Luglio 27, 2024

11 thoughts on “EFFETTO ALBATRO di Fabio Cerretani (recensione di Miriam Ravasio)

  1. Ringrazio Miriam alla quale avevo chiesto di recensire, per Letteratitudine, questo nuovo libro di Fabio Cerretani.
    Se qualcuno, tra voi, dovesse essere incuriosito da quanto letto sul post… non esiti a porre domande. Sia l’autore del libro che l’autrice della recensione saranno a disposizione.

  2. Quando si fallisce nella vita? Mah…direi quando ci si sente tali. Falliti, intendo. Come certamente Miriam avrà letto nel mio libro, comunemente il Successo si misura in auto di lusso, collezioni di orologi, donne di prestigio e rustici ristrutturati, tanto per nominarne qualcuna, e non è certo a quello che alludo io. Ben diverso è fallire nei propri sogni di Gloria e Immortalità come ce le insegnano a scuola, specie quando si scopre che in fondo anche la Letteratura – almeno quella attuale – è una patacca come tante altre, e che per tanti, troppi anni si è corso dietro a una chimera. Tempo fa ho letto nel blog un brillante, disincantato ed informato intervento di Sergio Sozi, che non saprei ritrovare (credo si tratti del forum su “75 ragioni per cui il vostro libro non sarà mai pubblicato”) ma al quale comunque rimando per i dettagli pratici sullo “stato dell’arte”. Personalmente sono tra i – non molti, immagino – “fortunati” che sono riusciti a pubblicare (tre romanzi, nel mio caso) senza nessun tipo di contributo alle spese, ad essere recensito su Tuttolibri e ad ottenere poche altre gratificazioni che, messe insieme, non valgono certo l’impegno e la costanza che mi ci sono voluti: i miei libri pochi li hanno letti, e molto probabilmente mi rimarrà precluso – per quel che vale, se non per i riscontri economici, ma allora si rientrerebbe nel giro del Successo misurabile come in apertura – l’ingresso nel ristretto circolo delle case editrici “importanti”, quelle che piazzano i propri “prodotti” a pile orizzontali nelle librerie (in TUTTE le librerie) e vincono i premi letterari. Se poi sia un (mezzo?) fallimento mio o del Sistema, questo non saprei dirlo: le Lettere non offrono una controprova matematica della validità di un testo; giudici attendibili e imparziali non ce ne sono, e personalmente ritengo che, data la uniforme piattezza della produzione nostrana, un Calvino, un Buzzati o un Palazzeschi oggi non sarebbero nemmeno pubblicati: impegnerebbero troppo un lettore che ha “troppe cose da fare”.

  3. Ciao Fabio, come sai non ho ancora letto il tuo libro. Però mi fido molto del giudizio di Miriam.
    Dal tuo commento colgo una certa disillusione e un velo di pessimismo. Io dico che, sì, devi ritenerti fortunato. Sei riuscito a trovare un editore piccolo, ma valido, disposto a credere (e a rischiare) in te e nella tua scrittura. Ti pare poco? Te lo dice uno che non ha mica pubblicato con la Mondadori, ma che si ritiene assolutamente fortunato.
    Poi scrivi che,”un Calvino, un Buzzati o un Palazzeschi oggi non sarebbero nemmeno pubblicati”. Su questo non sono molto d’accordo.
    Ma si potrebbe aprire un dibattito. 😉

  4. Ciao Fabio,
    ho ‘sentito’ molta amarezza nelle tue parole e ti dico ‘non sai quanto ti capisco’. Lavorare sodo, fare rinunce, crederci poi. Poi.
    Però ha ragione Massimo, in questo campo secondo me i fallimenti in senso stretto sono altri. Il fatto di essere pubblicati come te è già un grande risultato. In molti non ci riescono. Poi andare a capire se per demeriti effettivi o cecità di chi doveva leggerli e non l’ha fatto (o non ha intravisto del buono nel testo) è difficile stabilirlo.
    Secondo me molti autori che oggi studiamo sui banchi riceverebbero porte in faccia. C’è piattezza, come dici tu, ma non solo penso, ci sono i venti del marketing che spostano gli equilibri, ci sono gli elementi garanzia che cambiano col tempo. Se uno davvero vuole sfondare(intendo per essere in tutte le librerie) sa cosa deve fare in realtà(poi che ci riesca dipende da altri variabili più incontrollabili) però sa. Rimanere coerente con se stesso, con le proprie inclinazioni narrative, non accettare compromessi, non scrivere per trend di mercato, metterci l’anima e scavare… ecco per me queste sono vittorie. Il libro è un oggetto ma lo scrittore non necessariamente deve essere in vendita.
    Buona fortuna Fabio e tienici aggiornati!

