LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Tunué http://letteratitudine.blog.kataweb.it Un open-blog. un luogo d\'incontro virtuale tra scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti e operatori culturali Sat, 11 Dec 2021 09:58:57 +0000 http://wordpress.org/?v=2.9.2 en hourly 1 MOMO di Jonathan Garnier e Rony Hotin http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/01/momo-di-jonathan-garnier-e-rony-hotin/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2020/07/01/momo-di-jonathan-garnier-e-rony-hotin/#comments Wed, 01 Jul 2020 14:11:14 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=8526 In questo nuovo post legato alle due rubriche di Letteratitudine “Graphic Novel e Fumetti” e “Giovanissima Letteratura” ci occupiamo del graphic novel intitolato “Momo” di Jonathan Garnier e Rony Hotin (Tunué – traduzione di Stefano Andrea Cresti)

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di Eva Luna Mascolino

Quella di Momo, bambina di cinque anni i cui genitori si sono separati, non è un’intera storia. La graphic novel che la vede protagonista, firmata da Jonathan Garnier e Rony Hotin e pubblicata in Italia da Tunué nella traduzione di Stefano Andrea Cresti, è una sorta di macrocapitolo della sua vita, dedicata ad alcune specifiche esperienze dell’infanzia. Affidata dopo il divorzio alle cure del papà, che però si imbarca spesso in mare per lavoro, la protagonista deve infatti trascorrere l’estate con la nonna in un paesino della Normandia apparentemente isolato e noioso, in cui l’unico svago consiste nell’andare dal pescivendolo o nel raggiungere la piazza principale.
In realtà, si tratta di una parentesi complicata dentro un’esistenza ancora più caleidoscopica, dato che Momo, nonostante la tenera età, ha già un carattere risoluto e fiero, a tratti fin troppo, e che nella cittadina in cui aspetta inquieta il ritorno del papà sviluppa ben più rapporti del previsto con chi la circonda. Il pescivendolo, per esempio, fa il duro con lei quando lei fa la dura con lui, però poi conserva in casa i fogli in cui Momo disegna delle banconote quando non ha abbastanza soldi per pagargli la merce, e la ospita in casa con il suo gatto quando lei non ha altri posti dove andare. I ragazzi più grandi che trascorrono la stagione lì proprio come lei, all’inizio la temono per la sua scontrosità e vena polemica, ma grazie a questo imparano poi a rispettarla e a includerla nelle loro giornate.
Un’altra adolescente, anche lei ospitata dalla nonna, trova in Momo quasi una sorella più piccola, una confidente, una persona capace di ascoltarla e di capirla, così come di lasciarsi consigliare e volere bene. In questa storia attuale di famiglie “moderne”, dove in un piccolo centro si sviluppano grandi problemi, l’empatia è quindi forte con tutti i personaggi: li si vorrebbe conoscere meglio l’uno dopo l’altra, mentre i lettori più piccoli imparano molto dagli errori e dai pregi della protagonista e gli adulti si ricordano non senza una punta di dolore come ci si sente da bambini e come si dovrebbe comunicare in maniera efficace con i più piccoli.
La parte grafica, nell’opera, ha fra l’altro un’importanza tutt’altro che collaterale – non a caso questo romanzo di formazione, ispirato alle foto di una bambina giapponese, ha vinto il Prix Bull’Gomme, il premio Pépite BD al Salon du Livre et de la Presse Jeunesse de Montreuil ed è stato nominato al Prix Sorcières. Paesaggi ed espressioni sembrano evocare certe atmosfere della tradizione giapponese, come hanno riconosciuto con devozione gli stessi autori, ma il modo di esprimersi, i tratti somatici e perfino certi sviluppi di trama devono molto all’immaginario collettivo occidentale – e dell’universo Disney, più nello specifico. La cura al dettaglio è ammirevole, tanto negli ambienti quanto nell’abbigliamento, tanto negli snodi delle vicende quanto nel linguaggio, e la traduzione italiana restituisce la freschezza e l’immediatezza dei dialoghi senza intoppi, risultando convincente specialmente nel gergo giovanile e nello stile informale che caratterizza la graphic novel.
Le inquadrature delle scene sono sempre dinamiche e innovative nella prospettiva, né disturba il fatto che le storyboard di ogni pagina siano abbondanti e spesso ridotte per dimensioni, anzi. La scelta crea una sorta di “effetto cartone animato”, a tal punto la storia sembra viva e scorrevole (il che, considerate le sue 176 facciate, non è da poco). Molto, negli stati d’animo e nelle atmosfere da suggerire, viene inoltre affidato ai colori, centrali nella comprensione e nell’immersione così come il lettering, che funziona bene soprattutto a livello di onomatopee. Inaspettata è, invece, l’incursione di un punto di vista “altro” (anche nelle modalità espressive) a circa metà del testo, che forse risulta poco contestualizzata rispetto alle avventure di Momo nel suo insieme, ma che contribuisce a una polifonia singolare, insolita e comunque non sgradevole.
Insomma, nelle pagine in carta opaca di Momo si osserva la quotidianità di una bambina all’apparenza come tante, sebbene i conflitti che emergono risultino universali e giganteschi per loro stessa natura, tra grandi dolori familiari e sincere risate tra amici. Nel tempo di un’estate la protagonista impara, cambia e cresce, esattamente come accade a chi le tiene compagnia capitolo dopo capitolo, e guarda al proprio mondo interiore con rinnovata dolcezza.

