Novembre 9, 2024

36 thoughts on “78 RAGIONI PER CUI IL VOSTRO LIBRO NON SARA’ MAI PUBBLICATO (di Antonella Cilento)

  1. Ringrazio Antonella per avermiinviato questo articolo. Ritengo sia particolarmente schietto e pregno di considerazioni molto interessanti.
    Leggetelo con attenzione. Poi possiamo “discuterne” insieme. Magari partendo dalle seguenti domande poste dalla Cilento:
    “l’editoria italiana sembra non saper più trovare il tempo, a dispetto di editor spesso molto competenti e a loro volta autori, di costruire alcuna idea di letteratura. Colpa, allora dell’assenza di sogni imprenditoriali? Di una progettualità finalizzata solo al denaro?”

  2. Non si costruisce letteratura? Niente di strano, perchè nel nostro paese non si costruisce il futuro, ma si corre come forsennati solo dietro a un presente ingannevole, un miraggio che svuota tasche e menti.
    In fondo, il campo letterario è solo uno dei tanti aspetti di una nazione in un determinato periodo storico.
    Se nell’insieme non si guarda al futuro, è impossibile pretenderlo anche in letteratura, perchè lì i tempi di realizzazione sono ancor più lunghi e addirittura si misurano a generazioni.

  3. Sto anch’io frequentando una scuola di scrittura creativa, penso sia naturale per chi legge tanto, avere delle velleità di scrittore.
    Ma mi sto sempre più rendendo conto che tenere un diario giornaliero o quasi, come faccio io, non ti rende automaticamente una persona capace di scrivere. Se poi le difficoltà sono quelle esposte nell’articolo di Antonella Cilento, credo che pubblicare diventi quasi impossibile.
    Ma io continuerò a scrivere, a volte bene, a volte con una qualità scadente. L’importante, più che pubblicare, è esprimersi.

  4. E’ soprendente che la maggior parte di volumi e manuali con consigli per farsi, o non farsi, pubblicare siano opera di scrittori falliti.
    Io non riesco a pubblicare una mia opera narrativa però pubblico un libro in cui ti spiego perché tu non riuscirai a pubblicare una tua opera narrativa. Logico.

  5. Prima che io possa esporre le mie ragioni sul perchè e percome un libro viene pubblicato o meno, qualcuno mi potrebbe spiegare perchè 78 e non un altro numero?
    Per quanto mi riguarda, i miei libri, in base alla Costituzione Italiana e in futuro quella dell’Editoria, non ha bisogno di essere pubblicato, me li sono pubblicati da sola e questo mi basta e mi avanza. Ma chi è il “cretino” che possa pensare che se ti sei prodotto un libro, questo oggettino così prezioso, non possa avere comunque un suo pregiatissimo utilizzo come dono in varie occasioni. Non è meglio donare un libro proprio piuttosto che quelle solite cianfrusaglie che regalano coloro che in quanto a scelta di regali, putroppo, godono di scarsa fantasia!!!
    E vi sembra poco, poter disporre in maniera super libera della possibilità di donare un proprio libro a chi si desidera?
    Ecco il motivo per il quale in fondo, desidero proprio in assoluto che nessun editore si sogni di pubblicare quello che mi sono già pubblicata….Ciao le altre 77 eventualità proprio non mi interessano.

  6. Io vorrei solo riportare la mia esperienza personale, poiche’ nel campo ne so qualcosa, visto che (parlando della mia produzione narrativa breve) ho vissuto di rifiuti editoriali alla pubblicazione – spesso motivati e redatti ”ad personam”, altre volte stereotipatamente ciclostilati – per diversi anni: infatti il mio racconto ”Il maniaco” venne per la prima volta pubblicato nel 2004 in antologia a Trieste, e solo perche’ segnalato dal noto ”Concorso Scritture di Frontiera” del Capoluogo giuliano l’anno precedente. Altri miei racconti sono oggi pubblicati solo in traduzione slovena, ed uno sta in un quotidiano sportivo italiano. Insomma, le case editrici – grandi, medie e medio-piccole – mi hanno metodicamente rifiutato e mi rifiutano tuttora. L’ultimo diniego e’ di Paola Gallo dell’Einaudi, la quale mi dice che il mio racconto lungo ”Il menu” le e’ piaciuto ma il difetto e’ che vi sono troppi episodi ristretti in una trama esigua. Cinque righe circa per farti capire che scrivi in maniera non commerciale, difficile, impubblicabile. Dunque lo Struzzo non lo vuole. Prima, colleziono i rifiuti di Adelphi, Sellerio, l’Ancora, minimum fax, eccetera – manco me li ricordo.
    Ed io sono uno di quelli ”certosini, amanuensi, pignoli”, che si mettono a rivedere e a limare come dei pazzi per ore e ore e giorni su giorni (mi crederete, visto che il racconto l’avete letto proprio qui su Letteratitudine).
    Dunque, posso affermare quanto segue (non saranno 78 punti contro e 14 pro ma tant’e’ quel che penso ora in merito al pubblicare e alla qualita’, eccetera):

