Nel corso del dibattito, questo post si è trasformato in una sorta di spazio/laboratorio dedicato alla traduzione letteraria animato da Francesca Giulia Marone e altri volontari.
(Massimo Maugeri)
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Tradurre non è un mestiere facile. Tutt’altro.
Ed è anche un mestiere che si svolge nell’ombra. A volte in pieno buio. Eppure la traduzione di un libro è fondamentale.
Lo sappiamo bene: una buona traduzione è capace di valorizzare un romanzo (e di restituirlo “integro” al lettore che lo legge in una lingua differente rispetto a quella originale), una cattiva traduzione può ucciderlo (il romanzo, ma a volte anche il lettore… nel senso che può uccidere la sua voglia di leggere).
Nonostante ciò il traduttore è spesso visto come un addetto ai lavori “secondario”, che non deve mai superare la soglia del “dietro le quinte”.
Ma è davvero giusto che sia così? Ed è davvero così? Secondo voi?
Ne parliamo con la scrittrice e traduttrice Gaja Cenciarelli che ci offre un articolo già pubblicato su La poesia e lo spirito. Contestualmente ne discutiamo con gli autori (tutti traduttori) del volume “Il mestiere di riflettere- Storie di traduttori e traduzioni” (Azimut, 2008, pagg. 276, euro 12,50) curato da Chiara Manfrinato: Federica ACETO, Susanna BASSO, Rossella BERNASCONE, Emanuela BONACORSI, Rosaria CONTESTABILE, Federica D’ALESSIO, Riccardo DURANTI, Luca FUSARI, Daniele A. GEWURZ, Giuseppe IACOBACI, Eva KAMPMANN, Chiara MARMUGI, Anna MIONI, Daniele PETRUCCIOLI, Laura PRANDINO, Anna RUSCONI, Lisa SCARPA, Denise SILVESTRI, Andrea SIROTTI, Paola VALLERGA, Isabella ZANI.
“Traduttore, traditore, recita un vecchio adagio”.
Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte.
Dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno.
Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio.
Anticipo qui alcune domande di Gaja Cenciarelli, estrapolate dal pezzo che potrete leggere di seguito:
– Chi scrive, vive con maggiore insofferenza la traduzione?
– Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore?
– Quanti «libri inutili» si traducono?
– Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla?
– Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»?
– E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»?
Gaja Cenciarielli mi aiuterà ad animare e a moderare questo post.
Ospite speciale sarà Katharina Schmidt, traduttrice tedesca (dall’italiano) di opere di autori noti tra cui Niccolò Ammaniti e Roberto Mistretta (spero che Katharina riesca a intervenire nonostante i numerosi impegni per darci la sua testimonianza dalla Germania). In fondo al post potrete leggere la prefazione del libro “Il mestiere di riflettere”, firmata dalla curatrice.
Massimo Maugeri
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Luciano Bianciardi su Bruno Tasso: «Tradurre è un mestiere micidiale».
di Gaja Cenciarelli
«Vedi, forse tu non sai chi fosse Bruno Tasso. Era un mio amico, faceva lo stesso mio mestiere, il traduttore, e si ammazzò poco tempo dopo l’uscita de La vita agra».
«Perché?»
«Qualcuno dice che si ammazzò perché era alcolizzato o perché non andava d’accordo con la moglie o perché Garzanti l’aveva licenziato, ma non basta questo a spiegare le cose. La ragione vera è che faceva quel mestiere e ne era ossessionato fino al punto di decidere di farla finita. Perché, vedi, non tutti se ne rendono conto, ma tradurre è un mestiere micidiale che ti costringe ore e ore attaccato alla macchina da scrivere a cercare parole che poi tu presti ad altri. E spesso sono parole prestate a persone e a libri inutili e questo a poco a poco logora e uccide».
Questo stralcio di intervista a Luciano Bianciardi è andato in onda all’interno della puntata di Blob di venerdì 31 agosto 2007.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere, se non che quando ho visto questo filmato ho sentito il classico nodo in gola e nessuna voglia di parlare. Credo che la verità, talvolta, tolga le parole.
Dopo aver seguito questa intervista con un’emozione difficilmente descrivibile mi sono posta una serie di domande. Fermo restando che non si sta parlando di lavori usuranti, di scavi in miniera, di mestieri – me ne vengono in mente un centinaio – davanti ai quali sono la prima a chinarmi e a soffocare qualsiasi lamentela, vorrei lanciare una provocazione (ammesso che lo sia), stimolata dalle parole del grande scrittore/traduttore.
«Persone e libri inutili» dice Bianciardi. È forse questo il motivo della frustrazione e del senso di alienazione che talvolta caratterizzano la mia professione? O è il fatto di lavorare continuamente con le parole degli altri? Bianciardi era anche uno scrittore. La mia domanda – provocatoria quanto volete, ma per me necessaria – è: chi scrive vive con maggiore insofferenza la traduzione o no? Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore? Quanti «libri inutili» si traducono? Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla? Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»? E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»? Mi pare che ai traduttori l’editoria riservi solo una serie di alfa privative.
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Il mestiere di riflettere- Storie di traduttori e traduzioni (Azimut, 2008)
Prefazione
c’era una volta una traduttrice
Qualche anno fa, un po’ per celia e un po’ per non morire, mi sono inventata traduttrice di narrativa. Dopo un rosario di mancate risposte, porte sbattute in faccia, ladrocini di vario tipo, voli d’entusiasmo e crolli di frustrazione, sono riuscita a ottenere il primo romanzo, poi il secondo, poi il terzo, e poi… Quando dici che fai la traduttrice (o il traduttore) diventi di colpo una specie di fenomeno da baraccone. Bene che vada ti piomba addosso una grandine di domande. E ogni volta, anche se dovresti averci fatto il callo, ti sorprendi a sorprenderti di quanto poco gli altri sappiano di questa professione poco considerata, vagamente snobbata e spesso bistrattata.
ma ho dovuto ammazzarla
Dei traduttori non si sa niente, o non si sa abbastanza. Così, alcuni mesi fa, un po’ per celia e un po’ per non morire, mi sono inventata anche curatrice. Ho abbozzato un progetto, ho contattato amiche e amici, colleghe e colleghi, e poi…
Questa raccolta nasce dall’esigenza di raccontare la traduzione, di svelare cosa succede davvero quando si trascorrono giorni, settimane, mesi davanti a un monitor, sfogliando dizionari, riempiendo taccuini, frugando nella memoria, scavandosi dentro, con il solo obiettivo di portare a termine un lavoro, un lavoro che consiste nel riflettere e rimandare, in bellezza e in fedeltà, un lavoro che è un piccolo miracolo durante il quale un libro diventa altro pur restando se stesso. Qui, per una volta, gli autori sono i traduttori.
solo che poi è risorta
Curare questa antologia è stato un piacere e un onore, ma non solo. Attraverso questa esperienza, ho imparato che non ci si inventa traduttori: traduttori si nasce. Poi, un giorno, la vocazione -che magari è rimasta a lungo quieta e silente- si palesa, e reclama e pretende.
Chiara Manfrinato
curatrice per caso e traduttrice per necessità
Credo che questo sia un post davvero interessante.
Così come credo (davvero) che il ruolo dei traduttori sia fondamentale.
Ogni volta che leggete l’opera di un autore straniero in lingua italiana, lui (il traduttore) è lì…
Non dimenticatelo!
Affida la co-moderazione del post all’amica Gaja Cenciarelli (scrittrice e traduttrice).
Riporto, di seguito, le domande che ho già evidenziato sul post…
– Chi scrive, vive con maggiore insofferenza la traduzione?
– Chi traduce, costretto a ritmi incredibilmente serrati, costretto comunque a trascurare la propria scrittura, non sviluppa forse un profondo rapporto di odio-amore nei confronti della traduzione o questo è indipendente dalle passioni del traduttore?
– Quanti «libri inutili» si traducono?
– Quante ore si passano a cercare, a scegliere, a meditare su «parole inutili» di cui non rimarrà nulla?
– Come può, uno scrittore che traduce, non soffrire di questa «inutilità»?
– E come può a un traduttore – pur non essendo scrittore – risultare tollerabile l’indifferenza con cui viene trattato dagli «addetti ai lavori»?
Qui si apre una discussione che mi sta molto, ma molto a cuore.
È che quando c’è il cuore di mezzo si rischia, per l’appunto, di essere anche confusi e di lasciarsi trascinare. Ecco, spero di evitarlo.
Anche se, si sa, la passione è passione. Quando si ama qualcosa non si può mai essere completamente distaccati.
Grazie, Massimo, per aver aperto questo spazio alla traduzione letteraria.
Tutti i co-autori del libro “Il mestiere di riflettere” sono invitati a partecipare al dibattito per:
– dire la loro sull’argomento generale del post
– raccontare l’esperienza della co-scrittura di questo libro.
Grazie a te, cara Gaja, per la tua disponibilità.
Come ho già detto… sarà un post molto interessante.
Ne sono certo! :-))
Una prima domanda te la pongo io, cara Gaja.
La situazione dei traduttori all’estero è paragonabile a quella dei traduttori in Italia?
Che notizie hai, in merito?
No, non è paragonabile a quella che abbiamo in Italia. Basta affacciarsi in Spagna per rendersi conto che le tariffe lì sono altre. Credo che all’estero ci si possa mantenere di traduzione letteraria, e non sopravvivere, come in Italia. Per non parlare della condizione di (semi)oscurità in cui viviamo noi traduttori. Il paradosso è che quando un libro è scritto bene si dice “ma che bravo, questo autore, che stile, che eleganza”. Quando invece è scritto male si parla di traduzione sciatta. È vero, capita di leggere traduzioni sciatte, ma il traduttore non può *migliorare* i testi se la materia prima non esiste…
Perchè in Italia è così complicato diventare traduttori letterari? O, per meglio dire, trovare lavoro come traduttori letterari?
Perchè il mezzo più comune sembra essere il passaparola o, più in generale, il conoscere qualcuno?
Grazie mille, cara Gaja. Spero di riuscire a far partecipare al dibattito traduttori stranieri (che traducono dall’italiano).
Sarebbe interessantissimo fare un confronto.
@ Traduttrice tecnica
Cara traduttrice tecnica, tu lanci un’altra questione che però – temo – è valida per qualunque professione o mestiere.
Per cui, in generale, forse, potremmo dire: perché in Italia è così complicato… ?
Volendo essere ottimista, però, mi viene da aggiungere che alla lunga la qualità del proprio lavoro… premia.
O no?
Adesso vi devo lasciare… auguro a tutti buon pomeriggio.
@Traduttrice tecnica: ci sono corsi, e ci sono i passaparola. In definitiva, poi, chi riesce a diventare traduttore/rice letterario/a e a farsi largo in questa professione (in questa opera di artigianato, direi) è (quasi sempre) una persona il cui talento va al di là dei passaparola e delle “segnalazioni”.
la prima cosa che mi viene in mente è che un buon traduttore può determinare la fortuna di un libro, così come un buon doppiatore può aiutare un film. quest’ultimo deve essere attore, in qualche modo. e il traduttore deve essere “scrittore”, anche se magari non pubblica. diciamo che comunque deve avere quell’impostazione…..o no?
sì, enrico: un buon traduttore è anche autore del libro che traduce. perché tradurre non significa “solo” trovare “la parola giusta”, ma assorbire lo spirito con cui lo scrittore ha scritto (perdonate la ripetizione), metabolizzare il suo stile, elaborarlo in italiano, trovare dei corrispettivi validi quando la nostra lingua non ha la possibilità di codificare certi termini che si incontrano nella lingua d’origine. il traduttore è *a tutti gli effetti* un autore.
Caro Massimo,
grazie per la tua risposta, anche se non sono propriamente d’accordo. Parlo ovviamente della mia esperienza personale. Non penso infatti che in Italia per trovare lavoro sia necessario conoscere qualcuno. Da anni lavoro come traduttrice tecnica e non sono mai stata presentata da nessuno: è sempre bastato presentare il mio CV ed effettuare dei test.
Non riesco però ad introdurmi nel mondo della traduzione letteraria, nonostante il tipo di formazione da me perseguito. Rimango poi di stucco quando su Biblit si consiglia, in risposta alla domanda “Come si diventa traduttori letterari?”: “Frequentare un buon corso di formazione/specializzazione (…) oltre a essere una valida palestra per quanto riguarda la traduzione in sé, un corso spesso offre l’occasione di entrare in contatto con persone addentro al mondo editoriale. Per molti traduttori le prime collaborazioni sono nate proprio in questo modo”, “Frequentare convegni, saloni del libro, fiere, mostre, insomma farsi vedere e conoscere in tutti quei posti in cui c’è un’alta concentrazione di editori e addetti ai lavori.”, “La maggioranza dei traduttori iscritti a Biblit ha iniziato la propria carriera grazie ai contatti e non all’invio di un curriculum. ”
Insomma la mia esperienza e quella altrui mi fanno capire che sia veramente difficile entrare in questo mondo grazie solo alle proprie capacità.
E poi – solito discorso – se nessuno ti offre una possibilità, come si fa a dimostrare la qualità del proprio lavoro?
Grazia anche a te Gaja per la tua risposta, l’ho letta solo dopo aver pubblicato il mio post…
avrei una domanda per gaja: esistono autori più difficili da tradurre piuttosto che altri? mi riferisco a ipotesi di linguaggio, ovviamente. però se hai anche qualche esempio non sarebbe male
Il traduttore è l’anello senza cui una collana si sfilaccia, una presenza nascosta e discreta, ma che dona linfa vitale a uno scritto. Quanto debba essere fedele, nessuno può dirlo. Come in amore, non credo che esista una regola. Certo, l’importante è non tradire mai, per nessuna ragione al mondo, lo spirito dell’autore della versione originale. Stella mattutina
@traduttrice: quello che consiglia Biblit è sacrosanto. Ti dico la mia esperienza: io lavoro a vario titolo nell’editoria dal 1996. Non sono nata come traduttrice, ho amato questo lavoro tardi, come next best thing dopo la scrittura. Ma, credimi, non è stato semplice nemmeno per me iniziare a tradurre.
@enrico: sì, secondo me esistono autori più difficili di altri. fermo restando che chiunque traduca con spirito di abnegazione (ed è proprio il caso di parlare di abnegazione in questo caso) si rende conto che farlo non è *mai* un compito semplice. posso portare degli esempi che mi riguardano: per me sono stati veramente ardui “Il prezzo della bellezza”, di John Bemrose; e “Hangover Square”, di Patrick Hamilton (splendido autore dimenticato, dalle cui opere sono stati tratti i film “Angoscia” con Ingrid Bergman e Charles Boyer; e “Nodo alla gola”). ovviamente la soddisfazione è stata tripla. Li considero il mio fiore all’occhiello (entrambi editi da E/O). ma qui qualsiasi traduttrice/traduttore potrebbe dire la sua, come e meglio di me.
@elena: sottoscrivo tutto.
E’ un lavoro importantissimo quello del traduttore. In campo letterario non si tratta di trascrivere, per esempio, le istruzioni d’uso di un prodotto dall’inglese all’italiano, ma di rendere un romanzo accessibile al lettore conservandone lo spirito. Quindi mi sembra che non sia sufficiente solo essere padroni delle due lingue, ma ritengo indispensabile anche che il traduttore sia all’unisono con l’autore. Posso immaginare infatti le difficoltà di rendere intelleggibili in italiano dei periodi che sono tipici di un’altra lingua. La cosa poi è ancora più complessa quando l’oggetto della trasposizione in italiano è una poesia, magari un sonetto, che ben difficilmente nella nostra lingua risulterà di endecasillabi e quasi certamente privo di rime. Ne so qualche cosa per aver tradotto, in passato, alcune liriche di Hesse e di Rilke.
Quindi mi sembra acclarato che la traduzione di un testo letterario costituisce un lavoro del tutto particolare e come tale dovrebbe essere adeguatamente retribuito.
Ricordo le lamentele in proposito di Bianciardi, del resto espresse anche nella Vita agra. Sì, è un lavoro oscuro, spesso di poca soddisfazione, ma se fatto come si deve può contribuire in misura determinante al successo di un’opera sul nostro mercato.
Il traduttore è anch’esso scrittore, anche se non pubblica, ed è fondamentale per la buona resa del libro. Quando Stephen King per un periodo cambiò traduttore (decisione del traduttore Tullio Dobner, mi pare, che voleva sentirsi più libero e svincolarsi dall’etichetta di ‘traduttore di King’), i libri non erano più gli stessi.
Sono assolutamente affascinata dal mestiere del traduttore. Non riesco a concepire lo sforzo di trasformare parole, ma soprattutto emozioni, da una lingua all’altra, ottenendo risultati buoni, spesso, spessissimo eccelsi, alle volte migliori dell’opera originale. Non parlo per esperienza diretta, ovviamente. Ma pur avendo una conoscenza della lingua inglese più o meno decente, preferisco leggere un libro tradotto. Perché ho scoperto che capire fino in fondo le implicazioni linguistiche, storiche e letterarie di parole e frasi in una lingua diversa è difficilissimo se non si è trascorsa la vita a studiare quella lingua. Come ha fatto la nostra Gaja. Per chi è interessato, consiglio un berllissimo saggio sulla traduzione dei libri di Harry Potter. “Lucchetti babbani e medaglioni magici” di Ilaria Ekaterinov, edizioni Camelopardus. Ho scoperto cose che non avrei mai immaginato, pur avendo letto l’intera saga più e più volte.
@Renzo: non solo. Bisogna anche essere “padroni” della cultura che si parla nella lingua che si traduce e di un ottimo italiano (il che non è così scontato).
Quel filmato di Bianciardi è stato come puntare il dito su un livido, per me. Quando l’ho ascoltato mi sono sentita compresa.
Che il traduttore contribuisca al successo di un libro è certo. Che i lettori, gli addetti ai lavori, chiunque giri attorno al mondo della carta stampata lo sappiano è – purtroppo – meno, molto meno scontato.
@Morena: Assolutamente. Tullio Dobner ha scritto un paio di romanzi, infatti. Ma Stephen King in Italia È *lui*!
@Laura: È esattamente quello che intendevo rispondendo a Renzo: “Perché ho scoperto che capire fino in fondo le implicazioni linguistiche, storiche e letterarie di parole e frasi in una lingua diversa è difficilissimo”. È così, è questo uno dei nodi cruciali. E non serve – o non basta – una laurea in lingue (malgrado io sia laureata in lingue, per l’appunto). Ci vuole sensibilità, c’è quel *quid* in più che è il talento proprio del traduttore. L’attenzione per le parole, per la musicalità e la ricchezza dello stile (quando ci sono), il lavoro certosino, la precisione. Grazie, Lauretta, anche per il consiglio di lettura.
buona sera a tutti e grazie a Massimo di avermi invitato e presentato a questo round.
@gaja: si, penso che specialmente nei paesi scandinavi non solo le tariffe sono più alte, il traduttore viene anche apprezzato e valutato in un’altro modo. Qualche tempo fa hanno addiritura scioperato per un aumento – e con successo. In Germania una non piccola parte dei miei colleghi svolge un secondo lavoro, ci sono le borse di studio, i premi. Ma le nostre tariffe superano nella media queste italiane – e vengono pagate più o meno dopo la consegna non alle pubblicazione del libro.
@ traduttrice tecnica: credo che sià abbastanza difficile ovunque entrare nel campo della traduzione letteraria, cioè procurarsi il primo lavoro – ed anche i prossimi. Per la maggior parte rimarrà più o meno così. Ma non va solo a conoscenze, hai sempre la possibilità di proporre libri da tradurre, offrirti a scrivere giudizi (o si chiamano schede?), almeno da noi si fa così
@katharina: ecco, appunto. come volevasi dimostrare. lo immaginavo (e lo sapevo, e il tuo intervento me lo ha confermato). non senza un bel po’ di tristezza e di rabbia.
più che altro i traduttori sono “quelli che possono anche non essere pagati”. o “pagati la metà” (nel caso un editore fallisca, e la metà è già tanto – a me è capitato). vorrei vedere se gli editori rifiutassero di pagare i tipografi…
Ciao Katharina, mai avrei immaginato di trovarti qui. Ne approfitto per porti una domanda: come fa un tedesco ad avere una padronanza tale della lingua italiana (molto meglio di Biscardi) tanto da riuscire a curare la traduzione di un romanzo nelle sue sfumature, i gerghi, le variazioni regionali? Penso alla traduzione di Camilleri o di Mistretta con i loro testi infarciti di sicilianismi o neologismi veri e propri.
Katharina mi ha confermato quello che già immaginavo, e cioè che da noi chi più lavora meno prende. Questo vale per i traduttori, ma anche per gli autori. Mi sembra già di sentire il grido di dolore di Sergio Sozi.
Ciao a tutti,
siccome vedo che per ora non c’è nessuno dei miei colleghi autori del “Mestiere di riflettere” mi sento in dovere di intervenire brevemente, anche se poi dovrò lasciarvi subito.
Io subisco quotidianamente uno sdoppiamento perché sono sia traduttrice sia redattrice editoriale (soprattutto revisora) e sono fra coloro che su Biblit consigliano di frequentare i corsi o di farsi notare con proposte editoriali. Riguardo ai corsi, ne ho frequentati un paio e se si riesce a trovarne uno più pratico che teorico diventa un buon modo per misurarsi in piccolo con i ritmi del traduttore. Ricordo che a uno di quelli frequentati qualche anno fa molti compagni di corso non riuscivano nemmeno a consegnare le prove settimanali. Così avevano iniziato a capire che forse mancava loro quel “qualcosa” che serve per fare il traduttore. Chiamatelo talento, passione, sensibilità, pazzia, come preferite, ma per fare il traduttore devi averne almeno un pizzico.
E sulla questione che devi per forza conoscere qualcuno io sono la prova vivente che non è sempre vero. Dopo un corso fse di editoria (dove avevano però contatti miseri), uno stage in un’agenzia letteraria (ottenuto telefonando direttamente io, con la mia faccia tosta) e una bella raccolta di nomi giusti cui mandare il cv (racimolati di nuovo con ricerche e faccia tosta) ho lavorato a lungo prima come lettrice e redattrice e solo dopo mi sono arrivate le prime prove di traduzione. Tutti vogliono fare i traduttori editoriali: con i bravi professionisti che ci sono già perché le case editrici dovrebbero darti una chance senza sapere quali doti di scrittura hai? Se dovessero dare subito retta a tutti invece di pubblicare libri dovrebbero passare la giornata a far fare prove di traduzione.
Scusate la franchezza, è troppo facile parlare sempre di raccomandazioni.
Resto collegata ancora per un pochino nel caso aveste qualche domanda.
Denise
@salvo, ciao, cerco di rispondere, quasi dal vivo, perché sto traducendo il quarto romanzo di Roberto, così parlo un po’ dalla mia esperienza lavorativa. Tento di infilarmi, quasi immedesimarmi in un mondo, in una cultura completamente diverso, leggo, guardo film, fotografie, per il primo libro ho domandato a Roberto di mandarmi depliant, testi, immagini sulla sua zona per farmi un idea dell’ambiente e della lingua, del dialetto. Dopo un certo punto è anche una cosa istintiva, ma per risolvere i dubbi e/o le lacune ci sono due valide possibilità: i mailinglist dei traduttori italiani – grazie biblitani! – e tedeschi, dove si svolge uno scambio molto utile e domandare l’autore. Per rendere poi il siciliano in una traduzione tedesca, mai poi mai si deve ricorrere a un dialetto tedesco come p.e. il bavarese, darebbe un concetto del tutto preciso come sbagliato al lettore tedesco. Allora si trova una strada fra l’uso di qualche parola/frase originale, che si spiega da se o viene indirettamente spiegato nel testo, un linguaggio più colloquiale che non diventa troppo regionale. Per i neologismi ci vuole molta forza inventiva, magari si fa con due parole o una combinata, con una breve frase, dipende molto, è importante il senso e che non appesantire il testo. Ma ci saranno tante altre possibilità. Cosa dicono i colleghi/le colleghe? Muí scuso in anticipo per la lunga risposta …
Vi ringrazio tutti per questi primi commenti.
Un grazie speciale a Katharina per essere intervenuta e averci raccontato la sua esperienza dalla Germania.
“Chiamatelo talento, passione, sensibilità, pazzia, come preferite, ma per fare il traduttore devi averne almeno un pizzico.”
È precisamente quello che intendevo dire nei miei interventi precedenti. Concordo con Denise.
@ Traduttrice tecnica
Grazie per la tua replica, cara traduttrice. Ma io non sostengo mica che (ti cito) “in Italia per trovare lavoro sia necessario conoscere qualcuno”.
Ho semplicemente replicato alle tue domande: “Perchè in Italia è così complicato diventare traduttori letterari? (…) Perchè il mezzo più comune sembra essere il passaparola o, più in generale, il conoscere qualcuno?”
Secondo me il discorso della “conoscenza” – purtroppo – vale in tutti i campi e in tutti gli angoli del pianeta terra. Credo sia normale… ma non necessario.
Come ho scritto in chiusura di commento, infatti, sostengo che “alla lunga la qualità del proprio lavoro… premia”.
E anche io ti parlo alla luce della mia esperienza.
Dunque mi pare che, tutto sommato, siamo d’accordo.
@ Katharina
Grazie per il tuo nuovo intervento.
È bellissimo scoprire come una traduttrice tedesca si cimenti a rendere nella propria lingua un romanzo (nella fattispecie il nuovo di Roberto Mistretta) infarcito di espressioni in dialetto siciliano. 🙂
Cara Denise,
grazie per il tuo intervento. Credo che i tuoi colleghi non siano ancora intervenuti perché magari impegnati negli ultimi acquisti natalizi.
Comunque c’è tempo. Questo sarà un post… lungo (nel senso che auspico che la discussione possa evolversi anche durante le festività).
E poi ci tengo a ringraziare ulteriormente Gaja per il preziosissimo supporto (grazie mille, Gaja).
È un piacere, Massimo. E sono io che ringrazio te.
No, no… cara Gaja. Insisto.
Sono io che ringrazio te. Moltissimo!!!
E non provare a contraddirmi, che qui sono particolarmente di casa.
🙂
Prima di chiudere auguro buona serata a tutti. Un saluto particolare per gli intervenuti che non ho citato nei precedenti commenti: Enrico Gregori, Elena Orlando, Renzo Montagnoli, Morena Fanti, Laura Costantini, Salvo Zappulla.
Grazie per i vostri interventi, cari amici.
Messaggio ricevuto, capo. Sto zitta, chino il capo, e mi assoggetto alla sua volontà! 😀
bàcioti & adòroti!
sì, vabbè: “capo”, “capo”.
in una traduzione una ripetizione del genere mi avrebbe fatto tremare le vene dei polsi!
Io mando avanti questo, con grande fatica:
VERSIONE ITALIANA DEL BLOG GENERACIÓN Y di YOANI SÁNCHEZ
http://desdecuba.com/generaciony_it/
PER SCOPRIRE Yoani Sánchez, eroica blogger cubana.
Tutti i giornali parlando di lei, ma nessuno ricorda mai il traduttore.
Solo Repubblica mi ha citato e ha usato le mie traduzioni.
Altri le prendono, le copiano e nemmeno dicono grazie.
Oltre a questo, traduco Alejandro Torreguitart Ruiz, ma qui va meglio, pure se poi la gente – come giusto – cerca lui. Ho tradotto anche Heberto Padilla, ma solo per passione, perchè in Italia è inedito.
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
FUERA DEL JUEGO
A Yannis Ritzos, en una cárcel de Grecia.
¡Al poeta, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.
No entra en el juego.
No se entusiasma.
No pone en claro su mensaje.
No repara siquiera en los milagros.
Se pasa el día entero cavilando.
Encuentra siempre algo que objetar.
¡A ese tipo, despídanlo!
Echen a un lado al aguafiestas,
a ese malhumorado
del verano,
con gafas negras
bajo el sol que nace.
Siempre
le sedujeron las andanzas
y las bellas catástrofes
del tiempo sin Historia.
Es
incluso
anticuado.
Sólo le gusta el viejo Armstrong.
Tararea, a lo sumo,
una canción de Pete Seeger.
Canta,
entre dientes,
La Guantanamera.
Pero no hay
quien lo haga abrir la boca,
pero no hay
quien lo haga sonreír
cada vez que comienza el espectáculo
y brincan
los payasos por la escena;
cuando las cacatúas
confunden el amor con el terror
y está crujiendo el escenario
y truenan los metales
y los cueros
y todo el mundo salta,
se inclina,
retrocede,
sonríe,
abre la boca
“pues sí,
claro que sí,
por supuesto que sí…”
y bailan todos bien,
bailan bonito,
como les piden que sea el baile.
¡A ese tipo, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.
FUORI DEL GIOCO
A Yannis Ritzos, in un carcere della Grecia.
Al poeta, congedalo!
Lui qui non ha niente da fare.
Non entra nel gioco.
Non si entusiasma.
Non mette in chiaro il suo messaggio.
Non si accorge neanche dei miracoli.
Trascorre l’intera giornata cavillando.
Trova sempre qualcosa da obiettare.
A questo tipo, congedalo!
Si metta da parte il guastafeste
a questo imbronciato
dell’estate,
con gli occhiali neri
sotto il sole che nasce.
Sempre
lo sedussero le avventure
e le belle catastrofi
del tempo
senza Storia.
È
perfino
antiquato.
Soltanto gli piace il vecchio Armstrong.
Canticchia, al massimo,
una canzone di Pete Seeger.
Canta
tra i denti
La Guantanamera.
Però non c’è
chi gli faccia aprire la bocca
però non c’è
chi lo faccia sorridere
ogni volta che comincia lo spettacolo
e balzano
i pagliacci sulla scena;
quando le befane
confondono l’amore con il terrore
e sta scricchiolando il palcoscenico
e tuonano i metalli
e le pelli
e tutti saltano,
si china,
indietreggia,
sorride,
apre la bocca
“ebbene sì,
chiaro che sì,
certo che sì…”
e ballano tutti bene,
ballano in modo gradevole
quando gli chiedono come trova il ballo.
A questo tipo, congedalo!
Lui qui non ha niente da fare.
(Traduzione di Gordiano Lupi)
Dietro ad una traduzione c’è qualcosa di più che si lega responsabilmente a chi traduce: parlo del SENSO esatto della pagina da leggere.
I traduttori lo sanno che spesso è davvero difficile tradurre quello che loro (per vastità culturale) capiscono al volo e darlo al lettori in una versione tale da non tradire lo scrittore! Insomma questo mestiere include un cervello planetario che oltrepassa i singoli linguaggi e lavora per l’unificazione del valore universale della pagina scritta. Tutti devono intendere la stessa cosa, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno…
Se penso alla bellezza dei romanzi russi, alla loro poesia, devo davvero ringraziare l’autore ma anche chi lo ha supportato!!!
BUON NATALE A TUTTI! Questo è facile tradurre.
Ciao
Rossella
Renzo Montagnoli mi dice:
”Katharina mi ha confermato quello che già immaginavo, e cioè che da noi chi più lavora meno prende. Questo vale per i traduttori, ma anche per gli autori. Mi sembra già di sentire il grido di dolore di Sergio Sozi.”
–
Ed io lo accontento, che’ mi viene facilmente: aaaaaaaah! Mica dico cose campate in aria, gente! Qui in Italia bisogna iniziare a far allargare ”i cordoni della borsa” agli editori, altro che.
–
Egr. Sig.ra Schmidt,
vorrebbe esser tanto cortese da confermare il fatto che anche gli autori, oltre ai traduttori, in Germania vengono pagati abbastanza bene – anche se non stanno in Paradiso neanche loro?
Grazie Mille e Tanti Auguri di Cuore di Buon Natale a Lei e alla stupenda Germania da Sergio Sozi
Ripeto questa affermazione della sig.ra Schmidt (traduttrice professionista tedesca): LEGGETELE TUTTI E POI VENITEMI A STRINGERE LA MANO PER I MOTIVI CHE SAPPIAMO TUTTI:
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”In Germania una non piccola parte dei miei colleghi svolge un secondo lavoro, ci sono le borse di studio, i premi. Ma le nostre tariffe superano nella media queste italiane – e vengono pagate più o meno dopo la consegna non alle pubblicazione del libro.”
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Svegliati, Italia, che e’ ora passata, il sole e’ alto a mezzodi’. Svegliatevi, colleghi.
@Sergio: ti posso assicurare che in Svezia gli autori sono trattati assai meglio che in Italia. Se uno vale viene pagato, non elemosinato.
@ Sergio: e meno male che sei un narratore! Prendi un povero diavolo come me che scrive soprattutto poesie e lì proprio non vedi un centesimo..
Da poco ho preso in mano tre traduzioni del racconto di Stevenson:”Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr. Hyde”. Quella pubblicata da Oscar Classici Mondadori cambia completamente il testo di Stevenson: me ne accorgo perché il testo in inglese é sulla pagina sinistra. Il risultato, in italiano, trovo che sia in uno splendido italiano. Però la versione pubblicata da Garzanti é molto più rispettosa del testo originale. Che dire? Forse, se non si ha la fortuna di poterlo leggere in inglese, la versione di Attilio Brilli può affascinare maggiormente un lettore italiano.
Non saprei davvero cosa scegliere.
“un buon traduttore è anche autore del libro che traduce. perché tradurre non significa “solo” trovare “la parola giusta”, ma assorbire lo spirito con cui lo scrittore ha scritto (perdonate la ripetizione), metabolizzare il suo stile, elaborarlo in italiano, trovare dei corrispettivi validi quando la nostra lingua non ha la possibilità di codificare certi termini che si incontrano nella lingua d’origine. il traduttore è *a tutti gli effetti* un autore”
.
in queste parole di Gaja trovo il senso di tutto il post.
Per far leggere un libro in una lingua diversa da quella dell’autore è necessario scrivere nuovamente il libro stesso. Bisogna appropriarsi del contesto culturale dell’autore, del suo uso della lingua e della lingua in uso.
Si tratta, secondo la mia percezione, di un processo caratterizzato da una complessità sconvolgente. Eppure, come scrive Eco “si può dire quasi la stessa cosa”, poco di più.
Come è stato detto, non è possibile produrre risultati soddisfacenti se il traduttore non dimostra di “amare” il testo con il quale si confronta.
Al pari di ogni rapporto amoroso, è necessaria una negoziazione. Parimenti il traduttore deve mediare con la propria lingua, con la sua interpretazione del testo, con la traduzione intersemiotica che in certi passaggi appare inevitabile.
Nella traduzione non è ammesso alcun baratto. Ogni prodotto finale è il risultato di un atto di appropriazione del senso originario quale seme generatore.
Il testo finale sarà il frutto di una ri-generazione, una nuova nascita. Tuttavia con esso, ogni volta, si ripeterà anche la nascita del traduttore. Non ho mai assistito a tale evento, ma credo sia assimilabile ad un travaglio, con lo stesso amore e con lo stesso dolore.
@Sergio. Katharina, tra gli altri, traduce Camilleri e Ammaniti per i più grossi editori tedeschi, è una signora professionista. Per quanto riguarda gli autori, ti posso assicurare con certezza che i tedeschi pagano con anticipo un acconto sui diritti d’autore e sono molto seri nel dare quello che è dovuto.
Era sera tarda quando K. arrivò. Il paese era sprofondato nella neve. Il colle non si vedeva, nebbia e tenebre lo circondavano, non il più debole chiarore rivelava il grande castello. K. sostò a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduceva al paese e guardò su nel vuoto apparente.
—
Era sera tardi quando K. arrivò. Il villaggio era sommerso dalla neve. Non si vedeva nulla della collina del Castello, avvolta com’era dalla nebbia e dall’oscurità, non un barlume di luce che indicasse il grande Castello. K. rimase a lungo sul ponte di legno che conduce dallo stradone al villaggio, a guardare il vuoto apparente.
— Kafka: Incipit de Il Castello nelle traduzioni di Clara Morena (per Garzanti) e di Umberto Gandini (per Feltrinelli).
Come si vede le differenze, anche se non tantissime, ci sono. C’è da dire che la prima traduzione è recente, la seconda di una ventina di anni fa.
Non ho sottomano un’edizione più vecchia, ma sarebbe molto interessante confrontare anche questa. Mi chiedo: oggi si tende a rendere più attuale il linguaggio nelle traduzioni, anche se l’originale è di un secolo fa, o anche più antico? Mi pare di si. Il traduttore in fondo è costretto a “tradire” l’originale, per forza di cose. Ma “modernizzare” è un’operazione legittima? Non sarebbe un pò come rieditare il Manzoni in italiano corrente? Avrebbe senso? Per un italiano certamente no. Ma per un tedesco ad esempio, avrebbe senso una versione dei Promessi Sposi in tedesco odierno? La probabile risposta è che anche la traduzione non può che risentire del momento in cui viene fatta. Oggi nessuno si sognerebbe di ritradurre Shakespeare nell’italiano del ‘500, e del resto le prime traduzioni conosciute sono già molto più tarde.
Tutta questa tiritera per concludere che il traduttore è un interprete dell’autore esattamente come un musicista. Per quanto conosca la lingua, la letteratura e la cultura dell’autore che traduce, è immerso nella cultura del proprio tempo. La traduzione è come l’interpretazione qualcosa di diverso dall’originale, e possiede un valore ed una vita che le sono propri. Vivaldi interpretato da Karajan suona molto diverso da quello eseguito dai “filologi” inglesi Hogwood o Pinnock; ma in fondo anche costoro quanto si discostano dall’originale?Bach era scomparso dai repertori finchè non fu riscoperto e rivalutato da Mozart. Ma era il Bach del buon vecchio Johann Sebastian o quello di Mozart? E qual’è quello che conosciamo noi?
Scusate le molte (troppe) domande, ma in fondo la maggior parte sono retoriche.
Rispondo a Eventounico:
mi sembra giusto ciò che scrivi. Ma non sono sicura di essere convinta, se ho capito bene.
Nel caso di Stevenson( che leggo in questi giorni) lo scrittore non é più “lui”. A me non importa conoscere il “nuovo” libro del suo( sebbene insigne) traduttore. Quest’ultimo é pur sempre una sorta di “vampiro” del genio scozzese. Se vuol essere lui uno scrittore, scriva pure: inventi qualcosa. Ma la storia non é sua.
Nel caso di Jekyll e Hyde, posso leggerlo in inglese e ne sono felice.
Ma nel caso di altri libri, chi mi garantisce che non cambia il testo originale?
Grazie, Renzo, lo so: pubblico poesie anch’io dal Duemila e purtroppo ”sono nei tuoi panni”. Inoltre, se a Roma si piange e ad Atene non si ride, ora che sappiamo che a Stoccolma si crepa di risate non dobbiamo mica esser piu’ contenti di prima, noi di Roma, solo perche’ c’e’ chi sta meglio di chi sta meglio di noi (i Tedeschi, intendo).
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Solo che ora mi aspetterei qualche affermazione riguardosa anche da parte di persone come Wu Ming Uno che su Letteratitudine mi fece passare la notte in bianco perche’ non capiva come funzionava l’editoria all’estero. E nessuno a dirmi, parlo di qualche mese fa: ”chissa’, forse Sozi ha ragione, verifichiamo all’estero”. Ecco. E’ ora di dirmi ”Sergio, hai ragione, dobbiamo cambiare l’Italia. Noi, non gli altri.”
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E qui chiudo l’argomento, salutando tutti e scusandomi per il piccolo sfogo liberatorio – ma si sappia chiaramente che in Italia tre quarti dei libri pubblicati corrispondono a pochissimi soldi, quando ci sono, in tasca ai traduttori, e a neanche un centesimo in tasca agli autori. E’ roba europea, questa?
Sono d’accordo, in linea di massima, con Roberta (intervento qua sopra). Io compro un libro con scritto ”Stevenson” e piu’ Stevenson leggo, meglio e’. Le misure, poi, d’intervento, fra autore e traduttore, cambiano. Ma, ripeto: piu’ Stevenson inglese c’e’ nello ”Stevenson italiano” e meglio e’, purche’ il testo non divenga illeggibile, certo.
Salvuzzo, che coincidenza! Io con la traduttrice di Camilleri in sloveno ci vivo dal Duemila, dicesi mia moglie Veronika.
Va be’, per restare in argomento ”quattrinesco” solo il tempo di due righe: noi autori e traduttori Italiani siamo i piu’ sfruttati e malpagati dell’Europa economicamente avanzata (Italia: ottavo Paese industrializzato del mondo). Sei d’accordo con quanto ho affermato? Mi pare lapalissiano.
Spinta da Carlo S., che riporta Kafka, riporto anch’io due traduzioni dal cap I di Jekyll:
“He is not easy to describe. There is something wrong with his appearence; something displeasing, something down-right detestable”.
Brilli (Oscar Classici) traduce: ” Non saprei descrivertelo. Nel suo aspetto c’é qualcosa che non torna, qualcosa di sgradevole, di ignobile addirittura”.
Invece Laura Ferruta( Garzanti):” Non é facile da descrivere. Nel suo aspetto c’é qualcosa di sgradevole, di detestabile addirittura”.
Scusa, ma non é meglio la seconda versione? Non ha la pretesa di scrivere “un altro libro” e infatti NON DEVE farlo.
Stevenson é così “lineare” e così bello. Perché “trasformarlo”?
Non capisco.
Aggiungo (per il riferimento alla musica che é anche molto carino):
é vero: qual é il vero Bach?
Ma non si tratta di interpretazione, nel caso della traduzione.
Le note, comunque, non sono cambiate.
Nelle traduzioni che si discostano dal testo sono proprio le parole ad essere cambiate.
Questa almeno é la mia opinione.
P.S. Per Salvo:
appunto, il professionismo, dicevo, va pagato dappertutto, anche in Italia. E’ora, caro.
”Non e’ facile da descrivere: in quel che di lui mi appare c’e’ qualcosa che non va, qualcosa di spiacevole, qualcosa di… decisamente detestabile.”
mi piacerebbe sapere come sono trattati, dal punto di vista delle traduzioni, gli scrittori italiani che pubblicano all’estero. qualcuno ne è informato?
Per Sergio:
non sono un’autrice, né una traduttrice. Purtroppo. Insegno francese in una scuola media. E cerco di trasmettere ai miei alunni un pò di amore per la lettura. Non sempre ci riesco.
I soldi, alla fine, in tutto questo non c’entrano nulla.
Noi( insegnanti) non siamo “professionisti”, ma soltanto “maestri”.
Per voi sarebbe giusto un trattamento sul modello europeo, perché quanto tempo ci si impiega per una traduzione? o per la scrittura di un’opera? E’ impagabile.
Però, grazie lo stesso.
Ps: non avevo letto la traduzione del brevissimo bravo di Stevenson: mi sembra perfetta.
Grazie, Roberta, per il ”bravissimo” e per il ”perfetta”, troppo buona, sei. Sulle paghe italiane: sei sottopagata anche tu, la cultura italiana e’ trattata a cavoli in faccia e a calci nel sedere, tutti: insegnanti, scrittori, articolisti e traduttori. Mi sono stufato, io.
Ciao, cara, Buone Feste e Santo Natale 2008
E invece qui ( cap V) trovo che il “tradimento” nei confronti di Stevenson da parte di Brilli produca uno stile incantevole:
” But the room was gay with firelight. In the bottle the acids were long ago resolved; the imperial dye had softened with time, as the colour grows richer in stained windows; and the glow of hot autumn afternoons on hillside vineyards, was ready to be set free and to disperse the fogs of London”.
“La stanza era rallegrata dal guizzo delle fiamme. Entro la bottiglia i fermenti del vino s’erano dissolti da tempo, il colore imperiale aveva assunto un tono più pastoso, come avviene con le vetrate multicolori che acquistano più morbide intensità col tempo, e lo splendore degli assolati meriggi autunnali sui vigneti collinari era in procinto di erompere per disperdere le nebbie di Londra”.
Mi sembra più bella di quella seguente( di Garzanti):
“Ma la stanza era allegra alla luce del fuoco. Nella bottiglia gli acidi si erano disciolti da tempo; il colore imperiale si era attutito ed era diventato più pastoso, come avviene con le vetrate dipinte; e la luce dei caldi pomeriggi autunnali sui vigneti dei colli vicini stava per dilagare e disperdere le nebbie di Londra”.
