavano immancabilmente con duelli al sole tra amici per la pelle) e il mio senso dello humor, che collegavo sempre, nella mia mente, a una certa andatura da paperotta.
Dicevo di quel romanzo tragico. Era così tragico che fu probabilmente un capolavoro dell’arte comica e come tale avrei potuto riciclarlo se non fosse che lo distrussi dopo che mia madre, dopo averlo letto, mi disse: “Gigi (lei mi chiamava sempre Gigi, e ancora non ho capito perchè cazzimma mi ha chiamato allora Gianfranco, misteri della depressione post partum), perchè hai copiato dai romanzi di Salgari?”.
Mi resi allora conto di quanto il personaggio principale, quello che volevo cowboy solitario e scontroso, somigliasse a Yanez De Gomera e il suo amico fidato a Sandokan. Forse fu quella trasposizione tra generi, con un Sandokan pistolero e indiani d’America che portavano il turbante come gli indiani veri a farne un capolavoro insuperabile di comicità. Un leggero rigonfiamento sul posteriore di Sandokan, che aleggiava nel racconto, faceva il resto.
Ma il vero trauma che mi fece definitivamente abbandonare il genere fu il mio incontro virtuale con Francesco Di Domenico. Se la letteratura comica può ridurre un uomo così, mi dissi, meglio darsi forte i pizzicotti e non ridere più.
Iniziò allora il mio periodo più proficuo come scrittore, il periodo sadomaso (lo dico qui nel caso qualcuno voglia fare la biografia postuma dopo il nobel alla memoria che, sono certo, mi daranno subito dopo l’infarto per farmi incazzare anche lassù, nel paradiso della lavazza). Temo però che, per una certa commistione tra la sofferenza e il piacere, tra il tragico e il comico, anche questo genere sia, nella mia personale interpretazione, destinato a trasbordare nel comico.
Buongiorno.
Se il buongiorno si vede dal mattino, l’intervento di @Gianfranco Bussalai, “sardo d’azione”, entra subito nel merito dei due temi: Ironia e Cazzimma.
Saluto , come custode aggiunto di “Casa Maugeri”, l’arrivo di un altro gradevole amico sulla nave di Letteratitudine.
Dopo il “mezzodì” dovrebbe essere on-line anche Pino Imperatore per rispondere ai vostri interrogatori, quindi: buio in camera, come nei commissariati e lampada sul volto, cominciate anche a porgli delle domande sulla “Cazzimma”. Siate cazzimmosi.
Se la letteratura dell’ironia ha sempre meno spazi, Didò fa tornare la voglia di leggerla! Complimenti a Pino Imperatore, se posso mi rifaccio viva per vedere che piega prende il dibattito (se, come dice Didò, arriva on line dopo il mezzodì).
La mia frase preferita tra quelle sull’ironia?
“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)
P.s. Ciao Massi, scusa la latitanza, ma latito ovunque… 🙂 un bacio
buongiorno,l’ironia è quel tocco sacro che ti innalza passando attraverso le cose nere della vita,non mi piace definire un genere “ironico”perchè l’ironia più alta la si trova anche in letteratura che di fatto non è considerata di genere ironico,perciò anche se attualmente è considerata un pò di nicchia un bravo scrittore dovrebbe farci sorridere ma riflettendo sulle cose drammatiche della vita.
Sono molto interessata al discorso cazzimma,di cui noi napoletani conosciamo bene il significato, ma che spesso è meglio esercitata al nord.Il dramma della cazzimma è che non possiamo insegnarla ai nostri figli,io ci ho provato,vovelo iscriverli ad un corso di cazzimma pre-adolescenziale,ho cercato sulle pagine gialle,ma nessuna scuola qui in città,perciò sti poverelli dovranno impararla sulla loro pelle,appena qualcuno la utilizzerà….e che cazzimma!
non ricordo quale è stato l’ultimo libro letto,ci penserò su.
Però i giornali usano spesso frasi che ci aiutano a riflettere:nel periodo in cui crescevano sacchetti come funghi sotto casa,si parlava molto di chi “dovesse incenerire le balle”…..a Napoli hanno litigato pure per questo!
saluti
L’unica definizione con la quale non concordo é questa: “Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve).
Mi trovo d’accordo con eventounico (e con altri), anche per me l’ironia é sintomo di intelligenza; l’ironia senza intelligenza non é “cazzimma”, ma banale volgarità. Mentre l’autoironia é il biglietto da visita della nostra intelligenza.
@M. Burioni, carissimo,
non ci siamo, la “Cazzimma” non è positiva (lo è solo per chi la possiede), è si intelligenza, ma, come dicevo nella prefazione, cumulata a molta cattiveria.
Ad esempio, la deliziosa citazione del tuo sito si presta ad una definizione del genere:
“Gli uomini mentirebbero di meno, se le donne facessero meno domande”
(Coluche)
Ecco, questa per gli uomini è Cazzimma, al quadrato.
“La trilogia del buonumore me la sono letta”. Visto che qui si dovrebbe parlare di “cazzimma”, vi dirò che ho acquistato il libro, ma me lo leggerò in estate (a meno di non doverlo presentare prima di allora da qualche parte). Se questa non è cazzimma…
Ora vi posto dal libro di Imperatore una delle fonte “Autorevoli” a cui facevo riferimento sopra, da pg 14:
…
“Non c’è peggior nemico di un cazzimmoso: non sai mai
dove, come e quando colpirà. Le sue azioni sono beffarde
e si risolvono con sorrisetti sprezzanti. Ecco cosa scrisse
sull’argomento Edgar Allan Poe nel 1843:
Il vero beffatore conclude ogni affare sogghignando. Ma
nessuno lo vede, tranne lui. Sogghigna quando finalmente
se ne va a riposare – dopo aver felicemente portato a
termine ogni suo compito – di notte, in camera sua, e lo
fa per puro divertimento personale. Torna a casa. Si
chiude dentro. Si spoglia. Spegne la candela. Va a letto.
Appoggia la testa sul cuscino. Subito dopo, ecco che appare
il sogghigno sulle sue labbra. Non si tratta di
un’ipotesi: è un dato di fatto. Non potrebbe essere altrimenti:
una vera bidonata è quella firmata da un sogghigno.”
…
Perfino il grande maestro Poe aveva cominciato ad inquadrare il fenomeno, codificato poi, anche linguisticamente a Napoli.
Bentornato dibattito allegro. Rileggendo gli interventi di un anno fa, giusto (il tempo, per quanto veloce, non ci ha sconfitti se ci ritroviamo), mi sono accorto che è praticamente rimasto senza risposta l’intervento di Zauberei: ironia troppo leggera? Non fondata? Priva di valore sociale? Rispondo ora, a quella che è diventata anche una domanda del Navigero e seguendo Imperatore. Secondo me c’è bisogno più che mai di ironia e di leggerezza, di smitizzare e desacralizzare, di smettere di prendere le cose troppo sul serio, a cominciare da noi individui troppo presi dalle nostre individualità: siamo troppi, strizzati tra troppe cose; su un biliardo dove prima poche bocce, toccandosi, facevano nascere magiche traiettorie, giochi di intelligenza, ora troppe bocce si scontrano senza senso e rischiano di rimanere ferme del tutto, appiccicate inutilmente nella vana attesa di un colpo di stecca che le faccia saltar fuori e andare in buca. Talete, a chi gli chiedeva “Chi è felice?” rispose: “Chi è ricco di risorse spirituali”. Ecco, l’ironia è una di queste risorse. Gianmario.
come citazione, preferisco quella di Hugo sul fatto che ironia è libertà: l’ironia è sempre contro qualcosa o qualcuno (è là che scatta il meccanismo comico), per cui, se quel qualcosa o quel qualcuno sono “off limits” c’è una grande limitazione.
Riguardo Soren Kirkegaard, non mi piace chi guarda le sorelle della gente.
io mi sono divertita un mondo a leggere i commenti.
siete grandi!
sono convinto che un po’ di ironia e autoironia possano impreziosire più o meno ogni romanzo. ce n’era persino nella divina commedia, o nei fratelli karamazov. per cui ritengo che la letteratura specificamente dedicata a questo genere abbia la sua dignità e la sua importanza. certo, a occhio, di spazio ne vedo poco. ed è un peccato
Tutti gli scrittori hanno scritto sulla cazzimma, prima o Poe.
Il libro di Pino Imperatore lo trovo gradevolissimo e, come sempre capita ai suoi scritti, molto arguto ed imprevedibile. Nonchè utile a formare la memoria dei più giovani. Accadimenti avvenuti negli anni 70/80, già noti a noi 40/50enni, alla più parte dei giovani sono del tutto sconosciuti.
Importante che i giovani ne abbiano notizia, in modo da capire da dove trae origine la tanta “cazzimmosità” presente negli anni 2000.
il buon giorno si vede dal mattino, ma anche dal corriere dello sport.
Gironzola, tra gli scaffali di Letteratitudine, un uomo che ha fatto della battuta fulminante una professione,
il mitico @Maurizio De Angelis:
Benvenuto fratello, perchè non ci parli dello spettacolo radiofonico che hai prodotto?
Caro Dido’, ti ringrazio per la doverosa precisazione; dunque se ho ben capito, la cazzimma “deve” essere per forza a spese di qualcuno che non sia l’autore della stessa?
In stile De Angelis, anche io mi sono divertito a fare qualche variazione sui proverbi, per esempio, “Tra moglie e marito, il terzo gode”. E’ abbastanza “cazzimmoso” ?
Io invece sono dotata di WIT, lo spirito, l’ESPRIT, che è un’ironia non so se simile o no alla vostra neapoletana cazzimma…
Ovvio ed evidentissimo che la letteratura dell’ironia è tenuta in conto minore, forse perché vale la verità delle citazione che ho scelto tra quelle proposte. Riguardo all’autore devo dire che rimango molto legata a P.G. Wodehouse, forse perché è stato il primo che ho letto di questo genere e che mi ha fatta ridere ad alta voce. Aggiungo che gli stupidari mi danno spesso grande conforto: quelli dei clienti delle librerie, dei veterinari, dei medici, dei colleghi giornalisti… forse il mio sogno è scrivere lo stupidario degli stupidari…
La citazione che scelgo è sicuramente questa: “Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry).
anche io sono molto legato a wodehouse anche se, più che ironico, lo definirei umoristico. ma, insomma, alla fin fine tra ironico, umoristico, comico e satirico ci possono anche essere differenze, ma si rischia di spaccare il capello in quattro
Scelgo questa citazione, perché mi sembra che sia così:
“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
Non perdiamo di vista “La Cazzimma”, uno dei temi primari di questo post. Faccio le veci del “Pino” assente, insomma con una battutaccia potrei dire faccio l’Abete di questo convento.
Imperatore, ahi lui, era andato a visitare un amico in ospedale e lo hanno operato al posto suo, infatti l’amico sta già meglio.
Comunque, vi posto un altro esempio di cazzimma, liturgica stavolta, sempre tratto dal tomo in oggetto:
…
” Un novizio chiese al priore: «Padre posso fumare mentre
prego?» e fu severamente redarguito.
Un secondo novizio chiese allo stesso priore: «Padre,
posso pregare mentre fumo?» e fu lodato per la sua devozione.”
Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard
Trovo splendido questo binomio: dolore-ironia. Il dolore come manifestazione di vita. L’ ironia come terapia.
Bella Francesco, si vede che hai studiato dalle suore.
Un po’ come dire a una concertista “posso suonarti la tromba?” piuttosto che “posso trombarti mentre suoni?”
@Franca: pat pat (preparo la vena per la pesca)
@ Didò: per la trasmissione “I Tappi!” in onda su kisskissnapoli, scrivo il personaggio di Don Consiglio, divertente prete-affarista di provincia. L’interprete è G. De Martino. Venerdì e Sabato ha tenuto lo spettacolo al mitico Caffè-Teatro di Gallarate, con un bel successo.
Cito dal libro di Pino: “Cazzimma è segnare un goal all’Inghilterra, con la mano de Dios…”
Vedo, tra le tante altre forme che la caratterizzano, l”ironia come una forma di mascherarsi o mascherare il tema di un racconto per sminuirne la tragicità, o la superficialità.
Chi non sa o non può dire le cose in faccia, si serve anche dell’ironia.
Il sorriso ironico è, sempre a mio parere, segno di impaccio; ne fa uso chi vorrebbe dire qualcosa di offensivo, ma non dovrebbe, e neanche ne può far meno.
La migliore risposta è quella simile alla domanda, ma poi la ripicca seguirà e potrebbero essere anche dei guai.
Saluti
Lorenzo
Grazie per i commenti pervenuti anche qui.
Aspettiamo Pino Imperatore che ci spieghi in maniera esaustiva e definitiva cosa deve interdersi per cazzimma. Magari inserendo qualche brano tratto dal libro.
Caro Lorenzo, credo che tu ti stia riferendo all’ironia cazzimma (giusto per restare in tema).
A livello generale credo che una sana ironia (e soprattutto una sana autoironia) faccia bene al cuore e allo spirito.
Lodi, lodi, lodi al grande capo Pino Imperatore per il suo “De Vulgari Cazzimma” e abbracci. Delia
Oplà, eccomi quà!
…
“e chi sei Didò, noi aspettavamo Imperatore: ‘azz è ‘sta Cazzimma?
Tu fino ad ora ci hai sviato per vicoli filologici come filobus; hai scritto tze, tze, tze…stapum, la tua recensione di paroloni ad effetti speciali, condita da salamelecchi nozionistici, ma noi lettori di Letteratitudine siamo scienza, non fantascienza!”
…
Calmi, vi ho visti zuzzerelloni, mistificanti bovarysti (non vi avrei dato mai dei “bovari”) correre a frotte nelle stanze del carnevale: è facile nascondere le anime dietro i sipari del mardì gras, tornate di quà che ne riparliamo, magari anche domani quando Imperatore sarà liberato dal suo medico che lo ha ammanettato al letto e continua a non capire che avrebbe dovuto visitare il suo amico (un solo timore, che gli amputi la lingua per sovrapprezzo).
…
Ora vi passo un’altra tranche (un trancino) del libro che sconvolgerà la letteratura Moldava (si dice che i moldavi siano estremamente cazzuti):
…
Esempio di cazzimma commerciale:
“Nelle informazioni pubblicitarie su carta stampata la cazzimma
può assumere la forma di un asterisco-trappola: è
quello che compare all’interno o alla fine del messaggio
principale e che fa rinvio ad una serie di “specifiche” e
precisazioni pubblicate a caratteri microbici in un angolino
della pagina. In queste righe sono dettate le vere condizioni
dell’offerta. Per meglio dire, i vincoli, le restrizioni,
gli obblighi e le fregature dell’offerta.
La stessa tecnica viene impiegata per molti contratti prestampati,
in cui le parti più gravose hanno una leggibilità
prossima allo zero.”
E ancora:
La cazzimma verbale dei tifosi di calcio:
…
“Nel 1985, durante la gara Napoli-Verona, gli ultras partenopei
esposero uno striscione-capolavoro:
Così la storia ha voluto: Giulietta zoccola e Romeo cornuto.
Fu la geniale risposta alla provocazione ricevuta dai loro
rivali scaligeri:
Vesuvio facci sognare.
Nel 1982, in occasione della partita Como-Fiorentina, i
sostenitori viola misero in bella evidenza sugli spalti la
scritta:
Voi comaschi, noi co le femmine.
Ottimo gioco di parole, intraducibile in un’altra lingua.
Il 10 luglio 2006, nel corso dei festeggiamenti a Roma per
la vittoria della Nazionale a Berlino, venne innalzato uno
striscione dedicato dai tifosi azzurri a quelli francesi:
Noi al Circo Massimo, voi massimo al circo.
In numerose piazze italiane ne venne innalzato un altro
più esortativo:
E ora ridateci la Gioconda!
…
Ora si comincia a ragionare sul concetto?
Il bidello Didò
Mi dispiace ma voi partenopei, come tutto il resto del mondo d’altronde, viene molto tempo dopo l’antica civiltà nuragica, da cui mi pregio discendere…
La Cazzimma non è infatti altro che il riso sardonico!
“La mano de Dios”: preciso che in napoletano c’è traccia di un’espressione simile, di derivazione spagnola, intendendo: “Con l’aiuto del Signore”. Esempio: “Sei guarito?” “Sì, ca’ mano ‘e Dio”; oppure: “C’è traffico, per fare quella strada ci vuole la mano di Dio”.
Ma Pino dov’è? Ecco: se Egli leggesse i nostri post senza intervenire (facendolo … appost) sarebbe una vera cazzimmata!
Maurì, Pino è in ospedale!
Sta’ benissimo, ma quel pirla del cardiologo gli ha auscultato “un’altra” cosa e lo ha trattenuto.
…
Ora Pino gli farà una bella by-passata a quel pirla (l’altra cosa non è pubblicabile).
Guagliò… Chi è che ha portato sfiga?
@gianfranco bussalai ciao caro grillo parlante ti sto ronzando di nuovo sulle spalle ti volevo augurare un grasso carnevale!
Notizia su un giornale: “Finto sacerdote molesta i chierichetti e poi li ricatta”. Commento cazzimma: “Si era calato perfettamente nella parte”.
Napoli. Agli incroci non regolati (si fa per dire) da semaforo, la precedenza si dà in base al tasso di cazzimmosità (da valutare con rapido sguardo) dei conducenti dei vari veicoli.
E’ buona norma dunque dare precedenza a:
1) smart / nuovecinquecento condotte da figlie di criminali.
2) classeA/ Rav4 condotte da mogli degli stessi.
3) auto tedesche di nuova immatricolazione.
4) Suv di nuova immatricolazione.
5) furgoni / furgoncini / apepiaggio (specie se cabriolet).
6) autoveicoli recanti sul davanti contrassegno di falso invalido e sul retro cappello (falso anch’esso) di appartenente alle forze dell’ordine.
7) veicoli che abbiano preventivamente azionato il clacson.
8) motoveicoli con a bordo avvocati in cravatta diretti al tribunale.
9) motoveicoli con a bordo, oltre al conducente, uno o più scippatori.
A Nuoro dare la precedenza a chi tira fuori la freccia, ma ancora di più a chi tira fuori il mitra 🙂
signor bussalai stia certo che se dovessi ronzare dalle parti di nuoro mi porterò uno scudo antimitra!
Signora ape maia, qui le api le rispettiamo, almeno finchè producono il miele. Poi le grattugiamo nella pasta, che non si butta via niente, di questi utili insetti…
E comunque ha sbagliato tema, la festa in maschera è nell’altro thread, faccia la seria, suvvia!
la seria??è proprio sicuro di essere bussalai quello che non molla mai?
io alla festa non ci vado perchè ho il costume a strisce macchiato e non ho voglia di presentarmi impresentabile…però per carità signor bussalai se la infastidisco ronzo via…forse.
nel grattugiato ci può cascare il pungiglion, attento alle papille.
‘St’Ape Maia è ‘nu pucuriello* cazzimmosella, solo il padron Maugger la può smascherare
…
(*significa pochetto, @Bussalai, non pecorella come lei, abituato ai belati è subito aduso a credere; poi attento a sfidar un “Premio Troisi”, come il De Angelis, lui quando spara non usa le carte visa)
signor didò lei sì che ne capisce di api,complimenti, se dovesse aver necessità di una qualche punturina io son qua!
è che mi viene naturale di far qualche dispettuccio, ma da qui a parlar di cazzimma,per carità,lo so cos’è ma non lo direi mai,sono una signora ape…magari la utilizzo ma con classe e discrezione.
Vi ringrazio molto per i commenti.
Sono molto dispiaciuto per le condizioni di salute di Pino Imperatore.
Ovviamente se avessi saputo avrei pubblicato il post in un altro momento.
In ogni caso, quando Pino sarà in condizioni di intervenire, riprenderemo il dibattito interagendo con lui.
Per il momento… continuiamo noi
Credo che il ronzio dell’ape maia sia perfettamente in tema:-)
A Didò il compito di animare questo post e di inserire nuovi spunti legati a questo libro di Imperatore.
spero tanto che il signor imperatore si riprenda presto,ha i miei auguri personali!
per le opzioni semaforo a napoli,non avete contemplato l’ipotesi di incontrare l’ape maia,l’arancione si sa che ti suggerisce se passi so cavoli tuoi e se resti fermo pure,ma il nero è una minaccia: devi superare perchè mica stamm appriess o muort’?!
zzzzzzzzz
Io sono di quelli che se scatta l’arancione accelerano: è cazzimma? Poi se vedo l’arancione di un’ape faccio anche una piccola sterzata per essere sicuro di non mancarla, chè mi fa tanta allegria il fiorellino rosso, arancione e nero sul parabrezza, mi pare di andare a un matrimonio.
La nostra ape maia poi, che è tanto gaia, me la metterei pure secca nell’album, così dura di più. Poi l’album lo porrei sotto un bel librone, magari quello di Didò, che almeno serva a qualcosa, per raddrizzare i pelazzi delle coscie dell’insetto, che dritti fanno più charmant.
Il vecchio Didò va a letto e lascia il compitino sulla “Cazzimma nelle barzellette”, sempre tratto dal volume Imperatoriano – De Vulgari Cazzimma – :
…
“Tipico animale dispettoso e cazzimmosso delle barzellette
è il pappagallo:
• Un ladro entra di notte in un appartamento. Fatti due
passi, sente una voce: «Attento, Gesù ti vede!».
• Impaurito, il ladro si blocca. Dopo pochi secondi la voce
continua: «Attento, Gesù ti ha visto e ora ti punirà!».
• Il ladro accende la torcia elettrica e la punta verso la voce.
Il fascio di luce illumina un pappagallo su un trespolo.
Sollevato, il malvivente chiede all’animale: «E tu
chi sei?».
• «Sono il pappagallo Pepito».
• «Che nome cretino per un pappagallo…».
• «Perché, Gesù ti sembra un nome intelligente per un
dobermann?». “
eccolo il mio bussolotto che dà sui giri!!
ma bravo,dai che se corri sulle quattro zampe forse mi raggiungi!
buonanotte didò una saluto che ti ronza dal comò.
delicious la barzelletta del pappagallo,magari serve a bussolotto per scoprire che ape maia è il nome di un mastino napoletano!!
Sogna apina, sogna… Mi sa però al massimo che potrai fare l’ape piaggio e portare bombole del gas.
Notte Didò, non temere: Gesù sorveglia il tuo sonno e finchè non ti muovi non morde.
Anche io vado a nanna a sognare le api che saltano il filo elettrificato… notteeeee..
magari c’hai un attacco d’asma notturna e ti ci attacchi ad una di quelle bombole…..’notte bussolotto!
Cari amanti della letteratura dell’ironia (cazzimmosa e non), qui la discussione continua.
come fate a mangiare un’ape Maia? non è scaduta?
Ci sono testi di narrativa che mi fanno proprio ridere, ma proprio tanto.
Questa frase è abbastanza cazzimma?
“Riguardo quel Giallo con quell’avvincente finale, non rivelerò che l’assassino è il maggiordomo”.
Questa potrebbe essere una frase cazzimmosa.
@Didò: che vor di’ “quando spara non usa le carte Visa?”
Daniele Silvestri: citavo una sua canzone!
io, quando sparo, uso gli zerbini, perchè sparo a “salve”.
“Io non sparo, sparisco”: disse il suicida
Come l’Europa unita viene intesa dal popolo italiano:
Entri in un bar a Tarvisio e leggi in caratteri grandi un cartellino informativo:
è proibito pagare il conto in una moneta che non sia Euro e centesimi.
Trasgressioni vengono punite con Lit. 10.000.
Saluti
lorenzo
@ Un discorso tra un moderatore e un cantante che lo intervista:
Come vanno gli affari, sono tutte piene le sale?
Il cantante afferma di sì ad eccezione di quella di Stoccarda.
Alla domanda perché, rispose che là aveva già cantato una volta.
@ Chi non conosce il detto: il potere viene dal popolo, il ché significa che i politici hanno bisogno del popolo.
Chissà se il popolo abbia bisogno dei politici.
Grazie per i nuovi commenti e le divertentissime battute.
Mi avete fatto divertire.
Aspettiamo tutti Pino Imperatore (a lui i nostri migliori auguri). Quando sarà in grado di intervenire riprenderemo la discussione con rinnovata lena.
io pensavo che lo dicesse una Romana al sole. (Sto carda)
di cazzimma perii: uno dei luoghi in cui la cazzimma dirime le questioni realative alla precedenza è il porto di Bari/imbarchi per la Grecia/venerdìseradelweekenddiferragosto. Fra T.I.R., camper, suv e station-wagon con wagonate di bagagli, cercavo di infilarmi usando tutta la cazzimma presente nel mio genoma. Provai ad infilarmi tra due Mercedes battenti targa tedesca. (trattasi dei veicoli più facili da superare nelle file: la lettera D vuol dire “Do la precedenza”). Invece trattavasi di emigranti turchi rientranti in patria dalla Germania: molto più cazzimmosi dei napoletani! “Si è sempre i settentrionali di qualcuno!”
è la morale, parafrasando De Crescenzo…
Il racconto umoristico, in quanto tale, secondo me è poco diffuso perché non è catalogabile in un genere. Fateci caso: tutti i romanzi che raccontano storie “non di genere”, che se fossero film sarebbero classificati come “drammatici” o “commedie”, sono definiti semplicemente “romanzi”; di loro sappiamo solo che sono storie di almeno cento pagine. Nulla di più.
Il perché è un mistero.