    1)Un’industria (anche editoriale), nonostante l’etimologia del termine, e’ secondo l’attuale definizione qualcosa di frettoloso e redditizio che deve portare guadagni frettolosi e cospicui.

    2) Nessuna industria libraria del 2000 dichiara di occuparsi di ”sensibilita’ e personalita’ di scrittura, crescita delle coscienze ed affini”, ma di ”prodotti editoriali ed affini”. Sia chiaro questo. L’editore non e’ una crocerossina colta e poetica, ma uno che investe i capitali in una produzione in serie. Il padrone di una catena di montaggio della scrittura, dell’alfabeto. Che c’entrano la fantasia, l’individuale percezione, la sofferenza spirituale, le qualita’ creative, la profonda cultura sintattico-grammaticale e lessicale, retorica, eccetera, con il programma aziendale di un qualsiasi affarista che vuole vendere un prodotto alfabetico in Italia?
    Ogni affarista vuole adattarsi alle esigenze del mercato, se desidera fare soldi, mica finanziare moribondi poeti o veri geni linguistici – e piu’ essi siano veri e geniali, piu’ essi vadano a fare gli oscuri impiegati, per vivere, dice l’affarista editore, pieno di voglia di far piscine e ville.

    3)Se la scuola, in Italia, non e’ capace di dire seccamente ad almeno l’ottanta per cento di coloro che si sentono dei Leopardi o dei Manzoni (ma nemmeno conoscono le regole grafiche piu’ essenziali della scrittura alfabetica italiana) che dovrebbero pensare ad altro invece che a pubblicare libri, questo e’ il risultato che abbiamo: un ”popolo di geni” che crea un mercato confuso e sovradimensionato alle esigenze dei lettori, con migliaia di ”editori-furbetti del quartierino” pronti a farli sentire dei geni. Dei ”geni a proprie spese”, beninteso, che loro, i furbetti, i soldi di tasca loro mica li metterebbero, manco se vedessero un autore veramente valido.
    Questa scuola letterariamente antimeritocratica, dunque, rappresenta oggi in Italia sia il primo inconsapevole ”creatore di clienti” per gli editori-bottegai, sia anche il primo creatore di scribacchini rompiscatole per quei pochissimi editori seri e sensibili alle opere belle, i quali, se non ci fossero milioni di ”stupidi geni” bussanti alle loro aziendali porte, sarebbero ben disposti verso le proposte editoriali di alto o medio livello.

    4) L’epoca in cui viviamo e’ malata di fretta, di immagini e di confusione teorica, stilistica, morale, in breve linguistica e filosofica. E’ un’epoca che ha rotto i ponti con le tradizioni, con il mito classico e con il passato ”in toto”. Cosa volete che si produca, se non una bruttacopia di quel che esiste?

    Oggi, il corrispettivo geniale e pazzo di Gadda o Bontempelli, Malaparte, Calvino, Landolfi, ammesso che esista, deve fare altri mestieri. La Storia non lo vuole e la gente non lo capisce – e non lo capirebbe neanche se ne acquistasse i libri. Quei libri che, comunque, nessuno oggi gli pubblicherebbe. E’ la nostra collettiva decadenza artistica e morale nelle sue ultime e letali forme, questa, signore e signori d’Italia.
    La vita e’ altrove – e anche li’ presto sparira’, credetemi.

