Aprile 25, 2024

18 thoughts on “ALI PODRIMJA: LA POESIA CHE VIENE DAL KOSSOVO (di Andrea Di Consoli)

  1. Sono lieto di inaugurare questa nuova rubrica che sarà curata da Andrea Di Consoli.
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine/2007/06/la-stanza-dello.html

    Come scrive Andrea:
    “La stanza dello scirocco è la stanza dove i siciliani riuscivano a evitare i giorni più caldi dell’estate. L’unica utilità di questa stanza è la frescura. Nessun segreto, in questo sotterraneo. Solo un po’ di
    benessere, in compagnia dei libri, quando il respiro si fa d’affanno.
    Nella stanza dello scirocco, quando le cose buttano male, basta gridare tre volte per sfasciarla interamente.
    Ma le cose, tutto sommato, vanno ancora bene”.

    Auguri per questa rubrica, Andrea!

  2. Intanto ringrazio Andrea per averci donato questa bellissima intervista.
    Alzi la mano (si fa per dire) chi conosceva già Ali Podrimja.
    Ritengo sia bello offrire alla mente e allo spirito la possibilità di affacciarsi su panorami nuovi. Oggi scopro questo poeta kossovaro. E sono contento.
    Vorrei invitarvi a leggere con attenzione l’intervista e a ragionare e “discutere” sui due seguenti passaggi che mi hanno particolarmente colpito.

    1) “Penso che l’arte, anche se scrive di politica, non può essere vittima della politica se sa cogliere il bello. Saper trovare i motivi, ma soprattutto saper dare dei messaggi, è questo il compito dell’artista. Sarebbe una vergogna, in una realtà così grave, non diventare specchio di quello che succede, non essere impegnato. E’ vietato che la memoria muoia. (…) Se uno scrittore chiude gli occhi di fronte a quello che accade, è un traditore”.

    2) “Ogni generazione completa quella passata. La memoria non può essere una cosa che si può superare. La memoria deve esistere. Ogni tempo avrà bisogno della memoria e della coscienza storica. Io penso che ci sarà sempre una parte della letteratura che avrà bisogno di questa memoria. La letteratura ha il suo messaggio. Giocando con le parole non si può fare nessun tipo di arte”.

    Voi che ne dite?

  3. Eppure giocando con le parole si riesce a dire molte più cose di quando l’impegno e la serietà la fanno da padroni ma in molti casi è il disimpegno lessicale a coinvolgere maggiormente il lettore e a fare breccia in quella stantia stanza mentale che è satura di cose troppe impegnate ma mai realizzate.

  4. non conoscevo questo poeta kossovaro. se devo esser sincera nemmeno immaginavo che potesse esistere una letteratura kossovara. o cumnque non c’avevo mai pensato. come dice massimo è bello offrire alla mente e allo spirito la possibilità di affacciarsi su panorami nuovi.
    grazie!

  5. complimenti sia per l’intervista che per la rubrica, un sicuro valore aggiunto per il sito

  6. Bella intervista! Non conoscevo Ali Podrimja, ma ho letto Mimoza Ahmeti e una raccolta di narratori albanesi contemporanei.
    La costante è l’impegno, la concretezza armata del desiderio di capire e un legame con la storia del passato, prossimo e remoto, come chiave per ritrovare l’identità.
    Chi scrive per l’alterità non può tradire i principi di cui parlava Ali Podrimja. La referenzialità della scrittura da marketing è paragonabile ad una gravidanza isterica. Non porta frutto.
    Bella iniziativa Massimo.

  7. Ho sempre pensato che la grande letteratura, quella vera, rifugge dai riflettori e dalle luci della ribalta. Ho letto con molto interesse questa gustosa intervista e ringrazio.

  8. “Sarebbe una vergogna, in una realtà così grave, non diventare specchio di quello che succede, non essere impegnato. E’ vietato che la memoria muoia. (…) Se uno scrittore chiude gli occhi di fronte a quello che accade, è un traditore”.

    A me queste paiono parole sacrosante!!!

  9. Grazie mille per i vostri commenti.

    @ Gabry Conti:
    d’accordo, però quando Ali Podrimja dice che “giocando con le parole non si può fare nessun tipo di arte” credo si riferisca anche al “peso” che la parola assume in determinate circostanze e in certi ambiti. Ciò che voglio dire è che una parola non vale l’altra.

    Grazie per i vostri complimenti… che giro tutti ad Andrea.

    In particolare…
    @ Emanuela Chiriaco.
    Grazie 🙂
    La rubrica “La stanza dello scirocco” nasce a seguito di una conversazione con Andrea Di Consoli. Dunque è un’iniziativa di entrambi.
    Ma dicci un po’ di Mimoza Ahmeti!