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La scheda del libro: “Momo” di Jonathan Garnier e Rony Hotin (Tunué – traduzione di Stefano Andrea Cresti)

Momo - Jonathan Garnier,Rony Hotin - copertinaL’indimenticabile fragranza dell’infanzia. Momo è una bambina di 5 anni, vive con la nonna in un piccolo villaggio portuale della Normandia. Di tanto in tanto la bambina va sul ponte per riuscire a vedere la barca del padre, marinaio d’altura obbligato dal lavoro a passare lunghi periodi in mare. Alla morte della nonna il pescivendolo del paese si rifiuta di affidare la piccola ai servizi sociali e si offre di ospitarla a casa sua fino al ritorno del padre. Il tempo degli amici, le scoperte, le piccole sciocchezze, la grande felicità e il dolore. Il tempo anche di una costante meraviglia che a volte vanifica le realtà del mondo degli adulti. Età di lettura: da 10 anni.

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THE PASSENGER http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/28/the-passenger/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2016/10/28/the-passenger/#comments Fri, 28 Oct 2016 17:57:58 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=7325 Risultati immagini per lucca comics & games 2016

Oggi comincia l’edizione 2016 di Lucca Comics & Games (qui il programma – qui gli ospiti): si svolgerà dal 28 ottobre al 1 novembre. Sarà a Lucca, per conto di Letteratitudine, il nostro inviato Furio Detti che intanto – nell’ambito della rubrica “Graphic Novel e Fumetti” – firma una nuova recensione dedicata al lavoro di Carlo Carlei, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso: The Passenger“, graphic novel a sei mani, in uscita per Tunué per la collana Prospero’s Books.

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Il passeggero scomodo di Carlei – Rizzo – Bonaccorso

The Passenger“: la lunga, paurosa corsa nella notte della mafia

di Furio Detti

Si pensa subito alle passate telestagioni de “La Piovra”, a quella narrazione sulla Mafia e sulla Sicilia diventata patrimonio collettivo, con le sue luci e le sue ombre (e anche i suoi cliché più o meno riusciti), a sfogliare l’ultima fatica di Carlo Carlei, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso: “The Passenger“, graphic novel a sei mani, in uscita per Tunué per la collana Prospero’s Books.