Quindi quello stesso traduttore che non mi sembrava rispecchiare Stevenson nella breve descrizione di Hyde, in questa descrizione, invece, mi sembra più attento della traduttrice più “fedele” al testo.
Hai ragione: siamo sottopagati. Mi sarei stufata anch’io..
Grazie infinite.
Buon Natale e cari auguri anche a te.
Enrico,
io so solo come sono stati trattati da Veronika, qui in Slovenia, Marani, Calvino, Camilleri, Tabucchi (ecc. parlo solo di alcuni). Sono stati trattati benissimo, mi pare, visto che e’ appena uscito il quarto romanzo camilleriano di Montalbano e sembra che si venda bene e che molti lo prendano in prestito dalle biblioteche slovene – qui anche le novita’ vanno subito in biblioteca, e lo Stato per questo motivo da’ in risarcimento qualche soldo dei diritti d’autore anche a traduttori ed editori danneggiati dai prestiti bibliotecari.
In genere, comunque, le grandi e/o rinomate, tradizionali case editrici, come Modrijan e Slovenska matica (altre, come Mladinska knjiga, direi comunque ”abbastanza”) sono molto attente alla qualita’ delle traduzioni. La sensibilita’ per le traduzioni, in ogni caso, e’ molto diffusa, soprattutto fra gli intellettuali, che sono in larga parte anche traduttori, oltre che poeti e/o scrittori.
Possiamo esser contenti, noi italiani: Gomorra e’ fra i piu’ venduti e la ”Storia della bruttezza” di Eco tira bene anche se costa… un botto!
Non conosco il francese. Così, a volte, mi chiedo:”Amo Pennac o Yasmina Melaouah?”
Lauretta Chiarini.
P.S.
Qui in Slovenia la gente non ha peli sulla lingua, quando recensisce una traduzione su qualche giornale o rivista specialistica: ci vuol poco, in un Paese con solo due milioni di abitanti, a far la figura del traduttore dilettante. Dunque molti stanno attenti e studiano. Ovvio. Vengono pagati, no?
Roberta,
d’accordo con te sulla bella traduzione di Brilli dell’altro passo citato. A volte introdurre un poco di spirito poetico italiano serve anche a dar vita alle aprole straniere e renderle nostre. Cum grano salis, dicevano i nostri antenati…
Ciao
Sozi
Lauretta,
io non conosco Pennac.. ma solo perché prediligo gli scrittori classici.
E’ una mia mancanza.
Posso leggere in francese, ma, come scriveva qualcuno poco fa qui sopra, non posso leggere Cechov in russo. Pazienza. Vorrà dire che avrò una versione degli scrittori russi. Credo che i traduttori siano tutti molto bravi. Ho appena “smentito” una mia opinione sul “tradimento” ai danni dell’adorato Stevenson. Perché mi piacciono talmente tanto entrambe le versioni dei due diversi traduttori che non so quale preferire!
Sergio,
perdona se rispondo ancora. Mi appassiona l’argomento.
E’ vero che lo spirito poetico serve anche a dar vita alle parole straniere e a renderle nostre ( ti cito, perché mi piace anche il tuo stile). Nel caso del brano appena citato é verissimo.
Però mi sono capitate( ma non te le riporto qui.., vista l’ora tarda) traduzioni “allucinanti” da “Les Fleurs du Mal”.
Aggiungo: beati, lì in Slovenia…
Ciao
Carissimi
in questi giorni di lieta attesa natalizia ho distribuito ad amici, parenti e a qualche collega illuminato un opera di poesie alla cui traduzione ho partecipato. Ogni volta che consegnvo nelle mani di queste persone il libricino, sentivo che non potevano capire: capire cosa ci stava dietro alla scelta di ogni parola, dietro alla fatica e al coraggio di ogni scelta, dietro alle discussioni con gli altri colleghi per trovare una strada comune sui termini. Ho avuto per qualche istante la tentazione di provare a spiegare, ma realizzando immediatamente che non sarebbe stato possibile, che avrei dovuto tenere una conferenza, invitando magari le colleghe che hanno lavorato con me. E quindi, mi sono trovata davanti a due strade: strappare bruscamente il libricino dalle mani di che coloro ai quali l’avevo appena consegnato e scappare a gambe levate o lasciarlo lì, consapevole che nulla di ciò che lo ha creato avrebbe sfiorato minimamente la mente del ricevente.
Ho accettato passivamente e non senza dolore la seconda strada, quella “normale” ma che angoscia….
Cara Roberta,
be’, proseguiamo no? Il mio ”cum gano salis” latino stava per ”attenzione a non dimenticare la RATIO – sia la propria nel senso di intelligere che quella dell’opera, ossia l’ordine che l’autore diede al ”traducendo libro”. Serve equilibrio, nella vita, sempre. Serve capire quando e’ opportuno volare in alto e quando la personalita’ dell’autore richiede una fedelta’ al ”volo a bassa quota”. In piu’, altre prerogative. Ma quelle dette sono per me le principali e ”sacre”.
Ciaociao
Sergio
dimenticavo, Roberta: la cosa ancor piu’ importante di tutte e’ la conoscenza e l’amore per la PROPRIA LINGUA. Questo e’ il dato ”sine qua non” si finge e si fanno sciocchezze o robette.
Cara Melusina,
”non ti curar di loro ma guarda e passa” disse il Sommo. E continua a tradurre bene. Ma soprattutto incontrati con i professionisti, che se ne impara sempre qualcosa. Qui in Slovenia i traduttori non sono ricchi, ma si scambiano opinioni e credono molto in quel che fanno – sono professionali e si conoscono tutti, insomma. Fate lo stesso li’ in Italia: incontratevi e state bene insieme.
@Melusina: forse pretendi troppo, perchè già la poesia, benchè donata, ha spesso un gradimento inferiore alla narrativa.
@Sergio: cerco, a volte, di immaginarmi le difficoltà di un traduttore di mettere nella sua lingua testi che non sono scritti in un italiano corretto. Ce ne sono e non pochi, e anche di autori che vendono molto, gente che ai miei tempi, in un compito in classe di italiano, si sarebbe presa un bel cinque.
@a tutti Buon Natale. Oggi ho diversi impegni e non credo che avrò la possibilità di ritornare sul blog; ecco il perchè di questi auguri di prima mattina.
Cercherò di rispondere, per quanto possibile, un po’ a tutti i quesiti che sono stati sollevati in questo scampolo di discussione e che non ho potuto seguire in tempo reale.
@Sergio: qui in Italia, che la situazione di autori e traduttori sia più che disperata, è fatto scontato sin dai tempi di Bianciardi. “Tradurre *è* un mestiere micidiale”. Lo è se devi tradurre tre libri contemporaneamente (e davvero DEVI, altrimenti alla fine del mese non ci arrivi: non è che tu possa scegliere se farlo o meno), lo è perché ti impone ritmi disumani e serratissimi – talvolta, lo è perché la maggior parte dei libri non ti lascia niente. Qui in Italia sono anni che Biblit (associato al Sindacato Nazionale Scrittori) e l’SNS stesso si battono per il riconoscimento dei diritti dei traduttori e degli scrittori. Purtroppo, come ripeto, i traduttori sono sempre “quelli che possono aspettare” quando si tratta di pagamenti.
Io ho tradotto alcune decine di libri, e mi sono resa conto – se ce ne fosse bisogno – che ciascun autore ha bisogno di essere *identificato* con il suo stile, se ce l’ha (è non è cosa scontata). Si può volare alti, se è il caso, si può restare a terra, sempre se è il caso. Anzi, si deve.
Per rispondere anche a Roberta (chiedo scusa se sbaglio qualche nome ma, come al solito, sto facendo tre cose insieme): ci sono traduzioni che, inevitabilmente, devono essere “innovate”. L’italiano di cinquant’anni fa non è più quello di adesso. Alcuni capolavori russi, ad esempio, sono scritti in un italiano in cui nessuno scriverebbe più, ora. Ciò non toglie – sia chiaro – nemmeno un grammo di fascino e di limpidezza a quelle versioni.
@Renzo: a me è capitato con un libro scritto in originale in vietnamita, tradotto in inglese, la cui versione però aveva “perso” pezzi interi di storia. Non ci si capiva niente, abbiamo dovuto noi – traduttrice e revisora – riempire le voragini che si aprivano nella trama. Va da sé che è stato un lavoro da impazzire.
@Evento unico: carissimo! sai a cosa paragono spesso il lavoro di traduzione? alla matematica (che, notoriamente, non è un’opinione), o a un “gioco” a incastro, una sorta di puzzle in cui la tessera deve essere quella e solo quella.
@Roberta: te lo dovrebbe garantire il nome del traduttore o della traduttrice. Se tra gli organi di stampa, le riviste culturali, gli addetti ai lavori, i traduttori acquisissero più spazio, più “potere”, se avessero quello che gli spetta – ovvero se fossero NOMINATI e se il loro non fosse il lavoro oscuro e massacrante che è, i lettori – anche coloro che non sono nell’ambiente editoriale – saprebbero scegliersi una buona traduzione. Io, quando acquisto un libro (ne parlavamo ieri con Massimo), guardo sempre come prima cosa il nome del traduttore. Susanna Basso, Riccardo Duranti, Rossella Bernascone – per citarne solo tre – per me sono una garanzia.
abbracci a tutti! e, se non ci riscriviamo, buon Natale (ma credo che ci riscriveremo…) bàciovi! ;))
buongiorno a tutti, prima di lasciarvi per un viaggio natalizio – da noi si festeggia già il 24, ancora alcune osservazioni
@salvo: purtroppo non traduco “il sommo” Camilleri, ma oltre Roberto e Ammaniti autori come de Cataldo, Carlotto, Vichi, di Fulvio e scrittrici come Grazia Verasani e Paola Barbato. Conosco pero la mia splendida collega che ha tradotto la maggioranza dei romanzi con Montalbano e qualche volte ci consultiamo per dubbi nel siciliano …
@sergio: concordo completamente – la conscenza a 360 gradi della propria lingua è fondamentale!
e anche lo scambio con i colleghi – tramite mailinglist come biblit, o laboratori come questo italo-tedesco che da qualche anno organizzano perfettamente i colleghi Marina Pugliano e Andreas Loehrer. Ma anche lo scambio con gli autori.
Allora una domanda agli autori tra voi: Vi piace lo scambio con la persona che traduce vostro libro, come lo vedete, se vi arrivano domande?
allora a tutti buone feste e magari a dopo
Katharina
Tra le cose fondamentali (e non l’ho detta io, benché l’abbia scritta qui, all’inizio del thread) c’è l’assoluta, ottima conoscenza dell’italiano (e/o di qualsiasi altra lingua verso cui si traduce), infatti.
@Katharina. Tranquilla, prima o dopo tradurrai anche me, cosa vuoi che sia Camilleri al confronto.
@Gaja. Sei simpaticissima.
@Salvo: GRAZIE! *____* anche tu!!
@ sergio:
e allora fai i miei complimenti a veronika. che lei sapesse scrivere me ne ero accorto quando pubblicò qui un racconto. a questo punto mi pare chiaro che la sua esperienza di scrittrice sia essenziale nelle traduzioni che riesce a elaborare.
🙂 Mi inserisco con una comunicazione di servizio e una battuta.
Intanto saluto Gaja, della quale ho intravisto appena delle splendide foto su facebook e che sono felice di poter conoscere meglio qui: ciao Gaja – sono sicuro che ci vedremo presto: sei stata contagiata dal bacillo azimutiano anche tu, eh?
E saluto il grande Massimo (Massi-mo Massi-mo Massi-mo…!)
Ecco, volevo dire che, come per Letteratitudine, questo libro si può ordinare in tutte le librerie d’Italia – dato che siamo distribuiti da PDE-Feltrinelli – oppure, per un contatto più diretto, si possono richedere copie a info@azimutlibri.com. Vi risponderò io stesso.
E poi butto lì una simpatica osservazione che è stata fatta da qualcuno tra il pubblico alla presentazione de “Il mestiere di riflettere” tenutasi presso la Fiera Più Libri Più Liberi:
“Come mai il rapporto numerico traduttori(uomini)/traduttrici(donne) è così sbilanciato? Perchè a tradurre sono quasi sempre donne?”
Una delle traduttrici e autrici del libro ha risposto (più o meno):
“Perchè l’uomo deve portare la pagnotta a casa e mantenere una famiglia…con i guadagni del traduttore come fai?”
Chiedo quindi a Gaja – e a tutti i partecipanti: il “mestiere di riflettere” basta a sostentarsi o è per forza (nel nostro Bel Paese, s’intende) un’attività collaterale al “vero” lavoro, quello che remunera?
E poi: la capacità di tradurre sta davvero nel solo cromosoma X?
Tanti auguri di buone feste a tutti i Letteratitudiani
(su http://www.azimutlibri.splinder.com trovate i nostri auguri musicali – miei e di Guido Farneti)
e continuo a seguire lo svolgimento del discorso…
Ciao!
Qualche anno fa, parlando con Ivan Cotroneo (meraviglioso traduttore di “Le ore” di Michael Cunningam), e chiedendogli in che modo avesse dato voce a un libro così complesso e importante, mi sentii rispondere (eravamo in un ristorante a Catania….davanti a un piatto di spaghetti col pesce spada)….che era proprio come avere in bocca quel sapore.
Che dopo averlo goduto con lo sguardo, lo aveva percepito sulla lingua. E poi scendere giù. Nello stomaco. Nel cuore.
Un approfondimento dei sensi tutti. Una digestione e una sintesi. In cui il maggiore sforzo era conservare il sapore originario.
Ecco. Credo che Ivan abbia svelato il difficile equilibrio tra chi deve rispettare e al tempo stesso rivelare. Creare e assecondare.
Tra tutte le arti credo sia quella più alta e più vitale.
Quella, anche, che insegna di più. A stare dentro. E fuori le cose.
E’ questo il mestiere di rifettere. Ciò che dovrebbe precedere anche la scrittura. Quella sospensione perfetta tra volontà e necessità. Tra puro desiderio (follia, innamoramento) e autocontrollo.
Infondo, è anche il mestiere di vivere.
–
Un abbraccio a tutti gli autori del “Mestiere di riflettere”….Bravissimi! E buon Natale!
Ciao a tutti, non ho partecipato al libro il mestiere di riflettere ma partecipo volentieri al dibattito. Sono tantissimi i punti sollevati e oggi è vigilia e probabilmente non avrò il tempo di toccarli tutti, ma ci sarà sicuramente un’altra occasione.
Per quanto riguarda l’argomento sollevato da traduttrice tecnica: io penso che tu abbia ragione, nella maggior parte dei casi per diventare traduttore servono le conoscenze. Io ce l’ho fatta senza, come probabilmente anche altri, ma è comunque una questione di fortuna, oltre che di bravura. Per dieci lunghi anni ho provato a mandare curriculum e schede di lettura senza mai la minima considerazione da parte di nessun editore. Poi l’incontro con Guido Farneti di Azimut, i nostri progetti comuni portati avanti con grande passione di entrambi. E ho avuto l’occasione di dimostrare cosa sapevo fare. E anche altri si sono finalmente accorti di me. Non è una strada facile, traduttrice tecnica, ma il mio consiglio è di non demordere se la tua è una passione. Continua a lavorare su testi che ti piacciono, a tenerti in esercizio, ad avere qualcosa di pronto nel caso l’occasione arrivi, per non lasciartela sfuggire. Io ho ancora tanta strada da fare, ma se almeno sono arrivata ad imboccarne una è solo grazie a una certa dose di testardaggine e determinazione.
Riguardo alle interessanti domande poste da Gaja:
– Io scrivo e traduco, e vivo la traduzione come una profonda fonte di arricchimento. Tradurre mi aiuta ad esplorare altri stili, nuove forme espressive, ad usare vocaboli che non sono nel mio bagaglio, io non mi sento affatto costretta. Anche perchè che altra ragione ci sarebbe di tradurre, viste le condizioni penose di questo lavoro, se non il fatto che si ama questo lavoro con tutti noi stessi? Io mi sento spesso tormentata, è vero, quando sento che non sono perfettamente riuscita a rendere un passaggio come merita e quindi passo ore ed ore su un’unica frase, ma la gioia di vederla poi scorrere fluida sotto i miei occhi mi dà una gioia impagabile. Da quando traduco con sistematicità ho conferma che questo è il mio lavoro, l’unica cosa che ho sempre voluto fare. Certo i lati bui della professione non mancano: vorrei anch’io essere pagata di più, con più puntualità, che il mio lavoro fosse più rispettato, e non solo sotto l’aspetto economico. Spesso mi rendo conto che la gente che mi circonda non lo considera un vero lavoro, mi vedono come se mi dedicassi a un passatempo, forse perché lavoro a casa, circondata in fondo dalle incombenze quotidiane. Questo mi fa male, perché nessuno si rende conto in realtà di che lavoro faticoso sia, di che concentrazione richieda. Mi fermo qui per ora, colgo però l’occasione di salutare Katharina, che ho recentemente conosciuto, e tutti quelli che stanno partecipando al dibattito. E visto che è Natale, tanti auguri a tutti!
Caro Sergio,
non pensavo avresti risposto ieri, così je suis partie..
A proposito dell’amore per la propria lingua ricordo che quando ero in Francia, anni fa, e mi piacecva così tanto sentir parlare in francese, avevo incontrato una signora coltissima, di origine ebrea e che aveva tradotto Michelangelo. Il suo italiano mi faceva sentir male, quando parlavamo, tanto ere bello e musicale: mi emozionavo moltissimo.
E’ per questo che, se dovessi leggerlo solo per me, sceglierei sempre e comunque la traduzione di Brilli.
Ho anche comprato tempo fa( nella collana “Scrittori tradotti da scrittori”) BARTLEBY LO SCRIVANO di Melville tradotto da Cesare Pavese. E chi ci avrebbe trasmesso l’amore per Melville, se non lui?
Non ce l’ho qui con me, quel testo, ma non appena torno dalla campagna dove vado a trovare i miei per Natale, cercherò di riportare qualche piccolo brano, se non annoia troppo.
Ciao, cari saluti.
Ps: non capisco perché figuro come “anonima” poco fa, ma sono io.
Ringrazio anche Gaja per l’attenzione alle mie considerazioni e tutti per la bellissima discussione.
Cari saluti e auguri
Roberta
@Massimiliano: GRAZIE per il complimento. Ehm. Le foto sono tante, ehm… praticamente la mia immagine è ormai inflazionata. Altro che sovraesposizione mediatica! 😉 I fotomontaggi sono belli, è vero, anche se non sono opera mia! Certo che ci vedremo presto: Azimut is everywhere! 😉
Dunque: il cromosoma X. è vero, ci sono più traduttrici che traduttori. Francamente non so dare una spiegazione incontrovertibile ma solo avanzare delle ipotesi. Forse, visto che tradurre è un mestiere che si può fare da casa, potrebbe essere più “accessibile” a una donna. (il che mi fa venire in mente, che “Killing the Angel in the House was part of the occupation of the woman writer”, come diceva Virginia Woolf. Ma qui sto divagando, e come al solito, ogni volta che parlo di traduzione salta fuori la scrittura. Eppure potrebbe essere uno spunto di riflessione interessante).
@Laura: Capisco assolutamente tutto quanto tu scrivi e, in parte lo condivido. Lo condividevo di più agli inizi, a dire la verità. Poi ho cominciato a tradurre a ritmi disumani, asfissianti, per mettere insieme quello che alla fine del mese poteva somigliare a una retribuzione di circa mille euro, più o meno. E ho cominciato a provare una sorta di insofferenza, mista ad amore viscerale, nei confronti di questo lavoro e del modo in cui si viene trattati. Amo la traduzione, amo tradurre, quando mi sono capitati quei cinque o sei libri (su decine e decine che ne ho tradotti) che io reputo il mio orgoglio mi sono sentita *davvero* felice, *davvero* completa.
Amo e odio la traduzione letteraria, e credo che questa ambivalenzia sia il segno, il marchio distintivo di tutti i grandi amori, di tutte le grandi passioni. Luciano Bianciardi, Bruno Tasso (splendido traduttore di – se non vado errata – “L’arpa d’erba” di Truman Capote, uno dei più bei libri mai scritti): riconosco e vivo sulla mia pelle quella sofferenza.
Auguroni a te, carissima Laura, di un futuro professionale luminosissimo: lo sarà senz’altro. E un bacio.
Roberta, credo che Gaja abbia risposto anche per me.
Devi scusarmi, ma la mia posizione è molto radicale. Nessuno sa veramente cosa l’autore avrebbe detto se avesse scritto il suo testo in un’altra lingua, al suo tempo o nel nostro e quale sarebbe stato l’effetto della suggestione ispiratrice che lo ha portato a scriverlo. Per riuscire a tradurre bisogna provare ad “essere” l’autore.
Sai bene che non esistono traduzioni assolutamente corrette per alcune espressioni idiomatiche.
Devo anche confessarti che ho apprezzato veramente la Repubblica di Platone solo quando l’ho letta in originale (traducendola).
Anche Auster e Kerouac, tanto per fare altri esempi, sono in genere mal tradotti. Su Shakespeare sospendo il giudizio perchè richiederebbe un post specifico.
@Roberta: è stato un vero piacere. Auguri belli!
@eventounico: ti scrivo presto. o scrivi tu a me. auguri, intanto.
@Simona: la traduzione è *sempre* anche metabolizzazione. Qualsiasi atto creativo lo è. Ascoltare (o leggere) una poesia, lo è. Scrivere (in poesia o in prosa) lo è. E lo stesso vale per la traduzione. La metafora del corpo è più che calzante. Un abbraccio e auguri.
Cari amici vi ringrazio tutti per vostri interventi su questo interessante tema del “mestiere di riflettere”.
Come avrete visto ho appena pubblicato un post natalizio:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/12/24/i-vostri-natale-2008-e-capodanno-2009/
Ma il dibattito di questo post continuerà nei prossimi giorni.
Ringrazio ancora una volta Gaja per l’affettuosa collaborazione (che spero possa continuare anche nei prossimi giorni) e Katharina Schmidt per i suoi interventi “in diretta” dalla Germania.
Come è mia abitudine ringrazio, citandoli uno per uno, gli autori dei nuovi commenti: Gordiano Lupi, Rossella, Sergio Sozi, Renzo Montagnoli, Roberta, Eventounico, Salvo Zappulla, Carlo S., Enrico Gregori, Lauretta Chiarini, Melusina, Laura Angeloni, Massimiliano Felli (valente editor di “Azimut”), Simona Lo Iacono e chiunque mi fossi dimenticato di citare.
Grazie mille!
Massimo, contaci! ;)* un abbraccio e auguri a tutti.
Grazia ancora, Gaja. Un abbraccio e auguri a te.
Nei prossimi giorni (in attesa che possano intervenire gli altri autori de “Il mestiere di riflettere”) riprenderò alcuni dei vostri commenti che – a mio avviso – hanno fornito “spunti” meritevoli di approfondimento.
Salvo Zappulla mi ha inviato un’intervista che la nostra amica Katharina Schmidt ha rilasciato a Barbara Becheroni (intervista pubblicata sulla rivista “Pentelite”).
La ri-pubblico di seguito, tra i commenti, perché penso che possa fornire ulteriori spunti volti a favorire il dibattito.
INTERVISTA A KATHARINA SCHMIDT
di
Barbara Becheroni
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A volte capita di trovarsi in un ambiente magico e di parlare con una persona eccezionale di cose che ami profondamente… È un evento raro, lo so, però è successo proprio a me…
Ero a Torino, al salone internazionale del libro, circondata da libri e da lettori, autori, editori, agenti letterari… In un turbine di parole scritte e dette, di immagini, di visi ho avuto il privilegio di incontrare Katharina Schmidt, che di professione traduce libri. Consideriamola, come i suoi colleghi di tutto il mondo, una benefattrice dell’umanità, perché permette di leggere i libri scritti in un’altra lingua a chi non comprende l’altra lingua.
Una professione quasi biblica: è in grado di dissipare, seppur parzialmente, le nebbie linguistiche seguite all’incidente di Babele… Siamo qui per rendere un piccolo omaggio ai molti traduttori che lavorano lontani dai riflettori del successo me che sono indispensabili a noi lettori…
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D) Quando si è “accorta” che lo studio linguistico poteva diventare una “scelta di vita”?
R) Non credo che ci sia stato un momento preciso. In parte penso che dipenda dalla mia formazione professionale, cioè gli studi di regia di teatro musicale. Ogni giorno sento che questo “passato” mi offre grandi vantaggi nel lavoro di traduzione. Durante gli studi mi sono interessata molto al rapporto fra musica e parole, tema che ho scelto anche per la mia tesi di laurea. Avevo già tradotto prima, solo per me stessa, dei testi musicali di lirica e anche brani di cantautori che non si trovavano in tedesco. Dopo il corso di regia ho aggiunto studi di linguistica e traduzione, poi ho incominciato a fare qualche traduzione nell’ambito della musica e mi sono accorta che questo sì era un lavoro – e una fatica – che sarebbe potuto diventare il mio ideale. Poi sono arrivata a tradurre libri e oggi sono convinta che la traduzione letteraria fa proprio per me.
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D) Come mai la lingua italiana è entrata nel suo cuore, tanto da diventare un vero e proprio lavoro?
R) Se ami la musica classica e lirica non puoi fare a meno di amare l’italiano. Mi chiedo se c’entra anche la mia passione per il calcio … Non è certo stato un caso se ho scelto un tema italiano per la mia tesi, perché la cultura italiana da molti anni fa parte della mia vita. Ho viaggiato in Italia, ho vissuto per un periodo lungo a Milano, poi ci sono gli amici … Ma come si può spiegare fino in fondo un amore vero e proprio? Apprezzo e amo molto il tedesco, lingua materna, molto ricca, magari un po’ dura, però capace di esprimere tante sfumature, ma sento che parlando in italiano cambia qualcosa per me, esistono concetti che posso esprimere più facilmente in italiano. E adoro i vari dialetti, con i cui mi devo anche spesso confrontare nelle traduzioni.
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D) Tradurre: arte o raffinato artigianato?
R) Non saprei! Dipende! Senz’altro ci vuole anche molto artigianato nel senso di mestiere, di esperienza. Con la poesia il discorso cambia … Per me tradurre un libro equivale a trasportarlo, con tutti i concetti culturali sociali e storici e cosi via, in un’altra realtà linguistica e culturale senza perdere lo spirito, il carattere dell’originale, lo stile personale dell’autore… Insomma, una cosa impossibile, ma ci si tenta sempre.
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D) Come lavora il traduttore?
Non c’è un unico modo, dipende dal testo. In una discussione con colleghi ho scoperto che anche sulla domanda se si dovrebbe leggere l’intero libro prima di cominciare a tradurlo non c’era unanimità. Io leggo sempre prima l’intero testo, se si tratta di una serie possibilmente anche tutti i seguiti. Mi annoto le difficoltà, i problemi da risolvere, ma innanzitutto cerco di cogliere il ritmo del libro per riproporlo nella mia lingua, anche se non sarà mai lo stesso. La mia formazione come regista non è molto ortodossa per una traduttrice ma mi è utile ogni giorno. Percepisco un testo anche come un film: i personaggi, le situazioni… E penso di possedere una forte capacità di rendere queste cose anche oltre la lingua. Lo stesso vale per i dialoghi. E infine è anche una questione di ritmo. E del libro stesso.
In più devi conoscere un sacco di gente di vari ambienti e professioni diverse, perché anche in un romanzo possono venir fuori delle domande più improbabili. Domanda molto diffusa: ma mi puoi dire come si dice, quando uno fa così?
E per il lavoro mi preparo o mi faccio preparare dal mio compagno una “colonna sonora”, di jazz, ma anche musiche etniche, hiphop, reggae, cantautori, dipende …
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D) Pensa che sia vera la teoria che dice che tradurre equivale a “riscrivere” un testo?
No, decisamente no, se non si tratta di poesia.
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D) Cambia il lavoro quando si traducono poesie rispetto alla prosa?
Cambia, certo, c’entrano questioni come il ritmo preciso, le rime, le immagini, che naturalmente si trovano anche in altri testi letterari, ma con la poesia, forma molto concentrata, è ancora diverso. Finora ho tradotto poca poesia, maggiormente nell’ambito della musica rinascimentale e medioevale, ma con la lirica il concetto non cambia molto. È la musica che ti dà o ti impone anche la struttura, il ritmo e soprattutto i tempi e lo spazio preciso.
Regole che valgono in parte anche per la traduzione di fumetti.
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D) Al momento di affrontare un nuovo testo da tradurre, lo “pensa” già in tedesco mentre lo legge la prima volta?
No, la prima volta che lo leggo penso magari già a certe espressioni, frammenti di una frase, ma vedo soprattutto a cogliere il flusso, il ritmo, lo stile, lo sviluppo della trama, la struttura, i personaggi … E mi annoto cosa devo chiarire, quali espressioni, nomi e concetti per i quali devo trovare una soluzione in tedesco. Ma spesso il libro l’ho già letto prima che mi affidano la traduzione, perché scrivo giudizi per varie case editrici e leggo anche moltissimo nel tempo libero.
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D) A me capita di “pensare” alcune cose in portoghese, la mia seconda lingua, perché mi sembra che rendano meglio il concetto rispetto all’italiano. Capita così anche a lei con l’italiano?
Sì, qualche volta mi prende questa confusione linguistica-culturale, ma non quando traduco. A volte mi consumo il cervello per trovare la traduzione giusta/congeniale di una espressione che nella lingua d’origine è così chiara! Invece per renderla in tedesco devi fare fatica. Faccio un esempio: in un romanzo che ho tradotto era fondamentale che la trama si svolgesse nel giorno di Ferragosto. In Germania non c’è il Ferragosto come lo si intende in Italia: abbiamo le ferie scaglionate, non si parte per le ferie nello stesso giorno, da noi Ferragosto non è un giorno festivo e da noi le città non sono mai deserte… Tutto ciò che in italiano è reso in una sola parola: Ferragosto! Allora o fai una nota – ma è sempre meglio evitarle in un romanzo! – o devi almeno spiegarlo senza appesantire il testo.
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D) Come si fa a imparare così bene una lingua straniera da diventare traduttori? Quanto amore ci vuole?
Devi prima imparare benissimo la tua madrelingua e curarla con tutte le sue sfumature, i cambiamenti, i gerghi, le variazioni regionali, i registri linguistici e leggere molto. Imparare la padronanza della lingua straniera include anche conoscere la cultura, le realtà sociali, la storia e così via e rimanere sempre aggiornati. Ammiro i colleghi che traducono da due o tre lingue. Ho fatto qualche traduzione dall’inglese ma solo nello stretto ambito musicale e non tradurrei mai un romanzo … Per me funziona meglio con un paese come l’Italia e non con gli Stati Uniti o la Norvegia, ma questo dipende sicuramente da ragioni personali…
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D) Cosa le dà più fastidio in un testo? A me, per esempio, alcune contaminazioni inutili con l’inglese fanno accapponare la pelle…
Certe espressioni alla moda che usano tutti mi fanno raddrizzare i capelli. Le forme dovute alla traduzione alla lettera da un’altra lingua che dopo vengono usati senza pensarci e suonano ridicolamente storto e fuori luogo …
Poi troppe ridondanze, a meno che siano usate apposta per creare un ritmo, una struttura in un libro, a descrivere un carattere, insomma con uno scopo preciso. Mi spiego meglio con qualche esempio: nel suo nuovo libro “Nelle mani giuste” Giancarlo de Cataldo diverse volte incomincia le frasi di un paragrafo con la stessa parola o un nome, che dà al suo testo un ritmo ben preciso, personale e avvincente. Nel romanzo “Blackout” l’autore Gianluca Morozzi usa il mezzo della ripetizione per sottolineare l’ansia dei suoi protagonisti che sono rimasti chiusi in ascensore e si trovano di fronte a un pazzo violento che è anche un killer.
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D) Che consigli vuole dare a uno studente che intendere intraprendere la carriera di traduttore?
R) Di lasciar perdere … No, sul serio, intraprendere la “carriera” del traduttore letterario è una scelta molto personale, e dubito poi che si possa parlare di carriera nel senso di business. Esistono dei corsi, anche universitari che possono dare una formazione profonda. Dopo e prima credo che si dovrebbe leggere moltissimo, anche nella madrelingua. E naturalmente dipende dal tipo di traduzioni che si intende di affrontare. Tradurre è per di più un lavoro solitario che uno si gestisce da solo, ci vuole anche una certa capacità di organizzarsi e disciplina. E siccome sei anche un imprenditore che si procura il lavoro da solo, bisogna avere certe capacità. Conosco tanti colleghi che svolgono anche un’altra attività per vivere.
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D) Crede che sia importante fare di tutto per mantenere vive tutte le lingue attualmente parlate nel mondo piuttosto che vederle livellate da altre (inglese, spagnolo, arabo)?
Sì, se credo in qualcosa è proprio nella varietà culturale, cosa che comprende anche i dialetti!!! Bene, l‘inglese fa comodo a noi come lingua comune anche abbastanza maltrattata da molti, ma perdiamo una parte della propria identità se ci muoviamo solo in un “mainstream linguistico”. Anche in una traduzione non risulta sempre possibile rendere completamente un’espressione dialettale, ma quando traduci un dialetto italiano sostituendolo semplicemente con un dialetto della tua lingua non funziona con i lettori: un siciliano che parla per esempio come un bavarese, per un lettore tedesco non trasmette il concetto del siciliano. Occorre trovare, e qualche volta anche creare, una lingua parlata speciale, un gergo, abbreviazioni colloquiali e spesso fare dei salti mortali …
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D) Quali autori italiani ha tradotto per gli editori tedeschi?
R) Ho iniziato con testi musicali e nello stesso periodo ho lavorato anche a qualche piccolo brano di Dante, di Petrarca e di autori del ’700 e dell’800. Nell’ambito della letteratura per ragazzi, ho tradotto diversi libri di Domenica Luciani e di Beatrice Masini. Da qualche anno lavoro molto – e molto volentieri – con il genere giallo e noir, con autori come Roberto Mistretta, Gianluca Morozzi, Marco Vichi, Paola Barbato e a breve Grazia Verasani. Tradurre una parte dell’antologia Crimini (Einaudi) è stata una bellissima esperienza, perché ho potuto scegliere i racconti di Massimo Carlotto, Giancarlo de Cataldo e Niccolò Ammaniti, autori che stimo molto, non solo per lo stile ma anche per le loro idee e la scelta di narrare l’Italia di oggi. Al momento sto traducendo Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti, un libro che mi sta davvero a cuore e sento molto vicino.
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D) Quale di questi le ha dato più emozioni?
R) Ognuno di loro mi ha dato spunti e piaceri diversi, ma comunque appaganti e avvincenti. Finora – e per scaramanzia tocco legno come facciamo in Germania – non mi sono mai trovata davanti a un libro che tradurre sarebbe stata solo una fatica remunerata.
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D) E quale invece le maggiori difficoltà dal punto di vista linguistico?
R) Alcune difficoltà ci sono state, ma le ho sempre affrontate volentieri e con curiosità, e sono servite a fare un passo avanti nella capacità di tradurre. I romanzi di Roberto Mistretta, ambientati in Sicilia, sono senz’altro una bella sfida. Recentemente ho tradotto il terzo. Tuttavia Roberto è sempre stato disponibile – e continua a esserlo – a chiarire i miei dubbi. Abbiamo già parlato delle possibilità di rendere espressioni dialettali in un’altra lingua senza usare un altro dialetto. Nei suoi libri si trovano spesso frasi in dialetto, proverbi, modi di dire e addirittura parole inventate, che rendono molto bene l’atmosfera della Sicilia e dei suoi personaggi. A volte per trovare soluzioni adatte nella mia lingua dovevo pensarci un po’ su, ma alla fine è anche una bella soddisfazione.
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Per gentile concessione della rivista Pentelite di Salvo Zappulla
Tradurre deriva da trans- ducere, cioè condurre al di là, portare oltre. Non è bellissimo? Un traduttore è un ponte tra due rive invisibili, quella in cui vive il libro col suo autore e l’altra in cui c’è il lettore che non sa nuotare… Un traduttore è un traghettatore, un Caronte buono…
Fare i ponti non è semplice: credo che occorra umiltà, disciplina, consapevolezza che su di te si passa ma non ci si sofferma…
Un traduttore è o dovrebbe essere un specchio. Non deformante ma appunto riflettente. Che poi ha anche il senso di pensare. Il traduttore quindi per poter essere superficie riflettente deve tanto pensare, come si evince dall’intervista di Barbara Bacheroni a Katharina Schmidt…
Scusate queste miei “riflessioni” verbali!
amo il francese fino allo spasimo e quando posso leggo i romanzi o i saggi francesi in lingua originale.
davanti a un romanzo particolarissimo come “la disparition” di perec mi sono subito chiesta: “mio dio, chi lo ha tradotto nelle altre lingue è un genio quasi quanto lui… chissà se è stato gratificato a dovere…”
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un giorno un amico mi chiese di tradurre “amsterdam” di brel per cantarla in italiano.
ci sono quasi diventata matta. non credo che lo farò mai più.
un grazie a tutti i traduttori del mondo. che ci aprono le porte di autori lontani e che ci fanno viaggiare nella nostra lingua nei romanzi degli altri.
ah, e buon natale!
Katharina Schmidt mi dice:
”Concordo completamente – la conoscenza a 360 gradi della propria lingua è fondamentale!”
Grazie per la condivisione, signora Schmidt. Pero’ l’amore insieme alla conoscenza fanno il vero traduttore, credo. La semplice conoscenza crea dei traduttori discreti, passabili, ”buonacci”, come diremmo in Umbria, ma non eccellenti. Serve amare la propria lingua, fondervicisi, averne una prospettiva sia interiore che storica e letteraria. Buon Natale a Lei.
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Enrico,
grazie anche da parte della mia Verončica. Un letterato, o lo e’ a tutto tondo o non lo e’, penso; mai fidarsi degli ”illetterati traduttori” (per non dire degli ”illetterati scrittori” che oggi sono la maggior parte: vedi il curriculum vitae dei famosi di oggi: chimici, ottici, copivraiter, sceneggiatori, comici, velini/e, giornalisti d’accatto, impiegatiburocrati, politici: e dove stanno i letterati che fanno la Letteratura, cioe’ il loro mestiere storico? Nelle Storie della Letteratura e basta, finche non li toglieranno anche da li’)!
–
Roberta,
con Lei si parla bene. Grazie e… chi ben finisce bene inizia, si dice a fine anno. Auguri Cari! Mi faccia leggere altre cose qui, se vuole (parlava di Bartleby tradotto da Pavese, vero?).
–
A Gaja, che constata: ”L’italiano di cinquant’anni fa non è più quello di adesso”,
rispondo che la nostra lingua, come tutte le altre, non e’ solo fatta a strati che periodicamente si rinnovano a fondo, ma di accumuli che fanno crescere il ”monte” al quale paragono la lingua stessa. In questo ”monte linguistico” secondo me vanno scelte solo le migliori e piu’ calzanti parole, siano esse del Trecento o nate ieri. Scegliere e accrescere, ecco, non meramente aggiornare (ovvero ”ammodernare”) le traduzioni. Questo e’ importante: scegliere tra tutte le parole che dal Duecento ad oggi l’Italiano ha in se’. E se una traduzione e’ ottima, perche ‘farne un’altra: per vendere? Per andare incontro agli asinelli di oggi? No, no. Aggiornare solo se serve, direi, senza polemica ma in disaccordo. Tanti Auguri!
A Renzo, il quale sottolinea giustamente:
”@Sergio: cerco, a volte, di immaginarmi le difficoltà di un traduttore di mettere nella sua lingua testi che non sono scritti in un italiano corretto. Ce ne sono e non pochi, e anche di autori che vendono molto, gente che ai miei tempi, in un compito in classe di italiano, si sarebbe presa un bel cinque.”
Rispondo con la seguente ”filastrocca del rincoglionimento”:
questo fenomeno ha un solo nome: decadenza. I popoli ignoranti che invecchiano nell’ignoranza e nella mancanza di fantasia estro e genio, si rincoglioniscono e soprattutto rincoglioniscono i propri figli, i quali, per mandar avanti l’INDUSTRIA editoriale dei soliti mafiosi, da rincoglioniti quali sono prendono a pubblicare per i grandi editori, pertanto rincoglionendo il Paese piu’ ancora di quanto non sia gia’ rincoglionito di per se’.
Hic est.
Ma ora e’ nato Gesu’ da pochi minuti. Io la pianto di far l’uomo e penso a Lui.
Sacra notte. Sacra, signori miei! E’ arrivato il Povero fra i poveri.
@Sergio: del funzionamento della lingua (e non sono di quella italiana) so qualcosa anche io. La lingua è un organo vivo, fluido, e non è iconica. Il che significa che nessuna parola deve per forza essere “forma” di ciò che rappresenta. Nessun “fenomeno”, kantianamente parlando (ma non mi viene un paragone altrettanto calzante: e da qui potrebbe nascere un ulteriore spunto di discussione), deve essere necessariamente contenuto di un “noumeno”. Le traduzioni migliori, a mio avviso, sono quelle della lingua viva, della lingua che si parla. Ci sono traduzioni *splendide* di capolavori russi, che però risultano pesanti da seguire e scritte in un italiano obsoleto. Ci sono (meno) traduzioni di parecchi anni fa che non risentono (ancora) del tempo che passa. La lingua si evolve, si “ammoderna” (come dici giustamente tu) da sé. È lei al nostro servizio, non noi al suo.
Tanti auguri di nuovo. Un abbraccio.
Bello il dibattito e interessante, come al solito, grazie Navigero. Poche parole da uno che ha osato ‘tradurre’ il Candelaio di Giordano Bruno. Già il termine di ‘traduzione’ (usato dall’Editore in quarta di copertina) è stato contestato da alcuni accademici, in quanto l’originale, dicono, è in italiano. Ora, se un quarto dell’opera è in latino e il resto in volgare, come definirla? Secondo loro, bisognava usare ‘trascrizione’, termine che mi fa pensare alle bobine di intercettazioni. Io ho preferito definirla ‘versione moderna’. Già dalle definizioni, quindi, la questione è complessa. Non penso si possa tradurre efficacemente un’opera se non si conosce bene l’autore e il contesto in cui è stata concepita; non solo questione di tecnica quindi, ma molto di più come dice la Schmidt. Trans ducere, come ha ricordato Maria Luisa, è una delle operazioni più importanti: ci permette di trasportare al di là del tempo e delle barriere linguistiche non solo informazioni ma cultura e arte. Come Carlo, penso che il traduttore sia come l’interprete di musica: le note si perdono e la musica svanisce ma resta l’impressione (la stampa nella mente) dell’arte, del bello. Purché chi suona sappia ricreare anche l’atmosfera in cui l’opera è stata concepita, altrimenti comunica impressioni erronee. Oggi talvolta si suona Vivaldi senza tenere conto dei silenzi, della quiete in cui nascevano le sue opere e, nella concitazione di una esecuzione troppo moderna e veloce, si perdono gli spazi, i canali, i pavimenti in legno che talora con solo quattro note e due pause (importanti come le note) l’autore magicamente raffigura. Così la traduzione. Penso che il traduttore dovrebbe operare sempre con coscienza, eticamente, con rispetto e (se può) con rifiuto, per non essere un tramite fasullo.
Volevo ringraziare tutti i traduttori.
Senza il vostro preziosissimo lavoro non avrei potuto godere di storie bellissime.
Grazie a voi tutti, traduttori… per avermi trasportata in altri mondi, in altre epoche, per avermi regalato parole, storie, universi linguistici e culturali…
Riesco a leggere oltre all’italiano solo in portoghese. Oggi che sto leggendo un libro di un autore finlandese, ringrazio il suo traduttore, che mi permette di scoprire una storia che altrimenti mi sarebbe stata negata. Visto che è impossibile capire tutte le lingue del mondo, un evviva ai traduttori!
Barbara Becheroni
Cara Gaja,
libero ognuno di vederla a modo suo. Io la lingua parlata la lascio al parlato e ci tengo a fondare il mio lavoro sulla tradizione scritta, non orale… Lascerei stare altri discorsi che complicano inutilmente la faccenda: tradurre vuol dire fare opere letterarie per chi non sappia la lingua letteraria originale e dunque porle in un’altra lingua, sempre letteraria, a mio avviso. Inoltre… ma ho gia’ detto tutto sopra, in modo semplice e chiaro, solido. Parlo in modo solido, e’ la mia abitudine, quando non scrivo cose mie.