    Sergio Sozi

  7. Io penso che il problema fondamentale sia un altro. Mi sono stati proposti 5 libri nell’ultima settimana da case editrici varie e tutti parlavano di scrittura ed editori, ma nessuno (e dico nessuno) narrava nessuna storia. Se si pensasse a scrivere meno saggi, meno tesi di laurea e se gli scrittori pensassero solo alle storie, forse la letteratura si delineerebbe senza bisogno di parlarne tanto. Se la letteratura è arte, bisogna vivere per quella, a costo di piantarla sul web, stamparla in tipografia e spartirla nelle metro. Pretendere è tipico Italiano, si tralascia l’arte per un marchio di rispetto. Eliminare figure inutili e spartire. Lo ha fatto Bucowski, non può farlo il letterato popolo italiano? Lo scrittore pensa troppo a cosa pensare, invece di scrivere.
    Con rispetto per il suo lavoro.
    Alessandro Cascio

  8. Se lo scopo del pubblicare è solo per farsi conoscere, fare soldi, essere famosi, beh! abbiamo le idee un pò sbagliate.
    Mi piacerebbe sapere quante persone scrivono per il gusto di scrivere, per il sapore delle parole, per il piacere del bello!
    Il resto verrà, se deve avvenire, non importa quando…

    Felicità

    Rino,pensando

  9. a dir la verità adesso sono più confusa di prima.
    qualche giorno fa ho letto un articolo di luca masali (riporto il link http://www.danaelibri.it/rifugio/profesesord/profesesord_detail.asp?dettaglio=autoedit) che, con il sorriso sulle labbra, mi ha spronato a fare di più per fare conoscere il mio romanzo (a riviste ed editori), mettendomi in testa che in fondo è possibile che la fortuna, se la si insegue tenacemente, alla fine si può anche acchiappare.
    adesso invece mi sento quasi in colpa: sto sbagliando a cercare un “posto al sole”, un mentore che mi aiuti a crescere a correggere le mie ingenuità da esordiente e ad innalzarmi tra gli scrittori di qualità? il mio primo editore mi ha lodato sperticatamente, ma non ho mai saputo se fidarmi o meno, ho pensato che forse era un modo per convincermi a firmare con lui (badate bene, non ho pagato un euro!)…sono confusa… scrivo solo per passione, ma come capisco quanto valgo se non posso confrontarmi con un editore con uno staff qualificato???
    non valgono più i voti come a scuola…
    forse sto sbagliando tutto!!

  10. Antonella, ma secondo te un esordiente o un aspirante tale, dato il contesto che descrivi, cosa dovrebbe fare? Predisporre un cappio e impiccare i propri sogni? Cosa consigli?

  11. Cara Antonella, il tuo articolo e l’intervento di Sergio Sozi mi confermano ciò che ho sempre pensato: chi pensa di arricchirsi e diventare famoso con la scrittura o è pazzo o si chiama Giorgio Faletti.

  12. Due appunti sull`argomento. il primo e` farina del mio secco ed e` scaturito da anni e anni passati a leggere e scrivere.
    il genio autore di capolavori ti fa venire la voglia di scrivere, i libri scadenti ti fanno venire la voglia di pubblicare.
    quindi oltre che spiegare a me 78 motivi per cui non saro` pubblicato sarebbe onesto dirmi la ragione unica e precisa perche` viene pubblicata tanta monnezza.
    seconda riflessione trasmessami da una editor : l`editoria da fuori da la sensazione di essere un mare, enorme e magmatico e dagli orizzonti incerti, una volta dentro e` una palude che permette a chi ci e` entrato di vivere di discreta rendita anche senza grossi meriti.

  13. Per il sig. Cascio:
    purtroppo, neanche questo e’ l’antidoto al veleno della frettolosita’, dell’ignoranza congenita di molti addetti ai lavori e del clientelismo: piu’ si lavora bene e meno si pubblica. La moda imperante impone di scrivere male ma in modo ”pregnante” (lo dico con sarcasmo, ovviamente) per poter esser, dopo, risistemati dagli editor, ovvero ulteriormente privati di personalita’ scrittoria.

    Alla sig.ra Morgana:

    non si preoccupi e cerchi di continuare a conoscere gente che ne sappia piu’ di Lei da tutti i punti di vista: vedra’ che le cose, col passar del tempo, si sistemeranno e che Lei, se ha le capacita’ di crescere, crescera’, alla faccia di chi rifiuta senza conoscere. Nella vita e nella Letteratura bisogna avere i peli sullo stomaco e sotto a questi mantenere una sensibilita’ non comune, personale, intima.