Non so dirvi perché, ma avrei proprio preferito un titolo siciliano, dialettale, per questo “cinema disegnato”, che affronta come facevano gli antichi cantastorie una storia pesante, aspra, impegnativa, viscerale e cruda, in modo comunque coinvolgente e, a tratti, anche scomodo, come avrò modo di accennare. Che so, ci sarebbe stato meglio un termine come: “U Passaggiu”, “lo strappo”. Invece il titolo è proprio da blockbuster. Che si tratti di cinema a fumetti è evidente non solo dall’intenzione di fare di questa storia un film, ma dalla presenza di un regista in veste di soggettista come Carlei (autore di film come Capitan Cosmo, Fluke, Romeo&Juliet), di uno sceneggiatore-giornalista, Rizzo (Ilaria Alpi. Il Prezzo della Verità), e delle matite di Bonaccorso (Pepppino Impastato, un giullare contro la Mafia, Que Viva el Che Guevara), i quali hanno in pratica regalato ai lettori uno storyboard “a fumetti”. Il taglio cinematografico traspare da ogni layout dell’opera – forse anche troppo, a volte.

“The Passenger” può essere un fumetto scomodo, e questo è il suo pregio migliore a mio parere. Scomodo non tanto perchè ci dice quello che ci ripetiamo da anni e anni – che la mafia è un modo di pensare, essere e di vivere più che una società criminale; che la mafia, oltre a essere la “montagna di merda” descritta da Impastato, è un potere nel potere, un magma che impregna le relazioni fra lo Stato l’Economia e le Istituzioni; che la mafia è stata storia di un’isola, la Sicilia, ma non soltanto “della Sicilia”, anzi è qualcosa di internazionale e locale insieme e per questo assai potente per il suo unire particolarismi e forze globali; no. Non è questa la scomodità di cui parlo.

Personalmente ho trovato scomodo “The Passenger” perché è una storia di uomini, è epica in senso greco, drammatico. È storia scomoda perché mi sono ritrovato alla fin fine a fare il tifo per il mafioso, per l’ultracattivone dell’albo: il gigante che domina la vicenda, il braccato e pericolosissimo boss Masino Caligiuri. Anzi, “Zu’ Masinu”: un personaggio così ben dipinto e così ben caratterizzato, vivo, da essere enormemente affascinante e per questo molto più pericoloso del coltello con cui si fabbrica la sua antica e immutabile “giustizia mafiosa”. Tanto che io, man mano che mi avvicinavo all’imprevedibile finale, mi appassionavo al suo modo di concepire la realtà delle cose:

«U Mundu è comu un pupu. S’arrevota, s’arrevota, ma alla fini simpri addritta torna. (…) A me non me ne è mai fottuto niente degli altri. Gli autri si sacrificano pure per un bene più grande. Io invece ho seminato ossa per tutta la vita. (…) Agli eroi danno una medaglia, Quannu su beddi stinnuti rintra ‘na tomba e alla fine a bannera supra a bara, u carro chi cavaddi tanto incensu che manca l’aria»

E ammiravo la spietata determinazione del lupo, della belva che non conosce altro che la sua primitiva volontà di potenza. E mi piaceva il cinismo limpido con cui Zu’ Masinu definiva la politica del potere:

«Lo sai chi sono i veri macellai, i veri pupari? Quelli in prima fila ai funerali, ca cravatta, chi chianciuno chiù forte. Lo sai chi ha messo questi nomi sotto il cemento? Te li dico all’orecchio…»