Salutoni Cari
Sergio
Scusami, sono Sergio Sozi, non mia moglie: scrivo solo sul suo computatore e dunque e’ apparso il suo nome.
Piccola precisazione su chi e’ al servizio di chi: un letterato e’ al servizio della lingua letteraria tanto quantoquesta e’ al servizio della parola orale maa prevalere in un testo scritto di un certo livello DEVE ESSERE SEMPRE LA LINGUA LETTERARIA.
Perche’ ogni arte ha il suo linguaggio che la realta’ quotidiana non possiede. E vedere opere fatte come la realta’ e’ semplicemnete deprimente, poiche’ la realta’ la vedo gia’ davanti a me ogni giorno. Come tutti. E tutti i VERI artisti cercano di SUPERARE la realta’, non di riprodurla – tranne i realisti, ah gia’, esistono anche quelli, i cronachisti sotto mentite spoglie.
Direi che tutti – scrittori, traduttori, lettori – sono al servizio della parola. Gli scrittori perché vengono parlati dal linguaggio, lo utilizzano sì, a volte lo creano, ma devono essere veramente devoti della parola per scrivere, i traduttori perché con umiltà e dedizione mettono i loro piedi sulle orme di un altro ed è difficilissimo parlare con le parole di un altro – ci vuole veramente spirito di servizio, amore, diciamolo pure, per farlo bene, per essere artisti, altrimenti basterebbe un traduttore digitale – , i lettori perché si lasciano incantare, persuadere, consolare, trasportare da entità inafferrabili eppure concretissime: le parole.
Buccinator: sono pienamente d’accordo con quanto pensi/scrivi. Aggiungo solo che (dopo un lungo travaglio) ho deciso di procedere al mio aggiornamento del Bruno perché l’alternativa sarebbe stata l’oblio della commedia, già confinata a pochi studiosi che, dalle loro scranne, dichiarano superbamente: “Io la leggo perfettamente nell’originale”. Pertanto, in certi casi, ritengo l’aggiornamento doveroso. Quanto alla lingua scritta penso che stia a quella parlata come lo scheletro al corpo (e in questa epoca malata di gigantismo generale i corpi si stanno gonfiando a dismisura di grassi inutili). Ciao. Un poroppopò affettuoso da Gianmario (vecchio bombardino).
Grazie mille per i nuovi commenti pervenuti anche in questo post.
Sulla questione linguistica e sulla necessità di aggiornare alcune traduzione sono d’accordo con Gianmario e con Gaja.
Vero è che, in alcuni casi, si esagera con il seguire le tendenze della lingua parlata, ma è altrettanto vero che la lingua parlata tende a “rinverdire” quella scritta. E quando ciò avviene… è segno che la lingua in questione è viva. È evidente che una traduzione – di un qualunque testo – in latino non necessita di alcun aggiornamento.
Non dimentichiamoci che gli stessi vocabolari sono soggetti a continue revisioni e ad aggiornamenti. Basta confrontare un dizionario della lingua italiana (dello stesso autore o dello stesso editore) pubblicato negli anni Sessanta, con uno del 2008: alcuni termini (desueti) presenti nel primo con compaiono nel secondo e – viceversa – parole nuove che figurano nelle nuove edizioni non sono presenti in quelle… datate.
Evviva le lingue vive!!!
Nei prossimi giorni mi permetterò di citare alcune vostre frasi che mi sono parse particolarmente significative.
Caro Massi, permettimi di dissentire sulle lingue morte… vero è che latino e greco non dovrebbero porci più problemi, ma hai provato a leggere certe traduzioni desuete di classici antichi? I capolavori rimangono, ma la nostra inesausta sete di domande si evolve: non domandiamo oggi ad un classico greco o latino ciò che gli chiedevamo cinquant’anni fa. La nostra lingua giustamente si evolve mentre le traduzioni passate restano ferme. Spesso sono poetiche e bellissime, ma a volte necessitano di revisioni, specie se le conquiste della filologia, la scienza amorosa e agguerrita che a suon di codici e ricerche trova sempre qualcosa da rivedere, vanno avanti e addirittura propongono nuove interpretazioni per certi passi la cui traduzione si riteneva scontata. Pensiamo alla Bibbia, ai ritrovamenti di versioni diverse da quelle canoniche, alle edizioni critiche di certi classici che ricevono nuova vita dai nuovi apporti.
Il mondo antico si muove con noi. Perché siamo noi a guardarlo dal treno in corsa del presente e chissà? del futuro.
Caro Sergio,
torno ora dalla campagna.. Ho “ripescato” due libri dei tempi dell’università in cui seguivo le lezioni del mio prof. di letteratura inglese, Mario Domenichelli. Ho trovato un’ediziode di BENITO CERENO di Melville tradotto da Pavese( che gaffe ho fatto! Non era BARTLEBY LO SCRIVANO.. eh che dire.. Ho pensato: “Beh qui si accorgono delle mie gaffe ma vabbé non ho pretese”. Intanto ho seguito da poco la conferenza di un pedagogista “anziano” il quale per quattro ore non faceva altro che dirci: “Voi insegnanti finitela di considerarvi o definirvi come “professionisti”! Siete dei “maestri” e basta!” Aveva ragione, credo).
Poi ho trovato un’edizione de A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM di Shakespeare tradotta da una poetessa, Patrizia Cavalli( la collana dell’Einaudi si intitola infatti “Scrittori tradotti da scrittori”).
Più tardi scrivo qualcosa. Devo riprenderle in mano: non mi ricordo nulla.
Patrizia Cavalli scrive molte cose alla fine del libro in una “Nota del traduttore” e mi piace quello che ha scritto( c’é una frase anche sulla “fatica mal ripagata”..).
E poi quest’anno ho combattuto con le segretarie della scuola perché ho ordinato venti volumi proprio del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE ( lo stiamo leggendo nella nostra seconda). Io e la collega di lettere volevamo l’edizione Einaudi e invece ci hanno mandato l’edizione Garzanti. Certo sono belle entrambi, ma gli alunni ci hanno chiesto come mai Puck (Robin Goodfellow in Shakespeare) si chiama “Il Demone”. Boh. Abbiamo detto loro che é un pò “cattivello” e si diverte a far scherzi. Ma intanto eravamo seccatissime..Non ci piece quel “Il Demone” per uno come Puck. Cosa ne pensi?
Ciao, grazie. Anche con te si parla bene.
Ho letto i tuoi interventi e quelli di Gaja sullo stesso argomento: io sono d’accordo con te.
@Gaja: cara Gaja,
tu parli dal punto di vista del traduttore e ti capisco. Però secondo me ha ragione Sergio. La realtà la vediamo sempre sotto i nostri occhi. E anche la “lingua parlata”. Se ho capito bene, non dici di tradurre così come si parla, ma forse l’evoluzione della lingua a molti non piace. Forse non piace a quelli che la realtà non la amano particolarmente.
Comunque ho trovato una bellissima traduzione del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE di Shakespeare e hai ragione quando mi scrivi: é il NOME del traduttore a garantire la bellezza della traduzione: Patrizia Cavalli ha tradotto per Einaudi. E’ una poetessa, ma io non la conoscevo e mi sono soffermata sul suo nome grazie al tuo suggerimento.
Ciao, cari saluti
Cara Mari,
mi sono spiegato male. Il mio era un discorso “per assurdo”.
Io immaginavo – per assurdo – la traduzione (per esempio) del “Don Chisciotte” in lingua latina.
Essendo la lingua latina (aihmé) defunta basterebbe tradurre quel libro una sola volta.
In italiano, invece, potrebbe essere interessante leggere traduzioni “moderne” (senza nulla togliere al fascino di quelle datate).
Insomma, una lingua viva si evolve. Una lingua morta, no.
Finché l’italiano si aggiornerà “inglobando” nuovi termini e “espellendo” quelli desueti significa che la lingua è viva.
E spero che la lingua italiana rimanga “lingua viva” per molto tempo ancora.
Cara Roberta,
credo che – con i tuoi commenti su questo post – sia la prima volta che intervieni qui a Letteratitudine (o ricordo male?).
Ti dò il mio personale benvenuto!
Sentiti a casa…
@eventounico.
Sì, hai ragione ad essere “radicale”. Chi non ha mai tradotto nulla forse non può capire.
Scrivevo a Sergio di Pavese che ha tradotto Melville e altri scrittori americani. Immagina come potrebbe essere la traduzione dall’italiano di alcuni libri di Pavese: non sarebbe più Pavese, immagino. Però non lo conoscerebbe nessuno, se non fosse tradotto. E noi non avremmo conosciuto gli scrittori americani, se Pavese non ce li avesse fatti leggere in italiano. Del resto per me sarebbe impossibile leggere MOBY DICK in inglese: é un’impresa alla quale non sono preparata..
Su Shakespeare si può dire qualcosa, se ti fa piacere. Sul MACBETH e sul SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE.(?)
Caro Massimo,
sì, hai ragione. Vi ho “scoperto” solo da qualche giorno, benché ricevessi da tempo il Tuo invito a partecipare alle discussioni.
Ti ringrazio infinitamente per il tuo benvenuto.
Sono stata particolarmente attratta dall’argomento sulla TRADUZIONE, forse perchè sugli altri non ero preparata.
Mi sembra molto bello che esista uno “spazio” per chiacchierare e discutere di cose che di solito annoiano molto le persone con cui si esce.
Ringrazio moltissimo te e le persone che rispondono ai miei interventi. Mi fanno sentire come “ai tempi dell’università”, in cui andavo pomeriggi interi a sentir parlare i miei professori.
Cari saluti
Roberta
Grazie a te e lietissimo di accoglierti con affetto, cara Roberta.
Intervieni con serenità tutte le volte che vorrai. E non preoccuparti del discorso “preparazione”. Qui non c’è nessuno che fa (o deve fare) il professore. Scambiamo opinioni e impariamo tutto da tutti.
Io sono quello che impara di più (pensa un po’!).
🙂
E di questo ringrazio tutti gli amici che seguono questo blog (te compresa).
A dopo…
Caro Massi, ho compreso il senso del tuo intervento, però mi premeva parlare un poco anche delle lingue morte, che ci appaiono come un sistema già dato e che invece ci riescono ancora a sorprendere…
Cara Mari, e allora…
Lunga vita anche alle lingue morte!
😉
Al di là delle battute (e prima di chiudere e augurarvi buonanotte) ritengo che Maria Lucia abbia ragione nell’evidenziare l’importanza del greco e del latino. Credo sia davvero importante continuare a studiare le suddette lingue e a proporle nei programmi scolastici… (purtroppo ho l’impressione che parte della classe politica di governo sia di diverso avviso.)
A domani!
Cari di Letteratitudine,
non ho idea di quanto possa durare una discussione su vostro blog. Forse le vacanze prendono un bel pò di tempo a tutti. Però a me piace continuare.
@a Massimo: mi piace continuare non perché io possa considerarvi come “i miei professori”, ma perché dicevo che é l'”atmosfera” che si crea in questo spazio a ricordarmi i tempi dei seminari in cui io e altri colleghi trascorrevamo interi pomeriggi non solo ad ascoltare ma a partecipare alla discussione.
Poi questa é per me un’occasione per riprendere in mano libri che avevo “quasi” dimenticato, presa come sono dal lavoro e dalle faccende della vita.
Cari saluti
@ Sergio:
nella speranza di non tediare nessuno con lungaggini..oltre a Pavese, mi é capitata sotto il naso un’edizione di Edgar Allan Poe tradotto da Charles Baudelaire…(praticamente un testo “trilingue”).
Riporto qui sotto un pezzo della nota di Pavese alla traduzione di Melville;( così “rispondo” anche alla tua considerazione sul “Realismo” di cui scrivevi a Gaja…benché in effetti sui grandi romanzieri francesi dell’800-penso a Balzac- ci sarebbe da aprire un’altra dicussione).
Poi, se vi fa piacere continuare, aggiungo un pezzo di Baudelaire sulle sue traduzioni di Edgar Poe: le sue considerazioni, come sempre, sono talmente illuminanti.
Pavese scrive di Melville:”(…) La ricchezza pregnante del suo nuovo stile e dei mondi da lui evocati, dove sempre più s’accentuava la tendenza a uscire dalla battuta strada del sensibile per smarrirsi nella foresta delle corrispondenze e dei simboli…”
E più avanti: ” anche in questo breve e perfetto BENITO CERENO il mare é assai più che un ambiente: é il volto visibile, infinitamente ricco d’analogie, dell’arcana realtà delle cose. E ciò é vero non soltanto nel noto senso che, facendosi poesia, qualunque ambiente perde la sua limitatezza documentaria e diventa creazione fantastica, ma nel senso , più raro, che il mare é qui la sola forma sensibile che agli occhi di Melville possa degnamente incarnare il cupo e ironico nocciolo demoniaco dell’universo”.
Baudelaire scrive : ” Mi accusano di imitare Edgar Poe! Sapete perché ho così pazientemente tradotto Poe? Perché mi assomigliava. La prima volta che ho aperto un suo libro, ho visto, spaventato e affascinato, non solo dei temi da me sognati, ma delle FRASI che avevo pensato, e che lui aveva scritto vent’anni prima”.
Forse anche Pavese traduceva Melville perché “gli assomigliava”.
Ps: però, per rendere giustizia a Charles Baudelaire, lui scrive anche:
” J’ai perdu beaucoup de temps à traduire Edgar Poe, et le grand bénéfice que j’en ai tiré, c’est que quelques bonnes langues ont dit que j’avais emprunté à Poe MES poésies, lesquelles étaient faites dix ans avant que je conusse les oeuvres de ce dernier”( lettera del febbraio 1865 a Mme Merice, CORRESPONDANCE)
“HO PERSO MOLTO TEMPO A TRADURRE EDGAR POE, E IL GRANDE BENEFICIO CHE NE HO TRATTO E’ CHE ALCUNE BUONE LINGUE HANNO DETTO CHE AVEVO AVEVO PRESO IN PRESTITO A POE LE mie POESIE, LE QUALI ERANO FATTE DIECI ANNI PRIMA CHE IO CONOSCESSI LE OPERE DI QUEST’ULTIMO”.
Ciao, in ritardo e scusa Gaja, scusa Massimo, ma prima non avevo la linea, poi mi è collassato il sistema operativo, nel frattempo avevo una consegna… ieri (a UNA LIRA a cartella ma con una penale di DODICI EURO al minuto di ritardo) e altre due… domani.
Questo per riportare la discussione anche in termini di mestiere e soprattutto di rapporti di produzione.
La domanda la faccio a tutti: avete presente quanto vi piace la letteratura? La leggete tradotta? Beh, ci sono degli eroi che dovete ringraziare, perché muoiono di fame, nessuno riconosce il loro lavoro, si sentono dire pure che sono dei privilegiati perché fanno un mestiere tanto bello, e siccome traboccano amore, talento, ma soprattutto studio indefesso e abnegazione sul lavoro (per voi, cari lettori, sì, proprio per voi, perché vi amano e rispettano), fanno apparire sugli scaffali delle librerie i libri che amate, avete amato, o amerete, che siano classici o contemporanei, scritti o parlati, quello che vi pare a voi. Ma il lavoro e la fatica sono sempre quelli. E la paga nulla.
Scusate l’irruzione oltre tempo massimo. Mi presento: sono Daniele Petruccioli, uno dei traduttori che hanno partecipato al Mestiere di riflettere.
@Massimo:
Caro Massimo,
sono andata un pò in giro a leggere i post su altri argomenti: é stato bello leggerli. Non ho scritto nulla sul Natale, come proponevi tu: scasami. Ma era molto carino.
Mi sono forse soffermata troppo su questo argomento della traduzione perché é quello che più mi piace.
Aspetterò altri tuoi spunti per leggere e intervenire.
Nell’attesa, ti ringrazio ancora moltissimo per l’affettuosa accoglienza.
Cari saluti
R.
Grazie ancora a voi traduttori… so che queste parole non ripagano la fatica, ma voglio scrivervele lo stesso.
Roberta, bello il tuo ricordarci che si legge, si traduce, si parafrasa, si imita, si ritrae in versi o prosa ciò che CI SOMIGLIA.
Che ci riflette, come recita il titolo del libro e del post.
TRADO, TRANSDUCO sono verbi latini che hanno a che fare con la traduzione, con la tradizione, che non è altro che una “consegna”, un passaggio del testimone. Per inciso: quando Giuda tradì Gesù, in realtà lo consegnò. Da qui venne il senso di tradere=tradire.
Auguri e complimenti a voi traduttori.Tradurre é un po’ come tradire. E’ come fare l’Amore. Ti svesti della tua identità per abbandonarti(tradere)all’altro.E solo se ami veramente.Il buon traduttore é quello che sa sfogliare le pieghe dell’animo dell’autore e rivelarne gli anfratti, i colori, i sussulti. Quanto é difficoltoso!Una mia esperienza? Anni addietro, a Perugia, ascoltai sette docenti universitari di latino che traducevano alcune nugae di Catullo. Ciascuno a modo suo. Un coro di voci che seppe cantare, con parole diverse, le inquietitudini amorose catulliane.Ottima traduzione non é la fotocopia delle parole, ma l’interpretazione la più aderente, la più vicina al mondo dell’autore.Ergo: lavoro faticoso e di grande responsabilità.Auguri, Lucia Arsì
@Massimo: é dalle lingue morte che veniamo a conoscenza della lunga ombra che attanaglia l’uomo, tranne quando si ritrova cercatore d’amore e carico di speranza. Auguri! lucia arsì
@Lucia: scusami, Lucia, rispetto la tua idea, ma tradurre non é come “fare l’Amore”.
@Maria Lucia:grazie per aver letto il pensiero di Charles:)
Finalmente qualcuno ritorna a parlare d’amore.
Ringrazio Lucia Arsì (anche) per questo.
@ Lucia
Al ringraziamento di Eventounico unisco il mio. Che bella frase la tua!
La ripropongo: “é dalle lingue morte che veniamo a conoscenza della lunga ombra che attanaglia l’uomo, tranne quando si ritrova cercatore d’amore e carico di speranza”.
Grazie! E grazie per gli auguri, che ricambio con affetto.
@ Roberta
Cara Roberta, intervieni pure ogni volta che ne avrai voglia. Una discussione, in un post, dura fintanto che ci sarà qualcuno che avrà l’interesse e la voglia di portarla avanti.
A proposito di Baudelaire, ti segnalo questo post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/03/30/il-ribelle-in-guanti-rosa-charles-baudelaire/
Su Pavese, ti segnalo quest’altro post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/09/08/il-centenario-della-nascita-di-cesare-pavese/
@ Daniele Petruccioli
Grazie per essere intervenuto.
Massima solidarietà a te e ai tuoi colleghi.
@Massimo:
Caro Massimo,
ti ringrazio per la segnalazione dei post su Baudelaire e Pavese.
E anche per il tuo incoraggiamento.
Grazie. Carissimi saluti
A presto
Caro Massimo,
penso che Luciano Bianciardi per certi versi abbia ragione quando sostiene che la traduzione letteraria sia un lavoro micidiale.
Chi compone opere di narrativa o di poesia se le compone sinceramente, ovvero con una lealtà adamantina nei confronti di se stesso e dei lettori, senza cioè badare al danaro (cassetta) o ai tempi imposti dall’editore, le compone attingendo in profondità dalla propria anima, vale a dire dal proprio inconscio, che null’altro è se non lo specchio del proprio vissuto.
Ne consegue che il traduttore, se intende tradurre efficacemente e lealmente (fedelmente) un’opera, è costretto ad addentrarsi nell’animo dell’autore da tradurre. Ossia, deve identificarsi (immedesimarsi) in lui, trascurando tutto ciò che potrebbe attingere dal proprio inconscio. Insomma, deve rigettare i propri valori (o disvalori), le proprie “trame”, e persino il proprio stile. Annientandosi, o alienandosi. Ma – riflettendoci – chi mai si sente di “vendere” la propria anima o di “annientarsi” per tradurre fedelmente un autore che magari non sa neppure in che contesto abbia vissuto e per quale motivo abbia scritto veramente l’opera che dovrà tradurre. In altre parole, un autore a lui “estraneo”.
Certo, si potrà obiettare che il genio artistico è libero come il vento e non si può né si deve ingabbiarlo per nessun motivo in un qualsiasi contesto o reazione emotiva. Ma io sono di tutt’altro avviso. Sbaglierò, ma sono di tutt’altro avviso.
Dunque, il mestiere del traduttore non solo è uno dei lavori più difficili, ma è soprattutto uno dei lavori più annichilenti (o alienanti), a prescindere dalle soddisfazioni (anche di cassetta) che può dare.
Grazie dello spazio (e della pazienza), Ausilio Bertoli
Mi rendo conto solo ora( dopo che Massimo mi ha così gentilmente suggerito i post su Baudelaire e su Pavese) che avevate tutti già scritto sui due scrittori. Ho letto cose molto interessanti scritte da voi su entrambi.
Non posso scrivere nulla di nuovo, quindi. Anzi, leggerò con attenzione le altre discussioni , d’ora in poi, prima di intervenire.
Beh, allora scrivo a Daniele Petruccioli, per dirgli che lo ringrazio di cuore per le sue traduzioni.
Ad Eventounico posso dire che mi pare mi trovi banale, ma non importa.
A Sergio Sozi che adoro i suoi interventi: li trovo sempre originali e credo abbia capito e sempre nel profondo cosa volevo dire. E cosa vogliono dire le altre persone che intervengono qui.
Unica “delusione” per me la sua affermazione( nei post su Baudelaire):
“a me sembra che Baudelaire abbia procurato più conseguenze nel campo della vita sociale che nell’attività strictu sensu poetica”.
Good night to all
@anonimo,
anch’io mi accosto al tuo dubbio con un dubbio: amare é abbandonarsi?E’ un darsi all’altro?Tradurre é liberarsi del proprio per amalgamarsi all’altro? E’ possibile tutto ciò?Alcuni traduttori, i più impegnati, i più solerti, i più intelligenti si calano nelle vesti dell’autore, ripropongono l’habitus, sanno immaginare lo spirito che lo anima e consegnano il passaggio di lingua in modo quasi pertinente. Sono i creativi, forse, oserei dire, sono quelli che decretano l’exploit dell’opera. Sono i curatori dell’eidos. A tutti questi, in verità pochissimi, vada il nostro grazie. Lucia Arsì
Cara Roberta,
be’, a tutti capita di dire qualche fesseria, no? Comunque in effetti l’influenza di Baudelaire fu ANCHE molto forte sul piano dei costumi, e questo e’ innegabile. Purtroppo a volte quando ci si deve esprimere in modo ”elettronicamente sintetico” si rischia di lasciar fuori molte argomentazioni complesse.
Grazie per l’apprezzamento!
Sergio
Le lingue finche’ vengono lette e/o tradotte non sono MAI morte. Ergo: il latino e il greco sono lingue vive come chi le legge ed interpreta. Inoltre esiste anche una radio finlandese che parla solo in latino ed e’ ascoltata da milioni di europei. Lo sapevate? Si chiama,mi pare, ”Missi latini”…
Io leggo, traduco e interpreto l’atzeco antico…….. che dunque è una lingua viva. Buono a sapersi. ^_^
Bellissimi gli interventi. Complimenti a Lucia (che, lungi dall’essersi consumata nel fuoco, come dice il cognome, continua ad ardere in un perenne fuoco poetico): vero, come dice Platone, l’artista “pros ten idean blepon” mirando all’idea (archetipo), trasforma il concetto in artefatto, quell’eidos che il traduttore (con duplice via di andata e ritorno) ci rende. Professione affascinante, faticosa, misconosciuta, che richiede, oltre a completezza di doti letterarie, anche sensibilità poetica e dedizione. Il tutto per…? Per quello che l’arte può ripagare, non certo denaro e successo, se non per pochissimi, ma soddisfazione intima di chi riesce a dare ad altri qualcosa di non effimero. Novanta volte su cento i figli delle Muse vengono, dalle stesse, tenuti a stecchetto materialmente. Ma del loro spirito ancora ci nutriamo anche dopo secoli.
@ Roberta: grazie a te.
Sto leggendo il libro di Giuseppe Montesano e lo trovo molto bello. Le traduzioni sono opera sua ma non so giudicare se siano aderenti o creative… Baudelaire in questi giorni mi perseguita: dalle scritte nei Baci Perugina alle citazioni della Mazzucco e perfino qui!!!
HERMIA:”(…) since night you loved me; yet since night you left me.
Why then, you left me- O, the gods forbid!-
In earnest , shall I say?”
LYSANDER:” Ay, by my life;
And never did desire to see thee more.
Therefore be out of hope, of question, of doubt,
Be certain. Nothing truer-‘tis no jest
That I do hate thee and love Helena”
ERMIA: ” (…)Questa notte mi amavi,
questa notte mi lasci? Allora m’hai lasciato?
Sul serio? -Dio non voglia!”
LISANDRO: ” Sì, per sempre!
E non desidero più rivederti.
E dunque non sperare, non t’illudere,
è fuori discussione, sta sicura,
non c’è niente di più vero, non è
per scherzo che ti odio e amo Elena”.
OPPURE:
ERMIA: ” Dicevi
stanotte che m’amavi, eppure stanotte m’hai lasciata.
Ma allora é vero, tu mi hai abbandonata,
Dio non voglia, sul serio”
LISANDRO:” Sì, per la mia vita,
e non desidero vederti mai più. Perciò lascia ogni speranza,
ogni perplessità, ogni dubbio; sta’ sicura:
non c’è nulla di più vero- e non sto scherzando-
che io ti detesto, e amo solo Elena.”
Non ho visto nei post riferimenti alla traduzione del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE..
Non é importante, credo, dire quali siano le edizioni dei due testi, perché sono entrambe molto belle, mi sembra. Io preferisco la prima.
Però non credo che ci sia più “amore” per il testo di Shakespeare rispetto alla seconda, da parte dei traduttori.
@ Maria Lucia:
Cara Maria Lucia,
sì, “perseguita” anche me, Baudelaire. Mi mancano molte cose sue e ieri guardavo quel volumetto “LO SPLEEN DI PARIGI” perché volevo leggerlo: ma non ho cominciato. Mi hanno regalato le sue “LETTERE SULLA SOLITUDINE” e anche di quelle ne ho letto poche. Certe volte “ho paura” che mi trasmetta lo “spleen”. Davvero. Ma ho una enorme passione per i suoi versi.
ps: ma perché lui e François de La Rochefoucauld finiscono sempre nei “Baci Perugina?” Boh.
Affettuosi saluti
@gianmario,grazie per la tua sensibilità.Vorrei aggiungere un’esperienza a tal proposito. In occasione della presenza di James Hillman(analista-filosofo americano)a Taormina, mi sorge spontanea l’idea di donargli una mia rivisitazione dell’Inno ad Afrodite di Omero(Egli presentava il suo libro Afrodite).Lo psicanalista ha accolto il testo con ammirazione, ma io penso spesso alle sue risate quando sarà a contatto con l’incomprensibile.Colei che ha tradotte le due paginette, nonostante le mie reiterate spiegazioni, non é riuscita a penetrare il senso del discorso, a dare corpo alle metafore lì presenti.Poteva?No, dato che le”parole alate”della poiesis mirano a ri-velare(nel senso di rimettere il velo)il mistero della vita. Ciao. lucia Arsì
@ Roberta
Tra le due traduzioni di Shakespeare preferisco anch’io la prima.
Un saluto a Ausilio Bertoli e un “benvenuta!” a Carmen
@ Massimo:
Caro Massimo,
la discussione qui é forse quasi finita, credo. Anche perché é cominciata quella così carina sul Natale e quella così bella su Pinter e il teatro.
Ma magari, come mi scrivevi, continua anche qui.
Comunque volevo scriverti ancora una cosa. No so se é il caso, davvero. Mi rimetto alla tua decisione, se vuoi farlo apparire oppure no.
Tempo fa avevo letto il saggio di Marguerite Yourcenar: LE TEMPS, CE GRAND SCULPTEUR(= IL TEMPO, GRANDE SCULTORE).
Ho trovato la traduzione di questo testo in due volumi diversi e, nel capitolo che si intitola INCONTRI COL TANTRISMO a me sembra che sia presente un errore. Hanno tradotto almeno tre volte il termin che in francese é “phonème”(= fonema) come se fosse il termine”phénomène”(=fenomeno).
Riporto qui sotto il breve brano.
Poi mi dici, se hai il tempo, cosa ne pensi.
Grazie infinite.
“(…) Il faudrait aussi, pour dissiper certains malentendus, parler de phonèmes( presque tous, sinon tous, sont des “mantras” sanscrites courantes dans les différents sectes de l’hindouisme et du bouddhisme), dont les maitres tantriques préconisent l’usage. (…)”
ECCO LA TRADUZIONE:
” Inoltre, al fine di dissipare certi malintesi, bisognerebbe parlare dei fenomeni(quasi tutti, se non tutti, sono dei mantra sanscriti correnti nelle diverse sette dell’induismo e del buddismo), di cui i maestri tantrici raccomandano l’uso. ”
Più avanti si trova lo stesso termine tradotto nello stesso modo.
Forse mi sbaglio. Però FONEMA e FENOMENO sono due parole diverse e sul dizionario di francese esistono ben distinte: “phonème” e “phénomène”.
E forse col significato di “fenomeno” il testo cambia.
Ma magari mi sono sbagliata io. E’ un dubbio che ho da tempo.
Ps: mi scuso ma sulla tastiera non trovo l’accento circonflesso.( da mettere sulla “i” di “maitres”).
Grazie.
Cari saluti.
Nella pagina successiva il termine in francese é “phénomène” ed é tradotto nel modo giusto e ha un senso:
“Il en allait ne meme naguère des prères en latin d’église, dont le phénomène sonore semblait agir EX OPERE OPERATO”
TRADUZIONE:
“Lo stesso accadeva or non moltoper le preghiere in latino chiesastico, il cui fenomeno sonoro sembrava agire EX OPERE OPERATO”.
Cara Roberta,
pur non essendo un esperto in traduzioni (magari potrebbe dire la sua qualcuno dei nostro amici traduttori) mi sembra che quella che tu evidenzi sia un vero e proprio errore.
“Fonema”, non “fenomeno”. Sì, sì…
Grazie per l’interessante segnalazione.
Buon giorno a tutti.
Splendido dibattito!
Ho tradotto tre romanzi per due grandi case editrici e altri libri (cucina, feste bambini, composizioni di fiori).
Ho parlato di questo tema in ‘Leggere e Scrivere’ di Paolo Di Stefano, vi allego il mio intervento…
mi saprete dire se siete d’accordo con me:
[…]
non sono d’accordo sul fatto che un ‘negro’ (si parlava di autori italiani che non sapevano l’inglese e facevano tradurre ad altri, intervendo sulla traduzione) possa fare manovalanza bieca, cioè tradurre, e un titolare di traduzione, anche se ottimo scrittore, possa usare quella base per lanciarsi in voli pindarici…
scusate, amici, tradurre romanzi è un mestiere serio, a prescindere dal nome scritto sulla carta d’identità.
il traduttore, dal libro, DEVE assorbire anche le sfumature, per cui, a mio parere, la figura di traduttore e titolare di traduzione DOVREBBERO coincidere.
a meno che non si tratti di una revisione, quando cioè un altro traduttore, più esperto del primo, controlla non ci siano errori e cerca di dare PENNELLATE, SFUMATURE più consone al testo… che dire, una specie di redazione…
iL RISCHIO infatti è che il titolare, cioè colui che si trova il lavoro già fatto, rischi di partire per la tangente e scrivere tutt’altro, un altro libro, intendo.
tradurre non è riscrivere un altro libro, ma riprodurre nella propria lingua quello che un’altra persona ha voluto trasmettere.
con rispetto per l’altra persona, appunto.
Per l’amore di Dio, sono l’ultima arrivata, ma questa è la mia esperienza ed è quello che provo io…
Sono ormai un vecchio medico in pensione. Sono anni che mi diletto a scrivere Romanzi e Racconti di Narrativa Fantasiosa, condita talora da intenso Amore, Odio per la Morte, Fantapolitica-Etica ecc.
I miei scritti non ho voluto pubblicarli mai perchè ritengo che gli editori italiani siano una massa di Perversi che promettono e poi non aiutano, anzi non sono in grado di rischiare nemmeno un centesimo di euro su Autori Non Conosciuti.
Mi piacerebbe tradurre in Inglese oppure in tedesco almeno un mio Scritto di 50 pagine dal titolo ” Il buco nero ovvero il – Fattore Q -“, che ritengo un MANOSCRITTO molto ben congegnato.
Pertanto vorrei contattare UN TRADUTTORE MOLTO IN GAMBA.
MI PIACEREBBE ESSERE CONTATTATO AL MIO INDIRIRIZZO e-mail, che ripeto è armando@ascatigno.com
@ Anna Pia Fantoni
Grazie mille per il tuo intervento e… benvenuta a Letteratitudine.
@ Lo scrittore per hobby
In bocca al lupo per il tuo manoscritto. Spero che possa godere di buona fortuna all’estero, anche con il contributo di un “traduttore molto in gamba” che – immagino – sarà adeguatamente remunerato.
P.s. È vero che ci sono editori italiani che preferiscono non rischiare nemmeno un centesimo di euro su Autori Non Conosciuti. Ma è anche vero che nessun autore (o quasi) nasce “conosciuto”. In genere c’è una base di partenza per tutti. E questa base, spesso, è offerta dalla piccola editoria di qualità (tra cui la stessa “Azimut”, che ha pubblicato questo libro di “storie di traduttori).
Ecco un altro esempio:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/01/03/recensioni-incrociate-n-5-francesco-di-domenico-e-enrico-gregori
Caro Massimo,
per fortuna oggi ho scoperto questo posto bellissimo dove si parla di quello che nutre le nostre anime. I corpi sono piuttosto difficili da nutrire dovunque.
Mi sono molto divertita leggendo le liste dei dieci libri piu’ belli e vorrei proporre un gioco simile: dieci libri italiani da tradurre.
Ovviamente non penso ai classici come Dante, Petrarca e cosi via, fino a Calvino ed Eco, le cui opere sono globalmente conosciute; mi piacerebbe sapere quali sono autori contemporanei che, secondo l’opinione dei lettori italiani, rappresentino nel modo migliore la letteratura italiana nel mondo.
Cordiali saluti da Belgrado,
Maja
Bello! Proponi i tuoi 10…
Spoštovana Gospa Živković,
sem en italijanski prevajalec (pesmik, kritik in pisatelj) ki živi v Slovenij; ampak jaz, dane, prevajam iz FRA, ANG, in (počasi!) SLO, v ITA in, tako, ne govorim srbsko. Oprostite.
Comunque Le posso assicurare che poche sono le opere veramente buone che meriterebbero una traduzione oggi.
Le posso, tuttavia, segnalare i seguenti titoli, fra i migliori nel deprimente panorama della mia Nazione – un tempo come sappiamo illustre nelle Lettere.
Eccoli:
–
1) Giuseppe Bonaviri, ”La divina foresta”;
2) Massimo Bontempelli, ”Gente nel tempo”;
3) Stefano Benni, ”Terra!”;
4) Antonio Tabucchi, ”Requiem”, o anche ”Notturno indiano”;
5) Claudio Magris, ”Microcosmi”;
6) Remo Rapino, ”Un cortile di parole”;
7) Sandro Veronesi, ”La forza del passato”;
8) Mariolina Venezia, ”Mille anni che sto qui”;
9) Ugo Riccarelli, ”Il dolore perfetto”;
10) Roberto Pazzi, ”Conclave”.
–
A questi aggiungerei qualcosa come:
–
11) Andrea Camilleri, ”La Pensione Eva”;
12) Curzio Malaparte, ”La pelle”;
13) Luigi Meneghello, ”I piccoli maestri”;
14) Fulvio Tomizza, ”La miglior vita”;
15) Luigi Malerba e Tonino Guerra, ”Storie dell’anno Mille”;
16) Alessandro Baricco, ”Questa storia”.
–
Specialmente ”Questa storia” di Baricco dovrebbe essere ancora inedito in Serbia, e mi pare un romanzo molto buono – Baricco e’ autore vivente e cinquantenne, mentre Tomizza, Meneghello, Malaparte e Malerba sono morti. Cio’ non dice nulla, ovviamente. Le consiglio di cercarli su Google.
–
Lep pozdrav in Srečno novo leto
Sergio Sozi
P. S.
Forse anche un romanzo-fiume ormai classico come ”Orcynus orca” di D’Arrigo dovrebbe esser tradotto, credo: e’ difficilissimo, quanto Gadda o Landolfi, ma Le assicuro che merita la fatica. Fra i giovani, mettiamoci anche gli sbarbatelli, via, e’ Natale e bisogna esser buoni: Niccolo’ Ammaniti ”Come Dio comanda” e Alessandro Piperno ”Con le peggiori intenzioni”.
Robetta, ma decente.
Poi ci sarebbe ”Nuova grammatica finlandese” di Diego Marani. Bel libro, molto bello. Ma non parla dell’Italia, quanto del problema dell’identita’. Romanzo intrigante, comunque, questo di sicuro, e scritto bene.
…Per la saggistica, segnalo l’ultimo libro dell’illustre critico letterario Pietro Citati, appena uscito (a fine 2008): ”La malattia dell’infinito” – Citati e’ un luminare, un Grande Vecchio della critica italiana. E’ l’ultimo dei Mostri Sacri – morto Baldacci.
Ed e’ tutto. Finalmente.
Caro Sergio,
ricambio gli auguri di un anno spensierato e ti ringrazio delle preziosissime proposte (non è un rimprovero ma, benché quel ‘gospa’ sloveno mi piaccia molto di più del ‘gospođa’ serbo-croato-bosniaco-montenegrino…, darsi del tu mi fa sentire molto più al mio agio e, sopratutto, un po’ più giovane).
Nonostante abbia letto alcune opere di Magris, Tabucchi, Benni, Camilleri, Baricco e Ammaniti, vedo che avrò un bel po’ da fare e da ‘googlare’.
Anch’io avrei una proposta per te: non trovi che sia un peccato che i lettori italiani non conoscano bellissimo, e da me adorato, ‘Levitan’ di Vitomil Zupan?
Tanti cari saluti,
Maja
@ Maja Živković
Cara Maja,
intanto benvenuta a Letteratitudine. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e ti esorto a continuare a intervenire (come dico sempre: sentiti a casa).
Molto carino il gioco che proponi…
@ Sergio
Come sai considero l’Horcynus Orca di D’Arrigo come uno dei massimi capolavori del Novecento. Tradurlo è un’operazione titanica non tanto per il numero di pagine, quanto – piuttosto – per il linguaggio darrighiano (difficilissimo renderlo in un’altra lingua).
Ma sei finalmente riuscito a leggerlo, l’Horcynus Orca?
Con D’Arrigo vado avanti a passo di lumaca, Massimo – ho voglia di scrivere roba mia e lo faccio; poi ho appena finito ”L’allievo di Joyce” di Drago Jančar (candidato sloveno al Nobel); sto approfondendo il Bonaviri dell’ ”Infinito lunare” e ho quasi finito di rileggere ”Il viaggiatore incantato” di N. Leskov. Tutto insieme. Inoltre lavoro.
Comunque l’Orcynus lo posso consigliare all’estero perche’ non dubito del suo autore e perche’ l’ha letto integralmente mio padre che vale molto piu’ di me. E’ l’unico critico letterario di cui mi fidi, detto non fra virgolette ed in chiaro.
Ciao
Sergio
Ben venga il ”tu”, cara Maja – in genere lo considererei un po’ una forzatura moderna, ma se vuoi non mi dispiace affatto, tutt’altro (come si vede da queste righe!)
Il ”Leviatan” di Zupan non l’ho letto, purtroppo, soprattutto perche’ ho poca dimestichezza con lo sloveno. Qui a Lubiana comunico in italiano, inglese o francese: sono il tipico italiano pigrone con le lingue (almeno con quelle che non ho studiato quando ero giovane, ohibo!).
Mia moglie Veronika Simoniti sicuramente ne sapra’ qualcosa di piu’, o magari lo avra’ anche conosciuto di persona, e’ probabile. Chiedero’ lumi a lei. Grazie per il suggerimento, cara.
Sergio Sozi
Massimo,
cosa ne penseresti di proporre questo ”giochino” semiserio qui a Letteratitudine?
”I dieci libri italiani che vorreste far tradurre all’estero” (Anche se magari qualcuno di sicuro non sapra’ se un libro sia gia’ stato tradotto… e’ comunque interessante, no?).
Roberta, ho letto solo ora il tuo intervento del 29/12 e ci tenevo a dire che non riesco a trovare nessuno banale se non me stesso a volte. Nei blog i pensieri corrono veloci e si finisce per prendere posizioni nette senza tutte quelle sfumature che spiegano le differenze. Ti ringrazio per gli interventi su Shakespeare e per tutti gli altri commenti. Non badare a me. Passo di rado, assai meno di un tempo, qui su Letteratitudine. Ringrazio ancora Massimo per aver voluto riportare qualche mio breve commento nel libro dedicato al blog, ma è una buona scelta la tua di considerare poco quanto dico. Io sono una scommessa a perdere.
@eventounico
Perdonami tu: ho scritto io una cosa stupida.
Tu eri entusiasta perché qualcuno finalmente parlava d’amore.
Te l’ho scritto perché ho pensato non ti piacesse che avessi “contraddetto” Lucia che parlava di traduzione in termini di “fare l’amore”.
Perché passi di rado su Letteratitudine, di questi tempi?
Ho letto alcuni tuoi commenti su altri post: mi sembrano belli. E figurati se Massimo li ha riportati sul libro dedicato al blog.
Ho capito che molti di voi di Letteratitudine si conoscono da tempo e discorrono come cari amici. E’ una cosa molto carina.
Ogni tanto arriva un “intruso” e dice la sua su un argomento.
Massimo fa in modo che l”intruso” non si senta mai tale. Altri, come te, Sergio, Lucia, Maria Lucia, Renzo rispondono “affettuosamente” al nuovo arrivato e così ci si sente “a casa”.
Io sono molto contenta.
Grazie per quello che mi scrivi.
A me piace molto scrivere qui e dialogare con voi.
Cari saluti:)
@ massimo
Ho visto la porta aperta, mi sono accomodata da sola, ho chiacchierato un po’ in giro… 🙂 Grazie per l’affettuosa accoglienza,
Maja
@Sergio. Alla tua lista ne aggiungerei altri, magri depennando “I piccoli maestri” e sostituendolo con “Libera nos a Malo”, per me più equilibrato strutturalmente.
@ Eventounico e Roberta
Ho avuto modo di conoscere Eventounico a dicembre, a Roma, in occasione della fiera “Più libri, più liberi”. Ed ho avuto la conferma di ciò che pensavo: Evento è una persona squisita, sensibile e profonda.
Tu, cara Roberta, sei (ormai) una letteratitudiniana a tutti gli effetti. Mi sembri un’entusiasta (e mi piaci).
Insomma, amici miei, voi non lo sapete ma… mi state aiutando a scrivere “Letteratitudine, il libro – Vol. II – 2008-2010”.
Continuate a intervenire.
😉
Massimo, ti ho mandato dei dolcetti.. nel post della Befana,
Pour te dire MERCI:)
Renzo,
a parte ”I piccoli maestri”, cosa ne pensi degli altri titoli?
…e quali aggiungeresti ai miei, eventualmente ti garbassero cosi’ come sono?
Grazie, Roberta. Ho visto.
Merci à toi:)
@ Maja e Sergio
Sì… in effetti il giochino sui libri italiani da tradurre necessariamente in altre lingue potremmo lanciarlo con un apposito post.
Che ne dicono gli altri? Vi piacerebbe?