    Saluti Cordiali a Tutti

    Sergio Sozi

  14. Beh! visto i tanti e interessanti commenti, mi permetto scrivere la mia piccola esperienza, esperienza iniziata con la mia prima pubblicazione nel lontano 1983 (per dettagli vedi: http://babilonia61.splinder.com/post/12669947/LE+MIE+VECCHIE+PUBBLICAZIONI

    Già in quell’epoca si parlava di crisi dell’editoria, si parlva della difficoltà di essere pubblicato, si parlava dei libri poco ben scritti e colti, si parlava, insomma, di tutto ciò si continua a discutere ancora oggi. Cosa dunque è cambiato? Nulla, cari amici, nulla. La storia ci insegna che chi può, chi ha amici, chi ha fortuna pubblica, al resto tocca fantasticare, aspettare, illusionarsi, ma nello stesso tempo approfittare per leggere, padroneggiare l’italiano, correggere i propri errori, crescere.
    Certamente non bisogna stare con le mani in mano, bisogna lottare, mandare i dattiloscritti agli editori, pubblicare anche a proprie spese -chi può-, eppoi, ricordiamo che i blog aiutano tanto, così come le tantissime riviste letterarie della rete.

    Beh! qua fermo la mia penna (!).

    Felicità

    Rino, ricordando i vecchi tempi

  15. Sono d’accordo con la questione che è il meccanismo a monte a non voler neanche ‘sniffare’ un testo potenzialmente di qualità, è molto più veloce e redditizio ‘costruire’il nuovo best seller a tavolino. Sono d’accordo sulla questione delle scuole, da lì si parte e (come vediamo tutti) noi in Italia non andiamo avanti. Sono d’accordo sulla questione dell’editoria come attività industiale e non mutua associazione di beneficenza, anche se prima o poi, secondo me, qualcosa scoppia.
    Sono d’accordo nel senso che capisco i ragionamenti fatti in precedenza e nella mia piccola esperienza li confermo.
    Non sono d’accordo sulla questione economica. Che in pochi arrivino ad arricchirsi è una cosa sodata, bene o male va così in tutti i settori per svariati motivi. Però non vedo come si possa pensare di veder ‘nascere’testi buoni (come stile, intreccio, costruzione, credibilità, linguaggio ect) se poi obblighiamo chi la passione ce l’ha negli occhi a mettersi davanti al pc a notte fonda perchè lavora 8/10 ore per pagare le bollette, magari ha una casa e una famiglia con annessi figli, aggiungiamoci problemi legati alle distanze (sarebbe auspicabile quei minimi minuti per le primarie necessità del soggetto in questione)… finito. Non credo ci sia bisogno di arricchirsi scrivendo, penso che in molti si accontenterebbero di ricavarne quel minimo per evitarsi straordinari o altri lavori molto impegnativi. Scrivere richiede tempo. Concentrazione. Opportunità. (oltre a dedizione, autocritica, non arrendersi, riconoscerei propri limiti…).

  16. Signora Cilento, una curiosità. Fino a che punto sono intervenuti gli editor sui libri che lei ha pubblicato? Pensa che il loro intervento sia stato essenziale?
    Saluti.