    Barbara

  5. Dimenticavo una cosa.
    ‘ la Letteratura – almeno quella attuale – è una patacca come tante altre’ ecco, anche come provocazione un pò mi dispiace.
    Leggo ogni volta che posso. Libri che si trovano in tutte le librerie d’Italia (anche se io ordino quasi sempre on line!) ma anche e, di recente sopratutto, libri di case editrici meno note e di autori che ai più non dicono niente.
    E.
    Alcuni di loro mi hanno lasciato addosso qualcosa. Per me questo è il valore aggiunto. Il vero motivo per cui leggo. Per cui cerco storie, ci entro e mi lascio andare. Se davvero fossero tutte patacche a un certo punto si smette davvero di cercare, no?
    Alcune volte sono rimasta delusa, altre ho avuto difficoltà. Nella norma.
    Ma quando mi arriva un’emozione, mi colpisce un personaggio o una trama. Allora il libro ‘ha fatto il suo dovere’ per me.

    B

  6. Pur percependo lo sconforto di Fabio Cerretani mi trovo molto d’accordo con gli interventi di Barbara Gozzi, soprattutto l’ultimo.
    Vorrei aggiungere che molti dei miei amici che leggono hanno uno o più manoscritti nel cassetto (il mio l’ho ormai cestinato) e spesso si lasciano andare al canto del ‘genio incompreso’. Credo che chi riesca a pubblicare senza contributo, oggi, possa reputarsi fortunato (dando per scontato che deve avere un certo talento letterario).
    Una domanda per Fabio Cerretani. Lei si lamenta di avere pochi lettori. Ma se la letteratura, a suo avviso, è una patacca perché mai, sempre a suo avviso, dovrei leggere il suo libro?

  7. Il fallimento è il valore di una X; e la X è il limite che poniamo al nostro contesto o per essere spiritualmente precisi: il limite è il valore che diamo allo spirito. I sogni che s’infrangono, le aspirazioni che non si raggiungono sono solo formulazioni contingenti all’età, alla formazione acquisita e raggiunta in quel determinato momento, alle condizioni con cui dobbiamo confrontarci, all’insieme tutto dei limiti “fisici”; famiglia, sesso, economia, società. Falliscono matrimoni, imprese, progetti di vita; fallisce una carriera, ma sono sempre fallimenti precisi, riconoscibili, circostanziati. Il fallimento di cui narra Cerretani è altro, è quello esistenziale, dell’incompiutezza di una vita che poteva essere altra. Una vita appagante, con un super-io riconosciuto dai sistemi sociali e di conseguenza una vita felice, giusto e meritato riscatto per le capacità e le umiliazioni subite. E’ un modo di vedere semplice, elementare, arcaico che contrasta con la formazione dell’autore e con la sua capacità espressiva. Uno scrittore, che sa scrivere Cerretani, tuttalpiù può considerarsi uno “sfigato”, vittima della sorte, ma mai vittima della vita. La vita è altro; è evoluzione, mutamento, passione, catarsi. La vita è l’uomo, che è padre, figlio, marito, fratello. E’ partecipazione, compassione, responsabilità (il vero grande dono).
    Un sistema editoriale non è tutto questo! Spinoza, nelle sue lettere, era solito ripetere che “ogni uomo dotto che non sappia anche un mestiere, finisce per diventare un furfante”.
    Nel corso della mia vita, grazie al Cielo e alle Contrarietà, ho imparato un sacco di mestieri!
    Un abbraccio.

  8. da ciò che ho letto qui e su ibs mi sembra un libro a suo modo trasgressivo e ironico. il tema mi piace. credo che ne farò la mia lettura estiva investendo i pochi euro che mi rimangono in tasca.
    parola di sfigatissimo.