Già, un mistero. Ma non un mystery o un thriller, altrimenti sarebbe un giallo. E il giallo, com’è noto, dal 1929 – grazie alla Mondadori -, non è solo un colore ma anche un genere.
Un genere che ha tante sfumature, dal rosa al noir.
Ma se il giallo rappresenta il mistero, il verde l’avventura, e il rosso la passione, con che colori si possono identificare il dramma e la commedia?
Semplice! Con il nero e il rosa, verrebbe da pensare.
Già. Ma entrambi i colori sono già impegnati a rappresentare rispettivamente l’intrigo e il romanticismo.
E allora?
E allora scoppia la tragedia. Dramma e comicità perdono le loro rispettive identità, fondendosi in un unico, inquietante genere.
Immaginatevi questa scena: due amici si incontrano.
“Ciao!” dice uno.
“Ciao” risponde l’altro.
“Sai, sto leggendo un libro!”
“Ah sì? Di che genere?”
“Boh!”
La catastrofe è compiuta!… Come si può essere incentivati a leggere un romanzo che appartiene al genere Boh!?
–
Personalmente ho aggirato l’ostacolo creando “Le avventure di Mister Noir”, una serie di thriller umoristici con protagonista il primo eroe disabile seriale della Storia della letteratura italiana.
E funziona!!!!!!!!!!!!!!
Bah!… Si vede che la parola THRILLER rassicura e RILASSA le persone!
Ma non è tutto.
Autori quali Carlo Lucarelli, Andrea G. Pinketts, Andrea Carlo Cappi, Daniel Pennac, e Donald E. Westlake, hanno creato delle serie in cui l’umorismo e l’ironia permeano i loro romanzi; mentre Graziano Braschi e Mauro Smocovich curano la rubrica “Giallo Comico” sul sito ThrillerMagazine, alla quale ho già partecipato con tre short-story in cui brivido e umorismo convolano a nere nozze.
–
Insomma, la letteratura dell’ironia esiste, ma vive soprattutto in incognito sotto l’egea di altri generi, al fine di riacquistare la propria personalità e di non essere definita semplicemente come… Boh!
Citazione, quella di S. Guitry. Io amo Queneau, I Fiori Blu, Troppo Buoni Con Le Donne e la magnifica pag. 96 de Odile. Poi: Steinbeck, Pian Della Tortilla e Jerome, Tre Uomini In Barca. Su tutti, però, quel genio di Queneau. E trovo la che la sua non sia letteratura dell’ironia, bensì letteratura vera e propria. Sarà che è il mio preferito in assoluto. buona giornata a tutti.
Caro Sergio, cara Renata… grazie per i vostri interventi.
Grazie, Massimo!…
Ho cercato di fare un discorso folle e assennato allo stesso tempo! 😀
Mi piace molto esprimermi ironicamente; l’ironia é una forma di cultura superiore che può essere esercitata soltanto con l’intelligenza. Chi é amorfo, passivo ed indifferente infantti non potrà capire l’ironia; ed é anche una forma consolatoria della vita: per questo ho deciso anch’io, nel mio piccolo, di cimentarmi in un’opera ironica, breve naturalmente, come si addice ad una neofita di questo genere. il primo capitolo sotto forma di novella autonoma é stato pubblicato da Pirrone editore di Roma nella brevissima antologia Voci di Sicilia; invece l’opera completa Vita di una donna assolutamente normalecon un uomo praticamente perfetto, uscirà a maggio nella collana Narratori ’80 della Firenze libri. penso che molte donne dell’odierno mondo riconosceranno se stesse, del tutto o in parte, nelle vicende della protagonista, che per evitare minacciate denuncie da terzi ho personalmente interpretato. Spero, quando uscirà il libro di avere un risontro dai frequentatori di Letteratitudine. ciao a tutti da pinella.
@ Pinella Musumeci
Gentile Pinella, chiedo venia… ma solo adesso mi accorgo di questo tuo commento.
Magari ripasserai da queste parti… così ti domando: hai poi pubblicato il libro cui accennavi?
Ragazzi, questo post mi mancava.
C’è bisogno di ironia… diciamo la verità. Soprattutto di questi tempi!
L’ironia aiuta a vivere (o no?). Lo si diceva anche da altre parti…
Comunque sia…
Questo post – di fatto, e nel tempo – si è trasformato in una sorta di spazio permanente.
E come ho accennato nel post, l’intenzione è quella di aggiornarlo periodicamente per sostenere – appunto – la letteratura che dà spazio all’ironia (con particolare attenzione all’area partenopea… ma non solo).
Ne approfitto per mettere in evidenza le domande del post originario (soprattutto a beneficio dei nuovi commentatori)…
– Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
– A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
– Con quali delle seguenti citazioni celebri (sull’ironia, ovviamente) vi sentite più d’accordo?
–
“È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)
“Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve)
“L’ironia è il pudore dell’umanità” (J. Renard)
“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)
“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
“Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard)
“L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” (J. Benavento)
“Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)
“L’ironia non è piuttosto spesso una forma di sentimentalismo, un sentimentalismo che fa una giravolta?” (K. Van de Woestijne)
“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov)
Ospite di questo aggiornamento del post dedicato alla “letteratura dell’ironia” è… Maurizio De Angelis.
–
Maurizio, ti invito a rispondere (o a ri-rispondere) alle domande di sopra e a scegliere (o a ri-scegliere) la tua citazione preferita tra quelle indicate (spiegandone, possibilmente, le ragioni).
L’invito è rivolto a tutti…
Maurizio De Angelis ha pubblicato di recente i due seguenti libri:
–
“Achei, il prezzo è giusto!” (Boopen, 2009): La più folle e divertente riscrittura del mito greco nel primo racconto demenzial-epico della storia.
–
“Il padrino parte prima così non trova traffico” (Centoautori, 2009)
–
Ne parleremo in questi giorni…
Per il momento vi auguro (ma senza ironia alcuna) una serena notte…
Mi permettete di riportare questi versi di Trilussa?
Una mattina un povero Somaro,
ner vede un Porco amico annà ar macello,
sbottò in un pianto e disse: – Addio,fratello:
nun se vedremo più, nun c’è riparo!
– Bisogna esse filosofo, bisogna:
– je disse er Porco – via, nun fa’ lo scemo,
ché forse un giorno se ritroveremo
in quarche mortadella de Bologna!
I bozzetti satirici, le favole e i sonetti di Trilussa, conditi d’ironia, me li leggo quando sono triste o quando la luna mi è andata di traverso.
Non vorrei – per rispondere, Massimo, a una delle tue domande – che la citazione di J. Benavento, ossia “L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” fosse davvero azzeccata.
Non condivo, invece, la citazione di Sainte-Beuve, ovvero “Di tutte le disposizioni di spirito, l’ironia è la meno intelligente”, eccetto che non la si metta in relazione con l’asserzione di Salvatore Quasimodo (tratta da “Il falso e il vero verde”, secondo cui “per un po’ d’ironia si perde tutto”.
A pensarci, Quasimodo non ha proprio torto. No, affatto. Purtroppo.
Buona giornata!
Ringraziando innanzitutto Massimo per l’ospitalità che mi offre, direi che la letteratura dll’ironia oggi esiste ed è viva; sembra che abbia meno spazi, rispetto al passato, poiché è sovrastata da quella che definirei la comicità iper-mediatica. Oggi ci sono tante trasmissioni televisive dedicate alla comicità, replicabli quotidianamente su Youtube: un vero e proprio bombardamento di comicità. E questo fenomeno tracima anche sugli scaffali delle librerie. I pochi umoristi che riescono ad arrivare in libreria, devono sgomitare, sopraffatti dai libri (libri?) di tanti cabarettisti usa-e-getta che non fanno altro che trascrivere quello che dicono in tv, con tanto di tormentoni, smorfie e gestualità, che sul testo scritto dicono poco o nulla. Intendiamoci: ritengo Ale e Franz, Littizzetto o Covatta, ad esempio, letteratura umoristica di ottimo livello; ma sono eccezioni, rispetto alla massa di autori in maglietta gialla o vestiti da Babbo Natale che sugli scaffali fanno più rumore e vendono molto di più, anche perché distribuiti ovunque.
C’è sempre da augurarsi che non si confonda l’ironia con l’idiozia… se qualcuno l’avesse già detto mi scuso… in questo caso, mi pare, che l’ironia sia davvero una forma di intelligenza 🙂
un abbraccio
Liz
L’opera comica alla quale son più legato è “Tre uomini in barca/ e a zonzo” di Jerome. perché fu il primo libro che lessi, a tredici anni. Mi piacque moltissimo, e poi apriva una finestra su paesi come l’Inghilterra e la Germania. Non c’era molta globalizzazione, 39 ani fa. Il canale televisivo era uno, e in bianco e nero. Son stato in Germania due anni fa, e mi è venuto in mente un passo di Jerome, ancora attuale:
“Lì, in Germania, potete anche salire da solo sulla cima della montagna più desolata, dove non c’è assolutamente nessuno: inchiodato ad un albero, troverete sicuramente un foglio con stampato, in tedesco, un elenco di cose che sono assolutamente vietate”.
L’opera comica che invece mi ha divertito di più è sicuramente la commedia “E fuori nevica”, con Salemme-Buccirosso-Paone-Casagrande. Salemme bravissimo, Buccirosso e Casagrande due “spalle” immense, Paone inarrivabile nella parte del pazzo. La scena della pizza l’avrò vista decine di volte (i miei figli piccoli ne andavano matti e la mandavano a memoria), ma mi diverte sempre tanto.
Saluto Maurizio De Angelis, scrittore umoristico dalla penna ecclettica, davvero, a cui auguro tanta strada ai suoi ultimi libri.
Mauri’, mi fa piacere vedere che condividiamo gusti letterari e teatrali: anche per me Tre uomini in barca, in particolare, ha segnato il punto di gradimento dell’ironia. E la commedia E fuori nevica l’ho trovata tra le più esilaranti del secolo; rivista anch’io decine di volte e finivo sempre col lacrimare dal ridere.
Per il resto, per la letteratura umoristica vale la stessa legge dell’editoria globale: vince il nome più forte portato dall’editore più forte. Indipendentemente dai contenuti, il libro si compra perché l’ha scritto tal dei tali, l’ho visto in tv, ha fatto Colorado, o Zelig, o che so io. Distribuzione a tappeto, visibilità 100%.
Come per ogni estremo, non è facile far ridere. Siamo subissati da comici e presunti tali in tutte le salse, forse per questo il libro resta l’ultima spiaggia, la risorsa meno immediata per questi tempi dal prodotto usa-e-getta come può essere un video di youtube.
Personalmente uso molto l’ironia, anche nel mio modo di scrivere horror. L’ironia può essere tagliente come la migliore delle lame. E poi lo dico sempre: non mi prendo mai troppo sul serio, altrimenti sarei una serial killer. Resto comunque selettiva nelle mie scelte, non i piace tutto anzi, mi piace quel poco ma buono.
La citazione preferita? “È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)
Libertà di esprimersi in un modo diverso, di dire le cose per come le si vede e le si sente, al di là degli stereotipi imposti dalla morale comune.
Buona giornata a tutti! 🙂
In questi giorni sto leggendo uno splendido saggio di Tommaso Russo Cardona: “Le peripezie dell’ironia – Sull’arte del rovesciamento discorsivo” (Meltemi editore). Cito testualmente due passaggi-chiave del libro: «L’ironia, con la sua capacità di rovesciare presupposti dati per scontati, prende spesso la forma del cosiddetto antiperformativo: si cala cioè nelle forme linguistiche del performativo, nei suoi abiti rituali, per mostrarne l’inefficacia, per additare la mancanza delle condizioni di felicità, il girare a vuoto del linguaggio rituale. […] L’ironia ci svincola così dalla cecità della dimensione rituale».
È ciò che avviene nelle opere di Maurizio De Angelis e dei migliori (pochissimi) scrittori umoristici italiani contemporanei. La loro ironia rivolta come un guanto le apparenze, le consuetudini, la normalità degli eventi; è un formidabile stimolo creativo ed intellettivo, scuote dal torpore e mostra ai lettori prospettive inconsuete di osservazione ed interpretazione del mondo che ci circonda; è un atto di disvelamento, è un “guardare oltre”, verso inaspettate dimensioni rappresentative e metalinguistiche. L’effetto di questa prodigiosa operazione letteraria – in cui giocano un ruolo fondamentale il talento ed una sensibilità non comune – è il riso, il godimento fisico e psichico dei fruitori. Un riso bello, liberatorio: il re e la realtà sono stati messi a nudo, sono stati privati dei loro strumenti di imposizione e di divieto, non hanno più il potere di irregimentare gli individui in una logica unica.
L’ironia è libertà di pensiero e di azione.
ioronia, umorismo e torte in faccia. ci sono sempre confini sottili tra cose che possono essere nobili o semplicemente divertissement. maurizio de angelis è tagliente ed elegante, con picchi di genialità. ma, per esempio, guareschi, flaiano, marchesi, campanile, woodhouse, jerome k jerome, oscar wilde cosa scrivevano?. satira, ironia, umorismo. eppure e comunque letteratura. o no?
Per me la letteratura è una cosa seria.
La vita è una cosa seria.
La morte è una cosa seria.
Il raffreddore è una cosa seria.
Detesto chi fa ironia nei libri, chi fa ironia nei blog.
Detesto i napoletani.
Gente come Francesco Di Domenico andrebbe ghigliottinata nelle pubbliche piazze.
Però il libro di De Angelis l’ho letto e mi sono divertito tantissimo. Ironia sana e intelligente.
francesco di domenico chi?
Didò. Quel tipo che rideva mentre gli facevano l’autopsia.
@ Massimo caro, è davvero un’idea brillante rispolverare la sana ironia di
tanti simpatici amici. Per patecipare a tale raffinata goduria, segnalo delle perle…. che mi sono state inviate:-
…….
Quando muoio mi faccio cromare (Eccellente!)
Di fronte a tali cose rimango putrefatto.
Arriva il treno, hai blaterato il biglietto?
Come faccio a fare tutte queste cose simultaneamente? Dovrei avere il dono dell’obliquità…
Basta ! Vi state coagulando contro di me!
E’ nel mio carattere: quando qualcosa non va. Io sodomizzo!
Anche l’occhio va dalla sua parte…
……..
Un salutissimo a tutti e non coagulatevi ….contro la meschina…
Tessy
Maurizio De Angelis: la prima volta che l’ho visto eravamo al buio e mi è piaciuto subito!
Honi soit qui mal y pense! Trattavasi della sala del TAM, ed eravamo un’ammucchiata, circa 40 persone, illuminate dall’ironia di Maurizio.
La seconda volta che l’ho visto eravamo lì per imPORCI, per proPORCI; per sovrapPORCI, e, se POSSO, era tutta una FAVOLA, in cui vissero felici e CON DENTI (Maurizio, in questo pezzo ti ho saccheggiato alla grande!)
In maniera più seria (di cui però non garantisco i risultati): Maurizio è un autore capace di giocare con le parole e con le situazioni in modo originale ed estemporaneo, così da rendere ironico e comico tutto, perfino, ad esempio, un’isola pedonale – Com’è, non si può passare con la macchina e la libreria …Guida!-
Che dire di più… accattatevill!
P.S. Vorrei rispondere alle tre domande POSTe in alto… chissà se lo posso fare… ma d’altronde chi può impedirmelo?
1) Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
Secondo me la letteratura dell’ironia continua ad essere considerata letteratura ‘minore’. Ciò parte, a mio avviso, dal presupposto per cui ‘risus abundat in ore stultorum’. Eppure, se si cimentassero, i più scoprirebbero che scrivere drammoni è facilissimo, mentre strappare un sorriso è difficile assai. In ogni caso, quando mi riesce di far sorridere qualcuno, io mi sento fiera di essere stolta!
– A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché?
Adoro Trilussa! Adoro la capacità che ha di denunciare qualsiasi situazione di degrado sociale, di corruzione o di fanatismo con un linguaggio arguto e con la leggerezza dei versi. E mi affascinano anche i suoi componimenti malinconici… a dimostrazione che chi sa far sorridere non manca affatto di profondità di sentimento.
– Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo di Asmodeo), vi sentite più d’accordo?
… non avendo trovato le citazioni di cui sopra, ne riporto una che mi piace assai, sperando che fosse tra quelle di Asmodeo:
La libertà comincia dall’ironia
Victor Hugo
Saluti a tutti
Virginia
@MariaTeresa Tessy per gli amici (Tessi, come Penelope?)
Uè! Visto che mi hai dato il “la” con 7 perle, te ne scrivo 2, pensate ieri fresche fresche:
Morgan? “X Fatto”.
“Non abbiamo mai avuto soldi dallo Stato”. Luca Scordero di Montezemolo.
Giochini di parole infantili, con semplice sottrazione o aggiunta di consonante, ma che alla fine rendono alla frase un significato anche amaro e profondo.
Cari amici, vi ringrazio tutti per i vostri commenti…
E, ovviamente, un ringraziamento speciale al protagonista di questo aggiornamento di Letteratura dell’ironia
Un saluto e un ringraziamento a: Ausilio Bertoli, Liz, Simonetta Santamaria, Pino Imperatore (leader di nome e di fatto), Enrico Gregori, Salvo Zappulla, M.Teresa Santalucia Scibona (Tessy dolce Tessy), Virginia Danna…
Vi lascio in sospeso ancora per qualche ora (non vogliatemene)… 🙂
ma nel pomeriggio avremo modo di parlare in maniera più approfondita di questi nuovi libri di Maurizio De Angelis… con qualche gustosissimo (e divertentissimo) assaggio.
A dopo, dunque.
A tutti voi auguro uno splendido sabato mattina.
« Noi ci arrabattammo anni e anni prima di arrivare. Lavoravamo in cittaduzze dove oggi rifiuterei di essere sepolto, anche se il funerale fosse gratis e in più mi regalassero la lapide »
Groucho Marx
…
Salve figlioli, perchè questa citazione?
Perchè dopo la grande stagione comico/umoristica degli anni ’80, con i gloriosi inserti giornalistici di satira, questa era la situazione dell’umorismo a Napoli, ma credo quasi in tutta Italia.
La grande intuizione di Pino Imperatore di creare il “Laboratorio Umoristico Achille Campanile” ha creato in città un movimento umoristico non dico epocale ma quasi.
C’era un esigenza di sorriso, di allegria intelligente. Molti pionieri avevano deposto le “armi”, cominciando da Michele Serra (e nel piccolissimo e mediocre, dal sottoscritto, che con la soppressione da parte de “Il Mattino” della pagina di satira, s’era ridotto a elzeviri idioti sui giornali politici).
La stessa presenza al governo di un premier barzellettiere e di personaggi da avanspettacolo, aveva ucciso la satira militante e l’umorismo tout court.
Imperatore, dopo aver vinto una delle prime edizioni del premio di Scrittura comica del “Troisi”, fu chiamato a dirigerlo e ne ha fatto, anche in questo caso, una grande fucina di scrittori, tenendo a battesimo nuovi grandi autori – e lo stesso grande De Angelis, che qui celebriamo (ne ha vinto 2 di premi Troisi) sprovincializzando una manifestazione che stava diventando autocelebrativa.
La folla incredibile, alla Libreria Feltrinelli di Napoli, alla presentazione dell’Antologia “Aggiungi un porco a favola”, di una decina di giorni fa, ne è stata la controprova.
Sono contento nel mio piccolo. Prafrasando Eugenio Scalfari, “La sera andavamo in via Veneto”, la sera spesso il giovane studente Imperatore, per rilassarsi dagli studi in lettere, veniva a sghignazzare da Didò, la cosa mi scalda ancora il cuore.
Ma gli umoristi ce l’hanno un cuore?
Lunga vita a Maurizio De Angelis.
Oops…dimenticavo.
Per gli inizi di Marzo uscirà una nuova antologia umoristica, edita da Kairòs: “Se mi lasci non male” (in questo caso il titolo e intuizione di De Angelis), una divertente kermesse di storie d’amore, anzi, “NanoRomanzi d’Amore”, che vanno a puttana, nel senso che non avranno lieto fine.
Lo scoop è che la prefazione è della mitica Gaja Cenciarelli, e la copertina…è ancora top secret.
La lettura che preferisco parlando di ironia è Wodheause. Li ho letti quasi tutti anni fa e non ho trovato nulla che gli assomiglia. Ora però leggo solo saggi di scienza di attualità. Mi piace ridere di me stessa ma è difficile trovare persone che comprendono l’ironia. E’ più facile trovare il sarcasmo. Sarebbe bello riuscire ad ironizzare sulla globalizzazione e tutti gli stereotipi che la rendono così traumatica. Ultimi fil ONE e OLOS. Un saluto anna
Che bello, confrontarsi su ironia e affini!
Io andavo matto per Campanile: e mi divertiva un mondo vedere che i miei coetanei non lo trovavano così divertente.
Qualche anno fa ho riso molto con Magnus Mills e Joel Egloff (del primo: “Bestie” e “Niente di nuovo sull’Orient Express”, entrambi Guanda; del secondo: “Edmond Ganglion & Figlio” e un paio di altri, Instar). E poi con Alan Bennett.
In questi giorni, riso e soffro e torno a ridere con l’ultimo romanzo di Rosa Matteucci, “Tutta mio padre”; la stessa cosa mi era capitata con “Lourdes”, con “Cuore di mamma”… è come se Gadda, che so, o Palazzeschi, o Landolfi, si fossero messi a scrivere pezzi per i monologhi di Franca Valeri. En passant, anche leggere Franca Valeri è un’esperienza travolgente.
Amo l’ironia “tongue-in-cheek” (ne parlava Guido Almansi, un po’ di anni fa, in “Amica ironia”, ricordate?), implicita, disturbante come rumore di fondo, che non sai come prendere, che sembra affermare il contrario, certo, ma allo stesso tempo smentirsi. In generale, se vogliamo allargare il discorso ai meccanismi dell’umorismo, amo le iperboli, gli accumuli, i tormentoni, l’incongruo (tutti elementi che tra l’altro possono generare anche il tragico, oltre al comico, e questo vorrà pur dire qualcosa, no?), le contaminazioni tra alto e basso; non mi fanno impazzire invece i giochi linguistici, le parodie, gli anacronismi…
Ma avete notato che nella comunicazione di oggi non ci fidiamo più della capacità del nostro interlocutore di cogliere l’ironia? Se scriviamo un messaggio di evidente scherzosità, ci sentiamo obbligati ad aggiungere un emoticon, un sorrisetto ridondante, giusto per essere chiari, per evitare fraintendimenti, musi lunghi, o chissà che. Questo tradisce forse una sfiducia nel mezzo, o appunto nel destinatario, o infine nella buona salute dell’ironia stessa come figura retorica. Forse non siamo tanto sicuri della condivisione dell’ironia – forse è semplicemente comodo (lo faccio anch’io, ci mancherebbe, e non mi urta certo vedere che amici lo fanno con me), chiarisce subito, dà all’istante il tono giusto. A differenza di quanto avviene nella comunicazione quotidiana, nella pagina scritta l’ambiguità dell’ironia, il suo essere e non essere o essere altro, sono risorse, preziosi impasti di timbri.
La citazione che vorrei sottoscrivere non c’è, in mezzo alle belle frasi che Massimo Maugeri ha suggerito in cima a questo lungo blog: ve la butto lì, citando a memoria, e dunque parafrasando. In “Roma”, di Fellini, nell’episodio dello scalcagnato spettacolo di varietà, mi pare che uno spettatore dica a un comico in difficoltà: “Ma non mi farà male ridere così tanto?”, e lo dica impassibile, tetro quasi. Ho usato molte volte quella frase, che ha il potere di raggelare gli spiritosoni – subito dopo, come si dovrebbe fare sempre, per compiutezza e onestà intellettuale, aggiungo dettagliati riferimenti sulla fonte.
@ Il Cherubino Maurizio De Angelis, in attesa che mia figlia venga a prendermi per una cenetta serale, Le propino qualche altra perletta…..no, non filo e non tesso….ma, con gli amici cari, sono fedele quasi come Penelope…..
@Didò, sei sempre lo stesso pirotecnico simpaticone….. un tosco saluto al ghiacciolo, sembra che nevichi!.
@ Massimo caro, senza le tue trovate…un c’è futuro!
senza di Te, il destino è troppo amaro,
é come rimaner senza denaro…..
ascolta come raglia… sto somaro!
E ore le perle di antica saggezza:-
……..
Mi sono fatta il Leasing al viso
Da vicino vedo bene, è da lontano che sono lesbica!
Non so a che santo riavvolgermi.
Avete i nuovi telefonini GPL?
Mia nonna ha il morbo di Pakistan…..
E’ inutile piangere sul latte macchiato!
Tu non sei proprio uno sterco di santo!
……………
Ancora un saluto alle gaie donzellette… e ai ridanciani pischelli. dalla
“Matusalemme liberata”, alias
Tessy
La citazione che preferisco, tra quelle elencate, è quella di Victor Hugo “E’ dall’ironia, che comincia la libertà”. E in effetti, quando un regime decide di diventare dittatoriale, comincia col sopprimere la satira. Satira che il fascismo, ad esempio, forse non azzerò completamente, preferendo controllarla come si fa con una sbandata controllata. Prescindendo dalla politica, si può avere mancanza di ironia, o al contrario predisposizione all’ironia, anche in altri ambiti, come in un luogo di lavoro o in gruppo di studio, ad esempio. Personalmente, ma forse sono in conflitto di interessi, ritengo che un ambito in cui un filo di ironia sia implicitamente consentito porti ad un clima meno stressante, in cui i risultati stessi possono essere sicuramente migliori.