  17. La penso come Sergio Sozi, ma, in più, aggiungo che anche noi intellettuali buonintenzionati o scrittori potenzialmente grandi ed esclusi dal sistema, abbiamo assorbito in tot le logiche editoriali, commerciali: la frammentazione del pensiero ( non mi riferisco a Sergio) ci caratterizza. Circumnavighiamo attorno alle nostre capacità, ci alleniamo in tecniche letterarie-linguistiche, cocciutamente cavilliamo sul COME mai sul COSA.. Restiamo in palestra, non sappiamo se fuori c’è il sole o pioverà, ci concentriamo sugli addominali: la linea deve essere perfetta. Da mesi frequento questo blog e mai ho letto una riga sui temi dell’arte. Non siete i soli ad ignorare il tema, o il problema; a parte qualche piccolo articolo di cronaca, nessun telegiornale ha dedicato alla Biennale di Venezia un servizio degno del nome. Ed è uno sbaglio perché relegare o regalare le intenzioni e le capacità espressive intellettuali degli artisti ai soli collezionisti, può significare solo che l’arte è morta, che l’interesse dell’uomo è solo relativo e che tutto si fa per l’affermazione, economica e personale. Non c’è altro. Oltre all’inaugurazione della Biennale, nei giorni scorsi ha preso il via anche Documenta, la mostra tedesca, che come scrive Angela Vettese, “sgomenta”. Vorrei segnalarvi l’articolo pubblicato sul Domenicale di ieri, merita e invita a più di un approfondimento. Luoghi d’esposizione maniacalmente costruiti, precisi e sconcertanti nei dettagli che ospitano opere alla rinfusa, senza etichette che indichino luogo e provenienza degli artisti. “Il mercato non c’è o non se ne parla, come se si trattasse di un accidente necessario, ma che non deve interferire col pensiero e col fare”. A Venezia la Vettese scrisse di finitudine umana, “ un flusso continuo ma insensato, tutto pieno ma completamente vuoto”.
    Vi fa venire in mente niente? A me si, dolorosamente mi ricorda la quasi impossibilità a riconoscere un movimento, un intento di volontà comuni in cui esprimere e confrontare le percezioni e i sentimenti. Un movimento nuovo formativo e generante che sulle arti espressive e letterarie si sviluppi in più direzioni. Ma è un’utopia, perché ogni tentativo si ferma, non all’uomo ma agli editori.
    La rassegna di Documenta è stata preceduta dalla concezione di tre fascicoli teorici, uno dedicato alla nuda vita, un altro alla modernità e uno dedicato all’educazione intesa come formazione permanente, sfida del nostro tempo. Forse per questo, ottimista come me, l’articolo si conclude con un’ apertura: c’è motivo per essere irritati. “Ma anche per essere affascinati e coinvolti”. Perché gli ideatori, così voglio credere, hanno provato a presentare le cose solo nella loro forma: tecnica che espone tecnica; provocando lo sgomento, soprattutto, negli addetti ai lavori. Da cosa può nascere cosa…

  18. per la signora miriam ravasio.
    gentile signora, lei scrive: “Da mesi frequento questo blog e mai ho letto una riga sui temi dell’arte. Non siete i soli ad ignorare il tema, o il problema.”
    signora, eh eh, lei non frequenta questo blog. lei TIENE una rubrica all’interno di questo blog. e poi dice “non siete i soli a ignorare il tema”. brava, a me la polemica piace, eh eh. compresa quella paradossale come la sua. ma io al posto di maugeri le toglierei la rubrica. eh eh.

  19. Confesso di essere un po’ nauseata da tutto questo gran parlare di venire pubblicati, come fare, come non fare…
    Sì, capisco tutto però preferisco scrivere.

    un saluto a tutti

    sabrina

  20. Desideravo complimentarmi per l’articolo di Antonella Cilento che ho trovato davvero interessante, così come interessanti ho trovato molti dei commenti e il controarticolo di Sergio Sozi.
    E’ da un po’ che giro su internet alla ricerca di siti letterari. Devo dire che questo mi pare uno dei migliori. Quindi complimenti vivissimi anche al creatore e gestore di letteratitudine.
    Cordialmente.
    Martina Deni

  21. Brava, Sabrina, E’ così che si deve fare: scrivere per il piacere di scrivere e poi può anche esserci la fortuna non tanto di essere pubblicati, ma di riuscire a vendere. Non è che le cose andassero molto meglio più di un secolo fa, se Jack London si lamentava che gli toccava far la fame e poi all’improvviso è girato il vento e gli editori gli compravano qualsiasi cosa.

  22. Credo che il principale limite all’essere pubblicati da una casa editrice “grande” sia l’assenza di un plusvalore. Hai scritto un bel libro? Non è sufficiente. Hai elementi per far diventare il tuo libro un “caso”? (Tra l’altro, sesso e depravazione con una base di finta autobiografia sono strade già percorse. Magari servono le esperienze in altri campi come la tv o lo sport che ti hanno fatto diventare un personaggio… ne hai? No? Peccato). Possiamo scrivere sulla fascetta del libro che sei il nuovo Grisham, il nuovo King, il nuovo Faletti, il nuovo Qualcun Altro (ma non il nuovo Pirandello perché lui, poverino, non interessa a nessuno)? Cosa fai di particolare oltre a scrivere romanzi? L’impiegato? Mm, la vedo male. Dimmi almeno che sei un impiegato-serial killer che racconta nel libro la sua esperienza prima di andarsi a costituire. Nemmeno?