  9. Forza Fabio sei tutti noi, dove per noi intendo noi scrittori mai pubblicati; lo sconforto c’è sempre, è ovvio, ma non si deve drammatizzare a mio avviso, né tantomeno cestinare ciò che si è prodotto personalemente o giudicare a 360°, e negativamente, tutta la letteratura prodotta. Ce n’é anche di buona, di quella forte che ti lascia addosso qualcosa per giorni. Una soluzione personale a questo fenomeno editoriale non la conosco, mi piacerebbe tanto, sarebbe già sufficientemente appagante pubblicare anche con delle case editrici minori e poi farsi propaganda anche da soli, perché no. Se c’è riuscito Moccia:) Sursum corda!

  10. Vorrei prima di tutto ringraziare Miriam per le puntualizzazione sulla mia idea di fallimento, che sembra aver compreso ancora meglio di me stesso (e non sto scherzando), anche se, più che uno sfigato mi definirei uno scontento. Le vicende narrate nel libro, però, possono essermi riferite solo in minima parte: la mia laurea, ottenuta a Siena e non a Roma, è in Giurisprudenza e non in Lettere, e certo non ho mai dormito sotto i ponti. Mio padre voleva farmi entrare in banca, non nelle Ferrovie, e sono figlio di genitori colti o almeno istruiti. L’insoddisfazione lavorativa invece è vera.
    Mi preme anche tranquillizzare Barbara Gozzi: ovviamente la Letteratura NON E’ una patacca, o almeno non solo, e questo neanche ai giorni nostri, nonostante stiano facendo di tutto per farcela diventare. Non ci farei una gran figura ad accorgermene solo adesso, alla mia età, dopo averla avuta come compagna fedele durante anni migliori. Non sono patacche tutti i libri e gli autori che mi sono stati vicini, a volte letteralmente esaltandomi, e dai quali non vorrei sentirmi piantato in asso proprio adesso che comincia la…come vogliamo definirla?…fase discendente, durante la quale, oltre che leggere e ri-leggere, poche cose di meglio avrò da fare.
    Ha cominciato invece a diventare patacca – e questo è un fenomeno tipicamente nostrano – da quando c’è più gente che scrive che gente che legge, e allora per farsi largo si ricorre ai classici sistemi italiani con i quali ci si fa beffe della meritocrazia; da quando gli editori, invece di cogliere le tendenze – come facevano Valentino Bompiani e Arnoldo Mondatori e Leo Longanesi – pretendono di imporle (vedi Minimum Fax e gli altri editori con gli occhi spiritati e la chiacchiera sciolta); da quando il noir e il poliziesco, fino a ieri l’altro considerati una sottospecie di narrativa, sono diventati letteratura a tutti gli effetti, e allora ogni volta che si legge un libro ci si attende il Mistero, l’Intrigo, il Finale a Sorpresa, l’Assassino e il Commissario: libri buoni per coinvolgere l’istinto peggiore del lettore – che è quello di sapere “come va a finire” – anche a costo di trascurare descrizioni di persone, atmosfere e paesaggi: ci credete o no che oggi “Il deserto dei tartari”, un libro dove in senso stretto non-succede-niente, e dove solo verso la fine si comincia a intravedere qualcosa ma allora il protagonista muore e la storia finisce, semplicemente NON VERREBBE PUBBLICATO?
    Intendiamoci: all’estero c’è ancora molto di buono: Frantzen, O’ Connor, tanto per fare due nomi. Quello che disturba, semmai, è che riescono a farci leggere a tutti le stesse cose, no? Yehoshua, Mc Grath, Roddy Doyle, Amos Oz… Per essere libero almeno in questo, allora, da tempo ho preso l’abitudine di andare alla riscoperta di libri dimenticati: gli autori ungheresi e mitteleuropei che ebbero successo tra le due guerre (Lajos Zilahy, Tibor Dery, Arthur Koestler, Ferenc Kormendi) o perfino francesi (Pierre Drieu La Rochelle). O le vecchie pubblicazioni della Medusa e della B.U.R. degli anni quaranta e cinquanta: tutta gente che ho ri-scoperto nelle piccole librerie di libri usati fiorentine e pratesi, molto prima che lo facesse Adelphi.
    E in fondo anche in quello che si pubblica in Italia c’è del buono: ho trovato molto avvincente “Il Fasciocomunista” di Antonio Pennacchi, o il primo Cesare De Marchi (i due romanzi pubblicati da Sellerio), e Nico Orengo, il primo della Agnello Hornby (gli altri non li ho letti), che mi ha riportato alle ambientazioni siciliane delle mie prime letture. Mi è piaciuto anche il piccolo “Cordiali saluti” di Andrea Bajani, quel suo modo di descrivere persone e situazioni e che è come se lo facesse con sommarie pennellate.
    Altri autori sono – per me – da rivedere: Edoardo Nesi (mi ha un po’ sorpreso – ma appena un po’ – averlo conosciuto, ai tempi di “Fughe da fermo”, come “lo” scrittore di destra, e averlo ritrovato alle ultime elezioni a fare campagna elettorale con Bertinotti: sono sempre scettico sulle folgorazioni), Alessandro Piperno, Sergio Pent, Rocco Carbone, Claudio Piersanti.
    Per altri ancora, infine, non riesco proprio a entusiasmarmi: Baricco, Ammanniti, Veronesi, De Luca…
    La cosa più deludente, però, al di là dei gusti personali, è l’UNIFORMITA’: il modo in cui si scrive, gli argomenti, le storie, i tic dei personaggi.
    E qui mi collego a quello che mi chiede Elektra: io mi lamento di avere pochi lettori. Ma se la letteratura, a mio avviso – ma solo nel senso che spero di avere chiarito – è una patacca, perché mai, lei dovrebbe leggere il mio libro?
    Be’, qui non è difficile rispondere: potresti leggerlo perché è scritto bene, questo mi sento di garantirlo. Perché non è patinato, ma ruvido e irsuto; perché l’io narrante non è illuminato e tollerante, ma logorroico, polemico e sarcastico. Perché, nel bene e nel male, è senza dubbio una cosa “diversa”. Forse peggiore di quelle che piacciono adesso. Ma diversa, comunque, sì.
    Potresti leggerlo – anche se l’oggetto non è bello come quelli di Guanda, Adelphi o Mondadori, e anche se probabilmente non lo troverai nella prima libreria ma dovrai ordinarlo – perché quello che racconta potrebbe convincerti che in fondo la Letteratura, anche se non proprio una patacca come le altre, un po’ cialtrona e inaffidabile lo è davvero.
    E con questo vi saluto. Vado a fare l’unica cosa che mi piace più di leggere (e scrivere): viaggiare.
    Mi piacerebbe che al mio ritorno qualcun altro avesse letto il mio libro.
    Non tanto per vendere un paio di copie, che tanto non è in quel modo che mi cambia la vita. Ma per sapere di cosa stiamo parlando.
    Saluti a tutti.
    Fabio