Visto che Didò Di Domenico è sempre così carino nel citare gli altri, voglio rispolverare (visto che siamo in tema) anche il suo libro STORIE BRILLANTI DI EROI SCADENTI (CentoAutori).
Il suo non è umorismo spiccio, ma dev’essere compreso, metabolizzato. Non è alla portata di tutti, la testa di rapa potrebbe non ridere davanti alle sue battute argute. Forse Didò tende a virare verso la satira, visto la sua formazione giornalistica ai tempi in cui gli inserti di satira la facevano da padroni sui quotidiani. Lui è l’esempio di umorismo intelligente.
Ho finito di rispolverare, ora smetto di sorridere e torno al mio efferato omicidio.
Baci a tutti! 🙂
Della serie: “meglio tardi che mai”… rieccomi qui…
Ringrazio il buon Didò, Anna, Claudio Morandini…
@ M.Teresa Santalucia Scibona
Tessy, sei splendida. E una divertentissima umorista 🙂
@ Simonetta Santamaria
Cara Simonoir, ancora grazie anche a te. Del libro di Didò da te citato ne avevmo parlato qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/03/recensioni-incrociate-n-5-francesco-di-domenico-e-enrico-gregori/
@ Maurizio De Angelis
Caro Maurizio, per stasera lascerei un po’ di spunti su “Il Padrino parte prima, così non trova traffico”.
Un paio di recensioni e qualche stralcio.
Prima, però… una domanda per te…
@ Maurizio De Angelis
Secondo te il “grande umorismo” deve giocare di più sulla onomatopea o sui doppi sensi?
E il tuo, di umorismo… su cosa si basa?
“Il Padrino parte prima, così non trova traffico” – di Maurizio De Angelis – Ediz. Cento Autori – 2009.
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È l’opera prima di un autore napoletano che scrive da appena tre anni ma ha al suo attivo la vincita di due Premi Troisi per la scrittura comica, nel 2006 e nel 2008, e l’esser esser giunto finalista allo stesso premio nel 2007.
Già dal titolo, immaginiamo subito che andremo ad inoltrarci in un’avventura divertente e fuori dagli schemi. E nella seconda di copertina l’autore, un esordiente napoletano figlio del laboratorio di scrittura umoristica “Achille Campanile”, ci trascina con una serie di interrogativi presidenziali pregni di nonsense: “A Dallas, Oswald era lee? Chi vuole uccidere il candidato nero? C’è un filo che unisce chi complottò a Dallas e la sua canna da pesca? Yes, we Kennedy!?”.
Dedicato alla memoria di Pico della Mirandola, “veramente favolosa”, ed alla sua Musa, “che ha fatto pochi chilometri”, il libro parla di un attentato al candidato nero, ai giorni delle ultime elezioni Usa. Gli eroi chiamati a sventarlo sono Jack l’ispettore, il solito americano tosto di quelli che sfondano le porte, e Concetta Palumbo, in arte Ketty Bird, una spogliarellista pentita partenopea, che prende la vita con fatalismo. Quando lui esclama “Nemico a ore dodici!”, lei dice “Ah, allora ci vuole tempo…”. Seguono il candidato in giro per il Paese, coast to coast da New York fino a San Francisco, ascoltando il solito discorso, stereotipato ma demenziale, in cui egli annuncia che ha sì fatto un sogno, ma sul più bello è passato il camion della spazzatura e lo ha svegliato.
L’incubo è che si ripeta l’assassinio di Kennedy del ’63. Jack dunque corre appresso alla cabriolet presidenziale ed irrompe nel deposito di libri. Irresistibile la sua ricostruzione dell’incontro tra Oswald ed il suo killer nei sotterranei: “Jack! Rubi?” “No, ammazzo”. Bang!
Non manca una puntata nella città di Napoli, tra ultras, mortaretti e Padrini che controllano il territorio in modo ottusamente burocratico.
Qui nascono gli inevitabili paragoni tra l’Italia e gli Usa, con gli immancabili complessi di superiorità messi in campo da Jack. Ma Concetta, dal canto suo, attacca, ridicolizzandoli, i luoghi comuni dei film e telefilm americani, che da decenni inondano cinema e tv nostrani. E pone tanti perché. Dal perché gli Statunitensi non riescano a parcheggiare nei garage sotterranei senza essere sparati addosso, al perché facciano il punto decisivo, a basket o a football, sempre all’ultimo secondo, al perché di notte riescano sempre a fregare i vigilantes dei grattacieli. La satira, com’è ovvio, non risparmia il Bel Paese ed un certo modo di legiferare: dalle tasse sulla benzina e sul porno (“Aumenterà il prezzo alla pompa”) alla prostituzione a giorni alterni (“Solo martedì, giovedì e sabato: le pari opportunità”).
Dopo aver protetto il candidato nero che lei riconosce subito (“Yes, uiccànno”), vengono spediti in America Latina per un rocambolesco golpe che deve scoppiare durante una festa in maschera. Lei ha un costume da dama del settecento, un vestito a scacchi bianco e nero. Tra equivoci e scambi di persona, sostituiscono il dittatore corrotto con un dittatore onesto che paga 50.000 pesos per corrompere la guardia presidenziale. In campo scende Pascal Libertad, che dalle sue antenne, a reti unificate, promette felicità e benessere. La stessa felicità e benessere che regala a noi lettori questo libro, che definiremmo un comic-thriller. La comicità è pulita, mai greve, godibile con la doppia lente di lettura: quella del divertissement per ragazzini, zeppo com’è di giochi di parole, e quella, perché no, più colta, in grado di rilevare le frecciate satiriche più sottili e le tante citazioni cinematografiche.
Pino Imperatore
Recensione da “LA VOCE DELL’ISOLA” del 19/11/2009
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“Una vera avventura tragicomica originale e scombinata. Un Thriller!”
di Francesco Di Domenico.
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Maurizio De Angelis è un folletto. No, uno spiritello fiabesco, lui è proprio folle, solo così si può
Spiegare come abbia fatto a mettere insieme una scombinata spy-story, un calembour in forma di romanzo in cui un detective americano e una soubrette spogliarellista napoletana intraprendono un’avventura tragicomica divertente, con un codice lessicale che irride tutte le stupidaggini demenziali delle sceneggiature noir.
De Angelis è il principe dei luoghi comuni, non lascia nulla al caso, trafigge il linguaggio comune, i pour parler, e li trascina in un vortice di frasi attaccate l’una dietro l’altra, che ovemai ne abbia pronunciata una, una volta sola,ti fanno comprendere quanto sei stato cretino. Lui non media, colpisce con un fioretto acuminato: persino la dedica iniziale, “Alla mia Musa, che ha fatto pochi chilometri”,ti lascia per un attimo interdetto.
Ecco un assaggio: “Callhoper si avvicinò al bancone del bar”.
«Il solito!».
«In che senso?».
«Il solito ispettore che viene a rompere le palle mentre stai al lavoro. Dimmi, bello… Cosa ci fa quella professoressa qua fuori?».
«La professoressa qua fuori? Insegna al neon».
È l’amico sornione del Liceo, quello che faceva spanciare le ragazze dalle risate, il congiunto che ai funeral, con un piccolo tocco di classe, coinvolge in risate tutto il corteo funebre. È il “conte Mascetti” di Amici miei.
E ancora:
«Ma toglietemi una curiosità, –chiese Concetta- perché nei vostri film il risultato di qualsiasi partita si decide sempre all’ultimo secondo? E perché, nei film di boxe, quello che alla fine vince, nelle prime riprese acchiappa solo mazzate? Perché gli Americani quando ricevono una pallottola nella spalla, dicono “non è niente”? Perché a Bruce Willis non danno di ricambio una canottiera pulita? Perché disinnescano sempre le bombe all’ultimo secondo, quando hanno tutta la giornata davanti?» Perché, quando vanno a fare una causa, il giudice sta già là pronto che sta aspettando loro?».
Maurizio De Angelis è un immarcescibile figlio dei grandi umoristi attutisti del ‘900. Marcello Marchesi, i Gino Bramieri, i Beppe Viola. «Lei è mai stato innamorato?». «No, ho sempre fatto il benzinaio». Quelli che con una frase ti facevano sghignazzare più che con un racconto intero. In quarta di copertina è scritto: “Il libro più divertente che abbiate mai letto, e che abbiate mai divano” e “Sono uno scrittore ermetico, nel senso che andrei rinchiuso”.
Dopo aver vinto per due volte il Premio Troisi, nel 2006 e nel 2008, (la seconda giuria è ancora ricoverata al reparto maxillo-facciale dell’ospedale Cardarelli con le mascelle ingessate), ed aver scritto testi di vari spettacoli e produzioni radiotelevisive, l’autore ha deciso di arrampicarsi in un romanzo comico di 151 pagine. Mica facile: pochi umoristi riescono a superare la soglia centopagine. È bene che escano libri del genere; dice un saggio dello Sri Lanka: “Sorridi, il sorriso ti sciacqua il sangue”
Per oggi mi fermo qui (il resto a domani)…
Però la domanda posta a Maurizio la ripropongo qui per tutti:
Il “grande umorismo” deve giocare di più sulla onomatopea o sui doppi sensi?
O su cosa altro… ?
Una serena notte e una buona domenica a tutti.
arrivo tardissimo a questo post dopo commenti (quasi) per un anno, che non posso leggere tutti e in cui vedo comparire nomi per me carissimi (ciao evento, ciao francisco!)
per me la letteratura carnevalesca – bachtin è il mio pane – è pari alla letteratura impegnata, seria, drammatica. la letteratura umoristica, nel senso immediato del termine e nel senso più complesso, quello pirandelliano, che non a caso costituisce una cerniera tra due modalità letterarie apparentemente inconciliabili, è formativa, educativa, a partire dai banchi di scuola. aggredisce l’oggetto, deformandolo, e intanto diverte. i ragazzi se ne accorgono subito che dietro la risata c’è una verità limpidissima, anche due o tre verità. si accorgono che si ride per sconfiggere la paura della morte, la più nobile e significativa e costruttiva condizione che gli uomini hanno in dono assieme alla vita.
si apprende una varietà di lessico molto più ampio, si impara a piegarlo in tutte le direzioni, si colgono legami che vanno al di là della logica sintattica. suoni appena appena mutati che fanno fare ruzzoloni a versi immortali: carica quanto mai eversiva! parole che si rincorrono per somiglianze fino ad allontanarsene come nel gioco del telefono senza fili e così mettono in comunicazione mondi lontani. volete mettere il lessico centellinato dello stilnovo e della parallela poesia comica del duecento? quattro vocaboli in croce, tre immagini, sempre quelle (donna, sguardo, saluto): di là, invece, nomi di cibi, bevande, abiti, animali, giochi, scaramucce amorose, corna, sesso, puzze, deformità: il mondo, praticamente.
non saprei lungo tutta la storia letteraria mondiale cosa mi fa più ridere e pensare. in questi giorni, per una strana congiuntura astrale, sono tornata su manganelli, pizzuto, celati, vassalli, ceresa, ceronetti, flaiano, campanile, gadda, malerba, meneghello, calvino. tutti questi sono serissimi: ma raggiungono la serietà attraverso un uso prevalente o rapsodico del comico.
senza il gioco di parole e l’aprosdoketon non vi è comicità: a guardar bene i libri sunnominati contengono già nel titolo queste figure, tutte fondate sull’accezione piena vs. vuota di un vocabolo.
l’antologia di prossima uscita “se mi lasci non male” ha un titolo che mi fa ben sperare, perché ricorda una canzone-tormentone veramente orrenda e la trasforma nella battuta che specie i mariti nient’affatto intenzionati a farsi lasciare dicono o potrebbero dire. dettala, tutto resta a posto, senza dolore, senza traumi. il riso è dunque una valvola di sfogo: non solo la cioccolata.
A domanda rispondo: la domanda è una tigre da essere domata?
Ehm… Siamo seri, va’. Personalmente ritengo il doppio senso il sovrano dell’umorismo. Un elemento che ti spinge sul binario in una direzione, ed un altro subito dopo che ti devia lungo un’altra linea, divergente e talvolta addirittura opposta. “Il cruscotto era troppo piccolo, non c’entrava niente. Era inutile. Era un vano portaoggetti”. (Questa è una autocitazione, ma non perché riguardi un’auto).
Dunque, viva il doppio senso! Personalmente, però, mi gusta molto anche l’onomatopea, che è il gioco tout-court, che è il guizzo improvviso. Un esempio? I Maestri Imperatore-Bellini, nel fondare di recente il G.U.L.P., Gruppo Umoristi Ludici Postmoderni, hanno istituito organi importanti, come il “MeaGulp” ed il “FanGulp”: il termine Gulp, quindi, spostato due volte verso due diverse accezioni. Ed il risultato è doppiamente esilarante. Ovviamente, un libro fatto solo di doppi sensi o fatto solo di onomatopea risulta, dopo poche pagine, illeggibile, quasi irritante per il lettore. Nei miei due libri ho utilizzato entrambe le forme, aggiungendoci il terzo elemento della comicità di situazioni paradossali. Il tutto, unito da un storia che si dipani sì irriverente e scanzonata, ma con un minimo di credibilità come asse portante.
Nei miei due
“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov): questa è la citazione che preferisco.
tra tutte le battute di flaiano, scelgo questa, crudelissima:
“Come tutte le mattine si alzò, si guardò allo specchio e si vide bruttissima: ci mise un’ora a farsi brutta”.
piuttosto che niente, meglio piuttosto!
😀
Un saluto MDA, mi sono sbellicato dalle risa con “Il padrino” e sono impaziente di leggermi “Achei”. La tua letteratura, più che ironica è – a mio avviso – surreale (;-p ed anche parecchio “schizzata”).
A volte è talmente divertente e densa di battute da risultare “pesante” a leggersi, per paradosso.
Ti abbraccio, ti voglio bene
Pippo
Dibattito intelligente e divertente. Faccio i migliori auguri a De Angelis per i suoi libri.
Dimenticavo. La mia citazione preferita è questa: “L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
A proposito di onomatopea, il sito degli umoristi del Gulp si chiama… Paragulp.it! Nomen omen?
Ciao,
la citazione che più condivido è “È dall’ironia / che comincia la libertà”. Penso che l’ironia sia vedere le cose da un altro punto di vista, legare i fatti in una maniera inconsueta e poi accorgersi che il nuovo ordine delle cose è più coerente di quello originale.
Non credo che il doppio senso abbia più o meno dignità del gioco di parole o della satira. Non condivido le critiche a chi fa giochi di parole, l’ironia non deve trasmettere un messaggio, se non quello di provar sempre a capovolgere gli schemi con cui interpretiamo la realtà.
Quante volte abbiamo usato il termne “vano portaoggetti” poi un giorno arriva Maurizio De Angelis e con una frase geniale ne stravolge il significato al punto da farci quasi credere il senso vero è quello che lui ci ha svelato.
Questa per me è l’ironia.
assimo, innanzitutto approvo la tua idea di trasformare questo post in un post permanente. La citazione con cui “solidarizzo” meglio, infatti è quella di S. Guitry: “Temere l’ironia, è temere la ragione”.
L’ironia estrapola la realtà, ribalta il punto di vista, e te la catapulta addosso mostrandotela in tutta la sua nitidezza in modo irriverente, divertendoti. (O, almeno, divertendo chi non ne è colpito.)
Non a caso il Gabibbo e gli inviati di “STRISCIA LA NOTIZIA” sono più temuti delle istituzioni stesse. Perché l’ironia palesa subito la realtà.
E anch’io, quando collaboravo con l’Agenzia giornalistica Hpress, ne facevo un uso smodato!
–
Per quanto riguarda il mio rapporto con la letteratura dell’ironia “altrui”, ho già scritto un intervento il 25 Marzo 2009 (poco più in su), che mi farebbe piacere che leggesse.
Comunque, come scrittore, mi viene proprio spontaneo condire i miei racconti sempre con un po’ di umorismo e di ironia. Indipendentemente dal loro tasso di spensieratezza o di drammaticità.
E poi quando scrivo “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR”, una serie di thriller umoristici che ha come protagonista il primo eroe disabile seriale italiano, allora mi scateno, cercando di non perdere neanche un’occasione per mettere in risalto una battuta o una situazione umoristica.
–
Il tipo di comicità che mi piace di più, dal punto di vista letterario, è quello caratterizzato dai calembour, dai giochi di parole. In questo senso, infatti, i monologhi teatrali di Alessandro Bergonzoni e i romanzi noir di Andrea G. Pinketts mi piacciono molto!
–
La comicità “per eccellenza”, però, per me è caratterizzata dai film con Bud Spencer & Terence Hill. “…ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO!” di Marcello Fondato probabilmente non sarà ricordato come un capolavoro assoluto del cinema italiano, ma l’uso sopraffino che fa degli stereotipi del cinema western e di gangster – sviluppati in modo parodistico ma non demenziale -, della musica, e dei tempi, lo renderebbe degno di essere accuratamente studiato in una lezione di sceneggiatura e di scrittura creativa umoristica.
Forse qualcuno rimarrà un po’ scioccato da questa mia ultima affermazione; ma, che diamine!, sono pur sempre un autore di thriller! 😉
Caro Massimo, innanzitutto approvo la tua idea di trasformare questo post in un post permanente. La citazione con cui “solidarizzo” meglio, infatti è quella di S. Guitry: “Temere l’ironia, è temere la ragione”.
L’ironia estrapola la realtà, ribalta il punto di vista, e te la catapulta addosso mostrandotela in tutta la sua nitidezza in modo irriverente, divertendoti. (O, almeno, divertendo chi non ne è colpito.)
Non a caso il Gabibbo e gli inviati di “STRISCIA LA NOTIZIA” sono più temuti delle istituzioni stesse. Perché l’ironia palesa subito la realtà.
E anch’io, quando collaboravo con l’Agenzia giornalistica Hpress, ne facevo un uso smodato!
–
Per quanto riguarda il mio rapporto con la letteratura dell’ironia “altrui”, ho già scritto un intervento il 25 Marzo 2009 (poco più in su), che mi farebbe piacere che leggesse.
Comunque, come scrittore, mi viene proprio spontaneo condire i miei racconti sempre con un po’ di umorismo e di ironia. Indipendentemente dal loro tasso di spensieratezza o di drammaticità.
E poi quando scrivo “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR”, una serie di thriller umoristici che ha come protagonista il primo eroe disabile seriale italiano, allora mi scateno, cercando di non perdere neanche un’occasione per mettere in risalto una battuta o una situazione umoristica.
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Il tipo di comicità che mi piace di più, dal punto di vista letterario, è quello caratterizzato dai calembour, dai giochi di parole. In questo senso, infatti, i monologhi teatrali di Alessandro Bergonzoni e i romanzi noir di Andrea G. Pinketts mi piacciono molto!
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La comicità “per eccellenza”, però, per me è caratterizzata dai film con Bud Spencer & Terence Hill. “…ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO!” di Marcello Fondato probabilmente non sarà ricordato come un capolavoro assoluto del cinema italiano, ma l’uso sopraffino che fa degli stereotipi del cinema western e di gangster – sviluppati in modo parodistico ma non demenziale -, della musica, e dei tempi, lo renderebbe degno di essere accuratamente studiato in una lezione di sceneggiatura e di scrittura creativa umoristica.
Forse qualcuno rimarrà un po’ scioccato da questa mia ultima affermazione; ma, che diamine!, sono pur sempre un autore di thriller! 😉
Scrivere un libro all’insegna dell’ironia e al contempo fare in modo che questo sia anche un’opera letteraria, è un risultato difficilissimo da raggiungere. Il rischio di scadere nella barzelletta è sempre presente. I comici televisivi che trasferiscono le loro battute nei libri sono tanti, vendono molto, divertono anche, ma non saranno mai considerati veri scrittori. Riuscire a costruire una storia con una impalcatura credibile, puntellata da battute efficaci che la rendono gustosa e leggera senza tuttavia privarla di mordente, è una prerogativa che appartiene solo ai grandi. Uno dei più grandi del genere, che amo in assoluto, è Achille Campanile. Scriveva storie di vita quotidiana, inghippi, intrallazzi, sgambetti procurati dalla vita con una naturalezza straordinaria riuscendo a cogliere il lato paradossale di ogni situazione. A mio parere non era dotato di una fantasia straripante che lo facesse andare oltre (come Calvino o Buzzati per esempio) ma le sue battute erano fulminanti, i personaggi che descriveva ridicoli eppure naturali, diventavano geniali sotto le pennellate della sua penna beffarda e irriverente. Un altro grandissimo, dotato di ironia acuta, al fulmicotone, è stato Beppe Viola, editorialista della Gazzetta dello Sport.
@Sergio Rilletti. Un altro clik e sarebbe diventato Sergio Trilletti
Ricordo una battuta che mi piaceva, riferita a un calciatore il quale non aveva molta voglia di correre e sudare nei campi di calcio, però non sono sicuro di poterla attribuire a Beppe Viola. La cito ugualmente: “Era così pigro, ma così pigro, che aveva preferito sposare una donna già incinta”.
Achile Campanile, citato da Salvo Zappulla che saluto e ringrazio, faceva molta satira sul perbenismo, su di un certo modo di comportarsi. Ricordo l’irresistibile pezzo in cui alcune persone dovevano spedire un telegramma al congiunto di un defunto per farlo venire in città, e cercavano le parole giuste. Ecco, trovo che l’elemento satirico, in un romanzo umoristico, ci stia più che bene, può essere il condimento di tutto. Nel mio “Padrino”, ad esempio, si prendono in giro i supereroi dei film americani che riescono tutti a sfondare le porte, e che dicono “non è niente” quando beccano una pallottola nella spalla, come si prende in giro il candidato nero, visto come il salvatore del mondo, o il vecchietto John Mc Caine, che incredibilmente ha la stessa età del nostro Silvio B. (Come è possibile? La spiegazione c’è: Mc Caine si tinge i capelli di bianco).
Un’altra battuta che mi piace ricordare è di Woody Allen: “Ho smesso di fumare, vivrò una settimana di più e quella settimana pioverà a dirotto”.
E’ illuminante, portatrice di una filosofia esistenziale: Conviene vivere a lungo, rinunciando ai piaceri della vita? O piuttosto goderserla giorno per giorno, senza fare progetti a lunga scadenza?
Caro Maurizio, come ho già avuto modo di dirti, il tuo libro l’ho letto con molto gusto. Mi piace la gente che ha capacità di dissacrazione, di ridere sugli altri e anche su se stessa. Siano benedette le persone che non si prendono troppo sul serio, che non antepongono titoli e onorificienze prima del loro nome. Tanto è vero che ti abbiamo dato una pagina intera su “La voce dell’Isola”, con l’articolo firmato da Didò. Col rischio di chiudere il giornale per indegnità professionale. Sappiamo tutti che il nostro caro Frank è portatore di virus contagiosi, eppure abbiamo preferito correre il rischio.
Sul post ho scritto: “credo che il buon umore letterario sarà assicurato”.
Be’… credo di non essermi sbagliato.
Ringrazio tutti per i nuovi commenti: Lucy, “Pippo” Della Monica, Emanuele, Sergio Rilletti, Slavo Zappulla, Salvatore.
E, ovviamente, Maurizio De Angelis…
Molte delle cose che avete scritto qui sopra mi hanno fatto proprio divertire. Grazie davvero 🙂
@ Sergio Rilletti
Caro Sergio, sì… l’idea è proprio quella di creare una sorta di spazio permanente dedicata alla “letteratura dell’ironia” (che magari non sempre trova lo spazio che si meriterebbe). E, come specificato, non mi riferisco ai libri di barzellette (che pure hanno la loro ragion d’essere)…
–
P.s. Sergio… potreti pensare a una versione “spassosa” di Mister Noir 😉
Di seguito, un’altra recensione a “Il Padrino” di De Angelis…
RECENSIONE DAL GIORNALE “IL ROMA” di Lina Maiello.
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Jack Callhoper è afflitto dai calli, e si muove a fatica sulla scena del crimine a causa dei piedi doloranti. Siamo a New York, è notte fonda, e l’ispettore dell’FBI Interviene per un caso di omicidio: un uomo trovato morto per strada, massacrato da una gragnuola di colpi esplosi da una 44 Magnum. «44 Magnum? Ucciso con colpi di bottiglione di champagne in testa? Che fine orribile!» Si tratta di John Miledream, al secolo Gianni Sognamiglio, un napoletano trapiantato a New York con problemi al rene., la cui morte è stata decretata a Napoli dal noss Giovanni Napoleone, detto ‘o pazzo.
Sono questi i primi passi della trama del libro di Maurizio De Angelis “il Padrino parte prima così non trova traffico”, edito dalla Edizioni Cento Autori (Collana Humour Lab, Pp 160, 12 euro). Una esilarante spy- story (“a due incognite, due y”), ricca di colpi di scena e di gag in cui sono coinvolti i due protagonisti: l’ispettore Callhoper e la spogliarellista napoletana Concetta Palumbo, in arte Ketty Bird, che lavora in uno squallido locale notturno di New York; un lavoro che lascerà per convolare a nozze con il detective innamoratosi di lei lungo le strade di Napoli.