Oppure – se volete – potremmo usare questo post che (comunque) ha a che fare con il tema della traduzione…
@ Massimo
scusami se non mi sono fatta sentire prima, ma dalle parti nostre oggi si celebra Natale (siamo un po’ in ritardo come sempre 🙂 ) ed essendo io la madre, la moglie…insomma una donna infarinata letteralmente fino al collo, sarò breve: mi sento poco fiduciosa delle recensioni che si trovano in giro e che il più delle volte sembrano annunci pubblicitari e perciò avrei voluto sentire i consigli dei lettori ‘esperti’. Come una nuova arrivata lascio a te e agli altri ‘indigeni’ la decisione su dove e come trattare l’argomento. Aggiungerei solo una immagine per incitare la discussione: una volta arrivata in Italia, entro in una libreria e, totalmente confusa dalla valanga dei libri, esco con una nuova Tamaro e forse un Moccia, non sapendo niente delle ‘Panchine’ di Sebaste o di tanti altri libri deliziosi che non sono sempre (o quasi mai) tra i primi classificati. Siate buoni e non fate mi fare la figura di una cretina 🙂
@Sergio:
Eccomi.
Per quanto ci lamentiamo del fatto che sono rari in Italia quelli che scrivono bene, quando si tratta di fare un elenco ci si accorge che le opere di eccellenza non sono poi così poche.
Premesso che ignoro se i romanzi che seguono siano stati già tradotti, aggiungerei alla tua lista questi autori:
– Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve, Storia di Tonle, L’anno della vittoria, Stagioni);
– Filippo Tuena (non c’è un romanzo che non sia molto bello, anche se su tutti vedo ancora Ultimo parallelo);
– Luisito Bianchi (La messa dell’uomo disarmato, considerato il più bel libro sulla resistenza, ma io aggiungo che ha ancora altri meriti);
– Sebastiano Vassalli (La chimera);
– Maurizio de Giovanni (I primi due romanzi “stagionali” sul commissario Ricciardi sono strepitosi);
– Valentino Rocchi (1504 – Notte all’Hostaria La Guercia, un romanzo storico scritto benissimo e avvincente dalla prima all’ultima pagina).
Per quanto concerne gli altri, non conosco Rapino e nemmeno Venezia e Pazzi.
Caro Renzo,
ahime’, a mia volta non ho letto Tuena, Bianchi, de Giovanni e Rocchi. Pero’ condivido perfettamente la tua stima per ”La chimera” di Vassalli (e aggiungerei ”Un infinito numero” dello stesso autore) e per Rigoni Stern.
Sebastiano Vassalli lo intervistai qualche anno fa per conto del bimestrale lubianese ”Nova revija” (vedi se vuoi in Internet l’intervista completa in italiano, con tanto di introduzione, sempre in italiano, per i lettori sloveni, su un sito letterario. L’articolo si intitola: ”I libri che nascono dai libri son povere cose”).
Ciao
Sergio
Maja
ci dice ”mi sento poco fiduciosa delle recensioni che si trovano in giro e che il più delle volte sembrano annunci pubblicitari e perciò avrei voluto sentire i consigli dei lettori ‘esperti’.”
Ed e’ nel giusto. Pienamente. Sarebbe ora passata di iniziare ad esser seri. Basta con i ”casi editoriali dell’anno” montati e studiati a tavolino. Iniziamo un po’ tutti in Italia a considerare la Letteratura alla stessa stregua delle altre professioni: quanti pediatri ”luminari” ci saranno in Italia? Pochi quanto i grandi scrittori, gli scrittori rivelazione.
Gli europei si sono stancati delle nostre pagliacciate mafiosoidi. Cominciamo a dire: ”tu non sai scrivere” piu’ spesso, che e’ vero: molti NON sanno scrivere – magari me compreso – e se glielo si dice chiaro in faccia potrebbero migliorare, altrimenti moriranno credendosi dei geni.
Sempre a Renzo,
Roberto Pazzi e’ bravo. ”Conclave” (Frassinelli) e’ un romanzo surreale che ricorda da vicino le opere di Guido Morselli (”Roma senza Papa”) e dunque appartiene alla sparuta pattuglia di scrittori nostri che evitano il realismo ma amano l’iperrealismo e… la fantasia. Leggilo: garantisco personalmente per quel libro.
Surreale e iperrealistico. Bravo, Pazzi – e tradotto all’estero in una ventina di lingue, oggidi’… ma ne manca ancora qualcuna.
@Sergio: piano piano ti accorgi che quelli che scrivono bene non sono pochi e che a voler leggere tutte le loro opere dovresti dedicare tempo e finanze mai sufficienti. Il problema è un altro, e cioè che è più facile che siano conosciuti al grande pubblico dei lettori, e quindi vendano più libri, proprio quelli che scrivono meno bene, un po’ quello che ha verificato anche Maja.
( Rischio di andare “fuori tema” ma spero di essere perdonata)
@Sergio:
Come al solito sono d’accordo con te: “molti NON sanno scrivere” e forse bisognerebbe dirglielo, senza paura di ferirli.
Immagino cosa intendi tu per “saper scrivere”( dimmi se sbaglio): un’eccellente FORMA, innanzitutto?
E’ come quando i poeti dell’Ottocento( prima del Simbolismo e delle Avanguardie- e qui ti cito nuovamente il caro Charles Baudelaire..) prima di qualsiasi cosa dovevano essere Parnassiani, “cultori della FORMA”( dico bene?).
E a Baudelaire puoi contare ogni sillaba, ché é perfetta.
Poi, però, come giudicare un romanzo o una raccolta di racconti?
Ovvero: CHI li giudica?
Non saprei.
Una volta avevo visto alla tele un vero litigio tra Carmelo Bene e Giovanni Raboni( lui c’entra, perché parlava di una sua raccolta poetica, credo, ma soprattutto ha tradotto LA RECHERCHE) e Carmelo Bene diceva a Raboni: “Cosa resterà di te, Raboni? Cosa resterà?”
Il TRIONFO sul Tempo potrebbe essere un criterio, ma non si può sempre aspettare per capire se uno scrittore é bravo.
@Roberta: premesso che è necessario che si scriva almeno in un ottimo italiano, la differenza fra un buon scrittore e uno eccellente è la stessa che distingue l’artigiano dall’artista. Insomma non è sufficiente confezionare una trama interessante, ma è necessario che si sappia dire qualche cosa di nuovo.
@ Sergio: mi son segnato Pazzi, che ha scritto poi quella specie di congiura in Vaticano, una specie di seconda congiura de’ Pazzi, anzi secondo Pazzi.
Che molti non sappiano scrivere è una verità, purtroppo verificabile sempre più spesso.
@Renzo:
sì, sì, certo. Parlavo della condizione necessaria, prima di poter “riempire” col contenuto.
Che poi, a dire il, vero, mi sembra siano le stessa cosa, almeno nel caso di scrittori eccellenti( penso a Flaubert e ai “patiti” della forma. Alla Yourcenar).
@Renzo: e poi, certo, ci vuole il talento. Nell’arte é indispensabile, come “l’orecchio” per un cantante.
Bisognerebbe essere talmente bravi da RI-conoscere il talento in se stessi e negli altri. In se stessi mi sembra difficilissimo, perché penso che chi scrive e pubblica i propri scritti lo fa per un’esigenza interiore, perché gli é impossibile NON scrivere. E quello che scrive gli sembra bello, anche se lo RI- scrive o lo rivede più volte.
Nella biografia di Stevenson si dice che il genio scozzese avesse scritto un pò “di getto” JECKYLL E HYDE; che, pieno di entusiasmo, sia andato a far leggere immediatamente il manoscritto a sua moglie; che sua moglie glielo abbia un pò criticato( non ricordo per cosa esattamente, ma con “sapienza” e cognizione di causa); e che lui, preso dalla rabbia per quella critica da parte della sua amata, l’abbia gettato tra le fiamme del fuoco del caminetto….Pare che l’abbia RI-scritto in un paio di giorni e che finalmente questa seconda versione sia piaciuta maggiormente( anche all’autore stesso).
E’ un pò quello che diceva Sergio prima, a proposito del “coraggio” di dire a qualcuno che il suo libro non ci piace. Magari lo spingiamo a scriverne uno più bello.
@Roberta: concordo, anche se Stevenson è Stevenson, nel senso che è un autore che può essere considerato il padre della narrativa moderna. Molto dipende anche dai lettori: se tizio ha una bassa preparazione socolastica, non si accorgerà degli errori dell’autore Caio e ti posso assicurare che la media della preparazione (mi riferisco all’italiano) è un po’ scarsina, soprattutto da quando hanno abolito il latino alle medie inferiori, materia indubbiamente non facile, ma notevolmente formativa.
Ai miei tempi c’era e mi ricordo che mi piaceva, come mi piace anche oggi.
Il talento è il genio, ma per svilupparsi ed evidenziarsi deve essere coltivato, nel senso che occorre una preparazione di base piuttosto approfondita e anche in seguito un continuo aggiornamento.
Sì, Renzo, credo proprio che il latino alle scuole medie manchi moltissimo.(Ps: ti confesso che io lo detestavo, ma mia madre mi costringeva a fare almeno tre versioni in più rispetto a quelle assegnate dall’insegnante, per farmi vincere la pigrizia. Però tanto io non sono una scrittrice, quindi non mi controlla nessuno..)
Sulla “coltivazione” del genio: certo. Penso ai sette anni di “Studio matto e disperatissimo” di Leopardi.
Sì. E anche se non si é scrittori al pari di Stevenson o di Leopardi, sono necessari, credo, gli “ingredienti” di cui abbiamo detto.
Gia’, Roberta. Forma ineccepibile, almeno. Da li’ si comincia, o meglio si parte per la creativita’ – che viene ”dopo” che si sappiano le leggi dello scrivere, che sono tante, tante veramente. Il poeta sappia contare le sillabe, no? Altrimenti ”saltano” le basi e si rischia di dar ragione a Bene: ”Cosa restera’ di te?”
Be’: di Raboni resta tanto, di Bene quattro aficionados. Comunque sia, manzonianamente, ai posteri l’ardua sentenza. E ai contemporanei il cercare di anticiparla. Cercare, dico.
P.S.
Creativita’ e tecnica sono l’una dipendente dall’altra, e al contempo simbiotiche. Chi pretenda di fondare l’arte su una solo di queste, a mio avviso sbaglia, ovvero mutila l’arte dell’armonia; o la mutila tout court, direi proprio.
E rimettiamo il latino alle scuole dell’obbligo, che il Sessantotto ormai e’ finito e il latino non ha niente a che fare col fascismo, la borghesia e altre menate. Latino per tutti i parlanti una lingua romanza. Ecco. Ridatecelo. Ce lo ridiano, anzi, a scuola.
Roberta e Renzo,
vi ho scritto qua sopra qualcosina.
Ciao
Sergio
@Sergio: non posso che essere d’accordo, visto che amo ancora leggere, cercando di tradurli, versi in latino di grandi poeti romani, poi non dimentichiamo che qualche anno fa avevo come vicino di casa un certo Vergilius Maro… Fra l’altro, l’apprendimento del latino, aiuta anche a comprendere altre materie, come la matematica, e una lingua che latina non è, ma che ha un’analoga costruzione rigorosa: il tedesco.
L’unica è mia moglie che dice che voglio resuscitare un morto, ma la scuso, perchè, essendo russa, non l’ha mai studiato.
@ Quanto a Roberta, mi sa che stia facendo la pennichella, visto il suo fuso orario. Mi sembra che abiti negli USA a Philadelphia.
Renzo,
quella mi sembra un’altra Roberta, non questa che ragiona con noi – la ”statunitense” scrive il proprio nome con la erre maiuscola.
Ah, mi sono sbagliato allora. Però vedi com’è facile cadere in errore, anche perchè non è riscontrabile collegando il nome a un blog o a un portale, un po’ come nel tuo caso. Come mai non hai almeno il blog?
Le lingue, finche’ vengono lette e studiate, non muoiono. Sai in Slovenia cosa successe nella meta’ degli anni Sessanta? Tolsero le lingue classiche dalla scuola. Poi, oggi, le stanno riinserendo – e lo sloveno e’ ovviamente una lingua del gruppo slavo. Noi italiani, invece? No, noi neolatini il latino lo lasciamo solo ai colti. Ottima maniera di incentivare l’ignoranza dii massa, non credi? Mossa direi ”politica” come la diffusione dell’hascisch. Un italiano che non sappia tre parole di latino e’ un mezzo italiano.
@ Tu stai a Lubiana, vero?
Renzo,
francamente io non ho tempo da buttare per imparare cose tecnologiche. Mi basta quel che ho e so. Chi mi riconosce mi riconosce per la mia firma e soprattutto per quel che dico, lo stile e i contenuti. La personalita’ non e’ confondibile, se la si ha. Chi non ce l’ha va su feisbuc o fa altre smanie. Io cerco solo di dialogare in italiano con persone come te, interessanti e che abbiano i miei interessi letterari. Sto bene cosi’, Renzo: sposato, con una figlia e tanta passione per la Letteratura. Perche’ cambiare?
Si’, sto qui a Lubiana da quattro anni circa e per altri quattro ho vissuto a Capodistria. Tu… non ricordo…
Sergio,
vero, ma io uso il blog come strumento di servizio, nel senso che pubblico, in seconda visione, quello che letto sul portale. Quello mi piace, perchè mi ha dato modo di leggere articoli interessanti, che poi ho pubblicato lì. Francamente, Arteinsieme era partito come un sito personale, poi qualcuno mi ha chiesto se poteva pubblicare qualche cosa e così oggi ha parecchi visitatori, anche da Lubiana…
Io abito a Virgilio, a circa 5 Km. a sud di Mantova. Dalle tue parti non sono mai stato, al massimo sono arrivato a Trieste, che è una bella città.
@Sergio ed eventuali altri.
L’ora si fa tarda e vi saluto.
Buona notte.
Ah, interessante. Comunque sono umbro d’origine romana: ho vissuto a Roma, Spello e Perugia. Poi mi sono innamorato.
Buonanotte, Renzo. A domani.
@Renzo e Sergio:
avevo un fortissimo mal di testa ieri, come mi capita spesso, altrimenti avrei partecipato così volentieri alla discussione sul latino..che i neolatini dovrebbero davvero studiare.. Poi ho ripreso ad andare a scuola e faccio molti chilometri al giorno per arrivarci e devo alzarmi molto presto.Ma sono contenta perché proprio oggi abbiamo letto in classe un pezzo dell’atto III dal SOGNO e io e la collega di lettere abbiamo ascoltato i commenti degli studenti al pezzo di “film” che abbiamo fatto vedere loro perché “visualizzassero” una scena teatrale( nessuno di loro ha mai visto uno spettacolo a teatro: siamo nell’entroterra sardo.
Li porteremo a vedere MACBETH in primavera- che Dio ce la mandi buona..).
E TUTTI, proprio TUTTI hanno scritto: “Non ci piace la trasposizione che il regista ha fatto, perché Puck ce lo immaginavamo più carino, più piccolo e con le alucce celesti.. e anche le fatine ci hanno deluso.. Solo Oberon sembrava più bellino nel film, perché noi ce lo immaginavamo “vecchio”).
Io ero “al settimo cielo”: i ragazzi ci stavano dicendo che preferivano comunque il testo del nostro amatissimo William e che preferivano la loro immaginazione. Queste giornate danno un senso alla fatica di una vita.
( Forse ho sbagliato post… dovevo scriverlo in quello del teatro)
Ciao, cari.
Ps: sì, comunque molte persone non hanno capito che lo studio del latino sviluppa la logica e che apprendere una lingua straniera( che sia essa “une langue vivante” o “une langue morte”) non é una questione di MEMORIA, ma di riflessione sui meccanismi che sottintendono le strutture della lingua stessa.
E comunque é sempre come studiare “altro da sé”, che non vuol dire non amare la propria cultura. Vuol dire, però, “aprirsi” a mondi diversi, che siano quelli di Orazio e Virgilio o quelli di Ronsard.
Le traduzioni poi a noi al liceo ci facevano sempre ridere, perché inventavamo un sacco di fesserie: “SURSUM CORDA”= “su, su con la corda” ecc… Intanto lo facevamo. E durante i compiti in classe eravamo dei “traduttori” in erba.
Renzo: aiuto quanto é difficile il tedesco. L’ho studiato per un anno, poi mi sono arresa e sono tornata alla “douce France”.. E’ difficilissimo declinare e parlare contemporaneamente.
@Roberta: io ho studiato il tedesco perfino all’università, poi nell’uso pratico e corrente l’ho sostituito con l’inglese. Comprendo che possa risultare ostico, come a me risulta impossibile il russo, soprattutto per il diverso alfabeto. Mia moglie, russa, invece non ha avuto difficoltà ad apprendere l’italiano.
Il latino è sì una lingua morta, ma è di una bellezza veramente unica.
@Renzo:
quindi tu puoi leggere Thomas Mann in tedesco e tua moglie Cechov in russo? Beati.
Ps: per il latino… Perdonami, ma quando ho studiato per l’esame di filologia romanza ho dovuto riprenderlo e, Dio mi perdoni, non lo amo..
Però ne riconosco l’importanza, sempre e comunque.
@ Roberta: no, non sono in grado di leggere Thomas Mann in tedesco. Non è solo sufficiente studiare una lingua, ma occorre viverla, andare in loco, parlare con la gente, restare un tempo abbastanza lungo e allora si riesce anche a imparare discretamente.
Certo, se devo andare in Austria o in Germania non ho difficoltà a chiedere una strada, a leggere un menù, oppure a dare almeno un’occhiata ai titoli dei giornali. Leggere un libro è un’altra cosa e questo mi riesce solo con il francese.
Diciamo che “mi inchino” lo stesso, anche se non amo il latino.
Perché senza Esopo non ci sarebbe Fedro( dico bene? oppure ho scritto una fesseria?) e senza Fedro non ci sarebbe La Fontaine, il grande moralista del XVII° secolo. Eh. Che a proposito di TRADUZIONI e “IMITAZIONI”, prima di “imitare” Fedro l’ha tradotto. Ma infatti La Fontaine era un “Ancien”, ossia faceva parte di quella schiera di “innamorati” della tradizione letteraria precedente che hanno re-interpretato gli antichi.
Credo che questo sia il vero spirito dell’Umanesimo e vedo te e Sergio proprio come due veri umanisti.
@ Renzo:
sì, lo so come “funzionano” le lingue straniere. Leggere un libro e parlare sono due cose diverse e, se non fai un viaggio nella terra straniera, non potrai mai cogleire neppure l'”essenza” di quel popolo..
Eh, perché sarebbe bello che ci facessimo l’idea di TUTTI i francesi leggendo Proust..
O che gli stranieri si facessero l’idea degli italiani attraverso Cavalcanti, Dante o Foscolo..
Purtroppo sarebbero delusi al loro arrivo.
Volevo aggiungere( anche se non c’entra con le traduzioni, ma c’entra con l’Umanesimo) un breve brano da un saggio di Marguerite Yourcenar( che mi sembra incarnare anche lei moltissimo lo spirito umanista). Lo metto così, per parlare di lei e per avvalorare un’idea che lei mi ha trasmesso e che non mi abbandona più.
(Tratto da: “CHISSA’ SE LO SPIRITO DELLE BESTIE SCENDA GIU'”-1981)
” Vi erano nel cristianesimo tutti gli elementi di un folclore animale quasi non meno ricco di quello del buddhismo, ma l’arido dogmatismo e la priorità data all’egoismo hanno prevalso. Sembra che a questo riguardo un movimento pseudo-razionalista e laico, l’umanesimo, nel significato recente e improprio del termine, che pretende di accordare interesse solo alle realizzazioni umane, sia l’erede diretto di questo cristianesimo impoverito, a cui sono stati sottratti la conoscenza e l’amore del resto degli esseri.”
Magari non siete d’accordo sul “movimento pseudo-razionalista e LAICO”, oppure sul “Cristianesimo impoverito”, però lei lo scrive con intenzioni polemiche, giacché aveva deciso, prima di morire( nel 1987) di occuparsi di una eventuale “Déclaration des droits des animaux”.
Io l’ho messo qui perché lo spirito dell’Umanesimo mi ha sempre affascinato.
Ma bisogna tener conto che l'”esaltazione” del genere umano ha i suoi “difetti”.
Be’, Roberta… la Yourcenar specifica chiaramente che sta riferendosi all’ ”umanesimo, nel significato recente e improprio del termine” (sic), non cita l’Umanesimo italiano storico, quello quattrocentesco. Dunque concordo con lei – la quale era una grande e vera umanista ”italiana” fuori tempo massimo, ovvero vissuta ”apparentemente” oltre il Quattrocento (ma ”sostanzialmente” NEL Quattrocento, come tutti sappiamo leggendone le opere).
Per capire questa privilegiata natura di Marguerite Yourcenar, a mio sentire basta sapere che ebbe la possibilita’, datagli dai genitori, di studiare in casa solo le materie che le piacevano – con precettori privati d’alto livello. E’ quel che occorrerebbe a ciascuna persona che avesse delle spiccate qualita’ ed attitudini sin da piccola, direi proprio…
P.S. per Roberta,
grazie per l’appellativo di ”umanista”. Lo sono, forse, perche’ io non solo amo la mia lingua, ma mi sento dentro ad essa, ne sono parte… o meglio essa e’ parte della mia personalita’, non della mia vita ”esteriore”. Io sono la mia lingua. Cio’ mi porta a capire che in Europa e nel mondo gli umanisti sono tutti coloro che sentano cose simili alle mie per la propria lingua madre – perche’ di ”mamma” ce n’e’ una sola. E inoltre penso che questo tipo raro di persone siano i migliori traduttori letterari, in genere (non parlo di me, che’ io traduco solo per soldi: a me piace scrivere racconti e critica letteraria, il resto lo faccio per campare).
Sì, é vero, Sergio. Mi hai fatto capire meglio.
Non credi che abbia respirato molto anche dell’Umanesimo europeo( dopo il Quattrocento italiano, ovviamente). Penso al suo Zenone dell’OPERA AL NERO, ma anche ad altri grandi umanisti del Rinascimento europeo, come Rabelais. Questo, naturalmente, senza nulla togliere all’Umanesimo italiano da cui “nasce” tutto.
( e forse, lo aggiungo con rammarico, l’Umanesimo italiano “esportato” vive ancora all’estero e da noi “é morto”).
Sì, anche lei diceva sempre di essere stata una privilegiata.
Certo,come ha scritto lei stessa, se avesse dovuto lavorare e faticare per vivere, non avrebbe avuto il tempo di tradurre i “lirici greci, né la possibilità di dedicarsi interamente ai viaggi e alla scrittura. Menomale per noi, però, che questa grande artista é esistita e ha scritto: per me la sua intervista “LES YEUX OUVERTS” é come una “Bibbia”. E quanti altri ha “illuminato”, lei, Marguerite, l’unica donna eletta all’Académie Française..
Ps: concordi con lei, dunque, quando lamenta il maltrattamento di tutti gli esseri diversi dagli umani?
Ha anche detto, sempre in un’intervista, che era “felice di andarsene” da questa terra( lo ha detto nel 1987, credo, ed era nata nel 1903) poiché per nulla le piaceva la nostra epoca; infatti “tuonava e tuonava” nei suoi saggi…
L’umanesimo e’ questione di elite. Non perche’ lo sia da un punto di vista politico-sociale-economico: lo e’ perche’ umanisti si nasce, non si diventa, tutto qui. E’ elettivo. Poi, se si e’ fortunati, si incontra dei genitori sensibili, altrimenti… si finisce per spegnersi sotto ai detriti della buzzurraggine imperante – oggi come sempre.
Su Rabelais e l’Umanesimo europeo siamo d’accordo: l’onda lunga dello spirito italiano VERO prosegue solo all’estero. In Italia gli scrittori pensano a vendere i libri, non a scriverli.
Sulla polemica ”animalistica” della Yourcenar avrei qualcosa da osservare, ma personalmente la questione vorrei metterla cosi’, in definitiva: siccome l’uomo e’ un animale onnivoro per natura, bene che mangi di tutto – anch’io mangio carne e frutta, verdura, eccetera – ma maltrattare gli animali e’ cosa diversa e spregevole. Alleviamoli e mangiamoceli, d’accordo, ma senza trattarli come sassi. Non sono sassi.
@ Sergio: credo che siano i migliori traduttori, é vero.
Non ho letto i tuoi racconti né le tue critiche letterarie, ma non dubito mi piacerebbero( non che il mio giudizio possa avere una qualche rilevanza, é ovvio).
…E spesso, va sottolineato, gli uomini considerano sassi in primis gli altri uomini. Dunque diamoci una regolata con tutti: la vita e’ sacra, anche quando occorre nutrirsene. Ma gli uomini vengono prima.
Non sono nessuno; comunque se ti interessa, cerca il mio nome tramite Google e troverai qualcosa. Cosi’ inizierai, finalmente, a trattarmi male (ah ah ah!).
I genitori sensibili:un’altra cosa verissima.
Sugli animali: io sono un pò più “radicale”, anche se poi figurati le contraddizioni di cui sono pervasa( come tanti sedicenti “animalisti”): ingollo una quantità enorme di pastiglie per il mal testa( testate sugli animali).
Anche lei parlava dei maltrattamenti, in effetti; degli allevamenti nelle batterie ecc.. Non del fatto che gli umani li mangino.
Per i “sassi”…. lei dice nell’intervista che é grata anche ai sassi..:
“(…) Et qui s’est adossé à un rocher pour se protéger du vent, qui s’est assis sur un rocher chauffé par le soleil, en y posant les mains pour essayer de capter ces obscures vibrations que nos sens ne perçoivent pas, a bien de la peine à ne pas croire obscurément à l’amitié des pierres.(…)”
A te la traduzione, se vorrai farla.
Andrò a cercare. cos’hai scritto.
Ma certamente non per “trattarti male”.
Figurarsi! Trattar male un Umanista.
Metti la ”u” di ”umanista” minuscola, se parli con me, ti prego. Io sono di quest’era, misero e ”minus habens” com’essa. Le pastiglie prese in dosi eccessive, poi, fanno male anche al di la’ delle sperimentazioni sugli animali. Gli ”altri” animali, che’ anche noi lo siamo per definizione.
Sto gia’ traducendo dall’inglese ed ora approfitto di una pausa, Roberta. Lavoro con lentezza per far bene le cose ed evito di sovrapporre le lingue. In genere faccio una cosa per volta. Pero’ ho letto la citazione in lingua e concordo con quanto scritto dalla Yourcenar. Qualcosa di simile lo espressi anche nel mio modestissimo racconto ”Domitilla”, il cui incipit e’ anche in Internet (sito ”Il compagno Segreto”, mi sembra). Io i sassi li adoro solo un poco meno degli alberi e questi li adoro poco meno degli animali, che adoro poco meno degli uomini. Noi.
Rubo un altro pò di spazio per altri due brevi brani dall’intervista “Les yeux ouverts”. Li metto anche per Renzo e per Lorenzerrimo, perché mi sembra che anche loro( deduco dai loro post anche sull’argomento Facebook) mal sopportino certe superficiali cretinerie del nostro tempo..
“(…) Et puis, il y a toujours pour moi cet aspect bouleversant de l’animal qui ne possède rien, sauf la vie, que si souvent nous lui prenons. Il y a cette immense liberté de l’animal, enfermé certes dans les limites de son espèce, mais vivant sans plus sa réalité d’ “ETRE”, sans tout le faux que nous ajoutons à la sensation d’exister.(…)”
E ANCORA:
“(…) Il y a meme, d’une espèce à une autre, d’un individu de cette espèce à un autre, les memes variations que chez nous entre un homme intelligent et un imbécile, avec cette différence toutefois que la betise de l’animal n’est jamais due à l’absorption de slogans.(…)”
(Perdonate la mancanza di accenti circonflessi: non li trovo).
Va bene. Buon lavoro.
Metto io una specie di traduzione( ché traduttrice non sono per nulla) che potrà essere corretta da chi vorrà farlo( e anche perché non possiedo proprio il testo tradotto egregiamente in italiano da Bompiani, e che starebbe meglio qui, ovviamente).
“E poi c’é sempre per me questo aspetto sconvolgente dell’animale che non possiede niente, tranne la vita, che così spesso noi gli prendiamo. C’é questa immensa libertà dell’animale, rinchiuso, certo, nei confini della sua specie, ma vivendo senza più la sua realtà di “essere”, senza tutto il falso che noi aggiungiamo alla sensazione dell’esistere(…)”
“(…)Ci sono anche, da una specie all’altra, da un individuo di questa specie all’altro, le stesse variazioni che tra un uomo intelligente e un imbecille, con questa differenza, tuttavia: che la stupidità dell’animale non é mai dovuta all’assorbimento di slogan.(…)”
BRANI TRATTI DA: Matthieu Galey: “LES YEUX OUVERTS”- “ENTRETIENS” con MARGUERITE YOURCENAR.
N.B.
Qui é particolrmente difficile rendere “la BETISE DE L’ANIMAL” perché in francese “BETE” significa “bestia” nel senso di animale e anche “stupido”, usato come aggettivo.
@Massimo
Mi é venuto un dubbio: si possono mettere traduzioni qui( anche “alla buona”) di brevi brani, oppure riferimenti a traduzioni che si conoscono, segnalando la casa editrice?
Perdonami: te l’avrei chiesto in un altro spazio, ma non saprei dove.
Grazie.
Cari saluti:)
@ Roberta
Cerrrrrrrrrrto, mia cara:)
Tutto quello che riguarda le traduzioni… trova casa in questo post:)
PIERRE DE RONSARD: SONNETS POUR HELENE:
“Quand vous serez bien vieille, au soir, à la chandelle,
Assise aupres du feu, devidant et filant,
Direz, chantant mes vers, en vous esmerveillant:
Ronsard me celebroit du temps que j’estois belle.
Lors, vous n’aurez servante oyant telle nouvelle,
Desja sous le labeur à demy sommeillant,
Qui au bruit de mon nom ne s’aille resveillant,
Benissant vostre nom de louange immortelle.
Je seray sous la terre et fantaume sans os:
Par les ombres myrteux je prendray mon repos:
Vous serez au fouyer une vieille accroupie,
Regrettant mon amour et vostre desdain.
Vivez, si m’en croyez, n’attendez à demain:
Cueillez dès aujourd’huy les roses de la vie. ”
N.B. LA TRADUZIONE DEL SONETTO DA PARTE DI MARIO PRAZ NEL POST SULLA POESIA.
Roberta,
a rileggere le parole della Yourcenar che hai riportato qua sopra, mi e’ venuta in mente un’associazione di idee fra ”bestialita”’ e ”umanita”’. Associazione che squalifica entrambi, direi dopotutto: noi e gli ”altri animali”. Poi – sempre proseguendo nella concatenazione delle cause e degli effetti dei miei pensieri – mi e’ sovvenuto un volumetto, tradotto da Veronika Brecelj, del narratore sloveno Drago Jančar; lo ho appena letto e te lo consiglio: ”L’allievo di Joyce”, racconti di Drago Jančar, Ibiskos Editrice Risolo, 2008. Il curatore della collana e’ un professore sloveno del quale conosco la serieta’ e la competenza, Miran Košuta (sloveno triestino). Leggilo, se vuoi.
P.S.
Garantisco personalmente che ti rimborso se non ti dovesse piacere!
Certo, grazie,
lo cercherò. Il titolo già mi piace.
E non nutro dubbio alcuno neanche sulla qualità della traduzione.
Non posso trattenermi e immagino neppure tu voglia trattenerti troppo su questo post, ma sono curiosa di sentire la tua opinione sull’8° verso del sonetto di Ronsard:
“Benissant vostre nom de louange immortelle”
e qui la traduzione del nostro amatissimo Praz si discosta molto, però, dal testo. ” E lodi il vostro nome ch’ebbe sì buona stella”.
Saranno le esigenze ritmiche del testo poetico in italiano, suppongo.
Sì, perché il termine “louange” é stato trasformato in verbo, ma manca nella traduzione il termine “immortelle”( sostituito da “sì buona stella”) e in Ronsard é importante. Non so, magari sto invadendo un “campo” che non é il mio.
Ciao:)
Ps: Per l’associazione di idee suggerita dalla Yourcenar, scusa ma io, lo sai, non direi che l’associazione fra “bestialità” e “umanità” squalifica entrambi.. Esiste una parte dell’umanità che é così amabile.. ma per quanto mi riguarda, la grossa fetta dei non-amabili preferirei non incontrarla. Facciano e vivano come credono. Io mi fermo ad ammirare le mucche bianche che pascolano nel vasto paesaggio inabitato della mia antica terra…
Ps2 Tutta quella poesia di oggi sul post della poesia mi ha fatto diventare “poetica”..
La poesia è quello che distingue l’uomo bestia dall’uomo che tende a diventare uomo. Fatte salve le vere bestie, esseri che insieme alle piante umilmente fanno la volontà di chi le ha create.
”Benedica il vostro nome con un perenne encomio” e’ la traduzione letterale. Io pero’ dovrei rivedere tutto il contesto per dire come e’ stata la – originale senza dubbio e personale – traduzione del Praz. Forse sostituirei ”benedire” con ”santificare” o qualcosa del tipo di ”eternare”… ma dovrei lavorarci sopra professionalmente.
@Maria Lucia,
perdonami,
ti scrivo in breve ( scappo se no oggi mi “azzanna” qualcuno) per dirti:
1) ti ho mandato una domanda sul post della poesia…circa il verso HYPOCRITE LECTEUR, MON SEMBLABLE, MON FRèRE ( hai scritto che stai leggendo il libro su Baudelaire.. e poi era per parlarne un pò)
2)Chiunque abbia creato esseri e piante del mondo, me mi ha fatto felice di poterle osservare e amare. Si può pensare così anche senza essere religiosi, giusto? Oppure avere una visione vagamente “panteistica”?
Boh.
Ciao,
carissimi saluti.
Eila’, Marilu’!
Ti saluto a ”parole tronche d’accento”. Sai che la tua amica Simona scrive bene? Le ho appena scritto per posta ordinaria una serie di brevi impressioni. Tu, come stai?
@Sergio
Merci de ton temps.
Bella la tua traduzione.
Io lascerei, comunque, il termine IMMORTALE.
Mah.. Sono “guasta”, non ci riesco proprio a discostarmi dal testo.
Bonne nuit:)
…”Tu, ipocrita lettore” di Carlo Bodeler e’ (anche anche) l’incipit di un libro di mio padre… pensate che figlio scapestrato che sono… statemi lontano, figliole mie…
Pero, Roberta, l’encomio e’ piu’ ”perenne” che ”immortale”, nella lingua dotta, devi ammetterlo…
Finisco subito, Roberta. Si tratta, qui, infatti, di un qualcosa di non vivente, di inanimato; dunque andrebbe usato ”perenne”, invece ”immortale” e’ aggettivo per gli esseri animati.
Forse non conosco la lingua dotta..
Sì, sì ho capito, comunque.
Grazie, Sergio. Mi serve sempre domandare..
Caro Sozi,
peccato aver dovuto lasciare te e Maria Lucia ieri.
Eh, ma infatti hai ragione su quella faccenda dell”HYPOCRITE LECTEUR”.
Potresti scrivere qui la tua idea, se vuoi.
Mi giudichi una grande ignorantona, vero? Perché non conosco l’italiano “dotto”. Né il greco. E avevo sempre 4 in latino, me misera..
Sì sì, é vero, lo sono.
Io sono guidata soltanto da una PERENNE passione per la letteratura.
Solo questo posso trasmettere. Mica lo dico con rammarico, perché é proprio così.
L’unica cosa che non ho é “il grigiore”( ringraziando la natura anche per i colori che mi ha regalato).
Mi piace molto scherzare anche qui, con te, Maria Lucia, Lorenzerrimo( al quale devo spedire un piatto con sopra i vostri nomi colorati e dipinti invece delle foglie d’alberi…)e altri.
Eh, scrivimi sull’HYPOCRITE…
Riporto qui in francese+ la traduzione( maldestra, perché ho soltanto il testo in francese- ma Massimo mi ha autorizzato..) un brano dal testo di Marcel Proust. Sempre se non ho frainteso quello che Maria Lucia mi ha scritto su Baudelaire( che “tormenta” entrambe… a quanto pare..) nel post sulla poesia.
” (…)La fameuse méthode(…) qui consiste à ne pas séparer l’homme et l’oeuvre, à considérer qu’il n’est pas indifférent pour juger l’auteur d’un livre, si ce livre n’est pas un “traité de géométrie pure”, d’avoir d’abord répondu aux questions qui paraissaient les plus étrangères à son oeuvre( comment se comportait-il, etc.), à s’entourer de tous les renseignements possibles sur un écrivain, à collationner ses correspondances, à interroger les hommes qui l’ont connu, en causant avec eux s’ils vivent encore, en lisant ce qu’ils ont pu écrire sur lui s’ils sont morts, cette méthode méconnait ce qu’une fréquentation un peu profonde avec nous-memes nous apprend: qu’un livre est le produit d’un autre MOI que celui que nous manifestons dans nos habitudes, dans la société, dans nos vices(…)”-
( da M.Proust:CONTRE SAINTE-BEUVE- Folio-Essais-pag.127)
“(…)Il famoso metodo(…) che consiste nel non separare l’uomo e l’opera, a considerare che non é indifferente per giudicare l’autore di un libro, se questo libro non é un “trattato di geometria pura”, avere prima di tutto risposto alle domande che sembrano più etranee alla sua opera ( come egli si comportava ecc), a circondarsi di tutte le informazioni possibili su uno scrittore, a collazionare la sua corrispondenza, a interrogare gli uomini che l’hanno conosciuto, parlando con loro se vivono ancora, leggendo ciò che hanno potuto scrivere su di lui se sono morti, questo metodo disconosce ciò che una frequentazione un pò profonda con noi stessi ci insegna: che un libro é il prodotto di un altro “IO” rispetto a quello che noi manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi(…)”.
COSA NE PENSI, MARIA LUCIA? Ti piace questa tesi di Proust?
Sergio,
sì ho letto poco fa la tua risposta sul post della poesia: non importa, figurati.
Se Maria Lucia tornerà a dialogare in contemporanea, potremo riprendere; se no tanto quel verso resta lì, nella raccolta dei fiori del male, perennemente misterioso.
Ciao:)
@ Roberta
Continui a mentenere in vita questo post.
Sei splendida!:)
Roberta e’ proprio un bell’acquisto, eh Maugger feroce?
Poi cambio un secondo argomento – ma non troppo: a Veronika (mia moglie traduttrice dal francese e dall’italiano in sloveno) e’ appena giunto un rapporto dettagliato di un organismo dell’Unione Europea sullo stato della professione di traduttore letterario nei vari Paesi UE. Prima o poi vi riporto qualche ”bel” dato riguardante anche l’Italia. Che ci fa capire quanto stan messi male i traduttori letterari nostri… eccetera…
Roberta,
mi raccomando, cara: non prendere mai male quanto io preciso; cerco solo di puntualizzare, di ricercare assieme agli altri (te compresa) le cose migliori da fare e non di correggere per il gusto (che non ho) di fare la figura del ”bravo”. Penso solo che se ci si corregge a vicenda e ci si critica senza superbia la Letteratura ne guadagna – non il mio ego, per carita’! Io sono uno che quando pubblica qualcosa cerca sempre i critici piu’ severi: quelli che ti stroncano motivando punto per punto e ti elogiano motivando punto per punto. Cosi’ cresco. Cosi’ crescerei, anzi, dico, perche’ di solito o si elogia o si stronca, in Italia, e senza il ”punto per punto” che farebbe migliorare lo scrittore.
Ciao, cara
Sergio
Caro Sergio,
non dubito dei tuoi intenti e da te imparo.
Certa, anzi, certissima, che tu sappia leggere perfettamente ciò che scrivo qui. Non sempre succede( qui in questo spazio, voglio dire) che si capisca esattamente con chi si ha a che fare. Si é fraintesi perchè non a tutti il linguaggio( quello che tu conosci così bene) dice le stesse cose.
Ma va bene lo stesso.
Per me sei sempre l’ interlocutore prediletto, senza togliere nulla a nessuno. Perché tutti sono carini, qui, a cominciare da Massimo che é troppo “attachant”, anche così, in modo “virtuale”.
A Lorenzerrimo sto per preparare “IL PIATTO PROMESSO”…(sembra il titolo di un libro scritto malino, vero?)
Ciao:):)
Domani vado a Milano a firmare per Rizzoli come traduttore! Divento un traduttore vero… :)))
Gordiano
Signor Lupi,
congratulazioni vivissime.
Vorrà darci una mano, qualche volta, al perfezionamento delle traduzioni “caserecce” eventualmente riportate qui?
Saranno riportate anche quelle di traduttori insigni, ma capita di non avere la traduzione a portata di mano e mettiamo, con l’autorizzazione di Massimo, “nostre produzioni fatte in casa”.
Grazie infinite
Roberta
Riporto alcune “MAXIMES” di François de La Rochefoucauld (1613-1680):
Mx 357: ” LES PETITS ESPRITS SONT TROP BLESSéS DES PETITES CHOSES; LES GRANDS ESPRITS LES VOIENT TOUTES, ET N’EN SONT POINT BLESSéS”=
” Le menti ristrette si adontano troppo per le piccole cose; i grandi intelletti le vedono tutte e non ne vengono minimamente offesi”.
Mx 358:”L’HUMILITé EST LA VéRITABLE PREUVE DES VERTUS CHRéTIENNES: SANS ELLE NOUS CONSERVONS TOUS NOS DéFAUTS, ET ILS SONT SEULEMENT COUVERTS PAR L’ORGUEIL QUI LES CACHE AUX AUTRES, ET SOUVENT A NOUS-MEMES”=
” L’umiltà è la vera prova delle virtù cristiane: senza di essa noi conserviamo tutti i nostri difetti, celati soltanto dall’orgoglio che li nasconde agli altri e spesso anche a noi stessi”.
Mx 294: “NOUS AIMONS TOUJOURS CEUX QUI NOUS ADMIRENT; ET NOUS N’AIMONS PAS TOUJOURS CEUX QUE NOUS ADMIRONS”=
“Noi amiamo sempre quelli che ci ammirano; ma non sempre amiamo quelli che ammiriamo”.
Mx 356: “NOUS NE LOUONS D’ORDINAIRE DE BON COEUR QUE CEUX QUI NOUS ADMIRENT”=
“Solitamente lodiamo di cuore soltanto coloro che ci ammirano”.
E questa “géniale”:
Mx 304: “NOUS PARDONNONS SOUVENT à CEUX QUI NOUS ENNUIENT, MAIS NOUS NE POUVONS PARDONNER à CEUX QUE NOUS ENNUYONS”=
“Perdoniamo spesso chi ci annoia, ma non possiamo perdonare quelli che annoiamo noi”.
(TRADUZIONE di Giovanni Bogliolo-La Biblioteca Ideale Tascabile).
@roberta
mi fa molto piacere rileggerti e colgo l’occasione per farti i complimenti alla nomina di “curatrice” del post traduzioni.
la mx 357 secondo te “esprit” in questo caso non andava bene anche inteso come spirito, nel senso degli animi piccoli, mediocri e degli animi grandi, magnanimi?Come mai si preferisce la traduzione di “menti” che mi pare più ristrettiva?
cari saluti
Sì, carissima Francesca Giulia, hai ragione: però é difficile qui rendere in italiano il significato della parola “esprit”, perché non é “spirito” ; forse “animo”, come dici tu. Sul dizionario riportano: “mente”, “animo”.
Eh, com’é sferzante La Rochefoucauld, vero?
Ti taglia a fette in quattro parole.
Sono contentissima che tu abbia letto le “Maximes” e mi abbia scritto.
Ti ringrazio davvero. Poi se hai suggerimenti, me li puoi scrivere e anzi, a dire il vero, Massimo potrebbe nominare anche te coordinatrice, così potremmo curare assieme questo “laboratorio”.
Tanti baci.
Scrivimi qual é di queste la tua preferita… la mia è la 304, perchè mi diverte moltissimo l’umorismo di questo genio di La Rochefoucauld.