  11. Carissimo Fabio,
    la recensione di Miriam Ravasio è una buona recensione, però pone tutto il racconto nell’ambito di un’esperienza individuale.
    Non è così, ed è per questa ragione che il libro nella sua unicità rappresenta quasi l’epopea di un’epoca,che si proietta in una dimensione collettiva che segna il destino di una certa gioventù..
    Fabio , alla classe politica italiana, non è mai andato giù che il figlio di un ferroviere ed il figlio di un operaio diventassero classe dirigente, specialmente in certi settori nevralgici per il funzionamento della macchina statale.
    Lasciamo perdere la scuola, ma per gli altri c’è stata da parte della burocrazia statale una vigilanza attenta, affinché questo non accadesse ed elementi che vedevano le cose in maniera diversa, dovuto sopratutto alla loro provenienza, trovassero un ambiente ferocemente ostile e terra bruciata intorno.
    Adesso si è tutto normalizzato, l’università costa un’ira di Dio e dalle mie parti non studia più nessuno, pericolo scampato.
    Come vedi,per quelli che arrivano adesso l’accoglienza è diversa, sono accolti con rispetto e non ci sono più le cose tristi che il tuo personaggio deve subire e che fanno parte anche del mio triste “background”.
    Proprio perché il libro ha il coraggio di raccontare, quello che gli altri si tengono per sé, costituisce una testimonianza essenziale della nostra esperienza e restituisce dignità alla nostra vita.

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