Risultati immagini per the passenger tunuèRaccontare una storia, anche una storia di mafia, in realtà non è solo inventare colpi di scena o tenerci sul filo del pericolo – oltretutto “The Passenger” mantiene la promessa cara a ogni poliziesco ben fatto – è anche fare di quella storia lo strumento, il mezzo, il mare, lo spazio in cui i personaggi crescono, diventano credibili, esercitano forze d’attrazione e di repulsione, non soltanto per la simpatia o l’antipatia con cui li mettiamo nel presepe della nostra mente, ma soprattutto perché danno voce alle nostre pulsioni, alle nostre ambizioni e passioni umane. Ci permettono di “parlare” a noi stessi e di riconoscerci per cosa siamo. O di temere anche ciò che potremmo essere. I personaggi di una bella storia ci permettono di vivere, perché ci permettono di usarli come maschere per esprimere ciò che non osiamo ammettere a alta voce davanti alla tavola imbandita, in piazza, con i nostri cari o con chi incontriamo per strada. Ci prestano la loro vita incantata, sono vivi di una finzione che ci consente di “fingere” la realtà e sopportarla col suo necessario carico di regole. E non c’è dubbio che il cattivo di “The Passenger” è uno di questi terribili sembianti. È dannatamente ben fatto e letteralmente domina la storia. Merito anche dei dialoghi di Rizzo che sono appunto cinematografici come il segno di Bonaccorso. Da qui il colpo di scena finale e le ragioni anche spietate e decisamente non ortodosse che vedranno invertirsi i ruoli. Non c’è niente di più infido di un cattivo intelligente e spietato. E non c’è niente di più inesorabile dell’ira dei giusti.

Tornando al cattivo:

«Ma u veru problema è che mortu nu giudice n’arriva subito n’autru. Non si vince accusì a guerra. Pi farisi sentiri abbisogna bombardare i monumenti. Se butti giù a torri di Pisa, quannu ‘ni fannu n’autra nuova?»

E, lo sappiamo, la mafia ha provato a farlo anche nella realtà, materialmente, come con la bomba ai Georgofili, a Firenze. Non soltando facendo scomparire dei monumenti umani come Falcone e Borsellino.

Dunque il fumetto dei nostri tre autori è un viaggio nella tenebra del thriller, sulle strade della Sicilia, in auto di un “capo dei capi”, vittima, si fa per dire, delle stesse logiche di branco dell’”onorata società”. Ma Don Masino ha un segreto che potrebbe far cadere illustri teste coronate, a Palermo e a Roma. Ha i tasselli per recuperare dei documenti compromettenti e inequivocabili; ha minacciato di rivelarli ai magistrati se per lui le cose dovessero mettersi male. Per questo si scatena una guerra fra eserciti mafiosi, polizia e spie. Il nuovo boss rampante, la nuova mafia, quella degli appalti delle grandi opere, delle holding, delle consociate, dello spaccio, rappresentata dal crudele Don Peppe Brucigliano, per sopravvivere si schiera con i pezzi deviati dello Stato contro la vecchia mafia, quella di Caligiuri e dei suoi ultimi luogotenenti. Una mafia rurale, quest’ultima, fatta di usanze ormai quasi ridicole, di formule in dialetto, di obbedienze espresse da santini, anelli e monete gettate sui morti, di bottini nascosti dietro i casali, sotto gli ulivi, o persino dentro le mummie dei Cappuccini, che si invocano come numi lari, in nome di fedeltà e legami per quanto illegali e ambigui duri a morire. Pure non c’è niente di antico, se non la stessa ferocia: l’acido che scioglie i corpi, i banchi di mercato nelle botteghe semichiuse alla Vucciria, che ospitano quel che resta di chi “ha sgarrato”, “ha fatto l’infame” una volta di troppo. Accompagnati da alcune scelte grafiche non nuove, ma ben articolate e ben amalgamate al tutto. Certo, direbbe Hitchcock, la valigia dei documenti di Zu’ Masinu è solo un MacGuffin, il pretesto per raccontare l’Italia dopo le stragi di Palermo e Capaci, l’Italia preda di una vecchia e nuova mafia che si intrecciano con i poteri forti e le grandi correnti del profitto. La scusa per raccontare una lunga notte di disperata fuga fra i picciotti di Brucigliano e i poliziotti guidati dal commissario Lizzio (forse un po’ troppo simile, nell’aspetto, al Montalbano nazionale). Alla fin fine il coprotagonista, il pacifico James Sutton, il povero turista statunitense che si trova invischiato a fare da autista al capomafia inseguito da tutti, è proprio una figura che non spicca quasi per nulla. Un povero Nuddo ammuscato cu nenti. James è costretto a fare quel che deve perché semplicemente, come molte vittime delle stragi mafiose, si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lui e sua moglie, incinta, sono venuti a Palermo in vacanza, senza sospettare che Don Masino e i suoi uomini li useranno come ostaggi per fuggire. Ecco che Don Masino e James parlano di Hemingway, del suo “Il Vecchio e il Mare”, ecco che si confrontano, tra una stazione e l’altra, tra un bottino segreto e il prossimo (chiavi, documenti, passaporti, rifugi sparpagliati in città e campagna…), sulla vendetta, sul dovere, sull’onore, sul rispetto e sulla giustizia. Cosa di cui Don Masino ha la sua schietta e personale concezione:

«Io avevo uomini che si alzavano all’alba per prendere i miei ordini. Avevo un esercito e sfamavo a mezza Sicilia e oltre. Quando li fici scantari giusti chi bombi vennero da me tutti ’sti pezzi grossi. A pregarmi di fare la pace. E ora dove sono? Se hanno voltato le spalle a Nostro Signori è scritto che lo dovevano fare puru con mia.»

Ma io non sono Nostro Signore. Io sono Masino Caligiuri. Non mi scordo niente. E non perdono.»

The Passenger è tutto questo. Un lungo viaggio nella parte luminosa e quella oscura degli uomini veri, onesti, e dei mafiosi, dei macellai; della storia siciliana e della storia nazionale, in cui i nomi degli eroi, dei “Siciliani onesti”, sono naturalmente travestiti da nomi di comodo, come quello del giudice Mastorna. Fino al colpo di scena, fino al riscatto dell’imprevedibile. Fino alla giustizia, quella vera; come dice Sciascia nella citazione di apertura.

Una fine che lasciamo alla vostra curiosità e alle pagine di questo fumetto.

Perdonatemi pertanto se invito il lettore a viaggiare con gli occhi sui baloon e sulle vignette di Carlei-Rizzo-Bonaccorso con le stesse parole del boss, quelle che poi tutti, buoni e cattivi, mafiosi e onesti dovremmo sempre dire davanti a ogni bella storia:

«Parti. Nun ti scantare, e parti.»

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Carlei – Rizzo – Bonaccorso, The Passenger, Tunué – Prospero’s Books, ISBN 978-88-6790-211-8

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[È possibile sfogliare le prime pagine del volume cliccando qui]

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La scheda del volume

Da un soggetto del regista Carlo Carleiadattamento e i disegni di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso – esce nei Prospero’s Books di Tunué The Passenger: una storia di mafia, un thriller metropolitano che indaga sui lati oscuri dell’ultimo ventennio italiano, sullo scenario di una Palermo notturna e misteriosa.

Una coppia di giovani turisti americani in viaggio di nozze in Sicilia e il boss mafioso Masino Caligiuri, latitante e braccato dalla polizia, incrociano i loro destini in un graphic novel tenebroso e imprevedibile. L’ultimo tentativo del boss di chiudere i conti con il suo passato e ricordare a chi vuole tradirlo il patto scellerato che la mafia ha stretto con lo Stato.
The Passenger, che presto diventerà un film diretto dallo stesso Carlo Carlei, è un fumetto dal ritmo serrato, capace di distinguersi dalle classiche narrazioni di mafia e in grado di rielaborare, grazie a colpi di scena mozzafiato, temi centrali come la giustizia e la vendetta.

Carlo Carlei
Filmmaker di fama internazionale e appassionato di fumetti fin da bambino, esordisce con Capitan Cosmo (1990), primo TV-movie al mondo girato in HD. Nel 1992 con La corsa dell’innocente viene candidato al Golden Globe. In seguito, la MGM gli produce Fluke, film di culto per gli amanti degli animali. Nel 1996, per la FOX, scrive la sceneggiatura di Daredevil, giudicata straordinaria dagli addetti ai lavori e mai andata in produzione a causa della bancarotta della Marvel. Scrive e dirige per la tivù miniserie di enorme successo come Padre Pio e Ferrari. Fra le altre sue opere: L’aviatore, Il Generale Della Rovere, Il giudice meschino, Il confine. Il suo ultimo film americano è Romeo & Juliet del 2013.