@roberta
grazie, suggerimenti quanti ne vorrai,ma non credo di essere all’altezza come coordinatrice, parlo spinta dall’intuito e dalla passione per particolari frasi o poesie. Comunque mi piace molto la 294, c’è dentro l’ombra del peccato capitale che mi affascina di più: l’invidia. In fondo la faccia buona per così dire dell’invidia nasce proprio dalla forte ammirazione per qualcuno che ha qualcosa che vorremmo avere noi,non si invidia se non si ammira. In questa massima di La R. leggo anche l’immancabile debolezza dei sentimenti umani,insomma mi piace. La 304 anche, sono quasi tutte “affondanti”.
cari saluti
@ Francesca Giulia
non mi sono dimenticata che anche tu hai una grande passione per LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE.. Quindi ti chiedo( ma non oggi perché non posso- ma magari puoi tu) se proviamo a inserire qui brani dal libro prediletto: io ce l’ho solo in inglese; tu puoi mettere le tua versione, quella che hai a casa tua e poi parliamo di quella che ci piace di più, oppure riportiamo la traduzione e basta senza esprimere il nostro parere e parliamo di ALICE. Va bene?
Sì, é vero, il termine per “invidia” per La Rochefoucauld è “envie”: un sentimento che offusca la mente. Ma lui sistema tutti, n’est-ce pas?
Ciao:):)
Ps: anch’io sono spinta nient’altro che dall’intuito e dalla passione per la letteratura e il teatro.
@roberta di Alice mi piace tutto!E’ il capolavoro del nonsense, si presta a mille interpretazioni,è ancora tremendamente moderno.
Ti riporto questo brano che mi sta a cuore perchè parla di un tema che sento molto:IL Tempo.
Hai trovato la risposta all’indovinello?-chiese il Cappellaio rivolgendosi ad Alice.-No,ci rinuncio-rispose Alice-qual è la risposta?
-Non ne ho la minima idea-disse il Cappellaio.
-E neppure io- aggiunse la lepre Marzolina
Alice sospirò pensosamente e disse-Penso che potreste usarlo meglio il vostro tempo invece di perderlo, chiedendo indovinelli senza risposta.
-Se tu conoscesi il Tempo come lo concosco io-disse il Cappellaio- non parleresti di perderlo,Egli è.
-Non capisco cosa vuoi dire- disse Alice
-Per forza che non capisci!-rispose il cappellaio scuotendo la testa con disprezzo- Immagino che tu non abbia mai parlato con il Tempo.
-Forse no-rispose con prudenza Alice-ma so che devo battere il tempo quando studio musica.
Ah!Questo ne è la prova- disse il cappellaio.-Egli non sopporterà d’essere battuto.Infatti se solo ti tenessi in buoni rapporti con lui,egli farebbe fare all’orologio tutto quello che vuoi.
……………..
buonanotte a chi col tempo parla e a chi non lo fa ancora.
Riporto di seguito il brano proposto da Francesca Giulia:
” HAVE YOU GUESSED THE RIDDLE YET?”-
The Hatter said, turning to Alice again.
“NO, I GIVE IT UP”- , Alice replied: “WHAT’S THE ANSWER?”
” I HAVEN’T THE SLIGHTEST IDEA”- said the Hatter.
“NOR I”, -said the March Hare.
Alice sighed wearily.
“I THINK YOU MIGHT DO SOMETHING BETTER WITH THE TIME”,-she said,
“THAN WASTE IT ASKING RIDDLES WITH NO ANWERS.”
“IF YOU KNEW TIME AS WELL AS I DO,”- said the Hatter, “YOU WOULDN’T TALK ABOUT WASTING it. IT’S him.”
“I DON’T KNOW WHAT YOU MEAN”, said Alice.
“OF COURSE YOU DON’T!”- the Hatter said, tossing his head contemptuously.
“I DARE SAY YOU NEVER EVEN SPOKE TO TIME!”
“PERHAPS NOT”- Alice cautiously replied:
“BUT I KNOW I HAVE TO BEAT TIME WHEN I LEARN MUSIC.”
“AH! THAT ACCOUNTS FOR IT,” said the Hatter.
“HE WON’T STAND BEATING. NOW, IF YOU ONLY KEPT ON GOOD TERMS WITH HIM, HE’D DO ALMOST ANYTHING YOU LIKED WITH THE CLOCK.”
E in questo brano, che a me sembra così diverso tradotto, è presente uno dei tanti “giochi di parole” che è quasi impossibile rendere in italiano: “BEAT” vuol dire “PICCHIARE”, “BATTERE” il tempo( in musica), ma il Cappellaio capisce solo che Alice vuole “picchiare” il Tempo e quindi le consiglia di “tenersi in buoni rapporti con lui”, perché può farne ciò che vuole, se diventa sua amica.
Ovviamente non si capiscono tra di loro, perchè Alice è una bambina ragionevole e questi tre matti che incontra nel cap.VII (A MAD TEA PARTY-appunto-)le dicono a un certo punto che se non la finisce di fare domande al Ghiro che racconta la storia del “POZZO DI MELASSA”, dovrà terminare la storia da sola:
” IF YOU CAN’T BE CIVIL, YOU’D BETTER FINISH THE STORY FOR YOURSELF”.
Metteremo altri brani….
brava roberta,che bello leggerlo in inglese!hai ragione Carroll usa questi bei giochini di parole in tante occasioni in Alice, spesso non se ne coglie la bellezza leggendo il testo solo in italiano, sarebbe carino rintracciarne altri.
Alice è di certo ragionevole, ma assettata di sperimentare,spinta da profonda curiosità, anche se riesce ad adattarsi con diplomazia ed elasticità alle stranezze che incontra. Che ci fosse qualcosa da imparare?
cari saluti
Cara Francesca Giulia,
sì è vero, Alice è spinta da una profonda curiosità. Per il suo riuscire ad “adattarsi con diplomazia ed elasticità alle stranezze che incontra”, è il risultato della sua buona educazione, perché in realtà ogni tanto si “offende” e se ne va. ( Se vuoi, rintacciamo il dialogo tra lei e il Bruco, in cui anche lui quanto ad “offendersi” ne dà una bella dimostrazione).
Però da brava bambina “vittoriana”, non può manifestare troppo i suoi sentimenti. Ci sono momenti in cui, come ricorderai, rischia di “farsi tagliare la testa”!
Ricorderai la memorabile versione di Walt Disney in cui però le due avventure (ALICE IN WONDERLAND+ THROUGH THE LOOKING GLASS=Attraverso lo specchio) sono sovrapposte. A un certo punto Alice, persa nel bosco, piange e dice: “Io mi so dar degli ottimi consigli, ma poi seguirli mai non so”. Non ricordo se davvero nei due testi di Carroll Alice dica veramente così, ma in questo caso, sì, mi sentirei di imparare da lei.
Ciao, cari saluti
Cercherò il dialogo o i dialoghi in cui lei si “offende”.
@ Roberta e Francesca Giulia
Brave!
Continuate, please:-)
@ Cara Francesca Giulia,
sto trascurando la “mia”/nostra rubrica, ma non per altro: sono oberata di lavoro.
Ti prego, se vorrai rintracciare tu il brano di Alice con Il Bruco e soprattutto il pezzo in cui entrambi “si offendono”, te ne sarò grata.
Poi io insererirò il brano in inglese+commento eventuale.
Mi vengono in mente molte cose da inserire qui, a parte ALICE.
Ho pensato di mettere una traduzione di Pavese da BENITO CERENO di Melville( visto che nell’altro post si parla di Pavese), ma non trovo il testo in inglese.
Poi ho in mente brani da Maupassant ( BOULE DE SUIF, lo conosci?)+ Balzac (LA FILLE AUX YEUX D’OR+ PèRE GORIOT+ EUGéNIE GRANDET).
Posso inserire solamente traduzioni francese-italiano+ inglese-italiano.
Mi astengo dal riportare traduzioni dal sardo…
Ma qualche grecista o latinista potrebbe inserire brani in latino o greco; o altri spagnolo e tedesco.. Purché mettano anche la traduzione.
Se posso, a più tardi.
Un abbraccio
Ciao, cara Roberta,
poiche’ sono figlio di un traduttore dal latino, cosa ne penseresti se inserissi qui qualche elegia di Properzio fatta da papa’ – ed edita qualche annetto fa dalle edizioni della Pinacoteca Civica di Spello (PG)? Sono belle – le stava per pubblicare un editore nazionale ma poi non se ne fece niente perche’ considero’ troppo grande il ”rischio d’impresa”…
–
Inoltre, ti ho scritto – mi sembra nel ”post” della Lo Iacono o in quello sui ”poeti letteratitudiniani”… se vuoi va’ a vedere.
ciao ciao!
Sergio
P.S.
Esattamente il termine per definire mio padre sarebbe ”poligrafo ed artista”: pittore, poeta, critico letterario e d’arte, traduttore dal latino, narratore e commentatore del Manzoni, giornalista… nonche’ uomo molto riservato e giustamente lontano dai riflettori. Pero’ sono sicuro che gli piacerebbe se pubblicassi qui qualche sua versione di Properzio (che nacque ad Assisi ma molti credevano che fosse spellano, visto che a Spello abbiamo anche le ”Torri di Properzio” d’epoca romana).
–
E poi perche’ non ci traduci qualcosa dal sardo? Sarebbe magnifico – per uno come me che ama ”La leggenda di Redenta Tiria” di Niffoi!
Dear Sergio,
sì, avevo letto dei tuo viaggio a Spello e degli abbracci ai tuoi.
C’era una mia zia che adorava Spello: lei andava tutti gli anni per questioni religiose e un anno mi cia aveva portato, non a Spello, ama da certe sue amiche Clarisse a Perugia.. Eh che donne straordinarie! Quando mia zia si lamentava della mia mancanza di religiosità l’avevano guardata, quelle quasi centenarie, e le avevano detto, con mia grande soddisfazione: “ma benedetta santa donna, la ragazza ha vent’anni! Che vuoi da lei?”.
L’idea delle elegie di Properzio tradotte da tuo padre e inserite in questo spazio mi sembra magnifica, se lui ce le concede.
Mi madre anche lei è una “latinista” e prima di addormentarsi legge sempre il suo Orazio( che io prendo sempre per l’amico di Amleto, ma, evidentemente, non è lui…eh eh.. glielo dico apposta perchè si “arrabbia” che non mi sia mai piaciuto il latino..).
Quanto al sardo, navigo in un’ignoranza totale e vergognosa. Non so NULLA. Ho solo ascoltato una lettura e traduzione della CARTA DE LOGU che ho trovato molto bella, ma non ci capivo nulla perchè è un sardo molto più “colto” e diverso da quello della mia zona.
L’inica cosa che so fare è riprodurre (quasi perfettamente) tutti gli accenti della regione, ma qui bisognerebbe fare come propongono i registratori della voce..
Ciao:):)
Ps. Ti piacciono le scelte mie e di Francesca Giulia su ALICE e LA ROCHEFOUCAULD? Proust è rimasto proprio nel silenzio, come ti ho scritto in un post, mi pare su La camera accanto n°8..
Aspettiamo dunque Properzio!
Errori: 1)”ama” per MA da certe..
2)” Mi ” per “MIA” madre..
cara roberta, anch’io mi sono un pò assentata, sto preparando alcune cosine per concorsi di scrittura e lavorando ad un racconto lungo che mi ha preso la mano. Certo che metto il pezzo di alice sul bruco,lo cerco e lo trascrivo con piacere.
Conosco “Palla di sego” o “Pallina” a seconda della traduzione, adoro quel racconto e la ricchezza di particolari di Maupassant,mettiamolo! :-)))
ben venga l’apporto altamente di qualità di Sergio Sozi e del latino, io putroppo per voi ho studiato il giapponese, a meno che non vogliate qualche haiku di Basho, ma gli ideogrammi non potrei trascriverli.
bacioni
Trascrivo da quando la conversazione tra Alice e il bruco è già avviata con diverse incomprensioni fra i due e una grande impazienza da parte del bruco:
-Così tu pensi di essere cambiata, eh?
-Temo proprio di sì, signore,-rispose Alice; non riesco a ricordare le cose come una volta…e non posso restare della stessa grandezza per dieci minuti di seguito!
-Non puoi ricordare quali cose?chiese di nuovo il bruco.
-Beh, ho provato a ripetere : “Come la piccola ape affaccendata”, ma tutto viene in modo diverso,-rispose Alice con voce melanconica.
-Prova a ripetere: “Tu sei vecchio, babbo Guglielmo”,- disse il bruco.
Alice incrocio le mani e cominciò:
…………………………………………………….
-Non è stata detta nel modo giusto,-disse il bruco.
-temo che questo sia vero,- rispose Alice timidamente;-infatti devo aver cambiato qualche parola.
.E’ tutta sbagliata da cima a fondo,-confermò il bruco con decisione, e seguì qualche minuto di silenzio.
Il bruco fu il primo a parlare di nuovo.
-Di che altezza vorresti essere?-chiese-
Oh, non ho particolari preferenze circa l’altezza-rispose Alice con prontezza;-soltanto che non è bello cambiarla così spesso,sapete.
-No,non so- disse il bruco.
Alice non rispose nulla: mai nella sua vita le era capitato di essere tanto contraddetta e sentì che ormai stava perdendo la pazienza.
-Sei contenta adesso?-chiese il bruco.
-Beh, mi piacerebbe essere un pò più alta, signore se a voi non dispiace- rispose Alice- sette centimetri è infelice come statura.
-E invece è una bellissima statura!-ribattè il bruco un poco arrabbiato, drizzandosi tutto mentre parlava (era alto esattamente sette centimetri).
-ma io non ci sono abituata!-protestò la povera Alice in tono compassionevole: poi pensò fra sè:”come vorrei che questi animaletti non s’offendessero così facilmente!”.
-Col tempo ci farai l’abitudine,-esclamò il bruco, mettendosi di nuovo il narghilè in bocca e cominciando a fumare.
E’ evidente che Alice inconsapevolmente tocca la sensibilità del bruco, oltre che riguardo all’altezza anche al fastidio del cambiamento(bruco-crisalide-farfalla).
cara Roberta a te….continuare il gioco.
bacioni
Sì, cara Francesca Giulia!
Grazie tra un pò torno.
Ma sono felicissima anche di sapere che conosci il GIAPPONESE!
Non ci farai mancare qualcosa, spero.
Un mio carissimo amico mi parlava sempre di una scrittrice del XII° secolo che scrive del principe Genji. Misaki Shikibu, giusto?
Che bello: sono troppo contenta. Così mettiamo Properzio e dopo la letteratura giapponese+ Maupassant..
Grazie
Bacioni::)::)
ma che bella persona che sei, piena di entusiasmi,la scrittrice a cui il tuo amico si riferiva è Murasaki Shikibu, del XI secolo in Giappone. La storia del principe splendente- Genji Monogatari in lingua giapponese, fu tradotta da Arthur Waley e accolta dai critici in Europa con grande calore istituendo paralleli- non si offendessero i puristi…- niente di meno che con l’opera di Proust e persino Shakespeare. E’ senz’altro il massimo capolavoro della letteratura giapponese, ma riesce a dare un ritratto ampio e dettagliato dell’amore di tutti i tempi diventando una delle maggiori saghe dell’umanità. Intrighi amorosi, passioni, cerimonie e giochi nell’antico Giappone imperiale, benchè remoti e lontani dalla nostra cultura sanno parlare con alta letteratura a tutti noi.
Sarò felice di parlarne con te e con chi vorrà.
cari saluti
ora mi assento un pò, devo ripetere la storia con mia figlia: ha un’interrogazione domani- a dire il vero sfrutto lei per ripetere cose che non ricordo più dai tempi dell’università….
:-))) a presto!
Aspetto con ansia che parliamo di Murasaki Shikibu. Ho visto proprio giorni fa i due volumi( credo) in una libreria Einaudi.
Ho avuto la fortuna di incontrare oersone “speciali” che me ne hanno parlato.
Anche tu mi sembri prorpio “a special kind”:)
Buon studio:)
PERSONE…
PROPRIO…
Roberta,
tu e Francesca Giulia siete magnifiche. Scelte letterarie ottime, le vostre, delle quali godo e per le quali vi faccio le mie vivissime congratulazioni.
Nel prossimo ”commento”, inseriro’ dunque qualche elegia properziana per la traduzione di Giuliano Sozi.
Vale!
Sergio
(”Vale!” alla latina, eh: ”salute”)
Da ”Sesto Properzio – Elegie scelte – A cura di Giuliano Sozi”, Pinacoteca Civica di Spello, Spello 1999
–
I, 12
–
Perche’, Roma che sai, vai sempre costruendo su me
accuse d’inerzia, come volessi farmi danno?
–
Lei dal mio letto tante miglia e’ distante
quante ne vanno tra l’Ipani (1) e il veneto Eridano:
–
Cinzia dunque l’amore di sempre piu’ non nutre per me
con l’amplesso, ne’ risuona soave al mio orecchio.
–
Caro le fui un di’: a nessuno in quel tempo
tocco’ una fortuna d’amore cosi’ sicuro.
–
Fummo d’invidia. Forse un dio mi ha distrutto? O quale
erba colta sulle prometeiche (2) vette mi allontana da lei?
–
Non sono quell’io che fui. La lunga via cambia le donne.
Quale grande amore in un sottile tempo e’ fuggito!
–
Ora per la prima volta le lunghe notti solitarie
son costretto a provare, insopportabile alle mie stesse orecchie.
–
Felice colui che pote’ piangere di fronte alla sua donna:
trova un poco piacere Amore nelle lacrime versate;
–
o anche, se chi e’ rifiutato ha potuto trasferire
la fiamma d’amore, nella schiavitu’ che muta c’e’ ancora gioia.
–
Ma amare altra donna a me non e’ lecito, ne’ questa lasciare:
Cinzia fu la prima, Cinzia sara’ la fine.
–
NOTE:
(1) Fiume della regione degli Sciti (Russia sud-occidentale), portato come esempio di luogo lontanissimo. L’Eridano e’ il Po.
(2) Prometeo, reo di aver rubato il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, fu per punizione incatenato a una vetta rocciosa del Caucaso. Medea, famosa maga, era nata nella Colchide, non lontana da questa regione, che percio’ poeticamente diventa fertile di erbe adatte agli incantesimi.
–
–
Testo originale (preso da altro libro: e’ l’edizione teubneriana curata da P. Fedeli: ”SEXTI PROPERTI, Elegiarum libri IV, edidit Paulus Fedeli, Stutgardie MCMLXXXIV)
–
I, 12
–
Quid mihi desidiae non cessas fingere crimen,
quod faciat nobis, Pontice, Roma moram?
tam multa illa meo divisa est milia lecto,
quantum Hypanis Veneto dissidet Eridano;
nec mihi consuetos amplexu nutrit amores
Cynthia, nec nostra dulcis in aure sonat.
olim gratus eram: non illo tempore cuiquam
contigit ut simili posset amare fide.
invidiae fuimus: num me deus obruit? an quae
lecta Prometheis dividit herba iugis?
non sum ego qui fueram: mutat via longa puellas.
quantus in exiguo tempore fugit amor!
nunc primum longas solus cognoscere noctes
cogor et ipse meis auribus esse gravis.
felix, qui potuit praesenti flere puellae
(non nihil aspersis gaudet Amor lacrimis),
aut si despectus potuit mutare calores
(sunt quoque translato gaudia servitio).
mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est:
Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit.
–
–
Nota del sottoscritto
mio padre ha lavorato su diverse edizioni e altrui traduzioni, per ottenere la propria. Quel ”Pontice” (”Pontico”) che non si trova nella versione di papa’, pertanto, potrebbe essere una scelta motivata dall’attingimento a diversi originali latini, le cui lezioni magari non contemplavano quel nome di persona, ”Pontico”.
Sergio
Sergio, che meraviglia questa elegia.
Mi piacciono soprattutto i versi 11-12:
“NON SONO QUELL’IO CHE FUI. LA LUNGA VIA CAMBIA LE DONNE.
QUALE GRANDE AMORE IN UN SOTTILE TEMPO E’ FUGGITO”.
Io non ho il testo in latino, ma puoi inserire tu alcuni versi( quelli che tu ritieni più opportuni sia per il loro significato che per la bellezza dello stile), in questo modo più risaltare meglio anche la bellezza della traduzione.
Ringrazio moltissimo i Sozi:)+
carissimi saluti
Avevi già inserito il testo latino: perdonami, non l’avevo visto.
Io non posso cogliere la bellezza dei versi se non in italiano, ma sono certa che molti sapranno cogliere anche quella in latino.
Però quella dei versi che mi piacciono di più
“NON SUM EGO QUI FUERAM: MUTAT VIA LONGA PUELLAS.
QUANTUS IN EXIGUO TEMPORE FUGIT AMOR!” la colgo.
Che dire? Sono sempre più contenta:) Un bel regalo quello tuo e del signor Giuliano.
Mi informerò su Properzio, ché non ne so nulla.
Ora qui il brano del Bruco non c’entra, quindi non lo metto.
Ciao, caro
(PS: ti cito..)
@sergio, grazie per i tuoi apprezzamenti;é bellissima questa elegia sergio, a me piace la fine, sembra semplice, ma trasmette l’ineluttabilità dell’amore,anche se non ricambiato esso non muta se è vero sentimento: Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit. Amore eterno? Amore unico e solo?
cari saluti
@roberta ci aggiorniamo a domani per tutte le cose di cui vogliamo parlare! :-)))
Sì, va bene:):):) Non vedo l’ora!
Buonanotte
un bacione
@ Roberta e Francesca Giulia
Domani ci sarà una piccola sorpresa per voi…
@massimo accidenti, ieri non ho dormito perchè ho rivisto il silenzio degli innocenti, stasera per la curiosità della tua sorpresina,riuscirai ad essere più emozionante di Hopkins e Jody Foster??
credo di sì, buonissima notte
Anch’io sono sulle spine, dear Massimo..
Ma aspetto..Buonanotte:))
Help!
Ho scritto un racconto ispirato alla leggenda giapponese del coniglio e della luna – ma è proprio giapponese? Illuminatemi in proposito!
Come titolo vorrei mettere proprio “Il coniglio della luna”. se me lo traduceste ve ne sarei gratissima… me l’aveva detto la figlia del prof. Di Grado ma avendo qua fior di esperti chiedo lume a voi…
Thanks merci danke
cara maria lucia, per quanto ne sappia di leggende orientali,quella a cui fai riferimento non è giapponese ma cinese e si rifà agli insegnamenti del Buddha a cui il povero coniglietto si sacrifica gettandosi nelle fiamme per donare il suo corpo.A seguito di questo gesto d’amore il Buddha fa prendere forma di coniglio alla luna che ricorderà per sempre il sacrificio d’amore dell’animaletto. Mi spiace per la traduzione, fra l’altro gli ideogrammi, seppure fosse stata lingua giapponese, non avrei saputo come scriverli!
Ma che bello, scrivi favole? :-))))
buona giornata a tutti
Cara Maria Lucia,
l’esperta del giapponese è la nostra Francesca Giulia, ti ha risposto lei.
Per quanto concerne la traduzione del tuo racconto, potrei provare a tradurlo in francese…. eh ma non siamo “fior di esperti”, qui; almeno io non lo sono.
Stiamo inserendo traduzioni da scrittori per cui abbiamo una predilezione o che( come nel caso di Proust) hanno a che fare con gli argomenti trattati negli altri altri post:Sergio ha inserito un’elegia di Properzio nella traduzione concessaci da suo padre; io e Francesca Giulia abbiamo inserito brani da ALICE IN WONDERLAND e magari inseriremo qualcosa di Maupassant e di Balzac, perché abbiamo molti gusti in comune. Tutti possono proporre dei testi originali e affiancare la traduzione. Questo spazio in questo modo si arricchisce. E’ più difficile però inserire brani dall’italiano da tradurre in altre lingue.
Magari puoi inserire un piccolo brano dal tuo racconto e cerchiamo di tradurlo nelle lingue che conosciamo. Se no, puoi mettere tu il tuo brano e inserirne una traduzione nella lingua che preferisci.
Ciao, cari saluti
Ps: Mi correggo, scusate: l’unica “non esperta” sono io, perché Sergio e suo padre sono traduttori. Francesca Giulia non so se traduca, ma sembra molto “esperta” di lingue e letteratura.
Gordiano Lupi è un traduttore.
Bref: c’est la passion qui nous inspire= è la passione che ci “ispira”.
Come d’accordo, riporto il brano da ALICE IN WONDERLAND in cui Il Bruco conversa con Alice:
“SO YOU THINK YOU’RE CHANGED, DO YOU?”
“I’M AFRAID, I AM, SIR”, said Alice; “I CAN’T REMEMBER THINGS AS I USED-AND DON’T KEEP THE SAME SIZE FOR TEN MINUTES TOGETHER!”
(…)” REPEAT “You’re old, Father William”…………………..
(…) “THAT IS NOT SAID RIGHT”-said the Caterpillar.
“NOT quite RIGHT, I’M AFRAID”- said Alice, timidly; “SOME OF THE WORDS HAVE GOT ALTERED”.
” IT’S WRONG FROM THE BEGINNING TO END”-said the Caterpillar decidedly, and there was silence for some minutes.
The Caterpillar was the first to speak.
“WHAT SIZE DO YOU WANT TO BE?” it asked.
“OH, I’M NOT PARTICULAR AS TO SIZE”- Alice hastily replied; ” ONLY ONE DOESN’T LIKE CHANGING SO OFTEN, YOU KNOW”
“I DON’T know”.
Alice said nothing: she had never been so much contradicted in all her life before, and she felt that she was losing her temper.
“ARE YOU CONTENT NOW?”-said the Caterpillar-
“WELL, I SHOULD LIKE TO BE A little LARGER, SIR, IF YOU WOLUDN’T MIND”- said Alice: “THREE INCES IS SUCH A WRETCHED HEIGHT TO BE”.
” IT IS A VERY GOOD HEIGHT INDEED!”- said the Caterpillar angrily, rearing itself upright as it spoke ( it was exactly three inces high).
” BUT I’M NOT USED TO IT”- pleaded poor Alice in a piteous tone. And she thought to herself, “I wish the creatures wouldn’t be so easily offended!”
“YOU’LL GET USED TO IT IN TIME”-said the Caterpillar; and it put the hookah into its mouth and began smoking again.
Prima di questa conversazione sull’altezza “ideale”, Alice aveva deciso di andarsene e Il Bruco l’aveva richiamata indietro:
” (…)as Alice could not think of any good reason , and as the Caterpillar seemed to be in a very unpleasant state of mind, she turned away.
“COME BACK”-the Caterpillar called after her-“I’VE SOMETHING IMPORTANT TO SAY!”
Quindi la bambina è spesso tentata di “mollare” questi personaggi che le fanno perdere tempo in bazzecole…
@ Roberta e Francesca Giulia
Andate nella sezione in alto a sinistra del sito (sotto la foto) e cliccate su “LIBERI SPAZI, IN LIBERO BLOG”.
Caro Massimo,
sono felicissima dello spazio che ci hai dedicato nel LIBERO BLOG: grazie per la fiducia e l’affetto, che ricambio moltissimo:)
D’ora in poi quindi “entriamo” cliccando lì, giusto? Non “NEL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI”.
Buonanotte, dear Massimo.
Forse Francesca Giulia non ha ancora visto, ma ne sarà felicissima, non ne dubito
Ciao:):)
Cara Roberta,
a mano a mano che pubblicherò nuovi post il link a “IL DIFFICILE RUOLO DEI TRADUTTORI” andrà sempre più giù fino a sparire. In questo modo sarà più semplice accedervi.
E poi abbiamo ufficializzato il “laboratorio di traduzione”.
Io mi diverto a leggervi…
(Buonanotte):-)
Sì, sì, carissimo Massimo, avevo capito.
Grazie, davvero. Sono contentissima. E lo sarà anche Francesca Giulia.Mi fa piacere che ti divertiamo… Ora mettiamo anche qualcosa di giapponese, figurati..
I tuoi consigli sono sempre preziosissimi per me: li aspetto là, in quello spazio, quando puoi.
Ciao, buonanotte::::))))
Cara Francesca Giulia,
grazie a te, ma tu piuttosto, invece che me e mio padre, ringrazia il grande Properzio: non propriamente un poeta sempliciotto, devo dire, a scavare nella sua profondita’ che noi moderni non sospettiamo neanche, ne’ abbiamo dentro di noi. Properzio e’ un autore della matura latinita’, infatti, e la profondissima civilta’ dei nostri avi noi italiani di oggi l’abbiamo ereditata solo nelle cose meno importanti e piu’ ”semplici”. Ma semplici, mille anni di storia romana non sono affatto, purtroppo per noi.
Properzio rappresenta il meglio della poesia dell’epoca augustea, insomma.
@massimo ti ringrazio profondamente della fiducia e dell’acoglienza che hai dato a me (e naturalmente roberta !), è chiaro che anche e soprattutto da parte mia non esiste nessuna pretesa di un fare esperto se non di un soffio di passione che anima l’interesse per la letteratura in genere e in particolare quella giapponese cui ho dedicato i miei studi in passato. Spero di non offendere i veri esperti se mi affaccerò all’esplorazione affiancando la brava Roberta in questo gioco delle comparazioni letterarie.
Sono felice che tu mi abbia dato l’occasione di imparare ancora: è questo lo spirito che mi anima oltre alla gioia di comunicare con voi di questo blog!
@maria lucia
cara maria lucia spero che la mia risposta ti sia stata utile a fare chiarezza sulla leggenda che avevi scelto,nel caso dovessi avere bisogno,esistono molti miti giapponesi sulla creazione che sono belli e possono essere punto di ispirazione per favole.
un caro saluto
@roberta
dici bene nel correggerre “fior di esperti” cara amica di mouse,anch’io come te ho solo il motore della passione e la gioia di condividere con te questo gioco interessante! :-)))
mi piace molto il Bruco tradotto con Caterpillar, perchè anche se è quello il termine esatto sembra un modo ironico di chiamarlo, alle volte le parole hanno un colore diverso dette in lingua originale e Caterpillar è una di queste!
curiosità:esattamente wretched height come lo traduci? e in che casi si usa?
cari saluti
Carissima Francesca Giulia,
eh che bella la nostra rubrica, vero? Il “Maugger”, come lo chiama Sergio, è stato come una grande “scoperta” per me. E lo ringrazio, lo ringrazio, lo ringrazio( cito un mio amico che ripete le cose tre volte..).
D’ora in poi “entriamo” cliccando su LIBERI SPAZI IN LIBERO BLOG, sotto la foto di Massimo. Ti rispondo là, più tardi, circa la traduzione di “wretched height”.
Sono onoratissima che tu mi affianchi e che possiamo approfondire gli scrittori giapponesi e altri autori col tuo preziosissimo aiuto.
Sono anche felicissima che ci affianchi Sergio.
Ti abbraccio
A toute à l’heure, si tu as le temps:)
@ Roberta e Francesca Giulia
Sono io che ringrazio voi.
Con i vostri interventi state rendendo vivo e attivo un post che, altrimenti, sarebbe finito nel “dimenticatoio”.
@Massimo
je dois à toi ma “renaissance”:::)))
@Francesca Giulia
Per il termine WRETCHED riporta DISGRAZIATISSIMO; quindi la traduzione di “THREE INCES IS SUCH A WRETCHED HEIGHT TO BE” dovrebbe essere:
” Sette centimetri è una statura così disgraziata da portare!”.
Tu hai riportato: “Sette centimetri è infelice come statura”.
La mia edizione tradotta da Margherita Bignardi riporta:
“Otto centimetri è una statura davvero misera”.
Insomma, sarai d’accordo ancora una volta con me: il testo in inglese non ha corrispondenza reale.
Ciao, un abbraccio.
Ps: sui casi in cui si usa WRETCHED non so dirti molto perchè ho qui con me un dizionario piccolo. Riporta soltanto: TO FEEL WRETCHED= sentirsi malissimo. E ci aiuta a capire come deve sentirsi il Bruco, in effetti…
Amiche mie,
ogni tanto vengo a far una capatina da ”queste parti”: almeno per stringervi la mano!
Sergio
P.S.
In Italia ad aver passione per qualsiasi cosa seria e bella – come anche l’arte del tradurre Letteratura – sono rimasti i giovani come voi e i vecchi… come il Maugger, ah ah ah… ehm… dicevo e i vecchi tosti come Camon e qualche altro. Per esempio Umberto Galimberti – ex filosofo ora sociologicissimo fin troppo, sebbene bravo e bella testa.
Appena ne avro’ la forza – ora ho scritto delle cosette impegnativucce ”di la”’ nel post di Celine e per altra gente – vi mandero’ qualcos’altro di Properzio.
statemi bene, amiche mie e ”sursum corda” (”In alto i cuori”).
Sursum corda: ”un sorso di corda”, no? Poesia surrealista ante litteram.
”To feel wretched”: io direi ”sentirsi uno straccio”… ma forse ho decontestualizzato la frase dall’ ”Alice nel Paese delle Meraviglie” del grande Carroll-Dodgson. Opera straordianaria!
Ciaociao
Grazie, dear Sergio.
Ho letto le tue “cosette impegnativucce”… troppo difficile quel post per me. Comunque neppure a me interessa Céline: ho cose più importanti da conoscere, prima. Per esempio Properzio! Ma anche romanzi nuovi+ mi aspetta sempre La Recherche, ché sono solo ai GUERMANTES.
Sul “To feel wretched”, sì è così; però, infatti, la frase di Alice è: “Three inces is such a wretched height to be”. E’ Alice che trova infelice quell’altezza; al Bruco piace!
E’ un’opera straordinaria, è vero.
Ciao, io ti leggo sempre e aspetto che tu ritorni in questo spazio::))
PS.
Sul “Sursum corda”…chissà come diamine lo avrei tradotto al liceo…magari proprio con l'”immagine surrealista”, tanto non ne capivo granché.
@roberta
hai ragione il termine in questione si presta a più traduzioni, ma credo che ,come hai già detto, l’essere disgraziato per Alice si riferisca al sensi di inadeguatezza della statura per lei, certo in inglese rende meglio!
Che ne pensi più tardi di inserire uno stralcio da “palla di sego” di Maupassant?Mi organizzo e inserisco. Ho conosciuto Maupassant da ragazzina leggendo un libro di mia madre, se non ricordo male un’edizione di quelle bur piccole e ingiallite, il romanzo era “Forte come la morte” una bellissima storia d’amore che mi fece avvicinare alla letteratura francese in maniera dolce.
a bien tot
@sergio sozi grazie mille della tua viva partecipazione alla nostra “rubrichina”, apprezzo molto il tuo contributo classico, ultimamente ho riletto la Medea di Euripide, ma un amico mi diceva di confrontare con quella di Seneca più appassionante, cosa ne pensi? sarebbe interessante un parallelo fra questi due grandi?solo per Medea,naturalmente.
cari saluti
Dopo l’impareggiabile NONSENSE del reverendo Dodgson,
propongo il tema della INGRATITUDINE UMANA, tema a me caro e sempre attuale. Come sempre i grandi scrittori come Maupassant e Balzac sanno spiegarci i meccanismi della bontà di alcuni esseri, così come sondano l’animo degli esseri ingrati e cattivi.
Di comune accordo con la mia amica Francesca Giulia, riporto qui di seguito un brano da “BOULE DE SUIF”di Guy de Maupassant.
E’ d’uopo dire, per chi non lo ricordi, che la poveretta era stata costretta a concedere “i suoi favori” al nemico prussiano durante un viaggio in carrozza( lei assieme ad altri rappresentanti dei vari ceti sociali cercavano di varcare il confine) e che questo suo “sacrificio” era stato preteso in cambio del lasciapassare.
Ora, prima che venissero fermati, la “pauvre” aveva condiviso il suo cibo con le altre persone della carrozza; ma in seguito al suo “peccato” con il gendarme prussiano, rientrata nella carrozza, questa fu l’accolgienza degli ingrati suoi compagni di viaggio:
da “Boule de suif”- pag 96:
” PERSONNE NE LA REGARDAIT, NE SONGEAIT à ELLE. ELLE SE SENTAIT noyée DANS UN MéPRIS DE CES GREDINS HONNETES QUI L’AVAIENT sacrifiée D’ABORD, rejetée ENSUITE, COMME UNE CHOSE MALPROPRE ET INUTILE. (…)”
“(…) ELLE FIT DES EFFORTS TERRIBLES, SE RAIDIT, AVALA SES SANGLOTS COMME LES ENFANTS, MAIS LES PLEURS MONTAIENT, LUISAIENT AU BORD DE SES paupières, ET BIENTOT DEUX GROSSES LARMES SE DéTACHANT DES YEUX ROULèRENT LENTEMENTSUE SES JOUES(…)”
traduzione- di Mario Fortunato- Einaudi Tascabili-serie bilingue-:
” Nessuno la guardava, nessuno badava a lei. Lei si sentiva come annegare nel disprezzo di questa gente per bene, che prima l’aveva sacrificata, e poi buttata via come un oggetto sporco e inutile”.
(…) “Fece sforzi terribili per trattenersi, inghiottì i suoi singhiozzi come fanno i bambini, ma le lacrime premevano , già luccicavano sotto le palpebre, e ben presto due lucciconi staccandosi dagli occhi scivolarono lentamente sulle sue guance”.
Cosa te ne pare, Francesca Giulia, di “DEUX GROSSES LARMES”= due lucciconi?
Nei racconti di Maupassant c’è la varietà che appartiene alla vita stessa, incontriamo una folla di personaggi, donne, vecchi, bambini, nobili e donnine allegre, tutta la gamma delle categorie sociali rappresentate con disegno psicologico di grande maestria,almeno trecento in cui si esprime la facilità del narrare variopinto del grande scrittore. Boule de suif rientra nel genere che parla di guerra, ma nel profondo ci rimanda l’immagine dell’ingratitudine degli esseri umani e del senso di emarginazione sofferto dalla protagonista.La lezione di stile che mi sento di apprezzare di più dallo scrittore è quella di raccontare ciò che vediamo, lui stesso disse:Ho visto acqua,sole, nubi e rocce;non posso raccontare altro.
Deux grosses larmes=due lucciconi, non saprei cara roberta, a me piacerebbe anche semplicemente due lacrimoni, inoltre “le pleurs montaient”=le lacrime premevano,mi piace anche “le lacrime salivano”, ma è un gusto personale.
mi compiaccio che tu abbia scelto questa parte così tenera e forte.
a domani con nuove proposte,cari saluti
Sì, hai ragione su tutto. Ho l’influenza in questi giorni, quindi posso dedicarmi un pò di più al nostro spazio. A me piace di più “le lacrime premevano” della traduzione di Mario Fortunato, perché rende meglio l’idea che lei volesse trattenere le lacrime davanti agli altri; però, come dici tu, il testo ha “MONTAIENT”, quindi “salivano”.
Se vuoi, inseriamo altri brani: dimmi quali. Purtroppo ho tagliato molto l’altro brano per non portar via troppo spazio.
Un abbraccio
cara roberta, innanzitutto ti auguro di guarire presto,anche se involontariamente l’influenza ti spinge a dedicarti di più al nostro spazio,meglio essere in piena forma! .-)))
Che ne pensi di inserire la descrizione fisica di Pallina, e magari lo sdegno manifestato dagli sguardi degli altri viaggiatori?quindi dovrebbe essere all’inizio della storia, dopo 4, 5 pagine,in modo da darci l’immagine che precede il sacrificio di Pallina per mettere in salvo quelli che dopo la escluderanno nuovamente.
un abbraccio
inoltre c’è un altro gioiellino di Maupassant, si chiama “I gioielli”, breve racconto preciso e scintillante di perfezione propio come un gioiellino raro.
Fammi sapere se ti piace.
Carissima, sì grazie, spero di guarire presto:)
Più tardi cerco il brano che mi hai suggerito. Hai ragione: ci serve la descrizione della ragazza e lo sdegno degli altri viaggiatori. Volevo anche inserire, se sei d’accordo, il breve brano in cui vengono descritte le provviste che lei tira fuori dal cestino all’inizio del viaggio e che tutti mangiano avidamente( religiose comprese); perchè poi dopo, invece, loro tirano fuori le loro provviste ma non le condividono con lei.
Qui con me ho solo un altro volume di Maupassant, LES CONTES DE LA BéCASSE. Volevo proporti qualcosa. Non conosco “I gioielli”, ma puoi inserire tu in italiano o in francese, se ce l’hai, il brano che più ti piace: sarò felice di leggerlo.
UN BACIONE
Come farei senza di te in questo laboratorio? GRAZIE:)
Poi ci dedichiamo a Murasaki…
Ps: tra l’altro sul termine “Bécasse” c’è un a specie di aneddoto che sicuramente divertirà anche Massimo::))…..
Aspetto l’aneddoto su “Bécasse”, cara Roberta. E guarisci presto…
Mi sono avvicinata a Maupassant proprio così….
Quando abitavo in Francia un mio carissimo amico “selezionava” le sue frequantazioni in base alle sue simpatie( beh è ovvio, ma nel suo caso erano troppo esplicite); una sua amica gli aveva chiesto: “Mais pourquoi elle ne te plait pas, cette pauvre fille?”- e lui le aveva risposto: “Eh, parce que c’est une vraie “bécasse” celle-là”- Ora il termine “bécasse” era usato da lui come sinonimo di “oca” per noi, cioè una persona superficiale ( magari la ragazza in questione non lo era, ma per il mio amico bastava il fatto che a lui non fosse simpatica perché le trovasse quel difetto). Il termine significa BECCACCIA e questa raccolta di racconti di Maupassant si intitola così perché ambientata in campagna: un vecchio signore, un tempo cacciatore, aveva l’abitudine di invitare a cena suoi vecchi amici cacciatori e cucinava le beccacce( suo cibo preferito);a fine cena ognuno doveva raccontare una storia.
Ho “scoperto” questi racconti perché attratta in una libreria dal titolo che mi ricordava il modo di dire così buffo del mio amico.
Qui di seguito la descrizione del personaggio Pallina.
………………………
La donna, una di quelle che vengon chiamate allegre, era rinomata per la sua floridezza, che le aveva procurato il soprannome di Pallina.Piccina, tutta tonda, grassa grassa, con le dita rigonfie strozzate alle falangi, simili a rosari di salsicciotti, aveva la pelle lustra e tesa, un enorme seno che le gonfiava il vestito : pure, era appettitosa e desiderata, tanto piacevole a vedersi era la sua freschezza. Il suo viso era una mela rossa, un bocciolo di peonia vicino a schiudersi; vi si aprivano, in alto,due magnifici occhi neri ombreggiati da lunghe e folte ciglia, e sotto una bella bocca piccola, umida, da baci, guarnita di dentini lucenti e microscopici.
Ella aveva inoltre- si diceva- moltissime inestimabili qualità.
Secondo me è una delle descrizioni fisiche più riuscite del Maupassant,vediamo la versione originale?La frase finale inoltre sembra anticipare ciò che accadrà: il sacrificio di Pallina, ma anche la sua generosità nel dare a quella gente che la guardava con disprezzo.
abbracci
che carino il tuo aneddoto,senz’altro puoi mettere qualche rigo che ritieni opportuno della storia del “vieux baron de ravots”,purtroppo io non ho il testo italiano, ma conosco la storia,perciò mettila in francese.
il mondo è pieno di “becasses”….. ma magari è meglio non dirglielo in faccia! :-))
Come mi suggeriva Francesca Giulia, riporto il brano in cui BOULE è descritta( nella traduzione di Mario Fortunato):
“Lei, una cosiddetta donnina allegra, era celebre per la sua precoce pinguedine che le aveva valso il soprannome di Boule de suif(= Palla di lardo). Piccola, rotonda, grassoccia, con dita gonfie e strette alle falangi, che parevano salsicciotti; la pelle tenera e liscia, un petto generoso che debordava dal vestito, era tuttavia eccitante e ricercata, tanto la sua freschezza era piacevole a vedersi. Aveva il viso come una mela rossa, come un bocciolo di peonia che stia per fiorire: e lì dentro, in alto, vi si aprivano due occhi neri magnifici, schermati da lunghe ciglia folte, mentre in basso una bocca seducente, una fessura umida di baci, era adornata da piccoli denti, bianchissimi e microscopici”.
“SA FIGURE éTAIT UNE POMME ROUGE, UN BOUTON DE PIVOINE PRET à FLEURIR, et là-dedans s’ouvraient , en haut, des yeux noirs magnifiques, ombragés de grands cils épais qui mettaient une ombre dedans; en bas, une bouche charmante, étroite, humide pour le baiser, meublée de quenottes luisantes et microscopiques”-
E’ bello soprattutto ” Il suo viso era come una mela rossa, un bocciolo di peonia pronto a fiorire”. Vero?