    Per una volta mi trovo costretto a dare ragione a Marx: è il plusvalore che conta, o almeno, è il plusvalore che fa passare il tuo libro dalla cesta “carta da riciclo” alla pila molto più piccola dei “manoscritti da sottoporre a valutazione”.

    Si può anche dare ragione a Piperno che, candidamente, dichiara in un’intervista che lo scopo di un esordiente non è farsi pubblicare il libro ma farselo leggere (e fin qui sono d’accodo), ma che per farselo leggere serve assolutamente uno sponsor all’interno o all’esterno della casa editrice.

    Ma scrivere… non era un’arte?

    Sempre vostro, e disilluso.

    Andrea Borla

  23. Oggi la chiave di volta per pubblicare libri è a mio sommesso parere legata alle nuove tecnologie. Per un esordiente mettersi alla prova attraverso un weblog o un giornale può essere importante. Sono comunque perfettamente d’accordo con Antonella Ciliento, quando dice che non bisogna scrivere per cercare la gloria e il successo. Altrimenti si è davvero capito ben poco non solo dello scrivere, ma anche della vita.

  24. Vi ringrazio molto per i vostri commenti (alcuni dei quali – vedi Sergio Sozi – sono veri e propri articoli).
    Il post rimarrà in primo piano almeno fino a domani sera. Quindi, se avete altre considerazioni da mettere in comune, fatevi sotto.

    Antonella interverrà presto.

    @ Iena:
    cuccia!!!

  25. Carissima Jena: il voi non si riferiva ai curatori delle rubriche.E non era mia intenzione fare polemiche: solo un semplice appunto, una riflessione a cuore aperto. Grazie per l’attenzione e cordialissimi saluti a lei e a tutti.Miriam

  26. A Miriam Ravasio:

    cara Miriam, grazie innanzitutto per l’apprezzamento;
    anche a me piace l’arte (anche se non quella contemporanea) e dopotutto sono figlio di un letterato-pittore. Pero’ credo che questo blog si chiami come si chiama proprio perche’ e’ quel che deve essere. Una piazza virtuale dove ci si riunisce per parlare di alfabetiche cose, no?
    Tuttavia se potessimo tutti quanti parlarne faccia a faccia sarebbe molto meglio: magari proprio questa realta’ virtuale internettiana e’ uno dei motivi principali per i quali avviene (anzi ”non avviene”) quel che tu (e anche io) lamenti: la nascita di dei nuovi movimenti artistico-letterari.
    Io, ovviamente, qui ci scrivo come tutti gli altri, pero’ ammetto che, in fondo in fondo, preferisco sempre bere qualche bel bicchierozzo di vino nero con i miei amici in carne ed ossa… coi quali, appunto, parlo di Letteratura. Nel salotto di casa mia. Magari cosi’ qualche aggregazione reale ha una possibilita’ in piu’ di sorgere.
    In ogni caso, meglio ”bloggare” che niente: almeno ci si sente fra ”simili”.
    Pero’ non limitiamo a questo la nostra realta’: le scuole letterarie nascono solo dalla carne pulsante che si incontra fisicamente con quella di altre persone. E dai concetti che ne stanno dentro, certo, certo. Il ”movimento letterario” e’ un corto circuito fra ”analoghi” che sono ”omologhi” ma mai ”uguali”.
    E per unirsi e fare gruppo, bisogna esserci col corpo, con l’anima e col pensiero.