Un mènage, il loro, certamente non tranquillo né noioso. I due vengono ingaggiati dallaCia per proteggere, come scorta di scorta, il candidato nero alla presidenza degli Stati Uniti, durante il suo tour elettorale. Con la strampalata attrezzatura fornita dal dottor Z, emulo del dottor Q di Bondiana memoria, entrano a far parte del programma top secret “Dilettanti allo sbaraglio”. E da dilettanti metteranno essi stessi in pericolo la vita del candidato, proprio a Dallas, mentre l’uomo del Destino comincia il suo discorso: “Ho fatto un sonno: ieri sera due pasticche di tranquillanti e non ho avuto problemi. Mi ha svegliato il camion della spazzatura verso le cinque. Io ho fatto le Primarie, ma anche le medie e le superiori!”…
Un libro da leggere, con la formula “Soddisfatti o rimbambiti”, come ci assicura l’autore.
E ora… un paio di estratti…
Prima Maurizio accennava allo “strapotere” dei personaggi dei film americani.
Ecco qualche domanda…
Chi lo sa? Magari qualcuno ha le risposte…
Caro Massi, il dizionario di poetica e retorica afferma che “L’ironia è l’espressione di una persona che, animata dal senso dell’ordine e della giustizia, si irrita dell’inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d’errore o d’impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto” …
Credo che questa definizione dell’ironia sia profondamente vera. Il sorriso è soprattutto un atto liberatorio, un prodigioso antidoto dell’ingiustizia. Sovverte il contrario, riassesta le gerarchie di valori, destabilizza i poteri costituiti.
Non a caso, non è mai solo risata. Ma riflessione, amarezza e disincanto.
Cioè uno degli impasti letterari e umani più completi e difficili da realizzare.
Bravissimo De Angelis!
E per tutti una buona notte col sorriso cliccando qui:
http://www.youtube.com/watch?v=rd0pF6jGw6U
I PERCHÉ SENZA RISPOSTA DEI FILM AMERICANI.
Da “IL PADRINO PARTE PRIMA COSI’ NON TROVA TRAFFICO”
(parte I)
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Perché nei garage sotterranei americani non si riesce a parcheggiare senza essere sparati addosso?
Perché non si riesce mai a farsi una doccia senza essere aggrediti?
Perché non si può entrare in una cabina telefonica senza essere mitragliati?
Perché, appena c’è un banale scippo, devono svegliare il Presidente?
Perché, quando cercano qualcuno, non guardano nei condotti dell’aria condizionata, visto che sta sempre nascosto lì?
Perché gli Americani stando ore sotto la pioggia non prendono mai il raffreddore?
Perché ogni volta che maneggiano dei cocci di vetro si tagliano a sangue?
Perché il figlio dell’imprenditore milionario pensa sempre che il padre è uno stronzo e vuole fare un altro mestiere?
Perché quando vanno ad ammazzare qualcuno a casa sua, non lo aspettano direttamente sotto la scala antincendi, visto che scende sempre da lì?
Perché trovano sempre da parcheggiare proprio davanti al tribunale, davanti all’ospedale, o davanti alla centrale di polizia?
Perché i poliziotti hanno la pistola nella fondina, se devono stare otto ore in ufficio?
Perché i verbali della stradale li prendono sempre con l’inseguimento, e mai ad un posto di blocco dietro una curva, come da noi?
Perché, quando inseguono qualcuno a piedi, questo infila sempre il vicolo che finisce con una rete di ferro?
Perché tutti gli Americani sono capaci di sfondare le porte con una spallata?
Perché quando beccano una pallottola nella spalla e cominciano a sanguinare, dicono “Non è niente”?
Perché di notte i vigilantes dei grattacieli non si accorgono mai di quello che succede?
I PERCHÉ SENZA RISPOSTA DEI FILM AMERICANI.
Da “IL PADRINO PARTE PRIMA COSI’ NON TROVA TRAFFICO”
(parte II)
–
Perché ogni volta che staccano un assegno, non scrivono mai un cazzo sulla matrice?
Perché quelli che tornano dalla seconda guerra mondiale stanno freschi e tosti, e quelli che tornano dal Vietnam stanno tutti frastornati?
Perché, nei film di guerra, i Tedeschi sono sempre dieci volte più numerosi?
Perché gli Indiani dicono “Cavallo di ferro”, quand’è così facile dire “Treno”?
Perché dicono che “Devono passare molte lune” e non si comprano mai una cazzo di agenda?
Perché, quando i cowboy giocano a poker, prima che chiamino i giri buttano il tavolo per aria e si sparano addosso?
Perché ogni lampada a olio cade a terra e prende fuoco?
Perché illustri penalisti sono così buoni da aiutare gli sfigati che non possono pagare?
Perché in quelle campagne dove si aggirano gli assassini e i criminali più spietati, le villette hanno quelle porte di cartavelina?
Perché agli Americani il computer si accende in un battibaleno?
Perché qualsiasi tredicenne occhialuto riesce ad entrare nel computer della C.I.A.?
Perché quando un Americano incarta un poker, c’è sempre un altro Americano che fa scala reale?
Perché, quando rubano un tir, questo parte subito, senza attendere i tre minuti che occorrono?
Perché in tutti i furgoni ci stanno acquattati degli spioni con microfoni e telecamere?
Perché quando vanno all’appuntamento coi Colombiani per scambiare la valigetta di dollari col quintale di droga, finisce sempre che si sparano addosso?
Perché saltano fuori dai posti proprio quando per un’esplosione salta tutto per aria?
Perché ogni macchina che va a sbattere prende fuoco?
Perché a Bruce Willis non danno di ricambio una canottiera pulita?
Perché, quando vanno a fare una causa, il giudice sta sempre già là seduto, pronto che li sta aspettando?
Perché disinnescano sempre le bombe all’ultimo secondo, quando tengono tutta la giornata davanti?
Perché qualsiasi tredicenne riesce ad entrare nel computer della C.I.A.?
Perché non c’è mai un barman che si fa i fatti suoi?
Perché quando il detective entra nel solito localino dove si fa lo strip, non guarda mai la donna che c’è sul palco?
Perché in California le donne sono tutte bellissime?
Perché il trionfatore dell’incontro di boxe, nella prima ripresa acchiappa solo mazzate?
Perché qualsiasi incontro di football o di basket si decide sempre all’ultimissimo secondo?
Perché alle partite di baseball non piove mai?
E perché il ragazzino ha la finalissima del torneo scolastico, sempre, immancabilmente, il giorno in cui il padre ha l’appuntamento per l’affare del secolo?
Appunto… perché? 😉
@ Simona
Carissima Simo, grazie di cuore per la definizione (condivisibilissima) di ironia. Aggiungo (inutile a dirsi) che viviamo tempi in cui c’è davvero tanto bisogno di ironia.
E grazie anche per il video di Troisi. 🙂
Una serena notte a tutti.
@Salvo Zappulla:
NO!… PER CARITA’!… TRILLETTI NO!…
Già è un problema, al telefono, far capire che non mi chiamo Grilletti: manco fossi un discendente del Grillo parlante! 😀
Davvero importante dare spazio alla letteratura che pensa anche al buon umore.
– Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
“Temo di sì. La sensazione è che sia considerata una letteratura minore”
– A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
“Ho sempre amato molto Guareschi”
– Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo di Asmodeo), vi sentite più d’accordo?
““È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)”
ho visto che maurizio de angelis apprezza “e fuori nevica”. mi accodo. la mi’ figliola, che ora sta cercando di lavorare nel teatro, ne imparò a nove anni a memoria intere battute, con l’accento giusto (e noaltri semo de venessia). “voglio il purèeeeeeeeeeeeee!” padre e figlia urlano da anni, non: “ci fai il purè?”. e io, anche se è una palla farlo, non posso che accontentarli.
““È dall’ironia che comincia la libertà” (V. Hugo)”…………
……………………………….
Son carina e piccolina
son per tutti voi l’apina,
fresca e tosta son tornata
e mi sono innamorata
della grande simpatia
del Maurizio e l’ironia
che ripone saggiamente
in un modo sorprendente
nelle storie degli Achei
e di altri cicisbei.
Quant’è bella l’allegrezza
che ci fugge tuttavia………….. (libera citazione…….)
e nasconde la tristezza
con la grande maestria
di chi sa pur raccontare
le vicende del passato
senza mai dimenticare
miglior dono che ci è dato:
al cattivo fai buon viso
pur se male avrà giocato
tu lo vinci col sorriso,
e del mal non prendi il vizio,
come il bravo Maurizio!!
zzzzzzz………..complimenti,mi sto sbellicando il pungiglione!!!
Cantami o Diva,
(ma quale diva, o soubrette, ha saputo mai cantare?)
Che meraviglia! Un omaggio in versi non l’avevo mai ricevuto!
Ma tu, ape maia, chi sei?
un treruote precolombiano o una soave poetessa?
L’ape è a strisce gialle e nere
il mister non può svelare,
pur amando buon maniere
non disdegna di scherzare,
sa apprezzare l’ironia
che tu usi saggiamente,
si colora d’allegria,
ti saluta caldamente!
Quando meno te l’aspetti,
e ti sentirai un po’ solo,
dai sul blog dei colpetti,
e comparirà in volo!!!
😉
zzzzzzzzzzzzzzzzz
@Massimo Maugeri e tutti:
Il racconto più spassoso con protagonista Mister Noir è, senza dubbio, “MORS RIDENS” –
http://www.zaffoni.it/PDF/riletti_mors.pdf -, dove c’è una sfrenata lotta contro il tempo per salvare un uomo, avvelenato, che rischia di morir dal ridere!… E so che alcune persone hanno addirittura adottato questo racconto, che originariamente è stato pubblicato su M-RIVISTA DEL MISTERO “ZOMBI PARTY” (Alacran Edizioni), come antidepressivo.
Se poi siete curiosi di conoscere meglio questo personaggio e la serie che lo riguarda, come spero, vi “consiglio” di leggere “MISTER NOIR E IL MISTERO DEL SUO SUCCESSO” – http://www.thrillermagazine.it/rubriche/8901 -, il corposo articolo che ho scritto a novembre per la rubrica “GIALLO COMICO” della rivista telematica “THRILLER MAGAZINE”, per festeggiare i primi cinque anni della nascita di Mister Noir, il primo eroe disabile seriale italiano.
–
Bene, per ora è tutto!
Non mi resta che augurarvi Buona Lettura… spero! 🙂
@Sergio Rilletti,
finalmente qualcuno che ha sdoganato “Spencer & Hill!
-“Andate con Dio”
-“No, preferiamo andare da soli”
è
– “Sia lodato Gesù Cristo…”
– “Perché?”
Sono battute che hanno fatto storia.
Buon proseguimento a tutti, mi sto scaldando il cuore, e buona vita al grande De Angelis
Saluti e prostrazioni al gran Di Domenico.
Preciso di non essere parente di Guido e Maurizio De Angelis, autori delle belle musichette per Spencer-Hill e per Sandokhan.
Da piccolo mi chiedevano se fossi parente di Wilma De Angelis, poi di questi due musicisti, poscia del pilota di formula uno, infine dello skipper dalla Coppa America. Basta: non ho parenti De Angelis!
Concorsi di bellezza: Miss Universo, vince di nuovo una terrestre.
(…)
Roma, condannato farmacista stronzo. Rispondeva “Domani!” a chi gli chiedeva la pillola del giorno dopo.
(…)
Berlusconi al G8, i giapponesi gli costruiscono una scuola Diaz piena di studenti massacrati per farlo sentire come a casa.
(…)
Europei di calcio. La Romania pareggia, poi torna nel Cpt.
(…)
Tossicodipendenti accusati di fare ciclismo.
(…)
Vacanze, il ministro Brunetta va a Disneyland, non lo fanno uscire.
(…)
Morta la sorella di Berlusconi. Sandro Bondi uccide la propria.
(…)
PD in coma, autorizzato lo stop all’alimentazione forzata.
(…)
Porto Rotondo, Berlusconi nega la scappatella con Veronica Lario.
(…)
Professore di liceo freddato da un killer della ‘ndrangheta con una raffica di pentametri giambici.
(…)
Funari manda a cagare san Pietro.
(…)
Un asteroide colpirà la Terra nel 2036, probabili disturbi alle trasmissioni tv e fine del mondo.
(…)
[brani tratti da: Daniele Luttazzi, “La guerra civile fredda”, Feltrinelli, 2009]
Vorrei ricordare un autore che mi sembra non sia stato qui citato:
Gero Mannella.
Il suo libro “Non gettate cadaveri dal finestrino” (Coniglio Editore, 2006) raccoglie cinque racconti straordinari.
Consiglio la visione di questo video di Gero Mannella!
http://www.youtube.com/watch?v=FFKv-GmHg0w
E’ sempre più difficile al giorno d’oggi guardarsi negli occhi e dirsi ti amo. D’altra parte anche dirsi supercalifragilisticespiralidoso non è uno scherzo.
(Gero Mannella, pubblicato nel sito web “Dizionario Umoristico”)
@Didò:
Mi fa molto piacere trovare un altro accanito fan dei film con Bud Spencer & Terence Hill. La loro comicità andrebbe rivalutata e studiata.
–
–
“E’ il Signore che vi manda!”
“No, no, siamo passati di qui per caso!”
(Da “Lo chiamavano Trinità” di E. B. Clucher)
–
“Non c’è un cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo!”
(Da “Porgi l’altra guancia” di Franco Rossi)
Ragazzi… siete proprio forti! 🙂
Un ringraziamento ad Amelia, Lucy, Ape Maia, Didò, Sergio R., Maurizio, Gaetano…
Io so chi è l’ape maia…
lo so, ma non lo dico! 🙂
@ Gaetano
Gero Mannella, come chiunque altro letterato/umorista sarà il benvenuto in questo spazio…
Anzi, (e lo dico a beneficio di tutti)… sulla colonna di sinistra del blog trovate il logo di “letteratura dell’ironia”.
Basta cliccarci sopra e il post… si aprirà.
“Letteratura dell’ironia”, dunque, diventa un nuovo spazio sempre aperto…
Adesso parliamo un po’di… “Achei, il prezzo è giusto!”
A proposito… già il titolo coincide con una battuta… che non tutti sono in grado di comprendere, giacché non tutti possiedono la “cultura” per comprenderla…
Voglio dire: non tutti conoscono il significato della parola “prezzo”.
Giusto?
Achei!
🙂
Recensione di “Achei, il prezzo è giusto!”(L’Odissea. Ricordavo tutto? Omero scordato?) – di Maurizio De Angelis – Ediz. Boopen – novembre 2009.
–
Il vulcanico vincitore del Premio Troisi 2006 e 2008 mette in scena una folle ed originale parodia del mito greco.
Vi scopriamo un Ulisse realista, che dopo aver tanto viaggiato ed esser tornato alla sua isola, messo sull’avviso da Penelope, rinuncia ad affrontare i giovani e palestrati Proci, per proseguire la sua pazza odissea. E sulle coste laziali incontrerà Enea e famiglia, scampati all’incendio di Troia.
Enea racconterà di esser rimasto due giorni col padre sulla schiena, sullo scoglio, in attesa dell’imbarco, prendendo la scogliosi. Lì inizierà un’avventura via terra, alla conquista del regno dei Rotoli, guidato dal magnate della carta igienica, un imprenditore prestato alla politica. Ed in terra italica, ovviamente, non mancheranno i problemi ed i riferimenti ad un futuro ventunesimo secolo.
Su tutte queste scalcagnate e rocambolesche vicende vigila il Monte Olimpo con la sua corte parimenti improbabile. Il grande Zeus (“figlio di Crono, nato con una sveltina”), riunisce le divinità nel Family-Dèi, richiamando la sua ex-moglie: Era. E troviamo poi un Mercurio affaticato postino precario, un Eolo sbuffante, un Apollo che più bello non si può, fino ad un Pegaso che gareggia in ottava corsia “perché è un cavallo a lato”.
In una Grecia di una natura meravigliosa da togliere il fiato, con l’aria sempre spazzata dal vento di mare, i protagonisti si muovono a loro agio, trattando con gli Dèi da pari a pari. In fin dei conti, anche se vestito da mendicante o da profugo, chi è re, rimane sempre re!
E ora un assaggio di “Achei, il prezzo è giusto!”
brano tratto da… “ACHEI, IL PREZZO E’ GIUSTO!”
(L’Odissea. Ricordavo tutto?
Omero scordato?) di Maurizio De Angelis ediz. Boopen
–
Penelope, quando vide Ulisse, trasalì.
P «Ulisse! Ma dov’eri? Ho chiamato la Polizia!».
U «Lo so: ho sentito le sirene.».
P «Eri svanito nel nulla».
U «Eppure, avevo lasciato la Tracia.».
P «Hai naufragato! Chi ti ha soccorso?».
U «I Feaci: il soccorso Fe-Aci. Sono socio».
P «E questo vestito da naufrago ti sta pure stretto… ».
U «Le solite le misure romane hanno fregato anche me!
Sono le misure Romane: Sta scritto XL, e invece vuol dire quaranta!».
P «E t’hanno aiutato gli Dèi?».
U «Oh! Ho rinnegato Eolo! Eolo era il dio dei venti. Adesso gliene restano diciannove».
P «E chi ti ha aiutato?».
U «Il dio delle previsioni del tempo: Prometeo».
P «Ma… Dove hai mai abitato?»
U «Oh! ho risposto a un annuncio sul giornale, ma mi hanno ingannato:
Stava scritto “Attica, centralissimo”, ed era pian terreno».
P «E cosa faceva in guerra Ulisse l’Astuto?».
U «Avevamo una grossa torcia al centro dell’accampamento. Al Mattino, avevo il compito di spegnerla. Mi chiamavano Ulisse La Stuto».
U «La verita’, è che viviamo brutti tempi!».
P «Ma caro, è l’età di Pericle!»
U «Io l’eta’ di Pericle non l’ho mai capita, perché quello, secondo me, si pitta i capelli».
U «Uhm… Darai una festa stasera?».
P «Sì, ci sarà della musica! Ho chiamato Edipo e il suo Complesso!
Ti… Ti piace la sala del regno?».
U «Bellissima».
P «E i troni?».
U «Non ci sono paragoni!».
E ora… una biografia scherzosa di Maurizio De Angelis.
Biografia scherzosa di Maurizio De Angelis:
–
Nato a Napoli. Sì, la Nato sta a Napoli, a Bagnoli, in fondo al vialone. Maurizio a scuola andava molto bene, lo accompagnavano in macchina. Al liceo frequentò dapprima il Tito Lucrezio Caro, poi il Tito Lucrezio Low Cost. Quando marinava la scuola, restava per ore a guardare quei mattoni pieni d’olio. All’università fece più economia di studi che studi di economia.
Fu scartato alle prime esperienze lavorative nel ramo vendita, perché pensava che l’Area Nielsen fosse un posto dove si lavano i piatti. All’alba del terzo millennio, si girò dall’altra parte e dormì altre due ore.
Datosi alla scrittura umoristica, sembrava rinato. Ma renato era più alto. Pubblicò qualcosa in antologie. In ambito letterario, la sua citazione preferita restò quella che fece all’assicurazione.
Dopo qualche anno, tornò nelle librerie per chiedere se servisse un aiutante.
Il 2009, l’anno della svolta: gli misero un senso unico sotto casa.
Fallendo anche come scrittore, aspira a poter fare uno di quei lavori che vengono rifiutati dagli extracomunitari. Non scende mai a compromessi, scende a “Museo” e si fa un pezzo a piedi.
Ormai, giunto in età matura, quando si guarda indietro parcheggia meglio.
Sostiene che bisognerebbe vivere ogni giorno della vita come se fosse l’ultimo, ma senza chiamare il prete.
@Massimo Maugeri:
Caro Massimo, tu hai detto:
“Ragazzi… siete troppo fortii!”.
E io rispondo:
“Più forte, ragazzi!”.
(Dal titolo dell’omonimo film di Giuseppe Colizzi, con Bud Spencer & Terence Hill) 😀
Mi son appena accorto di una recensione su “IL MATTINO” del 05/02 pag.48, non male.
http://www.sfoglia.ilmattino.it/mattino/sfoglia.php?pbk=1&Date=20100205&Edition=NAZIONALE&Section=NAZIONALE&Number=48&vis=G
(prima di morire imparerò a mettere il link come si deve).
Grazie, Sergio… 😉
Maurizio, non vorrei deluderti… ma il link del Mattino è Notte fonda (nel senso che non mi pare che funzioni).
Ho a lungo riflettuto, prima di decidere di intervenire in questa conversazione (al solito splendida, caro Massimo): uno fa tanto per costruirsi un’immagine di serietà ed equilibrio, da scrittore vero e serio, e poi la distrugge in un attimo dichiarando di essere non solo conoscente, ma addirittura amico di gente come Pino Impreatore, Maurizio De Angelis e perfino (udite, udite!) di Didò.
Tuttavia le colpe vanno ammesse, affinché un domani non si dica che uno ha tenuto nascosto il marcio che aveva nella propria vita; non solo frequento questa gente, ma mi fa anche divertire un mondo. Anzi, si potrebbe dire che il sottoscritto si diverte SOLO quando è in compagnia di questi individui. Perché, vedete: ci sono due tipi di umorista, e solo due. Uno diventa umorista quando scrive o recita, e per il resto è una persona normale, perfino triste e malinconica, a volte.
L’altro, invece, è umorista nell’anima. Mangia da umorista, dorme da umorista, pensa (quando e se pensa) da umorista: vive da umorista. Tutto quello che succede, in modo casuale o pianificata che sia, è fonte di battute, freddure, ironie e sarcasmi; non necessariamente comprensibili ai più, ma chiarissime e travolgenti per i malati di mente che abbiano la stessa malattia.
A questa seconda specie appartengono i disgraziati che ho nominato; e siccome anch’io sono portatore della stessa malattia, ancorché privo del coraggio di manifestarla sempre e comunque, credetemi: vi perdete moltissimo, a non poterli incontrare la sera davanti a una pizza.
Anche perché, credetemi: è questione di tempo. La legge Basaglia non può durare in eterno.
A differenza del comico, che può degenerare nel pesante e nel volgare, l’ironia è tale quando è raffinatissima. Maestri dell’ironia restano gli inglesi. Maestra indiscussa, a mio parere, è Jane Austen. I suoi personaggi, cui riusciva a dar vita con brevi tratti di penna, sono rimasti e rimarranno. La fragile Jane, amica fedele della scrittura, visse per lei. Riuscì, nella sua breve esistenza, a dipingere un affresco vivacissimo dell’Inghilterra dei suoi anni e ritengo che tra i suoi romanzi “Orgoglio e pregiudizio” sia il suo capolavoro.
@ Maurizio de Giovanni
Grazie per essere intervenuto, caro Maurizio, con questo commento davvero divertente… :-))
Per chi non lo sapesse, Maurizio de Giovanni è il padre letterario del serioso e dolente commissario Ricciardi:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/13/maurizio-de-giovanni-filippo-tuena/
–
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/30/la-condanna-del-sangue-la-primavera-del-commissario-ricciardi-di-maurizio-de-giovanni/
–
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/09/16/il-posto-di-ognuno-di-maurizio-de-giovanni/
IL MATTINO” del 05/02 : Recensione del libro “Achei, il prezzo è giusto!”.
http://sfoglia.ilmattino.it/mattino/sfoglia.php?pbk=1&Date=20100205&Edition=NAZIONALE&Section=NAZIONALE&Number=48&vis=Gsfoglia.ilmattino.it
Salve a tutti!… Approfitto di questo spazio per cominciare a fare un po’ di pubblicità ad un’iniziativa che riguarda me e il mio Mister Noir… che ddurrerà un po’ di settimane.
E’ con vero piacere, infatti, che desidero annunciarvi che, grazie ad un’iniziativa di Giovanni Merlo ed Elisa Paganin, la Ledha – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha deciso di pubblicare, ogni week-end, sul suo NUOVO SITO divulgativo “PERSONE CON DISABILITA’”, tutta la serie de “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR”, compreso un racconto che ho scritto nel 2008 ma tuttora inedito.
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Primo appuntamento, con Chi è Mr Noir? – http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=1980 -, un breve articolo in cui spiego la “filosofia” che sta alla base di questa serie.
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–
Buona Lettura a tutti!
Ringrazio tutti gli intervenuti, dai sodali partenopei Di Domenico il Giullare, Imperatore il Saggio, Santamaria la Sanguinaria, a chi ha scritto la sua opinione da altre lande. E, ultimo ma non l’ultimo, ringrazio Maurizio De Giovanni del benevolo intervento, comprensivo (in tutti i sensi) della malattia mentale di cui non umoristi siamo portatori insani. Del resto, sulla copertina del mio “Il Padrino parte prima così non trova traffico”, in un raro momento di lucidità avevo confessato: “Sono uno scrittore ermetico, nel senso che andrei rinchiuso”.
A proposito di letteratura dell’ironia, desidero ricordare “HEY, MEN!”, il bel romanzo di Isabella Rinaldi, edito dalla Tea, che narra le vicende di una mamma “single” alle prese ogni giorno con vita familiare, amori, lavoro, sesso, crisi esistenziali, e passioni politiche e “virtuali”.
Un romanzo fortemente ironico, spietatamente umoristico, dove comicità e dramma spesso si confondono; nonché l’unico romanzo, che io sappia, ad essere munito di veri e propri titoli di testa e titoli di coda. Come una sorta di “film scriptorum”. Con tanto di epilogo posizionato DOPO i suddetti titoli di coda.
Un romanzo da non perdere, assolutamente! 🙂
MI dispiace di intervenire – pant pant – solo ora… questo dibattito mi appare interessantissimo.