PS. il termine “QUENOTTE”, dice la nota del traduttore, è un vocabolo di origine normanna e nel linguaggio familiare indica il dentino di latte.
Maupassant utilizza spesso queste espressioni e vocaboli regionali, credo.
Cara, non avevo visto il pezzo riportato da te in italiano.
Ora aggiungo il pezzo in francese. Sì, è vero, l’ultima frase della descrizione anticipa ciò che accadrà:
“ELLE éTAIT DE PLUS, DISAIT-ON, PLEINE DE QUALITéS INAPPRéCIABLES”-
Nel tuo testo traducono “qualités inappréciables” con= inestimabili qualità; nel mio traducono “qualità fuori del comune”. Ma l’aggettivo di Maupassant è l’unico che in realtà esprime perfettamente che le qualità della ragazza non saranno apprezzate, come dicevi tu.
Perche’ ora sei diventata ”Francesca Giulia Marone”? Non ti chiamerai mica veramente cosi’…
Caro Sergio,
continuo a non capire le polemiche sul post dedicato a Céline. Ma leggo tutto.
Sono contenta che tu sia venuto a trovarci… Che mi dici dell’INGRATITUDINE umana? Lo so, non ti piace. Neppure a me. Neanche a Maupassant, a quanto pare.
A proposito di “uomo e natura”, potrei inserire qui brani dalle “PAGES SUR LA NATURE” di Jules Michelet. O brani di Colette.
Ti risponderei qui, anzichè in quel post ( che mi intimidisce un pò). Dimmi tu, se vuoi, perché volevi inserire i due concetti.
Ma forse il tuo discorso vuol essere più etico-politico che letterario( benché credo che a te stia molto a cuore soprattutto quello letterario).
Chère Francesca Giulia, se Massimo permette e a te fa piacere, io continuo a inserire un breve brano dai CONTES DE LA Bécasse+
Da qui potremmo toccare altri temi(= natura+ uomo); oppure restiamo sempre nel campo della INGRATITUDINE umana e inseriamo Balzac. Che ne dici?
Ciao, cara Roberta,
certo che mi sta a cuore quello letterario stricto sensu; pero’ la ”Letteratura in genere” io la collego al senso delle singole opere: narrare ”cosi’ per farlo” mi sembra sia cosa rara – o da scrittori immaturi. E la maturita’ di un uomo (e dunque anche di uno scrittore) sta nel dare un senso alle proprie opere ed azioni. Il senso ultimo del genere umano e’, pertanto, il perche’ della sua esistenza ed il perche’ dell’esistenza dell’ ”altro da se”’, ovvero della Natura tutta, della quale facciamo parte pur essendo ”noi stessi”: dunque identita’ umana e appartenenza dell’uomo al ”non umano” (aria, altri esseri viventi, acqua…) sono i due poli attorno ai quali si riflette come fondamenti del tutto, di noi stessi e… anche delle possibilita’ di significato ulteriore per la nostra vita.
Dunque, proseguendo nel discorso, se l’etica si restringesse solamente ad un limitare le azioni ed i comportamenti umani restando all’interno del campo umano, questa sarebbe un’etica ben misera e perdente – perdente visto che gli interrogativi PRINCIPALI di ogni uomo son questi: dove vado? Perche’ vivo? Quali sono le mie speranze una volta che saro’ morto? L’amore restera’ anche dopo? Sono proprio TUTTO mortale, io? Sono proprio DEL TUTTO mortali le persone che amo? Cos’e’ l’odio? Cos’e’ la personalita’? Cos’e’ l’individualita’?
Dunque un’etica ”forte” e’ un’etica di stampo morale, ovvero piu’ estesa rispetto ad una mera ”scienza dell’amministrazione dei conflitti umani sociali”.
Questo e’ il motivo per cui sono giunto a chieder di parlare di ”uomo e Natura”.
Poi, il discorso deve proseguire – e’ solo l’inizio di un altro ragionare, insomma.
Ciao, cara
Sergio
sergio sì mi chiamo proprio così….diretta discendente di Pubblio Virgilio Marone….forse non proprio diretta da nord a sud avrà perso un poco la via, ma a Napoli, come sappiamo, ci è rimasto.
In realtà mi è scappato il cognome mette scrivevo nella casella per inviare,ma sono sempre io.
roberta,la parte in lingua originale sul personaggio di Pallina è meravigliosa,il finale intraducibile,nel senso che nessun termine rende così bene la scelta di Maupassant.
Mi piace lìidea rapporto natura uomo,adoro Colette,perciò vai pure…
ciao cari
publio….
scusate è scappata una b alla napoletana
Francesca Giulia Marone,
ed io sono Sergio Francesco Maria Quirino Sozi – discendente dei Conti Sozj di Civitella D’Arna. Ma con una Marone parlo sottovoce e in ginocchio… eh eh eh! Ciao cara!
perbaccolina,l’importante è continuare a parlare! :-))
anch’io leggo gli interventi sul post celine,ho detto timidamente la mia,ma non posso entrare nel merito perchènon conosco l’autore,è interessante dunque seguire i commenti,qualcuno più qualcuno meno,grazie anche da parte mia per venirci a “trovare” qui!
E, parlando di Virgilio – l’altro ”sommo” assieme a Dante – torno a bomba all’argomento uomo-natura. Citandolo dall’ ”Aeneides”:
–
”Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”
(”La storia e’ lacrime e le vicende dei mortali ci toccano il cuore”)
–
Il commento a questa frase virgiliana che riportero’ in breve e’ dello storico della Letteratura Latina Italo Lana. L’episodio di cui si parla e’ quello in cui si parla dei funerali di Pallante e della disperazione del vecchio suo genitore. Cosi’ dice dunque il Lana:
”(…) Il Poeta sente in modo dilaniante questo indomabile contrasto fra la serenita’ della natura e le passioni degli uomini: e non puo’ non chinarsi amorosamente sui suoi personaggi, e piangere assieme ad essi (…). Pero’ nell’uomo del poema virgiliano, che vive immerso in quel mondo e che senza pieta’ lacera il tessuto regolare e riposante dell’ordine naturale, c’e’ un’intenzione, un’idea; egli ha una missione da compiere, una parola da dire, all’umanita’; e’ la Provvidenza che guida i suoi passi. Non e’ cieco, il mondo dell’Eneide: si’, la violenza e la frode hanno privato Enea della patria, talora egli stesso dell’inganno si serve nei confronti di altri, guerra e distruzione egli viene a portare nel Lazio: sembra che la vicenda umana continui monotona, sempre ugualmente desolante, senza luce di speranza. Ma in verita’ e’ per Roma, termine ultimo della storia umana, che tutto cio’ accade.”
Ecco: quella virgiliana E’ UN’ETICA VERA. Ossia un’etica-morale.
Andando oltre la ristretta visione moderna – che considera gli antichi dei barbari in confronto a noi – sembra dunque sia chiaro che quel mondo, il mondo antico, era fortemente etico e morale, nonche’ fortemente suggestionato e influenzato dalla Natura. Lo e’ stato fino a pochi secoli fa, d’altronde – nonostante alcune distorte interpretazioni del cattolicesimo abbiano cercato di differenziare l’uomo dal ”giglio” di cui parla Gesu’, ossia dalla Natura tutta che ci respira dentro nell’anima. Certe contrapposizioni fra paganesimo e cattolicesimo, dopotutto, sono frutto di vari oltranzismi, non delle due dottrine in se’, che differiscono solo per alcuni aspetti e comunicano per molti altri. Comunicano, infatti, come tutto comunica nel corso della Storia: non esistono barriere rigide fra epoche, ma un fiume ininterrotto che ci riporta in men che non si dica alla Latinita’ e alla Grecita’.
Scusate, Sergio, Francesca Giulia, non vorrete farmi sentire una tapina nel laboratorio che Massimo mi ha così generosamente donato….
Io non discendo da nessuno, se non da una antica famiglia di sardi nel cuore del nuorese.. di abitanti dei nuraghi, dunque..
Scherzo, naturalmente:)
@Sergio
mi piace moltissimo questo tuo pezzo:
“il mondo antico, era fortemente etico e morale, nonche’ fortemente suggestionato e influenzato dalla Natura. Lo e’ stato fino a pochi secoli fa, d’altronde – nonostante alcune distorte interpretazioni del cattolicesimo abbiano cercato di differenziare l’uomo dal ”giglio” di cui parla Gesu’, ossia dalla Natura tutta che ci respira dentro nell’anima.”
Infatti, anche secondo me( ma l’ho letto anche questo nella Yourcenar) questo “flusso” di cui tu parli SEMBRA interrotto solamente da false interpretazioni..che non sono fatte per ingenuità, però, bensì con l’intento di condizionare il pensiero.
Sono io..ogni tanto mi sfugge il nome..
Sergio, se ti ho capito bene, io ho una concezione della letteratura un pò meno “etica” della tua…
Sì, è vero che un grande scrittore dev’essere come dici tu, ma l’opera d’arte ha vita “a sé” e io la vedo( quasi ) sempre:
1) o come “interpretazione” delle vicende umane( in senso “moralistico”, voglio dire, di “condanna”-come nei grandi MORALISTI e anche nello stesso Maupassant qui sopra- di atteggiamenti umani sbagliati)
2)o come ricerca della propria “storia”, come nel caso del TEMPO RITROVATO ( però non è necessariamente la “storia” di tutti, perchè l’idea di un’opera d’arte come “manifestazione del proprio tempo” mi opprime e non mi piace)
3) come espressione lirica dei propri sentimenti( poesia);
Se no, forse, non ti ho capito..
@ Francesca Giulia
Sì, cara, ci mettiamo sulla strada della Natura…. eh a me piace:)
Così ci “dimentichiamo” delle “bécasses”+ dell’ingratitudine umana e delle cose degli umani che non ci piacciono…
Ps: per fortuna ci sono anche molti esseri umani che ci piacciono… che ti acsoltano e scrivono quando hai l’influenza.. e che ti augirano di guarire presto::))
roberta tu sei bravissima, e poi i sardi sono tanto simpatici,io e mio marito abbiamo spesso parlato di un ristorante rinomato che si trova a Oliena di cui abbiamo letto visibilie in diverse guide -anche quella è cultura…e a noi piace molto il mangiar bene e il bere in compagnia!-,Se posso poi, adoro il Capichera freddo d’estate…
e con ciò, sergio che ne pensi anche del leopardi nel discorso su natura – uomo?forse è colui che ha raccolto meglio l’eredità per così dire latina?
abbracci
Cara Roberta,
in primis, discendere da quattro nobilucci di provincia non e’ blasone: per fortuna dovevano essere, i miei perugini (Civitella D’Arna sta vicino a Perugia), tanto umani da perdere il castello e spezzettare i possedimenti fra gli eredi – e questa umanita’ li salva moralmente rispetto all’immorale ingordigia dei ”grandi e forti” nobili, gli altri, i prepotenti arraffatori che sappiamo. Inoltre tu, Roberta, sei figlia dei tuoi antenati e questo ti dovrebbe bastare per esserne orgogliosa e fiera, poiche’ ogni stirpe e’ il nostro sangue e il nostro sangue e’ il nostro orgoglio, blasone o non blasone.
–
Sulle opere letterarie. Cerrrrrrto: i tre casi che hai detto tu… piu’ il resto: le mille varianti e ricerche d’eternita’, di senso e di direzione che ogni uomo intelligente e sensibile ha. Solo che lo scrittore vero e’ piu’ sensibile e piu’ capace di esprimersi tecnicamente degli altri uomini. Gli scrittori insensibili esistono, sai? Ed io non li amo. I sentimenti per me sono divini, l’arte ”bella” e’ divina: Giove e/o Gesu’ ce l’ha donata per affievolire la nostra sofferenza. L’arte e’ la nostra Roma – dico riferendomi all’Enea di poco sopra.
Non siamo proprio “tutti” simpatici….anzi.. Forse perché ci siamo dovuti difendere sempre dalle colonizzazioni( anche dei cari Romani, di cui eravamo il “granaio”…ecc.. Vabbé mi direte che c’entra? Infatti. Non c’entra).
Riprendo:
In questo pezzo che riporti tu, Sergio, sta il senso dello scrivere?
In questa “PAROLA DA DIRE ALL’UMANITA’?”
“Pero’ nell’uomo del poema virgiliano, che vive immerso in quel mondo e che senza pieta’ lacera il tessuto regolare e riposante dell’ordine naturale, c’e’ un’intenzione, un’idea; egli ha una missione da compiere, una parola da dire, all’umanita’; e’ la Provvidenza che guida i suoi passi. ”
Su Leopardi saprete dire di più voi, perchè io ho ricordi troppo “semplificati”del suo pensiero. Ricordo pochissimo de LA GINESTRA. Ma, per quel poco che ricordo, non credo di essere troppo vicina alla sua concezione della natura. Dite voi.
Vi abbraccio.
Cara Francesca Giulia,
a presto:)un bacione
“Gli scrittori insensibili esistono, sai? Ed io non li amo. I sentimenti per me sono divini, l’arte ”bella” e’ divina: Giove e/o Gesu’ ce l’ha donata per affievolire la nostra sofferenza.”
Sergio, questa frase che hai scritto sopra mi piace moltissimo.
Certo che sono orgogliosa, figurarsi! Non è un sentimento che ci (uso il “ci” non credo in maniera impropria, perchè ogni popolo ha, a parte le differenze tra individui, un certo suo “carattere”) manca…
Ps:
Eh, certo che se avete perso il castello, eravate davvero diversi e “lontani dall’ingordigia dei grandi e forti che sappiamo”. Mi pare che tu abbia ereditato quella nobiltà d’animo.
Provvidenza o altro, Roberta, a ognuno la sua forma di speranza: solo chi scrive senza alcuna speranza mi e’ lontano. dolore, rabbia, angoscia, va bene, e’ giusto. Ma la speranza e il saperla scrivere differenzia gli eccelsi dai bravi e dai mediocri scrittori. Oggi… lasciamo stare, va’…
Ciao bella
P.S.
Mica bisogna esser per forza ”simpatici”, sai? I medici non lo prescrivono a nessuno. Lo so bene io.
io per il momento vi auguro buonanotte,buon nuit,good night,oyasuminasai….
a domani
Ciao, caro Sergio:)
Buonanotte, care: io torno a scrivere un racconto che ho iniziato nel frattempo.
P.S.
anche a me l’opera letteraria come espressione del proprio tempo non piace per nulla. A meno che non si abbia grandi capacita’ mitopoietiche, si scrivono sempre delle cosette bigie e cretinoidi.
Eccezione, ottima eccezione: ”La leggenda di Redenta Tiria” del tuo corregionale Salvatore Niffoi, che vede la contemporaneita’ come se fosse un mito. Bravo. Veramente. Grazie a quelli come lui la letteratura italiana vive e si fortifica. Lo hai letto? E’ ottimo, quel romanzo – diciamo ”romanzo”, va’, meglio evitare i particolari, lo spaccamento del capello in quattro, come si dice…
E adesso proprio ciao: se no la mia storia se ne va via!
@sergio
leggendoti più volte credo di aver compreso abbastanza il tuo pensiero,io mi trovo in accordo su quanto detto sull’etica e penso che di scrittori autoreferenziali che parlano del proprio tempo ce ne siano abbastanza, però volevo chiederti, non pensi che arrivare all’etica sia parte di un percorso sia interiore sia di scrittura che bisogna umilmente sperimentare?cominciare a parlare di ciò che vediamo e viviamo, se fatto onestamente e con responsabilità e rispetto è il passo sincero per parlare al mondo. Dove c’è verità non può esistere cosetta bigia, forse il problema è il senso del vero che mettiamo nelle parole,poi anche la bruttezza descritta a contrasto con il bene è utile. Non so se sono riuscita ad esprimerti i miei dubbi, ti sono grata di dialogare, grazie mille.
saluti
Se pensiamo alla poesia di emily bronte, c’è l’inafferabile senso della vita, la morte e la natura, ma senza alcun codice morale, eppure la scrittrice era intensamnete morale, ma le parole intrise di forza e malinconia nella vita spirituale non hanno catene, o almeno tentano di spezzarle. Mi permetto di trascrivere qualche verso che amo molto.
Tutto è quiete e silenzio nella casa,
fuori… vento e scrosci di pioggia;
ma qualcosa mormora al mio spirito,
fendendo l’acqua e il gemito del vento,
mai più.
Mai più? e perchè non di nuovo?
La memoria ha un potere reale quanto il tuo.
All hushed and still within the house;
Without- all wind and driving rain;
But something whispers to my mind,
Through rain and through the wailing wind,
Never again.
Never again?Why not again?
Memory has the power as real as thine.
Roberta cara che ne pensi?ti piacciono questi versi?hai qualc’osa da notare riguardo alla traduzione?
cari saluti
Qualcosa…
scusate
Certo, cara Marone! (mi piace anche scherzare se me lo permetti: non sono un serioso ma un serio): solo che anche la verita’ puo’ essere lontana dall’arte. Infatti un’opera letteraria, a mio modesto parere, e’ composta di queste costanti:
1) Stile personale (che e’ l’aspetto estetico del narrare, e’ l’impronta dell’individuo che scrive);
2) Significato etico, filosofico, religioso, morale, trascendentale o immanente: ognuno sceglie quello che sente proprio;
3) Intreccio – la ”storia” propriamente detta, fatta di inizio, svolgimento e finale o anche divisa su piu’ piani temporali, eccetera;
4) Superamento della ”realta’ reale”: questo va fatto perche’ altrimenti non c’e’ differenza fra un romanzo, un racconto, una poesia e un articolo di giornale.
–
L’importante e’ che un’opera d’arte sia qualcosa di forte, di eccitante, di rinvigorente, di vitale ed entusiasmante! I libri che ci cambiano la vita facendocela afftrontare con gioia e amore e che ci dicono che dopotutto l’uomo merita d’esser amato, la Natura di esser sentita e pregata, la Storia di proseguire verso mete migliori, proficue e belle. L’opera nichilista, invece, potra’ anche esser esteticamente, stilisticamente bella, ma se resta chiusa in se’, se resta nella galleria buia della disperazione, non assolve al suo principale dovere: l’amore che diviene bellezza; ma resta una ”bellezza sfiorita” decadente, mortifera.
Sono le mie posizioni personali, queste, ovviamente. Non ne faccio un ”manifesto”, per carita’.
Ciao, cara
Sergio
P.S.
Tutto questo puo’ esser riassunto in una sola parola, antica quanto Omero: MITOPOIESI. Il mitografo e’ lo scrittore che amo. E ce ne sono pochissimi, oggi, epoca di elettronica e non di caverne platoniche.
grazie sergio,rifletterò sulle tue acute osservazioni,Mitopoiesi,ed altro.
perfettamente d’accordo sul concetto di trascendenza e trasformazione della realtà,ma pur sempre da lì dobbiam partire…per commentare i tuoi commenti bisogna metabolizzarli un pò…direi molto “densi”.
un caro saluto
Dear Francesca Giulia,
posso scrivere solo poche righe; spero di riaffacciarmi domani..
Ti ringrazio per i versi della Bronte: sono veramente belli. Io ho letto soltanto CIME TEMPESTOSE e devo dire che lo trovo geniale, in tutti i sensi. Confondo sempre un pò Emily Bronte non con sua sorella Charlotte( che grazie a Dio era geniale pure lei) ma con Emily Dickinson. Sono lontanne le due scrittrici( a parte il nome) dico anche perchè una è inglese e l’altra americana..eppure io le confondo. Magari approfondiamo, se vuoi, nei prossimi giorni. Un abbraccio forte:)
Ps: però ci tengo a inserire Les Pages sur la Nature+ Colette… eh noi due e Sergio siamo animate da una grande passione letteraria::))
@Sergio
Caro Sergio non conosco Niffoi, ma se me ne consigli la lettura, non mancherò. Ciao:)
@Massimo:
Massimo ti stiamo dando un sacco di cose da leggere… e perdonami..io mi faccio sempre travolgere e poi qui i miei interlocutori sono troppo carini, vero?
Mi raccomando, io ci tenevo soltanto che tu sapessi della “bécasse”…che poi fa ridere solo me perché il personaggio che usava il termine era un mio amico carissimo( che ci ha lasciato, purtroppo nel 95)e con lui ridevo molto. Parlarne qui era un modo per ricordarlo.
Un abbraccio
cara rob,sicuramente rimandiamo a domani la discussione su Colette ed altro,Cime Tempestose stupendo adorabile capolavoro di passione eterna che mi ha affascinata da ragazzina, Ogni tanto mi piace mettere anche qualcosa di “poetico” e condividerlo con voi.
Spero domani di aver tempo nel tardo pomeriggio,dopo incombenze familiari difficili.
un grande bacio e buonanotte
p.s. anche la Dickinson è meravigliosa,penserò a qualche verso da mettere domani,dopo Colette.
abbracci a tutti
Beh sì… scrivo racconti, sto tentando di scrivere un romanzo, ma sono partita da bambina con le poesie…
Per quanto riguarda le fiabe, ne ho trascritta una inventata oralmente da mia madre, mentre questa del coniglietto l’ho scritta perché ne avevo uno.
La mia richiesta era di tradurmi non tutto il racconto – non vi avrei chiesto tanto!!! 🙂 – ma solo il titolo. IL CONIGLIO DELLA LUNA.
Per Alice: se misuri tre pollici non ti senti certo all’altezza!
Vi piace? Naturalmente per giocare…
cara maria lucia,ti ho scritto precedentemente che la leggenda cui fai riferimento mi risulta essere cinese, se posso per altri argomenti aiutarti lo farò volentieri.
il problema della trascrizione dei kanji con la tastiera-ideogrammi- rende difficile la traduzione in giapponese,ma per riferimenti e suggerimenti dalla letteratura giapponese possiamo darci da fare.
p.s.mi piace la tua traduzione di alice…
cari saluti
cara maria lucia a parziale rettifica ti dico che esistono due leggende che parlano di conigli sulla luna,quella giapponese e quella cinese,comunque potretsi scrivere il titolo in romaji,caratteri romani: TSUKI NO USAGI.
spero possa servirti a qualcosa.
auguri per la tua scrittura
letteralmente “Della luna il coniglio” = “il coniglio della luna”
baci
Grazie!!! Francesca, sei stata davvero carina…
Magari vi posto il racconto. Lo metto su Iperspazio creativo o qui? Massi, che dici?
Meglio su “Iperspazio creativo”, Mari. Così diamo un po’ di linfa anche a quell’altro spazio, che dici?:-)
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/
Un “brave!” a Roberta e a Francesca Giulia.
@Maria Lucia Riccioli
Io leggerò volentieri il tuo racconto TSUKI NO USAGI ( mi piace troppissimo la traduzione che ti ha dato Francesca Giulia, la nostra impareggiabile esperta del giapponese:::)))
Mi sembra di aver capito che ami molto i conigli e gli animali in generale e questa è una cosa molto bella, secondo me. Francesca Giulia ci ha scritto la leggenda cinese:
“il povero coniglietto si sacrifica gettandosi nelle fiamme per donare il suo corpo.A seguito di questo gesto d’amore il Buddha fa prendere forma di coniglio alla luna che ricorderà per sempre il sacrificio d’amore dell’animaletto”. Così noi leggeremo la tua versione. ( scusate il “noi” non è un plurale maiestatis dei “megalomani”, ma sta per “Francesca Giulia and me…”)
Ciao.
Cara Franci,
tornando ai versi della Bronte, quello che più mi piace è questo:
“But something whispers to my mind”.
Qui troviamo di nuovo la “difficoltà” nel tradurre un termine= MIND; ricordi che in La Rochefoucauld la difficoltà era tradurre “ESPRIT”?
Qui si pone nuovamente il problema. La tua traduzione riporta:
“qualcosa mormora al mio spirito”. In realtà MIND significa MENTE, in inglese; tuttavia è dello SPIRITO e dell’ANIMA che si sta parlando( credo), quindi la traduzione a me piace.
Però: qual è la differenza tra ANIMA, SPIRITO e MENTE??
A dopo… Ritorno con Colette…(posso chiamarti Franci?)
@ Roberta
mi inserisco alla tua domanda rivolta a Franci.
Per me sono tutte e tre elaborate nel cervello. Sono quindi tre aspetti ai quali abbiamo dato un senso differente.
La mente uguale ai sentimenti e stimoli dettati dai geni ed elaborati con la ragione, l’anima uguale allo stato psichico che ne risulta e lo spirito alla forza universale che tutto crea e tiene in vita.
Saluti.
lorenzo
Caro Lorenzo, mi sembra la tua una differenziazione impeccabile.
Bisognerebbe chiedersi e sapere( ma questo è impossibile) in quale accezione la Bronte lo ha usato. Ha usato MIND; e, visto che nell’ultimo verso si riferisce alla MEMORIA=MEMORY che ha sede nel nostro cervello, dovrebbe trattarsi di quello. Ma, come scrivi tu, è tutto legato.
Negli scrittori ci sono molte sfumature, in realtà, riguardo a questi concetti. E le stesse sfumature sono più “sfumate” nelle lingue straniere. Per esempio, l’INGEGNO in inglese è spesso tradotto con WIT, termine per cui il dizionario riporta: 1)ARGUZIA; 2)persona di SPIRITO; 3)INTELLIGENZA. Tutto è sempre dentro di noi.
Ma ne sono provvisti anche alcuni animali( se non tutti..); riporteremo più tardi alcuni brani per supportare l’argomentazione..
Sono contenta che sia venuto a trovarci qui, caro Lorenzerrimo:)
Cari saluti.
@roberta
certo che puoi chiamarmi Franci, lo fanno le amiche più care…
hai ragione sul termine mind,difficile capire in pieno cosa volesse dire la bronte,ma io intuisco che sia usato nell’accezione più ampia del termine e
@lorenzerrimo: qui mi accordo con il bel commento lasciato da lorenzerrimo,una specie di triade emozionale-intellettiva generata dalla stessa madre: the mind.
Sò che la bronte cercava di essere altro da sè quando scriveva,immaginare ed uscire dai legacci dell’essere materiale di carne e ossa,perciò in questo senso mind sarebbe tutto forse animo, spirito, mente e cuore, ma anche memoria che è lo scrigno magico in cui tutto ciò si custodisce per poi essere donato ad altro.
buonanotte a tutti,stasera sono molto stanca e continuerò domani con piacere.
Ok Massi!
Bacio…
ML
Carissima Francesca Giulia( è più bello di Franci, decisamente),
anch’io ieri ho dovuto rimandare di inserire Colette e Jules Michelet( ho trovato in entrambi un brano su RAGNO=ARAIGNéE-molto bellini entrambi); forse lo farò più tardi.
Hai visto che meraviglia il nuovo post su Proust e la Ginzburg?
Vorrei inserire il brano in francese dal primo capitolo della RECHERCHE di cui Margherita ha riportato tre diverse traduzioni, agevolando il nostro “lavoro” qui.
Per ora ti abbraccio:)
Inserisco, come d’accordo, il brano di COLETTE da: “Histoires pour Bel-Gazou”:
” Mais je verserai ma mince contribution au trésor des connaissances humaines en mentionnant l’araignée que ma mère avait – comme disait papa – dans son plafond, cette meme année qui feta mon seizième printemps. Une belle araignée des jardins, ma foi, le ventre en gousse d’ail, barré d’une croix historiée. Elle dormait ou chassait , le jour, sur sa toile tendue au plafond de la chambre à coucher. La nuit, vers trois heures, au moment où l’insomnie quotidienne rallumait la lampe, rouvrait le livre au chevet de ma mère, la grosse araignée s’éveillait aussi, prenait ses mesures d’arpenteur et quittait le plafond au bout d’un fil, droit au-dessus de la vieilleuse à huile où tiédissait, toute la nuit, un bol de chocolat. Elle descendait, lente, balancée mollement comme une grosse perle,empoignait de ses huit pattes le bord de la tasse, se penchait tete première et buvait jusqu’à sa satiété. Puis elle remontait, lourde de chocolat crémeux, avec les haltes, les méditations qu’impose un ventre trop chargé, et reprenait sa place au centre de son gréement de soie..”
CERTO UN RAGNO CHE BEVE IL CIOCCOLATO…..
Ora riporto il brano da DU COTé DE CHEZ SWANN di Marcel Proust, brano di cui son state riportate tre diverse traduzioni nel post su Proust e la Ginzburg.
“Longtemps je me suis couché de bonne heure. Parfois, à ma bougie éteinte, mes yeux se fermaient si vite que je n’avais pas le temps de me dire: “je m’endors”. Et, une demi-heure après, la pensée qu’il était temps de chercher le sommeil m’éveillait; je voulait poser le volume que je croyais avoir encore dans les mains, et souffler ma lumière; je n’avais pas cessé en dormant de faire des réflexions sur ce que je venais de lire, mais ces réflexions avaient pris un tour un peu particulier; il me semblait que j’étais moi-meme ce dont parlait l’ouvrage: une église, un quatuor, la rivalité de François I er et de Charles V”.
….balancée mollement comme une grosse perle, empoignait de ses huit pattes le bord de la tasse, se penchait tete première et buvait jusqu’à sa satiété.
questa descrzione mi piace moltissimo e non so quanto in italiano possa rendere la bellezza di vocaboli come balancèe mollement…,ci metti la tua traduzione e ci dici qualcosa di più di questo brano di colette?IO ho letto solo cherì e la naissaince du jour.
Riguardo a Proust vorrei dire che quando esce il volume di colette Mitsou, come le fanciulle diventono sagge non ben accolto dalla critica,marcel proust è uno degli estimatori e dice :
“Ho un poco pianto stasera, per la prima volta dopo molto tempo, eppure da un pezzo sono oppresso da dispiaceri, da sofferenze, e da seccature. Ma se ho pianto non è per tutto questo, è leggendo la lettera di Mitsou… Le due lettere finali sono il capolavoro del libro”
un abbraccio alla cara roberta
cara Robertina, mi sembra di averti letto così giorni fa o settimane fa.
Le sfumature tanto usate dagli scrittori sono il segno di una loro ricerca verso il profondo, senza averlo ancora raggiunto.
L’essere in viaggio verso la chiarezza finale, dove non esistono più nomignoli, ma parole vive e chiare a tutti che ci siano arrivati.
Questo vale non solo per gli scrittori, ma per chiunque cerchi la sua natura originaria, persa poi attraverso un processo accaduto all’infuori della nostra volontà, ma del quale noi tutti ne portiamo i segni giorno per giorno.
Sono segni come litigi, fraintendimenti, vanità, presunzione, violenza, distruzione, sofferenze, e solo raramente amore, per il suo impegno totale che richiede sempre desiderato e difficilmente trovato e sostenuto, ecc, ecc.
Saluti cari.
Lorenzo
@Cara Francesca Giulia,
sì, è vero che Proust amava molto Colette.. se trovo un pezzo( che ho in mente) molto “proustiano” di Colette, lo inserisco.
E’ molto bello che tu abbia inserito quelle parole di Proust per Colette. Anche la Yourcenar dice in un’intervista che non si può prescindere da Proust. (cerco anche quel pezzo)
Più tardi inserisco la traduzione del brano di Colette…è strepitoso, vero?
Baci
@carissimo Lorenzerrimo,
sì, mi piace moltissimo quando mi chiamano Robertina…e ti rongrazio per le tue parole. Eh certo…andare “à la recherche” della propria natura originaria…
Grazie infinite.
Spero ti piacciano le scelte dei testi che io e Francesca Giulia riportiamo in questo spazio. Per ciò per scrivi e per il tuo animo sensibile, credo di sì:):)
Un abbraccio
Robertina
Il “pezzo proustiano” di Colette:
“TOUT EST ENCORE DEVANT MES YEUX: LE JARDIN AUZ MURS CHAUDS, LES DERNIèRES CéRISES SOMBRES PENDUES à L’ARBRE, LE CIEL PALMé DE LONGUES NUéES ROSES– TOUT EST SOUS MES DOIGTS:RéVOLTE VIGOUREUSE DE LA CHéNILLE, CUIR éPAIS ET MOUILLé DES FEUILLES D’HORTENSIA- ET LA PETITE MAIN DURCIE DE MA MèRE”.
“Tutto è ancora davanti ai miei occhi: il giardino dai muri caldi, le ultime ciliege mature appese all’albero, il cielo striato di lunghe nubi rosa–tutto è sotto le mie dita: la rivolta vigorosa del bruco, la pelle( CUIR= CUOIO)spessa e bagnato delle foglie di ortensia- e la piccola mano indurita di mia madre”.
Sia in lei che in Proust lo stesso modo di osservare la natura( vedi i BIANCOSPINI, GLI INSETTI ecc osservati da Marcel) e di “descriverla” attraverso metafore.
(Dico bene?)
Qualcosa sulle “HISOIRES POUR BEL-GAZOU”-tratto dall’introduzione di Grazia Vitale:
“Pubblicate per la prima volta nel 1930, il titolo le definisce “histoires”, ma potrebbero essere anche schizzi, racconti, impressioni, immagini, ricordi… Sono 17 narrazioni tratte da alcuni libri di Colette( “Sept dialogues de betes”-1907+ “Les vrilles de la vigne”-1906+ “La maison de Claudine”-1922 e altri). Bel-Gazou–ce lo spiega in LE CURé SUR LE MUR– è una parola provenzale che significa “bel cinguettio”, bel linguaggio, ed è il soprannome dato dal padre a Colette e da quest’ultima a sua figlia. Scritti quasi tutti in prima persona, sono tanti episodi dell’infanzia e della giovinezza di Colette”.
Cara Francesca Giulia, ora la traduzione del brano sul RAGNO che beve il cioccolato…
“Ma verserò il mio piccolo contributo al tesoro delle conoscenze umane menzionando il ragno che mia madre aveva- come diceva papà-nel suo soffitto, quello stesso anno che festeggiò la mia sedicesima primavera. Un bel ragno dei giardini, parola mia, con la pancia a forma di spicchio d’aglio, attraversato da una croce istoriata. Dormiva o cacciava, di giorno, sulla sua tela attaccata al soffitto della camera da letto. Di notte, verso le tre, nel momento in cui l’insonnia quotidiana riaccendeva la lampada e riapriva il libro sul comodino di mia madre, il grosso ragno si svegliava anche lui, prendeva le misure da agrimensore e lasciava il soffitto all’estremità di un filo , proprio al di sopra del lumino a olio in cui intiepidiva , tutta la notte, una scodella di cioccolato. Scendeva, lento, dondolando delicatamente come una grossa perla, afferrava con le sue otto zampe il bordo della tazza, si chinava con la testa all’ingiù e beveva a sazietà. Poi risaliva, appesantita dal cioccolato cremoso, facendo piccole soste, le meditazioni che impone una pancia troppo carica, e riprendeva il suo posto al centro del suo equipaggiamento di seta…..”
CERTO DIFFICILISSIMO RENDERE UN BRANO COSì, soprattutto quel “MA FOI” che i francesi utilizzano i mille modi e che si usa nei casi di increduità+ l’immagine del RAGNO-PERLA che ondeggia lentamente…Sì, cara Francesca Giulia… hai ragione.
Un affettuoso abbraccio::))
Ps: PER “balancée mollement comme une grosse perle” preferisci:
1) “dondolando delicatamente” -oppure:
2) “ondeggiando lentamente”?
Perché nel testo c’è il participio passato del verbo “balancer”( = OSCILLARE; DONDOLARE); però non si può rendere con un participio passato, mi sembra; quindi si può usare, forse, il gerundio, anche se non c’è nel testo.
A domani, spero.
Baci
cara rob,è un brano difficile da tradurre,per “balancée” ondeggiando lentamente è più poetico e si accorda meglio con l’immagine della perla,ma forse dondolando si presta meglio alla descrizione?Mi suggerisce anche penzolando,ma è assolutamente personale,perchè immagino il grande ragno penzolare incerto verso il basso,comunque è un bel brano anche se difficilotto.Bellissima la descrizione di Colette della natura,è vero in quei passi è molto Proustiana,c’è una meticolosa attenzione ad ogni elemento della vita,si legge molto in La naissance du jour-.
un abbraccio
@maria lucia riccioli
io aspetto di leggere il tuo coniglio della luna.
cari saluti
Riporto il breve brano dall’intervista di Matthieu Galey a Margurite Yourcenar( LES YEUX OUVERTS):
“Parmi les grands écrivains du début du siècle, je crois que je retiendrais surtout Marcel Proust. J’aime chez lui la grande construction thématique, la perception exquise du passage du temps et du changement qu’il produit dans les personnalités humaines, et une sensibilité qui ne ressemble à aucune autre. J’ai relu Proust sept ou huit fois”.
= “Tra i grandi scrittori dell’inizio del secolo, credo che considererei soprattutto Marcel proust. Mi piace in lui la grande costruzione tematica, la percezione adorabile del passaggio del tempo e del cambiamento che esso produce nelle personalità umane, e una sensibilità che non assomiglia a nessun’altra. Ho riletto Proust sette o otto volte”.
cara rob, quanto detto da un mostro sacro come la Yourcenar non può che trovarci d’accordo,se parliamo di temi come la memoria poi credo che nessuno meglio di lei possa svelarcene i misteri.Che ne pensi di mettere qualcosa di M.Yourcenar?A parte le Memorie di Adriano,grande capolavoro,ci sonoalcuni racconti che amo molto, hai letto Anna Soror?Fu scritto durante un breve soggiorno a Napoli e fa parte delle opere della gioventù della scrittrice,ma ha in se tutto il magnifico progetto della sua scrittura.
abbracci
Carissima Frances..( ti chiamo all’inglese…)
ora ti scrivo un proverbio da ALICE… perché Massimo non ci sarà in questi giorni, ha detto….
“WHEN THE CAT IS AWAY, THEN THE MICE WILL PLAY…”
Della Yourcenar ho molte cose, ma forse “Anna Soror” no: devo controllare. Se vuoi, perché non metti tu qualcosa?
Io continuo tra un pò con la descrizione di un altro “ragno”…..
Ciao Un abbraccio::))
…noi siamo the mices?,che carino, a più tardi rob.
Da “PAGES SUR LA NATURE” di Jules Michelet (1798-1874)
“(…) à l’angle du mur, j’apercevais distinctement une araignée qui, supposant que le rayon amènerait pour son déjeuner quelque étourdi moucheron, se rapprochait de ma casse.(…) Malgré le dégout naturel , j’admirai dans quelle mesure progressive de timide, lente et sage expérimentation, elle s’assurait du caractère de celui auquel il fallait qu’elle confiat presque sa vie. Elle m’observait certainement de tous ses huit yeux, et se posait le problème:”Est-ce, n’est-ce pas un ennemi?”
Sans anlyser sa figure, ni bien distinguer ses yeux, je me sentais regardé, observé; et apparemment l’observation, à la longue, me fut toute à fait favorable. Par l’istinct du travail peut-etre (qui est si grand dans son espèce), elle sentit que je devais etre un paisible travailleur, et que j’étais là aussi occupé, comme elle, à tisser ma toile”.
N.B.MANCANO GLI ACCENTI CIRCONFLESSI.
Manca anche la traduzione…ma che te ne pare?
Ps: Sì, siamo noi i “topi”…..
Un abbraccio
Quannu ‘u jattu nun c’è, ‘i succi abballunu…
Siciliano…
Che ve ne pare?
Il dialetto è anch’esso “altro”, proprio come una lingua straniera. Ha espressioni così pregnanti che la lingua nazionale non riesce a riprodurre… bellissimo!
TSUKI NO USAGI – Viola Di Grado mi dice che questo è il nome dell’anime giapponese Sailor Moon… – apparirà a giorni in iperspazio creativo!
@rob ,pur non conoscendo bene il pensiero di Michelet,so che è stato un importante storico oltre che scrittore con una particolare concezione della natura- potresti dirci qualcosa di più preciso a tal proposito.te ne sarei grata- mi piace molto la frase : mi osservava con tutti i suoi otto occhi, e si poneva la domanda: E’, non è un nemico?”.Chi osserva è osservato,questo scambio di ruolo diventa interessante,quando osserviamo la natura chi può dire che essa stessa non stia osservando noi?
perdona la traduzione è soggettiva e maccheronica, alla francesca giulia…
abbracci
@maria lucia
jattu è bellissimo, me lo vedrei nero…ma con la camicia azzurra!
non sapevo di sailor moon, ma ricordo il cartone animato,aspetto di leggerti.
abbracci
Carissima Frances,
la tua traduzione è impeccabile, secondo me, e quella è la frase che piace di più anche a me…
Sai, di Michelet non so nulla. Solo avevo trovato in libreria un libricino piccolissimo e mi aveva attratto il titolo: “PAGES SU LA NATURE”.
Più tardi leggo l’introduzione e riporto qui qualcosa+la traduzione del brano sul ragno( però se lo vuoi inserire tradotto da te io sono contentissima. Non ho il testo in italiano e dovrei inserire la mia traduzione e la tua sarebbe più bella, più “poetica”, secondo me).
Un abbraccio
Ps: a proposito della natura che “ci osserva”… guarda che succede davvero! Tempo fa ero ferma a uno stop e c’era una piccola mandria alla mia sinistra, con anche vitellini… avevo tutti i loro occhi addosso. Ho aperto il finestrino e ho chiesto al signore che era lì: “Ma stanno per attaccarmi?”- “Ma no, si figuri, le mucche lo fanno: la osservano e basta”..
Dovevi vedere che faccia avevano tutti quei bovini bianchi, piccolini e mamme…. Erano BUFFISSIMI!
Correggo: Pages SUR la nature
Gli animali ci guardano… con curiosità, timore, indifferenza. Quando ci guardano con amore è una cosa bellissima: hai quasi l’impressione che ti dicano: “Ti voglio bene, sei importante per me”.
Ehi, non vi aspettate granché dal racconto… lo faccio leggere prima a mia sorella che era la “mamma” del protagonista, poi ve lo posto in iperspazio creativo!
ML
=:-)
grazie rob,sono felice che ti sia piaciuta la mia traduzione,io sono molto istintiva e poco accademica,perciò conoscocendo i miei limiti mi prendo con gioia il più poetica,visto che adoro scrivere in poesia!é vero che gli animali spesso ci osservano,io li ho sempre un pò umanizzati guardandoli,poi però a pensarci bene siamo noi che siamo animalizzati,cioè vicini a loro. Questa forte sensazione l’ho provata tanti anni fa- ho viaggiato molto in giro per il mondo- quando in Zaire ho incontrato lo sguardo acquoso e pieno di ricordi del gorilla di montagna,esperienza indimenticabile!
marialucia le favole sono sempre una magia da leggere,non temere il giudizio! :-)) sarà bellissimo il tuo coniglio…
abbracci
conoscendo
Che bello, beata…hai visto i gorilla di montagna.. Io ho visto due volte “Gorilla nella nebbia” quel film su Diane Fossey e ho pianto per tutto il film. Sogno sempre di tuffarmi coi delfini…ma chissà se questo sogno potrà avverarsi..
Certo anche la sofferenza umana mi colpisce molto, specialmente negli innocenti, nei bambini, nei vecchi.
Sì a me piacciono le tue traduzioni. Anch’io sono così poco accademica…. Del resto, se ci pensi bene… due “seguaci” di Carroll e del Cappellaio Matto, come fanno ad essere “accademiche”??
Spero di inserire domani qualcosa su Michelet, come mi hai chiesto+ una sorpresina…. ma son sicura ti piacerà.
Lascio a te la traduzione del brano del ragno.. il brano in effetti è molto lungo e più bello, ma non possiamo riportarlo tutto per questioni di spazio.
Un abbraccio::))
Uff…macché anonimo…sono io…dimentico sempre il nome..
Cara rob,io per gli spettacoli della natura ho fatto cose pazze in passato,ti svelerò un pò alla volta…anche il bagno con i delfini,quando facevo immersioni, veramente ancora più bello fu con i pinguini,che ne pensi se tramite massimo ci scambiamo l’indirizzo mail?così possiamo anche coordinare meglio gli interventi. domani metterò la traduzione del “ragno”,ma tu controlla sempre se su qulacosa non sei d’accordo,al di là di ciò che dici ti vedo molto preparata,anche il Bianconiglio è uno dei miei preferiti e con lui il tema del tempo che spesso mi ossessiona nei racconti che scrivo.
abbracci
Carissima Frances,
sì certo, scriverò a Massimo così ci scrivaimo per e-mail o ci sentiamo e mi racconti dei tuoi viaggi…io purtroppo viaggio soprattutto con le mente.. che non è male, ma..