    Saluti Cari (anche ad Elektra, Barbara e Massimo)

    Sergio Sozi

  27. 1) i lettori di qualità sono pochissimi; 2) i lettori di massa leggono robaccia; 3) gli editori lavorano per i lettori di massa; 4) gli aspiranti scrittori stanno in un circoletto chiuso e si leggono far di loro parlandosi addosso in rete;
    e provare a intervenire sul punto numero 1? si può ancora intervenire o è meglio arrendersi definitivamente ai nuovi passatempi culturali? qualcuno mi faccia sapere come convincere degli adolescenti a leggersi un libro di qualità

  28. Potrebbe sembrare un quesito irrisolvibile, cara Ilse, ma se si cercasse di far decidere proprio ai giovani se un libro sia di qualità….e non darglielo a bere….Ognuno di noi ha le sue idee e quello che sembra bello per alcuni non lo è per altri. La vera massa non esiste più…le nuove tecnologie ci hanno reso potenzialmente e realmente persone con idee stratificate e diversificate, come se ci fosse stata data la possibilità di vivere insieme ma percorrendo strade divergenti al massimo e differenti. In un mondo globale, sembra un paradosso: ma si vivono affiancati diversi mondi. Come individuare quindi le preferenze e le selezioni sulla qualità è a dir poco impossibile. Quindi quando un libro diventa noto, sarà noto in quel momento e per alcuni ma per divenire soppiantabile quasi all’istante il giorno dopo per tanti altri. I veri testi classici non si creano più, perchè la qualità che posseggono non fa più parte della qualità cerebrale dell’individuo di questo terzo millennio… Vedasi anche come si sia modificato il concetto di bellezza….tutte uguali, tutte ricostruite, tutte alla ricerca di un ottimo che non appartiene all’essere umano reale ma al mondo di un sogno inconsistente. Perchè, se anche l’estetica ha raggiunti traguardi ragguardevoli, non si contrastano più i decadimenti morali e spirituali nonchè quelli ambientali, vedi l’inquinamento: quindi, occorre dire che anche la qualità come la bellezza sono sostanzialmente elementi effimeri di questi tempi…

  29. Carissimi/e, risposte in breve a tutte le domande provo a darvele con un esempio. Chi di voi conosce Laura Bosio? Laura Bosio, che è adesso in finale allo Strega con un magnifico libro di cui consiglio calorosamente la lettura, Le stagioni dell’acqua, è stata la miglior editor che io abbia avuto nel corso della mia breve esperienza con cinque o sei case editrici. E Non solo perchè è persona squisita, amica affettuosa, lettrice paziente e affidabile, intelligente, brillante, severa, ma perchè è anche un’autrice. Un’autrice raffinatissima che ha scritto libri stupendi con Feltrinelli, Mondadori e ora Longanesi, ma che difficilmente qualcuno di voi avrà letto e che forse ora conoscerà solo grazie allo Strega, o almeno spero. Laura è una buona risposta alle questioni che avete sollevato: come editor, allieva di Giuseppe Pontiggia, i suoi interventi sono stati illuminanti, come scrittrice è una delle donne più umili e pazienti che io conosca. Citava a lezione da noi qualche giorno fa un bellissimo saggio di Pontiggia sull’invisibilità dello scrittore, che resta sempre invisibile, quando è inedito perchè nessuno lo conosce, quando è edito la prima volta perchè pochi se ne sono accorti, perchè anche la seconda volta potrebbe non essere riconosciuto e così via. Quando lo scrittore muore qualcuno scrive: se n’è andato alla chetichella com’è vissuto. Ma in fondo, conclude Pontiggia: com’è che muore un uomo? La lezione di Laura che vi cito è essenziale: scrivere senza speranza e senza disperazione (Karen Blixen), cercare persone che vi facciano da specchio con correttezza (nelle scuole di scrittura, fra gli addetti) e non avere fretta. Nè di pubblicare nè d’altro. Inseguiamo con pazienza il nostro castello di carte. Non importa se moriremo alla chetichella: come altro potremmo morire?
    Leggete Laura Bosio, per capire quanta distrazione ci sia oggi anche verso chi nell’editoria di lavora da anni e come questo, alla fine, non può e non deve farci cambiare strada.
    Antonella Cilento