Marco Rizzo
Giornalista, sceneggiatore e editor Panini Comics, esordisce con Ilaria Alpi, il prezzo della verità (BeccoGiallo), Premio Micheluzzi come miglior graphic novel. Ha scritto fumetti sulle vite di Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Che Guevara, Jan Karski e Marco Pantani, tradotti all’estero e vincitori di numerosi premi.

Lelio Bonaccorso
Fumettista, illustratore e insegnante presso le Scuole del Fumetto di Palermo e Messina. Il suo primo graphic novel è Peppino Impastato, un giullare contro la mafia, sceneggiato da Marco Rizzo. La collaborazione si rinnova con Gli ultimi giorni di Marco Pantani, Primo, Que Viva el Che Guevara, su una versione a puntate di Gli Arancini di Montalbano per La Gazzetta dello Sport e su Jan Karski l’uomo che scoprì l’Olocausto.
Nel 2014 pubblica 419 Africa Mafia, sceneggiato da Loulou Dédola.

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VIOLA GIRAMONDO, di Teresa Radice e Stefano Turconi http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/03/viola-giramondo-di-teresa-radice-e-stefano-turconi/ http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2014/02/03/viola-giramondo-di-teresa-radice-e-stefano-turconi/#comments Sun, 02 Feb 2014 23:29:10 +0000 Massimo Maugeri http://letteratitudine.blog.kataweb.it/?p=5854 VIOLA GIRAMONDO, Teresa Radice – Stefano Turconi

La nuova puntata della rubrica GRAPHIC NOVEL E FUMETTI è dedicata al volume “Viola Giramondo” di Teresa Radice – Stefano Turconi (edito da Tunué). Ecco, di seguito, la recensione del nostro Furio Detti.

Massimo Maugeri

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[L'introduzione di GRAPHIC NOVEL E FUMETTI]

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Scappo col Circo! L’avventura di “Viola Giramondo” e della traboccante umanità dell’Arte