Riporto qui sotto la “sorpresina” di cui ti parlavo ieri: ho il testo soltanto in italiano, però. E’ tratto dal carteggio che Henry James fece con alcuni suoi amici tra il 1914 e il 1915 e si intitola IL GELSO CADUTO.
Poi metto qualcosa su Michelet, ma devo leggere prima perché non so nulla di questo storico..
Da IL GELSO CADUTO: Lettere di Henry James:
” Mia Cara Margaret,
è stato un piacere che tu mi abbia scritto, anche se su un argomento triste quale quello del mio povero vecchio albero caduto, cui sei stata gentilissima ad andare a dare una pietosa occhiata. Avrebbe potuto resistere ancora per qualche tempo, credo, se non ci fosse stata una tempesta tanto ECCEZIONALE, ma una volta scatenatasi la furia è stato inesorabilmente costretto ad arrendersi, perché il suo povero cuore era morto, il suo immenso vecchio tronco svuotato. Non gli era più rimasta alcuna forza di resistere quando il vento di sud-est lo ha afferrato per la gran CRINIèRE e gli ha semplicemente torto il collo più volte. E’ una cosa molto triste, perché era proprio quella pianta a dare tono al giardino, era il giardino stesso, di cui mi pare adesso quasi di non voler sapere più nulla, come se ai miei occhi avesse perso ogni importanza. Ma che follia parlare di QUELLA caduta, in mezzo a tutte le prostrazioni che ci circondano!”
N.B. 1)NELL’ULTIMA FRASE JAMES SI RIFERISCE ALLA BRUTTURE DELLA
PRIMA GUERRA MONDIALE.
2) EDIZIONE A CURA DI LUCIO ANGELINI-Biblioteca dl Vascello-
Cara rob,qualche termine è poco comprensibile,lo lascio in lingua con un’ipotesi in parentesi,suggerisci tu qualcosa.
Nell’angolo del muro,io vidi nettamente un ragno che,supponendo che il suo raggio stesse portando per il suo pranzo qualche stordito moscone,si avvicinava (a me) de ma casse=rottura.
Nonostante il disgusto naturale,io ammirai in che misura progressiva della sperimentazione timida lenta e saggia,esso accertava il carattere di colui al quale (era sbagliato affidasse la sua vita)il fallait que elle confiat presque sa vie.
Mi osservava con tutti i suoi otto occhi,e si poneva la questione: é o non è un nemico?
Senza studiare la sua faccia, né bene distinguere i suoi occhi, io mi sentii guardato osservato; ed apparentemente l’osservazione, a lungo,mi risultò del tutto favorevole. esso sentì forse dall’istinto del lavoro (che è così grande nella sua specie), che io dovevo essere un lavoratore calmo, e che anche io ero impegnato là, come lui,a tessere la mia tela.”
Il senso credo di averlo reso abbastanza,anche se c’è un rigo in particolare un pò ostico,quello “elle s’assurait du caractere….etc”,vedi se puoi meglio comprendere.
Comunque trovo molto interessante il faccia a faccia fra il ragno lavoratore e l’umano lavoratore anch’esso.
abbracci
è bellissimo il brano sulla caduta del gelso,è commovente il rammarico dello scrittore per il dispiacere provato quasi vergognoso di fronte a drammi più grandi,ma l’immagine dell’albero preso per il collo e la sua criniera come fosse un vecchio leone fatto cadere sotto i colpi di una caccia mortale è bellissima.
brava rob,sai che ho visto negli stati uniti?le sequoie giganti,maestose gigantesche e forti.
Cara Franci,
la lettera di Henry James potrebbe essere scritta in questi giorni, tante sono le notizie che ci fanno male( e lui parlava della guerra); ma il dispiacere per le cose dell’umanità non può impedirci ci dispiacerci anche per il malessere del pianeta(a proposito: hai sentito che bella ieri l’intervista che Fazio ha fatto a Guido Ceronetti per la sua raccolta di ballate: “LE BALLATE DELL’ANGELO FERITO?”). I problemi dell’inqinamento non c’erano nel 1915, eppure un forte vento aveva buttato giù il gelso che si trovava nel prato della sua casa a Lamb House.
Che scrittore, Henry James. Sì, l’immagine della criniera “afferrata” è bellissima. peccato non poter inserire il brano in inglese..
Per la traduzione di Michelet: mi fatta benissimo.
Io avrei tradotto “un ragno che, supponendo che il raggio avrebbe condotto lì uno stordito moscerino per la sua colazione, si avvicinava alla mia cassetta delle lettere”- MOUCHERON sul dizionario riporta =MOSCERINO( anch’io avevo pensato a un moscone..)+ il termine CASSE, come sostantivo, vorrebbe dire=CASSETTA DELLA POSTA( non ho trovato altro; evidentemente Michelet si trovava nel suo giardino e da lì vedeva la sua cassetta della posta…spero non sia una mia invenzione…ma foi…).
Per l’altro pezzettino…”elle s’assurait du caractère de celui auquel il fallait qu’elle confiat presque sa vie”= dovrebbe essere:
“si assicurava del carattere di colui al quale bisognava ch’egli quasi affidasse la sua vita”( nel testo del libro CONFIAT ha l’accento circonflesso, ma io non riesco a mettere gli accenti circonflessi nella mia tastiera).
Beh, insieme siamo venute, forse, a capo della matassa…
Sempre che io non abbia fatto per CASSE come facevo da piccola con le versioni di latino…..: inventavo….
Ciao un bacionissimo.
Ci scrivaiamo sulla mail:)
Ps: ma qui continuiamo…..
Volevo dire: mi sembra fatta benissimo.
Ciao:)
grazie rob!ho fatto del mio meglio,comunque questo casse mi lasciava perplessa forse perchè bisognerebbe leggere il contesto intero per capire se riferisce ad un posto particolare,tu hai tradotto benissimo.
James è un grande,ritratto di signora è uno dei miei preferiti affreschi di figure femminili,nonostante alcune parti apparentemente lente sa compenetrarsi nella psicologia di Isabel in maniera magistrale.
una abbraccio
Franci, mi sa che vado a cercare “RITRATTO DI SIGNORA” in inglese, così inseriamo qualche brano scelto da te. Me l’ha regalato una mia amica in italiano ma non l’ho letto. Ho qui “IL GIRO DI VITE”+ IL CARTEGGIO ASPERN, ma sempre in italiano.
Sì hai ragione: in effetti per Michelet non si capiva bene il contesto. Poi lo rileggo e aggiungo qualcosa domani.
Comunque sono felicissima perché mi sembra davvero che noi due abbiamo gli stessi gusti e ci capiamo molto.
Ps: Che belle le sequoie di cui parli..
Buonanotte. Bacioni::))
@Maria Lucia
Sì, è vero: quando gli animali ti guardano con affetto..anche se non te lo possono dire.. Io avevo un gatto con me per dieci anni, il mio adoratissimo gatto. Poi il veterinario ma ha detto che soffriva perché lo lasciavo solo e perchè era rinchiuso sempre, così( con dolore) l’ho portato dai miei, dove vive nel giardino e si è abituato all’affetto di mia madre. Un giorno ero a fianco a lei e il gatto, sulle sue ginocchia, mi dava le “spalle”. Ho detto a mia madre: “Non mi riconosce più..” e in quel preciso momento si è girato a guardarmi con gli occhi dolci, come dire: “Non è vero” e ha fatto il suo solito miagolio da “viziato”. E’ vero, è proprio vero che mi ha guardato così.
Quindi io leggerò volentieri la storia del coniglietto::))
La aspettiamo:)
sì rob siamo in sintonia davvero!
p.s.anch’io ho avuto un gatto per ben diciotto anni…mia madre ci chiamava il “binomioperfetto”.
a domani cara con James,anche il giro di vite,stupendo!!
buonanotte
@marialucia
aspetto anch’io di leggerti,adoro lo sguardo degli animali,come dicevo a rob ho fatto viaggi di chilometri per vedere occhi di leoni,gazzelle,aquile,gorilla,scimpanzè,pinguini,iguana,fenicotteri,squali….buonanotte dalla vostra ex-piera angela
Cara Frances,
ti ho scritto una mail ma me la respinge. Riproverò domani.
Ho cercato un brano da Henry James, ma, non ricordando nulla o quasi del “Giro di vite”, né di “Daisy Miller”+ non avendo con me “Il carteggio Aspern”( per quel poco che ricordo è il mio preferito di James), ci ho rinunciato. Potrei solo riportare un altro brano da “Il gelso caduto”, ma se mi aiuti tu e inserisci un brano, te ne sarò grata.
Un caro abbraccio
Ps: nel frattempo cerco qualcosa( se posso in lingua originale) che tratti della “bellezza estetica femminile”, così potremmo riagganciarci al tema del nuovo post, cosa ne pensi? I’ll wait for some suggestions…
Avevo dimenticato di inserire un brano dai “CONTES DE LA BéCASSE”… Ce n’è uno che si intitola “PIERROT”, parla di un cane..anzi, di una certa Madame Lefèvre. E’ ambientato in Normandia e qui i personaggi parlano davvero come nella realtà. Questa signora, tirchissima, vive con la sua “bonne”; un giorno viene derubata e decide di prendere con sé un cagnolino, ma costandole troppo nutrirlo, decide di buttarlo in un pozzo in cui buttano tutti i cani che disturbano. Quella stessa notte in cui abbandona il cagnolino Madame Lefèvre fa molti incubi e decide di andare a riprenderlo l’indomani; ma recuperare il cane dal pozzo le costerebbe 4 franchi, quindi dedice di lasciarlo lì e di nutrirlo giorno per giorno buttandogli del cibo. Ma un giorno un cane più grosso viene gettato anche lui dentro il pozzo e il povero Pierrot è costretto a soccombere.
Questo racconto è terribile. Riporto un breve brano che descrive Madame Lefèvre+un altro in cui appare Pierrot.
Da LES CONTES DE LA BéCASSE di Guy de Maupassant:
“Madame Lefèvre était une dame de campagne, une veuve, une de ces demi-paysanne à rubans et à chapeaux falbalas, de ces personnes qui parlent avec des cuirs, prennent en public des airs grandioses, et cachent une ame de brute prétentieuse sous des dehors comiques et chamarrés, comme elles dissimulent leurs grosses mains rouges sous des gants de soie écrue. (…) Elle était de cette race parcimoniueuse de dames campagnardes qui portent toujours des centimes dans leur poche pour faire l’aumone ostensiblement aux pauvres des chemins, et donner aux quetes du dimanches”:
(MANCANO gli accenti circonflessi su: ame+aumone+quete).
“Madame Lefèvre era una signora di campagna, una vedova, una di quelle mezze-contadine con nastri e cappelli falpalà, di quelle persone che hanno un difetto di pronuncia, prendono in pubblico delle arie grandiose, e nascondono un animo di pretenziosa non raffinata sotto un’apparenza comica e piena di fronzoli, così come dissimulano le loro grosse mani rosse sotto guanti di seta écru.(…) era di quella razza parsimoniosa di signore di campagna che hanno sempre con sé dei centesimi in tasca per fare platealmente l’elemosina ai poveri di strada, e fare la questua della domenica”.
Da:LES CONTES DE LA BéCASSE di Guy de Maupassant-edizioni “Classiques français”- “PIERROT”
“Alors Rose qui pleurait, l’embrassa, puis le lança dans le trou; et elles se penchèrent toutes deux, l’oreille tendue.
Elles entendirent d’abord un bruit sourd; puis la plainte aigue, déchirante, d’une bete blessée, puis une succession de petits cris de douleur, puis des appels désespérés, des supplications de chien qui implorait, la tete levée vers l’ouverture”.
(MANCANO: una dieresi su la E di aigue+l’accento circonflesso su bete+tete).
“Quindi Rose, che piangeva, lo abbracciò, poi lo lanciò nel pozzo; ed esse si sporsero entrambe, con l’orecchio teso.
All’inizio sentirono un rumore sordo; poi il lamento acuto, straziante di una bestia ferita, delle suppliche di cane che implorava, con la testa rivolta verso l’apertura”.
e’ molto bella la descrizione della madame Lefèvre,mi piace particolarmente la frase :…de dames campagnardes qui portent toujours
des centimes dans leur poche pour faire l’aumone ostensiblement aux pauvres des chemins, et donner aux quetes du dimanches”:
curiosità: quetes du dimanches è proprio “questua della domenica”?cioè è una frase d’uso comune per indicare l’elemosina del giorno di festa?
un abbraccio
sono io,francesca
come ho detto nel post su san valentino non amo questa falsa festa ,ma prendo spunto per inserire una piccola poesia di william butler yeats:
The lover’s song
Bird sighs for the air,
Thought for I know not where,
For the womb the seed sighs.
Now sinks the same rest
On mind, on nest,
On straining thighs.
Canzone dell’amante
L’uccello sospira per desiderio d’aria,
Il pensiero per non so qual luogo,
Per il grembo il seme sospira.
Ora scende un medesimo riposo
Sulla mente,sul nido,
Sulle cosce sforzate.
Che ne pensi rob?in lingua originale è molto più bella e musicale,vero?
Francesca, noi due pensiamo all’unisono! Ero in libreria e ho comprato, mentre scrivevi tu qui, una raccolta di poesie di Yeats! Non è possibile…
Molto bella quella che hai riportato qui. Eh l’amore è una cosa così importante per tutti, non bisogna dimenticarlo che ti fa vedere il mondo con altri occhi:) Che si celebri oggi o in altri giorni, non importa.
Certo a me piace sempre di più in lingua originale.
Ora sto uscendo ma spero domani di trattenermi e riportare altri versi di Yeats dalla raccolta appena comprata..
Sul termine “quete du dimanche” credo di sì, almeno ho trovato così sul dizionario. Maupassant ha sempre uno sguardo molto amaro nell’osservazione dei comportamenti umani, l’abbiamo visto anche in “Boule de suif”. Se non ricordo male, credo si sia suicidato. Che tristezza. E’ un grande artista, un vero genio del RACCONTO. Molti scrivono racconti, ma i piccoli capolavori di Guy sono incomparabili.
Conosci UN COEUR SIMPLE di Flaubert? Un racconto maraviglioso anche quello: fa parte dei TROIS CONTES. Se vuoi cerco un brano anche da lì.
Un forte abbraccio::))
cara rob,accidenti siamo proprio in sintonia allora,che cosa bella!sì conosco Un cuore semplice di Flaubert l’abbiamo studiato al laboratorio di scrittura proprio come esempio di rara precisione e bellezza del racconto. Hai ragione l’arte del racconto si ritrova in questi grandi dei classici francesi e in pochi altri contemporanei,io comunque adoro la forma breve: una freccia che deve andare dritta al bersaglio!
a più tardi o al massimo a domani
abbracci
cara rob, visto che hai comperato la raccolta di William Butler Yeats, aggiungo un’altra poesia che mi piace molto,quando potrai mi dirai le tue considerazioni:
The Lady’s First Song
I turn round
like a dumb beast in a show,
neither know what I am
nor where I go,
my language beaten
into one name;
I am in love
and that in my shame.
What hurts the soul
my soul adores,no better than a beast
upon all fours.
Prima canzone della dama
Mi aggiro torno torno
come una belva bruta messa in mostra,
nè so chi io sia
nè dove io vada,
il mio linguaggio costretto
in unico nome;
io sono innamorata:
tale è la mia vergogna.
Quel che all’anima nuoce
la mia anima adora,
come fossi una bestia
a quattro zampe.
(trad.di giorgio melchiori)
la frase finale l’avresti tradotta così?per carità non che io voglia permettermi di gareggiare con il bravissimo traduttore,ma secondo me era bello anche:non meglio di una bestia a quattro zampe.
Hai notato “fours”, su tutte le quattro letteralmente?
ti mando un abbraccio
Sì, letteralmente c’è scritto “non meglio di una bestia a quattro zampe”, in effetti. Anch’io preferirei. Anche “hurts”= ferisce, ma molte volte i traduttori sono anche poeti e inseriscono vocaboli per il loro suono, credo. Per “FOURS” credo che ci sia la “s” perché qui è usato come sostantivo invece di “zampe”, e quindi non come aggettivo numerale= quattro.
Ti metto questa, nella traduzione di Roberto Sanesi( che ringrazia, nell’introduzione, il prof. Giorgio Melchiori per i consigli sulla traduzione)- edizione: Oscar Mondadori: W.B. YEATS: POESIE.
THE WILD SWANS AT COOLE (1919)
The trees are in their autumn beauty,
The woodland paths are dry,
Under the October twilight the water
Mirrors a still sky;
Upon the brimming water among the stones
Are nine-and-fifty swans.
The nineteenth autumn has come upon me
Since I first made my count;
I saw, before I had well finished,
All suddenly mount
And scatter wheeling in great broken rings
Upon their clamorous wings.
I have looked upon those brilliant creatures,
And now my heart is sore.
All’s changed since I, hearing at twilight,
The first time on this shore,
The bell-beat of their wings above my head,
Trod with a lighter tread.
Unwearied still, lover by lover,
They paddle in the cold
Companionable streams or climb the air;
Their hearts have not grown old;
Passion or conquest, wander where they will,
Attend upon them still.
But now they drift on the still water,
Mysterious, beautiful;
Among what rushes will they build.
By what lake’s edge or pool
Delight men’s eyes when I awake some day
To find they have flown away?
No, non è un anonimo…sono io.
Inserisco la traduzione di Roberto Sanesi:
I CIGNI SELVATICI A COOLE
Gli alberi sono nella loro
Bellezza autunnale, i sentieri
Del bosco sono asciutti , e l’acqua
Nel tramonto d’ottobre specchia un cielo immobile;
Sull’acqua traboccante fra le pietre
Cinquantanove cigni stanno.
Già diciannove autunni son passati
Da quando li contai la prima volta;
E prima ancora che avessi terminato
Li vidi all’improvviso alzarsi in volo
E in vasti cerchi infranti roteando sperdersi
Sull’ali clamorose.
Quelle creature splendenti ho contemplato,
E mi dolora il cuore. E’ tutto
Mutato ormai da quando nel tramonto
Su questa riva intesi per la prima volta
Come rintocchi di campana sul mio capo battere
Le loro ali, e camminavo agile.
Instancabili ancora, in coppie innamorate,
Solcano quasi remando l’acqua gelida
Delle correnti amiche o ascendono nell’aria;
I loro cuori sono ancora giovani; e ovunque
Vadano errando , passione o conquista
Tuttora li accompagna.
Ma ora ecco, misteriosi e belli,
Scivolano sopra l’acqua immobile;
Fra quali giunchi costruiranno il nido,
Presso che riva di lago o di stagno
Delizieranno mai gli occhi degli uomini il giorno
Che io mi sveglierò, e troverò che son volati via?
Se si guarda bene, il termine UPON, così come altri avverbi( ABOVE+ AMONG), ricorre spesso, a indicare, credo, lo sguardo di chi osserva volto verso l’alto. A me questa traduzione sembra bellissima; e lo dico perché leggendo il testo in italiano, mi ha emozionato.
Per esempio, nel v.6 il testo di Yeats ha “ARE”=SONO cinquantanove cigni; ma ovviamente il traduttore doveva rispettare la poesia del testo, quindi ha tradotto “STANNO” e ha inserito il verbo alla fine del verso.
Chi traduce sempre letteralmenente spesso lo fa perché non ha competenze “poetiche”( mi riferisco alle “nostre” ( almeno le mie)traduzioni qui- che in genere sono inserite esclusivamente per la mancanza di una traduzione pubblicata insieme al testo originale).
Io trovo questa poesia di una bellezza indicibile, soprattutto in inglese e i versi 30-31 più belli( se si può) degli altri.
Ti piace? Non dubito di sì. Il tema è a noi molto caro…
Un abbraccio
Comincio a inserire un breve brano in lingua originale da: “UN COEUR SIMPLE” di Flaubert, come d’accordo. Riporto la reazione della protagonista del racconto, Félicité, quando crede di aver perso per sempre il suo pappagallino, Loulou.
“Elle l’avait posé sur l’herbe pour le rafraichir, s’absenta une minute et, quand elle revint, plus de perroquet! D’abord, elle le chercha dans les buissons, au bord de l’eau et sur les toits, sans écouter sa maitresse qui lui criait: ” Prenez donc garde! Vous etes folle!” Ensuite, elle inspecta tous les jardins de Pont-l’ Eveque; et elle arretait les passants. “Vous n’auriez pas vu, quelquefois, par hasard, mon perroquet?” A ceux qui ne connaissaient pas le perroquet, elle en faisait la description. Tout à coup, elle crut distinguer derrère les moulins, au bas de la cote, une chose verte qui voltigeait. Mais au haut de la cote, rien! (…)
Enfin elle rentra épuisée, les savates en lambeaux, la mort dans l’ame;-et, assise au milieu du banc, près de Madame, elle racontait toutes ses démarches, quand un poids léger lui tomba sur l’épaule. Loulou! Que diable avait-il fait? Peut-etre qu’il s’était promené aux environs!
Elle eut mal à s’en remettre, ou plutot ne s’en remit jamais”.
(MANCANO gli accenti circonflessi su:
rafraichir- maitresse-etes- Eveque- arretait-cote- ame- etre-plutot)
edizione francese: CLASSIQUES POCKET.
Cara Franc, hai la versione italiana?
Se sì, mettiamo questo breve brano?
Ciao:)
cara rob,poichè ora sono sanremese e poco seria mi riservo di inserire domani il mio commento sul bel post su Flaubert – e la mia versione italiana- ed anche il mio pensiero sul precedente post su poesia e traduzione.
ti abbraccio
Inserisco la traduzione letterale del brano(ovviamente, non avendola riportata da una traduzione pubblicata, è piuttosto imperfetta).
” Lo aveva posato sull’erba per rinfrescarlo, si assentò un minuto e, quando ritornò, nessun pappagallo! All’inizio lo cercò nei cespugli, sul bordo dell’acqua, e sui tetti, senza ascoltare la sua padrona che le gridava: “Fate attenzione, dunque! Siete folle!” Poi ispezionò tutti i giardini del Ponte l’Eveque; e fermava i passanti. “Non avreste, per caso, visto qualche volta il mio pappagallo?” A coloro che non conoscevano il pappagallo, ne faceva la descrizione. Improvvisamente credette di distinguere dietro i mulini, ai piedi della costa, una cosa verde che volteggiava. Ma in cima alla costa, nulla!
Alla fine rientrò sfinita, con le ciabatte a brandelli, e la morte nell’anima; e, seduta in mezzo alla panca, vicino alla Signora, raccontava tutti i suoi tentativi, quando un peso leggero le si posò sulla spalla. Loulou! Che diavolo aveva fatto? Forse era andato a fare un giro nei dintorni!
Ella stentò a riprendersi, o meglio, non si riprese mai”.
Cara Francesca Giulia, non c’entra nulla con Flaubert, ma dimenticavo sempre di dirti che nel proverbio ” When the cat is away, then the mice will play”, MICE è un plurale irregolare: A MOUSE, TWO MICE ( non prende la “s”).
Ciao un abbraccio poi mi fai sapere della traduzione di UN COEUR SIMPLE, se ti piace e se puoi inserirne una versione “pubblicata”.
Nel testo in francese ho inserito “derrère” anziché “derrière”=dietro.
ecco la traduz. del brano da Un cuore semplice:
Félicité l’aveva deposto sull’erba per rinfrescarlo,si assentò un minuto e, quando tornò, niente più pappagallo!In principio cominciò a cercarlo fra i cespugli in riva al fiume o sopra ai tetti, senza prestare ascolto alla padrona che le diceva:”State attenta!siete impazzita!”. Successivamente ispezionò tutti i giardini di Pont-l’éveque; fermava i passanti: “Avete visto per caso il mio pappagallo?”.A quelli che non lo conoscevano ne dava una descrizione.D’un tratto, credette di distinguere,dietro i mulini,ai piedi della costa,qualcosa di verde che volteggiava. Ma giunta in cima alla costa,niente!…………………………..
Alla fine tornò a casa,sfinita, con le ciabatte ridotte in brandelli e la morte nell’anima;seduta sulla panca,accanto alla Signora,stava raccontando tutte le sue traversie,quando un leggero peso le piombò sulla spalla: Lulù! Che diavolo aveva fatto? Forse se ne era andato un pò in giro nei dintorni!
Félicité faticò a rimettersi,o meglio non si rimise mai più.
traduz. di Ottavio Cecchi e Maurizio Grasso
in Madame Bovary e tre racconti, con un saggio di Proust
Questo racconto insieme agli altri due è considerato il vertice dell’arte di Flaubert, esempio di lirica semplicità di un’umile realtà quotidiana della vita della protagonista e del suo rapporto commovente con il suo pappagallino.
cara rob,mi piace la tua traduz, il racconto è veramente da consigliare a chi non lo avesse letto!
Inoltre volevo aggiungere al discorso fatto da te sulle traduzioni in poesia. Abbiamo sottolineato della difficoltà e dell’impegno del traduttore in genere,ma credo che questo problema si manifesti ancor più per la poesia,dove incontriamo lo scoglio fra la scelta di essere fedeli al testo originale e nello stesso tempo l’impegno a cercare di mantenere la bellezza dei versi,queste due cose non sempre coincidono,purtroppo talvolta proprio perchè il traduttore è anche poeta egli stesso rischiamo di trovarci di fronte ad “altra “cosa rispetto all’originale. Magari anch’essa stupenda lirica ma non più la stessa,in certe occasioni tale è la bravura e l’altezza poetica del traduttore tale sarà la resa del lavoro fatto,e senza questo sforzo noi non avremmo mai potuto leggere opere scritte in lingue che non conosciamo,ma quando possibile consiglio sempre di leggere anche il testo originale. C’è in esso una musicalità della prole e del verso che resta intraducibile.
un abbraccio
“delle parole”
@ Roberta e Francesca Giulia.
Grazie!!!
Vi leggo con piacere e gioia.
bentornato caro massimo!
un saluto e buona domenica a tutti.
Che bello quest’episodio di Flaubert! Come si sbagliava chi lo ritenne una persona cinica e fredda…
Se leggete la carinissina autobiografia della Christie, vedrete che Agatha da piccola subì lo stesso trauma della protagonista di UN COEUR SIMPLE: smarrì il canarino. Lo cercò un’intera giornata insieme alla nurse e, dopo un giorno intero di stanchezza e pianti, Dickie – credo si chiamasse così – venne giù svolazzando dal bastone della tenda…
L’autobiografia è pubblicata da Mondadori e si chiama LA MIA VITA.
@maria lucia grazie di venire qui a trovarci ogni tanto,non sapevo della Christie,narrare i sentimenti semplici è molto difficile,credo forse più dei sentimenti forti che si lasciano narrare da sè,in questo Flaubert è stato un maestro.
un saluto affettuoso
@Maria Lucia
anch’io ti ringrazio perché ci leggi sempre::)) Credo che andrò a cercare l’autobiografia di Agatha Christie che ci hai segnalato.
Ci sono dei brani strepitosi in questo racconto: anche quello in cui la famigliola è rincorsa dai buoi… e poi Félicité che fa imbalsamare il pappagallino e le sue visioni quando è in fin di vita…
Eh, non sapevo si dicesse di Flaubert che era un cinico e un freddo…Mah.
un saluto affettuoso anche da parte mia:)
@ Francesca Giulia
Inseriamo un altro breve brano, che ne dici?
@roberta certo mia cara,domani mattina sono qui!Mi piace molto la parte in cui la protagonista fa impagliare il pappagallo.
@roberta certo mia cara,domani mattina sono qui!Mi piace molto la parte in cui la protagonista fa impagliare il pappagallo.
@roberta accidenti:c’è stata un’interferenza!
baci
Va bene, allora. Domani lo cerco e lo inserisco.
Un abbraccio:)
Ah, eri tu Emma Bovary? Beh, qui parlaimo di Flaubert..
Abbiamo anche dialogato un pò “mascherate”: mi hai riconosciuto?
Ciao:)
gretel?
gretel?
Hi, translaters!
Please treat me right…
A big hug from me and Mr. Darcy…
Ciao, Lizzy Bennet,
we’ll treat you right, of course!
A big hug to you, too! If you and Mr. Darcy want to join us sometimes, you’ll be welcome:)
@Francesca Giulia: certo, Gretel..:)
@roberta mi piace in modo particolare da qui: (Un cuore semplice)
Poco primache Lulù muoia e venga impagliato.
………….Avevano dei dialoghi,lui sillabando a sazietà le tre frasi del suo repertorio,lei rispondendo con parole senza più costrutto,ma nelle quali effondeva tutto il suo cuore.Nel suo isolamento Lulù era quasi un figlio,un innamorato.Scalava le sue dita,le mordeva le labbra,le artigliava lo scialletto e ,quando lei chinava la fronte scrollando il capo alla maniera delle balie,le grandi ali della cuffia e le ali dell’uccello fremevano insieme.
non è delicatissima questa descrizione?sembrerebbe che si stesse parlando di due innamorati che vibrano all’unisono dello stesso sentimento….
aspetto la tua versione originale,quando potrai.
bacissimi
” Ils avaient des dialogues, lui débitant à satiété les trois phrases de son répertoire, et elle y répondant par des mots sans plus de suite, mais où son coeur s’épanchait. Loulou, dans son isolement, était presque un fils, un amoureux. Il escaladait ses doigts, mordillait ses lèvres, se cramponnait à son fichu et comme elle penchait son front, en branlant la tete à la manière des nourrices, les grandes ailes du bonnet et les ailes de l’oiseau frémissaient ensemble”
da “Un coeur simple” di Gustave Flaubert.
(MANCA IL CIRCONFLESSO SU: TETE)
Sì, in questo racconto di Flaubert, così come in tutti i suoi scritti, non è soltanto il carattere del personaggio principale, Félicité, che è descritto in maniera tale da non poter essere dimenticato, ma è anche l’uso delle parole che è in grado di rendere in modo perfetto la “visualizzazione” della scena.
Si dice di questo scrittore, “contrapponendolo” spesso a Balzac, che scriveva “di getto”- per lo stile diverso dei due grandi romanzieri, che il suo “culto della FORMA” sia il corrispettivo del culto della forma nei poeti Parnassiani. E in effetti ci si potrebbe chiedere: quanto è importante per uno scrittore il TEMPO che egli impiega per la scrittura di un’opera?
Non prendendo come esempio Balzac( che è un genio assoluto), quanto è giusto il “rimaneggiamento” e la cura della FORMA in un’opera letteraria? Flaubert pare non riuscisse, nemmeno dopo cinque anni, a dare una versione definitiva di “Madame Bovary”, tanto che, a parte la celebre frase, spesso erroneamente interpretata: “Madame Bovary c’est moi”, cominciava a non amare troppo il suo personaggio.
Ricordo di quel romanzo la descrizione della “torta di compleanno” della figlioletta: nei manuali è riportata come esempio di perfezione dello “stile realistico”. La torta in sè, a quel punto, non ha importanza per lo sviluppo della storia, né quello che viene chiamato “bovarismo” ha a che fare con la descrizione di tale oggetto; eppure il risultato finale che ne deriva è proprio questo: una quasi totale identità tra FORMA e CONTENUTO, tra forma e sostanza.
Si potrebbero riportare, per tentare di dare una risposta al quesito( quesito che peraltro tormenta tutti gli scrittori, credo) due brani e metterli a confronto: 1) la descrizione che Balzac fa di Madame Vauquer in “PèRE GORIOT”( oppure un altro esempio in Balzac); 2) la descrizione di un personaggio in Flaubert.
Inoltre si potrebbe inserire una descrizione di Emile Zola (?).
E’ solo il tempo che mi manca.
Un abbraccio
cara rob,ho pensato per te:per l’accento circonflesso o vai sulla barra menu: inserisci: a destra dovrebbe aprirsi una piccola schermata con “simboli” lì trovi il circonflesso,altrimenti dal pannello controllo: opzioni:cambia lingua straniera potresti inserire :lingua francese,ma è una procedura più lunghetta. Non so se riesco a rendermi utile,altrimenti scrivi senza circonflesso che tanto ci capiamo lo stesso! 🙂
a domani cara amica di mouse
Cara Frances, nella mia “barra menù” non trovo i “simboli” che di solito trovo quando scrivo su word. Per ora dovrò fare a meno degli accenti circonflessi, anche se mi “irrita” moltissimo non poterli mettere…
Posso “ovviare” riportando qui le ultime quattro righe da: “THE DEAD” di James Joyce ( tratto da “Gente di Dublino”) Esiste un bel film di John Huston che è tratto da questo racconto; se vuoi ne parliamo( anche se qui in questo spazio io tendo a fere molti “pastiches” e non esiste molte volte un “filo conduttore”…) Ho preso in mano questo volume poco fa e così ho pensato di riportare il breve brano; ma possiamo riportarne altri.
Ciao, un abbraccio
” His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead”.
“E l’anima lenta gli svanì nel sonno mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo, lieve come la discesa della loro ultima fine su su tutti i vivi, su tutti i morti”.
TRADUZIONE di Franca Cancogni. Edizioni Einaudi Tascabili- Serie Bilingue-
Bellissimo… anche se non commento sempre, vi leggo comunque… macte à les translaters!!!
Grazie, Maria Lucia, sei molto cara. Vorrei aggiungere un altro brano da questo bellissimo racconto di Joyce. Sono contenta che ti piaccia.
A me fa molto piacere se hai suggerimenti o se vuoi inserire qualcosa tu su autori che ami ( mi sembra di aver capito Jane Austen?) e ne parliamo.
Un abbraccio
Ps: aspettiamo di leggerti anche sullo spazio creativo:)
@roberta ok,non ti preoccupare per i circonflessi,io ci ho provato perchè ho capito che sei una che ama la precisione,magari vengo lì in terra sarda e cerchiamo di risolvere! 🙂
stupende le righe di Joyce,questa neve che tutto ricopre leggera inesorabile,rende tutti uguali,tutto livella e l’anima vola via….
molto poetico pur essendo narrativa.
un abbraccio a te e anche a maria lucia che ci viene sempre a trovare.
@rob “nel sonno” non c’è in lingua originale?secondo te si presume dal verbo swooned?
grazie
si desume
buon nuit
Sì, hai ragione: ho con me in questo momento un dizionario troppo piccolo e non ho trovato questo verbo. Letteralmente dovrebbe essere ” la sua anima svanì lentamente”, perché non c’é un aggettivo riferito a “anima=soul”, ma c’è l’avverbio SLOWLY=lentamente. Siccome nell’ ultima pagina del racconto questo personaggio si addormenta, forse “nel sonno” c’è per questo motivo; ma cercherò meglio il verbo “to swoon”, che forse implica in sè l’idea di addormentarsi. Avrei forse dovuto mettere un brano più lungo: lo farò. Hai visto il film di John Huston?
Ciao, buonanotte:)
Non lo ricordo molto bene il film, c’era Anjelica Houston? Mi pare sia stato uno degli ultimi film o addirittura l’ultimo che lui girò prima di morire. Mi ricordi qualche scena?E’ chiaramente un omaggio a Joyce.
Certamente il traduttore avrà scelto “nel sonno” perchè indicato dal contesto dello svolgimento della storia anche se non esplicitamente presente come termine.
grazie sempre rob!
cara rob poichè parliamo di Joyce ti trascrivo una poesia che ha nel tema qualcosa che si lega molto bene alle righe del brano che hai riportato tu sopra.
…………………..
Amata,di quella sì dolce prigionia
la mia anima è lieta…
Tenere braccia che inducono alla resa
E vogliono essere strette,
Sempre così mi trattenessero,
Felice prigioniero sarei!
Amata quella notte mi tenta
Che nel tremante viluppo delle braccia,
In alcun modo gli allarmi
Possano turbarci ma il sonno
A più sognante sonno si sposi e l’anima
Con l’anima giaccia prigioniera.
Of that so sweet imprisonment
My soul,dearest,is fain-
Soft arms that woo me to relent
And woo me to detain.
Ah,could they ever hold me there,
Gladly were I a prisoner!
Dearest,through interwoven arms
by love made tremulous,
That night allures me where alarms
Nowise may trouble us
But sleep to dreamier sleep be wed
Where soul with soul lies prisoned.
@Cara Franci
cercherò di collegarmi stasera. Per il momento ti ringrazio molto.
Un abbraccio
Cara Franc,
ho cercato il verbo TO SWOON: il dizionario riporta: “venir meno”; “svenire”; “andare in estasi”; l’idea del sonno, quindi, è un’interpretazione del traduttore, credo, visto che un paio di pagine( e non solo queste ultime righe del racconto) sono dedicate al momento in cui i due coniugi, dopo aver trascorso il capodanno a casa delle care zie, ripensano al passato, prima di addormentarsi.
Il film è molto bello( sì credo l’ultimo di John Huston e la protagonista è Angelica, sua figlia). Il titolo “THE DEAD”, quando avevo visto il film( e avevo 23 anni) sembrava suggerire l’idea di persone che erano “morte dentro”, nel senso di non aver ceduto alle passioni (la protagonista racconta a suo marito di un suo amore giovanile e il ragazzo, non potendola amare perché lei doveva partire per non so dove, si era lasciato morire); per molti anni, quindi, ho pensato che il significato fosse quello. Ed è il film che mi ha “sviato”. Certo in “GENTE DI DUBLINO” ci sono molte “vite negate”, però, rileggendo alcune parti del racconto mi sono convinta che “I MORTI” è un racconto sui “cari” morti, quelli morti davvero. Ora cerco qualche punto del testo che confermi o la mia prima idea o la seconda ( io certe volte mi faccio idee sbagliate su quello che leggo, a seconda che mi “convenga” capire una cosa piuttosto che un’altra; per esempio per anni, dopo aver letto MOBY DICK due volte, ho avuto sempre in mente che Melville parlasse della “natura violata”; ma ci sono riferimenti al Leviatano della Bibbia e forse Melville non era così “ambientailsta” come lo vedo io. La questione è evidentemente ben più complessa e dovrei rileggere anche Moby Dick – cosa non mi dispiacerebbe affatto- tranne il capitolo che si intitola “CETOLOGIA”= quello lo salterei…., visto che Melville è uno degli scrittori che amo di più).
Se tu conosci e hai letto tutto il racconto di Joyce, puoi dare una tua versione del significato. In genere la Yourcenar DETESTAVA letteralmente i lettori che vedono nei testi quello che vogliono vederci (lei diceva che sono tutte forme di insopportabile “egocentrismo” 0 “egotismo” e aveva ragione); perciò io cercherò di trovare il significato del titolo del racconto di Joyce cercando di allontanarmi dalla MIA idea e trovando l’idea dello scrittore.
Ps: la poesia, molto bella, mi sembra più sull’amore che sul sonno. Ma infatti sono spesso le PAROLE che incontriamo in un testo( il racconto THE DEAD) a farcene venire in mente un altro ( la poesia da te riportata) .Non sapevo che Joyce scrivesse anche poesie. Franci, non ha il titolo? Sai da quale raccolta è tratta?
Nella poesia che hai riportato la notte+ il sonno accompagnano gli amanti felici; nel racconto di Joyce ( ma mi rendo conto che ho inserito troppo poco perché si capisca) il ricordo del giovane Michael Furey morto per lei fa “allontanare” Gretta da suo marito Gabriel e lei si addormenta dopo aver pianto; a quel punto Gabriel pensa alla vita e alla morte, mentre la neve ricopre tutto.
cara rob,il titolo della poesia è “Amata,di quella sì dolce prigionia”
Of that so sweet imprisonment dovrebbe essere tratta da Musica da camera XXII.
Sì Joyce ne ha scritte diverse e anche molto belle,spesso autori che conosciamo solo per la prosa magistrale hanno espresso il pensiero poetico in manierea meravigliosa e meno diffusa,perciò per quel che posso,mi pregerò di inserire qualche poesia ogni qual volta tu parlerai di autore interessanti se ti fa piacere.Sai che io nel mio piccolo adoro “poetare”…
Comunque è sull’amore,ma le parole usate in alcuni versi mi suggerivano un’atmosfera di quiete pari a quella del sonno,perciò mi piaceva fartela leggere.
grazie per la spiegazione sul termine swoon, avevamo ben intuito quindi che era stata un’interpretazione del traduttore, naturalmente leggendo tutto il contesto sarebbe stato più evidente,ma grazie a te ci capiamo un pò di più!
Anch’io spesso cado nell’errore detestato dalla Yourcenar,perchè soggettivizzo molto ciò che leggo,tu hai ragione che bisognerebbe attenersi all’intenzione profonda dell’autore ma fra emittente e ricevente il messaggio spesso muta in qualsiasi forma di comunicazione,che è libera ed emozionante proprio perchè ognuno di noi possa leggerci ciò che più si attiene al proprio animo e alla propria sensibilità.Un pò ci attieniamo e un pò “sbagliamo” prendendo ciò che piace e serve.
un bacione
Franci, sono contentissima che tu abbia inserito la poesia di Joyce e se lo farai ancora, te ne sarò grata. Intanto cerco anche la sua produzione poetica, grazie a te.
Sì, lo so che ami molto la poesia e in questo ti seguo molto, perché anch’io la amo. Ma ne conosco di meno, forse.
Eh, la Yourcenar era “terribile” in questo: perché in effetti molte volte “distorcevano” il significato dei suoi libri ( che lei impiegava non so quanto a scrivere e a rimaneggiare) e questo la irritava. E poi se la prendeva un pò per l'”egocentrismo” in generale: nei saggi dice che trovava così irritante incontrare a una festa una persona che cominciava ( CONTINUAVA…) con “Io….. io …..io “. Non le si può dare torto, in effetti: me mi avrebbe trovato “insopportabile”.
Cerchiamo il significato di “THE DEAD”? Va bene?
Perché non inserisci un’altra poesia dalla raccolta della Musica da Camera XXII ?
un abbraccio anche a te:)
Faccio una premessa: la musica ha nella vita e nelle opere di Joyce un’importanza nodale,il titolo di questa raccolta poetica giovanile non è casuale. Joyce da ragazzo desiderava diventare un tenore,ma si dimostrò essere molto riottoso allo studio della musica e si rifutò più volte di leggere gli spartiti. Ebbe però in un’occasione di un concorso una medaglia dal celebre Luigi Denza,il compositore della “nostra” famosa “Funiculì funiculà”.Tutta la sua opera è plasmata dal senso della musica,nella raccolta giovanile di poesie la trama come uno spartito e le parole musicali hanno attratto l’attenzione di più di un musicista dei suoi tempi.
ne metto volentieri un’altra…
la dedichiamo alle donne……
L’amor mio è vestita di luce
……………………………………
L’amor mio è vestita di luce
In mezzo ai meli
Dove i lieti venti più bramano
Di correre insieme.
Là dove i venti lieti restano un poco
A corteggiare le giovani foglie,
L’amor mio va lentamente, china
Alla propria ombra sull’erba;
Là, dove il cielo è una coppa azzurrina
Rovescia sulla terra ridente,
Va l’amor mio luminoso, sostenendo
Con garbo la veste.
My love is in a light attire
Among the appletrees
Where the gay winds do most desire
To run in companies.
There,where the gay winds stay to woo
The young leaves as they pass,
My love goes slowly,bending to
Her shadow on the grass;
And where the sky’s a pale blue cup
Over the laughing land,
My love goes lightly,holding up
Her dress with dainty hand.
Bellissima poesia, Francesca Giulia. Grazie.
cara rob che ne pensi del “in a light attire” tradotto “vestita di luce”?
bacioni
grazie massi….anche di aver fatto una capatina qui!
bacioni
Sì, bella poesia, avete ragione.
cara Franc,
come sempre il testo è “cambiato”. Non ho trovato su questo dizionario che ho qui il termine “attire” che dovrebbe essere un sostantivo a cui l’aggettivo LIGHT si riferisce. Non credo che LIGHT qui sia il sostantivo LUCE; credo che sia aggettivo= leggero, luminoso, forse. Dovrei avere il mio dizionario di sempre e qui non ce l’ho.