Le battute sono frizzanti come pure le proposte letterarie…
Maria Rita Pennisi: con me sfondi una porta aperta. Io sono austeniana militante! La cara vecchia Jane sapeva ritrarre in punta di penna – direi che la usasse come un fioretto – un’intera società.
Purtroppo oggi l’ironia andrebbe protetta dal WWF, perché esempi politici televisivi et coetera ci hanno abituati al trash, al turpiloquio, all’aggressività che sono tutto il contrario dell’ironia.
A proposito di ironia, che ne dite della canzone “MENO MALE” che Simone Cristicchi ha presentato ieri al Festival di Sanremo?
Io la trovo geniale! 😀
Un ringraziamento a Maurizio De Angelis, gran concentrato di umorismo e intelligenza.
E grazie a Maria Lucia e a Sergio.
–
@ Sergio Rilletti
Caro Sergio,
non ho avuto modo di ascoltare il Festival… ma invito te e gli altri amici a parlarne ne “la camera accanto”
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/08/la-camera-accanto-15%c2%b0-appuntamento/
Salve a tutti!… Mentre, questa settimana, Mister Noir è impegnato a risolvere un mistero strettamente connesso all’attuale edizione del Festival di Sanremo (che leggerete prossimamente), il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha pubblicato la prima “storica” avventura di Mister Noir, La vendetta dell’uomo che non era mai nato. Un thriller surreale, al limite col genere fantasy, basato su un reale, fondamentale, fatto storico.
Se volete leggere questo racconto, come spero, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=1992 .
…E se volete sapere qualcosa su me e sul mio personaggio, vi consiglio di leggere la mia breve presentazione Chi è Mr Noir? ( http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ).
Scusate il disturbo. Essendo questo spazio dedicato alla letteratura dell’ironia, ne approfitterei volentieri per promuovere il mio primo lavoro letterario. Alcune settimane fa, infatti, ho pubblicato su http://www.lulu.com “Idioti”: una raccolta di dodici racconti. Idioti nasce come un gioco. Un modo divertente di descrivere alcuni tipici personaggi dei nostri tempi, che influenzano, volenti o nolenti, le nostre giornate; a volte in modo piacevole, spesso non proprio. Un piccolo spaccato del nostro amato Paese, e non solo. Se volete leggerlo potete andare su http://www.lulu.com e cercarlo digitando il mio nome. Vi garantisco che avete modo di divertirvi. A presto, dunque.
Andrea Lodi
Dimenticavo. Due parole a Maurizio De Angelis: se nei tuoi libri si trova anche solo una piccola parte del tuo talento umoristico, che dire, dovrò per forza di cose aggiungere i tuoi libri nei prossimi acquisti. Su IBS si trovano ? Oppure dove posso trovarli ? Ciao e in bocca al lupo per i tuoi lavori letterari.
Andrea Lodi
Salve a tutti!… Mentre sto ultimando l’avventura di Mister Noir strettamente collegata all’ultima edizione del Festival di Sanremo (che leggerete prossimamente), il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha pubblicato la seconda “storica” avventura di Mister Noir, “CACCIA ALLA CACCIATRICE”, dove Mister Noir e la sua assistente Elena Fox si ritrovano impegnati nella sfrenata caccia a Serena Bonita, spietata killer a pagamento nonché perfetta sosia di Elena Fox.
Se volete leggere questo racconto, come spero, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2012 .
…E se volete sapere qualcosa su me e sul mio personaggio, vi consiglio di leggere la mia breve presentazione Chi è Mr Noir? ( http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ).
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Grazie per l’attenzione!
@ Andrea Lodi (ma anche agli altri 59 milioni di italiani!). A domanda rispondo: il miei due libri (“Il Padrino parte prima così non trova traffico” ed “Achei, il prezzo è giusto!”) si trovano su IBS. Ma sono acquistabili anche, rispettivamente, su Centoautori.it e su Boopen.it. Buon divertimento!
@ Sergio Riletti: per me Cristicchi ha scritto un pezzo carino, ma un po’ troppo corto per arrivare ai livelli satirico-impegnati di Elio e di Caparezza.
Riguardo i miei umoristi preferiti, dirò che Dario Vergassola e Luttazzi sono quelli che mi divertono di più, o forse sono gli unici che mi divertono. Sono entrambi dotati di una battuta spiazzante e fulminea, come piace a me.
A livello cabaret, preferisco Ale e Franz. Ficarra e Picone pure sono grandi, ma lì gioca molto la componente di mimica e di simpatia.
Tra i miei conterranei, quelli che mi divertono maggiormente sono Paolo Caiazzo (il Giovane in pensione) e Simone Schettino (il Fondamentalista napoletano). Che sono tra i pochi, tra l’altro, a scrivere i pezzi da sè.
@Maurizio De Angelis:
Hmmm!… Mi sa che abbiamo gusti musicali un po’ diversi, noi due!
Invece, per il cabaret, siamo perfettamente d’accordo: Ficarra & Picone e Ale & Franz piacciono molto anche a me! 🙂
Salve a tutti!… Mentre si sta avvicinando il momento della super-avventura “sanremese” di Mister Noir, il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha pubblicato la terza “storica” avventura che lo riguarda, “MORS RIDENS”, dove Mister Noir ed Elena Fox hanno meno di dodici ore per salvare la vita di un uomo che è stato avvelenato; e per farlo dovranno decifrare battute sempre più demenziali che il veleno gli fa pronunciare. La più “folle” corsa contro il tempo che, scommetto, abbiate mai letto. Un thriller, fortemente umoristico, che alcune persone hanno già utilizzato come antidepressivo.
Se volete leggere questa mirabolante avventura, come spero, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2027 .
…E se volete sapere qualcosa su me e sul mio personaggio, vi consiglio, come sempre, di leggere la mia breve presentazione Chi è Mr Noir? ( http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ).
Salve a tutti!… In attesa del racconto inedito “L’ALLUCINANTE CASO DEL DELITTO INDOTTO”, che giace nella memoria del mio computer dal 2008 e che potrete leggere settimana prossima, il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha ripubblicato “INSEGUIMENTO A RUOTA”, la short-story “fuori serie” che ho scritto nel 2006 per il vecchio sito della LEDHA, dedicandolo ai due giovani che il 9 Aprile di quell’anno mi avevano soccorso al Parco di Monza… e che sto ancora cercando (vedi: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/16/solo-racconto-di-sergio-rilletti/ )!
In questa mini-avventura, Mister Noir diventa veramente il mio alter ego “interpretando” una vicenda che mi ha visto realmente protagonista, una ventina d’anni fa, a Celle Ligure (SV).
Se volete leggere questa “anomala” avventura, che avevo voluto vivere per dare una piccola lezione di rispetto per le persone disabili, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2046 .
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…E se volete sapere qualcosa di più su me e sul mio alter ego, il mio consiglio è, come sempre, di leggere la mia breve presentazione “CHI E’ Mr NOIR?” ( http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ).
Grazie mille per la stima e l’affetto che sempre mi mostrate!
😀
Salve a tutti!… Un paio di settimane fa, la giornalista Silvia Gelmini mi ha concesso un nutrito spazio sul portale “EducazioneSostenibile.it”, pubblicando un bell’articolo-intervista sul sottoscritto – http://www.educazionesostenibile.it/portale/sostenibilita/comunita-sostenibile/937-il-nuovo-supereroediversamente-abile – e il mio racconto “FESTIVAL O MORTE” – http://www.educazionesostenibile.it/portale/images/stories/notizie_sost/eroe_disabile.pdf -, ovvero la recente avventura di Mister Noir, ad alto potenziale ironico, strettamente collegata ai fatti del Festival di Sanremo 2010.
Ora Massimo Maugeri, all’interno de LA CAMERA ACCANTO (15° APPUNTAMENTO), ha deciso di dedicare un post ai commenti su questa intervista e su questo racconto.
Se volete partecipare a questo forum inviando un vostro commento al riguardo, come spero e vi sprono a fare, il link diretto è: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/08/la-camera-accanto-15°-appuntamento/ .
Grazie di cuore, sin d’ora, a tutti quelli che vorranno intervenire… da parte mia e di Mister Noir!
😉
Salve a tutti!… Dopo un mese di sospensione, dovuto ad improrogabili impegni di lavoro del sottoscritto, torna l’appuntamento settimanale con “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR”, promosso dal sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap -, “PERSONE CON DISABILITA'”.
Ma Mister Noir non torna da solo. Con lui c’è La Spada di Damocle, una potente e oscura Organizzazione criminale, che agisce ogni giorno a livello internazionale, che sarà destinata a scontrarsi diverse volte con il celebre detective privato in carrozzina.
Per introdurre questa subdola e spietata Organizzazione e le due prossime avventure in cui comparirà, con le quali concluderò questo primo ciclo dedicato a Mister Noir, ho scritto un breve articolo, “MISTER NOIR E… LA SPADA DI DAMOCLE”.
Se volete leggere questo articolo e addentrarvi nel lato più noir delle avventure di Mister Noir, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2197 .
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…E se volete sapere qualcosa di più su me e sul mio alter ego, potete sempre leggere la mia breve presentazione “CHI E’ Mr NOIR?” (http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ), che avevo scritto all’inizio di questa mia collaborazione con la LEDHA.
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Grazie mille per la stima e l’affetto che molti di voi mostrano sempre verso me e verso Mister Noir!
Salve a tutti!… E’ davvero con immenso piacere che posso annunciarvi che il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap -, “Persone con disabilità”, ha pubblicato “L’ALLUCINANTE CASO DEL DELITTO INDOTTO”, l’avventura di Mister Noir che avevo scritto nel 2008 per “M-Rivista del mistero” ma che, causa sua chiusura, è rimasta finora INEDITA.
Un intrigo internazionale, un terribile rompicapo che segna il primo epico scontro tra Mister Noir e La Spada di Damocle, una potente e oscura Organizzazione criminale che sarà destinata a scontrarsi diverse volte con il celebre detective privato in carrozzina.
Se volete leggere questo racconto, come vi invito a fare, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2243 .
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Inoltre, per introdurre questa subdola e spietata Organizzazione, ho scritto un breve articolo, “MISTER NOIR E… LA SPADA DI DAMOCLE”. Se volete leggerlo, addentrandovi nel lato più noir delle avventure di Mister Noir, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2197 .
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Infine, se volete sapere qualcosa di più su me e sul mio eroico alter ego letterario, potete sempre leggere la mia breve presentazione “CHI E’ Mr NOIR?” (http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ), che avevo scritto all’inizio di questa mia collaborazione con la LEDHA.
Salve a tutti!… Tutte le cose, belle o brutte che siano, giungono al termine. E quindi anche “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR”, pubblicato dal sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap -, “Persone con disabilità”.
E, per concludere degnamente questo ciclo, non poteva assolutamente mancare la ripubblicazione di “FESTIVAL O MORTE”, la recente avventura di Mister Noir strettamente collegata ai fatti del Festival di Sanremo 2010. Un modo divertente, ad alto potenziale ironico, per ricordare i fatti della 60^ Edizione del Festival della Canzone Italiana.
Se volete leggere questo racconto, come auspico, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2266 .
Un racconto che, se volete, potete pure commentare proprio qui, nella Camera Accanto, a questo indirizzo: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/02/08/la-camera-accanto-15%c2%b0-appuntamento .
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Infine vi ricordo, anche questa volta, che, se volete sapere qualcosa di più su me e sul mio eroico alter ego letterario, potete sempre leggere la mia breve presentazione “CHI E’ Mr NOIR?” (http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ), che avevo scritto all’inizio di questa mia collaborazione con la LEDHA.
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Concludo ringraziando di cuore Andrea Carlo Cappi, che nel 2002 mi ha dato il suo benestare per la creazione di questa serie per “M-Rivista del mistero”, tutti quelli che in questi anni mi hanno mostrato il loro interesse, e, ovviamente, tutti coloro che mi hanno permesso di fare questa esperienza “seriale” sul sito “Persone con disabilità”!
La mia definizione di ironia (sono uno specialista).
L’ironia è quell’attitudine che esercita un individuo il quale, volendo far notare un’assenza di senso in una proposizione, riempie quel vuoto con un senso opposto o lateralmente esteso a quello mancante, in modo da far risaltare l’assenza per la presenza sbagliata che è. L’auto ironia è costituita dall’ironia che si rivolta contro il proprio creatore, allo scopo di mostrare ai presenti che l’intelligenza non la ferma nessuno, nemmeno la superiorità intellettuale.
Bella definizione, Vajmax.
Mi piace.
Come potrebbe non piacere la verità, senza offendere chi la rifiuta? Una definizione dell’ironia dovrebbe sempre essere ironica, perché sarebbe impossibile spiegare cos’è il respiro… trattenendo l’aria 😉
Forse, per percorrere il sentiero sintattico delle due frasi, è meglio portarsi dietro una bussola. Ma la definizione mi stuzzica molto.
Quasi quasi te la rubo, Vajmax.
E, se vuoi, in cambio, ti lascio la bussola.
La verità non deve mai ridursi per essere accessibile, ma il mistero che la circonda è un altro… la Verità chiede che si riduca chi la vuole avvicinare… 😉
Vi svelerò, in anteprima, che sto organizzando una moltitudine di aforismi e definizioni, che mi sono preso la libertà di coniare, in un libro al quale vorrei dare il titolo esplicativo di: “La morte fa piangere la vita per scioglierle il trucco”. Naturalmente il fine non è nella ricchezza e nemmeno nella notorietà, perché la prima complica la vita, mentre la seconda l’accorcia. L’ho scritto solo per rassicurare chi mi detesta sulle ottime ragioni avute per farlo, nel merito di averle intuite con largo anticipo. 🙂
Ovviamente io la penso esattamente al contrario:
ciò che si ritiene sia la verità va presentato in maniera accessibile (o almeno si deve fare il massimo sforzo in questa direzione).
Non solo: bisogna sempre diffidare di chi riveste il proprio pensiero con un linguaggio ambiguo e oracolare. Forse avrà anche ragione, forse dirà cose intelligenti e importanti ma è giusto e prudente diffidarne.
Quello che chiami “linguaggio oracolare” è la diretta conseguenza di una natura arzigogolata, la mia, e la conoscenza perfetta dei principi universali, questa volta non mia (nel senso che non è una mia proprietà, potendola io vedere e considerare solamente). Io non ragiono per morali, e il mio ragionare è esattamente conseguente alla consapevolezza della quale sono vittima non illustre. L’alternativa che mi è offerta sarebbe il tacere, ma non ne ho il coraggio.
Vorrei fosse chiaro:
ribadisco che ognuno ha il diritto di scrivere e di parlare come ritiene opportuno.
Eccezion fatta per chi ha il compito di DOVER comunicare notizie e informazioni univoche, ad esempio farmacisti, medici, sportellisti, infermieri, poliziotti, magistrati, piloti, camerieri, hostess, steward, giornalisti, tecnici di laboratorio…,scrittori, filosofi, opinionisti e “artisti” si regolino come gli pare.
Io (per quanto riguarda me) penso che QUASI sempre la complessità e anche la “natura arzigogolata” possano venir espresse/raccontate/descritte/analizzate o messe in scena utilizzando linguaggi e stili “accessibili”.
Anche in questo, parteggio per un filosofo come Karl Popper o per Primo Levi e il loro appello alla chiarezza. Ciò non toglie che (per fare un esempio) mi piaccia immensamente anche un romanzo “difficile” come Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo.
Tuttavia, il mio modello etico-stilistico resta l’evangelico “il vostro parlar sia sì sì no no”
Guarda che quel detto evangelico aggiunge anche che tutte le parole eccedenti il sì e il no sono opera del demonio…
Io scrivo storie da tre anni soltanto, e non avendo alcuna scuola alle spalle, a causa di un imprudente baratto con la possibilità di un viaggiare sconsiderato che, in compenso, mi ha regalato vaste esperienze di malattie infettive, HIV esclusa, perché a quei tempi non c’era. Ho uno stile personale che è cambiato poco da quello che mi fece eccellere nella scuola media, e cacciare anche, ma mi consente di esporre pensieri molto complessi che solo l’esempio dato da un comportamento integerrimo potrebbe mostrare attraverso la nuda semplicità. D’altronde in mezzo a tanti limiti un dono spetta a tutti avercelo, e il mio consiste nel non farmi capire… 😉
Popper, già, a lui la chiarezza è servita giusto a riconoscere che la strada della ricerca scientifica è lastricata di fallimenti. Non mi pare granché, come dire che l’essere chiarissimi non risparmierà dall’affinare concezioni fallaci, ma semplicemente esposte… Levi, magnifica persona, ma triste con ottime ragioni per esserlo, e anche per lui la chiarezza non è bastata a risparmiargli una fine prematura da suicidio. Non dovresti confondere il difficile in seguito a complicazioni aggiunte arbitrariamente, dal difficile a comprendersi perché impervio da esporre. La semplicità è solo la premessa alle difficoltà, e tredici combinazioni moltiplicate per tre mi hanno rovinato la vita, impedendomi un arricchimento facile a un totocalcio che, per quella ragione, mi rifiuto di giocare.
Nelle citazione evangelica, avevo tralasciato la parte relativa al demonio per non predicare troppo.
Su Popper: la chiarezza gli è servita a dimostrare che la scienza e la conoscenza sono fallibili. Hai detto poco?! E’ un risultatone. Anche dal punto di vista politico. Perchè costituisce una delle motivazioni di fondo a favore del riformismo liberal-socialista contro il rivoluzionarismo palingenetico (da Stalin a Hitler).
Su Levi: no, purtroppo la chiarezza non gli bastò a salvarsi fino alla fine. Perchè (su questa terra e in questa vita) NULLA ci garantisce per sempre.
Tu: a me piacciono moltissimo i funamboli della parola, quelli che sanno inventare frasi pirotecniche e paragrafi esplosivi. Mi appassionano però SOLO in certi ben delimitati ambiti.
Provo a spiegarmi con un esempio (lo so, lo so che uso spesso esempi…ma credo che così si sia più chiari…anche a costo di perdere in profondità, si riesce a far cogliere agli altri almeno il nocciolo della questione).
Ecco l’esempio. Julio Cortazar è forse lo scrittore che ammiro di più. In particolare i suoi racconti li trovo insuperabili, con uno stile a tratti assai complesso.
Bene.
Lo seguo nei suoi labirinti narrativi e sintattici con gioia irrefrenabile: la sua ambiguità, i suoi enigmi sono parte inscindibile del suo fascino.
Ma quando Julio scrive testi teorici sull’arte del narrare cambia registro: diventa chiaro, preciso, lucido, affilato.
Mi starebbe sui coglioni, profondamente, se nei testi teorici fosse fumoso e oracolare.
Sono riuscito a spiegarmi?
Vajmax, intanto avevo perso il filo e m’ero scordato di aggiungere che, in un ambito “libero”, il tuo linguaggio me gusta mucho.
La mia critica di giorni fa si riferiva a tuttu’altro:
al linguaggio “oracolare” (come lo definivo) nel campo delle spiegazioni. E quando qualcuno spiega qualcosa e io non capisco, mi infastidisco.
Io, se non capisco, mi appisolo e poi ricomincio a leggere. È difficile intendersi perché la responsabilità individuale centra poco, chi ha meno deve metterci di più e chi ha in più deve limare, ma chi lo sa dove sta il più e il meno? Mi auguro di migliorare con qualche by pass che mi conceda di tagliar corto, lacrime di riso permettendo. Quando provo a essere chiaro dico di quelle cose così stringate… che ho dovuto scrivere un libro di aforismi per non buttare via niente. Uno di questi cita “Dio non butta via nulla, come noi con il maiale”… 🙂
È sicuro che la conoscenza, da non confondersi con la cultura, sia sintetica, ché l’analisi tende a essere dispersiva e dimenticarsi i presupposti dai quali era partita per ritrovarsi, alla fine, uno spezzatino da mettere in pentola. Certezze ce ne sono, comunque, anche nell’universo che ti frega spostando il bersaglio mentre spari: io, per citarne uno a casaccio, spacco le palle. 😉
Più dialoghiamo e più mi convinci delle tue ragioni e più mi convinco delle mie ragioni.
Che significa?
Che il tuo linguaggio mi piace assaissimo in questo contesto ironico da “prendere o lasciare”, tra l’aforisma e lo scambio al volo, il gioco (serio) intellettual-chic e il cazzeggio serio-non serioso. E in questo mi convinci delle tue ragioni.
D’altro canto, mi convinco vieppiù (ahò! E chi usa più ‘sti termini?) che se invece si vuole per davvero comunicare qualcosa di preciso si deve tentare di esser chiari e precisi.
Non ho voluto dirtelo prima perché avevo bisogno di preparare il tuo spirito, ma ora mi sembri cotto a puntino da poterti rivelare chi sono in realtà: io sono un genio della chiarezza espositiva che non dà adito a repliche né a discussioni. Il mio dire è caratterizzato da architetture che dire geometriche sarebbe riduttivo, oltre che a indurre al sospetto che io possa addirittura aver conseguito un diploma o, peggio, una laurea in scienze esatte (si fa per dire). Raramente l’umanità ha conosciuto persone della mia stazza inellettuale, perché quando sono apparse tra le genti umane (si dice sempre per dire) il Padreterno se le è riprese indietro, livido di gelosia. Con me non se l’è sentita e non voglio indagare attorno a delle ragioni che mi troverebbero in sintonia con loro. Sono in grado di rispondere a qualsiasi questione essenziale che trascini con sé argomenti che, per la loro osticità, nemmeno gli angeli affrontano mai. Naturalmente evito di pavoneggiarmi tra il popolino per risparmiare loro la fatica di reperire forconi e torce, al fine di accalcarsi sotto le mie finestre inneggiando a epiloghi di dubbio gusto che dovrebbero coinvolgere il mio destino prossimo venturo. È una fortuna che io sia anche inclinato a ridurre la portata delle mie competenze, ché questo mondo non ama i saputelli ancora vivi. 😉
Quando me lo chiederai, e so che me lo chiederai, ti farò leggere uno dei miei studi attorno alle ragioni per le quali il presente ciclo cosmico è agli sgoccioli, in attesa che non ci sia più io per dare all’umanità il colpo di grazia, meritato e finale. 😉
Vajmax, l’autoironia è segno di grande intelligenza… ed è perfettamente in tema con questo post.
Mi inchino al tuo sapere.
😉
Anche quello che dici ha la sua eccezione, a causa di una regola universale che, secondo me, andrebbe abolita: l’autoironia, per un vero stupido, equivale all’autodenuncia, ma quando lo stupido è onesto -ed è un evento comune- si deve ammettere il caso che la sua confessione abbia l’aspetto di un’autoironia addirittura intelligente… 😀
Vajmax, essendo tu un veggente e io un veggiato (oggetto dell’attività del veggente), ci hai azzeccato in pieno: eccomi dunque a chiederti uno dei tuoi “studi attorno alle ragioni per le quali il presente ciclo cosmico è agli sgoccioli”.
Il problema vero è: questo sgocciolio viene misurato con un orologio umano o cosmico?
Cioè: farò in tempo a vedere il mio Torino che torna in sere A?
La questione sulla natura dell’orologio è irrisolvibile, perché nessuna sacra scrittura fornisce dati precisi che potrebbero favorire il maligno il quale, si sa, non ha accesso alla sfera spirituale in quanto regnante dell’altra, quella materiale. Sono due distinti domìni che non si guardano di buon occhio. Poiché la durata temporale è ciclicamente modulata, e questi cicli stanno tra loro in un rapporto proporzionale discendente e misurabile da funzioni algebriche, dare dei dati, anche se di cicli minori, comporterebbe la possibilità di prevedere, attraverso la traslazione analogica, la durata precisa di altri cicli. Così sono conosciute soltanto le proporzioni che ordinano i diversi cicli tra loro, secondo la sequenza mostrata dalla Tetraktis Pitagorica. Dire che siamo alla fine del presente ciclo non è conseguenza di preveggenza o di strane alchimie, ma semplicemente il frutto dell’aver guardato fuori dalla finestra, con occhi diversi da quelli che accecano chi gioca in borsa. Il ciclo cosmico è analogo al ciclo nel quale si dipana la vita umana: inizia e finisce con questi due estremi che servono a trattenere la sfiga di esserci finiti dentro.
Avrei dovuto immaginare che sei un tifoso del Toro, perché chi è nato, come è capitato a te, negli anni dell’illusione di una possibile pace cosmica, mai avrebbe potuto tenere alla Juve senza maledirsi l’anima e l’intelletto. Naturalmente il milan dello squalo nano non lo considero neppure, e nemmeno l’inter del petroliere o il napoli della camorra. Resterebbe la Solbiatese…
In realtà, io non mi illudo che (su questa Terra e in questa vita) possa esservi la pace cosmica (nemmeno quella comica e men che meno quella alla Comida, il mio cognome).
E aver scelto come squadra proprio il Toro sta a dimostrarlo:
gli 11 granata (colore del vitale sangue, del vino rosso, dell’amore, della giustizia & libertà, della frutta più gustosa, delle labbra della persona amata) non sono consociativismo ma opposizione e passione, lotta e alternativa, squadra spesso “brutta, sporca e cattiva”, lontana mille miglia e cento ciglia dal Potere del governo e sottogoverno di Juve e Milan.
Il colore della maglia della Solbiatese, lo ignoro.
La Solbiatese ha la maglia nerazzurra, come quella dell’Inter, ma più pulita.