  30. Per la sig.ra Gabry Conti:

    condivido (seppur solo in larga parte)la Sua analisi ma non i risultati che ne scaturiscono: gli adulti hanno il dovere di insegnare i loro valori ai giovani, e ”lasciarli fare” secondo me e’ troppo facile. Gli adulti, appunto, se vogliono esser tali, DEVONO AVERE DEI SALDI VALORI, altrimenti si chiamano tardo-adolescenti e dunque si va a parlar d’altro.
    In secondo luogo: il mondo non e’ per niente globalizzato, ma fatto di Nazioni e tradizioni culturali in parte differenti in parte simili. Centinaia di milioni di persone la pensano, dovunque, come ho appena detto (magari pochi in Italia e U.S.A. ma moltissimi altrove). Se, inoltre, e’ vero che l’esasperazione dell’ossimoro ”individuo-massa” rischia di portare a quanto da Lei intelligentemente esposto, e vero anche che mode e tendenze esistono dall’Eta’ della Pietra e che, probabilmente, non moriranno mai. Ci sono infatti dei fattori unificanti anche fra una pietra calcarea ed un fico d’india. A maggior ragione fra degli esseri umani – seppur diversi. Insieme a questi tratti unificatorii, pero’, convivono le individualita’ – sempre dall’Eta’ della Pietra.
    Niente si muove, cara Conti, pur fluendo senza sosta. Ai cittadini italiani colti e moralmente solidi spetta costruire la societa’ italiana del futuro. Dunque lo si faccia, ognuno a modo suo e tutti insieme.

    Cordialmente

    Sergio Sozi

  31. Per Sergio Sozi.
    Sergio, indubbiamente il vino ha la sua importanza e soprattutto favorisce il canto, arte di sicura comunicazione. Bell’invito! L’arte contemporanea ???!!!??? L’Arte è morta prima dell’11 settembre, prima di tutte le altre. Ma gli artisti no; ci siamo diffusi, dispersi. Ogni tanto le percezioni trovano una felice strada e, nel frastuono generale, riescono ancora a comunicare. Io credo nella didattica dell’arte, ci credo veramente, tanto da applicarmi al lavoro come se un movimento rinnovatore esistesse già. Leggo e studio più di un laureando, disegno moltissimo (percorsi a tema), scrivo programmi d’animazione culturale (che il più delle volte regalo), intervengo sul blog di Maugeri e lavoro nelle scuole come educatrice dell’immagine. Mi sento un’adulta responsabile e partecipe: ognuno deve fare la sua parte. Ciao

  32. Importante poi per il successo del libro è la distribuzione. L’alchimista di Coelho è un capolavoro o un pessimo libro? Per il primo editore è stato un fallimento poi sappiamo tutti cosa è successo.
    Io ho scritto un libro che sarà pubblicato entro setttembre, come posso sapere se è di qualità?
    Solo il mercato può esser l’unico giudice?
    C’è qualcuno di voi che si sente di dare un giudizio?

  33. Mah, Antonella…che dire?
    Immagino che tu non ti ricordi di me…io di te invece sì, fosse solo perché poi ti ho “ritrovata” in libreria, pubblicata nientedimeno che da Guanda (che a me, nonostante il mio secondo posto al Calvino del 2002, non ha mai neanche risposto, e lo stesso dicasi per Avagliano…)Ricordi? Abbiamo vissuto insieme l’ormai leggendaria stagione di CAMBIO negli anni ’90, sul quale entrambi abbiamo pubblicato. Su quella e su chissà quante altre semiclandestine riviste per “emergenti”. Poi le nostre strade si sono divise: tu sei emersa, io ho continuato a tentare di farlo. Eppure non mi manca niente: so scrivere, le mie storie si leggono bene. Quando qualcuno ha la correttezza di leggere i miei libri per recensirli, poi – come è accaduto a Sergio Pent di Tuttolibri – non può che recensirli positivamente. Eppure continuano a prendermi in considerazione solo quelli che, nel mio ultimo romanzo (EFFETTO ALBATRO, Robin, anche questo pubblicato senza nessun tipo di contributo alle spese!) definisco “piccoli editori onesti”. Non è che nella tua rassegna di impedimenti alla pubblicazione manca qualcosa?
    Ti saluto, con un pizzico di (benevola) invidia per la tua maggiore fortuna.
    Ciao!

  34. quest’ultimo intervento è la chiosa perfetta al tema affrontato. Per la grande editoria lo scrittore sia pur bravo e pubblicato senza contributi non esiste, a meno che… continui chi ha aperto quest’interessante pagina web ricordandoci i settantotto modi per non essere pubblicati ma lo faccia senza l’ipocrisia dell’ “arrivato”e senza il timore di perdere un privilegio acquisito, senza dubbio, per merito

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