Sto pensando ( ma boh..) che se il termine ATTIRE viene ( com’è probabilissimo, visto che moltissimo lessico dell’inglese ha una derivazione neolatina-dal francese più che dal latino direttamente, per ragioni storiche) deriva dal verbo francese ATTIRER= attirare+ attrarre+ anche SEDURRE; l’espressione IN A LIGHT ATTIRE potrebbe significare= “il mio amore è in un luminoso atteggiamento che attrae”, che seduce, SEDUCENTE, sotto una “luce attraente”, quindi, guardata dall’amato attraverso i rami e le foglie degli alberi in cui filtra la luce che illumina l’amata(=my love). Ma la stessa amata potrebbe essere vista sotto quella “luce” dall’amore di chi la osserva, che è innamorato, evidentemente; credo che l’espressione sia volutamente ambigua.
Non ho mai scritto versi in metrica, so solo ri-conoscerli e non saprei rendere il verso in poesia, nel tradurlo. Capisco direttamente in inglese ( e qui la traduzione non la farei…ma che bella scoperta da parte mia, vero??) che l’intero verso vuol dire “Il mio amore è sotto una luce seducente”; eh, ma infatti non sono una traduttrice..
Di chi è la traduzione di questa raccolta di Joyce, Franci?
Grazie per averla inserita, anche perchè mi dà l’occasione di riflettere su tante cose.
Un bacione
Aggiungo, prima di chiudere: lo schema delle quartine è: a-b-a-b; c-d-c-d; e-f-e-f : in italiano non c’è rima( che sarebbe difficile credo rendere uguale in italiano)forse “attire” è stato inserito perchè dopo c’è “desire”( spero di non aver detto un’altra fesseria..).
Un’altra cosa; poi a domani, spero:
i versi “BENDING to / the shadow on her grass”: perchè traducono “bending”(= present progressive) con un participio passato(= china) anziché con un gerundio( =piegandosi)?
Anche “rovescia” (che è verbo?) nel testo non c’è; nel testo c’é OVER= sopra, su; quindi sarebbe: “Là, dove il cielo è una coppa azzurrina/
sulla terra ridente/ va l’amor mio luminoso”.
Ma ripeto, se non me l’avessi fatto notare tu, non ci avrei pensato, neppure a “in a light attire”, perché la poesia è bella anche in italiano ; in ogni caso chi traduce sa bene come riportare la poeticità del testo e in poesia è ancor più difficile renderlo.
I traduttori, che svolgono sapientemente il loro lavoro, come abbiamo scritto a lungo in questo post in cui alcuni sono intervenuti, conoscono tutti i metodi per tradurre e infatti esiste “la scuola per traduttori” che avrei voluto frequentare, ma che con evidenza (vedi appunto qui) non ho frequentato.
Un abbraccio
Cara Rob,come sempre apre la discussione ad interessanti interrogativi. La traduzione è di Alfredo giuliani,poeta scrittore e critico letterario del 1924 morto nel 2007,le cui poesie sono state raccolte nell’antologia “I Novissimi”,curata da lui, testo importante della neoavanguardia,in cui le sue poesie sono accanto a quelle di Sanguineti,Pagliarani e Porta. Come abbiamo più volte detto è fondamentale che il traduttore sia anche egli poeta,ma essendo tale non si limita a tradurre ma crea nuova poesia accanto all’originale,rispecchiandone il senso eppure creando qualcosa di nuovo;perciò bisogna dove la conoscenza della lingua lo ritenga possibile,leggere sempre anche l’originale.
Sicuramente il poeta nel testo originale si è posto la scelta delle parole per far combaciare i versi,oltre che per necessità espressiva del senso,ma io credo anche per conservare quel senso della musica che si perde un pò leggendo la traduzione-seppure belissima!-
Ho trovato sul mio dizionario un significato di to attire=vestire,abbigliare anche sinonimo di to adorn=adornare,perciò è consono alla traduzione.
Effettivamente l’uso di bending to come participio passato secondo me rende più leggera la figura dell’amata rispetto al gerundio che avrebbe appesantito il verso.
Vedi che cosa bella è la vita?Se avessi fatto la traduttrice di professione non ti saresti cimentata qui con me in questo gioco meraviglioso,perciò ciò che sembra un’occasione perduta nella nostra vita può essere vista al contrario come un’opportunità.
buona giornata
Sì, questo è vero, cara Franci, dico per le “opportunità” perse. E’ che tradurre ti fa leggere il testo con occhi diversi, e ti fa stare attento a particolari che altrimenti sfuggono anche ai lettori più esigenti.
Ho anch’io cercato il termine ATTIRE che come sostantivo significa “abbigliamento/abito” e come verbo ha il significato che hai inserito tu; quindi mi ero totalmente sbagliata ieri supponendo derivazioni dal francese ecc.. Il verso sarebbe infatti
, così come è nella traduzione, “in un abito di luce”.
Un abbraccio
Inseriremo altri testi di Joyce+ un altro brano da GENTE DI DUBLINO.
Avec plaisir,ma cherie.
Cara Franc,
ci sono due brani da “The dead” che vorrei inserire: uno è quello in cui Gabriel parla con la signorina Ivors dell'”amor patrio” per l’Irlanda; l’altro quello in cui la zia Julia canta, accompagnata al pianoforte, una canzone dolce che nel film di John Huston è molto commovente.
Riporto prima il secondo:
” A murmur in the room attracted his attention. Mr Browne was advancing from the door, gallantly escorting Aunt Julia, who leaned upon his arm, smiling and hanging her head. An irregular musketry of applause escorted her also as far as the piano and then , as Mary Jane seated herself on the stool, and Aunt Julia, no longer smiling, half turned so as to pitch her voice fairly into the room, gradually ceased. Gabriel recognized the prelude. It was that of an old song of Aunt Julia’s- ARRAYED FOR THE BRIDAL. Her voice, strong and clear in tone, attacked with great spirit the runs which embellish the air and though she sang very rapidly she did not miss even the smallest of the grace notes. To follow the voice, without looking at the singer’s face, was to feel and share the excitement of swift and secure flight. Gabriel applauded loudly with all the others at the close of the song and loud applause was borne in from the invisible supper-table. It sounded so genuine that a little colour struggled into Aunt Julia’s face as she bent to replace in the music-stand the old leather-bound-song-book that had her initials on the cover.”
da: James Joyce: The Dead- Einaudi Tascabili- Serie Bilingue- (segue traduzione di Franca Cancogni)
“Un mormorio in sala attrasse la sua attenzione. Dalla soglia veniva avanti il signor Browne a galante scorta di zia Julia che gli s’appoggiava al braccio sorridendo e chinando il capo. Una salva d’applausi li accompagnò fino al pianoforte e andò poi spegnendosi via via mentre Mary Jane s’accomodava sullo sgabello e zia Julia, senza più sorridere, si voltava a mezzo verso l’uditorio in modo da aggiungere alla voce maggior risonanza.
Gabriel riconobbe subito il preludio, quello di una vecchia canzone di zia Julia: ADORNA PER LE NOZZE. La voce forte e chiara di tono attaccò con brio i gorgheggi che abbellivano la melodia senza mancarne, nonostante la rapidità, la minima fioritura, e a seguirla, evitando di guardare la faccia della cantante, pareva di partecipare all’impeto di un volo rapido e sicuro. Alla fine del pezzo, Gabriel applaudì forte assieme agli altri, un nutrito applauso si partì anche dall’invisibile tavolata nella stanza di fondo e suonò così sincero che un pò di rossore salì al viso di zia Julia, intenta a riporre nello scaffale il vecchio volume di canzoni rilegato in cuoio, con le iniziali sulla copertina.”
” O, Mr Conroy, will you come for an excursion to the Aran Isles this summer? We’re going to stay there a whole month. It will be splendid out in the Atlantic. You ought to come. Mr Clancy is coming, and Mr Kilkelly and Kathleen Kearney. It would be splendid for Gretta too if she’d come. She’s from Connacht, isn’t she?
– Her people are, said Gabriel shortly.
– But you will come, won’t you? said Miss Ivors, laying her warm hand eagerly on his arm.
– The fact is, said Gabriel, I have already arranged to go –
– Go where? asked Miss Ivors.
– Well, you know, every year I go for a cycling tour with some fellows and so –
– But where? asked Miss Ivors.
– Well, we usually go to France or Belgium or perhaps Germany; said Gabriel awkwardly.
– And why do you go to France and Belgium, said Miss Ivors, instead of visiting your own land?
– Well, said Gabriel, it’s partly to keep in touch with the languages and partly for a change.
– And havent’t you your own language to keep in touch with – Irish? asked Miss Ivors.
Well, said Gabriel, if it comes to that, you know, Irish is not my language.
(…)
– And havent’you your own land to visit, continued Miss Ivors, that you know nothing of, your own people, and your own country?
– O, to tell you the truth, retorted Gabriel suddenly, I’m sick of my own country, sick of it!
– Why? asked Miss Ivors.
Gabriel did not answer for his retort had heated him.
– Why? repeated Miss Ivors.
They had to go visiting togetherand, as he had not answered her, Miss Ivors siad warmly:
– Of course, you’ve no answer.
gabriel tried to cover his agitation by taking part in the dance with great energy. He avoided her eyes for he had seen a sour of expression on her face. But when they met in the long chain he was surprised to feel his hand firmly pressed. She looked at him from under her brows for a moment quizzically until he smiled. Then, just as the chain was about to start again, she stood on tiptoe and whispered into his ear:
-West Briton!”
SEGUE TRADUZIONE
“- Ma perché Conroy, non ci venite anche voi alle isole Aran* quest’estate? Noi ci staremo tutto un mese. Sarà magnifico trovarsi laggiù in pieno Atlantico. Dovreste proprio venirci. verranno anche il signor Clancy e il signor Kilkelly e Kathleen Kearney…Anche a Gretta piacerebbe, ne sono sicura. E’ del Connacht, vero?
– La sua famiglia, sì, – tagliò corto Gabriel.
– Verrete allora? – ripeté con entusiasmo la ragazza posandogli la mano calda sul braccio.
– Il fatto è che avrei già in mente di andare…
– Andare dove?
– Sapete ogni anno combiniamo un giro in bicicletta con gli amici e…
– Ma dove?
– Be’, di solito in Francia o nel Belgio o magari in Germania… – rispose Gabriel imbarazzato.
– E perché ve ne andate in Francia o nel Belgio invece di visitare il vostro paese?
– Mah, così, un pò per tenermi in esercizio con le lingue e un pò per cambiare aria.
– E la vostra lingua, l’irlandese non vi basta?
– Be’, in quanto a questo allora vi dirò che l’irlandese non è la mia lingua.
(…)
– Non avete dunque il vostro paese da visitare, il vostro paese e la vostra gente che ancora non conoscete? – lo incalzò la signorina Ivors.
– oh, a dirvi la verità sono stufo del mio paese, stufo! – esplose Gabriel d’un tratto.
– E per quale ragione, sentiamo?
Ma Gabriel non rispose perché lo scatto improvviso gli aveva mandato il sangue alla testa.
– Per quale ragione? – insisté la Ivors.
La danza imponeva adesso la figura delle visite e siccome egli continuava a tacere la Ivors disse con calore:
– Non avete nulla da rispondermi, naturalmente.
Gabriel cercava di nascondere il suo turbamento partecipando alla danza con grande energia. Evitava però d’incontrare gli occhi della ragazza in cui leggeva il risentimento; e quando così si ritrovarono nella catena lo sorprese sentirsi stringere forte per mano. Ella lo guardò per un istante con aria enigmatica finché lui non smise, poi, proprio mentre la catena stava per riprendere, s’alzò in punta di piedi e gli sussurrò all’orecchio:
– Anglofilo!”
*una nota a piè di pagina dice che le isole Aran erano meta di pellegrinaggio da parte di fautori dell’Irish Revival.
Nel testo in italiano la frase “UNTIL HE SMILED” è tradotta con “FINCHE’ LUI NON SMISE”- hai notato? Mi chiedo perché.
Sopra nel testo in inglese ho scritto “siad” per “said”.
Molto bello questo brano,il dialogo è scorrevole e descrittivo dei personaggi,”ripeté con entusiasmo la ragazza posandogli la mano calda sul braccio”, eagerly ad esempio nella traduzione è riferito a “ripetè con entusiasmo” ma secondome potrebbe essere riferito tranquillamente al modo in cui lei posa la mano sul braccio,infatti nel suo significato è anche desideroso, bramoso,quindi fatto con desiderio. Sì ho notato la traduzione di “until he smiled”, come spesso abbiamo detto io e te, il traduttore si è riferito ad un contesto e non alla traduzione letterale del termine. Forse intendeva dire :finchè non smise di turbarsi perchè lui prima sorrideva ed ha concentrato in finchè non smise.Dovrei rileggeretutto il contesto che sinceramente non ricordo benissimo,comunque grazie per averlo riscritto.
Ciao, Franc. Sì, il termine EAGERLY è, come hai scritto tu, importante e ha tanti significati. Nel mio dizionario: “con impazienza”. Ma la ragazza, che porta una specie di “coccarda” sul petto a indicare la “fierezza” per sua appartenenza al movimento irlandese, poggia la sua mano sul braccio di Gabriel perché vuole convincerlo davvero affinchè lui e Gretta li raggiungano e si uniscano a loro; Gabriel, si dice un pò prima nel racconto, scrive articoli su un famoso giornale irlandese conservatore, il “Daily Express”( firmandosi solo con le sue iniziali, G.C.= Gabriel Conroy)che lei definisce “anglofilo” e gli chiede( prima del ballo) “Non vi vergognate?”- Lui risponde: “E perchè dovrei vergognarmi?”.
” I have found out that you write for “The Daily Express”. Now, aren’t you ashamed of yourself?”-
“Why should I be ashamed of myself? asked Gabriel, blinking his eyes and trying to smile.(=sbattendo le palpebre e cercando di sorridere)
-Well, I’m ashamed for you, said Miss Ivors frankly. To say you’d write for a rag like that. I didn’t think you were a West Briton.”
(= “Vuol dire che allora mi vergognerò io per voi,-dichiarò la signorina Ivors con franchezza- Pensare che scrivete per un giornale simile. Non credevo che foste un anglofilo”).
Lei è animata da quello “spirito combattivo” che porta molte persone ideologicamente definite a non accettare le posizioni e le idee altrui.
Anche l’altra scena, il canto della zia Julia, è molto bella e John Huston ha reso questo racconto in maniera magistrale, secondo me.
Spinta dai suggerimenti di Gaetano ( che, sulla camera accanto n°9, parlando del romanzo di Massimo ricordava come anche Stevenson fosse stao “ispirato” da un sogno per il suo racconto) riporto in inglese il brano sui “folletti”= Brownies= l’ispirazione creativa (difficilmente definibile). Il testo in italiano è riportato nel post sulla Camera accanto n°9. (Se manca qualche riga non tradotta, la aggiungo).
“The more I think of it, the more I am moved to press upon the world my question: Who are the Little People? They are near connections of the dreamer’s, beyond doubt; they share in his financial worries and have an eye to the bank-book; they share plainly in his training; they have plainly learned like him to build the scheme of a considerate story and to arrange emotion in progressive order; only I think they have more talent; and one thing is beyond doubt, they can tell him a story piece by piece, like a serial, and keep him all the while in ignorance of where they aim. Who are they, then? and who is the dreamer?
Well, as regards the dreamer, I can answer that, for he is no less a person than myself;- as I might have told you from the beginning, only that the critics murmur over my consistent egotism;- and as I am positively forced to tell you now, or I could advance but little farther with my story. And for the Little People, what shall I say they are but just my Brownies, God bless them! who do one-half of my work for me while I am fast asleep, and in all human likelihood, do the rest for me as well, when I am wide awake and fondly suppose I do it for myself. That part which is done while I am sleeping is the Brownies’ part beyond contention; but that which is done when I am up and about is by no means necessarily mine, since all goes to show the Brownies have a hand in it even then”.
(da: “A CHAPTER ON DREAMS” di R. L. Sttevenson)
E’ bellissimo questo brano sui folletti!Penso anch’io come avete già detto che sia difficile nonchè superfluo definire esattamente questa o quella fonte di ispirazione,è sempre altro da sè ma è parte di sè,nella nebulosa del momento in cui spicca l’atto generativo e creativo non c’è solo sdoppiamento,ma fusione del sogno col sognatore. E’ il momento magico dello straniamento da cui tutto può germogliare,poi da risistemare con gran lavoro e per chi è più fortunato con l’ausilio di folletti!.
grazie a gaetano e rob, un bacione 🙂
Grazie:) !anche a te:) E’ vero.
Vuoi mettere la traduzione del pezzo mancante, se hai tempo?
rob,volentieri domani,ora devo andare al laboratorio di scrittura, appuntamento sacro…e spero di trovare tanti folletti ad attendermi!!
@ Francesca Giulia
Grazie a te. Un abbraccio e l’augurio di tuoi continui incontri con cari folletti laboriosi,
Gaetano
Va bene. Oggi ho il tempo e la inserisco io: prendo la traduzione del Brilli:
“Più ci penso e più sono spinto a chiedere: chi sono questi esserini? Essi sono dei parenti stretti del sognatore, senza dubbio: condividono le sue preoccupazioni finanziarie e tengono d’occhio il suo conto in banca; con ogni evidenza essi condividono il suo tirocinio; hanno imparato come lui a costruire l’impalcatura di una storia e a graduare l’emozione in ordine progressivo; solo penso che abbiano maggior talento. E una cosa è fuori di dubbio: essi sono in grado di raccontargli una storia pezzo per pezzo, come se fosse a puntate, pur tenendolo all’oscuro di come andrà a finire. Chi sono dunque costoro? E chi è il sognatore?
Bene, per quanto concerne il sognatore, posso darvi una risposta, perché altri non è se non io stesso; come d’altra parte avrei dovuto dirvi fin dall’inizio, se non fosse stato per certo mormorare dei critici circa il mio consistente egotismo, come è vero che sono costretto a dirvelo ora, pena il non poter proseguire questa narrazione. Quanto agli esserini, cosa dovrei dire che sono, se non i miei folletti, Dio li benedica! che svolgono al mio posto metà del lavoro mentre me la dormo come un ghiro, e come esseri umani fanno per me il resto, quando sono sveglio e sono convinto de eseguirlo io stesso? La parte che viene svolta mentre dormo è senza dubbio quella dei folletti; ma quella che viene tessuta quando sono desto è mia per forza, anche se tutto dimostra che anche in questa c’è il lro zampino”.
E’ molto bella la tarduzione,pensavo al termine “to arrange emotion”, mi viene in mente anche “orchestrare le emozioni “,accordare le emozioni proprio come se i folletti fossero tanti direttori d’orchestra che pensano a creare armonia mettendo in ordine un impulso emotivo di creazione che altrimenti porterebbe solo caos.
grazie a rob e un bacio
Sì, è vero. Credo che Stevenson, poi, dovesse “lottare” per ri-sistemare il tutto.
Grazie a te. Un abbraccio. Più tardi aggiungo il brano che ha inserito Gaetano, e che è immediatamente successivo a questo (il signifiacato è lo stesso) perché in effetti mi sono accorta che ne ho inserito un altro. Io “mi sveno”, come si suol dire, per Stevenson.
Aspetto tue nuove proposte o ( o altri che volessero proporcele).
Kisses:)
Ps: “lottare” con se stesso, volevo dire.
“Here is a doubt that much concerns my conscience. For myself- what I call I, my conscious ego, tha denizen of the pineal gland unless he has changed his residence since Decartes, the man with the conscience and the variable bank-account, the man with the hat and the boots, and the privilege of voting and not carrying his candidate at the general elections- I am sometimes tempted to suppose he is no story-teller at all, but a creature as matter of fact as any cheesemonger or any cheese, and a realistic bemired up to the ears in actuality; so that, by that account, the whole of my published fiction should be the single-handed product of some Brownie, some Familiar, some unseen collaborator, whom I keep locked in a back garret, while I get all the praise and he but a share (which I cannot prevent him getting) of the pudding. I am an excellent adviser, something like Molière’s servant; I pull back and I cut down; and I dress the whole in the best words and sentences that I can find and make; I hold the pen, too; and I do the sitting at the table, which is about the worst of it; and when all is done, I make up tha manuscript and pay for the registration(…)”
In questo brano si trova, secondo me, ancora una volta l’idea dello “sdoppiamento” che la scrittura presuppone: diventare “altro da sé”. Perché comunque Stevenson, nell’ultima parte, definisce se stesso come un “ADVISER= consulente- to ADVISE=consigliare; una sorta di “supervisore” ( = un Super-Io??) che “ricompone” ciò che “altri”( l’Inconscio?) hanno suggerito. Senonché questi “altri” sono, appunto, sempre lui.
All’inizio del brano l’autore utilizza per tre volte il termine che rimanda allo “stato cosciente”= CONSCIOUS EGO+ THE CONSCIENCE+MY CONSCIENCE. E si dice che egli non fosse del tutto all’oscuro delle teorie freudiane sulla psiche e nemmeno estraneo alle teoria evoluzionista di Darwin.
Gaetano, Francesca Giulia: correggetemi se sbaglio (sull’epoca della pubblicazone de “L’interpretazione dei Sogni”).
Riporto la traduzione qui di seguito.
Ps: forse ho riportato un brano troppo lungo. Ma trovo che sia così significativo.
“Quanto a me stesso – ciò che chiamo me stesso, il mio ego cosciente, l’abitatore della ghiandola pineale, a meno che dopo Cartesio non abbia cambiato posto, l’uomo con la coscienza e un fluttuante conto bancario, l’uomo con tanto di cappello e di stivali e il privilegio di votare e di non portare il proprio candidato alle elezioni generali – sono tentato talora di pensare che non sia affatto un narratore di storie, ma una semplice creatura come qualsiasi formaggiaio o come qualsiasi forma di cacio, e un realista immerso nell’attualità contingente fino alle orecchie; così che, di conseguenza, l’intera mia produzione narrativa che è stata pubblicata sarebbe il prodotto specifico di qualche folletto, di qualche intimo demone, di qualche invisibile collaboratore che tengo rinchiuso in soffitta, mentre io prendo tutti gli elogi e lui ( non potrei impedirglielo) solo una fetta della torta. Da parte mia, sono una suggeritore eccellente, un pò come il servitore di Molière; son io che taglio e respingo; e sono io che rivesto il tutto con le migliori frasi e parole che riesco a trovare e a fabbricare; sono io inoltre che stringo la penna , e io quello che sta a tavolino, che è la parte peggiore del lavoro; e quando è tutto finito, sistemo il manoscritto e lo faccio registrare (…)”
Ps: mi piace dedicare queste pagine di Stevenson a tutti coloro che traggono ispirazione dal profondo e la trasformano in scrittura.
( non è tra virgolette, quindi è una mia “dedica”).
Ho cercato qualche data, per curiosità:
1899: L’interpretazione dei Sogni di Sigmund Freud
1886: Pubblicazione de “Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr. Hyde
1859: Trattato sulla “Teoria della specie” di Charles Darwin.
Ora chiudo…Grazie. baci a tutti:)
@ Roberta
Il tuo lavoro di traduzione sul brano di Stevenson è molto interessante.
A un certo punto traduci con:
“… l’intera mia produzione narrativa che è stata pubblicata sarebbe il prodotto specifico di qualche folletto, di qualche intimo demone…”
.
Trascrivo dal risvolto di copertina dell’importante saggio di Hillman intitolato “Il codice dell’anima”:
.
“Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie – anche se talvolta simili passaggi possono sembrare casuali o irragionevoli? Se esiste, è il ‘daimon’, il ‘demone’ che ciascuno di noi riceve come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone. Se esiste, è ciò che si nasconde dietro parole come ‘vocazione’, ‘chiamata’, ‘carattere’. Se esiste, è la chiave per leggere il ‘codice dell’anima’, quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire ma che non sempre capiamo. (…) Hillman è riuscito a farci capire che se la psicologia si è dimostrata incapace di spiegare le scelte più profonde che decidono la vita di tutti noi è proprio perchè aveva perso contatto con il ‘daimon’. E soprattutto a farci sentire di nuovo la presenza di questo compagno segreto dal quale, più che da ogni altro elemento, la nostra vita dipende.”
.
Buonanotte Roberta,
Gaetano
@ Gaetano
Caro Gaetano, ti ringrazio ancora perché mi dai tanti spunti su cose che non conosco e che poi vado a cercare, come “Il codice dell’anima” di Hillman+ Buzzati e Borges.
Bellissimo il brano sul “daimon” che hai appena inserito.
Tutte le traduzioni da Stevenson che ho inserito in questa pagina non sono mie: le ho tratte dal volume Oscar Mondadori che ho citato sopra. Il volume è curato da Attilio Brilli, che in questa traduzione del Jekyll e Hyde è veramnte “mitico” ( abbiamo parlato un pò all’inizio di questo post delle due traduzioni di questo testo, quella Garzanti e questa). In questo volume, poi, si trovano anche “a Chapter on Dreams”+ “Il trafugatore di salme” – sempre con il testo a fronte+ alla fine uno scritto di Joyce Carol Otes ( che non conoscevo, ma ora so che è una scrittrice americana perché è nell’elenco del post letteratitudine book award).
Buonanotte anche a te+ mille grazie:)
caro gaetano e cara rob aggiungo qualcosa sul Daimon:La parola greca daimon (singolare di daimones) deriva da “daiomai”, che significa “dividere”, distribuire, assegnare, cedere. L’idea di un demone che fosse il costante compagno di una persona apparve nel V secolo a.C. in Esiodo, e il concetto che demone fosse la causa della felicità o dell’infelicità di una persona ebbe nei III secolo a. C. una diffusione molto ampia. I greci, fin dal IV secolo a.C., facevano sacrifici ad un demone “buono” (agatos), considerato lo spirito della casa. Platone usa la parola daimon con una certa ambiguità; in genere è sinonimo di Dio e talvolta con la sfumatura di un essere quasi umano. Nell’opera filosofica platoniana il Symposium, Diotima dice che Eros è un demone potente e che gli spiriti sono qualcosa tra Dio e l’umano.
Per voi il daimon cos’è? qualcosa di più divino o di umano?
Diotima ci dice questo : Al quesito di Socrate: “Che potere hanno essi, dunque?”, Diotima risponde: “Sono gli inviati e gli interpreti che vanno e vengono tra cielo e terra, volando in alto con la nostra venerazione e le nostre preghiere, e discendendo con le risposte e comandamenti divini”. Poiché si trovano fra le due situazioni essi fondono i due lati insieme e le incorporano in un grande tutto. Essi formano il mezzo delle arti profetiche, dei riti sacerdotali, di sacrifici, iniziazioni e incarnazioni, di divinazioni e di stregoneria; infatti il divino non si mescola direttamente con l’umano, ed è soltanto attraverso la mediazione del mondo della spirito che l’uomo, sveglio o dormiente, può avere qualche rapporto con gli dei. Vi sono molti spiriti e Eros (Amore) è uno di loro.
Direi che è molto Stevensoniana la spiegazione di Diotima, vero che è bellissima?
un bacio e buonanotte
Per chiudere anche se solo per stasera poi spero che domani continuiamo a dialogare…Platone, nell’opera Timeo, enuncia la sua dottrina secondo la quale ogni persona possiede un daimon divino, che è la componente più nobile della sua psiche. Ogni essere umano che cerca la saggezza divina alimenta il suo daimon, mentre la comunicazione e la superficialità lo sminuiscono.
Io spero che stanotte in sogno mi venga a trovare il mio e mi racconti qualcosa di magico!
baci
Che livelli di discussione! Bellissimo e bravi…
cara maria lucia grazie, il tuo daimon lo hai conosciuto?di che natura è?
un abbraccio
Francesca, bellissimo l’approfondimento sul “daimon”+ Platone.
Per rispondere alla tua domanda: per me il “daimon” non ha molto dell’umano. Se lo si intende, come per chi scrive o produce qualcosa di artistico, come “fonte di ispirazione”, mi pare abbia origine nel divino (penso al Romanticismo).
Nelle persone “normali”, non artiste, non so se è facilmente individuabile. Forse è quel sentimento che ti spinge ad essere in un modo piuttosto che in un altro, è quello il tuo “demone”. Non so.
Grazie+baci.
@ Roberta, Francesca Giulia, Gaetano
Grazie per la bellissima discussione.
il mio grazie personale a te massi per avermi dato nuovi amici con cui dialogare in modo così proficuo.
un bacio a rob
Nel post sulla poesia si parla dell’importanza dei versi e poi c’è il post sui dolori dell’anima,perciò ho pensato di inserire questa bellissima poesia di Alfred De Musset sulla tristezza.
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J’ai perdu ma force et ma vie,
Et mes amis et ma gaieté;
J’ai perdu jusqu’à la fierté
Qui faisait croire à mon génie.
Quand j’ai connu la Vérité,
J’ai cru que c’était une amie ;
Quand je l’ai comprise et sentie,
J’en étais déjà dégoûté.
Et pourtant elle est éternelle,
Et ceux qui se sont passés d’elle
Ici-bas ont tout ignoré.
Dieu parle, il faut qu’on lui réponde.
Le seul bien qui me reste au monde
Est d’avoir quelquefois pleuré.
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Ho perso la mia forza e la mia vita,
E i miei amici e la mia allegria,
ho perso persino la fierezza
che faceva credere al mio genio.
Quando ho conosciuto la Verità,
ho creduto che fosse un’amica;
Quando l’ho capita e sentita,
ne ero già disgustato.
E tuttavia è eterna,
E quelli che ne hanno fatto a meno
hanno ignorato tutto.
Dio parla,bisogna rispondergli.
Il solo bene che mi resta al mondo
E’ di aver pianto qualche volta.
Il poeta ebbe una vita tormentata dalle necessità economiche dopo la morte del padre,dall’alcolismo e dalla passione turbolenta per George Sand.La malattia prosciugò il suo genio e morì nell’oscurità nel 1857.La sua poesia nasce dal profondo del cuore per parlare al cuore,la sua forza è data dal credere all’immortalità dell’anima.
Auguro un buon inizio di settimana a tutti.
Ciao, Francesca Giulia
grazie per la scelta di questo testo di De Musset. Ha molto a che fare sia con la poesia (evidentemente..) che con il malessere esistenziale.
Triste, però, quando un artista scrive:
“J’ai perdu jusqu’à la fierté
Qui faisait croire à mon génie.”
Certe volte gli scrittori, i poeti, i romanzieri o gli artisti in generale soffrono molto ( penso a Van Gogh, per esempio). C’è forse da chiedersi: soffrono perché sentono che le loro opere sono geniali eppure incomprese, oppure per questioni della vita?
Riporto qui sotto ( a proposito di poeti “tormentati”) un testo di Paul Verlaine+ ti ringrazio ancora per lo spunto..
Paul Verlaine: MON REVE FAMILIER= IL MIO SOGNO FAMILIARE
“Je fais souvent ce reve étrange et pénétrant
D’une femme inconnue , et que j’aime, et qui m’aime,
Et qui n’est, chaque fois, ni tout à fait la meme
Ni tout à fait une autre, et m’aime et me comprend.
Car elle me comprend, et mon coeur transparent
Pour elle seule, hélas! cesse d’etre un problème
Pour elle seule, et les moiteurs de mon front bleme,
Elle seule les sait refraichir, en pleurant.
Est-elle brune, blonde ou rousse? — Je l’ignore.
Son nom? Je me souviens qu’il est doux et sonore
Comme ceux des aimés que la Vie exila.
Son regard est pareil au regard des statues,
Et, pour sa voix, lointaine, et calme, et grave, elle a
L’inflexion des voix chères qui se sont tues. ”
Riportiamo dopo la traduzione ( se ce l’hai anche tu).
Ma prima: sappiamo quale sofferenza aveva causato a Verlaine la sua relazione con Rimbaud. Tuttavia, se pensassimo che questo è un sonetto “d’amore”, temo che potremmo sbagliarci.
Chi sono, infatti, “CEUX QUE LA VIE EXILA”?= “Coloro che la Vita esiliò”?
La Vita è scritta con la maiuscola.
Forse sono i poeti come De Musset?
Non ho trovato un’edizione con la traduzione. Ne inserisco una senza pretese, giusto per dare il senso.
“Faccio spesso questo sogno strano e penetrante
Di una donna sconosciuta, e che mi ama, e che amo,
E che non è, ogni volta, né del tutto la stessa
Né del tutto un’altra, e mi ama e mi capisce.
Perché lei mi capisce, e il mio cuore trasparente
Per lei sola, ahimé, smette di essere un problema
Per lei sola, e i sudori della mia fronte pallida,
Lei sola li sa rinfrescare, piangendo.
E’ bruna, bionda o rossa? – Lo ignoro.
Il suo nome? Mi ricordo che è dolce e sonoro
Come quelli degli amati che la Vita esiliò.
Il suo sguardo è simile allo sguardo delle statue,
E, per la sua voce, lontana, e calma, e grave, lei ha
L’inflessione delle voci care che hanno taciuto”
Il sonetto è il VI° dei POèMES SATURNIENS- 1866-
Ps: nel testo in francese mancano gli accenti circonflessi su: REVE+ MEME+ETRE+ BLEME+ REFRAICHIR.
Cara rob è molto bella e credo anch’io che il riferimento sia all’animo inquito dell’artista,del resto poeta maledetto verlain che ha fatto conoscere gli altri poeti maledetti come Rimbaud,Baudelaire,Mallarmè.Apre la strada al simbolismo,ma sopratutto la sua poesia è legata indissolubilmente alla musica,tant’è che ce ne parla in una poesia dove ci spiega l’arte poetica.Sillabe dispari,assonanze e richiamo alla musica. La poesia è “Art Poetique”.
“De la musique avant toute chose,
Et pour cela préfère l’Impair,
Plus vague et plus soluble dans
l’air,
Sans rien en lui qui pèse pu qui
pose…
Rien de plus cher que la chanson
grise
Où l’Indécis au Précis se joint…
Car nous voulons la nuance
encor,
Pas la Couleur, rien que la
nuance!
Oh! La nuance seule fiance
Le rêve au rêve et la flûte au
cor!…
Prend l’éloquence et tords-lui
son cou!…
De la musique encore et
toujours!
Que ton vers soit la chose
envolée
Qu’on sent qui fuit…
Que ton vers soit la bonne
aventure
Eparse au vent crispé di matin
Qui va pleurant la menthe et le
thym…
Et tout le reste est littérature.”
« Different ApproachesSick, Sick, Sick »Paul Verlaine – Art Poétique
Art Poétique
De la musique avant toute chose,
Et pour cela préfère l’Impair
Plus vague et plus soluble dans l’air,
Sans rien en lui qui pèse ou qui pose.
Il faut aussi que tu n’ailles point
Choisir tes mots sans quelque méprise :
Rien de plus cher que la chanson grise
Où l’Indécis au Précis se joint.
C’est des beaux yeux derrière des voiles,
C’est le grand jour tremblant de midi,
C’est, par un ciel d’automne attiédi,
Le bleu fouillis des claires étoiles !
Car nous voulons la Nuance encor,
Pas la Couleur, rien que la nuance !
Oh ! la nuance seule fiance
Le rêve au rêve et la flûte au cor !
Fuis du plus loin la Pointe assassine,
L’Esprit cruel et le Rire impur,
Qui font pleurer les yeux de l’Azur,
Et tout cet ail de basse cuisine !
Prends l’éloquence et tords-lui son cou !
Tu feras bien, en train d’énergie,
De rendre un peu la Rime assagie.
Si l’on n’y veille, elle ira jusqu’où ?
O qui dira les torts de la Rime ?
Quel enfant sourd ou quel nègre fou
Nous a forgé ce bijou d’un sou
Qui sonne creux et faux sous la lime ?
De la musique encore et toujours !
Que ton vers soit la chose envolée
Qu’on sent qui fuit d’une âme en allée
Vers d’autres cieux à d’autres amours.
Que ton vers soit la bonne aventure
Eparse au vent crispé du matin
Qui va fleurant la menthe et le thym…
Et tout le reste est littérature.
Traduzione:
La musica, prima di ogni altra cosa:
e per questo preferisci l’impari,
più vago e solubile nell’aria,
senza nulla in sè che pesi e posi.E’ necessario poi che tu non scelga
le tue parole senza qualche errore:
nulla è più caro della canzone grigia
in cui l’incerto si unisca al preciso.
Sono occhi deliziosi dietro veli,
è la grande luce tremula del mezzogiorno,
è – in un cielo tiepido d’autunno –
l’azzurro brulichio di chiare stelle!
Perchè vogliamo ancor la sfumatura,
non colore, ma solo sfumatura!
Oh, solo essa accoppia il sogno
al sogno e il flauto al corno!
Va più lontano possibile dall’assassina arguzia,
dal crudele spirito e dall’impuro riso,
che fanno piangere gli occhi dell’azzurro
e tutto quell’aglio di bassa cucina!
Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco anche la rima.
Fin dove andrà, se non la tieni d’occhio?
Oh, chi dirà i torti della rima?
Quale bambino sordo o negro pazzo
ci ha plasmato questo gioiello da un soldo,
che sotto la lima suona vuoto e falso?
La musica, ancora e sempre!
Il tuo verso sia la cosa che va via,
che si sente fuggire da un’anima in cammino
verso altri cieli ed altri amori.
Il tuo verso sia l’avventura buona
sparsa al vento increspato del mattino
che va sfiorando la menta e il timo…
E tutto il resto è letteratura.
E con questi versi auguro a roberta e a chi si trovasse a passare da qui una serena buonanotte!
scusate ho inserito di nuovo il testo originale!
🙂
Grazie, Franc::)
Bonne nuit à toi aussi:)
WHEN I READ THE BOOK= QUANDO LESSI IL LIBRO
“WHEN I read the book, the biography famous,
And is this then (said I) what the author calls a man’s life?
And so will some one when I am dead and gone write my life?
(As if any man really knew aught of my life,
Why even I myself I often think know little or nothing of my real life,
Only a few hints, a few diffused faint clews and indirections
I seek for my own use to trace out here.)”
Da: LEAVES OF GRASS= FOGLIE D’ERBA di Walt Whitman
TRADUZIONE ( tratta dal sito su Whitman)
“Quando lessi il libro, la famosa biografia,
E’ questa (mi dissi) che l’autore chiama vita d’un uomo?
Così qualcuno scriverà la mia vita, quando io sarà morto? (Come se un altro potesse veramente conoscerne qualcosa, Se perfino io penso spesso che ne so poco o niente, Qualche cenno, qualche sparso debole indizio, segnali indiretti
Che per mio uso esclusivo cerco qui di tracciare).”
WALT WHITMAN:DA: Song of myself- parte I-
“I CELEBRATE myself, and sing myself, And what I assume you shall assume, For every atom belonging to me as good belongs to you.”
TRADUZIONE:
“Io celebro me stesso, e canto me stesso, e ciò che io presumo, tu lo presumerai, perché ogni atomo che mi appartiene appartiene anche a te. Io sto in ozio e invito la mia anima, io mi chino e ozio a mio agio osservando una spinosa erba estiva. La mia lingua, ogni atomo del mio sangue, formato da questo suolo, da questa aria, nato qui da genitori nati qui come i padri dei loro padri, anche loro di qui, io, ora a trentasette anni perfettamente sano comincio, e spero di non cessare sino alla morte. Credi e scuole lasciati in sospeso, mi ritiro, ne ho abbastanza di quello che sono, ma non li dimentico, e accolgo il bene e il male, lascio che parli seguendo il caso, la natura senza impedimenti con originaria energia”.
@Franc
i discorsi sull'”io” che diventa “noi” mi hanno portato, chissà perché, a cercare Whitman e ho riportato due testi (il secondo è solo la prima parte di un “long poem”).
In questi versi di Whitman egli dice ciò che scrivevi tu, mi sembra:
” FOR EVERY ATOM BELONGING TO ME AS GOOD BELONGS TO YOU”.
Ho riportato l’altra poesia perché lì Whitman dice che non è possibile che gli altri lo conoscano, perché poco conosce anche lui di se stesso:
“EVEV I MYSELF I OFTEN THINK KNOW LITTLE OR NOTHING OF MY REAL LIFE”;
inoltre io ci trovo una possibile “risposta” per ciò che mi scriveva Renzo sul post= “poeti- perdenti?”:
“I SEEK FOR MY OWN USE TO TRACE OUT HERE”= un poeta scrive i versi soprattutto per se stesso. (?)
Scusate: ho scritto EVEV anziché EVEN
Molto bella la parte di song of myself che hai trascritto,lungi da me l’idea di “correre” con Wihtman ma è quel che sento e cerco quando scrivo in versi-e quando li leggo-,senza chi si rispecchia in ciò che è scritto nella poesia,la poesia è mera voce di un canto individuale,ma se questo canto ha la forza di innalzarsi sopra la propria voce diventa la voce e la forza di ogni individuo che legge e si viene a compiere quel miracoloso incontro di anime e intenti che perdura nel tempo.Ecco la poesia così forse acquista anche un senso epico perchè ci parla di noi e ci restituisce la storia dell’umanità,ma è cosa rara.Ciò non toglie che provare ad esprimerlo sia un passo da non scoraggiare anche nei poeti dei giorni nostri,ma sempre legandolo ad un passato con una linea continua che è la nostra storia.
Canto il sè di Walt Withman
Canto il sè, la semplice singola persona,
Ma aggiungo anche la parola Democratico, la parola
In-massa. La fisiologia da capo a piedi, canto.
Né la fisionomia né il cervello sono degni da soli della
Musa, la Forma completa è di gran lunga più degna.
Canto imparzialmente la Femmina insieme col Maschio.
La vita immensa nella sua passione, impulso, e forza,
Gioiosamente, per un più libero agire sotto le leggi divine,
L’Uomo Moderno, io canto.
ONE’S-SELF I sing, a simple separate person,
Yet utter the word Democratic, the word En-Masse.
Of physiology from top to toe I sing,
Not physiognomy alone nor brain alone is worthy for the
Muse, I say the Form complete is worthier far, The Female equally with the Male
I sing. Of Life immense in passion, pulse, and power,
Cheerful, for freest action form’d under the laws divine,
The Modern Man I sing.
E’ stato più volte fatto notare dai critici l’uso «spregiudicato» del lessico da parte del poeta americano.Il suo vocabolario conta oltre 13mila parole, di cui circa una metà usate per una sola volta,perciò la sua poesia si presta ad una ricchezza di linguaggio tale da essere quasi declamata oltre che letta.
…forse a discapito di una certa musicalità dei versi?
@rob che ne pensi dei vocaboli usati,tipo utter, physiology e physiognomy poco “poetici”?
utter è tradotto con “aggiungo” ma il significato del verbo-peraltro raro-è soprattutto “manifestare,declamare,proferire”.
Sì, hai ragione: la traduzione che ho trovato sul sito dedicato a Whitman, infatti, dice PRONUCIO=UTTER:
“L’individuo io canto, una semplice singola persona,
eppur pronuncio(…)”.
Beh, sì, siamo molto lontani dalla “musicalità” dei versi di Verlaine ( che, come ci hai ricordato tu, scriveva “De la musique avant toute chose…”).
Però in Whitman c’è questa “forza vitale” che travolge: come scrive lui: “Of life immense in PASSION, PULSE, and POWER..”
Quindi se un lettore si “identifica” di più nell’epico-travolgente-linguaggio di Whitman o nella malinconica musicalità di Verlaine, questo dipende da chi legge. A me piacciono molto entrambi, Whitman per un verso, Verlaine per altri.
Sui termini “poco poetici” di Whitman non ricordo molto..ma mi sembra che rientrino nel suo concetto di poesia. Come Verlaine, che utilizza una poesia come suo “manifesto letterario” per dirci le sue intenzioni, così Whitman utilizza quel linguaggio perché è attraverso quei termini che ci trasmette la sua idea della vita.
Così mi sembra. A te cosa piace in Whitman?
E tra Whitman e Verlaine quale dei due poeti senti più vicino al tuo sentire?
Io a quello di Verlaine, sebbene mi piaccia molto anche Walt.
Naturalmente le domande sono per tutti coloro che vorranno rispondere, Renzo, se viene a trovarci, la nostra Maria Lucia e anche Massimo:)
sicuramente Withman emana una forza anche sociale epolitica,diciamo di denuncia per l’America dei suoi giorni,ma che è molto moderna anche oggi,questo aspetto mi affascina molto nel leggerlo,ma mi appartiene poco,nel senso che la liricità musicale di Verlaine si avvicina