  10. Le parole sono pietre?
    A volte, non sono un gioco.
    Questa intervista è un confronto a tutto campo, che noi (forse) non possiamo sostenere. Viviamo in una società volgare, sguaiata, ma nelle sue incongruenze ci sentiamo tranquilli. Le nostre verità paradossali c’impegnano, verso la meta felice, in una quotidiana caccia, che ha come preda “l’esserci”; l’uomo cacciatore, che dai tentacoli dell’Esserci è cacciato, ma questo ci appaga. Non possiamo sostenere il confronto con Ali Podrimja, perché abbiamo perso il senso comune d’appartenenza al genere (umano). La nostra memoria non c’è più, messa in fuga dal nostro quotidiano, che ha ridotto un sistema di valori ad una visione dogmatica, per non dire retorica, vuota. Le nostre parole, salvo quelle usate con la consapevolezza “di un grande sforzo”, sono solo un gioco: frammenti, tessere sparse. Così, questo poeta kossovaro ci appare come una scoperta, un proveniente da altri panorami; eppure le cose che dice sono semplici e nemmeno nuove. Perché l’Umano ci stupisce, quando l’affascinazione dovrebbe essere in noi, costantemente? Sono passati pochi anni dalla dissoluzione jugoslava e abbiamo già dimenticato le “Lettere da Sarajevo”. Oggi, grazie a quest’intervista, ho riletto alcune di quelle pagine: parole tremende che esprimono una complessità di sentimenti che l’uomo manifesta nei suoi momenti più bui. Poesie e tenere frasi d’amore scritte dagli assediati e dagli assedianti; cronache crudeli cariche di perché e di speranza. Per non morire…si parlava anche d’arte e di letteratura…
    Miriam

  11. Grazie Miriam.
    Bellissimo commento il tuo.

    Tu scrivi: “Le nostre verità paradossali c’impegnano, verso la meta felice, in una quotidiana caccia, che ha come preda “l’esserci” “.
    Come sai il tema delle identità in crisi mi appassiona. E in parte credo che derivi proprio da quello che dici tu. La caccia all’ “esserci” mette in fuga la ricerca dell’ “essere”.

    Scrivi pure: “Viviamo in una società volgare, sguaiata, ma nelle sue incongruenze ci sentiamo tranquilli”.
    Ma siamo sicuri di sentirci così tranquilli?
    Non è una tranquillità di vetro, la nostra?

  12. L’opera di Mimoza Ahmeti che ho letto si chiama “Il mio grido” (Argo editore,Lecce). Ismail Kadaré l’ha definita la migliore poetessa albanese della sua generazione (è nata nel 1963).
    C’è asprezza e dolcezza nelle sue poesie e una lotta continua per smascherare chi sotto le false sembianze della pace nasconde l’indifferenza e accetta il delitto in cambio del quieto vivere.
    A presto, Emanuela

  13. Caro Massimo hai ragione, la nostra è una tranquillità di vetro, una campana, attraverso la quale, però, possiamo guardare.
    Ai tempi “jugoslavi” lessi tutto il possibile, realizzai uno spettacolo teatrale, un audiovisivo e una mostra di documentazione fotografica itinerante, che fece il giro di molte scuole. Quello che più mi colpiva era la quantità di pensieri (serbo-croati-kossovari), di ragionamenti e di parole profonde; un sapere complesso e articolato, eppure travolto da un illogico bestiale, bruto, disumano. Secondo me, quella guerra, nella recente storia mondiale, rappresenta il fatto più tragico e rappresentativo del nostro stato d’esistenza. Più dell’11 settembre, troppo “spettacolare” per rendere la dimensione del lutto e della distruzione; che (perdonatemi l’espressione) si è sedimentato nella nostra memoria come l’avvenire simultaneo di tanti incidenti catastrofici. Nell’ ex-Jugoslavia si misero in moto tutte le nostre “qualità”: comunicative, organizzative, umanitarie, economiche, morali. Che insieme ballarono ufficializzando il passaggio da Homo a Ho!
    Nelle grotte Lascaux, che invece segnano il passaggio da homo faber a homo sapiens, l’essere umano esperiva la propria attitudine estetica, quell’aspirazione a creare e a provare meraviglia. La dirompente forza vitale delle figure animali dipinte – renne, bisonti, cavalli e tori che saltano e corrono librandosi nell’aria- contrasta con l’immagine dell’uomo; una figurina filiforme quasi inesistente. “L’uomo dell’età delle renne, denunciava la consapevolezza e insieme il disagio di avere per sempre abbandonato il mondo animale da cui proveniva, un passaggio compiuto in nome dell’arte. (…) Aveva reso tangibile la presenza, in un epoca così remota, di una umanità così simile a noi.” *
    Concludo questa breve nota con una citazione di Sergio Quinzio: di positivo, oggi, c’è questo, che ogni via percorsa è giunta a rivelare le alternative ultime. Siamo di nuovo all’inizio.

    * da Lascaux. La nascita dell’arte di Gorge Betaille, ed. Mimesi
    Ti/vi auguro una buona notte, Miriam Ravasio

  14. Cara Miriam, grazie davvero! I tuoi contributi sono sempre eccelsi.
    Tu scrivi: “Secondo me, quella guerra, nella recente storia mondiale, rappresenta il fatto più tragico e rappresentativo del nostro stato d’esistenza. Più dell’11 settembre, troppo “spettacolare” per rendere la dimensione del lutto e della distruzione; che (perdonatemi l’espressione) si è sedimentato nella nostra memoria come l’avvenire simultaneo di tanti incidenti catastrofici.”

    Io ho una mia opinione su questo punto, che però scriverò domani. Oggi sono troppo stanco.

    Un ringraziamento a Laura-ci che ci offre una bellissima foto di Ali Podrimja. Così possiamo associare un volto al protagonista di questo bel post di Andrea Di Consoli.

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