Certo il rosso è colore che esprime la voglia di vivere, ma si allarga troppo facilmente quando si muore. C’è un’analogia piuttosto paurosa tra la simbologia spirituale dei tre colori primari, il rosso, il giallo e il blu -che simboleggiano la creazione, la conservazione e la rigenerazione- con quanto accade quando un trauma diventa il centro di una vita: prima è rosso, poi acquista sfumature e aloni giallastri che sfociano, infine, nel blu profondo.
In una tragica giornata, parecchi anni fa, disarcionato dalla moto da trial, con la quale impennavo anche in mezzo a ostacoli pericolosi, andai a sbattere contro il palo di un piccolo lampione, e a gambe divaricate ci picchiai i testicoli, rompendo lo scroto. In quello stesso giorno seppi perché i testicoli sono fortunatamente mobili, quali colori primari riescono ad assumere, quanti mesi devono trascorrere prima che ritornino rosa, e quanta ilarità susciti il dover camminare piegati in due per un mese. Immagino che tifare per il Torino scateni la stessa sintomatologia, solo un po’ più dolorosa… 😀
Differenze tra l’ironia e il sarcasmo
L’ironia è il modo più pericoloso che un uomo adotta per far sapere di non avere il senso dell’umorismo sviluppato. Condizione necessaria all’ironia è la spontaneità con la quale chi approfitta di lei mostrerà di non aver avuto premeditazione. Il grado più elevato che può essere raggiunto dall’ironia è assicurato dall’assenza di cattiveria che, quando è presente, vira l’ironia inclinandola al sarcasmo. La distanza che separa l’ironia dal sarcasmo è data dalle loro diverse convinzioni. La prima costituisce un tentativo di illuminare l’interlocutore, il secondo lo vuole ridicolizzare, impedendogli di riprendersi per poter sbagliare ancora.
Definizioni assai brillanti (e quando qualcosa brilla, a meno che non si tratti delle esplosive mine, è illuminante).
Facciamo solo attenzione a non farci ingabbiare in un eccesso definitorio: l’ironia (e pure il sarcasmo) hanno bisogno di potersi muovere liberamente, senza schemi troppo rigidi che ne blocchino l’estro. Come, in un campo di calcio, i fantasisti.
Ogni definizione ha, in sé, un aspetto non voluto e ironico dato dal fatto che ogni definizione tende a fissare la mobilità di un universo che si sposta al momento meno opportuno, che è proprio quello ammanettato dalla definizione. Nel mio recintare quell’aspetto tu, Luciano, l’hai visto, come io lo vedo nel tuo dire. In ogni campo di calcio i migliori fantasisti, quelli ai quali nessuno potrà limitare in alcun modo la libertà di fantasticare, sono i tifosi, non i fuoriclasse che giocano, quindi, ma coloro che sono “giocati”… 😀
Sulla fantasia dei tifosi attuali, ho dubbi.
Tre esempi: uno splendido e iirripetibile, uno bellissimo ma abusato, uno brutto e basta.
Splendido:
ricordo (torno ai miei granata) la vigilia di un derby. Di notte, sui muri dello stadio Comunale, i tifosi bianconeri scrissero un gigantesco TORO MERDA. Poi, la domenica, noi gli rifilammo due gol e, la notte, il murales divenne TORO 2 MERDA 0.
Bellissimo ma abusato: la ola. Le prime volte fu una meraviglia, anche nei concerti rock. La ricordo a Minano, san Siro, 1985, aspettando bruce Springsteen. Adesso è di una banalità imbarazzante.
Brutto e basta: il suono stupido e monotono di quelle trombette sudafricane che tra poco qualche mentecatto importerà anche da noi.
Ho provato a essere un tifoso, ma senza successo. Fingo di essere interista, da quand’ero un bimbo che amava il suo papà, interista e coglione, ma guardo le partite pensando ad altro. Il mio non vuole essere un disprezzo di ciò che ritengo lecito, non vuole essere niente altro che una constatazione, priva di valenza morale, che riguarda il mio partecipare emotivamente al calcio con lo stile tipico della prostituzione, che finge di provare piacere nel gelo interiore. Però mi piace giocare al calcio, e molto, anche se da bambino ero quello che non giocava se non aveva un pallone suo, quando gli altri avevano il loro sgonfio. È stato difficile, per me, dover accettare quello stare ai margini in tutto il giocare della vita, ma ho avuto la soddisfazione di essere stato espulso prima della partita e non dall’arbitro. Mica da tutti… 😀
Scordavo di dire che l’ombra del destino, che disegna cerchi concentrici sempre più stretti, mi volteggia sopra, inducendomi a sospettare che anche nell’aldilà sarebbe opportuno che portassi un pallone, bello gonfio, con me…
Da bambin-ragazzino, il mio rapporto diretto col calcio era così così.
Nel senso che:
come possibile organizzatore ero nullo dato che non portavo il pallone,
come giocatore ero scarsissimo
e dunque,
quando i due più bravi formavano le squadre scegliendo uno alla volta i propri compagni,
io restavo sempre tra gli ultimissimi, quelli che facevano numero.
Le mie azioni più memorabili (per me) restano quattro:
un tiro respinto da un difensore,
un aggancio al volo (davvero ottimo ma del tutto fortuito),
un cross in area,
un pallone sottratto per errore a un mio compagno di squadra che stava per tirare e che da allora ancora mi cerca per assassinarmi.
Cavolo, non è stata un’immediatezza rendersene conto, ma credo che io e te abbiamo svelato il mistero di dove nasce, e perché nasce, l’ironia… 😀 😀 😀
A me piace molto ridere (e sorridere) di tutto (o quasi).
Però penso che vi sia una conditio sine qui quo qua non per essere legittimato a ridere del mondo e dei suoi abitanti:
ridere e far ridere di me stesso.
Non (si badi bene!) per umiliarmi come fanno i servi nel tentativo di ingraziarsi il padrone. Ma con lo spirito libero di chi non ha problemi a mostrare anche i propri difetti e le proprie sconfitte, trovandoci il lato ridicolo.
Be’… non dovrai più sforzarti molto, in quanto tifoso del Toro il passo che hai fatto è da giganti… 😀
@ Luciano e Vajmax
Grazie per rendere vivo (e ironico) questo spazio…
C’è un lato, dell’ironia, che è oscuro. Se ogni effetto ha in sé la traccia della causa alla quale deve il suo esserci, e io lo vedo nella tragica somiglianza che ho con mio padre, significa che l’ironia, nella sua forma più pura, l’arché quindi, è un terrificante attributo della Causa prima dell’esistenza. È addirittura possibile, e quasi credibile, che Luciano non sia colpevole, in modo assoluto, di tifare per l’assenza di obiettivi portata su un campo di calcio… 😉
Confesso che non ho capito molto.
Mi basta però aver compreso che, se proprio dovesse servirmi, Vajmax verrà a testimoniare che io “non sono colpevole, in modo assoluto”.
Certo che no, una piccola responsabilità ce l’ha anche la squadra del Torino calcio (la specificazione “calcio” è una necessità per elidere i dubbi che nascono guardando il Torino giocare) 😀
Mi sono letto un po’ di post sopra, direi parecchi anche, e non condivido molti punti di vista sull’umorismo e sull’ironia che sono stati espressi. So che mi giocherò la simpatia di molti potenziali e futuri clienti, potenziali perché non sono ancora morto e futuri per i loro pronipoti, ma a me piace Campanile, Bierce, e altri sulla stessa lunghezza d’onda, quella dell’intelligenza. L’ironia che gioca sulle parole è sempliciotta e forzata, scarsamente dotata, ma utile a tutte quelle menti che sono sullo stesso piano. Prima o poi pubblicherò un libro, che oscurerà il sole, per sostenere questa mia posizione, ma per ora vi farò leggere quello che ho scritto stamattina, per un forum che voleva una storia di 101 parole esatte. Di storie analoghe, la maggior parte più lunghe, ne ho a centinaia, e da come mi guarda mia moglie capisco che ha già contattato un editore e si è fatta anche contattare da lui, nell’attesa reciproca che io muoia presto.
Il racconto s’intitola:
CO-CREATORI
—Okkey, ragazzi, pronti… via!— era il solito saggio di fine anno che partiva, quello della scuola per co-creatori celesti dell’Olimpo. Uno spettacolo di dubbio gusto del quale nessuno si era mai chiesto la provenienza.
I partecipanti, tre in tutto, si fiondarono sul materiale a disposizione, cercando di accaparrarsi quello migliore.
Una creatrice, l’unica femmina della scuola, prese un rotolo di stoffa pregiata e un paio di forbici luccicanti, l’altro una pannocchia di granturco e l’ultimo un panetto d’argilla.
Non sarebbe stato facile, per la giuria, decidere il vincitore, ma fu subito
chiaro che con quel pezzo d’argilla avrebbe fatto una cagata.
Anche se non lo condivido, il racconto è graffiante e spiritoso.
In genere, sono d’accordo sulla difidenza di Vajmax verso l’ironia o l’umorismo tutto incentrato sulle parole e sulla loro verbalità (sonora e/o semantica): un po’ va bene ma alla lunga mi tedia come una tenia.
I miei amori “umoristici” sono molto diversi: Comma 22 di Joseph Heller, Campanile, Guareschi, Flaiano, Bianciardi, certo Pirandello, i Peanuts, Altan, Ariosto, Sanantonio, certo Eco, Saki, Bierce, Marziale, Donald Westlake…
Caro Luciano, nessuno che abbia i propri antenati in quel panetto d’argilla può condividere il senso del mio racconto, nemmeno io lo condivido, ma la verità si impone così ferocemente che lascia poco margine alla discussione… 😉
Per farmi perdonare te ne farò leggere un altro che ho scritto due giorni fa, dedicato agli scrittori d’avanguardia, s’intitola
SFIDA ALL’ULTIMO ATTIMO
È una sfida, quella che ogni scrittore riceve dalla morte, che non si può rifiutare
—Il segreto sta nell’anticiparla di quel pelo che consente di poter dire di Lei il tanto che basta a sputtanarla per sempre— si disse, deciso a chiudere il conto con la nera signora, uno scrittore avanguardista d’assalto, uno di quelli che dava più credito ai fatti che alle vuote parole
—Cinquanta ciccì di candeggina dovrebbero darmi il tempo di farlo—
Fu così che se ne sparò sessanta di ciccì, in vena, con la siringona da veterinario rinvenuta nei pressi dell’Ippodromo vicino a casa sua, però disinfettata a dovere.
Finito di iniettarsi l’avventura… iniziò a scrivere, correndo appresso alla morte che sopraggiungeva svelta.
—Cara Morte oggi ti fotto io, stronza!— iniziò, un po’ frastornato dall’essere stato costretto dagli eventi a dover dimostrare al mondo che un avanguardista non scherza un cazzo
—Fatti avanti e facciamola finita, ora racconterò a tutti cosa si prova a morire—
La Morte, dall’alto della sua indiscutibile esperienza aveva le sue necessità, e le sembrava che quei sessanta ciccì non fossero sufficienti, dunque si limitò a torcergli le budella e a farlo svenire nel vomito, ma prima si accertò che l’avanguardista non potesse dire più del lecito e gli paralizzò le mani.
Lo scrittore, determinato come non mai, prima di lasciarsi afferrare alle caviglie fece in tempo a digitare, con il mento, una parolaccia irripetibile.
Si svegliò, fradicio di sudore e acidi della digestione, che gli incollavano spaghetti mal digeriti e vino ad alto tasso di metanolo sulla canottiera. Allungò quindi il braccio, con attaccata la mano semi paralizzata, riuscendo a trascinarsi la tastiera vicino al mento e poi, con la lingua attaccaticcia prese a battere, leccando e sputacchiando, tra conati e fili di bava fetida, sui tasti:
—Molile è come vivele, ‘na melda— e si riaddormentò, nello stesso pallore che aveva anche il giorno prima.
Secondo me, il limite delle 101 parole ti obbliga a una sintesi elettrizzante molto più efficace.
LA LIBERAZIONE DELLA PADANIA
Fu una guerra spaventosa, quella combattuta per la secessione della Padania, e sottolineata da aspetti eroici, anche se di un eroismo opposto a quello che caratterizzò la spedizione dei Mille garibaldini.
Il comandante padano, un certo Bossi, fu ferito anch’egli ma, invece che alla gamba, fu colpito in piena testa, con guadagno immediato di tutta la truppa che, da quel momento in poi, capì tutti i suoi comandamenti.
Fu l’unica guerra al mondo che perseguì, compiutamente, i suoi obiettivi in un colpo solo, perché cessò con la totale liberazione della Padania da tutti i padani, stronzi e razzisti, che la infestavano.
Il witz dei comandamenti finalmente capiti mi ha fatto ridere di gusto.
QUANDO LA CULTURA NON AIUTA PROPRIO
—Aldous Huxley diceva che il futuro non può essere diverso da come ce lo immaginiamo—
—Sì, e Karl Popper asseriva che la strada percorsa dalla scienza è lastricata dagli insuccessi—
—Ci consoli anche che Bertrand Russel assicurava che gli individui meritano di chiamarsi uomini solo quando dedicano il loro sapere ad aiutare il prossimo—
—E che dire di Wolfgang Goethe, che affermò essere la conoscenza come una sfera, più sarà grande e maggiore sarà la sua superficie di contatto con l’ignoto?—
—Scusate, stimatissimi e colti Chirurghi, ma prima di conversare sulla mia operazione… non potreste almeno aspettare che faccia effetto l’anestesia?—
Breve analisi, disinteressata, sull’ironia:
L’ironia non è la ragione, ma uno dei modi che la ragione utilizza per dire, senza dover anche dimostrare, di avere ragione. L’atteggiamento ironico ostenta una superiorità intellettuale che non si dovrebbe mai atteggiare, per questo si affida all’ironia che mette l’interlocutore in inferiorità, obbligandolo a essere ironico a propria volta per potersi difendere. È così che l’ironia si morde la coda senza riuscire a liberarsi da se stessa. L’ironia è messa peggio di una cane, perché quello prima o poi si prende un calcio che gli rompe il cerchio imponendogli una retta, mentre se si vuole mollare una pedata all’atteggiamento ironico non c’è altro mezzo diverso dall’atteggiamento ironico. L’ironia è un ergastolo comminato sia all’imputato che al pubblico ministero, e questo fa sospettare che l’ironia, oltre che giusta, sia anche imparziale. Basterebbe questo a provare che essa non potrebbe mai essere associabile alla ragione, perché la ragione… ama stare da una parte sola.
Ne faresti un bel trattatello, Vajmax.
Io scrittore sono, e quindi ho il dovere di fare trattatelli nel modo preciso in cui non vorrei essere trattato. Non devo convincerti che questo è l’aspetto ignobile dello scrivere, quello per cui i Profeti si affannano a scendere ai piani bassi dell’esistenza minacciando pene e torrori futuri per poi andarsene con la coda in mezzo alle gambe e la schiena piena di sputi. Ecco che sono arrivato al punto cruciale della natura umana, la sola nell’intero universo capace di chiamare amore l’odio. A proposito… questo è il mio ultimo scritto di stamattina. Non perdere tempo a darmi del genio, sono solo un mediocre cronista dell’incubo.
L’ODIO, in 101 parole
L’odio non si riesce proprio a descriverlo, ed è un peccato doversi affidare alle prove.
Purtroppo il bisogno di spiegare cos’è non coinvolge solo gli scrittori; interi popoli sono impegnati a costituire esempi fin troppo espliciti su questo sentimento, che sa trascinare le comunità degli umani più della sagra dell’albero della cuccagna.
Sì, perché sul palo dell’odio non c’è il grasso spalmato che ostacola la salita, e ci si arrampica in tanti e tutti insieme, nell’euforia di avere tante ragioni da vendere, senza pensare che in cima non è appeso nulla e che il palo non reggerà il peso di tutti.
Buongiorno tutti amici dell’ironia!
Sono Eva Ricciuti, scrittrice ironica per diletto, e vi presento il mio primo libro: “Una vita (quasi) normale. Anzi due”, edito da Gruppo Albatros/Io Filo.
Perché presentarlo su un blog?
Presto detto: “Una vita (quasi) normale. Anzi due”, prima di diventare un libro è stato un esperimento di diffusione del racconto tramite i new-media.
Sono una appassionata internauta, una patita di internet, blog e social network, dunque il mio mezzo di comunicazione, il mio media, è il web.
Così è nata l‘idea di creare un blog su cui pubblicare un racconto a puntate.
Però non volevo solo trasferire su internet la pagina stampata ma creare un nuovo linguaggio, che fosse familiare e riconoscibile come attuale, perfettamente calato nella nostra realtà per cui ho adottato il linguaggio di quella che mi sembra l’espressione più “popolare” del raccontare ad episodi, ossia la sit-commedy televisiva.
Ne è nato un vero e proprio nuovo genere narrativo che ho definito WEB-COMMEDY.
Ma l’aspetto più soddisfacente di questa esperienza è stato il seguire la nascita di una vera e propria community, un salotto letterario virtuale all’interno del quale la differenza tra autore e lettore si restringeva fino a vivere attivamente nello stesso spazio e far diventare l’episodio di turno pretesto, punto di partenza di dibattiti e scambi di idee.
La straordinaria ricettività dei lettori, che ho coinvolto con giochi interattivi, concorsi e sondaggi a latere della pubblicazione dei vari episodi mi ha poi spinta a tentare anche la via della carta stampata, e così il blog è diventato libro.
Adesso vi regalo la QUARTA DI COPERTINA e vi invito alla fan-page di FB.
L’inevitabile succedersi di eventi, più o meno catastrofici, sempre comici, nelle vite parallele di un ragazzo e una ragazza alle prese con le proprie aspirazioni, imprevisti, stoccate e affondi del tempo presente. Ilaria sogna di fare la hostess, ma non è certo una modella; alle sue spalle il dolce peso di una famiglia-tribù coloratissima – fantastica la nonna, le grezze perle di saggezza che snocciola in dialetto, i nonsense dovuti alla sua sordità – grottescamente radicata nelle tradizioni del sud ma sempre allegra, scanzonata, solidale; alla sua porta le insistenti avance di Francesco Maria Florio, ricco erede di una famiglia bene ma privo del benché minimo sex appeal… Simone è un insicuro, che si ritrova – ma non sogna di essere – un agente immobiliare di dubbie capacità; alle sue spalle una singolarissima coppia gay che gli fa da famiglia – esilarante la “mamma”, Rosario, un ballerino di musica latinoamericana estremamente vulnerabile – accudendolo e cullandolo quasi fosse un eterno bambino; alla sua porta un giorno bussa il successo, ma a che prezzo… Una storia divertentissima, una sit-com che fa dei piccoli drammi della vita occasioni di irresistibile ilarità.
Fan- page:
http://www.facebook.com/#!/pages/Una-vita-quasi-normale-Anzi-due/133999436627890?ref=sgm
È noto che la pubblicità e l’ironia sono vicini di casa, e se la pubblicità si accorgesse di essere involontariamente auto-ironica, nel suo rapporto con la verità, pubblicità e ironia potrebbero diventare addirittura amici…
@Vajmax: ahi ahi ahi che bacchettata! Mi metto in ginocchio sui ceci o puoi perdonare il post autorizzato dal proprietario del blog? 🙂
Ecco un esemplare (non nel senso di animalità) dimostrazione di come la malevolenza si affanni a utilizzare il sarcasmo, travestito da ironia, per avanzare pretese ostentando conoscenze e raccomandazioni improprie, dal momento che io non ho denunciato nient’altro che un opportunismo mascherato da ironia assente…
Chi mai potrebbe credere che un’autrice che si proclama e acclama come ironica… si pubblicizzi senza una pur minima vena d’ironia nel suo spot?
Se io volessi, eD io non voglia, pubblicizzare il mio cattivo gusto, scriverei qualcosa del tipo:
A Cana, in Galilea, ci fu uno sposalizio, e Maria fu invitata, insieme a Gesù e ai suoi discepoli.
I bagordi al tavolo nuziale erano, fin lì, stati intensi, e la marijuana era finita. La madre di Gesù chiamò il figlio e glielo disse:—L’erba è finita—
Gesù rispose:—Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora—
—See… se aspettiamo che ti decidi tu, a salvare il mondo, fa in tempo a venire l’Apocalisse— disse lei, con una sottile venatura di sarcasmo
—Ti avessi chiesto del vino il miracolo me l’avresti fatto senza discutere— aggiunse ancora, leggermente indispettita
—Vedi donna… se io ora moltiplicassi la marijuana fra duemila anni ci sarebbe un popolo di fricchettoni, in giro per il mondo, a suonare e fumare senza sosta
—E sai di quanti incidenti d’auto mi incolperebbero?—…
Ma se volessi, e stavolta voglio, mostrare a che bassezze può giungere il gelo interiore dell’insensibilità, lo farei così:
Cristo… che opportunista…
—E vattene via… mosca di merda… ché non bastano li romani?
Cosa mi è venuto in mente di prendere al volo sta opportunità?
Vatti a fidare degli annunci pubblicitari, anche se non si può dire che mentivano del tutto:
—Ottima vista su Gerusalemme
—Aria buona e nessuna casa vicina
—Struttura in legno massiccio
—Bagno esterno
—Vigilanza continua
—Ideale per meditare sull’esistenza… —
“…esemplare (non nel senso di animalità) dimostrazione di come la malevolenza si affanni a utilizzare il sarcasmo, travestito da ironia, per avanzare pretese ostentando conoscenze e raccomandazioni improprie…” e via dicendo è la critica più tagliente che abbia mai ricevuto da un non lettore certificato (del mio romanzo intendo). Sentitamente ringrazio.
Il mio intervento, mi par di capire, ha turbato la tua sensibilità ( e si evince dalle parole che mi riservi quanto tu sia sensibile).
Ma dato che tu stesso scrivi: ” L’atteggiamento ironico ostenta una superiorità intellettuale che non si dovrebbe mai atteggiare, per questo si affida all’ironia che mette l’interlocutore in inferiorità, obbligandolo a essere ironico a propria volta per potersi difendere.”; io mi permetto di difendermi, perchè se è vero che “(…) L’ironia è messa peggio di una cane, perché quello prima o poi si prende un calcio che gli rompe il cerchio imponendogli una retta, mentre se si vuole mollare una pedata all’atteggiamento ironico non c’è altro mezzo diverso dall’atteggiamento ironico.” allora penso che per sottrarti a questo circolo vizioso che ti costringe ad attattacare, ironicamente s’intende, l’intorlocutore, questo calcio (metaforico è ovvio) te lo do io, e ti libero dal giogo.
Tua autrice che si proclama e acclama come ironica.
L’ironia, e a seguire pure il sarcasmo, in sé non sono complici dell’intelligenza, ma è l’intelligenza che cerca la loro testimonianza per poter dire, in breve, cose che avrebbero necessità di troppe parole. La caratteristica che differenzia una considerazione ironica da un’altra soltanto avvelenata, sta proprio non non essere trascinata nel coinvolgimento emotivo. L’ironia è distaccata, e ricama attorno alle situazioni da smascherare, non seziona con l’accetta del risentimento. Mai l’ironia esprime rabbia e neppure si lascia guidare dall’orgoglio. Non ne ha bisogno, perché solo attraverso la superiorità intellettuale riesce a essere efficace, altrimenti relegherebbe se stessa nel recinto della frustrazione tipica della debolezza. L’ironia non può concedersi debolezze, nessun debole avrebbe la forza di scostare il velo col quale l’inadeguatezza di un’intelligenza tenta di darsi contegno ed equilibrio… saltellando su una sola gamba.
Perfettamente allineata con questa considerazione. Ma, secondo me, l’ironia va di pari passo con il senso dell’umorismo. Non la facile battuta da risata sguaiata, ma il soriso un po’ storto di chi sente il touché, saluta e ringrazia l'”avversario”, ritorna in posiziona e riparte come nulla fosse.
Non si può ripartire come se niente fosse, quando si è stati appena considerati un bersaglio che, magari, è stato pure centrato… Si deve, invece, avanzare senza tentennare, felici di poter mostrare che, dalla ferita, sgorga il sangue blu che distingue chi, pisciando controvento, tiene le gambe divaricate.
È interessante notare che il pisciare controvento di un maschio è simmetricamente contrario alla stessa manovra eseguita da una femmina, così che al maschio si bagnano le tibie, mentre alla femmina i polpacci. Il Padre Eterno le ha pensate proprio tutte, per contrapporre i due generi senza dare loro la minima possibilità di scampo.
Mi prmetto di far notare che per la donna cosa si bagnerà dipende da dove e come soffia il vento, e anche se non soffia il pericolo piedi è sempre in agguato.
Il buon Signore ha avuto un occhio di riguardo per gli uomini, che almeno in assenza di vento hanno la possibilità di dirigere il getto.
Avevo specificato con il vento contrario, il che indica un vento a sfavore, come in atletica. Anche qui c’è un’inversione, perché se il vento soffia frontalmente per l’uomo, in questo suo essere sfavorevole alla pisciata, soffierà sulla schiena della donna accucciata quando è da ritenersi a lei sfarorevole. Questa scienza si è affinata sulle barche a vela, e costituisce materia d’esame per la patente nautica. Per questo quando si vede sfrecciare una di queste magnifiche imbarcazioni si può essere certi che il timoniere che non ha studiato ha i calzoni bagnati e dà la colpa alle onde anomale.
@ Eva e Vajmax
Questi vostri commenti, più che ironici mi sembrano… “orinici”.
Inviterei a essere un po’ più asciutti.
@ Vajmax
Scherzi a parte, ho invitato io Eva Ricciuti a intervenire qui per parlarci del suo libro (dopo che mi aveva inviato una mail molto carina).