di Furio Detti

Occorre una santa maestria oppure una penna fortunata per recensire qualcosa di bello e commovente senza essere stucchevoli. Pertanto spero di essere perdonato se non riuscirò a parlarvi di “Viola Giramondo”, uscito dalle matite di Stefano Turconi e dalla penna di Teresa Radice, senza fallare.
Intanto, difficilmente ho riscontrato tanta sintonia, armonia, fra una sceneggiatrice e un fumettista. I panorami visivi di Turconi, il vibrante e luminoso turbinare delle sue matite, spiegherebbero già da soli come il libro sia stato, nel giorno del 22 gennaio 2014, il fumetto per ragazzi più venduto sul portale Amazon.it. Se poi il testo attraversa con graziosa intensità Gibran, Shakespeare, Thoreau, Terzani, Magris, Al-Rumi, Keats, Rilke e in chiusura Dag Hammerskjoeld (Nobel per la Pace), raccontandoci l’avventuroso viaggio di un circo immaginario fatto di molti uomini e (per fortuna!) pochissimi animali… il gioco è fatto!
Fantasticare in questo circo dei sogni sull’incontro magico tra la protagonista e alcuni grandi dell’arte, della musica e della cultura, come Tolouse-Lautrec e Dvořák, incontrarsi e emozionarsi con gli immaginari e esuberanti artisti del Cirque de la Lune e le letture dei classici, dalle Mille e una Notte in su… non può che essere buona lettura. Semplicemente. Non si potrebbe dire di più e di meglio senza esagerare. Viola Giramondo, figlia della donna cannone e di un entomologo col nome da pittore è una protagonista vera, perché vere sono le riflessioni che fa, i sentimenti che prova, le reazioni alla giornata, perché autentico è ogni turbamento che nasce dalla sua personale esplorazione del mondo: «Forse ho la testa fra le nuvole perché, come quelle, sono costantemente in viaggio, e mi capita di non sapere dove mi porterà il vento… ma mi affido …e mi fido, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire se il tuo punto di vista si trova a cambiare di continuo.» Questo nomadismo gioioso è il fil rouge che guida la narrazione della Radice e le visioni di Turconi.
Nonno Tenzin, il burbero ma a suo modo generoso Arsène, padrone del circo, il frizzante amichetto Samir e altri compagni occasionali, come l’ispirato Hiawatha, giovanissimo indiano capace di parlare agli animali, sono personaggi intensi, descritti con sicurezza e decisione, forse carenti – se proprio vogliamo – di qualche “chiaroscuro” che non avrebbe affatto guastato. Chiaramente siamo in un fumetto per bambini e giovanissimi, ma sentiamo comunque la mancanza di una dose di cattiveria e ambiguità in più: questi piccoli eroi sono troppo “buoni”, troppo perfetti, e quindi alla fin fine (anche) un po’ stereotipati. Questo è l’unico limite che si riscontra. Sarebbe bello se persino il fumetto di genere osasse di più, rappresentando, pur nella trasfigurazione narrativa e simbolica della fiaba o del racconto avventuroso, un mondo più vero, una realtà un tantinello più scomoda, complessa, sfaccettata. Tant’è. Viola di certo non guasta con il suo comprensibile, acerbo, candore. Forse solo nonno Tenzin sembra meglio calibrato nella sua incontenibile saggezza, in lui l’eccesso di coerenza disturba meno. Anche Samir, innamorato di Viola, ma senza ammetterlo, è credibile e concreto.
Graficamente parlando, il secondo terzo della storia, “Sinfonia d’Autunno” sarebbe da solo premio all’acquisto: i panorami della foresta e dei campi sono splendidi. Turconi ha un tratto agile, vivo, libero dal disneysmo che pure poteva – per comprovata esperienza nella scuderia – proporre. Gran scelta. Gli scorci urbani non sono da meno, deliziosissimi e perfettamente funzionali alla narrazione, mai meramente decorativi. La composizione delle tavole però non apre a sperimentazioni, nessuna scelta ardita neanche nell’impaginazione. Si poteva osare, anche qui come per la caratterizzazione, di più.
Viene veramente voglia di lasciare le proprie abitudini e certezze per seguire i carrozzoni variopinti del Cirque de la Lune, lungo le strade di Parigi, Venezia, Calcutta, Lhasa, o al riflesso dei fiumi indiani, all’ombra delle foreste canadesi. Ci piace pure molto – di questi tempi non stupisce – l’enfasi data a uno spettacolo di quasi soli artisti. Niente leoni o tigri strappati alla foresta, ma un più domestico serraglio. Da animalista apprezzo perlomeno lo sforzo. “Viola Giramondo” è davvero una festosa celebrazione della diversità, della vita, del meraviglioso. Tunuè ha fatto centro anche stavolta. In particolare raccomanderei la toccante conclusione di “Ritorno a casa”, in cui si scopre finalmente qualcosa sui personaggi e sul loro passato con inevitabili lacrime e un epilogo intenso, stracolmo di poesia.
Per questo lo spettacolo convince, appassiona, ci prende. Si applaude perché alla fine vincono l’arte, il colore, la storia, che vorremmo destinata a crescere, espandersi, continuare. Io ci spero, spero che questo volume sia solo il primo di una lunga e fortunata serie. Eppure, se anche mi restasse in mano l’ultimo biglietto, troverei ancora così bello tornare ogni volta, con gli anni, in questa avventura e udire la voce trillante della trapezista squillare dall’alto del tendone: «Mi chiamo Viola Vermeer, papà olandese, mamma francese, cittadina del mondo.»

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Teresa Radice – Stefano Turconi, Viola Giramondo, Tunué 2013
ISBN 978 88 97165 78 1 –  126 pagine

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