Letteratitudine è un blog basato sull’accoglienza (del resto, anche tu Vajmax sei stato accolto a braccia aperte): http://letteratitudine.blog.kataweb.it/category/aaa-nota-legale/
Direi, dunque, di continuiare a ironizzare senza polemizzare (né “orinizzare”).
😉
–
P.s. ho inviato una mail sia a Eva (che mi già risposto), sia a te Vajmax
🙂
🙂
M’era scappato il nome sarcastico…sorry!
Ci tocca ironizzare sulla morte e lo facciamo volentieri postando un articolo riveduto e corretto da poco pubblicato nella Pagina Autori di napolimisteriosa; è qui:
http://napolimisteriosa-autori.blogspot.com/2010/12/alessia-e-michela-orlando-la-morte.html
MORIRE UCCISI: POTREBBE MAI ESSERE ACCETTABILE?
Vorremmo essere originali. E dunque la prendiamo alla lontana. Facciamo l’ipotesi che un giorno si scoprano particolari allucinanti sul cervello dei cercopitechi e delle balene, e che i giornali la raccontino più o meno così:
Quelli la sapevano lunga e non ce ne siamo mai accorti. Sapendo che noi esseri umani siamo una banda di fetenti, ogni qualvolta hanno lanciato un cocco, spaccandoci la testa, oppure colpito con la coda la barchetta facendoci affogare, lo facevano deliberatamente: volevano la nostra morte! Ebbene, siccome i reati, se non è ancora decorso il tempo dettato da norme sacrosanti, ancora non sono prescritti, ne chiediamo la condanna a morte.
Facciamo anche un’altra ipotesi: la condanna a morte viene comminata e, finalmente, eseguita. Giacché sappiamo che il cervello di quegli animali, stavolta fetenti quanto noi, è organizzato come il nostro, si tratta di un omicidio oppure no?
A questo punto potrebbero essere chiamati a esprimere un parere anche i linguisti, che forse ci direbbero: Il termine omicidio deriva da una lingua che se non è ancora deceduta poco ci manca e voi venite a parlare di omicidio e morte proprio a noi?
Vi è chi, a questo punto, non si chiederebbe: Ma che dice questo? Qual è, onde si trova il nesso?
Beh, forse c’è; cerchiamolo: è vero che omicidio deriva dall’unione del vocabolo homo, uomo sicuramente, ma non certo sant’uomo, con il vocabolo cidium, che ha, senza tentennamenti, a che fare con la morte. Con una lingua un po’ più viva, ma neppure tanto, il senso sarebbe: uccidere un uomo per mezzo di un altro uomo.
Questo ci manda in bestia giacché ci confonde le idee rispetto alle ipotesi precedenti. Sarebbe forse più esatto dire balenicidio e cercopedicio?
E le balene che si spiaggiano, ammesso lo facciano volontariamente, si suicidano oppure no?
E il cercopiteco che si lancia da un ramo, lasciandosi andare per impattare il suolo, dove inevitabilmente e con gioia malcelata si spiaccica generando quel noto rumore da corpo che quasi esplode, muore suicida oppure no?
Altri spiegano severamente e con non poca saccenza: l’omicidio è la soppressione di una vita umana a opera di un altro essere umano.
Chiaramente, rendendosi conto che è un po’ poco, aprono il codice e leggono: Può essere volontario o colposo…dipende dalla volontà: ovvero se si sia consumato con intenzionalità dal soggetto che lo pone in essere oppure no.
Andando sempre più in profondità, il termine omicidio per gli italiani è sinonimo di assassinio.
Ebbene, chi volesse approfondire impiegherebbe un attimo a capire che in altri ordinamenti giuridici questo termine indica una fattispecie diversa e più grave: vi rientrano, infatti, i casi di omicidio volontario premeditato. Così è, ad esempio, in Francia: con il termine assasinat si indica proprio questo ultimo caso.
Altra ipotesi: e se un uomo uccide un altro uomo in guerra è o non è un assassinio?
E nel caso della legittima difesa?
E nel caso della cosiddetta legittima difesa putativa, cioè quando temi che stanno per farti male e ti difendi togliendo la vita a un altro uomo ma ti sbagliavi, visto che quello voleva solo accarezzarti di sorpresa?
E i sacrifici umani in onore di una o più divinità erano o no omicidi?
E il dio che ti fulmina quando pecchi è un assassino oppure no?
E in questo ultimo caso, siamo di fronte a un parricidio se si scopre che tu hai dato vita al dio che ti ammazza, avendo il bisogno di sentirti protetto?
E il bel tomo che se la fa con la bambola gonfiabile, nell’ipotesi in cui venga preso da un raptus sado-maso e la martirizzi sparando velocemente con le dita nervose una selva di spilli sulle chiappe, la sta ammazzando oppure no? E quando si sarà sgonfiata irrimediabilmente, sarà arrestato dal poliziotto sopraggiunto mentre gli stava infilando tra le pieghe color carne l’ultimo spillo per averlo, dunque, colto in flagranza di reato?
La faccenda si complicherebbe se volessimo approfondire altre ipotesi alla luce della inseminazione artificiale: si potrebbe definire l’omicidio dell’uomo, che non ti ha cresciuto e neppure ha partecipato alla inseminazione in maniera naturale, come parricidio?
Proseguendo ancora su questa strada: ci potremmo trovare di fronte a casi di uxoricidio se a perdere la vita sia una donna, ma non si è sposati ed essendo ancora inoperativi i cosiddetti PACS?
Per non dire delle ipotesi di fratricidio che, in una situazione da bailamme familiare, sono del tutto improponibili. E, per finire, quando qualcuno viene ucciso …
Alleggerendo un po’ le argomentazioni e narrando di una ipotesi che si è verificata da poco, come si può leggere sulla carta stampata e nel web:
questo due dicembre appena trascorso, a Celebration, in Florida, cittadina nata da una idea di Walt Disney, fondata poi nel 1996, noto luogo in cui tutto appare calmo e pacifico, destinato al divertimento, è stato ammazzato Matteo Giovanditto. Lo hanno trovato morto in cucina, dopo alcuni giorni di vane ricerche. Gli è stata tolta la vita durante il weekend per la festa del Ringraziamento.
Ebbene, per questa ipotesi, che ha creato un allarme ancora più eclatante di qualsiasi omicidio perpetrato sulla faccia della terra, giacché non era mai successa una cosa così grave in quel luogo creato per il divertimento, si potrebbe coniare un neologismo capace di dire in maniera più potente quel che non basta a dire con le parole consuete? Si potrà immaginare un nuovo termine, più grave, di omicidio e assassinio, senza scadere in una visione filmica hollywoodiana?
Ci farebbe piacere avere qualche risposta, potrebbe bastarne una proveniente dal nostro subconscio, giacché il prossimo giorno sedici torneremo a lavorare per Disney. Anche se si tratta di Euro Disney, qualche preoccupazione si affaccia nel panorama della nostra mente, malgrado si sappia, ne siamo certe, di non essere coinvolte in una trama da film giallo.
Alessia e Michela
Vogliamo esagerare: in una recentissima videoconferenza con una televisione campana, il giornalista, a proposito di una nostra mostra fotografica ancora installata a Bologna, ci ha chiesto: “…ma come mai non avete fotografato nulla nel terremoto del novembre 1980?”.
Ci siamo guardate e l’abbiamo detto: “Perché nascemmo nel 1985.”
Giacché tutto è accaduto durante la celebrazione del trentennale (passato quasi inosservato), abbiamo deciso di scrivere 125 parole, immaginando un prima e un dopo terremoto, nonché dei protagonisti abbastanza spiazzanti:
…L’amante che insegue le gioie della bellezza effimera
Alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano
Maffeo Barberini
PRIMA DELLA DISTRUZIONE
La stanza, quasi vuota, si esibisce rasentando la pornografica voluttà delle lenzuola di seta nera, prima che due corpi nudi vi si depongano lascivamente; se fosse dotata di cervello potrebbe dire che se ne sta immobile per meglio ostentare l’attesa, prima di essere riempita da mobilio e suppellettili di pregio. Intanto mostra solo una urna cineraria in primo piano e sulla parete lo schermo del televisore che annuncia: arrivederci a domani sera con la soap opera La fine di Marco Antonio, re di altri mondi.
È tutto qui: non c’è altro, prima che il terremoto ripristini la bellezza estatica dominata dalla natura.
E finiamo con:
PER RICORDARE L’ESTATE, al fine di dire in controluce come si possa leggere scrittura ritenuta seria e addirittura sceintifica (o presunta tale) permeandola di un velo ironico.
Sembra sia passato un secolo, eppure si è solo agli inizi di dicembre. Chissà se ci sia un italiano che avverta ancora la salsedine sulla pelle, o che possa ancora ammirare quel velo di abbronzatura naturale sul volto dell’amante, davanti allo sguardo indiscreto dell’altro, il coniuge che intuisce qualcosa e non lo vuole ammettere…fino a che qualcuno gli dirà: Ma come, non sia nulla? Sei l’unico a non saperlo. Sei cornuto!
Chissà se la stessa persona avrà patito di più meteoropaticamente soffrendo o per il brivido gelido che gli ha percorso la schiena nel penoso frangente. Pare che nel primo caso (meteoropatia) tra i sintomi ci siano: generico nervosismo, irritabilità, insonnia, apatia, depressione…
Nel secondo caso (essere cornuti) al di là della sensazione di una lieve pesantezza di testa non si dovrebbe andare. Non è, dunque, meglio essere cornuti? Non si può forse giusto pensare che era una follia ritenere non punibile chi ammazzava avendo colto la fedifraga con le mani nella marmellata, sul fatto, insomma?
Sperando che qualcuno voglia prendersi la briga di andare a ricercare su quel libro di avanguardia che fu Pensiero e meteore, scritto da Cesare Lombroso, con cui documentò i rapporti tra i fenomeni meteorologi e alcune manifestazioni umane come l’omicidio, l’alienazione e la genialità (pare che, dopo un secolo dalla pubblicazione di quel libro, sia stata individuata una correlazione tra le fasi lunari, il comportamento aggressivo, i suicidi e gli omicidi; e che si sia accertato che la percentuale di delitti nei giorni di luna piena è più elevata) per favorire il ricordo dell’estate, in attesa che giunga la prossima, si consiglia la lettura di una poesia di Alfonso Gatto. Potrà magari servire a ridurre la gravità dei sintomi. D’altronde, non è certamente utile dedicarsi alla lettura invece di dar peso ai tradimenti?
Arietta settembrina
Ritornerà sul mare
la dolcezza dei venti
a schiuder le acque chiare
nel verde delle correnti.
Al porto sul veliero
di carrube l’ estate
imbruna, resta nero
il cane delle sassate.
S’ addorme la campagna
di limoni e d’ arena
nel canto che si lagna
monotono di pena.
Così prossima al mondo
dei gracili segni,
tu riposi nel fondo
della dolcezza che spegni.
Ancora sulla morte, per giuoco…
SGUARDI E GIOCHI, DIFESE E ATTACCHI
Non abbiamo mai voluto imparare a giocare a scacchi. I vari manuali messi a bella posta nelle varie librerie di casa e adagiati quasi a caso una volta in un luogo e, stranamente, qualche giorno dopo altrove, li abbiamo guardati con sguardo torvo.
Le poche volte che li abbiamo sfogliati sono bastate a comprendere che non si può essere amici con l’avversario di turno: uno deve battere l’altro. Eppure i due contendenti, seppure debbano essere coraggiosi nell’affrontare la battaglia sanguinolenta, sanno, lo sanno ogni volta, che l’esito più ovvio sarebbe la patta. Si soccombe sempre e solo giacché uno dei due commette almeno un errore e l’altro proditoriamente ne approfitta. Si può immaginare il più ingenuo dei due fulminare l’altro con lo sguardo quando si accorge dell’errore, ma non crediamo che desideri la sua morte, altrimenti la falcidie lo isolerebbe: con chi potrebbe poi giocare, se ogni volta qualcuno ci lasciasse la pelle? A tal proposito, sguardi fulminanti e non solo, va ricordato le tante volte in cui qualcuno si è sottratto allo sguardo dell’altro sospettando il rischio di una fascinazione ipnotica, tipo quella che innesta il portierone di calcio quando scruta l’avversario pronto a calciare il rigore. Ogni qualvolta si sbaglia il commentatore lo dice con enfasi; e il portiere ha immancabilmente ipnotizzato l’attaccante!
Si sfugge a questo meccanismo qualora si personalizzino i vari pezzi disposti geometricamente sulla scacchiere. Lo ricordiamo, infatti, in una delle ultime pagine di un manualetto per principianti (stadio già superiore al nostro): La partita di scacchi è stata paragonata allo scontro di due eserciti; se uno dei due commette qualche sciocchezza, sarà facile batterlo, ma altrimenti è necessario, per vincere, impiegare tutti i pezzi fino al limite delle loro possibilità.
Noi li immaginiamo questi benedetti pezzi madidi, stremati, eppure infreddoliti, come fossero dotati di vita propria. I giocatori, invece, rilassati e turbati certamente, a dire dai lievi tremori delle dita e del nervoso movimento della punta dei piedi, ma in ogni caso a loro agio, in un ambiente riscaldato o raffreddato al punto giusto.
Tutto sommato è un bene che quei pezzi, dalla Regina alla Torre, passando per Pedoni, Cavalli, Alfieri e Re, si sopravvalitino e non sappiano che anche se vi fosse lo strapotere di un giocatore per la perdita di gran parte dei pezzi dell’altro, costui la guerra la potrebbe ancora perdere: basterebbe l’impiego di una bombetta atomica o qualche altra diavoleria batterica.
C’è un “sopravvalitino”, con quella I di idota in bella mostra, la prima, messa lì al posto della U, che rende bene la fretta con cui solitamente digitiamo. Hai voglia di dirti che, essendo la I collocata accanto alla U, sulla tastiera a tutti presente, gli stessi tutti capiranno che è stato un errore di digitazione…
E’ come dire che se sbatti contro un muro giacché hai cpmmesso un errore di parallasse, fa nulla…
Oppure, così come accadeva a Totò: ti prendono a sberle avendoti scambiato con un altro…
Insomma: è troppo grave, iammo ia…
Ciao Vaimax, dovunque tu sia.
Non ridevo così da un bel po’ di tempo, leggendo per caso quello che hai scritto. Grazie.
L’ironia può essere una buona azione. L’autoironia può essere sfibrante. Roba da eroi.
Mi ti immagino a Sparta, anno 480 a.C. circa, Termopili. Si ride prima dell’ultima battaglia.
Ciao 🙂
(Vaimax: Il blog che hai richiesto e’ stato cancellato, oppure l’indirizzo che hai digitato non e’ corretto.)
Cari amici,
come ho scritto sul post… sono molto lieto di riaprire questo spazio dedicato alla “letteratura dell’ironia” ospitando nuovamente Pino Imperatore (Re dell’humour-lab partenopeo), già presente in questo forum con altri suoi libri.
Stavolta l’occasione dell’incontro la fornisce la recente pubblicazione del suo nuovo libro pubblicato dalla Giunti e intitolato “Benvenuti in casa Esposito“: un romanzo che, tra le altre cose, sta riscontrando un grande successo editoriale.
Si tratta della storia che racconta “le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista”… la famiglia Esposito, appunto.
(Ecco la scheda del libro).
–
Il rione Sanità, dove è nato il principe della risata Totò, è uno dei più affascinanti e misteriosi di Napoli. Qui vive, con la sua famiglia allargata, Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra. Tonino riceve dal clan un sussidio mensile e potrebbe vivere di rendita. Invece si intestardisce a voler imitare le gesta paterne, senza riuscirvi. Perché è goffo, sfigato, arruffone, incapace di difendersi: un antieroe tragicomico, che tra incubi e visioni, ingenuità e imbranataggini, ne combina di tutti i colori.
Uno spaccato divertente e allo stesso tempo crudele della Napoli contemporanea, città dalle mille contraddizioni e dalle tante difficoltà, capace però di non perdere mai la speranza in un futuro migliore.
Sul post ho riproposta la bella recensione di Ciro Paglia (pubblicata su “Il Corriere Nazionale”, nell’inserto “Scritture&Pensieri” curato da Stefania Nardini).
Ne approfitto, in questa sede, per ringraziare Ciro e Stefania per avermi autorizzato a riprodurre la suddetta recensione.
Avremo modo di discutere con Pino Imperatore di questo suo nuovo libro, ma – contestualmente – ne approfitterei per “allargare” le prospettive di dibattito sulla base delle seguenti domande che pongo…
– In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?
– Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?
– Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?
– Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?
Aspetto i vostri interventi.
Intanto, ne approfitto per augurare a tutti una serena notte.
Dico solo che per me ironia e’ sinonimo di intelligenza. Complimenti a Pino Imperatore.
Molto interessante questo argomento. Ecco, questa affermazione potrebbe esser presa come ironica. Chi lo può dire? Nessuno, e questo è come funziona l’ironia, ci vuole sempre un margine di incertezza, per questo parlare dell’ironia, spiegarla, la depotenzia. Basta pensare all’ironia fatta per posta elettronica o per post: occorrono gli emoticon, ma se ti devo avvertire che ciò che sto dicendo lo dico in senso ironico allora cessa l’ironia, che un’arma di offesa, non dimentichiamocelo. Non è detto che l’ironia faccia ridere, basta pensare alle “magnifiche sorti e progressive” e a Dostojievsky. Non ho letto il libro di Imperatore (anche come cognome è abbastanza ironico), ora lo leggerò, ma da quello che se ne dice anche in questo blog mi pare si vada sul comico. Ma non so, comunque sono temi veramente molto interessanti e ora mi leggerò tutti i post precedenti.
Io penso che nei periodi di difficoltà l’ironia ci salva la vita. E non e’ solo un modo di dire. Parlo di ironia “intelligente”, ovviamente. Non di comicità demenziale.
Questo libro di Pino Imperatore mi incuriosisce. Parlare di camorra con ironia non deve essere facile. Anzi, operazione molto rischiosa direi.
buongiorno. interessante il libro di imperatore. ne ho sentito parlare bene. l’ironia, quella buona, e’ come uno schiaffo che ti fa ridere e piangere al tempo stesso.
vado in giro tra i tavoli, in attesa dei commenti degli altri.
Egregio dottor Maugeri,
grazie per questa ventata di sollievo. Ci voleva. Tempi duri, questi. E sorridere accussì, per un boss sgangherato che una volta tanto fa cilecca, ci fa davvero sperare.
E poi…che trovata, che ribaltamento del luogo comune, che meravigliosa idea del contrario!
Non sono certo io a dirlo per primo quanto l’ironia si basi sul senso del contrario, ma certo…arrivare a tanto, a un malavitoso che tenta – senza riuscirci – di riprendere le gesta paterne…
Complimenti assai.
E siccome noi siciliani di mafiosi e camorristi ci intendiamo, mi consenta un plauso da concittadino al bravissimo Pino Imperatore.
Vostro
Professor Emilio
Caro Massimo, buongiorno a te, a tutti ed a Pino Imperatore in particolare. Devo dire che l’altro giorno avevo visto questo suo libro disposto in “bella pila” in libreria. La copertina mi ha guardato sottecchi, con fare ammiccante. Domani, quando tornerò in libreria, io e la copertina torneremo a guardarci. E stavolta comprerò il libro.
Scusate l’ironia da quattro soldi. Provo a rispondere alle domande.
In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?
Mi è venuta in mente quest’idea. L’ironia, nel senso in cui la intendiamo, riferita nella fattispecie a questo libro, è come uno specchio. Ti mette in evidenza i difetti invitando a riderci sopra. Ma mentre ci ridi, ti dispiaci del difetto. Ti addolori. Vorresti che non ci fosse
Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?
Dovrebbe essere molto arguta. Intelligente.
Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?
Dovrebbe evitare di scadere nella comicità tout court o nella banalità. Capisco che possa essere meno facile di quanto possa sembrare.
Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?
Dipende. Difficile dirlo. Credo che dipenda da ciascuno di noi. Temo, purtroppo, che per molti il cambiamento possa risultare “utopico”.
Ciao a tutti.
Ciao, Massimo, grazie di cuore! Un caro saluto a tutti!
Parlare di camorra utilizzando la cifra stilistica che mi è più congeniale – quella comico-umoristica – era una sfida difficile. Io ci ho tentato, e i risultati mi stanno dando ragione. Non tanto per il successo editoriale, che conta relativamente, ma per il fatto che tanti, tantissimi lettori che sto incontrando alle presentazioni e che mi scrivono da ogni parte d’Italia hanno riconosciuto il valore di denuncia del romanzo. Vari istituti scolastici lo stanno adottando, molti ragazzi mi ringraziano per averli aiutati a capire una tematica così scottante, ed ho in programma incontri con associazioni impegnate nella lotta per la Legalità.
Questo erano i regali più belli che potessi ricevere, e ne sono super felice.
l’intervento di pino imperatore mi sembra particolarmente significativo. ironizzare sulla criminalità organizzata per stigmatizzarla. può essere un modo nuovo ed efficace per sensibilizzare i giovani in particolare.
ottimo.
come forma alternativa di letteratura anti crimine organizzato mi viene in mente la graphic novel di manfredi giffone pubblicata da einaudi di cui abbiamo parlato proprio in questo blog.
Credo che uno dei motivi di successo del libro sia la voglia di leggerezza che serpeggia nell’aria. Viviamo momenti difficili. Forse abbiamo bisogno di ridere o di sorridere di noi stessi e dei nostri mali.
@ filippo
si dice che con una risata si vive meglio. questo e’ innegabile. certo, dubito fortemente che certi mali si possano sconfiggere con una sonora risata, ma di certo aiuta a prenderne consapevolezza. il che non e’ poco.
Salve a tutti. Ed allo scrittore Pino Imperatore in particolare, a cui vanno i miei complimenti e gli in bocca al lupo (evito, scaramanticamente, gli auguri). “Benvenuti in casa Esposito” è un libro che viene voglia di leggere. E qui mi inserisco facendo da sponda ai post degli altri intervenuti.
Saluti anche a Massimo. Lodevole l’intuizione del forum: letteratura dell’ironia.
Tempo fa ho letto su Repubblica un articolo di taglio “scientifico” sul fatto che “ridere è la migliore medicina”… cioè ridere “aiuta a sopportare il dolore”.
Per gli scienziati è una questione fisica: lo sforzo fisico ci lascia esausti, innescando il rilascio di endorfine, sostanze analgesiche prodotte dal cervello.
Ora, questo vale per le risate in senso canonico. Ma se un romanzo riesce a farci ridere, perché non dovrebbe valere lo stesso principio.
Posto qualche passaggio dell’articolo di Repubblica, scritto da Alessia Manfredi, che mi ero conservata in file word.
Una risata fra amici fa sentire meglio, regala una dose di buon umore immediata influendo sullo stato di benessere generale. Più forte è, più è contagiosa: niente di più facile da osservare, basta guardarsi intorno, cominciando dai bambini. Se i benefici del riso e i suoi aspetti terapeutici sono ormai ben documentati capire come ciò accada rimane invece più sfuggente.
Ora uno studio britannico suggerisce che ridere di gusto aiuti davvero a sopportare meglio il dolore. E’ una questione puramente fisica, spiegano il professor Robin Dunbar, a capo dell’istituto di antropologia sociale e culturale dell’università di Oxford, e colleghi, su Proceedings of the Royal Society B : quando ci coglie un attacco di riso di quelli sguaiati, che fanno quasi star male, lo sforzo fisico ci lascia esausti, innescando il rilascio delle preziose endorfine, sostanze analgesiche prodotte dal cervello che hanno proprietà simili a quelle della morfina e dell’oppio. Vero, osservano gli scienziati, a patto che non ci si limiti ad un timido sorriso, ma si ceda allo “sbellicamento”.
In quest’ultimo caso, spiegano gli scienziati, si producono una serie di esalazioni senza inspirare, meccanismo involontario, limitato all’uomo, che facilita il rilascio degli ormoni del benessere. Il fatto che solo questo tipo di risata “di pancia” scateni la produzione di endorfine è probabilmente il risultato dell’evoluzione, che ha favorito la socializzazione nell’uomo: altre ricerche, ricordano gli scienziati, hanno già dimostrato che si ride molto più spesso – fino a 30 volte di più – in compagnia che non da soli.
A trasformare il buonumore in una medicina basta poco: è sufficiente guardare un programma comico in tv per 15 minuti a fare la differenza, hanno osservato Dunbar e colleghi. Che, in diversi esperimenti, hanno studiato le reazioni di gruppi di volontari cui venivano mostrate clip da Friends o dai Simpson, o spettacoli comici dal vivo, o che invece guardavano materiale neutrale, come programmi naturalistici o di golf.
Il loro livello di tolleranza al dolore è stato misurato prima e dopo, usando diversi stimoli. Col risultato che chi era scoppiato a ridere in compagnia guardando i video comici ha mostrato una tolleranza al dolore di circa dieci volte superiore rispetto agli altri. E gli scienziati hanno escluso che ciò dipendesse da un generale senso di benessere, attribuendolo invece all’atto della risata in sé.
Ridere è un meccanismo precoce di socializzazione e agisce come altre attività di gruppo – musica, danza o ballo – che allo stesso modo creano stati euforici, ugualmente collegabili, secondo alcuni studi, alla produzione di endorfine.
Volevo chiedere a Pino Imperatore, cosa pensa di questi pezzi di presi dall’articolo di Repubblica?
Questi principi possono valere anche per la letteratura dell’ironia?
Cari amici, vi ringrazio per i commenti rilasciati. Come sempre, ne approfitto per salutarvi.
Un caro saluto a: Annalisa, Lia, Giacomo Tessani, prof. Emilio, Amelia Corsi, Filippo, Margherita.
Un saluto e un ringraziamento speciale a Francesco Recami (benvenuto a Letteratitudine!), autore de “La casa di ringhiera” (Sellerio, 2011) e di altri libri (quasi tutti pubblicati da Sellerio): http://www.ibs.it/libri/recami+francesco/libri+di+francesco+recami.html
Grazie per il tuo commento, Francesco.
@ Pino Imperatore
Grazie per questo tuo primo intervento, caro Pino.
Mi sembra importantissimo, l’interesse mostrato nei confronti di questo tuo libro da parte degli istituti scolastici e delle associazioni impegnate nella lotta per la legalità…
@ Pino Imperatore
Caro Pino, ne approfitto per porti una mia domanda “classica” relativa alla genesi del libro.
Come nasce “Benvenuti in casa Esposito?
Quale “molla” ha fatto scattare l’idea?
Inoltre, caro Pino, (se hai tempo e voglia di farlo) ti chiederei di rispondere alle “domande del post” ispirate dal tuo libro.
Le ricopio di seguito…
–
– In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?
–
– Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?
–
– Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?
–
– Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?
Ovviamente le suddette domande sono ri-proposte per tutti.
Mi sembrano molto interessant anche i contributi che ci ha inviato Margherita (grazie!), a proposito del rapporto tra il “ridere” e la salute.
Quei “princìpii” sono applicabili anche alla “letteratura dell’ironia”, si domanda (e ci domanda) Margherita?
Per oggi chiudo qui, augurando una buona serata e una serena notte a tutti.
Bravissimo Imperatore! Questa capacità di far ridere a partire dal ribaltamento di una situazione di apparente forza è geniale e affonda le radici nella commedia di Plauto.
L’intreccio tipico di ogni commedia plautina è infatti sempre riconducibile alla lotta per il possesso di un bene (soldi o donne); lotta che, normalmente, vede la vittoria del rivale giovane sul più anziano.
Tuttavia la chiave della comicità di Plauto risiede nel fatto che spesso a vincere sono servi e schiavi, che attraverso mille astuzie riescono infine ad ottenere quanto cercano. La Sorte (Tyché) ha in questo una grande parte, poiché è grazie ad essa che, alla fine, i servi riescono a ribaltare una situazione apparentemente contro di essi. Ed è sempre grazie alla Sorte che il servo riesce a mettere in luce le grandi ingiustizie patite in precedenza, cioè la disonestà della situazione normalmente accettata e vissuta dal popolo minuto.
Dunque una situazione di forza viene rovesciata da una tipica situazione di debolezza…
Bravissimo anche a te, caro Massimo!
Caro Massimo e cari amici, credo che nella postfazione del mio libro ci siano le risposte a gran parte delle vostre curiosità e dei vostri quesiti. La pubblico di seguito.
«Cu ’a camorra nun se pazzeja». Con la camorra non si scherza.
Quante volte ho sentito questa affermazione. Insieme a un’altra,
più perentoria e inquietante: «’A camorra nun pazzeja». La
camorra non scherza.
Chi è integrato in un contesto criminale ed è ossessionato
dall’idea di procurarsi denaro e favori con metodi illegali e
violenti, ha poco tempo per pazziare. Il suo comportamento è
in prevalenza serioso, arrogante, brutale. Se ride, ride in modo
beffardo, con malignità e sarcasmo. Con un ghigno.
Ma un camorrista è pur sempre una persona. È un essere
umano, anche se spesso lo dimentica e si trasforma in belva.
Possibile che non riesca ad apprezzare il valore di un sorriso o
di un atto di bontà? Questa è stata la prima domanda che mi
sono posto quando ho iniziato a plasmare gli Esposito.
Poi di domande ne sono arrivate tante altre. Può un componente
della camorra essere vittima della camorra stessa? Se
è un perdente, fino a che punto gli è consentito di far parte di
un clan malavitoso? È capace di avere dei sentimenti, di amare,
provare serenità, vivere momenti felici? Che cosa fa nella
vita quotidiana? Va in vacanza e a fare la spesa, ha frequentazioni
e amicizie, conduce una vita normale? Come agisce
nella rete sociale che lo circonda? Come si comportano i suoi
parenti? Nel suo nucleo familiare ci sono voci di dissenso?
La storia degli Esposito ruota principalmente attorno a questi
interrogativi. Nel libro sono confluite, sia in modo consapevole
che inconscio, le mie numerose curiosità. L’ho scritto come
se fossi in trance, muovendomi tra il passato e il presente, alla
ricerca di risposte esaurienti. Pensavo di poter trovare conforto
nella tradizione, nei grandi autori e attori comici partenopei:
Totò, Massimo Troisi, i fratelli De Filippo, Antonio Petito,
Eduardo Scarpetta, Raffaele Viviani, Nino Taranto, i Giuffrè.
Niente da fare. Nelle loro opere compaiono malviventi e fuorilegge,
ma si tratta di “guappuncielli” (elementi secondari della manovalanza
criminale), “guappi di cartone” (delinquentucci senza
consistenza) o “guappi d’onore”, come il don Antonio Barracano
della commedia “Il sindaco del rione Sanità” di Eduardo. Poco a
che vedere con i camorristi e con la camorra, che pure hanno
un vissuto antico e radicato.
Gli stessi comici partenopei delle ultime generazioni, del
«post Troisi», si sono tenuti distanti dall’argomento, lasciando
che a trattarlo fossero scrittori, saggisti, attori e registi «non comici».
Non per paura, ma perché hanno ritenuto che affrontare
in chiave ironica una tematica del genere potesse contribuire
a legittimarla oltre il necessario e a rafforzare l’immagine mediatica
negativa di Napoli.
Su queste scelte, e sulle motivazioni che le hanno accompagnate,
bisognerebbe aprire una discussione approfondita.
Per necessità, dunque, ho rivolto lo sguardo verso le mie
esperienze personali. In fondo, si scrive ciò che si è vissuto, nel
bene e nel male.
Nella prima metà del 1985, anno cruciale per la mia vita, seguii
a Napoli un corso di giornalismo diretto da Amato Lamberti,
sociologo ed esperto di fenomeni di devianza criminale. Un
uomo di grande umiltà e cultura. Un vero maestro. Il corso era
coordinato da Giancarlo Siani, che il 23 settembre di quell’anno
fu barbaramente ucciso dalla camorra.
Aveva solo ventisei anni, Giancarlo, e il suo sorriso mi è rimasto
impresso in modo indelebile nel cuore e nella mente. La
memoria dei bei momenti trascorsi insieme, i suoi insegnamenti
e il suo esempio influenzarono tutte le mie scelte future, comprese
quelle di diventare io stesso, nel 1986, come Giancarlo,
corrispondente del quotidiano Il Mattino, e di impegnarmi a
fondo nelle iniziative anticamorra.
In quel periodo collaborai con l’Osservatorio sulla camorra,
struttura di servizio dedita allo studio dei fenomeni della delinquenza
organizzata, dell’emarginazione e della devianza. Dal
1993 al 1995 lavorai al Comune di Napoli al fianco di Lamberti,
in quello che lui denominò Assessorato alla Normalità. Sotto la
sua guida, mi occupai di una serie di attività pubbliche di prevenzione
dei fenomeni di illegalità: la Consulta Anticamorra,
la Linea Antiusura, la Cassetta Anticamorra.
Nel ’95 mi diedi anche alla politica, e a Mugnano di Napoli,
dove abitavo, fui eletto consigliere comunale e presidente della
commissione Trasparenza e Legalità. Quanti ricordi, belli
e brutti. Durante una seduta consiliare dedicata proprio alla
legalità, dal pubblico un personaggio in odore di malavita interruppe
un mio intervento gridandomi contro: «Ma che cazze
vaje dicenne? ’A camorra ccà nun esiste! ’A camorra nun è mai
esistita!».
Già. ’A camorra nun esiste, nun è mai esistita. La camorra
non gradisce riconoscimenti ufficiali. Non vuole neanche essere
chiamata col proprio nome. È diventata ’o Sistema, come
Roberto Saviano ha raccontato. Meno se ne parla, e più essa
può proliferare indisturbata. Paradossalmente, è molto più pericolosa
quando non fa notizia, quando non impugna le armi
e non uccide. Se non fa morti, vuol dire che gli affari le stanno
andando bene. La camorra non vuole pubblicità intorno a sé.
Ama il silenzio, l’ombra.
Ecco perché, volutamente e simbolicamente, ho fatto in
modo che tutti i personaggi di questo romanzo, anche quelli
«positivi», non utilizzassero mai la parola camorra. Chi vive di
camorra o ne avverte intorno a sé la minacciosa presenza, non
la può nominare.
Sia ben chiaro, però, che “Benvenuti in casa Esposito” non è
un libro sulla camorra, ma dentro la camorra. Ne esplora la sua
quotidianità. Ne offre una visione dal basso, non dall’alto.
Certo, è un romanzo, e come tale va considerato. In alcune
parti potrà sembrare eccessivo. Credetemi, non è così. Io non
ho fatto altro che registrare e illustrare, mediante il formidabile
strumento dell’ironia, fatti e personaggi che a Napoli si verificano
e si incontrano tutti i giorni. Chiamatelo realismo comico,
se volete. Più che in qualsiasi altro posto del mondo, a Napoli
la realtà supera ogni fantasia.
Grazie per la prefazione. Molto bella!
Il concetto di realismo comico mi è molto chiaro. (sorrisino)
Se non vivessimo in un paese reale, penserei di essere dentro un romanzo che rientra nella letteratura dell’ironia. Ma siccome non c’e’ molto da ridere, come diceva Troisi: non ci resta che piangere.
Mi viene in mente una trama.
C’è un paese, il cui art. 1 della costituzione sancisce che e’ una repubblica fondata sul lavoro, che si sta adoperando per eliminare le piu’ elementari forme di tutela dei lavoratori.
E sai perché? Perché così fan tutti: guardati intorno.
Oh, ragazzi, una storia così farebbe morir dal ridere.
Comunque comprerò il libro di Pino Imperatore. Da quel che ho letto sono certo che non me ne pentirò.
Ciao.
Ciao. Come contributo alla discussione vi riporto alcune considerazioni di Giulio Ferroni sui rapporti tra ironia e letteratura.
Chi è Giulio Ferroni?
http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Ferroni
GIULIO FERRONI: Credo comunque che l’importanza della figura di Socrate sia data proprio dal suo legame con l’esperienza, con la parola e con la conoscenza. L’essere nel mondo è prima di tutto esperienza e la scelta di Socrate, che decide di morire pur di non contravvenire alle leggi della sua città, indica un forte radicamento nell’esperienza. La scrittura, dal canto suo, fissa l’esperire in una struttura stabile e definitiva, e a questo proposito è molto interessante la riflessione che Platone farà sul rapporto tra oralità e scrittura. La filosofia “orale” di Socrate, quindi, è data dal legame della parola con la voce, dallo scambio autentico di opinioni fra le persone. La scrittura, invece, fissa le parole nel tempo e contemporaneamente ci allontana dall’esperienza autentica e immediata. Socrate, in questo senso, mantiene un comportamento integro e in più ci introduce nella dimensione dell’ironia, che è la capacità di vedere le cose da un punto di vista opposto rispetto a quello in cui appaiono. Il tema dell’ironia si rivela determinante per capire il senso del rapporto tra letteratura e filosofia nell’ambito dell’esperienza. Ritengo che l’ironia possa essere considerata il reale punto d’incontro tra letteratura e filosofia.
GIULIO FERRONI: Una certa parte della tradizione filosofica occidentale ha condannato il comico in quanto relativo a una realtà “bassa”, volgare e non adatta a chi detiene il potere. C’è comunque da sottolineare che l’ironia non coincide necessariamente con il riso: essa è, prima di tutto, una figura retorica, ma può anche manifestarsi in una di quelle forme del comico che ci conducono verso una riflessione dura e spietata sulla realtà. Possiamo affermare che tramite l’ironia tutte le espressioni del comico riescono a mostrarci la faccia “oscura” della realtà, quei suoi aspetti che non si manifestano immediatamente.
GIULIO FERRONI: Lo stesso Socrate è stato tradizionalmente visto attraverso l’immagine del sileno, usata anche da Alcibiade: i sileni sono delle statuette che ritraggono un volto brutto e deforme, ma che nascondono al loro interno un viso bellissimo. Si tratta di un’immagine di grande efficacia – fu ripresa, durante il Rinascimento, dal “letterato-filosofo” Erasmo da Rotterdam – e che ben rappresenta l’uomo Socrate: un individuo esteriormente malfatto il quale, però, possedeva un’anima dotata di un’autentica capacità di conoscenza. Alcuni fenomeni del comico – anche quelli più estremi – riescono a cogliere tale duplicità del reale e, in tal modo, ad acquisire un’elevata dignità filosofica. Lo scrittore Francois Rabelais fu un autore comico che tramite le eccessive e grottesche avventure descritte in Gargantua e Pantagruel rivelò un profondo senso della conoscenza e presentò una originalissima filosofia.
sono d’accordo sul fatto che la letteratura ironica e umoristica sia stata un po’ discriminata fino a qualche anno, dimenticandosi di precedenti illustri e “storici” (come il Decameron di Boccaccio).
L’impressione e’ che adesso vada meglio. Tanti auguri a Pino Imperatore.
Grazie a tutti per i vostri nuovi commenti.
@ Pino Imperatore
Grazie per aver messo a nostra disposizione la postfazione del libro.
Un caro saluto e grazie mille a: Renata Mangiagli, Margherita, Fabrizio Rivoni, Anna Giusto, Ruggero.
A tutti voi, una serena notte.
Caro Massimo,
ti mando, come contributo, un pezzo su “letteratura e ironia”. L’ho ricavato dal seminario che terrò all’università di Urbino in aprile-maggio.
Essendo lungo, lo suddivido in più parti.
L’ironia sofoclea è un’ affermazione di un personaggio della tragedia che giunge all’orecchio dello spettatore come un’eco rovesciata.
Essa consiste in questo: chi pronuncia le parole intende dare loro un significato il quale arriva capovolto alle orecchie dello spettatore. ” E questa eco alla rovescia, che suona come uno scoppio di riso sinistro, è in realtà una rettifica. Quanto Edipo dice senza volerlo, senza capirlo, costituisce la sola verità autentica delle sue parole” .
Siamo al culmine dell’ironia tragica quando, nell’ Edipo re , il figlio di Laio afferma:”in vece loro, io queste battaglie, come per mio padre/combatterò e arriverò dappertutto ” (vv. 264-265).
Il re di Tebe non sa ancora di chi è figlio, ossia di Laio, il vecchio re ucciso in un trivio da lui stesso, ma gli spettatori conoscono il mito e lo sanno. Un personaggio assolutamente ingenuo e puro, come il principe Myskin, l’Idiota di Dostoevskij, è incapace di fare dell’ironia e di notare quella degli altri: “Dal suo viso e persino dall’atteggiamento di tutta la persona, traspariva pure la stessa ingenuità, la stessa fiducia, ben lontana dal sospettare una derisione, una burla” .
T. Mann sembra incline a non attribuire ironia ai re :”I sovrani non conoscono l’ironia…neppure come schietto e classico strumento dell’arte retorica, per non parlare poi di un suo più complesso significato” .
L’ironia può, per certi versi, essere accostata all’umorismo, che, secondo Pirandello, è “il sentimento del contrario”. Questo, in parole povere, significa mettersi nei panni degli altri con una specie di rovesciamento.
Tra i Greci “Umorista non è Aristofane ma Socrate…Socrate ha il sentimento del contrario; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale” .
Il saggio di Pirandello, L’umorismo , presenta tre esempi: il primo è quello celeberrimo della “vecchia signora coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa prima impressione cronica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario”.
Ma poi interviene la riflessione che suscita il sentimento del contrario ossia l’umorismo :”Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’ inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico” . Si tratta insomma di riflettere sul dolore di chi ci farebbe ridere, di sentire con chi soffre e provare simpatia per lui.
Il secondo esempio è tratto da Dostoevskij: “Signore, signore! oh! Signore, forse, come gli altri, voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi annojo raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò…”-Così grida Marmeladoff nell’osteria, in Delitto e Castigo del Dostoevskij, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità” .
Il terzo esempio deriva da S. Ambrogio di Giusti: “Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati…Il suo primo sentimento è d’odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell’organo: poi quel cantico tedesco lento lento,
D’un suono grave, flebile, solenne
Che è preghiera e pure lamento. Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile: determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè lo dispone a quella particolare riflessione che, spassionandosi dal primo sentimento, dell’odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell’inno
La dolcezza amara/Dei canti uditi da fanciullo: il core/Che da voce domestica gl’impara,/Ce li ripete i giorni del dolore./Un pensier mesto della madre cara,/Un desiderio di pace e d’amore,/Uno sgomento di lontano esilio .
E riflette che quei soldati, strappati ai loro tetti da un re pauroso,
A dura vita, a dura disciplina,/Muti, derisi, solitari stanno, /Strumenti ciechi d’occhiuta rapina,/che lor non tocca e che forse non sanno
Ed ecco il contrario dell’odio di prima:
Povera gente! Lontana da’ suoi,/In un paese qui che le vuol male .
Il poeta è costretto a fuggire dalla chiesa perché
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, /Colla su’ brava mazza di nocciolo/Duro e piantato lì come un piolo” .
Questo è il terzo esempio di avvertimento del contrario passato a sentimento del contrario.
Sentiamo anche T. Mann sull’argomento: “Indifferenza e ignoranza della vita intima degli altri esseri umani finiscono per creare un rapporto affatto falso con la realtà, una specie di abbigliamento. Dai tempi di Adamo ed Eva, da quando uno divenne due, chiunque per vivere ha dovuto mettersi nei panni altrui, per conoscere veramente se stesso ha dovuto guardarsi con gli occhi di un estraneo. L’immaginazione e l’arte di indovinare i sentimenti degli altri, cioè l’empatia, il con-sentire con gli altri, è non solo lodevole ma, in quanto infrange le barriere dell’io, è anche un mezzo indispensabile di autopreservazione” .
“C’è una conoscenza che è comprensiva e che si fonda sulla comunicazione, sull’empatia e persino sulla simpatia inter-soggettiva. Così io comprendo le lacrime, il sorriso, le risa, la paura, la collera vedendo l’ego alter come alter ego, con la mia capacità di provare i suoi stessi sentimenti. Comprendere, quindi, comporta un processo di identificazione e di proiezione da soggetto a soggetto. Se vedo un bambino in lacrime, cerco di comprenderlo non misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui. La comprensione, sempre inter-soggettiva, richiede apertura e generosità…La comprensione permette di considerare l’altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma anche come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio di identità e si manifesta nel principio di inclusione ” .
Proviamo a vedere qualche altro esempio.
In L’arbitrato (Epivtreponte”) di Menandro Carisio, il marito che si crede tradito, definisce se stesso, ironicamente, l’uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti” ajnamavrthto”, eij” dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l’errore sessuale della moglie, presunto, ma da lui ritenuto reale, è stato un “infortunio involontario”( ajkouvsion gunaiko;” ajtuvchm j, v. 594). Del resto la donna, Panfile, l’aveva condiviso proprio con Carisio. Nessuno dei due lo sapeva poiché, assai stranamente, non si erano riconosciuti.
Il protagonista di questa commedia ripropone la formula antica della dovxa , la reputazione, ma poi la supera, con quell’ ejgwv ti” ajnamavrthto”, che anticipa il Vangelo di Giovanni:”chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto” uJmw’n prw’to” ejp j aujth;n balevtw livqon (8, 7). In questo brano del Nuovo Testamento non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam , 8, 3) e chiedono al Cristo, che insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore, rizzatosi, disse loro:” qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat “. E riprese a scrivere per terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come tutti gli altri, aggiungendo:”vade et amplius iam noli peccare ” (8, 11), vai e non peccare più.
Procedo con Tolstoj: “c’era ora in Pierre una nuova caratteristica che gli assicurava la simpatia generale: era il riconoscimento che ogni persona potesse pensare e sentire, sentire e vedere le cose a modo suo, il riconoscimento che è impossibile con le parole far cambiare opinione a un uomo. Questa legittima peculiarità di ogni persona, che un tempo disturbava e irritava Pierre, costituiva ora la base della simpatia e dell’interesse che gli uomini suscitavano in lui” .
La capacità di mettersi nei panni degli altri è indispensabile all’insegnante bravo cui non basta essere preparato.
A questo proposito sentiamo Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più utile, non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare” .
E più avanti: “Ma il gran torto degli educatori è di volere che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità; che la vita giovanile non differisca dalla matura; di voler sopprimere la differenza di gusti di desiderii ec., che la natura invincibile e immutabile ha posta fra l’età de’ loro allievi e la loro, o non volerla riconoscere, o volerne affatto prescindere…di volere che gli ammaestramenti, i comandi, e la forza della necessità suppliscano all’esperienza ecc.” .
Il mettersi nei panni dell’altro non significa accettare tutte le diversità:” Il vero problema nasce con le diversità che si pongono in irriducibile conflitto con il modello di umanità, un conflitto nel quale la soddisfazione dell’esigenza degli uni costituisce necessariamente violenza per gli altri e viceversa. Nel famoso film di Fritz Lang , M, l’assassino di bambine non mente, quando illustra tragicamente la sua reale esigenza che lo induce a quegli atti omicidi, e l’altissimo costo che significherebbe per lui la repressione di quegli impulsi, ma d’altra parte anche il diritto di quelle bambine di non essere uccise-ossia il loro diritto di esigere la sua repressione-non è meno reale. Pure il delitto di Raskol’ nikov nasce da una passione sofferta e reale; se egli ne venisse impedito, ciò significherebbe il sacrificio di una sua oscura ma autentica esigenza, e d’altronde senza quel sacrificio sono le sue vittime a venire calpestate. Si tratta di casi estremi, che indicano tuttavia la difficoltà di tracciare un confine fra l’esigenza dell’universale e la rivendicazione della diversità, e che indicano soprattutto la difficoltà di risolvere il problema sul mero terreno della prosa del mondo, sul piano puramente sociologico: per Dostoevskij soltanto la prospettiva di Sonia, della carità, può risolvere il dilemma di Raskol’nikov” . A questo punto si può menzionare anche Match point, l’ultimo film di Woody Allen (gennaio 2006).
“ Si torna così alla crux dostoevskiana: perché Raskolnikov non deve uccidere la vecchietta? Perché non bisogna tirare i sassi dal cavalcavia? Davvero, se non c’è più garanzia oggettiva di valori, se sono posti in causa i loro fondamenti scientifici o metafisici, non si dà possibilità di intesa collettiva e di morale individuale e sociale? Il Novecento si apre e si chiude ponendo l’esigenza di valori laici, relativi, pragmatici. Se il dogmatismo e la vocazione all’assoluto e all’universale hanno prodotto il trionfo dell’Illuminismo come logica del dominio e come spietata razionalità del potere scientifico e tecnologico, il loro rovescio oscuro è il nichilismo che annienta le basi stesse –i significati comuni, l’intesa possibile-di qualsiasi comunità. Si tratta di insegnare il relativismo e la fiducia in valori storici che mutano e si realizzano nel carattere processuale, mobile e interdialogico della civiltà. Insegnando a leggere e a interpretare un testo, a dargli senso e valore, si insegna forse anche a non tirare i sassi dal cavalcavia” .
Concludo con un suggerimento di metodo elaborato in quarant’anni di insegnamento, dalle scuole medie all’università: per sconfiggere le intolleranze e i dogmatismi, è efficace mostrare sempre i due lati di ogni medaglia: i Greci impiegavano questa logica aperta al contrasto nei dissoi; lovgoi. Si tratta di indicare punti di vista contrapposti su un argomento.
Spesso il latore del lovgo~ A ironizza su quello del logo~ B.
I due lovgoi sono in competizione, una nobile gara intellettuale, un torneo oratorio che attira i ragazzi e li incoraggia a una visione problematica, non dogmatica, dell’uomo e della realtà, visione che potenzia lo spirito critico e non annoia.
Annoiare noi stessi e i giovani che ci ascoltano è infatti un rischio che corriamo ogni giorno; l’ironia e l’umorismo nel senso che si è detto, possono aiutarci a essere più coinvolgenti e meno inameni di quando parliamo accigliati e annuvolati, quali umbratici doctores che biascicano cupi dogmi e tetre, minacciose sentenze. In questo modo geliamo i ragazzi, reprimiamo la loro curiosità, spengiamo ogni loro meraviglia che come nota Aristotele è lo stato d’animo dal quale nasce la filosofia.
complimenti a Giovanni Ghiselli per le sue disamine.
Tanti ringraziamenti a Giovanni Ghiselli anche da parte mia.
Buon fine settimana a tutti.
Mi torna in mente Pirandello con il concetto di comicità e umorismo.
Pirandello diceva: “se una cosa non ti farà ridere (comicità) tanto più ti farà sorridere (umorismo)”. Se la narrazione umoristica scaturisce riflessione, vuol dire che sappiamo utilizzare la ragione degni di essere superiori a qualsiasi altro essere vivente, ma ancor più sappiamo ascoltare col cuore e solo chi ascolta col cuore prova sofferenza. Allora mi viene da pensare: Sorridiamo per allievare la sofferenza?
*alleviare